L`ultimo uomo sulla terra

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L`ultimo uomo sulla terra
L'ultimo uomo sulla terra - Massimo Fini
Chi mai avrebbe immaginato che quella magica notte in cui Armstrong giunse sulla Luna,
invece di celebrare il trionfo dell'individuo in realtà ne avrebbe segnato il declino?
Sì, è vero, l'abbiamo guardato tutti, in quella magica notte del 20 luglio 1969, l'approdo del
primo uomo sulla Luna. Io avevo 25 anni e mi trovavo a Viareggio, a spendere i miei pochi
giorni di ferie, morbosamente attratto dal “caso Lavorini” un ragazzino di dodici anni ucciso nella
pineta di Vecchiano, un delitto omosessuale.
Il principale imputato, Adolfo Meciani, massacrato dalla stampa, si era impiccato in carcere, con
un lenzuolo, pochi mesi dopo, il 24 maggio del 1969 (in seguito sarebbe risultato innocente).
Per solidarietà, e per curiosità, frequentavo i Bagni Anna, tenuti da sua moglie. Seguii quindi
l'avvicinamento dell'Apollo 11 alla Luna dal bar di questi Bagni, gremito fino all'inverosimile da
uomini, donne, vecchi, ragazzi, da famiglie intere che tenevano i bambini addormentati in
braccio.
La tv in Italia c’era da appena 15 anni e gli alberghi, almeno quelli che potevo permettermi io,
non avevano, come oggi tutti, il televisore in camera. Eppoi quello era un avvenimento da vivere
assieme agli altri. La Tv aveva ancora una funzione ag- gregante, non disgregante, una droga
da assumere solipsistica- mente ognuno chiuso nella propria camera.
Si,è vero, lo abbiamo seguito tutti quell'evento (un vero “evento”, non un concerto di Zucchero)
con trepidazione e quell'eterna illusione che accompagna sempre l’uomo, indispensabile a
nascondergli la tra- gicità dell'esistenza. Una prima incrinatura, quasi uno stridore, si avvertì
quando Neil Ar- mstrong, messo piede sulla Luna, pronunciò la famosa frase: "Questo è un
piccolo passo per un uomo ma un grande passo per l'umanità”.
Ma come, tu sei sulla Luna, vedi la Terra da lì e le stelle e l'Universo come nessun uomo le ha
mai viste, devi essere preda di un'emozione violentissima, e te ne esci con una simile
stronzata?
Si sarebbe saputo in seguito che gliela aveva dettata l'Ufficio stampa della Nasa.
E la cosa non era priva di significato.
Quella magica notte d'estate del 1969 non era un inizio, ma una fine. Non era un'entrata, ma
un’uscita. Dai favolosi Sixties in cui noi ragazzi europei, grazie al vento che soffiava
dall’Inghilterra, con Mary Quant, la minigonna, i Beatles, conoscevamo, per la prima volta, dopo
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un paio di secoli di pruderie borghese, la libertà sessuale. Ma con una curiosità ingenua,
lontana dall'ossessione erotica dei nostri giorni. Per me c’è un'immagine che fotografa
emblematicamente l’innocente malizia degli anni Sessanta: Laurent Terzieff (Peccatori in Blue
jeans), in piedi, a torso nudo, glabro, con l'acqua del mare che gli arriva fino alle ginocchia dei
jeans, mentre porta a cavalcioni, sul collo, come una bimba, una Brigitte Bardot solare,
anch'essa in jeans e T-shirt bianca.
Noi ragazzi giravamo l'Europa in autostop, gli automobilisti ci caricavano senza problemi, la
droga era di là da venire e non c'era il rischio di pren- dersi una coltellata a tradimento. La
macchina stava diventando un mezzo di trasporto di massa ("c'ho giù la Giulia", "da casello a
casello"), scoprivamo il benessere senza conoscerne anco- ra le insidie. Entravamo nei
supermercati e, come a Pinocchio non ancora diventato Lucignolo, ci pareva di essere nel
Paese di Bengodi. Sperimentavamo il benessere ma, adulti o ragazzi, eravamo ancora
sufficientemente naïf per non viverlo in modo volgare, ma con l'occhio stupito dei bimbi.
In realtà quella magica notte dell'estate del 1969 significò, simbolicamente e concretamente, la
perdita dell'innocenza e segnò la fine dell'individuo. Proprio mentre ne celebravamo il trionfo, l'
avventura dell'Apollo 11 distruggeva la figura dell'individuo, dell'eroe solitario, di Lindberg che
trasvolò da solo l'oceano, di Galileo che, solo con l'aiuto del suo cannocchiale, oltre che delle
teorie dì Copernico, capovolse il mondo, di Cristoforo Colombo che con tre Caravelle, poco più
che delle barche, partì per l'ignoto.
Dietro Neil Armstrong c'era un’organizzazione formidabile, una tecnologia sofisticatissima, un
lavoro d'équipe che relegava l'uomo, il singolo, benché illuminato dai riflettori, a un ruolo
marginale e lo rendeva, di fatto, sostituibile. Un automa.
E di lì a poco, la tecnologia e l'economia ci avrebbero resi sudditi di processi su cui nulla
possiamo e che nemmeno conosciamo. Ma in quella calda estate del 1969 non pensavo a
queste cose. Avevo 25 anni e pensavo di avere, come Neil Armstrong, l'Universo ai miei piedi.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 25 agosto 2012
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