Madeleine Delbrêl e la sua “fede nuda”

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Madeleine Delbrêl e la sua “fede nuda”
POLEMICHE CULTURALI
Madeleine Delbrêl
e la sua “fede nuda”
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Gerolamo
Fazzini
Mistica e attivista cattolica, per molti aspetti anticipa lo stile
missionario additato da papa Francesco in Evangelii gaudium.
Grazie alla testimonianza di una religiosità vera, “plasmata dal
Vangelo” e senza gli orpelli di una tradizione ormai inerte.
Vita e Pensiero 12015
Quando,
nel marzo del 2006, venne Gerolamo Fazzini è giornalista
specializzato in temi religiosi e inricostituita l’Unione cattolica internazio- ternazionali. Già direttore editodi «Mondo e Missione», fonnale di servizio sociale (Uciss), i promotori riale
datore di MissiOnLine.org, è condell’iniziativa – tra i quali il professor Fran- sulente di direzione di «Credere».
con «Avvenire», anche
cesco Villa dell’Università Cattolica del Sa- Collabora
come editorialista. Su «Jesus» tiene
cro Cuore – ebbero la felice intuizione di la rubrica «East East East».
intitolarla a Madeleine Delbrêl, attivista e
mistica cattolica, tra le prime assistenti sociali francesi. Ma la figura di
Madeleine Delbrêl è così ricca e complessa che sarebbe un errore pensare di confinarla nel mero ruolo di “patrona” degli assistenti sociali.
A un’attenta analisi, la Delbrêl, della quale recentemente sono stati
celebrati i cinquant’anni dalla morte (13 ottobre 1964), si rivela infatti
portatrice di una carica di profezia che investe vari ambiti: ecclesiale,
sociale e culturale. Una profezia che si dispiegò in anticipo sul Concilio Vaticano II, abbracciando molti temi che, da lì in avanti, divennero
pietre miliari nella vita della Chiesa: il primato del Vangelo nella vita
cristiana; la dignità battesimale del “popolo di Dio” e, di conseguenza, il protagonismo dei laici; la tensione verso i “lontani” e le nuove
forme di testimonianza...
Un passaggio di Evangelii gaudium (n. 49) s’attaglia perfettamente a introdurre questa donna del nostro tempo: «Se qualcosa deve
santamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza», scrive
papa Francesco, «è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza,
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Dall’ateismo
alla scoperta di Dio
Madeleine Delbrêl ha provato sulla sua pelle l’esperienza del dubbio
esistenziale («Avrei dato il mondo intero per sapere cosa ci stavo a fare
io») e dell’ateismo («Dio è morto, viva la morte», scrive a 17 anni).
Una volta convertita, la fede diventa per lei la vera e unica bussola
della vita esattamente perché, proveniente dalla non-fede, tocca con
mano quella che Enzo Bianchi chiamerebbe “la differenza cristiana”.
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la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una
comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di
vita. Più della paura di sbagliare, spero che ci muova la paura di
rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle
norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in
cui ci sentiamo tranquilli, mentre fuori c’è una moltitudine affamata e Gesù ci ripete senza sosta: “Voi stessi date loro da mangiare”
(Mc 6,37)».
In anticipo di decenni sull’appello di Bergoglio ad andare “nelle periferie geografiche ed esistenziali”, Madeleine Delbrêl si è mossa esattamente in tale direzione. Addirittura, ha scritto una preghiera che,
per molti aspetti, appare anticipatrice proprio dello stile missionario
additato da papa Francesco in Evangelii gaudium: «Da te, Signore,
siamo chiamati ad andare leggeri, senza possessi, con una fede nuda,
essenziale. Questa fede ci rende semplici della tua grande semplicità.
Essa si acquista con il sacrificio di tutto quanto non sia il Regno dei
cieli. Allora quelli che ci incontreranno sul loro cammino tenderanno
le mani avide al tesoro che zampilla da noi: un tesoro liberato dai
nostri vasi di terra, dalle nostre valigie, dai nostri bagagli, un tesoro
semplicemente divino. Allora noi saremo agili e diventeremo a nostra
volta delle parabole che donano a tutti la perla preziosa, la vita vera».
La Delbrêl approda a una forma di testimonianza missionaria nuova, radicale e convincente, precisamente perché non si accontenta delle “strutture che ci danno una falsa protezione” o delle “abitudini in
cui ci sentiamo tranquilli” di cui parla il Papa attuale: lei stessa, per
prima, aveva avuto bisogno di abbracciare una “fede nuda”, senza gli
orpelli di una tradizione ormai inerte, ma vera e solida perché personale, “plasmata dal Vangelo” e saggiata nel crogiuolo della scristianizzazione.
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Ecco come lei stessa parla del suo cammino spirituale: «La conversione accade in un giorno decisivo che ci distoglie da ciò che sappiamo
della nostra vita, perché, faccia a faccia con Dio, Dio ci dica quello che
ne pensa e quello che ne vuol fare. In quel momento Dio diventa per
noi estremamente importante, più di ogni cosa, più di ogni vita, anche
e soprattutto della nostra. Senza questo primato estremo, accecante,
di un Dio vivo, Risorto, di un Dio che ci interpella, che propone la Sua
volontà al nostro cuore, non vi è fede viva. Ma se l’Incontro è l’illuminazione di tutto il nostro essere da parte di Dio, questa illuminazione,
per essere pienamente vera, deve essere pienamente oscura. Avere una
fede viva è essere accecati da essa, perché essa possa guidarci in tutti
i nostri giorni».
Ma come è approdata all’incontro con Cristo questa donna che,
come detto, fin da giovanissima pareva aver decretato l’assenza di
Dio? Nel 1923 si era innamorata di un giovane, Jean Maydieu, che
di lì a poco tempo entrerà nei domenicani. Il 29 marzo 1924 è la data
del suo incontro «abbagliante» (parole sue) con Dio. «Leggendo e
riflettendo ho trovato Dio; ma è pregando che ho creduto che Dio mi
aveva trovata e che Egli è la verità vivente, e che lo si può amare come
si ama una persona». Un contributo decisivo, in questa vicenda, lo
dà l’incontro di Madeleine con dei coetanei cristiani, i quali – si legge
nella biografia di Mann – «non erano né più vecchi, né più stupidi, né
più idealisti di me. Essi vivevano la mia stessa vita. Discutevano come
facevo io e ballavano come me. Avevano al loro attivo diverse qualità.
Lavoravano più di me, avevano una formazione scientifica e tecnica
che io non avevo… E si trovavano molto a loro agio in tutta la sfera
del reale. Parlavano di tutto, ma anche di Dio che per loro sembrava
indispensabile come l’aria. Cristo avrebbero potuto invitarlo a sedersi,
non sarebbe sembrato più vivo».
La passione per il reale e l’amicizia si rivelano “armi di seduzione”
efficaci: le stesse che la Delbrêl, una volta tornata credente appassionata, userà per testimoniare il Vangelo nel suo ambiente. Convinta che
non esista fede che non sia contagiosa, diventerà “missionaria senza
battello” (parafrasando una sua celebre espressione), andando a vivere, insieme con altre compagne, nel cuore di Ivry, periferia operaia di
Parigi: una città lontana da Dio e intrisa di marxismo, dove annuncerà
il Vangelo in una forma tanto disarmata e povera in termini di strutture, quanto convincente ed efficace quanto a radicalità.
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fraternità missionaria
Così la stessa Delbrêl presentava la sua fraternità: «Il nostro gruppo
non è legato ad alcuna organizzazione. Non prevede voti né promesse
ufficiali. È la vita comune, molto intensa, a segnarne nettamente la
nascita e a rendere in qualche maniera “pubblico” il suo impegno.
Coloro che ne fanno parte praticano i tre consigli evangelici. […] Lo
scopo è unirsi il più possibile a Cristo in pieno mondo, imitare la sua
vita, obbedire al suo Vangelo e trasmetterlo».
A Ivry, Madeleine e le sue compagne danno vita a una presenza
piccola ma che, col tempo, diventerà molto significativa: rue Raspaill
11, la sede della fraternità, ancor oggi è un luogo carico di memoria.
Lì la Delbrêl percepisce che per raggiungere i lontani del suo tempo
occorreva osare strade nuove. “Uscire”, appunto. E non solo fisicamente. «In un contesto simile», scrive Enzo Bianchi nell’introduzione
al volume Abbagliata da Dio, «appare evidente che i modelli di santità riconosciuta – il martirio, il monachesimo, la diaconia – risultano
afoni di fronte alla “gente della strada”, la gente che conduce una vita
quotidiana umile, oscura, anonima. L’uomo di oggi crede più ai testimoni che ai maestri, si fida più dell’esperienza che della dottrina, più
del vissuto che delle teorie. Madeleine intuisce tutto questo e pone, in
tutta semplicità, senza troppe teorizzazioni, un nuovo modo di annuncio del Vangelo, basato su una dimensione “domestica”, testimoniale
della fede: una forma di presenza cristiana fraterna, seminale, lontana
da ogni sforzo di aggregazione come da ogni tentazione di isolamento.
Né “fuga dal mondo” né costruzione di strutture che si pretendono
cristiane, visibilmente imponenti nel contesto della vita sociale».
Ed è proprio a Ivry che la Delbrêl prende coscienza dell’esigenza di
“immergersi” totalmente nella realtà del mondo, per quanto scomoda
sia. «Il Cristo, del quale [il cristiano] vive», annota, «non gli fornisce
delle ali per evadere verso il cielo, bensì un peso che lo trascina verso il più profondo della terra. Questa vocazione verso il mondo, che
sembra essere, in modo particolare, il dato essenziale della vocazione
missionaria, non è che la conseguenza dell’essere stati noi stessi conquistati dal Cristo».
Madeleine avverte – insomma – tutta l’urgenza della missione, ma
è perfettamente consapevole che il vino nuovo va versato in otri nuovi. Scrive in Missionari senza battello, riferendosi alla Francia del suo
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tempo: «Un giorno, questo Paese dirà, anch’esso, “Dio è morto”. E
noi lo avremo ben lasciato morire. Forse perché non avremo visto
nella Francia “una terra di missione”, non avremo pensato di partire come missionari nella nostra terra: chi nei campi, chi nel proprio
villaggio, chi nel proprio quartiere. Le comunità umane attendevano
i loro apostoli: quegli apostoli eravamo noi e invece noi abbiamo pensato che potessero essere altri».
Gerolamo Fazzini
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Il
martirio del quotidiano
Nell’inventare una nuova forma di presenza cristiana in ambiente
urbano Madeleine, per quanto paradossale possa sembrare, va a
scuola da un missionario che aveva scelto il deserto come teatro
della sua testimonianza: quel Charles de Foucauld cui si ispireranno molti dei tentativi, negli anni del Concilio (ma anche prima), di
nuova missionarietà. Il motivo lo spiega la stessa Madeleine in uno
scritto dal titolo Perché amiamo il padre de Foucauld: «Egli c’insegna che, a fianco dei necessari apostolati, in cui l’apostolo deve
rivestirsi dell’ambiente che vuole evangelizzare e quasi sposarlo,
esiste un altro apostolato che chiede una semplificazione di tutto
l’essere, un rifiuto di tutto quanto si è acquisito precedentemente, di tutto il nostro “io sociale”, una povertà un po’ vertiginosa.
Questo genere di povertà evangelica o apostolica rende profondamente agili per raggiungere, su un qualsiasi terreno, qualunque
nostro fratello, senza che nessun bagaglio innato o acquisito c’impedisca di correre verso di lui. Accanto all’apostolato specializzato
pone il problema del “tutto a tutti”».
Alla scuola di de Foucauld, che finirà martire la sua vita, anziché
il martirio “classico”, in odium fidei, la Delbrêl di fatto propone un
“martirio bianco”, ossia la decisione di giocare tutta se stessa nel quotidiano, in nome del Vangelo: una proposta di santità feriale, umile,
discreta ma estremamente eloquente, alla portata di tutti. Può così
scrivere ne L’estasi delle tue volontà: «Il gomitolo di cotone da rammendare, la lettera da scrivere, il bambino da alzare, il marito da rasserenare, la porta da aprire, il microfono da staccare, l’emicrania da
sopportare: altrettanti trampolini per l’estasi, altrettanti ponti per passare dalla nostra povera, dalla nostra cattiva volontà alla riva serena
del tuo beneplacito».
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donna di frontiera
La scelta di Madeleine, insomma, è quella di vivere in frontiera – interessante osservare che questa parola torna nei titoli di due biografie
dedicate alla Delbrêl: Edi Natali, Madeleine Delbrêl: una Chiesa di
frontiera e Charles F. Mann, Madeleine Delbrêl, una vita senza frontiere; mentre l’ultima biografia in italiano è di Bernard Pitaud e Gilles
Francois, Madeleine Delbrêl. Biografia di una mistica tra poesia e impegno sociale – in tutti i sensi: sia fisicamente, in quanto inserita in un
contesto sociale periferico e sfidante da molti punti di vista, sia in senso metaforico, perché, nella sua ricerca di una forma cristiana sempre
più pura e aderente ai tempi, si è posta in quel territorio di ricerca del
nuovo e del non ancora esplorato tipico dei pionieri e dei profeti.
Qualche esempio? Pochi anni dopo la sua conversione, Madeleine
raccoglie un piccolo gruppo di giovani donne, per la maggior parte
responsabili scout come lei, per riflettere insieme sulla Sacra Scrittura. «Lo fece», annota Charles Mann, «pur sapendo che nella Chiesa
cattolica di quel tempo le letture bibliche erano generalmente considerate appannaggio dei sacerdoti, per evitare che i laici dessero false interpretazioni. Rompendo dunque con le abitudini del tempo, il
gruppo si ritrovava ogni martedì nell’appartamento dei Delbrêl per
comprendere il senso della Parola di Dio nella loro vita». Interessante
osservare che più di una volta il padre di Madeleine si produsse in scenate davanti alla figlia e alle amiche in preghiera, accusandole di essere
bigotte, delle zitelle frustrate e via di questo passo. Sapeva di dire il
falso, perché tutto era Madeleine, tranne che una bigotta. Lei stessa
dice di sé: «Io mi diverto. Mi piace ballare fino a dimenticare dove
sono, mi piace viaggiare su un’automobile che corre velocissima, amo
i vestiti eleganti, i gioielli e le orchestre». Lucette Majorelle, un’amica di Madeleine, testimonia: «Ricordo che una volta avevamo ballato
fino alle prime ore del mattino e uscendo da là si era andati a Messa
tutti insieme, nella chiesa che si trovava lì accanto e, cosa che avevo
trovato strana, Maydieu [il giovane del quale Madeleine fu per un po’
di tempo innamorata, sino a che questi non si fece domenicano, NdR]
aveva fatto la comunione. Avevo detto alla mamma: “Che strana idea
fare la comunione dopo che si è ballato tutta la notte”».
Madeleine e le sue compagne partono per Ivry, la loro “frontiera”
missionaria, il 15 ottobre 1933. «La festa di santa Teresa d’Avila», ha
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commentato un biografo, «è stata scelta appositamente, perché è un
monastero nuovo quello che vanno a fondare: è una vita contemplativa nuova quella che le attende». Ivry, per la Delbrêl, è una terra
dove «regna Satana», come scrive a due mesi dal suo arrivo riecheggiando espressioni tipiche dei missionari dell’Ottocento inviate nelle
terre degli “infedeli”. Ma è proprio lì a Ivry che lei e le compagne
avvieranno un’esperienza di testimonianza della fede di straordinario
spessore evangelico, nel segno del dialogo e della condivisione. Convinta che «essere missionario è fare causa comune con la Chiesa perché raggiunga i confini della terra», Madeleine si spinge all’incontroconfronto anche con il mondo marxista; e a chi le rinfaccia tale scelta
controcorrente, lei (che, pure, dopo aver letto Lenin e la religione si
era convinta dell’inconciliabilità totale tra cristianesimo e marxismo)
risponde: «Mai Dio mi ha detto “Amerai il prossimo tuo come te stessa, eccetto i comunisti”».
Madeleine Delbrêl non poteva non coinvolgersi con le iniziative di
frontiera della Chiesa del suo tempo. All’inizio degli anni Quaranta
avvicina i promotori della Mission de France, l’iniziativa del cardinale
di Parigi per rispondere alla scristianizzazione del Paese; stringerà poi
una forte amicizia con Jacques Loew, uno dei più noti preti-operai,
autore di una preziosa biografia: Madeleine Delbrêl: dall’ateismo alla
mistica. Ad accomunare tutte queste esperienze è il tentativo di ridire
il cristianesimo incrociando le attese, le gioie e le speranze dell’uomo
del tempo. A costo di inventare nuove forme di testimonianza, quale – come nel caso della Delbrêl – l’essere contemplativi nelle strade.
Come recita uno stupendo e famosissimo brano: «C’è gente che Dio
prende e mette da parte. Ma ce n’è altra che egli lascia nella moltitudine, che non “ritira dal mondo”. È gente che fa un lavoro ordinario,
che ha una famiglia ordinaria o che vive un’ordinaria vita da celibe.
Gente che ha malattie ordinarie, e lutti ordinari. Gente che ha una
casa ordinaria e vestiti ordinari. È la gente della vita ordinaria. Gente
che s’incontra in una qualsiasi strada. Costoro amano il loro uscio che
si apre sulla via, come i loro fratelli invisibili al mondo amano la porta
che si è rinchiusa definitivamente sopra di essi. Noialtri, gente della
strada, crediamo con tutte le nostre forze che questa strada, che questo mondo dove Dio ci ha messi è per noi il luogo della nostra santità.
Noi crediamo che niente di necessario ci manca. Perché se questo
necessario ci mancasse Dio ce lo avrebbe già dato».
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Una donna di frontiera, si diceva. Una donna capace di sfidare il
maschilismo (così radicato anche nella Chiesa del suo tempo) al punto
da scrivere – in La donna e la Chiesa, scritto nella solennità dell’Immacolata del 1953 – espressioni che la fanno apparire una femminista
convinta: «Chiediamo a Maria di non essere nella Chiesa delle specie
di suffragette eccitate, e nemmeno le ombre tremanti dei nostri fratelli uomini. Chiediamole di immettere nella famiglia dei figli di Dio
ciò che ci è proprio, rafforzato, dilatato, “smisurato” dalla grazia. [...]
Che noi siamo vere, conformi a ciò che Dio inventò quando volle creare la donna. [...] La Nave della Chiesa non ha finito il suo viaggio. Agli
uomini il ponte, lo scafo, gli alberi, ma per le vele, non c’è modo di
fare a meno di noi. Senza contare che essi hanno sempre voglia di motori e che il vento dello Spirito Santo non ha mai saputo che farsene».
Donna di frontiera Madeleine Delbrêl lo è stata perché cosciente
del suo profondo radicamento in Dio. Nel suo testamento spirituale
si legge un invito alle compagne che risuona come una sintesi del suo
impegno e, insieme, un monito alle generazioni cristiane di ogni tempo: «Siate fedeli all’appello personale di Dio su di voi nella Chiesa e
nel mondo; ma state ben attente a non cambiare l’ordine né a fare in
modo che essere di più nel mondo o essere di più nella Chiesa vi faccia
essere meno proprietà di Dio personalmente».
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