IL CONTENZIOSO BANCARIO E DEGLI INTERMEDIARI FINANZIARI

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IL CONTENZIOSO BANCARIO E DEGLI INTERMEDIARI FINANZIARI
Consiglio Superiore della Magistratura - 9° Commissione – Tirocinio e Formazione Professionale
Incontro di studio in materia civile riservato ai magistrati nominati con D.M. 2/10/2009.
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CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA
9 MARZO 2011
Incontro di studio in materia civile
riservato ai magistrati nominati con
D.M. 2/10/2009 destinati a svolgere
funzioni civili, promiscue, lavoristiche e
giudici del lavoro
IL CONTENZIOSO BANCARIO E
DEGLI INTERMEDIARI
FINANZIARI
* Pasquale Serrao d’Aquino
Giudice del Tribunale
di Napoli
1
Il contenzioso bancario e degli intermediari finanziari
Pasquale Serrao d’Aquino
Consiglio Superiore della Magistratura - 9° Commissione – Tirocinio e Formazione Professionale
Incontro di studio in materia civile riservato ai magistrati nominati con D.M. 2/10/2009.
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IL CONTENZIOSO BANCARIO E DEGLI
INTERMEDIARI FINANZIARI*
4. Prescrizione. 4.1 Termine. 4.2
Tesi della decorrenza dalla singola
operazione. 4.3. La decorrenza dalla
chiusura del conto. 4.4. La tesi mista di
Cass. 2.12.2010 n. 44418. 4.5. Aspetti
problematici del milleproroghe.
PARTE PRIMA – IL CONTENZIOSO BANCARIO
Sezione Prima
5. Pattuizione scritta degli interessi e
rinvio agli usi su piazza. 5.1. Contratto
stipulato in data anteriore legge sulla
trasparenza bancaria. 5.2. L’art. 117 e
la individuazione delle <operazioni
attive e delle operazioni passive>. 5.3.
Il momento di determinazione del tasso
BOT.
6. Anatocismo e capitalizzazione
trimestrale. 6.1. Le modalità di
adeguamento
alla
delibera
CICR.
6.2.Capitalizzazione annuale o nessuna
capitalizzazione.
7.
Commissione
di
massimo
scoperto.7.1. Profili causali 7.1.2. La
tesi della nullità della c.m.s. 7.1.3. La
tesi della validità della c.m.s. 7.1.4. La
tesi della validità solo in relazione allo
scoperto di conto. 7.1.5. Validità solo
della commissione di affidamento.
7.2.La normativa del 2009. 7.3.
Commissione di massimo scoperto e
tasso usurario.
8. Interessi usurari. 8.1. Usurarietà
originaria e ius variandi. 8.2. Tasso
soglia e clausole impositive di oneri
passivi invalide. 8.3. Usura ed interessi
di mora.
LA TUTELA GIUDIZIALE CONTRO LE
SEGNALAZIONI ILLEGITTIME INERENTI IL
MERITO CREDITIZIO.
1. Le segnalazioni sul merito
creditizio.
2. Pubblicazione del protesto. 2.1
Ammissibilità della tutela cautelare.
2.2. Sospensione o cancellazione del
protesto? 2.3. Legittimazione passiva
della Camera di Commercio. 2.4.
Cancellazione del protesto dei titoli
cambiari, o anche degli assegni?
3.
La
Centrale
di
Allarme
interbancaria.
3.1.
Legittimazione
passiva.
4. Centrale dei rischi. 4.1. La
segnalazione
di
crediti
<<a
sofferenza>>. 4.2. Informazione del
cliente. 4.3. I crediti litigiosi. 4.4. I
rimedi esperibili dal cliente. 4.5. La
decisione
giurisdizionale.
4.6.
La
legittimazione passiva della Banca
d’Italia.
5. La tutela di merito. 5.1. I diritti
lesi dalle segnalazioni illegittime e la
natura del danno. 5.2. La risarciblità del
danno.
6. Sintesi delle segnalazioni sul
merito creditizio.
SEZIONE TERZA
ESTRATTI CONTO
CREDITO
E
PROVA
DEL
SEZIONE SECONDA
QUESTIONI ATTUALI IN TEMA DI
ANATOCISMO, USURA E COMMISSIONE DI
MASSIMO SCOPERTO.
1. Il diritto sostanziale del cliente.
2. Il Decreto ingiuntivo di consegna
della documentazione bancaria.
3. La tutela sommaria del diritto alla
consegna della documentazione.
4. Mancata conservazione della
documentazione anteriore al decennio.
1. Approvazione del conto.
2. Onere di contestazione specifica.
3. Obbligazione naturale.
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5. L’ordine di esibizione ex art. 210
c.p.c. 5.1. La tesi positiva. 5.2. La tesi
negativa.
5.3.
La
tesi
della
pregiudizialità della richiesta ex art.
119 t.u.b.
6. Il contenuto della richiesta.
7. Ammissione implicita del diritto.
8.
Persistenza
dell’obbligo
di
consegna allo scioglimento o successione
nel rapporto.
9. Ammissibilità della domanda ex
art. 696 bic c.p.c.
10.
L’incompletezza
della
documentazione ed il cd. saldo zero.
10.1. Mancanza totale degli estratti
conto. 10.2. Mancanza degli estratti
conto iniziali. 10.3. Mancanza degli
estratti intermedi.11. Saldo del conto
ultradecennale.
PARTE SECONDA – IL
INTERMEDIARI FINANZIARI
CONTENZIOSO
7.6. le conseguenze dei vizi di forma e
di contenuto dei contratti relativi a
prodotti strutturati? - 7.7. Il diritto di
recesso all'investitore nei contratti My
way e 4you? - 7.7.1. È previsto un
corrispettivo per il diritto di recesso del
cliente? - 7.7.2. Le indicazioni del
diritto di recesso. - 7.8. la prova
testimoniale del funzionario che ha
promosso
l'investimento
per
l'intermediario. 7.8 Polizze linked. 7.8.
Polizze linked .7.8.1. Vessatorietà della
clausola di devoluzione del cliente del
rischio
di
insolvenza
dell’emittente.7.8.2. Buona fede nelle
trattative
e
nell’esecuzione
del
contratto. 7.8.3. Violazione degli
obblighi informativi. 7.8.4. Diritti dei
consumatori.7.8.5. Pignorabilità delle
polizze linked.
SEZIONE SECONDA
DEGLI
GLI SWAPS
SEZIONE PRIMA.
1. Gli Swaps.
2. Obblighi di informazione legati agli
strumenti derivati. 2.1. Gli obblighi
previsti dal regolamento intermediari n.
11522./98.
2.2.
Gli
obblighi
di
informazione collegati ai derivati dopo la
Mifid. 2.3. Classificazione del cliente ed
esonero da obblighi informativi: operatori
e
controparti
<<qualificate>>.2.3.1.L’operatore
qualificato prima della Mifid. 2.3.2. Clienti
al
dettaglio,
clienti
professionali,
controparte qualificata nella Mifid.
2.3.2.1. Modifica della classificazione.
2.4.L’obbligo
di
informazione
sull’andamento del derivato.
3. Meritevolezza dello scopo perseguito.
4. Swaps e ristrutturazione del debito
pubblico
degli
enti
locali.
5.
Provvedimenti cautelari in materia di
derivati.
I PRODOTTI STRUTTURATI
1. Premessa.
2.
I
casi
affrontati
dalla
giurisprudenza di merito.
3. l'operazione «BTP del Salento».
4. Si tratta di contratti validi?
5. È nullo solo l'accordo negoziale
relativo alla parte strutturata, oppure è
nulla l'intera operazione?
6. I contratti «My way» e «4you».
7. Le criticità di questi prodotti 7.1. Si applicano ai prodotti strutturati
le norme in materia di intermediazione
finanziaria e le norme bancarie? - 7.3.
Annullabilità per vizi della volontà - 7.4.
Il controllo di meritevolezza dei
contratti «My way» e «4you» - 7.4.1. È
possibile, quindi, un controllo sulla
corretta costruzione del sinallagma nei
contratti finanziari strutturati? - 7.5.
L'oggetto del contratto è determinato? 7.5.1. Deve essere indicato il TAEG? -
PARTE TERZA. PROVVEDIMENTI
INTERESSE.
GIUDIZIARI DI
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1. Segnalazioni alla Centrale dei rischi.
2. Ammissibilità della tutela cautelare in
caso di uso illegittimo di assegno in
bianco a scopo di garanzia.
3. Commissione di massimo scoperto ed
usura.
4.
Domanda
di
cancellazione
o
sospensione di protesto.
5. Decreto ingiuntivo di consegna della
documentazione bancaria.
6.Annullamento di addebito in conto
corrente per nullità del derivato.
7.Ammissibilità della tutela cautelare in
caso di uso illegittimo di assegno in
bianco a scopo di garanzia.
8. Quesiti al CTU su usura ed
anatocismo.
* Parti della relazione sono stati tratti e
sviluppati dai seguenti articoli:
SERRAO
D’AQUINO,
L’illegittima
segnalazione dei crediti «a sofferenza»
alla centrale dei rischi: analisi critica
degli
orientamenti
giurisprudenziali,
Giur. merito, n. 3 del 2010.
SERRAO D’AQUINO Aspetti controversi del
contenzioso sui prodotti della finanza
strutturata, Giur. merito, n. 12 del 2010.
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PARTE PRIMA – IL CONTENZIOSO BANCARIO
1. Le segnalazioni
creditizio.
“merito”
I rapporti bancari non solo comportano
doveri di informazione interni al rapporto
banca-cliente,
ma
anche
obblighi
informativi esterni che, in sostanza,
riguardano tutti il merito creditizio (1) del
cliente: protesto di titoli, segnalazioni
alla Centrale di Allarme interbancaria,
segnalazioni
alla
Centrale
Rischi.
L’inadempimento del cliente, quindi,
determina l’attivazione degli obblighi di
segnalazione che, se eseguiti in modo non
puntuale, può determinare sia una
responsabilità nei confronti del cliente sia
una responsabilità verso i destinatari delle
informazioni omesse o inesatte tra cui, in
primis, gli altri operatori finanziari.
Poiché la perdita della reputazione
commerciale comporta ordinariamente
danni non completamente risarcibili con
equivalente pecuniario, vi è un frequente
ricorso
alla
tutela
cautelare
per
paralizzare o rettificare segnalazioni
errate.
Al giudice, quindi, è devoluto il
compito di verificare l’esistenza dei
presupposti della comunicazione, il
rispetto delle regole processuali esplicite
o desumibili dal sistema, l’integrità del
contraddittorio,
la
correttezza
del
petitum cautelare.
Le questioni controverse sono diverse
a seconda dei diversi istituti di
segnalazione, ma vi è un progressivo
allineamento verso l’introduzione di
doveri informativi verso il cliente.
Coloro che praticano l’usura, non
sorgeranno [dalle tombe] se non come
sorge chi, colpito da Satana, sia stato
reso pazzo da lui. E questo perché dicono:
“Il commercio è come l’usura!”, mentre
Allah ha permesso il commercio e ha
proibito l’usura. Ora, a chi giunge un
monito dal proprio Signore e desiste [dal
praticare l’usura], a lui appartiene ciò
che è passato e il suo caso dipende da
Allah. [Ma] quelli che ritornano [a
praticare l’usura], ebbene, essi sono la
gente del fuoco [dell’Inferno], nel quale
rimarranno in eterno.
(Corano, Sura al-Baqara: 275)
Sezione Prima
La tutela giudiziale contro
segnalazioni illegittime inerenti
“merito” creditizio.
sul
le
il
1. LE SEGNALAZIONI SUL MERITO CREDITIZIO. 2.
PUBBLICAZIONE DEL PROTESTO. 2.1 AMMISSIBILITÀ
DELLA TUTELA CAUTELARE. 2.2. SOSPENSIONE O
CANCELLAZIONE
DEL
PROTESTO?
2.3.
LEGITTIMAZIONE PASSIVA DELLA CAMERA DI
COMMERCIO. 2.4. CANCELLAZIONE DEL PROTESTO
DEI TITOLI CAMBIARI, O ANCHE DEGLI ASSEGNI? 3.
LA CENTRALE DI ALLARME INTERBANCARIA. 3.1.
LEGITTIMAZIONE PASSIVA. 4. CENTRALE DEI RISCHI.
4.1. LA SEGNALAZIONE DI CREDITI <<A
SOFFERENZA>>. 4.2. INFORMAZIONE DEL CLIENTE.
4.3. I CREDITI LITIGIOSI. 4.4. I RIMEDI ESPERIBILI
DAL CLIENTE. 4.5. LA DECISIONE GIURISDIZIONALE.
4.6. LA LEGITTIMAZIONE PASSIVA DELLA BANCA
D’ITALIA. 5. LA TUTELA DI MERITO. 5.1. I DIRITTI
2. Pubblicazione del protesto.
LESI DALLE SEGNALAZIONI ILLEGITTIME E LA NATURA
DEL DANNO. 5.2. LA RISARCIBLITÀ DEL DANNO. 6.
SINTESI DELLE SEGNALAZIONI SUL MERITO
CREDITIZIO.
(1) Al merito creditizio ora si riferiscono
espressamente gli artt. 124bis e s del Testo
unico bancario in materia di credito al
consumo, dopo le modifiche operate dal d.lgs.
141/2010.
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Il mancato pagamento di un titolo
comporta l’elevazione del protesto nei
confronti del soggetto emittente.
I pubblici ufficiali incaricati alla levata
del protesto alla fine di ogni mese devono
trasmettere alla Camera di Commercio
competente l'elenco dei protesti levati
durante il mese. La Legge n° 235/2000 e
il Decreto del Ministero delle Attività
Produttive N° 316/2000 hanno dato
attuazione al Registro Informatico dei
Protesti (generalmente definito Elenco
Protesti o Bollettino Ufficiale dei Protesti)
incaricando le Camere di Commercio della
pubblicazione ufficiale degli elenchi dei
protesti.
La
cancellazione
dal
Bollettino
Ufficiale dei Protesti, invece, può essere
ottenuta: per avvenuto pagamento del
titolo cambiario, per illegittimità od
erroneità del protesto oppure per
riabilitazione.
La legge n. 77 del 1955, come
successivamente modificata, prevede una
procedura amministrativa di cancellazione
con istanza al presidente della camera di
commercio competente per territorio:
• ad istanza del debitore in caso di
pagamento tardivo nei 12 mesi dal
protesto;
• da parte di chiunque vi abbia
interesse, se dimostri di aver subito levata
di
protesto,
al
proprio
nome,
illegittimamente od erroneamente;
• nonché
dai
pubblici
ufficiali
incaricati della levata del protesto o dalle
aziende di credito, quando si è proceduto
illegittimamente od erroneamente alla
levata del protesto.
Il responsabile dirigente dell'ufficio
protesti provvede non oltre il termine di
venti giorni dalla data di presentazione
della istanza; conseguentemente, dispone
la cancellazione richiesta, curando sotto
la
sua
personale
responsabilità
l'esecuzione del provvedimento, <<da
effettuare non oltre cinque giorni dalla
pronuncia dello stesso, mediante la
cancellazione definitiva dal registro dei
dati relativi al protesto, che si considera,
a tutti gli effetti, come mai avvenuto. In
caso contrario, decreta la reiezione
dell'istanza>> In tale caso o se non vi è
decisione sull’istanza presentata da parte
del responsabile dirigente dell'ufficio
protesti, entro il termine di cui al comma
3, l'interessato può ricorrere al giudice di
pace (art. 4).
2.1
Ammissibilità
cautelare.
della
tutela
Parte della dottrina e un settore della
stessa giurisprudenza di merito (Trib.
Udine 13 febbraio 2002; in termini, sia
pure implicitamente Trib. Napoli, 13
febbraio 2001, in Giur. Merito, 2001,I,
626) ritengono
che la ricorribilità
amministrativa avverso il protesto rende
non immediatamente formulabile con
ricorso ex art. 700 c.p.c. davanti al
giudice ordinario l'istanza di cancellazione
della pubblicazione di un protesto
illegittimo. Le ragioni risiederebbero sia
nel carattere necessariamente prodromico
della fase amministrativa sia nella
circostanza
che
un
provvedimento
cautelare
adottato
prima
della
presentazione dell'istanza al suddetto
dirigente responsabile della Camera di
commercio non risulterebbe strumentale
ad un giudizio di merito, assolutamente
eventuale, bensì alla decisione adottata
dall'organo amministrativo(Trib. Vallo
della Lucania, 17 maggio 2004).>>
Non sembra che possa essere condiviso
questo indirizzo. La tutela cautelare è
indirizzata ad assicurare l’effettività
dell’azione giudiziaria. Per tale motivo la
Corte Costituzionale (Sentenza del 30
novembre 2007, n. 403) ha dichiarato non
fondata la questione di incostituzionalità
del tentativo obbligatorio di conciliazione
previsto dall'art. 1 comma 11, della legge
31/7/1997, n. 249.>>(2), evidenziando
(2)
<<Censurato, in riferimento all'art. 24,
co., Cost., se esteso alla tutela cautelare,
affermando che tale << assunto risulta privo di
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come la Consulta abbia già riconosciuto,
sia pure incidentalmente, che per i
procedimenti cautelari, <<l'esclusione
dalla
soggezione
al
tentativo
di
conciliazione si correla alla stessa
strumentalità
della
giurisdizione
cautelare>> (sentenza n. 276 del 2000)
(3). <<La tutela cautelare, infatti, in
quanto
preordinata
ad
assicurare
l'effettività della tutela giurisdizionale, in
particolare a non lasciare vanificato
l'accertamento del diritto, è uno
strumento fondamentale e inerente a
qualsiasi sistema processuale.(4)
La
diversità
della
procedura
prodromica all’azione giudiziale (nel caso
di
specie
si
tratta
di
ricorso
amministrativo e non di tentativo di
conciliazione), non esclude che i principi
di effettività dell’azione giudiziale
abbiano la medesima valenza: il diritto ad
ottenere una tutela giudiziale immediata
ed effettiva della situazione giuridica
violata non può essere condizionata
dall’ammissibilità
del
ricorso
amministrativo. Quest’ultimo, quindi, non
è condizione di ammissibilità della tutela
cautelare (5).
2.2. Sospensione o cancellazione del
protesto?
La pronuncia cautelare va ristretta alla
sola sospensione del protesto, con
esclusione
della
cancellazione.
Quest’ultimo, infatti, è provvedimento
sostanzialmente
definitivo
che
comporterebbe una successiva iscrizione
del protesto in caso di inefficacia o revoca
del
provvedimento
cautelare;
il
provvedimento cautelare esaurirebbe la
tutela conseguibile attraverso il giudizio
di merito, con problematiche in parte
assimilabili – anche se ben più gravi –
assimilabili alla domanda di cancellazione
di altre iscrizioni (iscrizione di ipoteca,
per la quale però vi è un espresso
riferimento al giudicato, la trascrizione
della domanda giudiziale, cfr. in tal senso
anche Cass. 16 gennaio 1986, n. 251, in
Nuova giur. civ. comm., 1986, 483, e
secondo cui l'ordinanza che dispone la
cancellazione della trascrizione della
domanda è da considerarsi in netto
contrasto con il connotato più tipico dei
provvedimenti di urgenza ex art. 700,
quello che lo accomuna agli altri
provvedimenti cautelari dello stesso Capo
fondamento alla luce degli orientamenti
espressi dalla giurisprudenza costituzionale in
tema di tentativo obbligatorio di conciliazione e
di
tutela
cautelare.
Occorre,
infatti,
considerare che questa Corte ha affermato che
quanto stabilito dall'art. 412-bis del codice di
procedura civile, con riferimento alla disciplina
delle controversie di lavoro, secondo cui il
mancato espletamento del prescritto tentativo
di conciliazione non preclude la concessione di
provvedimenti cautelari, deve essere inteso nel
senso che <<un istituto di generale applicazione
in ogni controversia di lavoro (il tentativo
obbligatorio di conciliazione) si arresta in
presenza di un'istanza cautelare, prevalendo sulle altre perseguite dal legislatore - le
esigenze proprie della tutela cautelare>>
(sentenza n. 199 del 2003).
(3) <<rispetto alla effettività della tutela
dinanzi al giudice ripetutamente ribadita da
questa Corte (sentenza n. 336 del 1998; ma si
vedano anche le sentenze n. 199 del 2003, n.
165 del 2000, n. 161 del 2000, n. 190 del 1985 e
le ordinanze n. 179 del 2002, n. 217 del
2000).>>
(4) <<(sentenza n. 190 del 1985), anche
indipendentemente da una previsione espressa
(Corte di giustizia delle Comunità Europee,
sentenza del 19 giugno 1990, causa C-213/89,
Factortame). (…) si deve, quindi, interpretare
la predetta disposizione nel senso che il
mancato espletamento del prescritto tentativo
di conciliazione non preclude la concessione di
provvedimenti
cautelari.
Tale
opzione
interpretativa - obbedisce al principio, espresso
anche dalla giurisprudenza di legittimità,
secondo il quale le disposizioni che prevedono
condizioni di procedibilità, costituendo deroga
alla disciplina generale, devono
interpretate in senso non estensivo.>>
essere
(5) in questo senso vedi ordinanza del Tribunale
di Napoli, III Sezione Civile, 28 maggio 2010
allegata alla relazione.
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informatico, sia quest’ultima a dover
essere destinataria di un eventuale ordine
del giudice (da ultimo, Cass. Sez. Unite,
Sentenza n. 4464 del 25/02/2009 (Rv.
606666).
III, cioè la provvisorietà, e, producendo
effetti irreversibili, spezza quel legame di
strumentalità che il provvedimento di
urgenza deve avere con quello di
cognizione ordinaria e assume i caratteri
di un provvedimento abnorme).
La
cancellazione,
quindi,
è
provvedimento
demandabile
esclusivamente il giudizio di merito,
trattandosi di un facere che assume
carattere definitivo.
Non portano a conclusioni diverse le
modifiche intervenute in tema di giudizi
cautelari ed, in particolare, il fatto che il
provvedimento ex art. 700 c.p.c. non ha
più
un
carattere
necessariamente
provvisorio in quanto può essere
scollegato rispetto ad un successivo
giudizio di merito e, così come gli altri
provvedimenti cautelari, conserva la sua
efficacia in caso di estinzione del giudizio
di merito. Tali modifiche hanno fatto
discutere di una provvisorietà attenuata
del giudizio cautelare; tuttavia, mentre la
sentenza ha un’attitudine “naturale” a
divenire definitiva, contro la volontà della
parte soccombente qualora non venga
riformata (così come anche il decreto
ingiuntivo, che diviene definitivo anche
quando l’opposizione è rigettata) il nuovo
provvedimento cautelare anticipatorio
diviene definitivo solo se una delle parti
non inizia il giudizio di merito,
conservando, quindi, una provvisorietà
che viene a mancare solo eventualmente,
per effetto dell’inerzia delle parti e con
efficacia limitata a quel processo (la sua
autorità, infatti, non è invocabile in un
diverso processo.)
2.4. Cancellazione del protesto dei
titoli cambiari, o anche degli assegni?
Bisogna chiedersi se la procedura
amministrativa descritta si estenda anche
al caso degli assegni bancari.
L’art. 4, comma 1 della legge n. 77 del
1995, attuale formulazione, regolando la
cancellazione a seguito di pagamento
tardivo del capitale ed accessi, menziona
esclusivamente la cambiale ed il vaglia
cambiario e non l’assegno bancario.
Non vi è dubbio che tale norma non
trovi applicazione anche per l’assegno
bancario, così come chiarito anche dalla
Corte Costituzionale la quale, con la
sentenza di rigetto n. 70 del 2003 (poi
ribadita dall’ordinanza di inammissibilità
n. 84 del 2004), ha rimarcato la non
irragionevolezza dell’esclusione degli
assegni bancari da tale previsione.
Richiamando tali pronunce il Tribunale
di Nola, aderendo ad una indirizzo forse
prevalente, ha escluso l’applicabilità della
procedura di cui all’art. 4 alla
cancellazione
dell’assegno
illegittimamente protestato (ord. del
17.02.2006), così come era stata esclusa
da altri tribunali di merito (Tribunale di
Foggia, 5 febbraio 2004, in Giur. Merito,
2004, p. 914) e da parte della dottrina.
Sembra, al contrario, che possa
giungersi ad una diversa conclusione. Non
appare corretto estendere le conclusioni a
cui si può e si deve giungere in relazione
alla fattispecie di cui all’art. 4, comma 1
alla diversa ipotesi prevista dall’art. 4,
comma 2. Nel primo caso viene regolata
la cancellazione del protesto a seguito di
ovvero
del
ravvedimento
operoso,
pagamento tardivo del capitale e degli
accessori; nel secondo caso, invece, si
2.3. Legittimazione passiva della
Camera di Commercio.
Dalla
possibilità di esperire la
procedura di cui all’art. 4, comma 2 l. n.
77 del 1995 deriva la qualità di
legittimato passivo anche della C.C.II.AA.;
non appare revocabile in dubbio il fatto
che sia la C.C.II.AA. ad effettuare la
cancellazione del protesto dal registro
8
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___________________________________________________________________________________________________________
chiede la cancellazione del protesto
erroneo o illegittimo.
La Corte Costituzionale, come può
evincersi dalla sentenza e dall’ordinanza
citate, è stata chiamata, appunto, a
valutare una ritenuta disparità di
trattamento
tra
il
“ravvedimento
operoso” avente ad oggetto la cambiale o
il vaglia cambiario e quello avente ad
oggetto l’assegno, ritenendo infondata la
questione sulla base di una persistente
non omogeneità normativa e funzionale
tra assegno e cambiale. E’ sufficiente
mettere in evidenza che cosa ben diversa
è non onorare quanto previsto in uno
strumento di credito, quale la cambiale,
rispetto all’insolvenza di un assegno, che
costituisce,
invece,
strumento
di
pagamento e determina un affidamento
nel prenditore sull’esistenza dei fondi.
Come può evincersi da una lettura della
sentenza n. 70 del 2003, la Consulta
sofferma la sua analisi solo sul primo
comma dell’art. 4: è tale norma, nella
sua inapplicabilità all’assegno bancario,
ad essere sospettata di incostituzionalità
da parte dei giudici emittenti sulla base di
argomentazioni ritenute infondate da
parte del Giudice delle Leggi.
Con un esame attento dell’art. 4 può
notarsi come né il tenore letterale
dell’art. 4, comma 2, né il suo aspetto
funzionale consentono una perfetta
sovrapposizione delle due norme, e
questo per diverse ragioni. Innanzitutto, il
capoverso dell’art. 4, ed anche la
disciplina successiva, diversamente dal
comma 1, non effettuano un riferimento
alla cambiale ed al vaglia cambiario. Non
è senza rilievo, sul punto, che anche i
commi successivi dell’art. 4 nel regolare
la procedura applicabile tanto alle ipotesi
di cui al comma 1, quanto a quelle di cui
al comma 2, non contengano alcun
riferimento alla cambiale ed al pagherò
cambiario. E’ appena il caso di notare,
poi, che la legge n. 77 del 1955 è
denominata “Pubblicazione dei protesti
cambiari”, ma regola i protesti anche
degli
assegni
cambiari.
L’omessa
menzione degli assegni (come anche delle
cambiali), nel comma 2 dell’art. 4, anche
se non costituisce argomento decisivo per
ritenere la norma applicabile anche agli
assegni bancari, di certo non è dirimente
per
accedere
alla
tesi
opposta.
Quest’ultimo rilievo, poi, contribuisce a
negare qualsiasi rilevanza al fatto che
l’allegato all’art. 4 contenente un
modello di richiesta di cancellazione dal
registro informatico dei protesti contiene
il riferimento ai titoli cambiari e non
anche agli assegni. Basta considerare che
molte Camere di Commercio forniscono
modelli per la cancellazione dei protesti
nei quali, nei casi di cui al comma 2 vi è
la generica indicazione di “titoli”.
Inoltre, a fronte di un’illegittimità o
erroneità nella levata del protesto, alcuna
differenza appare rivestire la qualità del
titolo di credito al quale esso fa
riferimento, non apparendo configurabile
alcuna rilevanza della diversità funzionale
tra cambiale ed assegno. Nel comma 1
non ci si duole dell’atto di protesto, ma si
chiede di cancellarne gli effetti per
effetto di un ravvedimento successivo; nel
secondo comma si chiede di ovviare ad un
errore del protesto stesso.
Di particolare importanza, ancora, è la
distinzione tra i soggetti legittimati
all’istanza: per il pagamento tardivo, il
solo debitore; per l’illegittimità o
erroneità del protesto, chiunque vi abbia
interesse, oltre che lo stesso pubblico
ufficiale che ha redatto il protesto. La
previsione appare logica, in quanto il
pagamento tardivo è atto del debitore
cambiario il quale, dopo l’adempimento,
chiede anche la cancellazione della
pubblicità negativa conseguente al
protesto del titolo. Nel secondo caso,
invece, può essere lo stesso pubblico
ufficiale che intende ovviare ad un
proprio errore; può trattarsi del debitore
danneggiato dall’errore; oppure può
anche trattarsi di un terzo (come nel caso
di specie ove l’ex socio accomandatario
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lamenta l’erroneo inserimento del suo
nominativo nell’atto di protesto).
In conclusione, un esame compiuto del
testo normativo induce a ritenere
applicabile la procedura di cui all’art.
4,comma 2 l. n. 77 del 1955 anche agli
assegni.
In caso di emissione di assegni senza
provvista, infatti, il mero pagamento
facciale del titolo con esclusione del
pagamento degli oneri accessori, così
come
non
esclude
l'avvio
del
procedimento
amministrativo
sanzionatorio, neppure è idoneo ad
impedire l'iscrizione del nominativo del
traente
nella
Centrale
d'Allarme
Interbancaria e la conseguente revoca di
ogni autorizzazione ad emettere assegni,
così come non esclude l'avvio del
procedimento
amministrativo.
sanzionatorio. (Tribunale
Tivoli, 16
novembre 2010, dejure.giuffre.it)
Se nei 60 giorni previsti non ha
provveduto al pagamento di quanto
dovuto il suo nominativo verrà segnalato
alla
C.A.I.(Centrale
Allarme
Interbancario)
un
archivio
informatizzato degli assegni bancari e
postali e delle carte di pagamento,
gestito dalla Banca d’Italia mediante
affidamento ad una società esterna - dove
rimarrà iscritto per sei mesi.
Decorsi i 6 mesi dall’iscrizione alla
Centrale di Allarme Interbancaria il
nominativo
viene
automaticamente
cancellato. Mentre per l’emissione di
assegni senza autorizzazione (firma non
conforme o soggetto interdetto) non è
possibile la sanatoria, nel caso di assegni
3. Centrale di Allarme Interbancaria.
Il d.lgs 30 dicembre 1999, n. 507,
emanato in attuazione della legge 25
giugno 1999, n. 205, ha modificato la
disciplina sanzionatoria relativa agli
assegni bancari e postali emessi senza
autorizzazione o senza provvista. La
riforma ha introdotto un sistema
sanzionatorio alternativo a quello penale,
che basa la propria efficacia sulla
disponibilità presso tutti gli intermediari
delle informazioni sul soggetto che ha
utilizzato in modo illecito lo strumento
dell’assegno e sull’applicazione di misure
di carattere interdittivo nei confronti
degli autori di tali comportamenti.
La legge n. 386 del 1990 prevede che
gli istituti di credito contestualmente al
protesto dell’assegno sono tenuti a dare
immediata comunicazione al protestato
tramite preavviso di revoca di firma (art.
9bis). Da quella data il soggetto
protestato ha 60 giorni di tempo dalla
data di scadenza della presentazione del
titolo, per effettuare il pagamento
dell’importo del titolo e degli ulteriori
oneri e spese (penale pari al 10%
dell’importo non pagato, interessi ed
eventuali spese di protesto).(6)
b) nel caso di difetto di provvista, quando è
decorso il termine stabilito dall'articolo 8 senza
che il traente abbia fornito la prova
dell'avvenuto pagamento, salvo quanto previsto
dall'articolo 9bis, comma 3.
3. L'iscrizione nell'archivio determina la revoca
di ogni autorizzazione ad emettere assegni. Una
nuova autorizzazione non può essere data prima
che sia trascorso il termine di sei mesi
dall'iscrizione del nominativo nell'archivio.
4. La revoca comporta il divieto, della durata di
sei mesi, per qualunque banca e ufficio postale
di stipulare nuove convenzioni di assegno con il
traente e di pagare gli assegni tratti dal
medesimo
dopo l'iscrizione nell'archivio, anche se emessi
nei limiti della provvista.
(6) Art. 9 legge 386 del 1990.
Revoca delle autorizzazioni:
1. In caso di mancato pagamento, in tutto o in
parte, di un assegno per mancanza di
autorizzazione o di provvista, il trattario iscrive
il nominativo del traente nell'archivio previsto
dall'articolo 10-bis.
2. L'iscrizione è effettuata:
a) nel caso di mancanza di autorizzazione,
entro il ventesimo giorno dalla presentazione al
pagamento del titolo;
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che non siano stati pagati per mancanza
di fondi le sanzioni amministrative e la
“revoca di sistema” possono essere
evitate dando prova del pagamento al
beneficiario dell’importo dell’assegno più
le spese e interessi.
Il procedimento di segnalazione alla
CAI non prevede, quindi, l’esclusione del
cliente, che deve essere informato e, nel
caso di mancanza di provvista ha la
possibilità di evitarla.
Il contenzioso giudiziario si appunta
spesso su tale aspetto.
L’art. 9-bis prevede che il preavviso di
revoca deve indicare che, scaduto il
termine di 60 giorni si procederà alla
segnalazione e che da tale data verrà
revocata l’autorizzazione ad emettere
assegni, con obbligo di restituire tutti i
moduli di assegno in suo possesso alle
banche e agli uffici postali che li hanno
rilasciati.
L’importanza dell’effettiva conoscenza
del preavviso, da un lato, e della spedita
effettuazione dello stesso, dall’altro,
comporta che all'atto della conclusione di
convenzioni di assegno, il cliente elegge
domicilio e che eventuali variazioni del
domicilio
eletto
debbono
essere
comunicate con dichiarazione presentata
direttamente alla banca o all'ufficio
postale, ovvero mediante telegramma o
lettera raccomandata con avviso di
ricevimento,
o
con
altro
mezzo
concordato dalle parti, di cui sia certa la
data di ricevimento. (art. 9-ter).
La
comunicazione,
quindi,
va
effettuata presso il domicilio eletto dal
traente entro il decimo giorno dalla
presentazione al pagamento del titolo,
mediante
telegramma
o
lettera
raccomandata con avviso di ricevimento,
ovvero con altro mezzo concordato tra le
parti di cui sia certa la data di spedizione
e quella di ricevimento. (7) E’ onere del
cliente comunicare eventuali variazioni di
domicilio con dichiarazione presentata
direttamente alla banca, ovvero mediante
telegramma o lettera raccomandata con
avviso di ricevimento, o con altro mezzo
concordato dalle parti, di cui sia certa la
data di ricevimento. (art. 9-ter). Ne
consegue che la comunicazione di
preavviso di revoca si ha per effettuata
ove consti l'impossibilità di eseguirla
presso il domicilio eletto.
Va prestata attenzione, però al fatto
che la comunicazione deve essere
perfezionata o impossibile in tale
domicilio, mentre se essa viene ricevuta
da persona diversa dal cliente e non
collegata allo stesso, non risulta
rispettata l’art. 9-ter, non essendovi né
prova
legale
della
ricezione,
né
dimostrazione del difetto di diligenza del
cliente nel comunicare la variazione di
domicilio (cfr. ordinanza del Tribunale di
Napoli, II Sezione del 28.5.2010 allegata).
Per
contro,
la
conseguenze
dell’inadempimento
dell’obbligo
di
segnalazione sono gravi per il trattario: ai
sensi dell’art. 10 della legge 386/1990, il
trattario che omette o ritarda l'iscrizione
nell'archivio della CAI, ovvero che
autorizza il rilascio di moduli di assegni in
favore di persona il cui nominativo risulta
iscritto nell'archivio, è obbligato in solido
con il traente a pagare gli assegni emessi
dallo stesso traente nel periodo in cui
avrebbe dovuto operare la revoca, anche
se manca o è insufficiente la provvista.
3.1. Legittimazione passiva.
Anche in vista di un giudizio
risarcitorio ed in conformità alle
disposizioni regolamentari citate appare
opportuno convenire nel giudizio la banca
segnalante. Ai sensi della legge 386 del
1990 titolare del trattamento dei dati è la
Banca d’Italia. Senonché l’ art. 5, comma
4 del Regolamento del Governatore della
(7) Anche in deroga a quanto stabilito
dall'articolo 9, comma 2, lettera b), l'iscrizione
del nominativo del traente nell'archivio non può
aver luogo se non sono decorsi almeno dieci
giorni dalla data
comunicazione.
di
ricevimento
della
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Banca d'Italia del 29 gennaio 2002 (8),
prevede, però che <<La cancellazione e
la rettifica dei dati dell'archivio sono
effettuate dall’ente che ha originato la
relativa segnalazione, anche su ordine
dell'autorita' giudiziaria o del garante per
la protezione dei dati personali. I
provvedimenti dell’autorita’ giudiziaria o
del garante che dispongono la sospensione
ovvero la cancellazione temporanea
dell’iscrizione, sono eseguiti dall’ente
che ha originato la segnalazione; in tal
caso, traccia della segnalazione, non piu’
consultabile e protetta in conformita’ ai
vigenti requisiti di sicurezza, viene
conservata al solo fine di consentire
l’eventuale
riattivazione
dell’iscrizione.>>
La
giurisprudenza
ha
pertanto
affermato che i poteri di segnalazione alla
Centrale
d’allarme
interbancaria,
connessi con la funzione pubblicistica
inerente al regolare funzionamento del
sistema dei pagamenti, sono attribuiti in
via esclusiva agli intermediari finanziari,
mentre la Banca d’Italia, per il tramite
del suo concessionario S.I.A. s.p.a, svolge
la mera attività di materiale tenuta
dell’archivio e di controllo formale dei
dati trasmessi. E’ pertanto ritenuta
fondata l’eccezione di difetto di
legittimazione passiva della Banca d’Italia
sollevata in un procedimento ex art. 700
c.p.c. volto a ottenere l’inibizione o la
cancellazione dell’iscrizione nella C.A.I.,
dovendo piuttosto l’eventuale ordine
essere impartito alla banca segnalante. (9)
Poiché, tuttavia, ai sensi dell’art. 10bis della legge n. 386 del 1990, il titolare
del trattamento dei dati resta la Banca
d’Italia, non può escludersi in via assoluta
che vi possa essere un errore di sistema o
che vi sia un inadempimento della banca
trattaria rispetto all’ordine dell’autorità.
Potrebbe sussistere in questi casi,
piuttosto remoti, una legittimazione
anche dell’ente centrale. Si rinvia alla
tematica dell’attuazione delle ordinanze
cautelari
avverso
segnalazioni
alla
Centrale rischi, che ha delle regole
secondarie specifiche, per tale profilo.
4. Segnalazioni alla Centrale dei
rischi.
La Banca d’Italia ha modificato la
Circolare in materia di Centrale dei rischi
(13° aggiornamento del 4° marzo 2010)
(10), tenendo conto degli sviluppi del
crescente contenzioso giurisdizionale, pur
senza intaccare l’architettura complessiva
del sistema.
Appare opportuno, quindi, analizzare il
sistema di segnalazione evidenziando, da
un lato, le conclusioni a cui è giunta la
giurisprudenza ed i diversi orientamenti,
dall’altro le novità della circolare, per poi
(10) La Centrale dei rischi è regolata dalle
Istruzioni della Banca d’Italia emanate in base
alla delibera del Comitato interministeriale per
il credito e il risparmio (CICR) del 29 marzo
1994, emanata ai sensi dell’art. 53, comma 1,
lett. b), del d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385
(Testo unico bancario, T.U.B.) il quale prevede
che la Banca d’Italia, in conformità alle
delibere del CICR, emani disposizioni generali
aventi ad oggetto il contenimento del rischio
nelle sue diverse configurazioni. Analoghe
disposizioni sono dettate dall’art. 67 del T.U.B.
per la vigilanza consolidata (comma 1, lett. b) e
per gli intermediari iscritti nell’elenco speciale
(comma II, lett. b). Si tratta delle Istruzioni per
gli intermediari creditizi relative alla Centrale
dei rischi emanate con circolare della Banca
d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991, e
successive modifiche.
(10) Cfr. Istruzioni della Banca d’Italia, Capitolo
I, Sezione I, § 1.5.
(8) In G.U. n. 27 del 1 febbraio 2002, come
modificato il 16 marzo 2005 (G.U. n. 69 del 24
marzo 2005).
(9) Tra le altre TRIBUNALE DI MANTOVA;
ordinanza 9 gennaio 2007, conf. TRIBUNALE DI
BARI; ordinanza 22 febbraio 2007; TRIBUNALE DI
MESSINA; ordinanza coll. 5 aprile 2007; TRIBUNALE DI MILANO; ordinanza 4 maggio
2007;TRIBUNALE DI ISERNIA; ordinanza 15
maggio 2007; TRIBUNALE DI BRESCIA, sez.
distaccata di Breno; ordinanza 14 giugno
2007;tutte su bancaditalia.it.
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indicare alcuni aspetti problematici della
segnalazione.
La Centrale dei rischi (11) è gestita
dalla Banca d’Italia ed accentra i dati
comunicati dagli intermediari creditizi e
finanziari in ordine agli affidamenti
concessi ai singoli clienti. Si tratta di <<un
sistema informativo sull’indebitamento
della clientela delle banche e degli
intermediari finanziari vigilati dalla Banca
d’Italia>> (12), nel quale gli intermediari
effettuano
diverse
tipologie
di
segnalazione collegate all’importo del
credito o alla peculiare condizione di
rischio (13) sia quando se ne verificano
inizialmente i presupposti sia quando vi è
un mutamento di status (14). La Centrale
restituisce agli stessi intermediari un
flusso di informazioni (flusso di ritorno
personalizzato), nel quale è contenuto il
quadro riassuntivo dei crediti del cliente
censiti, nonché dei soggetti coobbligati,
con indicazione dei rispettivi importi
globali accordati e utilizzati (c.d.
posizione globale di rischio) (15).
A questo flusso informativo si
accompagna
un
diverso
strumento
informativo, ovvero il servizio di prima
informazione, che consente alle banche di
ottenere dalla Centrale dei rischi, in tal
caso su istanza ed a pagamento, la
posizione globale di rischio di qualsiasi
soggetto censito, non solo quando abbia
fatto richiesta di credito, ma ogni qual
volta
sussistano
“finalità
connesse
all’attività di assunzione del rischio nelle
sue diverse configurazioni” (16).
(11) Il d.m. Min. ec. 22.09.2008 (in G.U. n. 228
del 29.9.2008), ha abrogato la cs. Centralina,
ovvero l’istituzione di un separato archivio per
la rilevazione dei rischi di importo contenuto
(cd. Centralina) e conseguentemente ne ha
revocato l’affidamento in gestione alla SIA; ha
disposto, inoltre, che nella Centrale dei rischi
della Banca d’Italia siano censiti anche i rischi
di importo contenuto in conformità alle
disposizioni dettate dal medesimo Istituto di
vigilanza.
la gestione del rischio di credito.>> Riguardo ai
limiti di censimento, <<gli intermediari sono
tenuti a segnalare l'intera esposizione nei
confronti del singolo cliente se, alla data cui si
riferisce la rilevazione,>> risultano operazioni
per oltre € 30.000 (accordato, utilizzato,
derivasti, factoring, cessione di credito,
garanzie), oppure
il cliente versa in una
condizione di sofferenza (Istruzioni, cap. II,
sez. 1, § 5.).
(15) <<Il flusso di ritorno contiene ulteriori
informazioni ritenute utili per la valutazione e
il controllo della rischiosità della clientela,
concernenti, tra l'altro, l'ammontare degli
sconfinamenti e dei margini disponibili calcolati
per ciascuna categoria di censimento e variabile
di classificazione, il numero degli intermediari
segnalanti e, in particolare, di quelli che
segnalano il soggetto a sofferenza, il numero
delle richieste di prima informazione pervenute
negli ultimi sei mesi e motivate dall'avvio di
un'istruttoria propedeutica all'instaurazione di
un rapporto di natura creditizia. Con
riferimento ai censiti segnalati, viene infine
evidenziato l'eventuale trascinamento dei dati.
Oltre alla posizione globale di rischio nei
confronti di tutti gli intermediari, viene
evidenziata, per ciascun soggetto segnalato, la
posizione globale di rischio nei confronti degli
intermediari finanziari e del gruppo creditizio di
appartenenza dell’intermediario segnalante>> .
(Istruzioni, cap. I, sez. 1, § 7.).
(16) Istruzioni, Cap. I, sez. 1, § 8.
(12) Le Istruzioni prevedono la partecipazione
obbligatoria alla Centrale dei rischi per: a) le
banche iscritte nell'albo di cui all'art. 13 del
T.U.B.; b) gli intermediari finanziari di cui
all’art. 106 del T.U., iscritti nell’albo
o
nell’elenco speciale (artt. 64 e 107 del
medesimo T.U.).
(13) In particolare, viene rilevato il passaggio
dei crediti a sofferenza, la ristrutturazione del
credito, nonché la regolarizzazione di posizioni
in precedenza segnalate a sofferenza o oggetto
di ristrutturazione, che devono essere
comunicate
entro tre
giorni lavorativi
(Istruzioni, Cap. I, Sez. II, § 7.)
(14) Ovvero i rapporti di credito e di garanzia
che il sistema creditizio intrattiene con la
propria clientela. In particolare, sono oggetto di
segnalazione: << i rapporti di affidamento per
cassa e di firma, le garanzie reali e personali
rilasciate agli intermediari in favore di soggetti
dagli stessi affidati, i derivati finanziari e altre
informazioni che forniscono elementi utili per
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Il servizio di centralizzazione dei
rischi, quindi, consente ai singoli
intermediari partecipanti di valutare la
capacità di rientro dei finanziamenti ed, a
livello generale, contribuisce a preservare
la stabilità del sistema creditizio dai rischi
derivanti dai fidi multipli (17).
Di certo, poiché sono le stesse
Istruzioni a prevedere testualmente
ipotesi ulteriori rispetto allo stato di
insolvenza vero e proprio, non possono
essere condivise le decisioni che, in tempi
non recenti, ravvisavano la sofferenza
esclusivamente nello stato di insolvenza
del cliente (21).
Secondo alcuni (22), accanto allo stato
di insolvenza, la norma
regola una
condizione
di
difficoltà
che
non
rappresenta un vero e proprio status
decoctionis, <<anche se comunque basata
su di una situazione economica del
debitore incerta e tale da evidenziare una
oggettiva difficoltà a far fronte alle
obbligazioni assunte>>.(23)
4.1. La segnalazione di crediti <<a
sofferenza>>.
Gli intermediari sono tenuti a
segnalare le esposizioni dei propri clienti
in sofferenza, indipendentemente dal loro
importo (18). Si tratta di un’attività di
carattere valutativo che, svolgendo la
Banca d’Italia un ruolo di pura gestione, è
rimessa all’intermediario segnalante, nel
quadro delle regole dettate dalla stessa
Autorità
di
vigilanza
e
dalla
giurisprudenza sia riguardo alle condizioni
della segnalazione sia con riguardo all’iter
procedimentale corretto da seguire per
effettuarla.
Le Istruzioni della Banca d’Italia
affermano che <<Nella categoria di
censimento sofferenze va ricondotta
l’intera esposizione per cassa nei
confronti di soggetti in stato di
insolvenza,
anche
non
accertato
giudizialmente,
o
in
situazioni
sostanzialmente equiparabili>>.(19)
Per definire lo stato di insolvenza si
richiama l’insolvenza regolata dall’art. 5
l.f. Non univoca, invece, è la definizione
delle <<situazioni equiparate>> (20).
(DOLMETTA, Il <<credito in sofferenza>> nelle
istruzioni di vigilanza sulla centrale dei rischi,
in Centrali dei Rischi Profili civilistici a cura di
Sciarrone Alibrandi, Milano 2005, pagg. 40-41).
(21) Tribunale Alessandria, ordinanza del 20
ottobre 2000, in Banca Borsa tit. cred. 2001, II,
571, con nota di Giusti. Va detto che la
pronuncia, essenzialmente, si riferisce a tale
condizione per affermare l’illegittimità della
segnalazione in presenza di un mero
inadempimento.
(22) STILO, La lesione della reputazione
commerciale del debitore e la rilevazione
centralizzata dei rischi creditizi, Relazione al
Corso
interdistrettuale
di
formazione
decentrata di Messina e Reggio Calabria su La
tutela del debitore, marzo 2006.
(23) L’indirizzo assolutamente maggioritario
ritiene equiparabile allo stato di insolvenza
<<un’obiettiva condizione di grave difficoltà nel
rientro>> (Tribunale di Cagliari, 25 ottobre
2000), uno <<stato oggettivo di difficoltà
finanziaria>> (Tribunale Napoli, 18 marzo 2005,
cit.; vedi anche Tribunale Milano, 17 marzo
2004, in Banca Borsa tit. cred. 2004, II, 528;
Tribunale Padova, 5 aprile 2004, in Giur. merito
2004, 2229; Tribunale Patti, 17 settembre 2004,
cit.; Tribunale Potenza, 30 giugno 2001, in
Giur. comm. 2003, II, 404, con nota di
Marchese; Tribunale Milano, 19 febbraio 2001,
in Giur. it. 2002, 334, con nota di Salinas (che
richiede anche una preventiva richiesta di
adempimento da parte della Banca segnalante);
Tribunale Alessandria, 20 ottobre 2000, in
Banca Borsa tit. cred. 2001, II, 571, con nota di
Giusti; Tribunale Roma, 5 agosto 1998, in Banca
(17) Cfr. le Istruzioni per gli intermediari
creditizi relative alla Centrale dei rischi
emanate con circolare della Banca d’Italia n.
139 dell’11 febbraio 1991, 11° aggiornamento
del 10 novembre 2008, cap. I, sez. 1, par. 2.
(18) Esclusi per ragioni di continuità con il
sistema precedente gli importi al disotto di €
250 ( Istruzioni, cap. II, sez. 1, § 5.).
(19) Cfr. Istruzioni, Capitolo I, Sezione I, § 1.5.
(20) La dottrina ha evidenziato, infatti, come
l’ordinamento conosca diverse nozioni di
sofferenza che mutano a seconda dei vari
contesti normativi, anche se le stesse hanno in
comune una situazione deficitaria del debitore
14
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Per trovare un riferimento normativo
ulteriore rispetto all’insolvenza si è fatto
ricorso alle norme sull’amministrazione
controllata (art. 187 l.f.), definendo le
<<situazioni equiparate>> come una
difficoltà economica temporanea, ma non
transitoria, e superabile (24). In termini
parzialmente diversi, molti Tribunali di
merito, hanno equiparato allo stato di
decozione <<una persistente instabilità
patrimoniale e finanziaria idonea ad
intralciare il recupero del credito da parte
dell’intermediario>> (25). Di recente, la
Corte di legittimità ha recepito la
descrizione dello <<stato di insolvenza e
(del)le situazioni equiparabili in termini di
valutazione negativa di una situazione
patrimoniale apprezzata come deficitaria,
ovvero, in buona sostanza, di grave (e non
transitoria) difficoltà economica, senza,
cioè,
fare
necessario
riferimento
all'insolvenza intesa quale situazione di
incapienza,
ovvero
di
definitiva
irrecuperabilità>>. (26)
Le stesse Istruzioni esplicitamente
indicano
che
<<l'appostazione
a
sofferenza implica una valutazione da
parte dell'intermediario della complessiva
situazione finanziaria del cliente e non
può scaturire automaticamente da un
mero
ritardo
di
quest'ultimo
nel
pagamento del debito.>> (27)
Si può certamente escludere, quindi,
che il ritardo nell’adempimento, possa da
solo giustificare la segnalazione alla
Centrale dei rischi, ma anche che
l’inadempimento di per sé possa portare
alle medesime conclusioni (28), come
giustamente ha indicato la giurisprudenza
di merito (29).
Borsa tit. cred. 1999, II, 453; Tribunale Roma,
10 marzo 1998, in Banca Borsa tit. cred. 1999,
II, 452; Tribunale Cagliari, 28 novembre 1995,
in Banca Borsa tit. cred. 1997, II, 353, 492).
(26) Corte di cassazione, I^ civile, sent. 1° aprile
2009 n. 7958.
(27) Cfr. Istruzioni, Capitolo I, Sezione II, § 1.5.
(28)
La
tesi
della
sufficienza
dell’inadempimento, anche definitivo porta al
paradosso della legittimità della segnalazione
anche per inadempimenti di scarsa rilevanza
per entità, come quello ritenuto insufficiente
per la segnalazione affrontato dal Tribunale di
Napoli del 18 marzo 2005, per presunta
posizione debitoria di circa 680 euro per spese
varie a fronte di un volume di affari di circa €
90.000. Per l’insufficienza del mero ritardo
nell’adempimento v. anche Trib. Salerno, Sez.
Dist. di Eboli 22 aprile 2002 la quale sottolinea
la
necessaria
onnicomprensività
della
valutazione stessa, alla luce <<sia del fatto
testuale che fa riferimento, nell’individuare i
presupposti per la segnalazione, non solo alla
situazione di insolvenza, ma anche ad altre
“situazioni equiparabili”, sia alle finalità della
norma, consistenti, tra l’altro, nell’apprestare
uno strumento diretto ad evitare che un
soggetto abbia un’esposizione complessiva nei
confronti
dell’intero
sistema
creditizio
eccessiva rispetto alla sua capacità economicofinanziaria>>.
(29) Trib. Napoli, Sezione Distaccata di
Frattamaggiore, ordinanza del 17 dicembre
2007, esclude che l’insolvenza possa essere
integrata da un mero rifiuto ad adempiere
espresso dal debitore. Il Tribunale di Parma del
21 settembre 2006 anche ha escluso la
(24)
MAIMERI,
Errata
segnalazione
a
<<sofferenza>> in Centrale dei rischi, in Dir.
banc. merc. fin., 2005, 92 ss.; Tribunale Roma,
5 agosto 1998, in Banca Borsa tit. cred. 1999, II,
453; Tribunale Alessandria, ordinanza del 20
ottobre 2000, in Banca Borsa tit. cred. 2001, II,
571; Tribunale di Roma, 5 agosto 1998
Tribunale Roma, 31 luglio 2001, inedita. Vedi
Tribunale di Potenza del 4 maggio 2001, il
quale, pur partendo dall’adesione alla tesi
secondo cui il punto di riferimento lo specifico
credito, riconosce la necessità di ancorarsi <<a
qualche elemento oggettivo” e conclude che
comunque per addivenire alla segnalazione la
banca non potrà “mai prescindere da un
adeguato e ponderato apprezzamento dello
stato di difficoltà economica e finanziaria del
cliente, le cui dimensioni rendano serio,
concreto
ed
attuale
il
pericolo
di
un’irrecuperabilità della prestazione>>.
(25) Tribunale di Napoli, XI° Sezione civile
(ordinanza del 19/12/2007); Tribunale di Paola–
Sezione Distaccata di Scalea ord. 20.04.2001; v.
Trib. Matera, 27/11/2005, in Giur. merito 2006,
2, 333; Trib. Napoli, 18/3/2005, in D&G Dir e
Gius. 2005, 18; Trib. Padova, 5/4/2004, in
Giur.merito 2004, 2229.
15
Il contenzioso bancario e degli intermediari finanziari
Pasquale Serrao d’Aquino
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Incontro di studio in materia civile riservato ai magistrati nominati con D.M. 2/10/2009.
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Un’analisi sistematica delle ipotesi di
segnalazione alla Centrale dei rischi porta
a
condividere,
anche
se
non
integralmente, la concezione della
<<sofferenza>> recentemente ribadita
dalla Corte di Cassazione.
Nelle Istruzioni della Banca d’Italia,
accanto alla nozione di sofferenza
ritroviamo anche le nozioni di incaglio
(30), di inadempimento persistente (31) e
di ristrutturazione del credito (32),
contenute tra le variabili di classificazione
dei rischi (33), che arricchiscono il
contenuto informativo della segnalazione.
(34)(35)
Le Istruzioni, infatti, indicano che la
variabile di classificazione stato del
rapporto, nell’ambito dei crediti per
cassa (rischi autoliquidanti, rischi a
scadenza e rischi a revoca), distingue gli
inadempimenti persistenti, le linee di
credito ristrutturate ed i clienti ad
incaglio, ovvero i clienti in temporanea
situazione di obiettiva difficoltà, che sia
prevedibile possa essere rimossa in un
congruo periodo di tempo (36). Tale
qualifica, <<in quanto relativa all’intera
posizione del cliente, deve essere indicata
su tutte le linee di credito>>.
Da tale disciplina si desume, quindi,
che, oltre la sofferenza, anche l’incaglio,
riguarda la situazione complessiva del
cliente e non il singolo credito,
diversamente dalle altre variabili di stato
sofferenza del ricorrente analizzando i dati di
bilancio. Nello specifico ha confrontato il
credito oggetto di segnalazione pari ad €.
168.632,64 (oggetto di contestazione) con i dati
dell'ultimo
bilancio
(l’utile
dell'esercizio
conseguito, la situazione debitoria a breve (pari
ad €. 9.472.875) e l'attivo circolante (pari ad €.
10.731.641), e le rimanenze (pari ad €.
8.107.721 per prodotti finiti) consistenti in
vetture presumibilmente vendibili ad un valore
almeno pari a quello di costo iscritto in
bilancio. Tale situazione finanziaria non è stata
considerata <<tale da integrare uno stato di
difficoltà economica in capo alla ricorrente
idoneo ad incidere sulla possibilità di recupero
del credito da parte della banca, quantomeno
rendendola consistentemente ardua>>. Per la
necessità di una valutazione complessiva si è
espresso anche il Tribunale di Roma del 2
agosto 2002.
(30) I clienti in temporanea situazione di
obiettiva difficoltà, che sia prevedibile possa
essere rimossa in un congruo periodo di tempo.
(31) Crediti scaduti e/o sconfinanti in via
continuativa da oltre 90/180 giorni.
(32) Rapporti contrattuali modificati o accesi
nell'ambito di un'operazione di ristrutturazione
cioè di un accordo con il quale un intermediario
o un pool di intermediari, a causa del
deterioramento delle condizioni economicofinanziarie del debitore non riconducibile
unicamente a profili attinenti al rischio-paese,
acconsente a modifiche delle originarie
condizioni
contrattuali
(ad
esempio,
riscadenzamento dei termini, riduzione del
debito e/o degli interessi) che diano luogo a
una perdita.
(33) Le variabili di classificazione rricchiscono il
contenuto informativo della rilevazione. Si
tratta, infatti, di qualificatori volti a connotare
più dettagliatamente la natura e le
caratteristiche
delle
operazioni
che
confluiscono nelle categorie di censimento.
(34) La ristrutturazione è anche una delle tre
ipotesi di rilevazione dello status della
clientela, accanto alla sofferenza ed alla
regolarizzazione delle posizioni precedenti.
(Cap. I, Sez. II, § 5).
(35) Istruzioni, Cap. II, Sez. 2, § 9, anche per le
indicazioni
alle
note
immediatamente
successive.
(36) Mentre la ristrutturazione riguarda i
rapporti contrattuali modificati o accesi
nell'ambito di un'operazione di ristrutturazione
cioè di un accordo con il quale un intermediario
o un pool di intermediari, a causa del
deterioramento delle condizioni economicofinanziarie del debitore non riconducibile
unicamente a profili attinenti al rischio-paese,
acconsente a modifiche delle originarie
condizioni
contrattuali
(ad
esempio,
riscadenzamento dei termini, riduzione del
debito e/o degli interessi) che diano luogo a
una perdita13. Un'operazione di ristrutturazione
può avere natura liquidatoria o non liquidatoria
a seconda che l'accordo di ristrutturazione
rappresenti o no un piano di rientro dell'intera
esposizione volto a liquidare la relazione
commerciale con il cliente.
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Il contenzioso bancario e degli intermediari finanziari
Pasquale Serrao d’Aquino
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del rapporto sopra indicate.(37) Sofferenza
ed incaglio si presentano come status
alternativi, tanto è vero che sempre le
Istruzioni indicano che, alla prima
inadempienza del credito ristrutturato,
<<Fermi restando i criteri generali di
classificazione a sofferenza ovvero a
incaglio, gli intermediari sono tenuti (…) a
classificare l’intera posizione del cliente
fra le sofferenze o gli incagli>>. (38)
Non bisogna dimenticare, però, che
l’esistenza del credito insoluto in capo
all’intermediario
resta
comunque
determinante per la segnalazione, in
quanto rappresenta la pre-condizione per
il rilievo della sofferenza: la segnalazione
di una posizione di rischio tra le
sofferenze non è più dovuta, infatti, non
solo se cessa lo stato di insolvenza o la
situazione ad esso equiparabile, ma
anche, alternativamente, se il credito
viene rimborsato dal debitore o da terzi;
inoltre, in un’ottica di effettività del
rischio, la segnalazione in sofferenza di
una cointestazione presuppone che tutti i
cointestatari
versino
in
stato
di
insolvenza. (39)
Il confronto tra la nozione di
sofferenza e quella di incaglio, pertanto,
consente di escludere che possano
equipararsi all’insolvenza, non solo i meri
inadempimenti (anche di lunga durata)
che non rientrano in una generale
condizione di difficoltà economica, ma
anche tutte le ipotesi di difficoltà
economica rimuovibili in tempi congrui,
che rappresentano incagli, e non
sofferenze. Quest’ultime, in conclusione,
riguardano ipotesi solo di insolvenza
oppure di incapienza, se non definitive,
almeno di risoluzione in tempi lunghi o
comunque non determinabili.
Le banche, come emerge dall’esame
del contenzioso, spesso provvedono alla
segnalazione facendo riferimento al solo
rapporto critico, oppure limitandosi
all’esame dei rapporti tra la stessa ed il
cliente.
Tale prassi è supportata da un
orientamento dottrinale, il quale ritiene
che l’intermediario non debba compiere
indagine estranee ai rapporti che essa
intrattiene con il cliente, e ciò per tre
motivi: a) il riferimento alla nozione di
insolvenza
fallimentare
sarebbe
apodittico; b) perché si graverebbe la
banca di indagini complesse e costose; c)
perché per far cessare l’obbligo della
segnalazione è sufficiente l’adempimento
o la cessione del credito, fatto indicativo
dell’attenzione rivolta al singolo rapporto
patrimoniale (40). La tesi ha anche un
conforto giurisprudenziale, ma l’indirizzo
è decisamente minoritario (41).
(40) SCOGNAMIGLIO, Sulla segnalazione a
sofferenza nella Centrale dei Rischi della Banca
d’Italia, in Banca, borsa tit. cred., 1999, I, 303
ss.;
(41) Secondo tale orientamento, la “sofferenza”
che legittima la segnalazione del nominativo
del cliente della banca alla Centrale Rischi è
rappresentata dal mero inadempimento, non
occorrendo invece uno stato d’insolvenza, e ciò
essenzialmente sul presupposto che l’analisi
della banca che conduce alla segnalazione a
sofferenza ha come punto di riferimento lo
specifico rapporto che la lega al soggetto
segnalato (v. ad es. Tribunale Roma, 3
novembre 1995, in Banca borsa tit. cred. 1997,
II, 492, con nota di Vella; e più di recente
Tribunale Ascoli Piceno, 4 marzo 2004). Va
segnalata anche la pronuncia del Tribunale di
Padova, ordinanza del 5 aprile 2004 che,
escludendo che insolvenza indicata nelle
Istruzioni coincida con l’insolvenza di cui
all’art. 5 l.f., ritiene che essa coincida con il
grave inadempimento e, quindi, con il serio
rischio di non poter recuperare il finanziamento
concesso, ritenendo legittima la segnalazione di
un cliente che non movimentava il conto
corrente da un anno, con “grave saldo
(37) Al contrario, la qualifica di inadempimenti
persistenti, non riguarda la posizione del
creditore, ma quella del singolo credito, tanto è
vero che la relativa informazione (così come
quella sulla ristrutturazione del credito), anche
se riferita a crediti vantati nei confronti di
clientela ad incaglio, deve essere rilevata sulle
singole linee di credito interessate.
(38) Istruzioni, Cap. II, Sez. 3, § 10.
(39) Istruzioni, Cap. 2, Sez. II § 1.5.
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La
giurisprudenza
maggioritaria,
allacciandosi al dato normativo della
necessità di un esame della complessiva
situazione patrimoniale del cliente, è
giunta a conclusioni completamente
diverse. Non solo ha escluso che la
valutazione di sofferenza possa scaturire
dal mero inadempimento (42), ma ha
affermato che l’attività valutativa deve
estendersi anche a rapporti bancari
distinti da quello intrattenuto con
l’intermediario segnalante, sostenendo,
ad esempio: che sia necessaria una
verifica dell’intera esposizione debitoria
del cliente, inclusa l’emissione di decreti
ingiuntivi contro lo stesso (43); che vada
accertata
<<l’effettiva
consistenza
patrimoniale dello stesso in relazione
all’ammontare del credito, la circostanza
se si tratti di debitore monoaffidato o
pluriaffidato, l’eventuale esistenza di
iniziative giudiziarie da parte di terzi
creditori o le capacità di produrre
reddito>> (44), che si debba tener conto di
riferimento ai debiti contratti con altri istituti
di credito o società erogatrici, al fine di poter
addivenire alla prospettazione della detta
«insolvenza» e poter, quindi, legittimamente
effettuare la segnalazione alla Centrale dei
Rischi ed ha l'obbligo, prima di disporre la
segnalazione, di verificare la non solvibilità del
cliente alla stregua di una valutazione
complessiva della situazione del medesimo,
valutazione che non può certo limitarsi alla
verifica del mero inadempimento, ma che deve
considerare e valutare ulteriori elementi dai
quali desumere l'oggettiva difficoltà economicofinanziaria
del
cliente,
individuabili
esemplificativamente in protesti, pendenza di
procedimenti
esecutivi,
ulteriori decreti
ingiuntivi, squilibrio tra i mezzi a disposizione
del debitore e consistenza della debitoria da
coprire e, quindi, verifica della capacità di
produzione di reddito e della liquidità,
parametrate alla possibilità di far fronte, a
mezzo delle dette disponibilità, alla debitoria
da segnalare a sofferenza.>>
(44) In senso analogo il Tribunale di Napoli, XI°
Sezione civile (ordinanza del 19/12/2007): <<la
valutazione in oggetto non può essere riferita
solo ed esclusivamente al singolo rapporto di
affidamento che intercorre tra l’istituto
bancario ed il debitore, dovendosi altrimenti
concludere che il mero inadempimento
comporti
la
necessità
di
operare
la
segnalazione. Piuttosto, la valutazione della
banca deve essere riferita alla situazione
patrimoniale complessiva del debitore ed
ancorata ad indici di carattere oggettivo,
sintomatici di una difficoltà del cliente di
adempiere i propri obblighi, quali, ad esempio,
la situazione finanziaria ed economica del
soggetto, l’effettiva consistenza patrimoniale
dello stesso in relazione all’ammontare del
credito, la circostanza se si tratti di debitore
monoaffidato o pluriaffidato, l’eventuale
esistenza di iniziative giudiziarie da parte di
terzi creditori o le capacità di produrre reddito.
>>
debitore”, senza rispondere ai solleciti e dopo
un’inutile messa in mora. Si tratta, quindi,
sicuramente di una condotta certamente
diversa dal mero inadempimento di una
prestazione a breve scadenza, ma non risulta
esaminata la condotta complessiva del cliente.
(42)Tribunale di Napoli, Sezione Distaccata di
Frattamaggiore, ordinanza del 17 dicembre
2007, esclude che l’insolvenza possa essere
integrata da un mero rifiuto ad adempiere
espresso dal debitore. Il Tribunale di Parma del
21 settembre 2006 anche ha escluso la
sofferenza del ricorrente analizzando i dati di
bilancio. Nello specifico ha confrontato il
credito oggetto di segnalazione pari ad €.
168.632,64 (oggetto di contestazione) con i dati
dell'ultimo
bilancio
(l’utile
dell'esercizio
conseguito, la situazione debitoria a breve (pari
ad €. 9.472.875) e l'attivo circolante (pari ad €.
10.731.641), e le rimanenze (pari ad €.
8.107.721 per prodotti finiti) consistenti in
vetture presumibilmente vendibili ad un valore
almeno pari a quello di costo iscritto in
bilancio. Tale situazione finanziaria non è stata
considerata <<tale da integrare uno stato di
difficoltà economica in capo alla ricorrente
idoneo ad incidere sulla possibilità di recupero
del credito da parte della banca, quantomeno
rendendola consistentemente ardua>>. Per la
necessità di una valutazione complessiva si è
espresso anche il Tribunale di Roma del 2
agosto 2002.
(43) Il Tribunale Matera del 28 giugno 2005, in
Giur. merito, 2007, 2, 336, ha affermato che :
<<Nella valutazione della situazione di
«insolvenza», la Banca deve tener presente la
situazione complessiva del debitore, anche in
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<<elementi quali la liquidità del soggetto,
la sua capacità produttiva e/o reddituale,
la situazione contingente di mercato in
cui opera, l’ammontare complessivo del
credito ottenuto dal sistema creditizio
e/o finanziario, ovvero di altri dati
indicativi, riferiti al caso concreto, fermo
restando che la esigenza oggettiva del
credito insoddisfatto o la sussistenza della
pendenza
di
un
giudizio
per
l’accertamento del credito non possono
integrare da sole i presupposti per
effettuare la segnalazione de qua laddove
la concreta situazione del cliente non crei
alcun allarme quanto alla sua generale
solvibilità>>(45).
Questo indirizzo è stato confermato
dalla recente sentenza di legittimità (46)
la quale ha evidenziato i seguenti principi:
a) <<l'appostazione a sofferenza nella
centrale dei rischi implica una valutazione
della complessiva situazione finanziaria
del cliente>>; b) essa <<non può scaturire
automaticamente da un mero ritardo nel
pagamento del debito>>; c) <<nessun
rilievo
assume
la
manifestazione
dell'intenzione di non adempiere, se
giustificata da una seria contestazione del
titolo del credito vantato dalla banca>>;
d) bisogna considerare <<una situazione
oggettiva d'incapacità finanziaria, anche
se non accertata giudizialmente, e non
transitoria
d'inadempimento
delle
obbligazioni assunte>>.
E’ chiaro, ormai che ad essere in
sofferenza, per così dire, non è la
specifica esposizione del cliente, ma la
sua
situazione
economico-finanziaria
complessiva, come del resto può
desumersi
dal
requisito
indicato
dell’insolvenza o di situazioni equiparate,
che postula una verifica della complessiva
condizione del cliente, e non solo ai suoi
rapporti con la banca segnalante.
Ciò non significa, però, che il singolo
credito
non
possa
giustificare
la
segnalazione: la banca, tuttavia, ha
l’onere di verificare l’incidenza di tale
esposizione rispetto alla posizione del
debitore
e
può
procedere
alla
segnalazione se l’importo del credito
appare incidere significativamente su
quest’ultima, tanto che il ritardo
nell’adempimento
sia
di
per
sé
univocamente
significativo
di
una
difficoltà non transitoria nel far fronte
alle proprie obbligazioni.
La giurisprudenza, inoltre, non è
unanime su un aspetto pratico della
valutazione complessiva della situazione
finanziaria del cliente, ovvero su quali
siano le fonti di conoscenza che essa può
e deve valutare.
Certamente vanno valutate le altre
segnalazioni esistenti sulla Centrale Rischi
ed il flusso finanziario di ritorno; si è
ritenuto, ad esempio, che possa essere
valutata la progressiva riduzione delle
linee di fido concesse dal sistema
bancario, ivi risultante. Ancora, un forte
indebitamento è stato ritenuto non
univoco della decozione, in quanto
indicativo di una valutazione favorevole
da parte del sistema bancario (47), mentre
la sottoutilizzazione degli affidamenti per
operazioni con l’estero e la riduzione
degli scoperti sono considerati, invece,
segnali negativi (48) (49).
La banca, quindi, legittimamente
utilizza i dati complessivi presenti nella
(45) Cfr. Tribunale di Napoli del 18 marzo 2005,
il quale evidenzia come <<il soggetto
segnalante debba verificare, sulla base di
qualche elemento oggettivo a sua disposizione,
se il proprio debitore si trovi in una situazione
che induca a ritenere la riscossione del credito
a rischio, ossia delle probabilità di successo non
elevate.>>
(46) Corte di Cassazione, I^ civile, sent. del 1°
aprile 2009 n. 7958, cit.
(47) Corte di Appello di Venezia del 4 dicembre
1998.
(48) Tribunale di Rovigo 22.12.1998; per il
carattere negativo della riduzione delle linee di
fido v. anche Tribunale di Milano del 27 ottobre
1999.
(49) Da sottolineare che le ultime pronunce
valutano le segnalazioni come prova della
scientia decoctionis della banca dell’insolvenza
del cliente in sede di revocatoria fallimentare.
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obbligatoria del cliente in caso di prima
segnalazione << non configura in alcun
modo
una
richiesta
di
consenso
all’interessato per il trattamento dei suoi
dati ai fini CR, atteso che gli intermediari
sono tenuti a fornire alla Banca d’Italia i
dati relativi all’indebitamento della
clientela per adempiere ad un obbligo
previsto dalla legge (artt. 51, 66, comma
1, e 107, comma 3 T.U.B.) e sono,
pertanto,
esonerati
dall’obbligo
di
acquisire il consenso dell’interessato.>>
(Cap. II, Sez. II, par. 5).
Va ricordato, sul punto che l’art. 7 del
Codice della privacy prevede che
“L’interessato ha diritto di ottenere: a)
l’aggiornamento, la rettificazione ovvero,
quando vi ha interesse, l’integrazione dei
dati;
b)
la
cancellazione,
la
trasformazione in forma anonima o il
blocco dei dati trattati in violazione di
legge, compresi quelli di cui non è
necessaria la conservazione in relazione
agli scopi per i quali i dati sono stati
raccolti o successivamente trattati…”.
L’art. 8, comma 2, lett. d) esclude,
però, che i diritti di cui all'articolo 7
possano essere esercitati quando i dati
sono trattati <<da un soggetto pubblico,
diverso dagli enti pubblici economici, in
base ad espressa disposizione di legge,
per esclusive finalità inerenti alla politica
monetaria e valutaria, al sistema dei
pagamenti,
al
controllo
degli
intermediari e dei mercati creditizi e
finanziari, nonché alla tutela della loro
stabilità>>. Il Garante per la privacy ha
espressamente
escluso
l’applicabilità
dell’art. 7 e l’inammissibilità del ricorso
nei confronti della Banca d’Italia ai sensi
dell’art. 152 cod. privacy nei confronti
della Banca d’Italia proprio in virtù
dell’art. 8(50).
Centrale e può e deve utilizzare le altre
notizie presenti nel fascicolo del cliente,
oltre a dati di carattere notorio, come il
rapporto tra esposizione e posizione di
mercato del cliente, almeno quando
l’esposizione risulti di scarsa rilevanza
rispetto alle dimensioni dell’impresa ed al
suo avviamento.
Una valutazione più completa della
situazione del cliente, allargata a dati non
presenti nella Centrale dei rischi,
comporta,
però,
necessariamente
l’abbandono di un’istruttoria riservata per
acquisire informazioni in modo legittimo e
completo sulla solidità patrimoniale del
cliente.
4.2. Informazione del cliente.
Ed, in effetti, l’ulteriore profilo
implicato
dalla
valutazione
della
<<complessiva situazione finanziaria>> del
cliente è quello procedimentale il quale si
traduce, in sostanza, nella scelta di
coinvolgere o meno il cliente nella
segnalazione.
Il rapporto tra banca e cliente
presenta tre diversi profili: I) la necessità
del consenso del cliente alla segnalazione;
II) il diritto del cliente ad essere
informato della segnalazione a sofferenza;
III) il diritto-dovere della banca di
richiedere al cliente informazioni utili
riguardo alla sua condizione patrimoniale
prima di procedere alla segnalazione.
(I) Il consenso del cliente. Anche se si
tratta di dati personali non è necessario
che cliente presti il al trattamento dei
dati da parte delle banche: l’art. 24,
comma 1, lett. a) del codice per la
privacy (d.lgs. n. 196 del 30 giugno 2003)
prevede che <<il consenso non è richiesto,
oltre che nei casi previsti nella Parte II,
quando il trattamento (…) è necessario
per adempiere ad un obbligo previsto
dalla legge, da un regolamento o dalla
normativa comunitaria>>.
Le Istruzioni attuali chiariscono
espressamente
che
l’informativa
(50) Decisione del Garante della Privacy del 26
luglio 2006 (doc. web n. 1332498, bollett. n.
74/luglio 06).
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Si è anche sostenuto (51) che l’art. 8
non potrebbe impedire al cliente
l’esercizio dei diritti di cui all’art. 7
perché il sistema della Centrale dei rischi
non è regolato da un’espressa previsione
di legge ma, in sostanza, oggetto di una
normazione dell’Autorità di vigilanza
semplicemente autorizzata da disposizioni
di rango primario (52) ed, inoltre, che
appare
comunque dubbio
che
le
preclusioni ex art. 8, comma 2, lett. d)
possano valere, oltre che nei confronti
della Banca d’Italia, anche nei confronti
delle banche aderenti.
Una lettura così restrittiva appare
criticabile, se si considera che la
disciplina della Centrale dei rischi
rappresenta, in sostanza, una normativa
delegificata. Non è comunque necessario
esaminare più a fondo la questione per
due diversi motivi.
In primo luogo, anche chi sostiene
l’inapplicabilità alla Centrale rischi
dell’esenzione dell’art. 8, limita i diritti
di cui all’art. 7 alla sola ipotesi di
segnalazione di dati oggettivamente
erronei
(come
l’errore
sui
dati
anagrafici,), e non su dati di natura
valutativa come quello delle condizioni
della segnalazione a sofferenza. L’art. 8
comma 4°, infatti, prevede testualmente
che “L’esercizio dei diritti di cui all’art.
7, quando non riguarda dati di carattere
oggettivo, può avere luogo salvo che
concerna la rettificazione o l’integrazione
di dati personali di carattere valutativo…”
(53).
In secondo luogo, le Istruzioni della
Banca d’Italia prevedono la possibilità di
esercitare alcuni dei diritti previsti
all’art. 7 del cod. privacy, non
direttamente applicabili alla segnalazione
a sofferenza. I clienti, infatti, possono
richiedere quali informazioni personali
siano inserite nella Centrale; hanno diritto
a ricevere la propria posizione globale di
rischio; possono rivolgere istanza alla
Banca d’Italia per conoscere anche il
dettaglio delle diverse segnalazioni; la
Banca d’Italia, in seguito alla richiesta,
fornisce un prospetto contenente i dati
richiesti. (54)
(II) L’informativa
segnalazione.
al
cliente
sulla
e di diritto comune per il “recupero” della
correttezza dei dati trasmessi alle Centrali dei
rischi, in Sciarrone Alibrandi, Centrale dei
rischi. Profili civilistici, cit., pag. 130 ss.
(54) Istruzioni, Cap. I, Sez. 1, § 3: <<Secondo
quanto previsto dalla delibera CICR del 29
marzo 1994, i soggetti censiti nella anagrafe
della Centrale dei rischi possono conoscere le
informazioni registrate a loro nome. In base alle
disposizioni attuative emanate dalla Banca
d’Italia, gli intermediari - su specifica richiesta
- devono rendere nota al soggetto segnalato o
al suo rappresentante la relativa posizione
globale e parziale di rischio quale risulta dai
flussi informativi ricevuti dalla Banca d’Italia,
nonché i dati di rischio relativi alle
cointestazioni di cui lo stesso risulti far parte.
Ove l’interessato manifesti l’esigenza di
conoscere il dettaglio delle segnalazioni
prodotte a suo nome da ciascun intermediario,
nonché i dati relativi alle forme di
coobbligazione, diverse dalle cointestazioni,
rilevate dalla Centrale dei rischi, l’istanza deve
essere indirizzata alla Filiale della Banca
d’Italia nel cui ambito territoriale il richiedente
ha la residenza o la sede legale (o ad altra
Filiale presso la quale lo stesso intende recarsi
per il ritiro dei dati). La Banca d’Italia fornisce
al diretto interessato un prospetto contenente i
dati richiesti, corredato da un Foglio
informativo che illustra lo scopo e il
funzionamento della Centrale dei rischi.>>
(51) SCIARRONE ALIBRANDI, Trasmissione di dati alle
centrali dei rischi: consenso e informazione
dell’interessato, in Centrali dei Rischi Profili
civilistici a cura di Sciarrone Alibrandi, cit.,
pag. 90 ss; STILO, La lesione della reputazione
commerciale del debitore e la rilevazione
centralizzata dei rischi creditizi, cit.
(52) Contra TARANTINO, In tema di segnalazione
alla Centrale Rischi: profili di responsabilità
della banca segnalante (e delle banche terze),
in Banca borsa tit. cred., 2002, II, 245, nota 62.
(53) Contra, nel senso dell’applicabilità dell’art.
7 anche a tali ipotesi, MINNECI, Tutele privacy
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Il 13° aggiornamento della Circolare ha
previsto che <<Gli intermediari devono
informare per iscritto il cliente la prima
volta che segnalano lo stesso a
sofferenza.>> (Cap. II, Sez. II, par. 5),
esplicitando un obbligo che poteva essere
desunto da sistema già in precedenza.
La norma, quindi, stabilisce un diritto
ad
essere
informati
dell’avvenuto
trattamento dei dati, ma non prevede,
almeno non espressamente, che tale
informazione sia preventiva.
Alcuni Tribunali, per il passaggio <<a
sofferenza>> hanno sostenuto che la
procedura
non
prevede
alcun
contraddittorio con il soggetto esposto
(55), anche se tale affermazione è stata
effettuata al fine di evidenziare che, per
la mancanza di una dialettica preventiva,
il dovere di diligenza della banca nella
valutazione è particolarmente intenso.
Parte della giurisprudenza, soprattutto
recente, invece, ha affermato che la
banca al fine di verificare la sussistenza di
una situazione di sofferenza debba
attivare
un
<<canale
di
diretta
interlocuzione
con
il
cliente>>,
consentendo a quest’ultimo di spiegare le
ragioni dell’esposizione. (56)
Anche se le Istruzioni non vi fanno
riferimento, l’obbligo di una preventiva
partecipazione del cliente all’istruttoria
finalizzata alla segnalazione, si desume
sia dall’estensione dell’accertamento che
deve compiere la banca (che, riguardando
l’intera condizione patrimoniale del
cliente, richiede naturaliter l’acquisizione
di informazioni dal primo) sia dalla
necessità
del
rispetto
dell’obbligo
generale di buona fede, che non può non
includere anche la possibilità per il
cliente di illustrare le ragioni dell’assenza
dell’ipotizzata condizione di insolvenza
che la segnalazione vena effettuata. (57)
posizione o meno di sofferenza del credito,
tanto più che procede a quella istruttoria
unilateralmente, senza che vi partecipi, in
qualche
forma
di
contraddittorio,
l’imprenditore interessato>> (Trib. Savona, ord.
n. 1139 del 03 aprile 2002).>> Il Tribunale di
Foggia, ordinanza del 19 dicembre 2003 non ha
mancato di porre in rilievo come <<anche in
presenza di un unico rapporto contrattuale
intercorrente tra la società segnalatrice ed il
presunto debitore, sia pur sempre necessaria
una disamina e valutazione complessiva della
situazione finanziaria del cliente, in vista della
quale ben può pretendersi che la prima attivi
quanto
meno
un
canale
di
diretta
interlocuzione con quest’ultimo, allo scopo di
permettere una delibazione delle ragioni poste
a fondamento dell’esposizione attribuendo
altresì al cliente medesimo la concreta
possibilità di contribuire all’istruttoria che
l’istituto di credito è pur sempre tenuto a
svolgere prima della segnalazione>>. Cfr. anche
Tribunale Palermo, 4 novembre 2002, in Giur.
merito, 2003, 207; Tribunale Foggia, 19
dicembre 2003 e 19 marzo 2004, entrambe in
www.dirittobancario.it).
(57) Non vi è dubbio che un onere di informativa
e di interlocuzione promana certamente anche
dall’obbligo generale di buona fede e
correttezza informazione gravante sulle parti
del contratto sia durante le trattative che nel
corso dello svolgimento del rapporto, fondato
sugli artt. 1337, 1175, 1375 c.c. e sul dovere di
solidarietà costituzionale sancito dall’art. 2
Cost. In materia v. CARRESI, Il contratto, in
Trattato di dir. civ. e comm., diretto da Cicu e
Messineo, XXI, 1, Milano, 1987, p. 803; CARRESI,
Oneri ed obblighi nella genesi del contratto, in
(55) Tribunale Napoli, 18 marzo 2005, cit.;
Tribunale Paola, 20 aprile 2001 e 20 maggio
2001, in Riv. dir. comm., 2001, II, 167 ss.;
Tribunale Brindisi, 20 luglio 1999, in Giust. civ.,
2000, I, 555 ss.
(56) Tribunale di Como, Sezione Distaccata di
Cantù, sentenza del 24 dicembre 2006 afferma
la necessità nella specie di un contraddittorio
senza esplicitare una conclusione di ordine
generale, affermando da un lato che <<In tale
contesto probatorio, l’Istituto ha omesso una
doverosa fase di contraddittorio con la cliente
in conformità ai principi di correttezza che
devono presiedere al trattamento delle
informazioni altrui al fine di chiarire i fatti e
comunque senza accertare le effettive capacità
di adempimento del cliente, non potendosi tale
condizione desumere dalla mera chiusura del
conto corrente>>, dall’altro che <<ogni banca,
prima ed al fine di effettuare la segnalazione,
deve procedere con più attenta diligenza
all’istruttoria
per
l’accertamento
della
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In altri termini, la banca ha un obbligo
di informarsi (58) acquisendo informazioni
direttamente dal cliente, che deriva dal
dovere
di
diligenza
professionale
nell’accertamento dei presupposti della
segnalazione, derivante dall’art. 1176,
comma 2 c.c.), ed un obbligo di
informare il cliente sia dell’avvio
dell’istruttoria, per consentire al cliente
di interloquire e di dimostrare l’assenza
dei presupposti della segnalazione, che
deriva, invece, dall’obbligo di correttezza
e di buona fede (artt. 1337, 1175, 1375
c.c.), espressione del dovere di solidarietà
costituzionale (art. 2 Cost.) (59)(60).
Le modifiche del d.lgs. n. 141 del 2010
hanno portato all’introduzione di un
articolo
nel
credito
al
consumo
specificamente dedicato alle banche dati
(art. 124-bis T.U.B.), il quale al comma 3
prevede
espressamente
che
<<i
finanziatori informano preventivamente il
consumatore la prima volta che segnalano
a una banca dati le informazioni negative
previste
dalla
relativa
disciplina.
L’informativa è resa unitamente all’invio
di solleciti, altre comunicazioni, o in via
autonoma.>>,
informando
anche
il
consumatore <<sugli effetti che le
informazioni negative registrate a suo
nome in una banca dati possono avere
sulla sua capacità di accedere al
credito.>> (Comma 5)
L’introduzione di tali obblighi nei
confronti dei consumatori, non porta ex
post ad escludere l’esistenza dei sopra
descritti obblighi verso i clienti che non
sono
consumatori,
sebbene
le
informazioni non debbano rispondere alle
caratteristiche descritte dall’art. 124-bis
t.u.b.
Come rovescio della medaglia, il
cliente che si rifiuta di fornire
informazioni
sulla
sua
condizione
patrimoniale o che fornisce informazioni
incomplete o inesatte sarà inadempiente
rispetto ai propri obblighi di cooperazione
e non potrà dolersi della successiva
segnalazione.
Foro pad., 1948, I, c. 803; MENGONI, Sulla
natura della responsabilità precontrattuale,
nota a Cass. 5 maggio 1955, n. 1259, in Riv. dir.
comm., 1956, II, p. 368 s.; GRISI, L’obbligo
precontrattuale di informazione, Napoli, 1990,
p. 61 ss. Si rinvia anche per i riferimenti
giurisprudenziali e legislativi recenti a SERRAO
D’AQUINO, “Gli obblighi di informazione nella
legislazione e nella giurisprudenza”, Relazione
tenuta al corso del Consiglio Superiore della
Magistratura “Informazione, buona fede e
correttezza nel mercato globale, 2008,
www.csm.it.
(58) Gli obblighi di informazione sia attivi che
passivi rappresentano un tema ricorrente del
rapporto intermediario-cliente, basti pensare
agli obblighi previsti dal T.U.F. (d.lgs. n. 58 del
1998.)
(59) La dottrina, in proposito, ha affermato che
l’informazione al cliente è imposta dall’obbligo
di buona fede in executivis (art. 1175 e 1375
c.c.), trattandosi dell’adempimento di un
obbligo di protezione (SCIARRONE ALIBRANDI,
Trasmissione di dati alle centrali dei rischi:
consenso e informazione dell’interessato, in
Centrali dei Rischi Profili civilistici a cura di A.
Sciarrone Alibrandi, cit., pag. 108.)
(60) E’ il caso di segnalare, infine, che in due
casi analoghi è previsto l’obbligo del preavviso
all’interessato: a) per le centrali private è stato
imposto il preavviso prima della segnalazione a
sofferenza dal Garante della privacy con
provvedimento del 2002; b) il codice
deontologico sui sistemi di informazioni
creditizie del 2004 prevede il diritto
dell’interessato di essere informato con
preavviso
scritto
di
quindici
giorni
4.3. I crediti litigiosi.
Molte segnalazioni delle banche che
hanno dato vita a contenzioso riguardano
crediti contestati dal cliente con
riferimento alla richiesta di interessi
anatocistici (61), all’applicazione della
commissione
di
massimo
scoperto,
all’applicazione degli interessi <<su
piazza>>, al superamento del tasso usura
o, qualche volta, semplicemente al
dell’annotazione dei ritardi nei pagamenti in
via preventiva rispetto alla stessa (artt. 5 ed 8).
(61) Prima della delibera CICR del 2000.
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calcolo delle somme dovute e già
incassate.
A fronte dell’inadempimento del
cliente, dell’obbligo di restituzione della
somma ricevuta in mutuo, di un mancato
rientro da un saldo negativo per
l’apertura di conto corrente, la banca
normalmente diffida il cliente ad
adempiere e spesso procede direttamente
alla segnalazione alla Centrale dei rischi.
Il cliente, tuttavia, invece di restare
inerte, contesta l’esistenza del credito
della banca o la sua entità. A questo
punto sia che la banca agisca per ottenere
giudiziariamente il pagamento, sia che il
cliente prevenga la banca con un’azione
di accertamento o cautelare, i tribunali,
per accertare la legittimità della
segnalazione, devono comunque valutare
l’esistenza e la misura di un credito
contestato.
Le
Istruzioni
ora
chiariscono
espressamente che la <<contestazione del
credito non è di per sé condizione
sufficiente
per
l’appostazione
a
sofferenza>> (par. 1.5).
Se il mero rifiuto di pagamento non
giustifica la segnalazione, neppure le
parti devono attendere per effettuare o
contestare la segnalazione che l’autorità
giudiziaria
accerti
con
sentenza
l’esistenza del credito, avendo la stessa
natura ovviamente dichiarativa. Il giudice
investito del controllo sula legittimità
della segnalazione del credito litigioso
deve limitarsi a delibare la fondatezza
della contestazione da parte del cliente
(può dirsi del fumus boni iuris della
contestazione del credito e con essa della
domanda
di
cancellazione
della
segnalazione) e, quindi, secondo quanto
indicato dalla giurisprudenza di legittimità
una <<seria contestazione del titolo del
credito>>. (62,63)
Il notevole contenzioso in materia di
segnalazione di crediti litigiosi ha portato
ad inserire nel sistema della Centrale dei
rischi, tra le variabili di stato del
rapporto, la qualità di <<credito
contestato>>, qualità che presuppone,
tuttavia, non
il semplice rifiuto di
adempimento, ma l’instaurazione di una
controversia, fin quando non vi sia una
decisione dell’autorità.
<<Si considera
“contestato” il credito per il quale è stata
adita un’Autorità terza rispetto alle parti
(l’Autorità giudiziaria, il Garante della
Privacy o altra preposta alla risoluzione
stragiudiziale delle controversie con la
clientela). La qualifica di credito
contestato non è più dovuta dalla
rilevazione
riferita
alla
data
del
provvedimento assunto da tale Autorità e
le segnalazioni dovranno essere adeguate
in conformità a quanto stabilito dal
provvedimento stesso>> (Sez. 3, par. 9).
4.4. I rimedi esperibili dal cliente.
A seguito di una segnalazione ritenuta
illegittima, sia o meno legata ad un
credito
litigioso,
ormai
pacifica
l’ammissibilità del ricorso al giudice
ordinario ed anche l’ammissibilità della
tutela cautelare, anche se il quadro delle
azioni esperibili resta, in realtà, meno
chiaro di quanto possa sembrare.
Viene
qualificato
come
diritto
soggettivo, da tutelare davanti al giudice
ordinario, l’interesse del cliente a non
normativa speciale di settore ed è contraria al
canone generale della buona fede la
segnalazione da parte di un Istituto di Credito
alla Centrale Rischi della Banca d’Italia come
posizione di sofferenza di un debito del cliente
che risulti tra le parti contestato (cd. “credito
litigioso”), qualora la contestazione abbia i
caratteri della non manifesta infondatezza e sia
alla base del rifiuto del debitore di
adempiere”>>. (Tribunale di Pescara ord. del 21
dicembre 2006)
(62) Cass., I^ Sez. civile 1° aprile 2009 n. 7958,
cit.
(63)Anche
in
questo
caso
la
copiosa
giurisprudenza di merito ha anticipato tale tesi
sostenendo che <<Non è conforme alla
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essere
leso
da
segnalazioni
non
corrette.(64)
La segnalazione erronea alla Centrale
dei Rischi, determinando la possibilità di
una revoca immediata dei fidi, l’inibizione
della concessione di ulteriori crediti, un
pregiudizio
alla
reputazione
di
“affidabilità”
del
cliente
può
pregiudicare, in modo irreparabile, la
posizione del soggetto segnalato. In
assenza di strumenti cautelari tipici viene
ordinariamente richiesta la cancellazione
della segnalazione in via d’urgenza ai
sensi dell’ articolo 700 c.p.c.(65).
L’applicazione alla Centrale dei rischi
delle norme sul Codice della Privacy (tesi
in parte avallata dalla recente pronuncia
della Corte di Cassazione che afferma
l’applicabilità di parte delle norme ed, in
particolare dell’art. 152 Cod. privacy - e
ciò anche nei confronti della Banca
d’Italia), dovrebbe, però avere come
corollario logico l’inammissibilità della
tutela ex art 700 c.p.c. per difetto di
residualità. (66) L’art. 152, infatti, oltre a
prevedere uno specifico rito per adire il
giudice in via ordinaria prevede, infatti, al
comma 6 uno specifico rimedio cautelare,
<<Quando sussiste pericolo imminente di
un danno grave ed irreparabile il giudice
può emanare i provvedimenti necessari
con decreto motivato, fissando, con il
medesimo provvedimento, l’udienza di
comparizione delle parti entro un termine
non superiore a quindici giorni. In tale
udienza, con ordinanza, il giudice
conferma,
modifica
o
revoca
i
provvedimenti emanati con decreto.>>
(64)<<La controversia avente ad oggetto la
domanda di risarcimento del danno proposta da
un cliente nei confronti di una banca, a causa
dell'erronea
segnalazione
del
proprio
nominativo alla Centrale rischi della Banca
d'Italia per un credito "in sofferenza", è
devoluta al giudice ordinario, non rientrando
tra le controversie in materia di pubblici servizi
attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo dall'art. 33 del d.lgs. 31 marzo
1998, n. 80, nel testo introdotto dall'art. 7 della
legge 21 luglio 2000, n. 205 - quale risultante a
seguito
della
sentenza
della
Corte
costituzionale n. 204 del 2004 - in quanto detta
giurisdizione esclusiva presuppone che la P.A.
agisca esercitando il suo potere autoritativo,
ovvero avvalendosi della facoltà, di adottare
strumenti negoziali in sostituzione del predetto
potere. Per contro, l'interesse del cliente a non
essere leso dal comportamento della banca, in
affermata
violazione
delle
disposizioni
dell'autorità di vigilanza, configura un diritto
soggettivo, restando irrilevante l'inosservanza
da parte della banca delle istruzioni impartite
in materia dalla Banca d'Italia, giacché
l'interesse del cliente è del tutto indipendente
dall'esercizio dei poteri di vigilanza dell'Istituto
Centrale sulle banche>> (Cass. Sez. Unite, Ord.
n. 7037 del 28/03/2006.)
(65)Privo di fondamento risulta l’iniziale
orientamento negativo, che faceva leva sul
carattere doveroso della segnalazione alla
Centrale dei Rischi (Pretura di Crotone, 23
gennaio 1993, in Banca Borsa tit. cred. 1994, II,
595; Pretura di Roma, 12 ottobre 1990, in
Mondo bancario, 1991, fasc. 4, p. 47; Tribunale
Roma, 4 dicembre 1989, in Banca Borsa tit.
cred. 1991, II, 674; Tribunale Roma, 3
novembre 1995.) Si era sostenuto, infatti, che
l’ordine di cancellazione fosse inammissibile o
che non sarebbe rinvenibile nell’ordinamento la
norma che consentirebbe al giudice di ordinare
alla Banca d’Italia la cancellazione sella
segnalazione errata (Trib. di Avezzano, ord. del
12 giugno 1998, in Banca, borsa, tit. cred.,
1998, II, p. 452 ss.). Sono ostacoli in realtà
inesistenti, trattandosi di tutela atipica ex art.
700 c.p.c. e mancando un potere autoritativo
tanto dell’intermediario che della Banca
d’Italia.
(66) V. anche Tribunale di Patti, 16 maggio
2005, in D&G Dir. e Giust., 2005, f. 35, 24,
secondo cui “Colui il quale si dolga della
illegittima segnalazione dei propri dati
personali alla Centrale Rischi gestita dalla
Banca d’Italia, può domandare in via cautelare,
ai sensi dell’art. 700 c.p.c., la rettifica
dell’annotazione
nei
confronti
dell’intermediario che l’ha effettuata, ma non
nei confronti della Banca d’Italia; nei confronti
di quest’ultima, infatti, qualsiasi diritto non
può essere fatto valere con lo strumento
residuale di cui all’art. 700 c.p.c., ma soltanto
col procedimento espressamente previsto a tal
fine dall’art. 152 d.lg. 196/03)”.
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Si tratta, quindi, di un rimedio tipico,
anche se presenta caratteri comuni con il
provvedimento ex art. 700 c.p.c.
(istruttoria senza formalità, citazione con
decreto, possibilità di emissione anche
inaudita altera parte), tanto da poter
essere
considerato
un
rimedio
sostanzialmente assimilabile alla tutela
cautelare prevista dall’art. 700 c.p.c.,
con alcune differenze, come quelle
riguardanti la competenza territoriale,
che il cod. privacy radica esclusivamente
nel tribunale del luogo ove risiede il
titolare del trattamento dei dati, da
identificarsi nella banca che ha proceduto
alla segnalazione e, se citata in giudizio,
anche nella Banca d’Italia.
l’irrisarcibilità del danno: anche i diritti
della persona che hanno copertura
costituzionale potenzialmente possono
essere risarciti per equivalente, ma ciò
non
esclude
l’irreparabilità
del
pregiudizio medio tempore arrecato ai fini
della tutela cautelare, tanto che è stato
riconosciuto talvolta tale requisito perfino
per l’inadempimento di obbligazioni
meramente pecuniarie, quando esse sono
funzionali alla tutela dei primi o quando il
mancato pagamento può pregiudicare
gravemente la posizione del creditore. La
risarcibilità del pregiudizio, quindi, non
esclude l’irreparabilità ai fini della tutela
cautelare (69).
La segnalazione illecita, inoltre, può
determinare una perdurante lesione della
reputazione
della
reputazione
commerciale ed un grave danno alle
opportunità imprenditoriali e negoziali del
segnalato; essa, quindi, può incidere
pesantemente sull’attività economica ed
imprenditoriale, sia inibendo nuove
opportunità sia determinando, in alcuni
casi, una vera e propria condizione di
insolvenza indotta dalle richieste di
rientro immediato dei fidi. (70)
Quale che sia la fonte normativa del
provvedimento atipico, resta il fatto che
va dimostrata in concreto, per la tutela
cautelare, l’effettiva sussistenza di un
pregiudizio irreparabile, oppure se si può
ricorrere a presunzioni.
Alcuni Tribunali hanno sostenuto che
nel caso degli imprenditori l’irreparabilità
del pregiudizio sarebbe in re ipsa, poiché
la segnalazione può pregiudicare la loro
reputazione
commerciale
(67):
la
segnalazione
può
determinare
una
richiesta di rientro immediato dai fidi, la
mancata concessione di altri ed essa
stessa indurre ad uno stato di insolvenza
dell’imprenditore.
Altri, però, hanno ritenuto non
configurabile il pregiudizio irreparabile,
affermando, ad esempio, che trattandosi
di questioni di <<ordine finanziario>> sia
sempre possibile il risarcimento del danno
(68). Si tratta di una opinione non
condivisibile: va mai confusa, infatti,
l’irreparabilità
del
pregiudizio
con
(69)Ad esempio, Tribunale di Torre Annunziata,
Sezione Distaccata di Castellammare di Stabia
del 2 maggio 2006, inedita; Tribunale di Reggio
Calabria 09 settembre 2003, in Giur.
merito, 2004, p.
794
in
materia
di
licenziamento per i riflessi che esercita sulla
personalità del lavoratore; Tribunale Venezia
27 settembre 2000, in Gius, 2001, p. 787.
(70)Il criterio di accertamento del periculum, in
ogni caso, è strettamente correlato alla
prospettazione del diritto leso ed alle
allegazioni in ordine all’attività esercitata dal
cliente: l’imprenditore accede ordinariamente
al credito e la segnalazione determina
verosimilmente una drastica riduzione delle
banche
potenzialmente
offerenti.
La
segnalazione
illegittima,
quindi,
intrinsecamente
determina
un
danno
irreparabile. Non può escludersi, tuttavia, che
tali condizioni non si verifichino e che
l’imprenditore
abbia
un’organizzazione
imprenditoriale che non comporta l’utilizzo di
fidi o che abbia una reputazione commerciale
(67) Tribunale Roma, 15 dicembre 2003, in
Redazione Giuffrè 2005; Tribunale Palermo, 4
novembre 2002, in Gius 2003, 995.
(68) Tribunale di Avezzano, ord. del 12 giugno
1998, in Banca, borsa, tit. cred., 1998, II, p.
452 ss.
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Pasquale Serrao d’Aquino
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Incontro di studio in materia civile riservato ai magistrati nominati con D.M. 2/10/2009.
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Le decisioni che hanno richiesto di
dimostrare
la
probabilità
di
una
71
restrizione dell’accesso al credito. ( ) o
che hanno sostenuto che qualora il
periculum non emerga dall’attività stessa
del cliente, esso vada dimostrato in
concreto (72) colgono dei profili meritevoli
di attenzione: non sempre la qualità di
imprenditore giustifica il danno in re ipsa;
è necessario, infatti, che dall’allegazione
della natura dell’attività esercitata si
desuma il normale ricorso credito
bancario, naturalmente frustrato da una
segnalazione a sofferenza del cliente.
E’ invece giusto richiedere la prova
della sussistenza del periculum in mora
quando il segnalato non sia un
imprenditore, non potendosi escludere in
astratto una situazione di pregiudizio
imminente ed irreparabile. (73) Nel caso di
danno
alla
reputazione
personale,
comunque, se il pregiudizio irreparabile è
insito nella segnalazione, ovvero nel
perdurante effetto lesivo di un diritto
della
persona,
occorre
prestare
particolare attenzione al profilo del
fumus, non essendo affatto scontato che
la segnalazione a sofferenza comporti un
pregiudizio della reputazione personale
per effetto della segnalazione (v. infra).
Una volta accertata in sede cautelare
l’esistenza dei presupposti previsti
dall’art. 700 c.p.c., il giudice deve
emanare l’ordine di cancellazione dalla
Centrale dei rischi.
La giurisprudenza non ha analizzato le
modalità di eliminazione della notizia
dalla banca dati.
Alcuni autori, invece si sono posti il
problema dell’efficacia retroattiva o non
retroattiva
della
segnalazione,
evidenziando il contrasto tra l’interesse
del segnalato ad un’elisione retroattiva
della segnalazione (74) e l’interesse degli
intermediari aderenti alla Centrale rischi
a dimostrare che i propri comportamenti
(es. richiesta di rientro immediato del
fido) sono giustificati dalla classificazione
negativa inserita nella banca dati da altri
intermediari (75). Essi hanno concluso per
l’opportunità di una cancellazione con
efficacia ex nunc, che salvaguardia questo
secondo interesse e che asseconda
l’esigenza di lasciare traccia dei flussi
informativi laddove la retroattività non
potrebbe comunque portare ad una
elisione dei danni già prodotti, rispetto ai
quali si pone esclusivamente un problema
di determinazione del risarcimento. (76)
In effetti, non sembra corretto
ordinare la scomparsa integrale del file
della segnalazione, proprio perché si
tratta di notizie alle quali hanno
lecitamente attinto altri aderenti al
sistema, senza possibilità di verifica della
loro fondatezza, e che hanno determinato
comportamenti e valutazioni da parte
degli stessi (es. richieste di rientro dal
fido o altre segnalazione alla Centrale dei
rischi, nel quadro della “valutazione
complessiva”
dell’esposizione
del
4.5.La decisione giurisdizionale.
tale da non subire effetti sugli altri fidi.
Certamente, quindi, anche in sede cautelare il
ricorrente dovrà allegare la natura dell’attività
esercitata e dimostrare anche l’utilizzazione di
altri fidi o la programmazione certa del ricorso
al fido bancario.
(71) v. ad es. Tribunale Salerno, 22 aprile 2002
in Dir. e prat. soc. 2002, f. 14-15, 94, con nota
di Ferri.
(72) Tribunale Palermo, 16 giugno 2003, in Gius
2003, 1907.
(73) STILO, La lesione della reputazione
commerciale del debitore e la rilevazione
centralizzata dei rischi creditizi, Relazione al
Corso
interdistrettuale
di
formazione
decentrata di Messina e Reggio Calabria su La
tutela del debitore, marzo 2006.
(74) Per Giusti, nota a Tribunale Alessandria, 20
ottobre 2000, in Banca Borsa tit. cred. 2001, II,
p. 580 unica idonea a tutelare pienamente il
segnalato.
(75) VENDITTI, Diligenza e responsabilità nella
segnalazione di crediti in sofferenza alla
Centrale dei rischi, Satura, Napoli, 2005, pp.
83-84.
(76) VENDITTI, op. cit., p. 83.
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solo se il segnalante resta contumace, ma
anche se egli si limita a confermare la
condizione di sofferenza). Ciò non esclude
che il giudice possa emanare un
provvedimento di rettifica e non di
cancellazione
il
quale,
quale
accoglimento parziale della domanda
cautelare originaria, non è ultra petita
(se per es. pronuncia la rettifica da
<<sofferenza>> ad una condizione levior,
come il caso classico dell’incaglio, che
presuppone un disagio temporaneo
destinato ad essere risolto entro un
congruo periodo di tempo senza dover
presumibilmente azionare un giudizio per
il recupero) (77). Di certo, tuttavia, non è
agevole l’accertamento, per la tecnicità
delle segnalazioni e la complessità dei
diversi requisiti, di qualsiasi altra
condizione di segnalazione. Anche se al
giudice non viene formulata alcuna
domanda
cautelare
subordinata,
comunque
andrebbe
accertata
la
sussistenza di altro presupposto di
segnalazione ed emesso l’ordine in
conformità; ma se l’accertamento dovesse
essere incompatibile con i tempi della
tutela cautelare, l’ordine di cancellazione
deve
essere
ristretto
alla
sola
segnalazione
della
condizione
di
“sofferenza”, in modo da non precludere
la liceità della necessaria segnalazione ad
altro titolo, in presenza dei relativi
presupposti.
debitore). E’ necessario, quindi, che il
sistema
conservi
memoria
della
segnalazione
e
dell’ordine
di
cancellazione, indicando le rispettive
date. Si consideri, peraltro, che esso già
attualmente custodisce in memoria il file
della segnalazione “rettificata”, sebbene
non leggibile dagli aderenti, così come
non
viene
cancellata
la
notizia
dell’avvenuta
segnalazione
dopo
il
pagamento del debito.
Altro problema legato al tipo di
provvedimento che deve emanare il
giudice della cautela, oltre a quello della
decorrenza degli effetti dell’ordine di
cancellazione è quello di procedere,
invece, non all’integrale cancellazione dei
dati della segnalazione, ma ad una loro
rettifica. Ciò in quanto, soprattutto nei
crediti litigiosi, può emergere che il
credito risulti di importo effettivo minore
o che, pur non esistendo una condizione
definibile come <<sofferenza>>, il credito
rientri tra quelli oggetto di comunicazione
a diverso titolo. Si pensi che ad esempio,
alle categorie – alle quali si è accennato
in precedenza - degli incagli, delle linee
di
credito
ristrutturate
e
degli
inadempimenti persistenti. Se un credito
non può essere considerato in sofferenza,
l’ordine del giudice deve imporre, non la
mera cancellazione, ma la sua corretta
classificazione.
La questione è più di carattere
processuale, che sostanziale. Non vi è
dubbio, infatti, che l’accertamento
negativo della sofferenza non escluda la
riconducibilità del credito ad altra voce
(es.
incaglio
o
inadempimento
persistente). L’atipicità della tutela ed
art. 700 C.P.C. certamente consente
tanto l’emanazione di un ordine di
cancellazione, quanto di un ordine di
rettifica della segnalazione (ovvero la
segnalazione non di una sofferenza, ma di
una diversa voce). Residuano, però,
problemi di ordine pratico. Può accadere,
infatti, che nel giudizio il contraddittorio
non si estenda a tale profilo (e ciò non
(77) Sull’incaglio v. Trib. Catania, 2 aprile 2003,
in Giur. merito, 2003, p. 1400, oltre alla
sentenza inedita del Tribunale di Napoli del 1^
febbraio 2006. In altra precedente pronuncia si
è affermato che deve considerarsi illegittima la
segnalazione fondata su un temporaneo disagio
economico del cliente il quale abbia
tempestivamente
offerto
all’istituto
di
estinguere la propria posizione debitoria
attraverso il pagamento dilazionato in più rate
proporzionate all’entità del debito (Trib.
Cagliari, 25 ottobre 2000, in Riv. Giur. Sarda,
2002, 369).
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Esemplificativa dei problemi e delle
possibili soluzioni sono due pronunce di
merito.
L’attuale versione delle Istruzioni,
attualmente, chiarisce espressamente
che, a seguito di ordine del giudice, si
debba procedere <<alla rettifica e
all’eventuale
riclassificazione
della
posizione oggetto di accertamento>>.
(CAp. 1, Sez. 5).
Il Tribunale di Napoli (sentenza del 1^
febbraio 2006) ha dichiarato illegittima la
segnalazione alla Centrale dei rischi di un
credito, ordinando all’intermediario di
<<cancellare o richiedere la cancellazione
dell’indicazione del suddetto credito
come “a sofferenza”, indicandolo invece
come credito “incagliato”>>, oltre a
condannare lo stesso risarcire in via
generica i danni derivanti all’attore da
tale segnalazione.
4.6. La legittimazione passiva della
Banca d’Italia.
In diversi casi i clienti delle banche
convengono nel giudizio cautelare oltre
alla banca segnalante, anche la Banca
d’Italia.
Alcuni tribunali accolgono l’eccezione
del difetto di legittimazione passiva della
Banca d’Italia, mettendo in evidenza il
ruolo meramente esecutivo dell’ente
gestore e precisando che alla rettifica
deve provvedere la banca, senza alcun
potere di variazione da parte della prima,
(79); altri tribunali, invece, respingono
l’eccezione, sottolineando come la
cancellazione
venga
materialmente
effettuata la Banca d’Italia e, quindi,
anche
quest’ultima
debba
essere
80
convenuta in giudizio. ( ) La dottrina (81)
ha criticato questo secondo orientamento
in quanto, la tutela cautelare resta
funzionale
al
giudizio
di
merito
risarcitorio, al quale è estranea la Banca
d’Italia, anche se, in verità, la
legittimazione passiva dei soggetti gestori
di banche dati rispetto alla cancellazione
Il Tribunale di Nocera Inferiore, con
provvedimento del 4 luglio 2008, invece, è
intervenuto su una segnalazione di
"inadempimento persistente" ed ha
affermato che l’omessa indicazione del
pegno su titoli offerto da terzi a garanzia
dell'esposizione bancaria,<<non solo viola
le disposizioni impartite dalla Banca
d'Italia che espressamente richiedono la
segnalazione delle garanzie reali e
personali rilasciate agli intermediari dagli
stessi affidati o da terzi (si veda la
richiamata circolare n. 139), ma
pregiudica lo stesso soggetto segnalato>>
(78), per cui <<considerato che l'art. 700
c.p.c.
consente
l'adozione
dei
provvedimenti che appaiono secondo le
circostanze più idonei ad assicurare gli
effetti della decisione sul merito, anche
al di là delle specifiche richieste della
parte istante, (…) non par dubbio che in
questa sede possa ordinarsi alla società
resistente di procedere alla integrazione
della segnalazione mediante indicazione
del pegno costituito a garanzia delle
obbligazioni assunte.”>>
(79) Tribunale Napoli, 18 marzo 2005, in D&G
Dir. e Giust. 2005, f. 18, 29, con nota di
Giacomardo. In questo senso ha deciso anche il
Tribunale di Santa Maria Capua Vetere con
provvedimento del 5 febbraio 2006, il Tribunale
di Viterbo con ordinanza del 26.10.2006,
inedita; il Tribunale di Chieti con sentenza del
13 febbraio 2007.
(80) Così Trib. Patti sez. dist. di Sant’Agata
Militello, 17 settembre 2004, in D&G Dir. e
Giust. 2004, f. 47, 87, con nota di Rossetti.
(81) STILO, La lesione della reputazione
commerciale del debitore e la rilevazione
centralizzata dei rischi creditizi, cit.
(78) Poiché “omette di pubblicizzare un
elemento che, in quanto, rafforza l'aspettativa
di adempimento delle obbligazioni, costituisce
un dato innegabilmente positivo al fine di
valutare la solvibilità e l'affidamento del
debitore”.
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di dati comunicati da altri è stata
affermata anche con riguardo alle Camere
di Commercio per i protesti illegittimi.(82)
Secondo una terza posizione della
giurisprudenza di merito, la Banca d’Italia
non sarebbe legittimata passiva ai sensi
dell’art. 700 C.P.C., ma potrebbe esser
convenuta con lo speciale rimedio
previsto dal codice della privacy per la
rettifica o cancellazione dei dati personali
(83). Ed in effetti, come abbiamo in
precedenza indicato la recente sentenza
della Corte di Cassazione del 1° aprile
2009, partendo dal presupposto che l’art.
8 del codice della privacy, anche se con
motivazione
non
particolarmente
esaustiva, ha escluso l’applicabilità
all’ente gestore solo di parte del codice
della privacy ex art. 8, confermando la
legittimazione passiva Banca d’Italia
rispetto all’azione prevista dall’art. 152
cod. privacy.(84)
Nell’attuale versione delle Istruzioni, il
problema appare superato, in quanto si
indica
espressamente
che
<<
gli
intermediari devono ottemperare senza
ritardo agli ordini dell’Autorità giudiziaria
riguardanti le segnalazioni trasmesse alla
Centrale dei rischi (ad es. ordine di
cancellazione di una sofferenza). Ove
l’ordine sia impartito alla Banca d’Italia,
quest’ultima chiede prontamente tramite
posta elettronica certificata (PEC) o a
mezzo fax all’intermediario che ha
effettuato la segnalazione di provvedere tempestivamente e comunque entro i tre
giorni lavorativi successivi a quello della
richiesta - alla rettifica e all’eventuale
riclassificazione della posizione oggetto di
accertamento.
In
caso
d’inerzia
dell’intermediario, la Banca d’Italia
provvede d’iniziativa entro il giorno
disciplina rilevante in materia di trattamento di
dati personali e della segnalazione al fine di
sollecitare un controllo della disciplina
medesima (art. 141, lett. a e b).
La conseguenza è quella dell'applicabilità delle
norme generali in tema di trattamento dei dati
di cui all'art. 11 («1. I dati personali oggetto di
trattamento sono: a) trattati in modo lecito e
secondo correttezza; b) raccolti e registrati per
scopi determinati, espliciti e legittimi, ed
utilizzati in altre operazioni del trattamento in
termini compatibili con tali scopi; c) esatti e, se
necessario, aggiornati; d) pertinenti, completi e
non eccedenti rispetto alle finalità per le quali
sono raccolti o successivamente trattati; e)
conservati in una forma che consenta
l'identificazione dell'interessato per un periodo
di tempo non superiore a quello necessario agli
scopi per i quali essi sono stati raccolti o
successivamente trattati. 2. I dati personali
trattati in violazione della disciplina rilevante
in materia di trattamento dei dati personali non
possono essere utilizzati») e in tema di
responsabilità per i danni cagionati per effetto
del trattamento di cui all'art. 15 («1. Chiunque
cagiona danno ad altri per effetto del
trattamento di dati personali è tenuto al
risarcimento ai sensi dell'articolo 2050 del
codice civile. 2. Il danno non patrimoniale è
risarcibile anche in caso di violazione
dell'articolo
11»).>>
(82) In questo senso Tribunale di Torre
Annunziata del 7.11.2006; contra Tribunale di
Nola del 17.02.2006.
(83) V. però Tribunale di Patti, 16 maggio 2005,
in D&G Dir. e Giust. 2005, f. 35, 24, secondo
cui “Colui il quale si dolga della illegittima
segnalazione dei propri dati personali alla
Centrale Rischi gestita dalla Banca d’Italia, può
domandare in via cautelare, ai sensi dell’art.
700 c.p.c., la rettifica dell’annotazione nei
confronti
dell’intermediario
che
l’ha
effettuata, ma non nei confronti della Banca
d’Italia; nei confronti di quest’ultima, infatti,
qualsiasi diritto non può essere fatto valere con
lo strumento residuale di cui all’art. 700 c.p.c.,
ma soltanto col procedimento espressamente
previsto a tal fine dall’art. 152 d.lg. 196/03).
(84) Afferma, infatti, la Corte che <<la Banca
d'Italia, in relazione al trattamento dei dati
personali effettuato dalla Centrale Rischi, non è
estranea all'applicazione del codice in esame,
essendo esclusi soltanto alcuni rimedi altrimenti
a disposizione dell'interessato, come la tutela
amministrativa (Sezione II del codice) e quella
definita dal codice come «tutela alternativa a
quella giurisdizionale» (Sezione III), mentre
resta applicabile, ovviamente, la tutela
giurisdizionale di cui al Capo II (art. 152) oltre a
quella dinanzi al Garante nelle forme del
reclamo per rappresentare una violazione della
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La rettifica di dati errati o di
mutamenti di status avviene, secondo le
Istruzioni, ad opera dell’intermediario:<<
Gli intermediari sono tenuti a controllare
le segnalazioni di rischio trasmesse alla
Banca d’Italia e a rettificare di propria
iniziativa le segnalazioni errate o
incomplete riferite alla rilevazione
corrente e a quelle pregresse.>> (Cap. I,
Sez. I, par. 5)
In conclusione, l’ente gestore non è il
legittimato passivo, principale, non è
litisconsorte necessario. L’ordinanza del
giudice, nel caso di estraneità della Bnca
d’Italia al giudizi, avendo efficacia inter
partes vincola l’intermediario convenuto,
ma
quest’ultima
è
tenuta
dalle
disposizioni sulla Centrale dei Rischi a
recepire la segnalazione di rettifica
dell’intermediario
o
a
provvedervi
direttamente in caso di inerzia.
seguente a quello di scadenza del
predetto termine e avvia la procedura per
l’irrogazione delle sanzioni di cui all’art.
144 del T.U.B. nei confronti dell’ente
segnalante.>>(Cap. 1, Sez. 5).
Sebbene, quindi, sia principalmente
tenuto l’ente segnalante alla rettifica,
qualora vi sia un ordine dell’autorità
giudiziaria rivolto alla Banca d’Italia,
questa può sostituirsi alla banca
inadempiente. Risulta evidente, quindi,
che la Banca d’Italia sia che la Banca
d’Italia possa essere convenuta in giudizio
sia che essa possa essere considerata
responsabile del ritardo nella rettifica
quando
non
effettui
l’intervento
sostitutivo previsto.
Nonostante l’intervento della Banca
d’Italia appaia collegato alla sua
partecipazione al giudizio, deve ritenersi
che, avendo espressamente un potere di
manipolazione dei dati inseriti dai
partecipanti, anche quando essa, invece,
sia rimasta estranea al giudizio, possa
invitare
la
banca
segnalante
ad
ottemperare all’ordine dell’autorità ed, in
caso di inadempienza, possa effettuare
direttamente la rettifica (la stessa
circolare peraltro ricorda che, ancorché
appellabili si tratta di provvedimenti
esecutivi).
Resta escluso, invece, che la Banca
d’Italia possa procedere direttamente alla
rettifica, senza che sia previamente
interpellato il soggetto che effettua la
valutazione
dei
presupposti
della
segnalazione, inserisce i dati e ne
risponde
della
correttezza;
presumibilmente, a fronte di una istanza
di rettifica o cancellazione non assistita
da
provvedimento
giudiziario,
può
attivarsi per verificare la correttezza
della segnalazione ed invitare a procedere
alla stessa, ma comunque, non avendo
alcun rapporto diretto con il cliente, non
può effettuare modifiche dei dati secondo
valutazioni diverse da quelle della banca
che li ha inseriti.
5. La tutela di merito.
La riforma del codice di procedura
civile
del
2006,
attenuando
la
provvisorietà dei provvedimenti cautelari
anticipatori come l’art. 700 c.p.c. ha reso
ammissibile la restrizione dell’iniziativa
giudiziaria alla sola domanda cautelare di
cancellazione della segnalazioneo del
protesto, senza dover necessariamente
azionare il successivo giudizio di merito.
Quando quest’ultimo viene, invece,
attivato, il cliente che contesta una
segnalazione o pubblicazione, chiede il
risarcimento del danno.
L’esame delle pronunce in materia di
risarcimento del danno impone una
distinzione dei profili implicati dalle
diverse domande azionate.
Appare
opportuno, infatti, procedere rispettando
un certo ordine logico: a) definendo i
diritti che i clienti assumono come lesi
dalla
segnalazione
illegittima;
b)
distinguendo tra danno patrimoniale e non
patrimoniale; c) delineando la natura
della responsabilità contrattuale ed
extracontrattuale
connessa
alla
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segnalazione; d) fissando i criteri di prova
e di liquidazione del danno.
Per contro la giurisprudenza di
legittimità ha di recente affermato che
<<La semplice illegittimità del protesto,
pur costituendo un indizio quanto
all'esistenza di un danno alla reputazione,
da
valutare
nelle
sue
diverse
articolazioni, non è di per sé sufficiente
per la liquidazione del danno medesimo,
essendo necessarie la gravità della lesione
e la non futilità del pregiudizio
conseguente: elementi, questi, che
possono essere provati anche mediante
presunzioni semplici, fermo restando
l'onere del danneggiato di allegare gli
elementi di fatto dai quali possa
desumersi l'esistenza e l'entità del
pregiudizio.>> ( Cassazione civile sez. I,
23 giugno 2010, n. 15224, Resp. civ. e
prev. 2010, 11, 2246 )
5.1. I diritti lesi dalle segnalazioni
illegittime e la natura del danno.
Non sempre la giurisprudenza di
merito procede ad una verifica analitica
della natura del diritto invocato e del
pregiudizio che si assume arrecato allo
stesso, ricorrendo spesso alla figura del
danno in re ipsa (85) nei casi di erronea
elevazione del protesto, di illecite
comunicazioni alla Centrale di Allarme
Interbancaria (C.A.I.) ed alla Centrale dei
rischi. Si afferma spesso, infatti, che <<il
danno per l’imprenditore segnalato
consiste nella lesione della reputazione
commerciale e ben può liquidarsi
equitativamente ed indipendentemente
dalla prova di un concreto nocumento agli
interessi commerciali e patrimoniali del
soggetto leso>> (86‘87).
Nel lessico giurisprudenziale si fa
riferimento al pregiudizio di beni diversi
come la reputazione commerciale (88), la
reputazione personale (89), la lesione del
diritto di impresa (90), la responsabilità da
informazioni
inesatte
(91).
Come
correttamente riconosce la giurisprudenza
di
legittimità, la divulgazione
di
informazioni errate sulla solvibilità del
debitore “si risolve in una più complessa
vicenda, di indubitabile discredito, tanto
(85) v. Tribunale Milano, ord. 19 febbraio 2001,
cit., e Tribunale Lecce, Sezione distaccata di
Campi Salentina, 3 novembre 2005, in
www.altalex.com.
(86) Tribunale Milano, 27 luglio 2004; conforme
Tribunale di Cantù del 24.12.2006 e Tribunale
di Pescara ordinanza del 21 dicembre 2006.
(87) Già in precedenza si era affermato che
<<L’accertamento di una lesione della
onorabilità della persona determina in re ipsa
anche l’accertamento di un danno risarcibile,
da
liquidarsi
equitativamente
indipendentemente dalla prova di un concreto
nocumento agli interessi commerciali e
patrimoniali del soggetto leso>> Trib. Milano,
ord. 19 febbraio 2001, in Giur. it., 2002, 334;
Tribunale Milano, ord. 19 febbraio 2001;
Tribunale Lecce, Sezione distaccata di Campi
Salentina, 3 novembre 2005. In modo più
articolato la Corte di Cassazione (Sez. 1,
Sentenza n. 18316 del 30/08/2007 - Rv.
598531) sostiene che <<In tema di levata
illegittima del protesto, al risarcimento dei
danni cagionati dal protesto per la pubblicità
"ipso facto" conferita all'insolvenza del debitore
e conseguente discredito tanto personale
quanto patrimoniale (anche sotto il profilo della
lesione dell'onore e della reputazione al
protestato come persona, a prescindere dai suoi
interessi
commerciali),
senza
che
al
danneggiato incombesse l'onere di provare la
esistenza del pregiudizio, poiché il protesto
illegittimo e non seguito da una efficace
rettifica è risultato lesivo di diritti della
persona).>>
(88) Trib. Potenza 4 maggio 2001.
(89) Tribunale di Foggia, ord. del 19 dicembre
2003, ad esempio, fa riferimento al diritto
all’immagine
ed
alla
reputazione
(in
www.dirittobancario.it).
(90) Tribunale Palermo 4 novembre 2002;
Tribunale di Foggia 19 marzo 2004, in
www.dirittobancario.it.
(91) Tribunale di Milano, ord. 19 febbraio 2001,
in Giur. it., 2002, 334 con nota di Salinas.
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personale quanto patrimoniale” (92); una
condotta potenzialmente plurioffensiva
che può pregiudicare interessi diversi, a
seconda dell’attività esercitata dal cliente
e della sua personalità. (93)
reputazione personale dalla lesione alla
reputazione commerciale, precisa che
quest’ultima assume una valenza di tipo
patrimoniale: nel primo caso è il danno è
in re ipsa, mentre nel secondo, qualora
sia dedotta specificamente <<una lesione
della reputazione commerciale” per
effetto dell'illegittimità del protesto,
quest'ultima costituirà semplice indizio
dell'esistenza
di
un
danno
alla
reputazione, da valutare nel contesto di
tutti gli altri elementi della situazione cui
inerisce.>> (95). Una distinzione che ha
seguito anche nella giurisprudenza di
merito.(96)
A seconda della natura del diritto leso,
muta il criterio di accertamento del
danno ed i presupposti della sua
risarcibilità. La Corte di Cassazione (94),
distinguendo la lesione dell’onore e della
(92) Cass. civ., sez. I del 28 giugno 2006 n. n.
14977, in Giust. civ. Mass. 2006, 6; Resp. civ.
e prev. 2007, 3, p. 545, con nota di
Scognamiglio; conforme sul punto Cass. civ.
sez. I, 30 agosto 2007 n. 18316 in Giust.
civ. 2008, 12, 2863, con nota di Francisetti
Brolin); in termini analoghi Cass. civ., Sez. I^,
sent. n. 11103 del 05/11/1998 (Rv. 520382).
(93) Cass. civ., Sez. I del 28 giugno 2006: n.
14977, in Giust. civ. Mass. 2006, 6; Resp. civ.
e prev. 2007, 3, 545 con nota di Scognamiglio);
conforme sul punto Cass. civ. sez. I, 30 agosto
2007 n. 18316 in Giust. civ. 2008, 12, 2863,
con nota di Francisetti Brolin); in termini
analoghi Cass. civ., Sez. I^, sent. n. 11103 del
05/11/1998
(Rv.
520382),
cit.
Per
l’orientamento giurisprudenziale che nel caso di
illegittima levata di protesto cambiario
riconosce la risarcibilità del danno: Cass. 5
luglio 2007 n. 15217; Cass. 7 febbraio 2007 n.
2711; Cass. 18 aprile 2007 n. 9233; Cass. 28
giugno 2006 n. 14977; Cass. 30 marzo 2005 n.
6732 (in Banca, borsa, 2006, 699; in Resp. civ.
prev., 2005, 709, con nota di ZIVIZ, Danno non
patrimoniale: i pericoli dell'indeterminatezza);
per alcuni orientamenti di merito:
Trib.
Pescara 27 settembre 2007; Trib. Modena 13
settembre 2007, Trib. Bari 6 febbraio 2007, in
Guida al diritto 2007, n. 25, p. 51; Trib. Palmi
20 aprile 2005, in Corr. merito, 2005, 884.;
Trib. Bari 1° luglio 2004; Trib. Modena 2 marzo
2004; Trib. Vallo Lucania 22 ottobre 2003, in
Giur. merito, 2004, 893; Trib. Salerno 20 agosto
2003, ivi, 2003, 2414; Trib. Roma 11 agosto
2003; Trib. Roma 11 agosto 2003, entrambe ivi,
2414; Cass. 23 marzo 1996 n. 2576, ivi, 1996,
320, con nota di CARBONE, Il protesto, la
riabilitazione, il risarcimento; in Banca, borsa,
1997, 382, con nota di MARTORANO, Le mobili
frontiere del danno alla salute: lo shock da
protesto illegittimo).
(94) Cass. Sez. 1, Sent. n. 11103 del 05/11/1998
(Rv. 520382).
(95) Conformi Cass. Sez. III, Sentenza n. 4881
del 03/04/2001 (Rv. 545458), Cass. Sez. III,
Sentenza n. 2576 del 23/03/1996 (Rv.
496541); conforme riguardo alla necessità di
prova per il danno commerciale Cass. Sez. III,
Sentenza n. 2679 del 26/03/1997 (Rv.
503277): <<La pubblicazione nell'apposito
bollettino delle Camere di commercio di un
protesto cambiario illegittimo non può di per se
considerarsi produttiva di danno per lesione
della reputazione commerciale del protestato;
il quale, pertanto, ove chieda giudizialmente il
ristoro di detto specifico pregiudizio, ha l'onere
di
provare,
eventualmente
anche
con
presunzioni,
le
sfavorevoli
conseguenze
patrimoniali derivategli dalla pubblicazione del
protesto (quali ad es. la necessità di rivolgersi a
finanziatori privati a seguito di sospensione
degli affidamenti bancari, o l'interruzione di
forniture o di trattative commerciali) e solo ove
abbia fornito tale prova può invocare in proprio
favore l'uso da parte del giudice del potere di
liquidazione equitativa del danno.>>
(96) Il Tribunale di Cantù del 24.12.2006, <<la
lesione della reputazione personale esime il
soggetto leso dall'onere di fornire in concreto la
prova del danno in quanto questo viene
considerato in re ipsa e che legittima pertanto
il diritto al risarcimento senza che incomba sul
danneggiato l’onere di fornire la prova
dell’esistenza del danno distingue il danno alla
reputazione personale dal danno all'attività
imprenditoriale che deve essere provato
accogliendo la domanda di risarcimento per il
danno alla reputazione e all'immagine patito
33
Il contenzioso bancario e degli intermediari finanziari
Pasquale Serrao d’Aquino
Consiglio Superiore della Magistratura - 9° Commissione – Tirocinio e Formazione Professionale
Incontro di studio in materia civile riservato ai magistrati nominati con D.M. 2/10/2009.
___________________________________________________________________________________________________________
Alcuni autori (102) hanno evidenziato
che il pregiudizio patrimoniale in caso di
illegittimo protesto consiste in una lesione
nella
determinazione
della
libertà
negoziale dell'individuo, dovuta alle
difficoltà a conseguire credito monetario
presso i consueti (e legali) canali di
finanziamento ed il rischio di esclusione
da futuri rapporti giuridici patrimoniali.
Resta però un’incertezza di fondo
riguardo alla reputazione commerciale
perché non si definisce correttamente il
rapporto tra reputazione personale ed
economica. In diverse decisioni, il
riferimento
è
al
pregiudizio
alla
<<reputazione commerciale ed allo
svolgimento dell’attività economica sul
mercato>> (Tribunale Roma, 5 agosto
1998) (97). In un altro caso (98) si è
sottolineato come l’erronea segnalazione
può comportare difficoltà insormontabili
nell’accesso al credito bancario e la
revoca di quello già concesso, con
possibili effetti di alterazione del mercato
creditizio ed imprenditoriale, ledendo il
regime della libera concorrenza, in
qualche modo rifacendosi ad una
<<lesione del diritto di impresa>> ed alla
libertà di iniziativa economica sancita
dall’art. 41 Cost. (99), espressamente
richiamate in altre pronunce (100).
La pluralità di situazioni soggettive
individuate dalla giurisprudenza e la
mancanza
di
univoci
orientamenti
dottrinali,
rendono
opportuno
un
approfondimento.
La reputazione individuale, così come
il diritto all’immagine, intesa come
<<sentimento che altri hanno di un
determinato soggetto>> o come <<dignità
e prestigio di un soggetto determinato in
un certo contesto>> rientra certamente
tra i diritti della persona (103).
La dottrina ha osservato che le
pronunce
di
merito
non
offrono
un’adeguata distinzione concettuale tra la
lesione della libertà economica e gli
effetti
della
lesione
reputazione
commerciale
dell’imprenditore
sul
versante
dei
rapporti
con
altri
imprenditori e le banche (101).
(102) FRANCISETTI BRIOLIN, nota a Cass. civ. sez. I,
30 agosto 2007 n. 18316
in
Giust.
civ. 2008, cit., p. 2863 ss.
(103) Possiamo rimandare alle considerazioni
della Corte di Cassazione, secondo cui <<In
tema di diritti della personalità umana, esiste
un vero e proprio diritto soggettivo perfetto
alla reputazione personale anche al di fuori
delle ipotesi espressamente previste dalla legge
ordinaria, che va inquadrato nel sistema di
tutela costituzionale della persona umana,
traendo nella Costituzione il suo fondamento
normativo(Corte cost. 184/1986, 479/87), in
particolare nell'art. 2 (oltre che nell'art. 3, che
fa riferimento alla dignità sociale) e nel
riconoscimento dei diritti inviolabili della
persona. L'art.2 Cost., nell'affermare la
rilevanza costituzionale della persona umana in
tutti i suoi aspetti, comporta che l'interprete,
nella ricerca degli spazi di tutela della persona,
è legittimato a costruire tutte le posizioni
soggettive idonee a dare garanzia, sul terreno
dell'ordinamento positivo, ad ogni proiezione
della persona nella realtà sociale, entro i limiti
in cui si ponga come conseguenza della tutela
dei diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo
sia nelle formazioni sociali nelle quali si esplica
dall’attrice quale correntista della banca (nella
misura di € 2.000) essendo lo stesso considerato
in re ipsa, e rigettando il danno patrimoniale
non potendo invece essere risarcito alcun altro
danno non essendo stata fornita la prova dello
stesso.>>
(97) Tribunale Roma, 5 agosto 1998, in Banca
Borsa tit. cred. 1999, II, 459-460.
(98) Il Tribunale Brindisi, 20 luglio 1999, in
Giust. civ., 2000, I, p. 555 ss.
(99) V. sul punto VENDITTI, Diligenza e
responsabilità nella segnalazione di crediti in
sofferenza alla Centrale dei rischi, cit. , pp.
98-99.
(100) Tribunale Palermo 4 novembre 2002;
Tribunale di Foggia 19 marzo 2004, in
www.dirittobancario.it.
(101) VENDITTI, op. cit., p. 100, GIUSTI, op. cit. p.
581.
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Più articolato è il discorso relativo alla
reputazione commerciale, intesa come
<<considerazione sociale delle capacità e
qualità dell’individuo connessa alle
attività da questi concretamente svolta>>.
(104)
Altri
autori
hanno
parlato
di
reputazione economica precisando che il
quadro di riferimento potrebbe essere
costituito dalle norme in materia di
concorrenza sleale (art. 2598, n. 2 c.c.),
ma osservando, al tempo stesso, che in
quella sede vengono sanzionati atti di
denigrazione esclusivamente se commessi
da un imprenditore a danno di altro
imprenditore concorrente e se essi
consistono in un’attività di <<diffusione>>
di apprezzamenti e notizie di un
concorrente, idonea a determinarne
discredito. Per questa ragione si è
ritenuto che la reputazione economica
possa essere tutelata, non con l’illecito
anticoncorrenziale, ma con gli strumenti
previsti per la tutela dell’onore della
persona (106), con la sola specificità di un
accentuato aspetto di danno economico
nella sua lesione (107).
Innanzitutto, secondo qualcuno non
esiste un diritto unitario dell’imprenditore
alla reputazione economica, ma esiste, da
un lato, il diritto all’onore commerciale,
dall’altro, il diritto a non vedere
screditare i propri prodotti (105).
la sua personalità. L'espresso riferimento alla
persona come singolo rappresenta certamente
valido fondamento normativo per dare
consistenza di diritto alla reputazione del
soggetto, in correlazione anche all'obiettivo
primario di tutela "del pieno sviluppo della
persona umana", di cui al successivo art. 3 cpv.
Cost. (implicitamente su questo punto Corte
Cost. 3 febbraio 1994, n. 13). Infatti,
nell'ambito dei diritti della personalità umana,
con fondamento costituzionale, il diritto
all'immagine,
al
nome,
all'onore,
alla
reputazione, alla riservatezza non sono che
singoli aspetti della rilevanza costituzionale che
la persona, nella sua unitarietà, ha acquistato
nel sistema della Costituzione. Trattasi quindi
di diritti omogenei essendo unico il bene
protetto.>> (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 6507 del
10/05/2001 (Rv. 546572).
Altri ancora, invece, ritengono che,
visto che l’immagine professionale è
aspetto cardine della sua professionalità,
la
reputazione
economica
invece, un diritto alla reputazione economicadiritto della personalità espressione del diritto
assoluto all’onore (diritto a non vedersi diffusi
riferimenti personali negativi riguardo alle
proprie qualità imprenditoriali) ed un diritto
alla
reputazione
economica-capacità
di
guadagno, costituito dall’interesse patrimoniale
a non veder ridotto il proprio volume di affari
ed espressione generale della libertà di
iniziativa economica (pag. 80).
(104) Cfr. sul punto, DI AMATO, Il danno da
informazione economica, Napoli 2004, p. 37 ss.;
V. ZENO-ZENCOVICH, Onore e reputazione nel
sistema del diritto civile, Napoli 1985, 141 ss.;
ALPA, Lesione della reputazione economica e
circolazione di notizie inesatte, in Resp. civ.
prev., 1979, 747 ss.; GIULIANI, La tutela
aquiliana della reputazione economica, in
Contratto, impresa, 1985, 73 ss.; PANTALEONI,
Rassegna di giurisprudenza in tema di
reputazione economica, in Riv. dir. comm.,
1996, II, 263 ss.); MARCHESE, La reputazione
economica, in Gli interessi protetti nella
responsabilità civile, a cura di Cendon, vol. II,
Torino, 2005.
(106) DI AMATO, Sulla reputazione economica
dell’imprenditore, in Giur. civ., 1973, p.825;
AUTERI, La tutela della reputazione economica,
in ALPA, BESSONE, BONESCHI, CAIAZZA,
L’informazione e i diritti della persona,
Napoli, 1983, p. 93 ss.
(107) Dovendosi trovare un punto di equilibrio
tra libertà di informazione e diritto di critica,
da un lato, e reputazione economica dall’altro,
una comparazione di interessi rilevante in base
alla clausola generale dell’illecito aquiliano e
da valutarsi vagliando la diligenza sul controllo
della fonte sui fatti riferiti (AUTERI, La tutela
della reputazione economica, cit., pp. 104106.)
(105) GIULIANI, La tutela aquiliana della
reputazione economica, in Contratto ed
impresa, cit., 1985, p. 73 ss. Esisterebbe,
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rappresenterebbe
un
diritto
della
personalità di valenza anche patrimoniale
(108). La reputazione, anche solo
commerciale, tramite gli art. 2, 3, 32, 36
Cost. sarebbe oggetto di copertura
costituzionale (quella commerciale anche
sotto il profilo dell’art. 41 Cost),
soprattutto
per
il
suo
possibile
collegamento con la dignità della persona
(109) e potrebbe essere inquadrata una
figura non nominata, consistente nel
diritto soggettivo alla buona reputazione
professionale. (110)
patrimoniale (es. riduzione della clientela
attenta a tali temi).(112)
La
reputazione
economica
dell’imprenditore è uno dei fattori
dell’avviamento
(113),
consente
di
mantenere ed incrementare fornitori,
affidamenti
bancari,
clientela.
Il
discredito commerciale può portare sia ad
una rottura delle relazioni commerciali in
atto sia alla perdita di nuove opportunità:
sia che si tratti di danno emergente che di
lucro cessante o, se si vuole, di vera
propria perdita di chances commerciali
(opportunità economiche già sviluppate e
quelle ancora da sfruttarsi), comunque il
pregiudizio
è
di
carattere
114
patrimoniale.( )
La giurisprudenza di legittimità, in casi
di inapplicabilità dell’art. 2598 c.c., ha
ritenuto risarcibili i pregiudizi all’attività
economica derivanti da comportamenti
scorretti in quanto lesivi del diritto
all’integrità del patrimonio, tutelata ex
art. 2043 c.c. (111).
Sia si riporti la cd. reputazione
commerciale nel diritto all’integrità del
patrimonio, sia che si ricolleghi l’interesse
dell’imprenditore a non subire una
riduzione o un mancato sviluppo della
propria attività economica alla libertà di
iniziativa economica costituzionalmente
tutelata, la risarcibilità della lesione trova
fondamento nell’art. 2043 c.c.
Certamente
la
reputazione
commerciale dell’imprenditore assume
diverse forme, potendo essa riguardare
sia l’impresa (rispettabilità come debitore
di obbligazioni pecuniarie, affidabilità
creditizia), sia i prodotti sia anche aspetti
non patrimoniali (es. che si tratti di
un’impresa rispettosa dell’ambiente),
anche se suscettibili di pregiudizio
(112)
CIPRIANI,
Dall’identità
personale
all’identità commerciale, in Riv. dir. comm.,
1997, I, 267-295; DI AMATO, Sulla reputazione
economica dell’imprenditore, cit.,p. 825;
PANUCCIO, La lesione della c.d. identità
commerciale e la tutela non patrimoniale, in
AA.VV., La lesione dell’identità personale e il
danno non patrimoniale, cit., p. 93 ss.;SANTINI, I
diritti della personalità nel diritto industriale,
Padova,
1959.
Giuliani, La tutela aquiliana della reputazione
economica, cit., 73 ss.
(108) PANTALEONI, Rassegna di giurisprudenza in
tema di reputazione economica, cit. 265.
(109) M. FRANCISETTI BRIOLIN, op. cit., 2863. Va
ricordato, infatti, che secondo la tesi
maggioritaria il novero dei diritti della
personalità è sorretto da un principio di
tendenziale atipicità in virtù della clausola
generale di cui all'art. 2 cost. che fa riferimento
ai «diritti inviolabili» dell'individuo. Si veda in
proposito PERLINGIERI, La personalità umana
nell'ordinamento giuridico, Napoli 1972, 183
ss.; ID., Il diritto civile nella legalità
costituzionale, 3ª ed., Napoli 2006, 719 ss.
(113) In termini analoghi già AUTERI, La tutela
della reputazione economica, cit., p. 94.
(114) Per reputazione economica nella duplice
nozione di espressione di un diritto della
personalità e di reputazione economica relativa
alla capacità di guadagno (GIULIANI, La tutela
aquiliana della reputazione economica, cit., p.
73 ss).
(110) FRANCISETTI BRIOLIN, op. cit., p. 2863.
(111) Cass. 25.07.1987, in NGCC, 1987, I, p. 390.
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Essa
non
può,
invece,
essere
considerata come autonomo diritto della
persona, essendo indimostrata l’autonoma
esistenza di diversi profili reputazionali
dell’individuo nel quadro costituzionale; è
solo un’eventuale articolazione, di
rilevanza descrittiva, del diritto alla
reputazione personale dell’individuo (o
anche lo stesso diritto all’identità
personale),
qualora
l’attività
professionale caratterizzi in modo molto
significativo la vita del cliente.
Se, invece, si esclude l’applicabilità
dell’art.
15,
l’inquadramento
costituzionale del diritto alla reputazione
(personale
ed
economica)
diviene
rilevante dopo l’intervento delle Sezioni
Unite in materia di risarcibilità del danno
esistenziale e del danno non patrimoniale
in genere (Cass. 26972 del 2008). Poiché,
infatti, le Sezioni Unite sostengono che
solo il danno patrimoniale è atipico,
mentre il danno non patrimoniale è tipico
perché risarcibile solo se vi è espressa
previsione normativa oppure se attiene a
diritti inviolabili individuati dal giudice
(116), l’appartenenza a quest’ultima
categoria
del
diritto
leso
dalla
segnalazione diviene determinante per la
sua risarcibilità. Ed, in effetti, le stesse
Sezioni Unite includono nella tutela
minima dei diritti costituzionali anche i
diritti alla reputazione, all’immagine, al
nome, alla riservatezza, considerati
inviolabili perché riguardanti la dignità
5.2. La risarcibilità del danno.
L’art. 15 del codice della privacy
prevede che <<Chiunque cagiona danno ad
altri per effetto del trattamento di dati
personali è tenuto al risarcimento ai sensi
dell'articolo 2050 del codice civile. 2. Il
danno non patrimoniale è risarcibile
anche in caso di violazione dell'articolo
11>>.
L’applicabilità di tale norma a tutte le
segnalazioni inerenti il merito creditizio
comporta la risarcibilità qualsiasi danno,
anche non patrimoniale, determinato
dall’illegittima segnalazione. Ed, in
effetti, come recentemente sostenuto
dalla citata sentenza della Corte di
Cassazione del 1° aprile 2009, che la
deroga prevista dall’art. 8, comma 2 lett.
d) riguarda solo i diritti previsti dall’art.
7, e non l’intero codice della privacy. (115)
normativa sulla privacy (al tempo della
pronuncia art. 9 e 29, comma 9 l. 675 del
2009).
(116) L’art. 2059 c.c., secondo l’impostazione
delle Sezioni Unite non regola un’autonoma
fattispecie di illecito. I requisiti costitutivi
dell’illecito (condotta, nesso di causalità,
danno ingiusto consistente nella lesione non
giustificata di interessi meritevoli di tutela e
del danno che ne consegue - dannoconseguenza) sono regolati, invece, dall’art.
2043 c.c. L’art. 2059, però, regola i danni non
patrimoniali mediante rinvio alle leggi che
stabiliscono la risarcibilità degli stessi (art. 185
c.p.c. ed altri casi tipici di compromissione di
valori personali). Non può attribuirsi rilevanza,
nell’ambito del danno non patrimoniale a
qualsiasi
bene
giuridicamente
rilevante,
perché, sostanzialmente ciò significa riportare
il danno non patrimoniale al principio di
atipicità previsto dall’art. 2043 c.c. Il carattere
aperto dei diritti della persona riconosciuto
dall’art. 2 cost. consente, nell’ambito di un
processo evolutivo, di rinvenire nel complessivo
sistema costituzionale, indici che consentano di
elevare nuovi interessi emersi nella realtà
sociale ad interessi di rango costituzionale
attenendo a posizioni inviolabili della persona.
(115) Ad esempio, il Tribunale di Orvieto con
sentenza del 25 novembre 2002 (in Danno e
resp. 2003, 281.) ha affermato la responsabilità
extracontrattuale della banca, ex artt. 2043 e
2050 c.c., in un caso di illegittimo svolgimento
di indagini sulla solvibilità ha riconosciuto il
risarcimento del danno ai sensi dell’art. 2043
c.c. <<comprensivo
non solo dei danni
patrimoniali in senso stretto, ma anche di tutti i
danni derivanti dalla lesione di diritti di
rilevanza costituzionale e che rilevano per il
solo fatto della lesione, prescindendo dal
concreto pregiudizio patrimoniale>>; il danno
non
patrimoniale
ex
art.
2059
c.c.
<<consistente nell’ingiusto turbamento dello
stato d’animo conseguenza dell’offesa subita>>;
il danno non patrimoniale riconosciuto dalla
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della persona tutelata dagli artt. 2 e 3
Cost. (117,118)
Per tirare le fila del discorso, se vi è
lesione della reputazione personale, non
vi è dubbio che il danno derivante da
illecito aquiliano sia risarcibile. L’attuale
indirizzo della Corte di Cassazione
consente la liquidazione equitativa, ma a
condizione che esso sia comunque
provato, precludendosi ogni automatismo
risarcitorio
del
danno
non
patrimoniale.(119)
Se,
invece,
per
reputazione
commerciale, si intende un profilo
dell’avviamento commerciale, si tratterà,
ai sensi dell’art. 2043 c.c. di provare il
danno e di determinarlo, senza alcuna
preclusione risarcitoria.(120)
La questione, tuttavia, potrebbe
trovare
un’ulteriore
significativa
semplificazione se si considera che
ordinariamente la segnalazione avviene
nell’ambito di un rapporto contrattuale.
L’art. 1174 c.c., infatti, nel descrivere il
carattere patrimoniale della prestazione,
precisa che essa può corrispondere ad un
interesse, anche non patrimoniale, del
creditore,
evidenziando
che
l’inadempimento
contrattuale
può
riverberarsi su momenti della vita del
creditore non suscettibili di valutazione
economica. Resta il fatto, però che la
segnalazione rappresenta un atto della
banca che non riguarda l’esecuzione della
prestazione principale della banca (v.
infra.)
In concreto, pur essendo risarcibili
anche i danni non patrimoniali, la
possibilità una lesione alla reputazione
personale o all’onore da parte di una
segnalazione a sofferenza appare, però,
meno probabile di quanto le sentenze
lascino intendere. Ciò non solo perché la
società attuale è molto lontana dalla
concezione dell’arresto per debiti ed, in
genere, dall’idea del discredito personale
derivante dall’insuccesso dell’attività
economica
(si
pensi
alla
mutata
concezione del fallito rispetto al tempo
dell’emanazione della legge fallimentare
del 1942), ma soprattutto perché la
segnalazione del credito a sofferenza
riguarda
un
sistema
chiuso,
non
accessibile alla generalità dei cittadini e
che si limita ad una valutazione della
difficoltà ad adempiere. Si tratta, quindi,
di qualcosa di diverso dall’elevazione del
protesto, che sancisce erga omnes
l’inadempimento del debito cartolare.
Senza con questo voler appiattire il
sistema
valoriale
dell’ordinamento
rispetto al concreto svolgersi dei rapporti
sociali può dirsi che il pregiudizio di diritti
della personalità è improbabile, anche se
astrattamente possibile; inoltre, bisogna
aggiungere che esso deve essere
certamente provato, senza poter ricorrere
alcun sistema di presunzioni.
La segnalazione non è una prestazione
contrattuale, né è un adempimento
accessorio funzionale alla soddisfazione
dell’interesse della controparte, ma nasce
da un obbligo normativo, il cui
presupposto è rappresentato dal credito
della banca verso il cliente che risponde
(117) V. Sent. Cass. n. 25157 del 2008; v. anche
Corte Costituzionale, n. 233 del 2003, in Danno
e resp., 2003, 939.
(118) Quali il diritto alla salute ex. art. 32 Cost.,
ormai definito come danno biologico dal testo
unico delle assicurazioni (artt. 138 e 139 del
d.lgs. n. 209 del 2005); i diritti inviolabili della
famiglia (artt. 2, 29 e 30 Cost.) compromessi
dalla perdita o compromissione del rapporto
parentale per morte o grave invalidità del
congiunto); oltre, appunto, al diritto alla
reputazione.
(119) Alla stessa conclusione si giunge per la
reputazione professionale, se si aderisce
all’idea secondo cui anche tale dimensione
rientra tra i profili di realizzazione dell’essere
uomo e, quindi, al catalogo dei diritti della
personalità, in via autonoma, oppure come
espressione della dignità umana.
(120) Per reputazione economica nella duplice
nozione di espressione di un diritto della
personalità e di reputazione economica relativa
alla capacità di guadagno (GIULIANI, La tutela
aquiliana della reputazione economica, cit., p.
73 ss).
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alle
caratteristiche
previste
dalle
Istruzioni della Banca d’Italia. La banca,
prima della segnalazione è tenuta, oltre
alle cautele specificamente imposte dalle
Istruzioni, anche alle ulteriori precauzioni
collegate
ai
principi
generali
di
correttezza e buona fede, a copertura
costituzionale (art. 2 Cost.) che nascono
per il solo fatto di entrare in contatto con
un soggetto determinato (art. 1337 e 1338
c.c.) (121) e che permangono, non solo al
momento
del
perfezionamento
del
contratto, ma anche nella fase esecutiva
(art. 1175 e 1375 c.c.), la cui intensità
dipende anche dal carattere professionale
di una delle parti.
La responsabilità della banca, quindi,
è connessa all’inadempimento di obblighi
di protezione collaterali rispetto alla
prestazione principale
di origine non
contrattuale, sebbene essi assumano
comunque carattere contrattuale sia
secondo la tesi contatto sociale (122), sia
perché
si
ricorre
alla
figura
dell’inadempimento contrattuale per la
loro
violazione
successivamente
al
perfezionamento del negozio (123) sia
perché, ancora, si sostiene, comunque, la
natura contrattuale della responsabilità
per violazione di obblighi previsti da
norme di legge. (124)
6. Sintesi delle segnalazioni sul
merito creditizio.
Le segnalazioni alla CAI ed alla
Centrale dei rischi presuppongono la
preventiva informazione del cliente, non
la pubblicazione del protesto.
In caso di segnalazioni illegittime è
ammissibile la tutela cautelare, sebbene:
a) la distinzione tra soggetti imprenditori
e non imprenditori possa costituire un
indice
del
periculum,
dovendosi
concludere per la sua sussistenza solo in
presenza
di
precise
allegazione
supportate da indizi concreti; b) l’ordine
del giudice è di sospensione o
cancellazione temporanea e, nel caso
della Centrale dei rischi, anche di
rettifica della segnalazione stessa; c) i
dati non vanno cancellati mediante
elisione integrale degli stessi, ma, almeno
all’ente gestore deve risultare all’ente
gestore l’avvenuta rettifica e la data della
stessa; d) l’esperibilità del rimedio
giurisdizionale previsto dall’art. 152 cod.
privacy rende problematico il ricorso
all’art. 700 C.P.C. per difetto di
residualità.
Riguardo
alla
tutela
risarcitoria
bisogna
riscontrare:
a)
l’essenza di un autonomo diritto alla
reputazione commerciale a copertura
costituzionale, costituendo la stessa un
profilo dell’avviamento o rientrando nel
diritto
alla
reputazione
personale,
tendenzialmente non pregiudicato dalla
(121) Si veda di recente Cass. Sez. 1, Sent. n.
1618 del 22/01/2009 (Rv. 606271) secondo la
quale <<Il principio di correttezza e buona fede
nell'esecuzione del contratto, espressione del
dovere di solidarietà fondato sull'art. 2 della
Costituzione, impone a ciascuna delle parti del
rapporto obbligatorio di agire in modo da
preservare gli interessi dell'altra e costituisce
un dovere giuridico autonomo a carico di
entrambe, a prescindere dall'esistenza di
specifici obblighi contrattuali o di quanto
espressamente stabilito da norme di legge; ne
consegue che la sua violazione costituisce di
per sé inadempimento e può comportare
l'obbligo di risarcire il danno che ne sia
derivato. >>
(122) V. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 589 del
22/01/1999 (Rv. 522538), che parla anche di
<<obblighi senza prestazione>> richiamando la
tesi dottrinaria di <<un'obbligazione senza
prestazione ai confini tra contratto e torto>>,
decisione che afferma nello specifico del
medico, che la <<responsabilità professionale
nei confronti del paziente, ancorché non
fondata sul contratto, ma sul "contatto sociale"
ha natura contrattuale>>.
(123) V. in proposito Cass. Sez. Unite, Sentenza
n. 26724 del 2007.
(124) Nessun dubbio, invece, sul carattere
squisitamente aquiliano delle segnalazioni di
soggetti in base ad errori anagrafici, non
esistendo alcun contratto con il segnalato.
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mera segnalazione <<a sofferenza>>; b) il
collegamento della responsabilità della
banca con la violazione di obblighi di
protezione,
imposti
dal
dovere
solidaristico, così come dalle stesse
Istruzioni; b) la necessità di una prova del
pregiudizio
patrimoniale
e
non
patrimoniale subito, in ogni caso
risarcibile, anche mediante presunzioni.
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anatocistici (126) che esclude la validità
delle
clausole
di
capitalizzazione
127
trimestrale ( ), oltre dieci anni dalla
introduzione della norma inderogabile
della pari periodicità della loro eventuale
capitalizzazione, nonché dalla esplicita
previsione dell’esclusione della regola
dell’usurarietà cd. sopravvenuta degli
oneri passivi (128).
Da un lato, infatti, le cause bancarie
hanno ricevuto continua linfa dalla tesi
della decorrenza della prescrizione dalla
chiusura
del
rapporto,
che
ha
<<ibernato>> le domande restitutorie
aventi ad oggetto periodi precedenti (129);
dall’altro, tale flusso è alimentato anche
da più fattori metagiuridici:
•
dagli
impulsi
del
management bancario, che spinge
verso la conservazione dei profitti
anche in periodi di discesa dei tassi,
con incremento delle somme richieste
PARTE PRIMA
SEZIONE SECONDA
Questoni
attuali
in
tema
di
anatocismo, usura e commissione di
massimo scoperto
SOMMARIO.1. APPROVAZIONE DEL CONTO. 2.
ONERE DI CONTESTAZIONE SPECIFICA. 3.
OBBLIGAZIONE NATURALE. 4. PRESCRIZIONE.
4.1TERMINE. 4.2 TESI DELLA DECORRENZA DALLA
SINGOLA OPERAZIONE. 4.3. LA DECORRENZA DALLA
CHIUSURA DEL CONTO. 4.4. LA TESI MISTA DI CASS.
2.12.2010 N. 44418.
4.5. ASPETTI
5.
PROBLEMATICI
DEL
MILLEPROROGHE.
PATTUIZIONE SCRITTA DEGLI INTERESSI E RINVIO AGLI
USI SU PIAZZA. 5.1. CONTRATTO STIPULATO IN
DATA ANTERIORE LEGGE SULLA TRASPARENZA
BANCARIA. 5.2. L’ART. 117 E LA INDIVIDUAZIONE
DELLE <OPERAZIONI ATTIVE E DELLE OPERAZIONI
PASSIVE>. 5.3. IL MOMENTO DI DETERMINAZIONE
DEL
TASSO
BOT.
6.
ANATOCISMO E
CAPITALIZZAZIONE TRIMESTRALE. 6.1. LE MODALITÀ
DI
ADEGUAMENTO
ALLA
DELIBERA
CICR.
6.2.CAPITALIZZAZIONE ANNUALE O NESSUNA
CAPITALIZZAZIONE. 7. COMMISSIONE DI MASSIMO
SCOPERTO.7.1. PROFILI CAUSALI 7.1.2. LA TESI
DELLA NULLITÀ DELLA C.M.S. 7.1.3. LA TESI DELLA
VALIDITÀ DELLA C.M.S. 7.1.4. LA TESI DELLA
VALIDITÀ SOLO IN RELAZIONE ALLO SCOPERTO DI
CONTO. 7.1.5. VALIDITÀ SOLO DELLA COMMISSIONE
DI AFFIDAMENTO. 7.2.LA NORMATIVA DEL 2009.
7.3. COMMISSIONE DI MASSIMO SCOPERTO E TASSO
USURARIO.
8. INTERESSI USURARI. 8.1.
USURARIETÀ ORIGINARIA E IUS VARIANDI. 8.2.
TASSO SOGLIA E CLAUSOLE IMPOSITIVE DI ONERI
PASSIVI INVALIDE. 8.3. USURA ED INTERESSI DI
MORA.
(126)TRAPUZZANO, Sull’anatocismo, in Giur.
merito,
2010, 02, 56 s.; CABRAS, La
capitalizzazione degli interessi nel conto
corrente bancario: l'equivoco della sineddoche,
in Giur. comm., 2000, I, 348; DI PIETROPAOLO,
Osservazioni in tema di anatocismo , in Nuova
giur. civ., 2001, II, 96; DI STASI, Anatocismo e
usura: il nuovo orientamento in tema di
capitalizzazione degli interessi, in Arch. civ.,
2004, f. 7-8, 837; GAGGERO, La capitalizzazione
degli interessi nei rapporti bancari, in Nuova
giur. civ., 2000, II, 332; INZITARI, Convenzione di
capitalizzazione trimestrale degli interessi e
divieto di anatocismo ex art. 1283 c.c., in Giur.
it., 1995, I, 2, 409.
(127) In precedenza si affermava la tesi opposta
v. es. Cass. 18 dicembre 1998, n. 12675; Cass.
5 giugno 1987, n. 49.
(128)In virtù della legge di interpretazione
autentica che esclude l’usurarietà sopravvenuta
art. 1, comma 1°, del decreto legge 29
dicembre 2000 n. 394, convertito nella legge 28
febbraio 2001 n. 24 e che ha superato il vaglio
di costituzionalità: cfr. Corte Costituzionale n.
29 del 2002.
(129 ) Qualcuno imprudentemente continua ad
estenderle, senza verifica di eventuali
comunicazioni al cliente, anche a periodi
successivi al 2000.
Il contenzioso bancario sugli oneri
passivi è più che vitale, nonostante siano
passati undici anni dal revirement della
Cassazione (125) in materia di interessi
(125) Cass. 16 marzo 1999, n. 2374.
41
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con la discussa commissione di
massimo scoperto (c.m.s.);
• dalle resistenze alla spontanea o,
almeno stragiudiziale, omologazione
alla giurisprudenza delle Sezioni Unite;
• da scelte normative discutibili e
conseguenti reazioni giudiziarie dei
clienti,
come
la
frequente
introduzione di norme “interpretative”
testimonia.
I due principi fondanti della materia,il
divieto di capitalizzazione asimmetrica ed
il principio usurarietà solo originaria del
saggio di interessi non sono stati
intaccati; i contrasti in sede giudiziaria,
invece, si sono verificati su questioni
collaterali (prescrizione, capitalizzazione
annuale
o
esclusione
di
ogni
capitalizzazione, commissione di massimo
scoperto, valute, ecc.) che, per loro
natura, assumono comunque una rilevanza
decisiva per le sorti delle controversie e
che appare opportuno esaminare secondo
l’ordine logico delle questioni.
C.App. Lecce n. 598/2001; Trib. Pescara
4/7 aprile 2005, Tribunale
Nuoro,
25.07.2007, in BBTC, 2008, 6, II, 707.)
2. Onere di contestazione specifica.
Il cliente, però, non può limitarsi ad
una contestazione generica dell’estratto,
ma deve effettuare rilievi specifici ai
sensi degli articoli 1832 c.c. e 1857 c.c.,
senza i quali l’estratto costituisce piena
prova del credito del saldo. E’ solo il mero
estratto di saldaconto, redatto ai sensi
dell'art. 102 della vecchia legge bancaria
che, pur essendo idoneo a costituire prova
ai fini del giudizio monitorio, non può
assumere valore di prova nel giudizio a
cognizione piena (Cassazione civile sez. I,
28 maggio 2008,
n. 14044, Guida al
diritto 2008, 41, 52). Ciò a portato la
giurisprudenza di merito ad affermare che
<<Le risultanze di conto corrente
bancario, allegate a sostegno della
domanda di pagamento dei saldi non solo
legittimano
l'emissione
di
decreto
ingiuntivo, ma nell'eventuale giudizio di
opposizione hanno anche efficacia fino a
prova contraria, potendo essere disattese
solo in presenza di circostanziate
contestazioni, non già attraverso il mero
rifiuto del conto o la generica
affermazione di nulla dovere.>> (130)
1.Approvazione del conto.
Di frequente le difese delle banche
eccepiscono l’infondatezza delle domande
del cliente di restituzione dell’indebito
per la mancata opposizione scritta nel
termine di 60 giorni dall’invio degli
estratti conto, o di altre comunicazioni
periodiche
(art.
119
T.U.B.).
La
giurisprudenza è sostanzialmente unanime
nell’affermare che l’approvazione del
conto – anche tacita - preclude qualunque
contestazione circa la conformità delle
singole e concrete operazioni sottostanti
ai rapporti obbligatori da cui derivano gli
addebiti e gli accrediti sotto il profilo
meramente contabile, senza incidere sulla
validità ed efficacia dei rapporti
medesimi, che restano soggetti alle regole
ordinarie, (Cassazione civile sez. I, 31
ottobre 2008, n. 26318, cit. Cassazione
civile sez. I, 31 ottobre 2008, n. 26318,
cfr. Cass. N. 12507/1999; Cass. N.
1978/1996; Trib. Genova sent. 5.5.2002;
Ciò non significa, però, che il thema
decidendum verta esclusivamente sulle
singole
annotazioni
specificamente
contestate (spesso molte centinaia), ma
che esso va ristretto, se non a singole
poste, a voci o categorie di addebito
contestati
(c.m.s.,
le
valute,
la
capitalizzazione
differenziata
degli
(130) << A tale fine è irrilevante che l'estratto
conto non sia già stato stragiudizialmente reso
noto al correntista, atteso che la produzione in
giudizio costituisce trasmissione ai sensi
dell'art. 1832 c.c. onerando perciò il correntista
delle necessarie specifiche contestazioni per
poter superare l'efficacia probatoria della
produzione. >> (Tribunale Monza sez. III, 05
marzo 2008, Guida al diritto 2008, 44, 70).
42
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interessi, ecc.) individuate per il loro
collegamento ad una clausola contenuta
nel testo del contratto, oppure in via
esemplificativa (es. indicando come il
tasso convenuto in contratto fosse
superiore al TEG, come i giorni di valuta
siano computati in modo illecito ).
La dottrina ha evidenziato come tali
addebiti si collochino nel quadro di un
arido rapporto economico e di un
meccanismo impositivo che vede almeno
la passività se non una sorta di sostanziale
soggezione del cliente, non può essere
qualificata come obbligazione naturale,
sia per il difetto della spontaneità che
della configurabilità di un obbligo morale
e sociale (133,134)
3. Obbligazione naturale.
Del tutto priva di seguito è la tesi
dell’obbligazione naturale collegata alla
tolleranza dell'addebito degli interessi e
di ogni altra prestazione eventualmente
illegittima effettuata da un istituto
bancario nell'ambito di un rapporto di
conto corrente. (131)
''Nessun adempimento spontaneo di
un'obbligazione naturale (con conseguente
irripetibilità di quanto pagato) può ...
rinvenirsi
nel
comportamento
del
correntista che abbia versato somme
maggiori in pagamento di interessi
anatocistici pattuiti in contratto, quindi in
adempimento di un'obbligazione giuridica;
ancorché in forma invalida e non già di
mero dovere morale o sociale'' (Trib.
Pescara, 6 maggio 2005).(132)
4. Prescrizione.
La prescrizione applicabile è quella
regolata con termine decennale il termine
dall'art. 2946 c.c., e non quello di
prescrizione quinquennale. Non può farsi
riferimento, infatti, né alla prescrizione
breve del diritto al risarcimento del
danno,
trattandosi
di
obbligazione
derivante dalla legge (2033 c.c.) e non da
obbligazione ex delicto, né a quella
quinquennale di cui all’art. 2948 n. 4 c.c.,
che riguarda esclusivamente la domanda
diretta a conseguire gli interessi che
maturano annualmente o in termini più
brevi, non già la restituzione di parte
degli stessi in quanto indebitamente
corrisposti.
(131) V. DAGNA, Esclusione dell'eccezione di
obbligazione naturale per la ripetizione degli
interessi anatocistici, commissione di massimo
scoperto e soglia d'usura, in BBTC, 2007, 2, 204
s.
(132) Trib. Cassino, 29 ottobre 2004, Cass., n.
2262/1984 in ordine al fatto per cui, essendo
stata la banca a procedere all'addebito degli
interessi ultralegali sul conto corrente del
cliente per sua esclusiva iniziativa e senza
alcuna autorizzazione del medesimo, non
poteva ricorrere, nella fattispecie in esame,
l'adempimento dell'obbligazione naturale. Ed
inoltre, dal momento che gli interessi
ultralegali erano stati determinati in via
unilaterale dalla banca, senza un riferimento
preciso ad un tasso applicato con consenso
espresso della controparte, ma mediante
generico rinvio alla clausola ''uso piazza'',
proprio in virtù di questa indeterminabilità
dell'oggetto o al massimo determinabilità ex
post, il tribunale di Cassino escludeva il
requisito della spontaneità di quanto pagato in
più
dal
cliente
e
quindi
deduceva
4.1. Decorrenza del termine di
prescrizione.
La decorrenza del termine di
prescrizione, dalla chiusura del conto,
l'inapplicabilità della disciplina di cui all'art.
2034 c.c.
(133) v. Cass. 2262/1984 che sottolinea appunto
il profilo della esclusiva iniziativa dell'istituto
bancario, A. Grieco, Il contenzioso bancario,
togati.formazionemagistratinapoli.it.
(134)Non è stato quindi seguito un orientamento
giurisprudenziale risalente all'epoca anteriore
alla determinazione del tasso di interesse
legale, secondo il quale: ''il pagamento non
spontaneo di interessi ultralegali non pattuiti
per iscritto - configurandosi come adempimento
di obbligazione naturale e rientrando quindi
nella regola dettata dall'art. 2034 c.c. - non è
soggetto a ripetizione, semprechè si tratti di
misura contenuta nei limiti del lecito''.
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oppure dalle singole operazioni, è oggetto
di un ampio dibattito giurisprudenziale,
che ha visto un punto arrivo nella nota
sentenza delle Sezioni Unite della Corte di
Cassazione del 02 dicembre 2010, n.
24418 e poi, ancora nell’approvazione del
discusso art. 2 quinquies del decretolegge 29 dicembre 2010, n. 225, il quale
prevede che << In ordine alle operazioni
bancarie regolate in conto corrente l'art.
2935 del codice civile si interpreta nel
senso che la prescrizione relativa ai
diritti nascenti dall'annotazione in conto
inizia
a
decorrere
dal
giorno
dell'annotazione stessa. In ogni caso non
si fa luogo alla restituzione di importi già
versati alla data di entrata in vigore della
legge di conversione del presente decreto
legge.>>, in vigore dal 27 febbraio 2011.
conto
corrente,
considerata
quale
momento a partire dal quale si
definiscono i rapporti di credito o debito
tra le parti, dovendo essere valorizzato il
legame intercorrente fra la pluralità di
atti di addebito di interessi in virtù
dell’unicità
del
rapporto
giuridico
derivante da un contratto unitario (Cass. 9
aprile 1984, n. 2262; e Cass. 14 maggio
2005, n. 10127, che richiama precedenti
pronunce) (136).
4.4. La tesi mista di Cass. 2.12.2010
n. 44418.
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite
Cassazione del 02 dicembre 2010, n.
24418 ha affermato un principio
composito: "Se, dopo la conclusione di un
contratto di apertura di credito bancario
regolato in conto corrente, il correntista
agisce per far dichiarare la nullità della
clausola che prevede la corresponsione di
interessi anatocistici e per la ripetizione
di quanto pagato indebitamente a questo
titolo, il termine di prescrizione
decennale cui tale azione di ripetizione è
soggetta decorre, qualora i versamenti
eseguiti dal correntista in pendenza del
rapporto abbiano avuto solo funzione
ripristinatoria della provvista, dalla data
in cui è stato estinto il saldo di chiusura
del conto in cui gli interessi non dovuti
sono stati registrati".(137)
4.2. Tesi della decorrenza dalla
singola operazione.
La norma richiama l’indirizzo di merito
tendenzialmente
minoritario,
che
evidenziava come il diritto alla ripetizione
fosse esercitabile anche nel corso del
rapporto (art. 2935 c.c.), poiché nel conto
corrente bancario (a differenza del conto
corrente ordinario), a differenza del conto
corrente ordinario, il saldo è sempre
disponibile e l’accertamento dei conti
non è rimesso alla chiusura del rapporto
(135).
(136) Nonché: Trib. Brescia 18 gennaio 2010, in Il
caso.it; Trib. Torino 6 ottobre 2009, in Il
caso.it; Trib. Arezzo 12 maggio 2009, in Juris
Data; Trib. Benevento 29 agosto 2008, in Guida
al diritto, 2009, 3, 81; App. L’Aquila 16 luglio
2008, in Il caso.it; App. Torino 14 novembre
2007, in Il caso.it; Tribunale Monza, 7 aprile
2006, in Juris Data; Trib. Bari 5 maggio 2005, in
giurisprudenzabarese.it
(137) Essa, infatti, ha ritenuto fondato il rilievo
secondo cui l'unitarietà del rapporto giuridico
derivante dal contratto di conto corrente
bancario non è, di per sè solo, elemento
decisivo al fine d'individuare nella chiusura del
conto il momento da cui debba decorrere il
termine di prescrizione del diritto alla
ripetizione d'indebito, osservandosi che in
diversi rapporti di durata nei quali vi siano
4.3.La decorrenza dalla chiusura del
conto.
Risulta disatteso, quindi, l’indirizzo
maggioritario secondo cui il dies a quo va
individuato non nel momento dei singoli
pagamenti (o addebiti in conto) degli
interessi, bensì nella data di chiusura del
(135) In tal senso: Trib. Mantova 2 febbraio 2009;
App. Brescia 16 gennaio 2008; entrambe in Il
caso.it, di recente M. Porzio, relazione tenuta
all’incontro prescrizione ed usura nei rapporti
bancari alla luce della recente giurisprudenza,
27.1.2011
dall’Ordine
dei
Dottori
commercialisti e revisori contabili di Napoli e
dell’Ufficio del referente per la Formazione
Decentrata di Napoli.
44
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prestazioni in denaro ripetute e scaglionate nel
tempo (es. canoni di locazione o d'affitto,
oppure del prezzo nella somministrazione
periodica di cose) <<l'unitarietà del rapporto
contrattuale ed il fatto che esso sia destinato a
protrarsi ancora per il futuro non impedisce di
qualificare indebito ciascun singolo pagamento
non dovuto, se ciò dipende dalla nullità del
titolo giustificativo dell'esborso, sin dal
momento in cui il pagamento medesimo abbia
avuto luogo; c.d. è sempre da quel momento
che sorge dunque il diritto del solvens alla
ripetizione e che la relativa prescrizione inizia a
decorrere.>>
Diventa quindi necessario stabilire se il
pagamento indebito costituisca l’esecuzione
della prestazione del debitore oppure abbia
un’altra funzione, come quella di mero
ripristino della provvista nell’ambito del
contratto di apertura di credito.
<<L'annotazione in conto di una siffatta posta
comporta un incremento del debito del
correntista, o una riduzione dei credito di cui
egli ancora dispone, ma in nessun modo si
risolve in un pagamento, nei termini sopra
indicati: però non vi corrisponde alcuna attività
solutoria del correntista medesimo in favore
della banca. Sin dal momento dell'annotazione,
avvedutosi dell'illegittimità dell'addebito in
conto, il correntista potrà naturalmente agire
per far dichiarare la nullità del titolo su cui
quell'addebito si basa e, di conseguenza, per
ottenere una rettifica in suo favore delle
risultanze del conto stesso. E potrà farlo, se al
conto accede un'apertura di credito bancario,
allo scopo di recuperare una maggiore
disponibilità di credito entro i limiti del fido
concessogli. Ma non può agire por la ripetizione
di un pagamento che, in quanto tale, da parte
sua non ha ancora avuto luogo.
Occorre allora aver riguardo, più ancora che al
già ricordato carattere unitario del rapporto di
conto corrente, alla natura ed al funzionamento
del contratto di apertura di credito bancario,
che in conto corrente è regolata. Come
agevolmente si evince dal disposto degli artt.
1842 e 1843 c.c., l'apertura di credito si attua
mediante la messa a disposizione, da parte
della banca, di una somma di denaro che il
cliente può utilizzare anche in più riprese e
della quale, per l'intera durata del rapporto,
può ripristinare in tutto o in parte la
disponibilità eseguendo versamenti che gli
consentiranno
poi
eventuali
ulteriori
prelevamenti entro il limite complessivo del
credito accordatogli.
Se, pendente l'apertura di credito, il correntista
non si sia avvalso della facoltà di effettuare
versamenti, pare indiscutibile che non vi sia
alcun pagamento da parte sua, prima del
momento in cui, chiuso il rapporto, egli
provveda a restituire alla banca il denaro in
concreto utilizzato. In tal caso, qualora la
restituzione abbia ecceduto il dovuto a causa
del computo di interessi in misura non
consentita, l'eventuale azione di ripetizione
d'indebito non potrà che essere esercitata in un
momento successivo alla chiusura del conto, e
solo da quel momento comincerà perciò a
decorrere il relativo termine di prescrizione.
Qualora, invece, durante lo svolgimento del
rapporto il correntista abbia effettuato non solo
prelevamenti ma anche versamenti, in tanto
questi ultimi potranno essere considerati alla
stregua di pagamenti, tali da poter formare
oggetto di ripetizione (ove risultino indebiti), in
quanto abbiano avuto lo scopo e l'effetto di uno
spostamento patrimoniale in favore della
banca. Questo accadrà qualora si tratti di
versamenti eseguiti su un conto in passivo (o,
come in simili situazioni si preferisce dire
"scoperto") cui non accede alcuna apertura di
credito a favore del correntista, o quando i
versamenti siano destinati a coprire un
passivo
eccedente
i
limiti
dell'accreditamento. Non è così, viceversa, in
tutti i casi nei quali i versamenti in conto, non
avendo
il
passivo
superato
il
limite
dell'affidamento concesso al cliente, fungano
unicamente da atti ripristinatori della provvista
della quale il correntista può ancora continuare
a godere.>> Precisano le SS.UU che la
distinzione tra atti ripristinatori della provvista
ed atti di pagamento compiuti dal correntista
per estinguere il proprio debito verso la banca,
è già nota alla giurisprudenza, che ne ha fatto
applicazione in innumerevoli casi, a partire da
Cass. 18 ottobre 1982, n. 5413 sino a tempi più
recenti (si vedano, ad esempio, Cass. 6
novembre 2007, n. 23107; e Cass. 23 novembre
2005, n. 24588). <<Un versamento eseguito dal
cliente su un conto il cui passivo non abbia
superato il limite dell'affidamento concesso
dalla banca con l'apertura di credito non ha nè
lo scopo nè l'effetto di soddisfare la pretesa
della banca medesima di vedersi restituire le
somme date a mutuo (credito che, in quel
momento, non sarebbe scaduto nè esigibile),
bensì quello di riespandere la misura
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Sintetizzando la complessa pronuncia,
dal momento che il carattere continuativo
di un rapporto non impedisce di
qualificare come pagamento e di ripetere
le singole attribuzioni patrimoniali, il
termine di prescrizione decorrerebbe
dalla chiusura del rapporto se non vi siano
pagamenti del cliente o se essi avvengono
nel limite del fido, mentre decorre dai
singoli pagamenti nel caso in cui il cliente
avesse un’esposizione oltre il fido
accordato, oppure non vi fosse fido
alcuno.(138)
4.5.
Aspetti
milleproroghe.
problematici
del
La legge 26/2/2011 n.10 di conversione
con modificazioni del decreto legge
29/12/2010 n. 225, recante “Proroga di
termini previsti da disposizioni legislative
e di interventi urgenti in materia
tributaria e di sostegno alle imprese e alle
famiglie” (c.d. decreto milleproroghe)
(139), ha introdotto l’art. 2 comma 61 del
decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, il
quale prevede al comma 9 che << In
ordine alle operazioni bancarie regolate
in conto corrente l'art. 2935 del codice
civile si interpreta nel senso che la
prescrizione relativa ai diritti nascenti
dall'annotazione in conto inizia a
decorrere dal giorno dell'annotazione
stessa. In ogni caso non si fa luogo alla
restituzione di importi già versati alla
data di entrata in vigore della legge di
conversione
del
presente
decreto
legge.>>, in vigore dal 27 febbraio 2011.
dell'affidamento utilizzabile nuovamente in
futuro dal correntista.>> <<Di pagamento, nella
descritta situazione, potrà dunque parlarsi
soltanto dopo che, conclusosi il rapporto di
apertura di credito in conto corrente, la banca
abbia esatto dal correntista la restituzione del
saldo finale, nel computo del quale risultino
compresi interessi non dovuti e, perciò, da
restituire se corrisposti dal cliente al'atto della
chiusura del conto.>> (SU n. 24418/2010. cit.)
(138) Restano problematiche le ipotesi nelle
quali non vi sia un contratto di apertura di
credito, ma comunque l’operazione economica
nasconda un fido di fatto. In tale caso, può
darsi prevalenza all’analisi economica del
rapporto, posto che dal punto di vista
funzionale vi è un rientro nell’accordato di
fatto, piuttosto che un atto di pagamento e che
un’eventuale richiesta di rientro immediato,
dopo il consolidarsi di tale prassi di affidamento
di fatto sul conto potrebbe essere contraria a
buone fede. Si veda anche Cass. civ., Sez. I,
23/9/2002, n. 13823; Cass. civ., Sez. I,
6.12.2002, n. 17338; Cass. civ., Sez. III,
18/4/2001, n. 5675; Cass. civ., Sez. III,
21/11/2000, n. 15024, in Giust. Civ., 2001, I,
689; Cass. civ., Sez. I, 19/7/2000, n. 9465, in
Giust. Civ., 2000, I; Cass. civ., Sez. I,
11/5/1998, n. 4735, in Banca Borsa, 2000, II,
110; Cass. civ., Sez. I, 23/6/1998, n. 6247 in
Giust. Civ., 1999, I, 508; Cass. civ. Sez. I,
11/8/1998, 7871; Cass. civ., Sez. I,
10/11/1997, n.11042 in Banca Borsa, 1999, II,
10; Cass. civ., Sez. I, 29/11/1996, n.10657 in
Corr. Giur., 1997, 427<<si applica, "ratione
temporis", l'art. 8 della legge n. 64 del 1986
(abrogato dall'art. 4 della legge n. 488 del 1992
con decorrenza dal 1° maggio 1993) (…), in
quanto tale norma vieta con disposizione non
derogabile la differenziazione dei tassi di
La norma, di redazione certamente
infelice, ha creato notevoli dubbi sulla sua
effettiva portata.
L’articolo contiene due diverse
disposizioni
ed
in
prima
lettura
sembrerebbe
destinato
a
trovare
applicazione nel caso qui giudicato:
secondo il suo tenore letterale sarebbe
prescritta la domanda di ripetizione di
somme annotate nel conto corrente oltre
dieci anni prima del primo atto
interruttivo, e sarebbe preclusa la
ripetizione di importi già versati alla data
di entrata in vigore della legge.
interesse in relazione alle singole zone del
territorio, con salvezza solo dei tassi più
favorevoli
per
il
correntista
previsti
espressamente dalla legge per le zone più
svantaggiate> (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4095
del 25/02/2005 (Rv. 580985).
(139) Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 47 –
Supplemento ordinario n.53.
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Questo ennesimo intervento in
materia di oneri passivi è stato
interpretato come reazione del legislatore
alla citata pronuncia delle Sezioni Unite
n. 24418 del 2010 sulla decorrenza della
prescrizione nel rapporto di conto
corrente bancario.
momento dell’entrata in vigore della
legge, mentre la seconda sarebbe una
norma
puramente
intepretativa
riguardante
la
decorrenza
della
prescrizione.
L’interpretazione
letterale,
secondo la terminologia propria dei
rapporti bancari, delle disposizioni
contenute nel secondo periodo <<In ogni
caso non si fa luogo alla restituzione di
importi già versati alla data di entrata in
vigore della legge di conversione del
presente decreto legge>>, dovrebbe
comportare l’irripetibilità delle somme
oggetto di versamento sul conto corrente
nella accezione propria del termine
<<versamento>>, ovvero come operazione
passiva per la banca in seguito a
trasferimento di denaro da cliente (in
contanti per versamento di titoli, ecc.),
secondo la dicotomia classica della
tecnica
bancaria
versamentoprelevamento, nell’ambito della più
ampia categoria dell’accreditamento a
favore del cliente (che include anche
qualsiasi altra somma riconosciuta a
favore del cliente e che determina un
debito e, quindi, una passività della
banca).
La seconda parte del comma 61
citato, sembra precludere la ripetizione di
somme già versate ed è stato oggetto di
critiche anche maggiori rispetto alla
norma intepretativa sulla decorrenza
della
prescrizione
per
l’apparente
completa
inibizione
della
tutela
giurisdizionale, tanto che vi è stata una
diffusa accusa dell’introduzione di una
irragionevole norma <salva-banche>>,
destinata a rappresentare una pietra
tombale per il passato sul contenzioso
bancario.
Bisogna chiedersi però quale sia
l’interpretazione corretta di tali norme,
in quanto la compatibilità costituzionale
della norma va valutata scandagliando
ogni alternativa interpretativa della
disposizione introdotta.
La
principale
alternativa
nell’interpretare le due norme contenute
nel comma 61 è quella della lettura
disgiuntiva o congiuntiva delle stesse.
Incidendo la disposizione, secondo
questa opzione ermeneutica, sullo stesso
diritto alla restituzione, per i rapporti
bancari o i giudizi in corso alla data della
sua entrata in vigore, appare logicamente
preliminare esaminare la norma sulla
ripetizione delle somme rispetto alla
norma sulla decorrenza della prescrizione.
4.5.1.
Lettura
disgiuntiva:
Irripetibilità dei versamenti del cliente sul
conto corrente già effettuati, anche se di
carattere indebito.
Nella prima ipotesi la regola
dell’irripetibilità dei versamenti effettuati
alla data di entrata in vigore della legge
(2° inciso) e la regola della decorrenza
dalle
annotazioni
in
conto
della
prescrizione dei diritti nascenti dalle
stesse (1° inciso), andrebbero considerate
separatamente: la prima sarebbe una
norma di portata generale per la
ripetizione dell’indebito bancario al
Ad avviso del Tribunale, la norma
sulla irripetibilità delle somme, così come
interpretata appare però in contrasto
con:
a) l’art. 117 della Costituzione in
relazione all’art. 6, comma 1° della
Convenzione Europea per la salvaguardia
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dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali.;
Convenzione, per i motivi della
preminenza del diritto e dell’equo
processo consacrato dall’art. 6 della
CEDU, impedisce l’applicazione di
norme retroattive ai processi in corso
<<salvo imperativi motivi di interesse
generale>>. ( 141): <<the principle of the
rule of law and the notion of fair trial
enshrined in Article 6 of the Convention
preclude any interference by the
legislature – other than on compelling
grounds of the general interest – with
the administration of justice designed to
influence the judicial determination of a
dispute” (142).
b) l’art. 3 della Costituzione;
c) l’art. 24 della Costituzione;
d) violazione dell’art. 102 della
Costituzione;
e) l’art. 47 della Costituzione.
e) l’art. 2 della Costituzione;
f) l’art. 111 della Costituzione.
Appare opportuno evidenziare,
quindi, che la deroga alla irretroattività
della legge non può essere derogata ad un
generico pubblico interesse, ma alla
presenza di un interesse ineludibile o
cogente, come traspare dalla valutazione
compiuta da dalla stessa Corte Europea.
I. Contrasto con I) art. 117 della
Costituzione in relazione all’art. 6,
comma 1° della Convenzione Europea per
la salvaguardia dei diritti dell’uomo e
delle libertà fondamentali (CEDU).
La
norma
che
stabilisce
l’irripetibilità delle somme già versate è
in conflitto con l’art. 117 Cost. e con e
l’art. 6.1. della CEDU per effetto
dell’interferenza del potere legislativo su
giudizi in corso.
Nel caso Scordino-Italia, infatti, la
Corte ha rilevato che lo Stato italiano non
ha dimostrato che le esigenze finanziarie
dello
Stato
italiano
portate
a
La norma introdotta, apparendo
destinata ad incidere su diritti già
maturati
in
base
all’ordinamento
preesistente assume, infatti, un’indubbia
efficacia retroattiva.
norme retroattive che incidono su diritti
derivanti da leggi in vigore, per i motivi
della preminenza del diritto e dell’equo
processo consacrato dall’art. 6 della CED,
ne impedisce l’applicazione ai processi in
corso <<salvo preminenti motivi di interesse
generale>>. (141) In precedenza Zielinski et Pradal &
Gonzales c. France [GC], nos 24846/94 et
34165/96 à 34173/96, § 57, CEDH 1999-VII ;
Raffineries grecques Stran et Stratis Andreadis
c. Grèce, arrêt du 9 décembre 1994, série A no
301-B ; Papageorgiou c. Grèce, arrêt du 22
octobre 1997, Recueil 1997-VI, National &
Provincial Building Society, Leeds Permanent
Building Society and Yorkshire Building Society
v. the United Kingdom, 23 October
1997.ancora più di recente nella Causa
Scoppola (n. 2) c. Italia – sentenza de la Grande
Chambre del 17 settembre 2009 (ricorso n.
10249/03).
142
Par. 126 della sentenza Scordino-Italia,
sentenza del 29 marzo 2006
La Corte Europea dei Diritti
dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali è
intervenuta diverse volte sul tema delle
leggi retroattive, affermando che la
Convenzione non preclude in assoluto
l’introduzione di norme che intervengono
su diritti derivanti da leggi in vigore, ma,
come affermato ad esempio, nella
sentenza della Grande Camera del 29
marzo 2006 (Scordino c. Italia) (140), la
(140) La Grande Chambre, con la decisione
del 29 marzo 2006, nella causa Scordino
contro Italia, afferma che la Convenzione
non vieta al legislatore l’introduzione di
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giustificazione
della
restrizione
quantitativa
dell’indennizzo
previsto
dall’art. 5bis della legge 359/1992
potessero rappresentare gli «impérieux
motifs d’intérét général» (143).
Appare del tutto evidente , invece,
come, nella specie, non solo la norma
trovi applicazione anche ai processi in
corso, ma non vi sia nessuna preminente
motivo di interesse generale alla base
dell’introduzione della norme, posto che:
alla base della sua emanazione non vi è
Al contrario, la legittimità di
interventi retroattivi del legislatore, come
rilevato dalla stessa Corte Costituzionale
è stata riconosciuta, in primo luogo,
allorché ricorrevano ragioni storiche
epocali,
come
nel
caso
della
riunificazione tedesca (caso ForrerNiederthal c. Germania, sentenza del 20
febbraio 2003). (144)
Regno Unito (utilizzata mutatis mutandis anche
nella citata pronuncia Forrer-Niederthal c.
Germania.
Nello stesso solco si pone la
sentenza del 27 maggio 2004, Ogis-institut
Stanislas, Ogec St. Pie X e Blanche De Castille e
altri c. Francia, in cui le circostanze del caso di
specie non erano identiche a quelle del caso
Zielinski del 1999. Nel caso
National &
Provincial Building Society del 1997, la Corte
Europea, come evidenziato dalla stessa Corte
Costituzionale (sentenza n. 139 del 2009) ha
ritenuto che la finalità dell’intervento
legislativo fosse quindi quella di garantire la
conformità
all’intenzione
originaria
del
legislatore a sostegno di un principio di
perequazione, aggiungendo che gli attori non
avrebbero potuto validamente invocare un
“diritto” tecnicamente errato o carente, e
dolersi quindi dell’intervento del legislatore
teso a chiarire i requisiti ed i limiti che la legge
interpretata contemplava.>>. La citata sentenza
139/2009
della
Corte
Costituzionale,
nell’interpretazione della nozione di «motivi
imperativi d’interesse generale», ha rilevato
che la Convenzione lascia <<ai singoli Stati
contraenti quanto meno una parte del compito
e dell’onere di identificarli, in quanto nella
posizione migliore per assolverlo, trattandosi,
tra l’altro, degli interessi che sono alla base
dell’esercizio del potere legislativo. Le decisioni
in questo campo implicano, infatti, una
valutazione sistematica di profili costituzionali,
politici, economici, amministrativi e sociali che
la Convenzione europea lascia alla competenza
degli Stati contraenti, come è stato
riconosciuto, ad esempio, con la formula del
margine di apprezzamento, nel caso di
elaborazione di politiche in materia fiscale,
salva la ragionevolezza delle
soluzioni
normative adottate (come nella sentenza
National & Provincial Building Society, Leeds
Permanent Building Society e Yorkshire Building
Society c. Regno Unito, del 23 ottobre 1997). >>
(sentenza Corte Cost. n. 311 del 26 novembre
2009.)
In altri casi, nel definire e
verificare la sussistenza o meno dei motivi
imperativi d’interesse generale, la Corte
di Strasburgo ha ritenuto legittimo
l’intervento del legislatore che, per porre
rimedio ad un’imperfezione tecnica della
legge interpretata, aveva inteso con la
legge
retroattiva
ristabilire
un’interpretazione
più
aderente
all’originaria volontà del legislatore (145)
(143) Sentenze richiamate National & Provincial
Building Society, Leeds Permanent Building
Society and Yorkshire Building Society v. the
United Kingdom, 23 October 1997, Reports 1997
VII; OGIS-Institut Stanislas and Others, cited
above, § 61; Forrer-Niedenthal; and Bäck.
144
In questo caso, la Corte europea, di fronte
ad una norma che faceva salvi con effetto
retroattivo i trasferimenti di proprietà, senza
indennizzo, in «proprietà del popolo» della ex
D.D.R., ha concluso per la compatibilità
dell’intervento con la norma convenzionale; ciò
non soltanto per il motivo “epocale” del nuovo
riassetto dei conflitti patrimoniali conseguenti
alla riunificazione, ma anche in considerazione
della sussistenza effettiva di un sistema che
aveva garantito alle parti, che contestavano le
modalità del riassetto, lo svolgimento di un
processo equo e garantito.
(145) Si tratta, in primo luogo, della
sentenza 23 ottobre 1997, nel caso National &
Provincial Building Society, Leeds Permanent
Building Society e Yorkshire Building Society c.
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alcun disegno complessivo di disciplina
della materia; alcuna esigenza di
uniformazione dei trattamenti giuridici
delle parti coinvolte, alcuna esigenza
preminente di carattere finanziario per lo
Stato, non essendovi oneri a carico dello
Stato, né emergendo in alcun modo una
incidenza significativa di tale contenzioso
sulla stabilità del sistema bancario interno
e, quindi, sulla tutela del risparmio e
degli interessi economici pubblici.
b) Violazione dell’art.
3 della
Costituzione
del
principio
di
ragionevolezza.
La norma impugnata preclude il
diritto alla restituzione di somme
indebitamente percepite nell’ambito del
rapporto di conto corrente bancario. Si
palesa il contrasto con il principio
costituzionale di uguaglianza dei cittadini
di fronte alla legge: appare evidente una
disparità di trattamento tra titolari di
diritti restitutori nascenti da rapporti
bancari di conto corrente (per meglio
dire, regolati da rapporti bancari di conto
corrente) e titolari di analoghe posizioni
soggettive regolate da conto corrente
ordinario o maturati in rapporti di altra
natura; a maggiore ragione sussiste
Anche la prima parte dell’art. 2,
comma 61, che prevede la decorrenza
della prescrizione dall’annotazione e non
dal pagamento risulta in contrasto con la
convenzione. Non solo la norma, per i
motivi meglio indicati in seguito, anticipa
la decorrenza della prescrizione del
diritto alla ripetizione ad un momento
anteriore a quello in cui può essere
esercitato, ma adotta un’interpretazione
che non risulta coerente con il quadro
giurisdizionale pregresso (che non fissava
la
decorrenza
della
prescrizione
dall’annotazione) e che, quindi, non
rimediando
a
dubbi
o
contrasti
interpretativi, appare comunque in
contrasto, per l’intervento del legislatore
con il principio del diritto ad una processo
equo.
Le norme della CEDU sono, invece, di
rango sub-costituzionale ed esplicano effetti nel
nostro ordinamento mediante l’art. 117 Cost.,
integrativo
di
una
precedente
lacuna
costituzionale (Corte Cost. sentenza 349 del
2007), che dispone il dovere costituzionale di
rispetto degli obblighi internazionali, anche
pattizi, assunti dallo Stato e, quindi, operando
un rinvio a tali norme, con il limite della loro
conformità alla stessa Costituzione. Per tale
motivo il vaglio dell’interprete <<deve essere
condotto in modo da verificare: a) se
effettivamente vi sia contrasto non risolvibile in
via interpretativa tra la norma censurata e le
norme della CEDU, come interpretate dalla
Corte europea ed assunte come fonti
integratrici del parametro di costituzionalità di
cui all'art. 117, primo comma, Cost.; b) se le
norme della CEDU invocate come integrazione
del parametro, nell'interpretazione ad esse data
dalla medesima Corte, siano compatibili con
l'ordinamento costituzionale italiano (sentenza
348 del 2008).>>
Il contrasto con il parg. 6.1. della
CEDU determina l’incostituzionalità per
conflitto con il nuovo art. 117 Cost. (146)
146
Va ricordato che le norme della
Convenzione, a differenza, di quanto previsto in
altre legislazioni europee non sono attualmente
suscettibili
di
immediata
applicazione
nell’ordinamento nazionale (cfr. giurisprudenza
della Corte Costituzionale a partire dalle
sentenze n. 348 e 349 del 2007). Tali norme,
infatti, avendo carattere pattizio, non ricadono
nell’alveo applicativo dell’art. 11 della
Costituzione, destinato ad avere efficacia solo
per le norme di diritto internazionale
consuetudinario e per le norme comunitarie.
Riguardo al primo aspetto si è già evidenziato il
contrasto di tale interpretazione dell’art. 2,
comma 61 con la Convenzione, mentre è
appena il caso di osservare che il divieto, salvo
eccezioni, per motivi di imperativo interesse
generale delle norme retroattive non risulta in
contrasto
con
alcuna
disposizione
costituzionale, dovendo il potere legislativo
essere esercitato conformemente al quadro
delle norme costituzionali ed internazionali.
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Occorre, inoltre che:
disparità di trattamento se si distingue,
quanto alla ripetibilità, tra i versamenti
del cliente e gli accrediti della banca.
4.5.2. Corte Costituzionale
norme interpretative.
1. sia salvaguardato il principio
generale di ragionevolezza, che ridonda
nel divieto di introdurre ingiustificate
disparità di trattamento;
e
Con Sentenza n. 209 dell’11 giugno
2010 n. 2009 la Corte Costituzionale, nel
solco di un consolidato orientamento, ha
delineato i limiti costituzionali entro i
quali il Legislatore deve contenersi
nell’adozione di norme interpretative. La
Corte infatti ha così letteralmente,
individuando delle precondizioni:
2. sia tutelato l'affidamento
legittimamente sorto nei soggetti quale
principio connaturato allo Stato di Diritto;
incertezze
4. siano salvaguardate l'integrità
delle
attribuzioni
costituzionali
dell'autorità giudiziaria (art. 102 Cost.).>>
(v. anche sentenza n. 525 del 2000,
sentenze n. 374 del 2002, n. 26 del 2003,
n. 274 del 2006, n. 234 del 2007, n. 170
del 2008, n. 24 del 2009).>>148
devono
interpretative;
sussistere
3. sia salvaguardata l'effettività del
diritto dei cittadini di agire in giudizio
per la tutela dei propri diritti e interessi
legittimi (art. 24, primo comma, Cost.);
la scelta imposta dalla legge deve
rientrare tra le possibili varianti di senso
del testo originario (147);
In relazione al principio di
ragionevolezza si è detto di come la
preclusione dell’azione giudiziaria per le
somme già versate sia del tutto privo di
razionalità e discrimini tra le posizioni dei
diversi cittadini sulla base di un dato
temporale che incide in via del tutto
occasionale
su
analoghe
situazioni
soggettive.
147
Questa Corte ha costantemente affermato
che il legislatore può adottare norme di
interpretazione autentica non soltanto in
presenza di incertezze sull'applicazione di una
disposizione o di contrasti giurisprudenziali, ma
anche «quando la scelta imposta dalla legge
rientri tra le possibili varianti di senso del
testo originario, con ciò vincolando un
significato ascrivibile alla norma anteriore»
(sentenza n. 525 del 2000; in senso conforme,
ex plurimis, sentenze n. 374 del 2002, n. 26 del
2003, n. 274 del 2006, n. 234 del 2007, n. 170
del 2008, n. 24 del 2009).>> La Corte, inoltre,
ha individuato una serie di limiti generali
all'efficacia retroattiva delle leggi, «che
attengono alla salvaguardia, oltre che dei
principi costituzionali, di altri fondamentali
valori di civiltà giuridica posti a tutela dei
destinatari della norma e dello stesso
ordinamento, tra i quali vanno ricompresi il
rispetto
del
principio
generale
di
ragionevolezza che ridonda nel divieto di
introdurre
ingiustificate
disparità
di
trattamento [...]; la tutela dell'affidamento
legittimamente sorto nei soggetti quale
principio connaturato allo Stato di diritto [...];
la coerenza e la certezza dell'ordinamento
giuridico [...]; il rispetto delle funzioni
costituzionalmente
riservate
al
potere
Riguardo agli altri profili di
incostituzionalità della norma retroattiva,
si rimanda a quanto in seguito
evidenziato.
giudiziario» (sentenza n. 397 del 1994) (147).
E’ dunque da ritenere che una norma
interpretativa, per essere costituzionalmente
legittima, possa essere adottata dal legislatore
solo quando sussistano incertezze sulla sua
applicazione o contrasti giurisprudenziali ovvero
anche quando la scelta imposta dalla legge
rientri tra le possibili varianti di senso del testo
originario, con ciò vincolando un significato
ascrivibile alla norma anteriore.Tuttavia
(148) C. Cost., sent. n. 209/2010 cit..
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Il contenzioso bancario e degli intermediari finanziari
Pasquale Serrao d’Aquino
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Incontro di studio in materia civile riservato ai magistrati nominati con D.M. 2/10/2009.
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c) Contrasto con l’art. 24 della
Costituzione.
Le norme, non avendo un valore
puramente interpretativo, per il suo
carattere retroattivo violano l’integrità
delle
attribuzioni
del
potere
giurisdizionale, sia in relazione a
pronunce già emesse (come espresso in
altro caso dalla Corte Costituzionale nella
citata sentenza n. 209 del 2010), sia in
relazione alla potestà di individuare la
norma applicabile al caso esaminato,
senza interferenza del potere legislativo
che non sia giustificata da imperfezioni
tecniche che determinino obiettive
oscurità interpretative che possano
determinare
errori
o
contrasti
interpretativi.
La norma sull’irripetibilità delle
somme versate e la norma sulla
decorrenza
della
prescrizione
dall’annotazione risultano in contrasto
anche con l’art. 24 della Costituzione. La
prima priva le parti di ogni possibilità di
far valere in giudizio il diritto alla
ripetizione di somme versate, quale che
sia il fondamento originario della pretesa
restitutoria,
incidendo,
quindi,
retroattivamente, non sul diritto a far
valere il vizio dell’atto (quale esso sia,
anche se derivanti da illeciti penale), sui
cui si fonda la pretesa di adempimento o
restitutoria (nullità del negozio, errore di
pagamento, erroneità materiale delle
mere annotazioni contabili), ma in via
generale sul diritto alla restituzione delle
somme versate e, quindi, sul diritto
dell’individuo alla tutela giurisdizionale
garantito dall’art. 24 Cost. (149)
e) Violazione dell’art. 111. Cost.
Le norme, così come interpretate,
violano il principio del diritto al giusto
processo.
L’espressione
<<giusto
processo>>
contenuta
nell’attuale
formulazione del comma 1 dell’art. 111
non può ritenersi descrittiva dei valori
costituzionali
regolati
dai
commi
successivi, ma ha un autonomo valore
precettivo: le norme introdotte dal
legislatore ordinario che, direttamente o
indirettamente, incidono sulla gestione e
sui risultati del processo devono essere
conformi a tale parametro di <<giustizia>>
del processo stesso; esso non si traduce in
una formale uguaglianza dei poteri delle
parti nel processo, ma anche nella
possibilità legislativamente garantita (o
non ostacolata) che il processo giunga
anche ad un giusto risultato. Ciò non
significa che il significato di <<giustizia>>
del processo sia sostanzialmente diverso
da quello di <<equità>> del processo e,
che, quindi, il primo sancisca solo il
divieto di disuguaglianza degli strumenti
processuali offerti alle parti del processo,
mentre l’equità avrebbe un valore più
intenso: il giusto processo va inteso come
possibilità di addivenire ad un risultato
giusto; una decisione per essere giusta (ai
sensi dell’art. 111 Cost.) è la non basta
d) Contrasto con l’art. 102 della
Costituzione.
149
Non può neppure sostenersi che la
norma esclude il diritto sostanziale alla
ripetizione della somma ingiustamente versata
e, quindi, agisce sul diritto stesso e non sulla
sua tutela giurisdizionale, perché è il diritto
all’effettività della tutela giurisdizionale delle
diverse situazioni giuridiche azionabili ad essere
integralmente compromesso, non risultando
pienamente tutelato il diritto ad agire per la
nullità di una clausola contrattuale senza che vi
sia tutela del conseguente diritto alla
restituzione delle somme versata in base alla
clausola impugnata(sentenza 209 del 2010 della
Corte Costituzionale).Per inciso anche la norma
sulla decorrenza della prescrizione, secondo
quanto in seguito illustrato, frusta il diritto alla
tutela giurisdizionale, prevedendo un decorso
della prescrizione da un momento anteriore
rispetto a quelli da cui il diritto può essere fatto
valere.
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che abbia correttamente applicato le
norme vigenti, ma che abbia pienamente
applicato
le
norme
processuali
strumentali
all’accertamento
della
situazione di fatto sottostante al
processo,
con
i
soli
limiti
dell’autoresponsabilità del singolo nella
cura dei propri diritti sostanziali e dei
propri poteri processuali e del rispetto di
altre norme costituzionali nella ricerca
della prova (tra cui, oltre le libertà
personali, anche la parità delle parti ed il
contraddittorio),
senza
alcuna
interferenza da parte di soggetti o poteri
estranei
all’autorità
giurisdizionale,
incluso il potere legislativo, analogamente
a quanto indicato dalla Corte CEDU e dalla
Corte Costituzionale in relazione al diritto
ad un processo equo previsto dall’art. 6.1.
della Convenzione Europea.(150)
Può rimandarsi, quindi, a quanto
già indicato per le norme retroattive che,
in difetto dei descritti requisiti, violano,
oltre che gli artt. 117, 3, e 102 Cost.
anche l’art. 111 Cost.
f) Contrasto con l’art. 47 della
Costituzione.
Le norme esaminate non appaiono
conformi neppure al principio della tutela
costituzionale del risparmio consacrato
dall’art. 47 Cost. Poiché la gestione del
risparmio avviene abitualmente, come nel
caso
di
specie,
mediante
una
regolamentazione in conto corrente ne è
evidente la frustrazione della tutela che,
per la considerazione costituzionale
dovrebbe essere rafforzata e che, ad
esempio, rende pienamente giustificabili
tutele asimmetriche in favore del cliente
della banca (es. nullità di protezione,
azionabili solo dal cliente), senza
incorrere
automaticamente
in
una
violazione dell’art. 2 Cost. per disparità di
trattamento tra le parti.
150
CORDERO, Procedura penale, Milano 2001,
1265, il quale precisa che «la lite richiede una
sentenza [...] ora, i modi del decidere non
costituiscono una variabile libera in mano al
legislatore: regoli lo strumento come meglio
ritiene, purché sia " giusto " [...]».3. A tale
scopo va osservato, per cominciare, che ""
giusto " non è qualunque processo che si limiti
ad essere "regolare" sul piano formale".
La Commissione Europea sull’art. 6 CEDU ha
chiarito che il giusto processo permea l’inero
art. 6 della CEDU e non solo il par. 3 (ric.
Nielsen c. Danimarca).
G. Vignera, Le garanzie costituzionali del
processo civile alla luce del "nuovo" art. 111
cost., Riv. trim. dir. proc. civ. 2003, 04, 1185,
il quale, dopo aver ricordato le tesi opposte
della irrilevanza e della novità della carta
costituzionale della nozione di <<giusto
processo>>
a
seguito
della
modifica
costituzionale.
Così intesa, per vero, la nuova nozione divisata
dall'art. 111, comma 1°, cost. si risolverebbe in
una formula retorica priva di qualsivoglia
significato e di ogni giustificazione.
Infatti, poiché solo nei confronti di specifici e
determinati procedimenti già esauritisi è
possibile stabilire se gli stessi siano stati o meno
regolari sul piano formale, nel significato
suindicato il " giusto processo" null'altro sarebbe
g) Violazione
Costituzione.
dell’art.
2
della
Sussiste un contrasto della norma
sulla irripetibilità delle somme versate
con il principio di buona fede e di
solidarietà costituzionale fissato nell’art.
2
Cost.,
immanente
all’intero
ordinamento giuridico per diritto vivente
della Corte di Cassazione (Sez. Unite n.
che un inutile criterio di valutazione di
(concrete) esperienze processuali già compiute.
È innegabile, viceversa, che il valore della
"giustizia" ex art. 111, comma 1°, cost. deve
connotare il modello costituzionale (generale
ed astratto) del processo, il quale (data la
posizione primaria occupata dalle norme
costituzionali nella gerarchia delle fonti) è
destinato a condizionare la fisionomia dei
singoli procedimenti giurisdizionali elaborati
(sempre in via generale ed astratta) dal
legislatore ordinario.
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26724 del 2007, Sez. 3, Sentenza n. 20106
del 2009) . La norma, infatti, nega il
diritto alla ripetizione di somme versate
in contrasto con il principio di solidarietà
tra le parti del rapporto contrattuale,
ormai sancito dalla Corte di Cassazione, in
difformità
rispetto
all’obbligo
a
fondamento
costituzionale
di
cooperazione,
consentendo
legislativamente ad una parte di frustrare
le aspettative dell’altra nel completo
perseguimento delle utilità derivanti dal
contratto.
Il dato testuale della norma che
regola indistintamente tutti i versamenti
effettuati, si è detto, non consente
un’interpretazione
costituzionalmente
orientata, né conforme alla Convenzione
Europea che consenta di salvaguardare la
costituzionalità della norma, per i motivi
qui espressi.
7.2. Interpretazione della nozione
di <<versamento>> come operazione
attiva personalmente disposta dal cliente.
Un’interpretazione di segno più
restrittivo sempre di questo secondo
inciso, porta a considerare il dato testuale
della irripetibilità di <<importi già
versati>>, ovvero già effettuati come
limitato alle sole operazioni in conto
corrente che comportino un afflusso in
denaro in conto corrente per effetto di
una autonoma e volontaria iniziativa del
cliente (versamento in contanti, giroconto
bonifico da altro conto corrente,
versamento
di
titoli
di
credito),
escludendosi, invece, l’applicazione della
norma retroattiva alle mere annotazioni
passive non attuative di valide clausole
negoziali ed anche alle operazioni passive
Interpretazione costituzionalmente
e convenzionalmente orientata.
Nonostante
il
contrasto
analiticamente descritto con numerose
norme costituzionali, in attuazione del
principio ripetutamente affermato dalla
Corte
deve
essere
tentata
un’
interpretazione
conforme
alla
Costituzione ed alla Corte Europea, prima
di concludere per la necessità di un
ricorso alla questione incidentale di
legittimità costituzionale della norma.
(151)
(151) <<Nel caso in cui si profili un contrasto tra
una norma interna e una norma della
Convenzione europea, il giudice nazionale
comune deve, pertanto, procedere ad una
interpretazione della prima conforme a quella
convenzionale, fino a dove ciò sia consentito
dal testo delle disposizioni a confronto e
avvalendosi di tutti i normali strumenti di
ermeneutica giuridica,>> con la precisazione
che <<l’apprezzamento della giurisprudenza
europea consolidatasi sulla norma conferente
va operato in modo da rispettare la sostanza di
quella giurisprudenza, secondo un criterio già
adottato dal giudice comune e dalla Corte
europea (Cass. 20 maggio 2009, n. 10415; Corte
eur. dir. uomo 31 marzo 2009, Simaldone c.
Italia, ric. n. 22644/03)>>; <<solo quando
ritiene che non sia possibile comporre il
contrasto in via interpretativa, il giudice
comune, il quale non può procedere
all’applicazione della norma della CEDU (allo
stato, a differenza di quella comunitaria
provvista di effetto diretto) in luogo di quella
interna contrastante, tanto meno fare
applicazione di una norma interna che egli
stesso abbia ritenuto in contrasto con la CEDU,
e pertanto con la Costituzione, deve sollevare
la questione di costituzionalità (anche sentenza
n. 239 del 2009), con riferimento al parametro
dell’art. 117, primo comma, Cost., ovvero
anche dell’art. 10, primo comma, Cost., ove si
tratti di una norma convenzionale ricognitiva di
una
norma
del
diritto
internazionale
generalmente riconosciuta. La clausola del
necessario rispetto dei vincoli derivanti dagli
obblighi internazionali, dettata dall’art. 117,
primo comma, Cost., attraverso un meccanismo
di rinvio mobile del diritto interno alle norme
internazionali pattizie di volta in volta rilevanti,
impone infatti il controllo di costituzionalità,
qualora il giudice comune ritenga lo strumento
dell’interpretazione insufficiente ad eliminare
il contrasto. (Corte Costituzionale, sentenza n.
311 del 2009).
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per la banca derivanti da bonifici di terzi,
operazioni di mera scadenza di titoli su
conto titoli con riaccredito in conto
corrente ed analoghe, conseguente
ripetibilità di tali somme.
Questa tesi restrittiva della portata
della norma può trovare giustificazione
nel richiamo della prima parte della
norma all’art. 2935 c.c. in materia di
prescrizione, con conseguente limitazione
applicativa a tale materia, nonché nello
stesso ricorso dell’espressione “in ogni
caso”, non intesa come volontà estensiva
della norma a qualsiasi domanda di
restituzione (“in qualunque caso”), ma
solo a quelle sulle quali di fatto potrebbe
avere inciso la norma interpretativa per
effetto di precedenti interpretazioni delle
parti o del giudice adito.
Un’interpretazione
siffatta,
tuttavia, non è comunque immune da
censure di costituzionalità per violazione
dei citati articoli 2,3,24,102 111,117 Cost.
ed art. 6.1. CEDU in quanto estinguerebbe
retroattivamente sul piano sostanziale e
priverebbe retroattivamente della tutela
giurisdizionale i diritti alla ripetizione di
somme
pagate
senza
una
valida
giustificazione
causale,
indipendentemente da se il pagamento sia
stato effettuato per mero errore, se sia
stato effettuato in esecuzione di una
clausola invalida, spontaneamente o su
richiesta
di
adempimento
della
controparte, stravolgendo il consolidato
principio secondo cui le operazioni di
prelevamento e versamento rilevano sul
piano contabile, ma non determinano una
alcuna rinuncia alla tutela giurisdizionale
inerente gli atti su cui si fondano.
In altri termini:
- la prima parte dell’articolo
esaminato
prevederebbe,
come
interpretazione autentica, la decorrenza
della prescrizione per le operazioni
bancarie in conto corrente dalle
annotazioni
in
conto,
con
ciò
implicitamente statuendo che non vi è
diritto alla restituzione di somme
annotate oltre dieci anni prima della
domanda giudiziale o di un atto
interruttivo, anche se non è decorso un
decennio dalla chiusura del rapporto di
conto corrente;
7.3. Lettura congiuntiva delle
disposizioni:
interpretazione
dell’irripetibilità degli importi versati
come irripetibilità del pagamento del
debito prescritto.
- la seconda parte dell’articolo,
tuttavia,
nella
consapevolezza
del
legislatore che un indirizzo giurisdizionale
prevalente fissava la decorrenza dalla
chiusura del rapporto, avrebbe previsto
nel secondo periodo null’altro che una
mera specificazione di quanto affermato
dall’art. 2940 c.c., ovvero l’irripetibilità
del pagamento del debito prescritto già
effettuato prima dell’entrata in vigore
della legge (con esclusione di pagamenti
attuativi di decisioni giurisdizionali non
passate in giudicato).
L’altra principale opzione dell’interprete
nell’interpretazione del comma
61
comporta
una
lettura
congiuntiva
dell’intero contenuto della disposizione:
l’irripetibilità
degli<<importi
già
versati>>, andrebbe collegata alla norma
precedente che interpreta il quadro
normativo del decorso della prescrizione
nei rapporti regolati dal contratto di
conto corrente bancario fissando il
principio della decorrenza del termine
dalle annotazioni e non dalla chiusura del
rapporto.
L’irripetibilità
delle
somme
versate, quindi, non si riferirebbe (come
appare dalla lettura della norma e dalla
sequenza dell’evoluzione giurisdizionale e
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dal successivo intervento del legislatore
con norma di interpretazione autentica)
alla volontà di precludere la tutela
giurisdizionale dei diritti restitutori
nascenti da azioni di nullità di clausole o
di somme ad altro titolo indebitamente
annotate a debito o pagate, ma,
all’opposto alla volontà di evitare che,
stabilito per interpretazione autentica
che
la
prescrizione
decorre
già
dall’annotazione, si possa pretendere la
restituzione di pagamenti di debiti
restitutori già prescritti, inclusa la
spontanea esecuzione di obbligazioni
restitutorie conseguenti a precedenti
introiti indebiti (mediante annotazioni a
debito o ricezioni di versamenti del
cliente).
Ciò presuppone, tuttavia, che
l’interpretazione
della
norma
interpretativa sulla decorrenza della
prescrizione nei rapporti bancari sia
costituzionalmente legittima e che il
sistema unitario di disciplina che ne
deriva sia razionale ed autenticamente
interpretativo
dell’ordinamento
preesistente.
In effetti, deve registrarsi come nel
dibattito degli operatori e degli studiosi vi
fossero diverse tesi e che le stesse Sezioni
Unite della Corte di Cassazione con la
sentenza 24418 del 2010 abbiamo
elaborato una tesi che si discostava sia
dalle posizioni di chi sosteneva che la
prescrizione decorresse sempre dalle
annotazioni sia dalla prevalente tesi della
decorrenza dalla chiusura del rapporto.
La norma, quindi, non avrebbe
alcuna
portata
innovativa
rispetto
all’ordinamento preesistente.
In proposito va evidenziato che, in
un quadro di diritti relativi non appare
irragionevole che il diritto alla ripetizione
di somme decorra dal momento in cui
viene
effettuato
il
pagamento/versamento fondato su una
causale nulla e non dalla chiusura
definitiva del rapporto, sia per esigenze
generali di certezza dei rapporti giuridici
sia, soprattutto, perché il diritto da tale
momento può essere fatto valere.
La norma, così come interpretata,
individualmente considerata potrebbe
non violare l’art. 2, apparendo il
pagamento di debito prescritto e, quindi,
potrebbe essere conforme al principio di
solidarietà costituzionale, all’art. 3 cost,
essendo l’art. 2940 c.c. applicabile a tutti
i rapporti giuridici prescritti, all’art. 24
Cost. non essendovi diritti restitutori di
carattere civile fondati su pagamento di
debito
prescritto
ai
sensi
dell’ordinamento vigente, con l’art. 47
Cost. , essendo il risparmio avvantaggiato
(e non compromesso) dalla esplicitazione
di tale irripetibilità, con l’art. 111 Cost.,
non incidendo la norma così come
interpretata sui giudizi in corso, se non
come legittima norma interpretativa;
infine con l’art. 117 Cost. e l’art. 61,1
CEDU e l’art. 102 Cost., rispondendo la
norma a legittime esigenze di chiarire che
l’introduzione della norma interpretativa
non darebbe luogo a pretese diverse da
quelle desumibili dall’intero ordinamento.
Ciò che non può, invece, in alcun
modo
ritenersi
ammissibile
è
la
decorrenza della prescrizione di un diritto
da un momento anteriore a quello in cui il
diritto stesso può essere legalmente
esercitato, con conseguente irragionevole
menomazione della tutela effettiva del
diritto stesso. E’ evidente, infatti, che se
una delle parti (e nei contratti di conto
corrente bancario, sempre la banca)
procede ad annotare illegittimamente a
debito delle somme, il cliente può agire
per la declaratoria di nullità degli atti
negoziali o di inefficacia degli atti
esecutivi, ma non potrà agire per la
restituzione di somme indebitamente
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percepite fino a quando la banca non avrà
incamerato un versamento solutorio,
imputatolo a copertura dell’annotazione
passiva illegittima e, quindi, fino a
quando il cliente non avrà <<pagato>> un
debito inesistente. La prescrizione di tale
diritto alla ripetizione della somma dovrà
necessariamente decorrere quanto meno
dal momento in cui il pagamento è stato
effettuato. In sintesi, il diritto alla
ripetizione non può decorrere che dal
momento in cui è giuridicamente
necessario
e
possibile
l’esercizio
dell’azione di ripetizione dell’indebito
(cfr.
Cass.
SU
n.
24418/2010).
Continuerebbero a trovare applicazione,
quindi,
i principi enunciati dalla
giurisprudenza e dalle Sezioni Unite in
materia di decorrenza della prescrizione,
con differenziazione tra versamenti
solutori (assenza di fido o pagamenti
extrafido) e versamenti ripristinatori della
provvista effettuati nei limiti di un fido
esistente.
conoscenza
che
il
dell’annotazione stessa.
cliente
ha
Ciò non è incompatibile con il
quadro costituzionale.
Per orientamento costante della
Corte di legittimità, ai fini dell’art. 2935
c.c., il fatto impeditivo della decorrenza
della prescrizione è solo la causa giuridica
che ostacola l’esercizio del diritto e non
anche
l’impedimento
oggettivo
o
l’ostacolo di mero fatto, in virtù
dell’esigenza di certezza dei rapporti
giuridici (Cass. Sez. Lav. N. 15991 del
2009, Cass. 28 luglio 2004, n. 14429, Cass.
3.5.1999 n. 4389).
La norma desunta dal comma 61
deve essere valutata ai sensi dell’art. 3
Cost,, nonché delle norme costituzionali
di cui agli art. 2,3,24 e 47 Cost.
Non vi è neppure una necessaria
irrazionalità del sistema se vi sono
decorrenze diverse per i termini
decadenziali e per termini di prescrizione.
Nel caso dei rapporti di conto corrente
bancario, infatti, per legge l’estratto deve
essere inviato con periodicità almeno
annuale (art. 119, comma 1 t.u.b.) ed il
cliente ha il potere di ottenere entro 90
giorni
copia
della
documentazione
inerente (anche) a singole operazioni (art.
119, comma 3 t.u.b.), risultando, quindi,
adeguata, in un quadro di diligenza ed
autoresponsabilità, la possibilità di agire a
tutela
dei
diritti
derivanti
dalle
annotazioni contabili.
A ciò consegue, non solo che
l’irripetibilità dei versamenti effettuati
riguarda solo la categoria dei pagamenti
di debiti prescritti, ma anche che <i
diritti nascenti dalle annotazioni>> e,
quindi,
appunto
dal
<<fatto
dell’annotazione>> altro non sarebbero
che i soli diritti conseguenti alle mere
operazioni contabili effettuate sul conto,
e non i diritti collegati alla validità ed
efficacia dei titoli negoziali in base ai
quali le operazioni sono effettuate: si
tratterebbe delle medesime posizioni
soggettive su cui incide l’approvazione del
conto ai sensi dell’art. 119, comma 2
t.u.b. che, come si è detto preclude la
contestazione delle concrete operazioni
sotto il profilo meramente contabile,
senza incidere sulla validità ed efficacia
dei rapporti medesimi.
Volendo a questo punto trarre le
conclusioni dell’analisi ermeneutica della
norma introdotta, può quindi affermarsi
che nei rapporti bancari regolati in conto
corrente:
Resta il fatto che la prescrizione
a)
decorre dall’annotazione e non dalla
i diritti il cui termine di
prescrizione decorre dalle annotazioni,
sono solo i diritti ad un corretto calcolo
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b)
c)
contabile delle operazioni compiute, da
identificarsi nelle sole posizioni soggettive
soggette a decadenza ai sensi dell’art.
119 t.u.b. in caso di approvazione
espressa o non contestazione dell’estratto
conto (omologhe ai diritti di cui all’art.
1832 c.c., errori di scritturazione,
omissioni,
duplicazioni),
legalmente
esercitabili già dall’annotazione;
la prescrizione dei diritti
(quelli che ovviamente si prescrivono)
derivanti da invalidità dei titoli su cui si
fondano le operazioni decorre dal
momento in cui il diritto può essere
giuridicamente esercitato, secondo le
regole proprie del vizio dedotto e della
pretesa azionata (es. annullabilità, dalla
conoscenza
del
vizio,
ripetizione
dell’indebito,
dal
momento
del
pagamento);
l’irripetibilità
delle
somme versate alla data di entrata in
vigore della legge è solo quella inerente i
diritti alle restituzione di somme
indebitamente
corrisposte
sul
presupposto
della decorrenza della
prescrizione da un momento successivo a
quello già desumibile da sistema secondo
una tesi interpretativa, e, quindi,
versando nell’erronea convinzione della
persistenza temporale del proprio debito
restitutorio (ovvero dalla chiusura del
conto e non dalle annotazioni per i diritti
di ripetizione connessi ad erronei computi
contabili, oppure dal pagamento per i
versamenti effettuati in assenza di fido,
in conformità a Cass. SU n. 24418 citata,
ancora dalla chiusura del rapporto per i
pagamenti puramente ripristinatori della
provvista);
norme interpretative in quanto, essendo
puramente interpretative del quadro
giuridico pregresso, sono:
1. conformi al principio generale di
ragionevolezza, perché, non introducendo
norme
destinate
ad
avere
una
applicazione
retroattiva,
non
differenziando tra banca e cliente,
distinguendo solo tra contratti di conto
corrente bancario ed ordinario, soggetti a
regole e pratiche diverse (solo nel
secondo i crediti sono inesigibili ed
indisponibili fino alla chiusura del conto, art. 1823 c.c., soggetti), non introducono
ingiustificate disparità di trattamento;
2.
tutelano
l'affidamento
legittimamente sorto nei soggetti, quale
principio connaturato allo Stato di Diritto,
in quanto si limitano ad esplicitare regole
già desumibili dal sistema;
3. salvaguardano l'effettività del
diritto dei cittadini di agire in giudizio per
la tutela dei propri diritti e interessi
legittimi (art. 24, primo comma, Cost.), in
quanto precludono l’azione di ripetizione
già esclusa dall’art. 2940 c.c. per il
pagamento di debiti prescritti;
4. salvaguardano l'integrità delle
attribuzioni costituzionali dell'autorità
giudiziaria (art. 102 Cost.), non incidendo
innovativamente su diritti preesistenti;
5. non violano il principio della
tutela costituzionale del risparmio (art. 47
Cost.), essendo pienamente tutelabili le
situazioni giuridiche lese, con reciproca
eccezione della non ripetibilità di debiti
effettivamente assunti dalle parti e
spontaneamente pagati;
Solo in tali termini, allontanandosi
dall’interpretazione
letterale
ed
attribuendo effettivamente una portata
puramente interpretativa alle norme
previste dal decreto milleproroghe se ne
può escludere l’incostituzionalità. Esse,
infatti, rispondono ai requisiti richiesti
dalla giurisprudenza costituzionale per le
6. non violano i principi del
<<giusto processo civile>>, orientando la
decisione giurisdizionale verso un assetto
degli interessi conforme alle posizioni
economiche sostanziali di partenza;
58
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5. Pattuizione scritta degli interessi e
rinvio agli usi su piazza. Contratti
stipulati in data anteriore legge sulla
trasparenza bancaria.
7. non violano l’art. 117 Cost. in
relazione all’art. 6.1. della CEDU in
quanto la norma, così limitata, è
destinata ad avere carattere puramente
interpretativo, diversamente da quasi
tutte le ipotesi censurate dalla Corte
Europea e rispondendo la norma, nella sua
obiettività, prescindendo da motivazioni
storico-politiche all’origine della sua
introduzione ad obiettivi di interesse
generale di specificazione di regole
generali
dell’ordinamento
sulla
prescrizione dei diritti e sulla ripetizione
dell’indebito nell’ambito di un diffuso
contenzioso caratterizzato da complesse
scansioni temporali e qualificazioni dei
singoli atti esecutivi.
Il
saggio
degli
interessi,
ove
ultralegale, deve essere previsto con
apposita pattuizione scritta come stabilito
dall'art. 1284 c. 3 c.c., successivamente
dagli artt. 3 e 4 della legge 154/1992 ed
infine dall'art. 117 D.Lgs. 385/1993.
Per i contratti stipulati anteriormente
all’entrata in vigore della legge 154/92
(8.7.1992), la giurisprudenza si è da
tempo orientata nel senso di ritenere che
tali clausole sono nulle per contrasto con
la previsione di cui all’art. 1346 c.c.
poiché, riferendosi genericamente agli
interessi usualmente praticati su piazza,
non distinguono fra le varie categorie di
essi e dunque non consentono di stabilire
a quale previsione le parti abbiano in
concreto inteso riferirsi.(152)
Con la clausola interessi “uso piazza”,
quindi, il saggio di interessi resta
indeterminato, mentre il richiamo ad
elementi
esterni
deve
avvenire
rispettando criteri prestabiliti ed elementi
estrinseci, obiettivamente individuabili,
mancando un uso bancario che consente
la preventiva ed esatta determinazione
del saggio convenuto tra le parti.(153) Si è
così detto che la nullità del richiamo agli
interessi praticati sulla piazza è dovuto
alla mancanza di criteri certi, univoci e
predeterminati di individuazione delle
condizioni abitualmente praticate dai
Tale tesi è stata sostenuta dallo
scrivente nella sentenza parziale del
Tribunale di Napoli, Sezione Distaccata di
Frattamaggiore il 30 marzo 2011.
Vanno
segnalate,
però,
due
ordinanze di remissione alla Corte
Costituzionale del Tribunale di Benevento
che con motivazione succinta deduce la
violazione degli art3. 3,24, 47 e 102 Cost.)
e del Tribunale di Brindisi, sezione
Distaccata di Ostini del 14.03.2011, che
con motivazione accurata solleva la
questione in riferimento agli art,
3,24,47,102,104, 111,117 in relazione al
par. 6.1. della CEDU, evidenziando anche
la disparità di trattamento tra le
situazioni giuridiche anteriori e successive
all’entrata in vigore della legge.
Infine, alcuni Tribunali, hanno, in
modo estremamente sintetico, sostenuto
l’irrilevanza della disposizione introdotta
(Corte di Appello di Ancona, 3 marzo
2011, il caso .it), dovendosi far decorrere
la prescrizione comunque dalla data del
pagamento, necessariamente coincidente
con la chiusura del conto (Tribunale di
Brescia, 24 marzo 2011, il caso.it).
(152) Cass. 1-2-2002 n. 1287; Cass. 18-4-2001 n.
5675; Cass. 19-7-2000 n. 9465; Cass. 8-5-1998 n.
4696; Cass. 23-6-1998 n. 6247; Cass. 9-12-1997
n. 12456; Cass. 10-11-1997 n. 11042; Cass. 2911-1996 n. 10657.
(153) Cfr., tra le tante, Cass. 20 giugno 1978
n.3028; Cass. 9 aprile 1983 n.2521; Cass. 14
febbraio 1984 n.1112; Cass. 28 maggio 1984
n.3252; Cass. 12 novembre 1987 n.8335, v. App.
Milano 15 dicembre 1989; Trib. Milano 24
febbraio 1992; App. Milano 31 gennaio 1992;
Pret. Pavia, 28 novembre 1992; Trib. Pavia I
ottobre 1993; Tribunale Napoli 13 maggio 1994.
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singoli istituti di credito (“prime rate”,
“top rate” e tassi intermedi - Cass.
14684/2003 e Cass.13823/2002).
Anche di recente, si osservi non è stata
esclusa in assoluto la validità degli
interessi determinati per relationem,
avendo la S.C. sostenuto che <<In tema di
contratti di mutuo, affinché una
convenzione relativa agli interessi sia
validamente stipulata ai sensi dell'art.
1284, comma 3, c.c., che è norma
imperativa, deve avere forma scritta ed
un contenuto assolutamente univoco in
ordine alla puntuale specificazione del
tasso di interesse; tale condizione, che
nel regime anteriore all'entrata in vigore
della l. n. 154 del 1992 può ritenersi
soddisfatta anche "per relationem",
attraverso
il
richiamo
a
criteri
prestabiliti ed elementi estrinseci,
purché obbiettivamente individuabili,
funzionali alla concreta determinazione
del saggio di interesse, postula, nel caso
di rinvio alle condizioni usualmente
praticate dalle aziende di credito sulla
piazza, l'esistenza di discipline vincolanti
fissate su scala nazionale con accordi di
cartello, restando altrimenti impossibile
stabilire a quale previsione le parti
abbiano inteso riferirsi in presenza di
diverse tipologie di interessi; ove il tasso
convenuto sia variabile, è idoneo ai fini
della sua precisa individuazione il
riferimento a parametri fissati su scala
nazionale alla stregua di accordi
interbancari, mentre non sono sufficienti
generici riferimenti, dai quali non emerga
con chiarezza quale previsione le parti
abbiano inteso richiamare con la loro
pattuizione.>> (Cassazione civile sez. III,
19 maggio 2010, n. 12276, Giust. civ.
Mass. 2010, 5, 783 (154)
Tali clausole, in ogni caso, sono
divenute inoperanti a partire dal 9/7/92,
data di acquisto dell’efficacia della legge
stessa. L’art. 4 di tale legge, poi trasfuso
nell’art. 117 del d.lgs. 385/93, sancendo
la nullità delle clausole di rinvio agli usi
per la determinazione dei tassi di
interesse, pur non incidendo, in base ai
principi regolanti la successione delle
leggi nel tempo, sulla validità delle
clausole contrattuali inserite in contratti
già conclusi, impedisce infatti che esse
possano produrre per l’avvenire ulteriori
effetti nei rapporti ancora in corso poiché
l’innovazione normativa “impinge sulle
stesse caratteristiche del sinallagma
contrattuale, generatore di conseguenze
obbligatorie protraentesi nel tempo”
(Tribunale di Napoli, III Sezione Civile,
G.U. Troncone, 19 gennaio 2010, cfr.
Cass. S.U. 4-11-2004 n. 21095; Cass. 18-92003 n. 13739; Cass. 20-8-2003 n. 12222;
Cass. 28-3-2002 n. 4490; Cass. 2-5-2002 n.
6258, cfr. del). (155)
rate, benché nella pratica possano trovare
applicazione tassi inferiori o superiori); in
precedenza conf. (Corte di Cassazione,
sentenza del 18 aprile 2001, n. 5675).
(155) Va ricordato, comunque che, in passato era
sostenuta anche la tesi opposta, secondo cui il
rinvio al tasso di interesse usualmente praticato
sulla piazza non rendeva indeterminabile
l’oggetto del contratto, e ciò sul presupposto
che le condizioni praticate usualmente dalle
aziende di credito sulla piazza erano fissate su
scala nazionale con accordi di cartello, per cui
tale rinvio consente di ancorare la misura degli
interessi a fatti oggettivi, certi e di agevole
riscontro, non influenzabili dal singolo istituto
bancario (Cass. 14 febbraio 1984 n.1112; Cass.
30 maggio 1989 n.2644; Tribunale Milano 15
giugno 1989; Tribunale Milano 11 gennaio 1990;
Cass. 25 agosto 1992 n.9839; Tribunale Milano
22 marzo 1993; Tribunale Roma 17 novembre
1993; Cass. 18 maggio 1996 n.4605 Cass.,
14.2.1984, n. 1112, in Giust. civ., Mass. 1984;
Cass., 12.11.1987, n.8335, in Giust. civ., Mass.
1987; Cass., 30.5.1989, n. 2644, in Foro it.,
1989, I, 3127; Trib. Roma, 17.11.1993, in Gius,
1995, 150; Trib. Saluzzo, 29.1.1994, in Giur.
it., 1994, I, 2, 639.). Sebbene, quindi, gli
(154) In applicazione dei suddetti principi, la
S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito
che, ritenendo valida la clausola che prevedeva
la corresponsione di "interessi attivi composti
bancari" in un periodo in cui tale prassi era
diffusa, ma non esistevano discipline vincolanti,
aveva quantificato gli interessi in base al prime
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La nullità in esame, poi, non può
essere
sanata
dalle
successive
comunicazioni delle variazioni del tasso
periodicamente inviate dalla banca al
cliente; in tal caso, infatti, gli interessi
vanno considerati come pattuiti senza la
forma scritta essendo irrilevante che il
contratto sia stato sottoscritto in epoca
anteriore all'entrata in vigore della I. n.
154/1992 (cfr. Cass. 1.2.2002 n. 1287,
28.3.2002 n. 4490 e Cass. 18.4.2001 n.
5675).
proprio, con l'effetto che può essere
dedotto anche in sede di appello. (157)
L’omologa nullità per divieto di rinvio
agli usi ex art. 117, comma 6 T.U.B,
rientra tra le nullità di protezione, a
carattere relativo (art. 127 comma 2).
Da ciò deriva che al contratto privato
della clausola nulla si applicano gli
interessi in misura legale e dunque:
- in quella calcolata ex art. 1284 c.c.
fino all’entrata in vigore della L. n.
154/92 (e quindi fino al 8-7-1992).
Accertata la nullità del saggio uso piazza,
per i contratti anteriori a tale data non
può essere applicato quale tasso
sostitutivo rispetto al saggio illegittimo
quello previsto dall'art. 117 comma 7 d.lg.
n. 358 del 1993: la norma suddetta è priva
di effetti retroattivi, come stabilisce
espressamente l'art. 161 comma 6 d.lg.
385 del 1993, in base a cui “I contratti già
conclusi e i procedimenti esecutivi in
corso alla data di entrata in vigore del
presente decreto legislativo restano
regolati dalle norme anteriori” (Trib.
5.1. Il criterio sostitutivo legale di
determinazione degli interessi.
La nullità della clausola di rinvio agli
usi ai sensi dell’art. 1346 c.c. è rilevabile
d'ufficio ai sensi dell'art. 1421 c.c. , senza
porsi in contrasto con il principio della
domanda ex artt. 99 e 112 c.p.c.: a fronte
della
richiesta
di
adempimento
dell’obbligazione pecuniaria di origine
negoziale giudice ne deve accertare il
fondamento contrattuale anche in assenza
di allegazioni difensive del convenuto ed
anche in caso di contumacia (156). Ciò
comporta, peraltro il rigetto della
domanda monitoria in caso di domanda di
interessi fondati sulla clausola nulla, con
conseguente necessità di sospendere il
ricorso con cui si richiede capitale ed
interessi ultralegali, invitando al ricalcolo
ed alla rideterminazione della somma
dovuta, escludendo la concessione del
decreto ingiuntivo sulla base del
saldaconto o degli estratti senza
allegazione del contratto. Trattandosi
mera difesa e non un'eccezione in senso
(157) Per le medesime considerazioni sugli
interessi anatocistici illegittimi, TRAPUZZANO, op.
cit., Giur. merito ,2010, 02, 561 s. : <<, nelle
controversie aventi ad oggetto la pretesa di
pagamento ovvero di ripetizione delle somme
sborsate nell'ambito dell'attuazione di un
contratto bancario di durata e, in specie, del
conto corrente di corrispondenza, venendo in
considerazione l'applicazione o l'esecuzione di
un atto, la cui validità rappresenta un elemento
costitutivo della domanda proposta, il giudice è
tenuto a rilevarne l'eventuale nullità ex art.
1421 c.c. in qualsiasi stato e grado del giudizio,
a prescindere dall'attività assertiva delle parti.
In questi casi, la validità del negozio costituisce
il presupposto per l'accoglimento della
domanda, con la conseguenza che il rilievo
d'ufficio della sua nullità è del tutto
compatibile con il principio della domanda. Ciò
accade in particolar modo nei giudizi di
opposizione a decreto ingiuntivo richiesto e
ottenuto dalle banche.>>(
(37) Cfr. tra le ultime Cass. 19 giugno 2008, n.
16621; Cass. 21 dicembre 2007, n. 27088; Cass.
10 ottobre 2007, n. 21141; Cass. 31 agosto
2007, n. 18453.
interessi ultralegali dovessero essere convenuti
per iscritto (art. 1284 c.c.), poiché la relatio è
ammissibile anche nel contratto a forma
vincolata, la pattuizione conserverebbe la sua
validità.
(156) ROSSETTI, Contratti, quando il giudice rileva
la nullità, in D&G, 2004, f. 44, 30.
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conto (saldi dare), che sono quelli che
scaturiscono operazioni attive ed il tasso
massimo ai saldi creditori (avere) che
sono quelli
che scaturiscono dalle
operazioni passive.
Infatti, l’art. 117, settimo comma,
lett. a, D.Lgs. 385/’93 così dispone:
In caso di inosservanza del comma 4 e
nelle ipotesi di nullità indicate nel
comma 6, si applicano:
a) il tasso nominale minimo e quello
massimo dei buoni ordinari del Tesoro
annuali o di altri titoli similari
eventualmente indicati dal Ministro del
tesoro, emessi nei dodici mesi precedenti
la
conclusione
del
contratto
rispettivamente per le operazioni attive e
per quelle passive.
Ci si può riportare agli argomenti spesi
dal Tribunale di Napoli, III Sezione Civile,
G.U. Troncone, 19 gennaio 2010. E’ chiaro
che il legislatore, a mezzo dell’utilizzo
dell’avverbio
rispettivamente,
ha
collegato il tasso nominale minimo alle
operazioni attive e quello massimo alle
operazioni passive. E quest’ultime vanno
determinate alla stregua delle comuni
regole di tecnica bancaria e di diritto
bancario, secondo cui le operazioni attive
sono quelle di impiego fondi, ossia quelle
che si concretizzano in operazioni di
finanziamento alla clientela, come le
aperture di credito in conto corrente,
mentre le operazioni passive sono, invece,
quelle di raccolta o provvista di fondi,
che si concretizzano in operazioni di
deposito in conto corrente con saldi a
credito del correntista.
Anche la Banca d'Italia nelle sue
statistiche, come anche nelle istruzioni di
vigilanza
impartite
alle
banche,
ricomprende fra le operazioni attive come anche per i tassi attivi - quelle che
sono effettuate a debito del cliente e che
apportano alla banca una componente
attiva di reddito, mentre ricomprende fra
le operazioni passive quelle a credito del
cliente e a debito della banca.
Bari, sez. I, 27 febbraio 2007, n. 548, in
Guida al diritto, 2007, 46, 80). Invece, in
forza della regola di cui all’art. 1419 c.c.,
opera la sostituzione della clausola
difforme da una norma imperativa con il
dettato
della
norma
imperativa
medesima. Gli interessi perciò andranno
calcolati nella misura del tasso legale ex
art. 1284 c.c.;
- in quella calcolata in applicazione il
criterio sostitutivo previsto dall’art. 5 l.
154/92 (sostituito poi dall’art. 117 VII co.
lett. a del t.u.l.b. avente identico
contenuto), dopo l’entrata in vigore di
tale legge (nel caso di specie le norme
applicabili ratione temporis sono gli artt.
4 e 5 della legge 154/92 in considerazione
della protrazione della loro efficacia
operata dall’art. 165 del d. lgs. 385/93
atteso che la delibera del CICR, cui la
disposizione fa riferimento, è stata
adottata solamente il 4/3/03, con
efficacia dall’1/10/03 e, pertanto, solo da
quest’ultima data è entrato in vigore
l’art. 117 t.u.l.b.); da quel momento
infatti la misura legale degli interessi, per
i contratti bancari, deve ritenersi quella
prevista dalle citate norme stante la
specialità di tali disposizioni rispetto alla
disciplina generale contenuta nell’art.
1284 c.c.. (C. Cost. n. 338 del 14.12.2009,
Cassazione 1° marzo 2007, n. 4853, e
Cassazione 21 dicembre 2005, n. 28302;
nonché Tribunale ordinario di Cagliari,
sentenza 27 maggio 2002, n. 1441, e
Tribunale ordinario di Reggio Emilia,
sentenza 17 novembre 2001).
5.2. L’art. 117 e l’individuazione
delle <operazioni attive
e delle
operazioni passive>.
Il criterio integrativo previsto dall’art.
5 della legge 154/92 deve essere
interpretato, ai fini della concreta
individuazione del tasso nominale minimo
o massimo dei BOT emessi nei dodici mesi
precedenti, nel senso dell’applicazione
del “tasso minimo” ai saldi debitori del
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Peraltro, che sia questa la corretta
interpretazione delle locuzioni ‘operazioni
passive’ ed ‘operazioni attive’ è
confermato anche:
a.- dalla L. 154/’92, che, al suo art. 7,
chiarisce cosa debba intendersi per
operazione
passiva,
ricollegandone
l’esistenza ad attività di versamento di
denaro presso un ente creditizio [la
norma, infatti, nell’occuparsi della
decorrenza delle valute, così dispone: 1.
Per le operazioni passive gli interessi sui
versamenti presso un ente creditizio di
denaro, di assegni circolari emessi dallo
stesso ente creditizio e di assegni bancari
tratti sullo stesso sportello presso il quale
viene effettuato il versamento devono
essere conteggiati con la valuta del giorno
in cui è effettuato il versamento e sono
dovuti fino a quello del prelevamento];
b.- dallo stesso D.Lgs. 385/’93, che, in
tema di credito al consumo, all’art. 124,
quinto comma, dispone che nei casi di
assenza
o
nullità
delle
clausole
contrattuali, queste ultime sono sostituite
di diritto secondo i seguenti criteri: a) il
TAEG [ossia il tasso annuo effettivo
globale; tasso dell’interesse a debito del
consumatore] equivale al tasso nominale
minimo dei buoni del tesoro annuali o di
altri titoli similari eventualmente indicati
dal Ministro del tesoro, emessi nei dodici
mesi precedenti la conclusione del
contratto.(158)
Va
disatteso,
quindi,
l’opposto
orientamento, meno motivato, secondo
cui <<tale criterio non potrebbe essere
realizzato applicandosi in favore del
cliente della banca il tasso massimo dei
bot e nei confronti della banca il tasso
minimo, poiché si configurerebbe per tale
via un ingiustificato arricchimento del
correntista ed un rapporto illogico ed
antieconomico. Osserva in contrario il
giudicante che la previsione de qua è
particolare e limitata al meccanismo di
sostituzione del tasso di interessi illegali;
ha pertanto una sua specifica logica ed
una sua propria. motivazione che
prescinde dal generale profilo del
rapporto tra banca ed utente, (v. pure
Corte di Appello di Milano Sez.
4.2.2009>>,(Tribunale di Salerno sez. I
Data: 08 settembre 2010 Numero: n.
1988, www.dejure.giuffre.it).
5.4. Il momento di determinazione
del tasso BOT.
L’interpretazione
strettamente
letterale dell'art. 117 del T.U.B.
porterebbe ad applicare a tutto il
rapporto il tasso BOT dei dodici mesi
precedenti la conclusione del contratto;
ma ciò è ragionevole per i contratti
bancari
che
contengono
un'unica
operazione di finanziamento; per i
contratti di durata, ove le operazioni si
susseguono nel tempo, vi è la necessità di
agganciare la misura degli interessi al
costo del denaro con riferimento al
momento in cui le operazioni vengono
effettuate . <<Per tali contratti,
risultando il saggio di interesse soggetto a
continue modifiche in funzione dei
mutamenti del mercato, si ritiene che il
valore minimo e massimo dei BOT debba
essere riferito ai dodici mesi precedenti
ogni chiusura dei conti (trimestrale o
annuale).>> (ancora Tribunale di Napoli,
III Sezione Civile, G.U. Troncone, 19
gennaio 2010)
D'altra parte, una rigida applicazione
del portato letterale dell'art. 117 del
T.U.B.
condurrebbe
a
soluzioni
paradossali: con la discesa dei tassi
intervenuta negli anni '90, si verrebbero a
(158) Anche la giurisprudenza che ha affrontato
la questione ha confermato la correttezza di
tale interpretazione, come comprovano, tra le
altre, le sentenze del Tribunale di Mantova
dello 03.02.2004, del Tribunale di Lecce del
29.11.2005, l’ordinanza emessa dal Tribunale di
Napoli, XII Sezione Civile, nell’ambito del proc.
civ. rg. 22699/’06, nonché la recente sentenza
del Tribunale di Napoli, IV Sezione civile, n.
7894/2008 del 19 giugno / 7 luglio 2008,
Tribunale di Napoli, III Sezione Civile, G.U.
Troncone, 19 gennaio 2010.
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6. Anatocismo
trimestrale.
praticare tassi oltremodo elevati, talvolta
superiori anche ai tassi soglia disposti
dalla legge 108/96: il tasso minimo dei
BOT emessi nei dodici mesi precedenti il
9/7/92 (data di entrata in vigore della
legge 154/92), pari a 11,88%, verrebbe a
risultare maggiore, a partire dal '99, al
tasso soglia stabilito dalla legge 108/96
per le aperture di credito superiori a Lit.
10 milioni.
L'adeguamento del tasso ad ogni
chiusura trimestrale del conto si
giustifica,poi,
alla
stregua
della
considerazione secondo cui la previsione
contenuta nell'art. 5 l. 154/92 e poi
nell'art. 117 t.u.b. si riferisce ad un
contratto
contemplante
un'unica
operazione e non invece a quello che dà
luogo (come nell'ipotesi del conto
corrente) ad un rapporto di durata,
caratterizzato da molteplici operazioni
poste in essere nella continua variazione
dei tassi di interesse a causa delle
mutevoli condizioni del mercato (159)
e
capitalizzazione
L’ art. 120, comma 2 t.u.b.
attualmente prevede che <<Il CICR
stabilisce modalita' e criteri per la
produzione di interessi sugli interessi
maturati nelle operazioni poste in essere
nell'esercizio
dell'attivita'
bancaria,
prevedendo in ogni caso che nelle
operazioni in conto corrente sia assicurata
nei confronti della clientela la stessa
periodicita' nel conteggio degli interessi
sia debitori sia creditori.>>
E’ noto, invece, che In precedenza, la
clausola dell’art. 7 delle NUB prevedeva
per gli interessi debitori del cliente la
capitalizzazione trimestrale e per quelli
della banca la capitalizzazione annuale,
per diversi decenni ritenuta valida dalla
giurisprudenza che rilevava l’esistenza di
un uso normativo legittimante la
capitalizzazione trimestrale ai sensi
dell’art. 1283 c.c.
Alcune sentenze della Corte di
Cassazione (Cass. 30.3.1999 n. 3096;
Cass., 16.3.1999 n. 2374, entrambe in
Foro it., 1999, I, 1153; nonché Cass.,
11.11.1999 n. 12507, in Foro it., 2000, I,
451 e definitivamente Cass., Sez. Un.,
4.11.2004 n. 21095), innovando l’
indirizzo giurisprudenziale radicato in
precedenza, hanno invece dichiarato la
nullità della clausola sostenendo, in senso
contrario, l’inesistenza di tale uso
normativo. (160,161).
(159) Tanto che la facoltà di variazione dei tassi
è prevista in via generalizzata e con modalità
semplificate dagli artt. 6 l. 154/92 e 117
comma 5 del TUB), dovendosi inoltre tenere
conto del fatto che la finalità sanzionatoria (per
la banca) che sta alla base delle predette
disposizioni, verrebbe ad essere frustrata in
caso di difformità per eccesso fra il tasso
calcolato in relazione al rendimento dei B.O.T.
emessi nell'anno antecedente alla stipula del
contratto e quello in concreto applicato
dall'istituto di credito durante il corso del
rapporto (eventualità che si risolve in certezza
ove si consideri la progressiva caduta, nel corso
degli ultimi anni, dei tassi di interesse,
fenomeno che ha indotto il legislatore a
intervenire in materia di mutui bancari come si
desume dal preambolo al d.l. 29-12-2000 n.
394): d'altro canto, la finalità perseguita dal
legislatore con gli artt. 5 l. 154/92 e 117 del
T.U.B. è stata proprio quella di ancorare il tasso
sostitutivo degli interessi ad un altro in qualche
modo legato all'andamento del mercato dei
tassi. >> Tribunale di Napoli, III Sezione Civile,
G.U. Troncone, 19 gennaio 2010)
(160) Il ragionamento seguito dalla Suprema
Corte è fondato sui seguenti punti:
a) l’art. 1283 c.c. prevede il generale divieto
di anatocismo e cioè della produzione di
interessi sugli interessi, salvi gli usi contrari;
b) tali “usi contrari” sono esclusivamente
quelli normativi, di cui agli artt. 1 e 8 delle
disposizioni preliminari al c.c. e non gli usi
negoziali di cui all’art. 1340 c.c.; i quali,
pertanto, potranno derogare alla norma di
legge solo se formatisi prima della medesima,
altrimenti sottostando al principio per cui gli usi
sono fonte sempre subordinata alla legge;
c) gli usi normativi consistono nella ripetizione
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E’ iniziata, quindi, una travagliata
vicenda normativa,in virtù della quale
prima l’art. 25, comma III, del D.lgs. n.
342/1999 ha previsto la validità ed
efficacia retroattiva delle “clausole
relative alla produzione degli interessi
sugli interessi maturati contenute nei
contratti stipulati anteriormente alla
data di entrata in vigore della delibera di
cui al comma II” .Tale norma, tuttavia, è
stata
dichiarata
costituzionalmente
illegittima per eccesso di delega in
contrasto con l’art. 77 Cost. da Corte
Costituzionale n. 425 del 17.10.2000.
Il CICR ha provveduto, con la delibera
del 9.2.2000, entrata in vigore il
22.4.2000, ad eseguire le direttive di cui
all'art. 25, co. 2° d.lg. 342/99,
stabilendo, in particolare, che: 1) in tutti
i rapporti deve essere indicata la
periodicità di capitalizzazione degli
interessi; 2) le clausole di capitalizzazione
degli interessi devono essere approvate
specificamente per iscritto, ai sensi
dell'art. 1341 c.c.; 3) nei rapporti di conto
corrente deve essere stabilita la stessa
periodicità nella capitalizzazione degli
interessi creditori e debitori. Ne consegue
che, nel rispetto di tali previsioni
contrattuali, dall'1.7.00 - data indicata
nella stessa delibera del CICR - la clausola
anatocistica deve ritenersi valida.
generale, uniforme, costante e pubblica di un
determinato comportamento, accompagnata
dalla convinzione che si tratti di un
comportamento giuridicamente obbligatorio, e
cioè conforme ad una norma che esiste o che si
ritiene debba esistere nell’ordinamento (la
opinio iuris ac necessitatis);
d) non esiste un uso normativo legittimante
l’anatocismo trimestrale nei rapporti bancari,
sia da un punto di vista oggettivo (perché tale
clausola è stata prevista per la prima volta
nelle norme bancarie uniformi del 1952) sia da
un punto di vista soggettivo (perché
l’anatocismo è consentito dai clienti delle
banche non nella consapevolezza di esservi
vincolati da una norma giuridica ma solo in
quanto la relativa clausola è compresa nei
moduli predisposti dal contraente forte, istituto
di credito).
(161) Con tale revirement giurisprudenziale di
legittimità la clausola del contratto di c/c di
previsione di un cd. “doppio binario di
capitalizzazione
degli
interessi
debitori
(trimestrale per il correntista ed annuale per la
banca: cfr. il contratto di c.c.) è stata
definitivamente
considerata
nulla
per
contrarietà alla norma imperativa di cui all’art.
1283 c.c. (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n.10127
del 2005; Cass. N. 10599/2005; Cass. S.U. n.
21095/2004; Cass. N. 2593/2003; Cass. N.
17813/2002; Cass. N. 8442/2002; Cass. N.
4490/2002; C.Cost. n. 425/2000; per la
giurisprudenza di merito cfr. Trib Torino
7.1.2003; Trib. Napoli 27.11.2002; Trib Roma
8.11.2002; Corte App. L’Aquila 11.6.2002, cfr.
negli stessi termini Trib. Mantova sentenza
16.1.2004; Corte d’Appello Milano, sent. del
28.1.2003 citata; cfr. C. App. Torino
21.1.2002). Sono intervenute ulteriori sentenze
della Suprema Corte, le quali hanno confermato
l’orientamento citato, estendendolo anche ad
altre ipotesi di anatocismo (cfr. Cass.,
17.4.1999 n. 3845, in Foro it., 1999, I, 1429, in
relazione all’anatocismo nel caso di interessi
moratori; Cass., 18.9.2002 n. 17813, in Guida
dir., 2003, fasc. 3, 46, in materia di clausole
penali che consentissero la riproduzione del
meccanismo anatocistico; Cass., 23.10.2002 n.
2593, in Guida dir., 2003, fasc. 10, 40, in
relazione all’anatocismo nei contratti di mutuo
ad ammortamento e che ben motiva altresì
sull’impossibilità della formazione, in tale
materia, di usi contrari successivi al 1942.
Alcune sentenze dei giudici di merito che hanno
ritenuto invece, in contrario avviso, di
ammettere l’uso normativo in questione (cfr.
Trib. Napoli, 5.11.2001, in Banca, Borsa e Titoli
di Credito, 2002, 580 ss.; ma anche Trib.
Napoli, sezione distaccata di Portici, 24.4.2002,
inedita; Trib. Firenze, 8.1.2001, in Foro it.,
2001, I, 2362, sul presupposto dell’inutilità ai
fini della formazione della consuetudine
dell’elemento dell’opinio iuris; Trib. Bari,
28.2.2001, in Foro it., 2001, 2361; ma vide in
senso conforme all’orientamento della Suprema
Corte anche Trib. Terni, 16.1.2001, in Foro it.,
2001, 1772; Corte App. Lecce, 22.10.2001 in
Foro it., 2002, 555; Trib. Napoli, 17.12.2002;
Trib.
Napoli
27.11.2002;
Trib.
Torino
14.11.2002; Trib. Roma, 8.11.2002; Trib.
Milano, 4.7.2002, tutte in Giur. merito, 2003,
243) (A. Greco, Il contenzioso bancario, cit.)
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scritta del contratto, non potendo la
banca
modificare
unilateralmente
l’assetto
negoziale
attraverso
gli
adempimenti indicati. (164)
6.1. Le modalità di adeguamento alla
delibera CICR.
Restava, però il problema dei contratti
in corso che prevedevano la clausola
nulla.
Per questi contratti è stata ritenuto
ammissibile l’adeguamento del contratto
entro il 30 giugno 2000 (art. 7 della
delibera CICR) citata semplicemente
procedendo alla pubblicazione sulla G.U.
delle
modifiche
delle
condizioni
contrattuali necessarie per adeguarsi alla
normativa sopravvenuta ed informando
per iscritto il cliente circa l’assolvimento
di tale formalità. La tesi appare
condivisibile perché essendo reciproca la
capitalizzazione trimestrale,la clausola
non sarebbe sfavorevole al cliente perché
consente
l’adeguamento
mediante
pubblicazione in GU e comunicazione
scritta al cliente delle nuove condizioni
contrattuali non peggiorative del cliente
(162),(163)
Secondo una diversa tesi minoritaria,
invece, sarebbe necessaria una modifica
6.2. Capitalizzazione
nessuna capitalizzazione.
annuale
Uno degli aspetti che restavano
controversi era quello delle conseguenze
della declaratoria di nullità della clausola
conforme all’art. 7 N.U.B.: esclusa la
capitalizzazione trimestrale degli interessi
passivi, il ricalcolo delle somme dovute
alla banca doveva avvenire con la
capitalizzazione annuale o escludendo
qualsiasi capitalizzazione?
Di recente sul punto si sono espresse le
Sezioni Unite con la sentenza del 2
dicembre 2010, n. 24418, aderendo alla
seconda tesi .
Superandosi il precedente contrasto
giurisprudenziale (evidente in distretti
come quello della Corte di Appello di
Napoli, ove i giudici di primo grado
aderivano prevalentemente alla tesi della
non capitalizzazione e la Corte di Appello
a quella della capitalizzazione annuale),
la Corte di Cassazione, quindi, ha chiarito
l’infondatezza
di
altro
argomento
difensivo delle banche, collegato al
contenuto della clausola secondo cui
essendovi
una
duplice
previsione
contrattuale di chiusura contabile annuale
del conto e, quindi, anche degli interessi
e di capitalizzazione trimestrale degli
interessi debitori, la caducazione di
quest’ultima, non si potrebbe estendere
alla prima; in altre parole, si tratterebbe
di una doppia clausola, venuta meno la
(162) cfr. anche A. GRIECO, Il contenzioso
bancario, cit.
(163) L’art. 7 della citata Delibera C.I.C.R.
dispone che: “1. Le condizioni applicate sulla
base dei contratti stipulati anteriormente alla
data di entrata in vigore della presente delibera
devono essere adeguate alle disposizioni in
questa contenute entro il 30/6/00 e i relativi
effetti si producono a decorrere dal successivo
1° luglio. 2. Qualora le nuove condizioni
contrattuali non comportino un peggioramento
delle condizioni precedentemente applicate, le
banche e gli intermediari finanziari, entro il
medesimo termine del 30/6/00, possono
provvedere all’adeguamento, in via generale,
mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica Italiana. Di tali nuove
condizioni deve essere fornita opportuna notizia
per iscritto alla clientela alla prima occasione
utile, e, comunque, entro il 30/12/00. 3. Nel
caso in cui le nuove condizioni contrattuali
comportino un peggioramento delle condizioni
precedentemente applicate, esse devono essere
approvate dalla clientela.”
(164) In tale ambito v’è una tesi la quale afferma
che, a seguito della declaratoria di
incostituzionalità del comma 3° dell’art. 25 del
decreto legislativo n. 342 del 1999, sarebbe
caducato anche l’art. 7 della delibera CICR,
per cui per adeguare i contratti sarebbe
necessario sottoscrivere un nuovo accordo che
contempli una variazione in tal senso del
contenuto negoziale Trib. Torino, 5 ottobre
2007, in Foro It., 2008, I, 646).
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quale resterebbe l’altra. (165). Le SU,
invece, affermano che la prima clausola si
riferisce esclusivamente agli interessi
creditori del correntista.
Viene respinta, quindi, la tesi di alcuni
tribunali di merito, secondo cui dall’art.
1284 c.c. sarebbe desumibile un principio
di capitalizzazione annuale degli interessi
su conti correnti bancari. L’art. 1284,
comma 1 c.c. sembra, infatti, costituire
una norma volta esclusivamente ad
imporre un criterio temporale uniforme di
scansione per la determinazione dei saggi
di interesse, mentre non sembra potersi
univocamente dedurre una regola di
capitalizzazione sulla base dell’unitàanno. Di qui necessità di non applicare nel
calcolo alcun criterio di capitalizzazione.
Il debito per interessi (anche quando
sia
stata adempiuta
l'obbligazione
principale) non si configura come una
qualsiasi obbligazione pecuniaria, dalla
quale derivi il diritto agli ulteriori
interessi
dalla
mora
nonché
al
risarcimento del maggior danno ex art.
1224 comma II cod. civ., ma resta
soggetto alla regola dell'anatocismo di cui
all'art. 1283 cod. civ., derogabile
soltanto dagli usi contrari ed applicabile
a tutte le obbligazioni aventi ad oggetto
originario il pagamento di una somma di
denaro sulla quale spettino interessi di
qualsiasi natura.
7. Commissione di massimo scoperto.
La commissione di massimo scoperto è
altro aspetto critico dei rapporti bancacliente.
Nella pratica le banche sono ricorse a
diversi modelli di C.M.S:
a) una commissione di mancato
utilizzo (c.m.u.) rilevata e percepita in
principio trimestralmente, consistente in
una
somma
espressione
di
una
percentuale calcolata sull'accordato al
netto dell'utilizzato (se l'accordato è 100
ed il cliente nulla ha utilizzato, la base di
calcolo sarà 100; se il cliente ha utilizzato
60 la base di calcolo sarà 40). La
commissione sull’accordato avrebbe la
funzione di compensare la disponibilità
del denaro che la banca si impegnava
mantenere in favore del cliente, e quindi i
costi industriali e finanziari di essa; essa
non era confondibile con gli interessi,
perché prescindeva dall'effettivo utilizzo
della liquidità, dando un autonomo valore
alla messa a disposizione della somma non
utilizzata.
b) una "commissione di massimo
scoperto (c.m.s.), molto più frequente,
sempre rilevata e percepita di regola
trimestralmente, sull'ammontare massimo
dell'utilizzo nel trimestre, quando questo
ammontare massimo di utilizzo sia durato
un minimo di tempo (in genere 3, 6, 10
giorni, ma anche talora un giorno
soltanto). La c.m.s. è calcolata sul picco
massimo della somma prelevata dal
cliente in certo arco temporale, in genere
il trimestre, con la funzione di
remunerare la banca non tanto per
(165) LA S.C. ha rilevato, infatti che l'art. 7 del
contratto esaminato (più verosimilmente basato
sulle N.U.B.) da cui origina la presente causa
contiene due commi: il primo prevede la
chiusura contabile annuale dei rapporti di dare
ed avere tra le parti, con registrazione in conto
degli interessi, delle commissioni e delle spese;
il secondo stabilisce che i conti anche
saltuariamente debitori siano invece chiusi
trimestralmente, quindi con capitalizzazione
trimestrale degli interessi maturati nel periodo
a carico del correntista, ferma restando la
capitalizzazione
annuale
di
quelli
eventualmente spettanti a suo credito. Secondo
la Corte di legittimità non è sostenibile, infatti,
che la disposizione contrattuale, nel prevedere
la capitalizzazione annuale degli interessi, si
riferisca anche a quelli eventualmente maturati
a debito del correntista e che, perciò, venuta
meno la previsione del comma 2, che
assoggetta invece tali interessi debitori alla
capitalizzazione trimestrale, debba trovare
applicazione per essi la capitalizzazione
annuale, perché il secondo comma regola
specificamente gli interessi debitori, mentre il
comma 1 è limitato agli interessi a credito del
correntista. Non vi è quindi una estensione
della nullità dal secondo al primo comma, ma
una irrilevanza del primo comma.
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disponibilità concessa al cliente (il c.d.
accordato), quanto piuttosto per quella
dallo stesso effettivamente utilizzata.
c) raramente, le banche applicano
congiuntamente entrambe.(166)
Talvolta la c.m.s. è stata applica in
casi diversi dai contratti di apertura di
credito in conto corrente, ma anche
riferimento ai fidi di fatto (c.d.
scoperture e sconfinamenti di conto
corrente).
La commissione di massimo scoperto
(c.m.s.) non è definita dalla legge e
tradizionalmente non lo è mai stata
neppure nei contratti. Le NUB (art. 7,
comma 3) citavano solo la c.m.s.
sottolineando che, come altre voci di
costo, essa era regolata da <<i criteri
concordati
con
il
correntista
o
usualmente praticati dalle banche sulla
piazza con le valute indicate nei
documenti contabili o comunque negli
estratti conto>>.(167)
Le Istruzioni della Banca d'Italia
precedenti al 2009 descrivevano la c.m.s.
("Metodologia di calcolo della percentuale
della commissione di massimo scoperto" v. Istruzioni, Sez. I, C/5), riferendosi ad
una delle sue forme: "Tale commissione
nella tecnica bancaria viene definita
come il corrispettivo pagato dal cliente
per compensare l'intermediario dell'onere
di dover essere sempre in grado di
fronteggiare una rapida espansione
nell'utilizzo dello scoperto del conto. Tale
compenso - che di norma viene applicato
allorché il saldo del cliente risulti a
debito per oltre un determinato numero
di giorni - viene calcolato in misura
percentuale sullo scoperto massimo
verificatosi nel periodo di riferimento"
(ovvero sulla punta massima di utilizzo
del credito nel trimestre).
7.1. Profili causali.
La c.m.s. potrebbe avere una
giustificazione
causale
nella
remunerazione della banca della semplice
messa a disposizione della somma, cosa
che
comporta
astrattamente
la
conservazione della disponibilità e,
quindi, un costo finanziario per l’impresa
bancaria Si è osservato, che la
commissione <<sul credito accordato può
astrattamente rinvenire la sua funzione
nell’esigenza
di
riconoscere
un
corrispettivo per la banca in relazione
all’effettiva erogazione di fondi ovvero
alla messa a disposizione dei fondi stessi,
con il conseguente obbligo di erogazione
del credito a carico della banca, a
richiesta del cliente: nel primo caso
sarebbe assimilabile assimilabile agli
interessi
passivi,
nel
secondo
rappresenterebbe
un
corrispettivo
autonomo dagli interessi.>> (168
Tale alternativa è stata evidenziata
dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 870
del 18 gennaio 2006), definendola come la
remunerazione accordata alla banca per
la messa a disposizione dei fondi a favore
del
correntista
indipendentemente
(166). In tale senso la C.M.S. è intesa come un
onere per il cliente medesimo, a fronte
dell'impegno della banca di mantenere la
predetta riserva di denaro, venendo anzi a
definire "il prezzo complessivo che il cliente
della banca deve sostenere per sottoscrivere un
contratto di apertura di credito" (INZITARIDAGNA, Commissioni e spese nei contratti
bancari, Cedam, 2010, p. 7; App. Lecce, 22
ottobre 2001, in Riv. dir. comm., 2002, II, p.
251). SI critica , in vece, l’impiego della C.M.S.,
come remunerazione della banca per il capitale
effettivamente messo a disposizione del cliente
(TATARANO, La commissione di massimo
scoperto : profili giusprivatistici, ESI, 2004, p.
39; MACCARONE, Le operazioni bancarie in
conto corrente, in Giur. banc., 1989, 6-7, p.
184), con conseguenze dirompenti sulla
sistematica dell'istituto.
(167) In seguito alla circolare del 3 febbraio 1995
dell’A.B.I., che ha dettato le nuove norme per i
contratti di corrispondenza e servizi connessi,
nell’intestazione della proposta contrattuale
predisposta per il cliente è stato previsto uno
spazio per l’indicazione dell’ammontare della
commissione di massimo scoperto.
(168) GRIECO, op. cit.
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dall'effettivo prelevamento della somma,
osservando che "o tale commissione è un
accessorio che si aggiunge agli interessi
passivi - come potrebbe inferirsi anche
dall'esser
conteggiata, nella prassi
bancaria, in una misura percentuale
dell'esposizione
debitoria
massima
raggiunta, e quindi sulle somme
effettivamente utilizzate, nel periodo
considerato
che
solitamente
è
trimestrale - e dalla pattuizione della sua
capitalizzazione trimestrale, come per gli
interessi passivi o ha una funzione
remunerativa dell'obbligo della banca di
tenere a disposizione dell'accreditato una
determinata somma per un certo periodo
di tempo (e, quindi, costituire un
corrispettivo autonomo dagli interessi),
indipendentemente dal suo utilizzo come sembra preferibile ritenere anche
alla luce della circolare della Banca
d'Italia del primo ottobre 1996 e delle
successive rilevazioni del cd. tasso di
soglia, in cui è stato puntualizzato che la
commissione di massimo scoperto non
deve esser computata ai fini della
rilevazione dell'interesse globale di cui
alla legge 7 marzo 1996 n. 108, ed allora
dovrebbe esser conteggiata alla chiusura
definitiva del conto –“ (cfr. in tal senso
anche Cass., sez. III, 6 agosto 2002, n.
11772).
Sono, però le modalità di applicazione
della c.m.s. da parte del sistema bancario
hanno acuito i dubbi sulla sua legittimità.
mancherebbe la giustificazione causale,
perché la messa a disposizioni rientrava
già nello schema causale dell’apertura di
credito con fido e la commissione
sull’utilizzazione era un costo che si
aggiungeva senza ragione alla prestazione
di interessi (Trib. Monza, 12 dicembre
2005 (nt. 2); Trib. Milano, 4 luglio 2002
(nt. 2), Tribunale Salerno, sez. I,
12/06/2009, n. 1412), (169)
Altra giurisprudenza aveva sanzionato
la commissione per l’indeterminatezza o
indeterminabilità dell’oggetto ex art.
1348 c.c., non essendo indicate le
Lo stesso Tribunale Salerno, sez. I, 1/06/2009
aveva in senso opposto evidenziato che,
sebbene dal punto di vista operativo la prassi
bancaria attuasse una impropria simbiosi tra le
due prestazioni a carico del cliente (giacché la
c.m.s. come sistema di calcolo veniva
parametrata all’interesse, procedendo poi ad
una capitalizzazione della somma a tale titolo
dovuta su base trimestrale a chiusura del conto
debitore esattamente negli stessi termini di
quella adottata per gli interessi), la
commissione di massimo scoperto, in ragione
della sua natura e della sua funzione, non
potesse, a differenza dell'anatocismo, in alcun
modo essere considerata una componente del
tasso di interesse o una modalità del calcolo
dello stesso.
(169) In dottrina v. DOLMETTA e MUCCIARONE (nt. 4),
377 s.; INZITARI, Diversa funzione della chiusura
nel conto ordinario e in quello bancario.
Anatocismo e commissione di massimo scoperto
, in questa Rivista, 2003, II, 470 s.; M.
TATARANO, La commissione di massimo scoperto
. Profili giusprivatistici2, Napoli, 2007, part. 55
ss.; DE POLI, Costo del denaro, commissione di
massimo scoperto ed usura, in Nuova giur. civ.
comm., 2008, II, 353 ss. Individuano invece il
fondamento causale della commissione sempre
nella disponibilità del denaro, ma senza inferire
la nullità della clausola che la prevede, SOLINAS,
La commissione bancaria, in Contr. e impr.,
2002, 658 s., e, in giurisprudenza, Cass., 18
gennaio 2006, n. 870, in Foro it., 2006, I, 1762;
Cass., 6 agosto 2002, n. 11772; Trib. Firenze,
17 febbraio 2004, in questa Rivista, 2006, II,
389;
v.
altresì
GHIGLIOTTI,
Oscillazioni
giurisprudenziali sugli interessi bancari e
recenti pronunce sulla commissione bancaria di
massimo scoperto , in Foro pad., 2002, I, 438
7.1.2. La tesi della nullità della
c.m.s.
Infatti, è stato sostenuto, da una parte
della giurisprudenza di merito, che la
c.m.s. deve essere considerata nulla per
mancanza di causa, sia perché in modo
tranchant si è detto che si sostanzia in un
ulteriore e non pattuito addebito di
interessi corrispettivi rispetto a quelli
convenzionalmente previsti per l’utilizzo
dell’apertura di credito (Trib. Milano
4.7.2002 e Trib. Lecce 11.2.2005) sia
perché
si
è
sostenuto
che
ne
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modalità di calcolo praticate (Trib.
Monza, 12 dicembre 2006; Trib. Milano, 4
luglio 2002, Trib. Genova 18.10.2006) o
per mancata osservanza della forma
scritta prescritta dall’art. 117, co.4, del
TUB (Cass. 14.5.2005, n. 10127).
surrettiziamente il tasso di interesse
debitore).>>
(Tribunale
di
Torre
Annunziata,
Sezione
Distaccata
di
Castellammare di Stabia, 29 aprile 2007).
Proprio l’intervento di Cass. n. 870 del
2006, avrebbe portato, secondo alcuni
(171) a ritenere che la Corte di legittimità
ne abbia ormai riconosciuto la validità.
7.1.3. La tesi della validità solo in
relazione allo scoperto di conto.
Una terza tesi sostiene che la c.m.s.
può ritenersi sorretta da una causa lecita
solo se parametrata sullo scoperto di
conto, essendo invece priva di causa se
prevista anche l’utilizzato nel limite
dell’affidamento
(170).
Parte
della
dottrina, invece, ne aveva escluso la
validità in assenza di fido per la mancata
messa a disposizione della somma in
favore del cliente (Inzitari).
7.1.5. Le tesi
validità della c.m.s.
dottrinarie
della
Parte della dottrina nella c.m.s. in
parola la ricompensa per il costo che la
banca deve sopportare per far fronte a
richieste di denaro improvvise ed
eccedenti
la
normale
media
di
utilizzazione dell'affidamento: i picchi di
utilizzo di breve durata sono remunerati
in misura assai modesta dagli interessi,
ma costringono l'istituto finanziatore, che
eroga il prestito sulla base di un calcolo di
ricorso "medio" alla somma messa a
disposizione, ad uno sforzo ulteriore e a
costi
aggiuntivi,
che
proprio
la
commissione di massimo scoperto sarebbe
chiamata a premiare;si tratterebbe di una
remunerazione per l’elasticità del fido
(172).
A ciò si è obiettato che la sola utilità
economica non assorbita dal concreto
godimento del denaro, riscontrabile in un
rapporto di finanziamento in conto
corrente, è rappresentata dalla costante
disponibilità della somma, anche quando
non
utilizzata,
entro
il
limite
dell'affidamento concesso, cosa che
rappresenta un vantaggio per il cliente,
satisfattorio di un interesse del tutto
autonomo e indipendente dalla misura del
concreto ricorso al denaro affidato, fermo
restando, però che le modalità concrete
di applicazione, sull’utilizzo non erano
congruenti con tale scopo (M. Cian, Il
7.1.4. La tesi della validità della
c.m.s.
Altre pronunce hanno affermato che
sarebbero valide solo le commissioni di
affidamento
e
dovrebbero
essere
computate solo ed unicamente nel caso in
cui il cliente non abbia mai utilizzato
l'apertura di credito (cfr. App. Lecce 27
giugno 2000).
Si è inoltre sottolineato che <<. La
Suprema Corte ha definito la commissione
di
massimo
scoperto
come
“remunerazione accordata alla banca per
la messa a disposizione dei fondi a favore
del
correntista
indipendentemente
dall'effettivo
prelevamento
della
somma”) Cass., Sez. I, n. 870 del 2006).
Avendo tale clausola una specifica
funzione meritevole di tutela essa si
sottrae a censure di validità quando non
vi sono elementi certi per desumere che
essa si configuri come negozio in frode
alla legge (es. quando in realtà sia
economicamente diretta ad innalzare
(170) Trib. Mondovì, 17 febbraio 2009, in Giur.
Merito 2009, 4, 973, in questo senso
sostanzialmente anche Tribunale di Ascoli
Piceno il 4/02/2010, Trib. Teramo 18/01/2010,
n. 84.
(171) GRIECO, op. cit., p. 31.
(172) FERRO-LUZZI, Ci risiamo (a proposito
dell'usura e della commissione di massimo
scoperto, in Giur. comm., 2006, I, 673.
70
Il contenzioso bancario e degli intermediari finanziari
Pasquale Serrao d’Aquino
Consiglio Superiore della Magistratura - 9° Commissione – Tirocinio e Formazione Professionale
Incontro di studio in materia civile riservato ai magistrati nominati con D.M. 2/10/2009.
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periodo continuativo inferiore a trenta
giorni ovvero a fronte di utilizzi in
assenza di fido. Sono altresì nulle le
clausole, comunque denominate, che
prevedono una remunerazione accordata
alla banca per la messa a disposizione di
fondi a favore del cliente titolare di
conto
corrente
indipendentemente
dall'effettivo prelevamento della somma,
ovvero che prevedono una remunerazione
accordata alla banca indipendentemente
dall'effettiva durata dell'utilizzazione dei
fondi da parte del cliente, salvo che il
corrispettivo per il servizio di messa a
disposizione
delle
somme
sia
predeterminato, unitamente al tasso
debitore per le somme effettivamente
utilizzate, con patto scritto non
rinnovabile tacitamente, in misura
onnicomprensiva
e
proporzionale
all'importo e alla durata dell'affidamento
richiesto
dal
cliente
e
sia
specificatamente
evidenziato
e
rendicontato al cliente con cadenza
massima
annuale
con
l'indicazione
dell'effettivo utilizzo avvenuto nello
stesso periodo, fatta salva comunque la
facoltà di recesso del cliente in ogni
momento”.
Non è difficile constatare come la
norma sia solo apparentemente repressiva
della c.m.s, perché pur qualificando nulle
le clausole contrattuali che prevedono la
c.m.s., di fatto, riconosce la validità della
stessa a certe condizioni.
Dalla lettura della norma appare
evidente che il legislatore abbia inteso
disciplinare due distinte commissioni.
Infatti la prima parte del co.1 si
occupa chiaramente della commissione di
massimo scoperto (da calcolarsi sul picco
del credito effettivamente utilizzato dal
cliente),
introducendo
due
punti
innovativi, e precisamente:
a)
fissazione ex lege del limite
temporale
minimo
(30
giorni)
di
esposizione a debito per la corresponsione
della CMS da parte del cliente (laddove in
passato, come si è evidenziato, anche
costo del credito bancario alla luce
dell'art. 2-bis l. 2/2009 e della l.
102/2009: commissione di massimo
scoperto , commissione di affidamento,
usura, BBTC, 2010, 02, 182).
Certo è che della commissione veniva
fatto un uso discutibile, che gli importi
della c.m.s. sono rapidamente saliti con il
decrescere dei tassi di interesse e che i
margini di utile delle banche derivanti
dalla
c.m.s.
percentualmente
incrementati di molto. Il Governatore
della Banca d’Italia espresse, quindi
l’auspicio di procedere alla sostituzione
della commissione di massimo scoperto
(“un istituto poco difendibile sul piano
della
trasparenza”),
con
“una
commissione commisurata alla dimensione
del fido accordato, come avviene in altri
paesi.”.
Anche l’Autorità garante per la
concorrenza è intervenuta, aprendo anche
diversi procedimenti di illegittimità della
pratica commerciale. Gli istituti di credito
coinvolti presentarono ciascuno una
proposta di assunzione di impegni ai sensi
dell’art. 27, comma 7°, del codice del
consumo; la successiva accettazione degli
impegni assunti dalle banche determinò
tuttavia la chiusura del procedimento.
7.2. La normativa del 2009.
Lo stato del dibattito ha portato
all’emanazione
di
due
interventi
normativi in materia.
Il primo costituito dal decreto legge 20
novembre 2008 n. 185, convertito in legge
28 gennaio 2009 n. 2 e, il secondo, dal
decreto legge 1 luglio 2009 n. 78,
convertito in legge 3 agosto 2009 n. 102.
La cattiva fattura dell'art. 2-bis della
legge n. 2 del 28 gennaio del 2009, si
contraddistingue per una cattiva qualità
che
ne
rende
particolarmente
problematica l'interpretazione. Il co. 1
così recita: “Sono nulle le clausole
contrattuali aventi ad oggetto la
commissione di massimo scoperto se il
saldo del cliente risulti a debito per un
71
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l’utilizzo limitato ad un solo giorno
avrebbe determinato il suo calcolo);
b) applicabilità della CMS solo ad
alcuni contratti riconducibili all'apertura
di credito e comunque solo sul fido
effettivamente utilizzato
nell’ambito
dell’affidamento accordato, escludendo,
quindi,
ogni
applicazione
della
commissione sugli scoperti di conto
corrente
e
sugli
sconfinamenti
eventualmente tollerati dalla banca oltre
l'ammontare dell'affidamento. Si tratta,
quindi, di una remunerazione accessoria
rispetto agli interessi passivi.
La seconda parte del co. 1 dell'art. 2bis disciplina, invece, la provvigione
d'affidamento (“quale corrispettivo per il
servizio di messa a disposizione delle
somme”
e,
dunque,
indipendente
dall'utilizzo delle somme messe a
disposizione), riconoscendone la validità,
a condizione che il corrispettivo sia:
a) predeterminato, unitamente al
tasso
debitore
per
le
somme
effettivamente utilizzate;
b) oggetto di patto scritto non
rinnovabile tacitamente;
c)
determinato
in
misura
onnicomprensiva rispetto ad ogni altra
voce di costo;
d)
determinato
in
misura
proporzionale
all'importo
credito
accordato)
ed
alla
durata
dell'affidamento richiesto dal cliente.
Per apparente paradosso, quindi, la
c.m.s. è stata di fatto legittimata sotto
entrambi i profili in precedenza contestati
(173).
Dopo poco l’entrata in vigore della
norma ora descritta, si è registrato un
ulteriore intervento legislativo sul tema.
Infatti, l'art. 2, co. 2, del d.lgs. 1 luglio
2009, n. 78 ha aggiunto all'ultimo periodo
del co. 1 dell'art. 2-bis l. n. 2/09 la
previsione secondo cui l'ammontare del
corrispettivo onnicomprensivo di cui al
periodo precedente non può comunque
superare
lo
0,5%,
per
trimestre,
dell'importo dell'affidamento, a pena di
nullità del patto di remunerazione.
Il legislatore ha poi:
• fissato (con il secondo intervento
normativo) un tetto nell’ammontare del
corrispettivo (per contenere gli immediati
effetti di aumento dei costi per gli
utenti);
• regolamentato il calcolo dei giorni
valuta con effetto dal 1 aprile 2010;
• previsto che la c.m.s. deve entrare
nel calcolo del TEG, facendo peraltro
salve le precedenti rilevazioni che non ne
hanno tenuto conto;
• stabilito
un
termine
per
l’adeguamento dei contratti in corso alle
disposizioni sopravvenute.
7.3.
Commissione
di
scoperto e tasso usurario.
massimo
Una questione di bruciante attualità
nel contenzioso bancario è quella della
computabilità della c.m.s. nel T.E.G. ai
fini del rispetto della normativa antiusura.
Due sentenze della Corte di Cassazione
penale hanno affermato che la c.m.s. va
sommata al saggio di interesse (Sez. 2,
Sentenza n. 28743 del 14/05/2010
Ud. (dep. 22/07/2010 ) Rv. 247861 ):
<<Nella determinazione del tasso di
interesse, ai fini di verificare se sia stato
posto in essere il delitto di usura, occorre
tener conto, ove il rapporto finanziario
rilevante sia con un istituto di credito, di
tutti gli oneri imposti all'utente in
connessione
con
l'utilizzazione
del
credito,
e
quindi
anche
della
"commissione di massimo scoperto", che è
costo
indiscutibilmente
legato
all'erogazione del credito.>> (conforme N.
12028 del 2010 Rv. 246729).
Gli arresti di legittimità si fondano,
innanzitutto, su due argomenti letterali.
Il primo fondato sull’art. 644, comma
4°, c.p., il quale prevede che per la
determinazione del tasso di interesse
usurario (cd. “tasso soglia”) si tiene conto
delle commissioni, delle remunerazioni a
(173) GRIECO, op. cit.
72
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qualsiasi titolo e delle spese ( escluse
imposte
e
tasse)
collegate
con
l’erogazione del credito.
La Corte ricorda che il T.E.G. viene
determinato mediante una procedura
amministrativa: <<A norma della L. n. 108
del 1996, art. 2, comma 4 "il limite
previsto dall'art. 644 c.p., comma 3, oltre
il quale gli interessi sono sempre usurari,
è stabilito nel tasso medio risultante
dall'ultima rilevazione pubblicata sulla
Gazzetta Ufficiale ai sensi del comma 1
relativamente alla categoria di operazioni
in cui il credito è compreso, aumentato
della metà." Lo stesso art. 2, ai commi 1 e
2 prevede le modalità di svolgimento della
procedura
amministrativa
per
la
determinazione del limite oltre il quale gli
interessi sono sempre usurari, devolvendo
al Ministro del Tesoro, sentiti la Banca
d'Italia e l'Ufficio italiano dei Cambi, il
rilievo del <<tasso effettivo globale
medio>>.
Affermano le due citate sentenze di
legittimità che <<la norma di cui all'art.
644 c.p. si presenta come una norma
penale parzialmente in bianco, in
quanto per determinare il contenuto
concreto del precetto penale è necessario
fare riferimento ai risultati di una
complessa procedura amministrativa. Se
tale procedura non venisse portata a
termine, con la pubblicazione trimestrale
dei Decreti del Ministro del Tesoro
(attualmente dell'Economia e delle
Finanze) portanti la rilevazione dei tassi
globali medi, il reato non sarebbe
punibile per la mancanza di un elemento
essenziale, integrativo della condotta,
fatta salva l'ipotesi dell'abuso dello stato
di bisogno.>>I dubbi di costituzionalità
della norma per il rinvio alle fonti
amministrative con violazione della
riserva di legge <<la suddetta legge indica
analiticamente il procedimento per la
determinazione dei tassi soglia, affidando
al Ministro del tesoro solo il limitato
ruolo di "fotografare", secondo rigorosi
criteri tecnici, l'andamento dei tassi
finanziari. Non v'è dubbio che la legge
abbia determinato con grande chiarezza il
percorso che l'autorità amministrativa
deve
compiere
per
"fotografare"
l'andamento dei tassi finanziari. (Cass.
Sez. 2, Sentenza n. 20148 del 18/03/2003
Ud. Rv. 226037).
La
sentenza
n.
28743
del
14/05/2010(dep. 22/07/2010, Rv. 247861
), ricorda sia l’esclusione da parte delle
Istruzioni della Banca d’Italia della c.m.s.
dal calcolo del TEG sia il fatto che <<fin
dal primo decreto (D.M. 22 marzo 1997) il
Ministro del Tesoro determinava la tabella
dei tassi di interesse effettivi globali
medi, precisando che "i tassi non sono
comprensivi della commissione di massimo
scoperto eventualmente applicata".>>,
evidenziando le perplessità emerse nella
correttezza del calcolo del TEG che
esclude la C.M.S. operato dalla Banca
d’Italia, alla luce del <<chiaro tenore
letterale dell'art. 644 c.p., comma 4
(secondo il quale per la determinazione
del tasso di Interesse usurario si tiene
conto delle commissioni, remunerazioni a
qualsiasi titolo e delle spese, escluse
quelle per Imposte e tasse, collegate
all'erogazione del credito) impone di
considerare rilevanti, ai fini della
determinazione della fattispecie di usura,
tutti gli oneri che un utente sopporti in
connessione con il suo uso del credito. Tra
essi
rientra
indubbiamente
la
Commissione di massimo scoperto,
trattandosi di un costo indiscutibilmente
collegato all'erogazione del credito,
giacché ricorre tutte le volte in cui il
cliente utilizza
concretamente lo
scoperto di conto corrente, e funge da
corrispettivo
per
l'onere,
a
cui
l'intermediatario finanziario si sottopone,
di procurarsi la necessaria provvista di
liquidità e tenerla a disposizione del
cliente.
Ciò comporta che, nella determinazione
del tasso effettivo globale praticato da un
intermediario finanziario nei confronti del
soggetto fruitore del credito deve tenersi
73
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dall'effettiva durata dell'utilizzazione dei
fondi da parte del cliente, dalla data di
entrata in vigore della legge di
conversione del presente decreto, sono
comunque
rilevanti
ai
fini
dell'applicazione dell'articolo 1815 del
codice civile, dell'articolo 644 del codice
penale e degli articoli 2 e 3 della legge 7
marzo 1996, n. 108. >> (2 bis del decretolegge 29 novembre 2008 n. 185,
convertito nella legge 28 gennaio 2009 n.
2 (c.d. decreto “anticrisi”):)la norma,
quindi,
fornisce
un’interpretazione
autentica di segno diametralmente
opposto rispetto a quello sostenuto dal
citato indirizzo di legittimità; l’indirizzo
avversato, inoltre, omette di considerare
che le Istruzioni della Banca d’Italia
dell’agosto del 2009 in materia di
rilevazione del TEG – le quali ora
esplicitamente includono la CMS nel
calcolo del TEG - per il periodo transitorio
prevedono espressamente che <<fino al 31
dicembre 2009, al fine di verificare il
rispetto del limite oltre il quale gli
interessi sono sempre usurari ai sensi
dell’articolo 2, comma 4, della legge 7
marzo 1996, n. 108, gli intermediari
devono attenersi ai criteri indicati nelle
Istruzioni della Banca d'Italia e dell’UIC
pubblicate rispettivamente nella G.U. n.
74 del 29 marzo 2006 e n. 102 del 4
maggio 2006.>>
(che escludevano il
computo) ed ancora, <<Nel periodo
transitorio restano pertanto esclusi dal
calcolo del TEG per la verifica del limite
di cui al punto precedente (ma vanno
inclusi nel TEG per l’invio delle
segnalazioni alla Banca d’Italia): a) la CMS
e gli oneri applicati in sostituzione della
stessa, come previsto dalla legge 2 del
2009 (omissis)>>.
Vanno anche considerati altri aspetti
che sembrano portare ad escludere la
commutabilità della c.m.s nel tasso usura
prima del 2009.
Innanzitutto, va considerato che il TEG
non comprende la c.m.s., ma essa veniva
comunemente applicata dalle banche e
conto anche della commissione di
massimo scoperto, ove praticata.
Il secondo argomento trae origine dalla
inclusione della c.m.s. nel TEG operata
nel 2009.
L’art. 2 bis, comma 2 del d.l.. 29
novembre 2008, n. 185, convertito con la
L. 28 gennaio 2009, n. 2. prevede che "gli
interessi, le commissioni, le provvigioni
derivanti dalle clausole, comunque
denominate,
che
prevedono
una
remunerazione, a favore della banca,
dipendente
dall'effettiva
durata
dell'utilizzazione dei fondi da parte del
cliente (..) sono comunque rilevanti ai
fini dell'applicazione dell'art. 1815 c.c.,
dell'art. 644 c.p. e della L. 7 marzo 1996,
n. 108, artt. 2 e 3". Anche le nuove
Istruzioni della Banca d’Italia dell’agosto
2009 per la rilevazione dei tassi effettivi
globali medi ai sensi della legge sull'usura.
Prevedono al punto C.4 (trattamento degli
oneri e delle spese nel calcolo del TEG)
sono indicate (sub 7) fra le varie voci da
comprendere
nel
calcolo
che:
"gli oneri per la messa a disposizione dei
fondi, le penali e gli oneri applicati nel
caso di passaggio a debito di conti non
affidati o negli sconfinamenti sui conti
correnti affidati rispetto al fido accordato
e la commissione di massimo scoperto
laddove
applicabile
secondo
le
disposizioni di legge vigenti".
Non vi sono più dubbi, quindi sul fatto
che oggi la c.m.s. rientri nel calcolo del
TEGM. Questo non prova però che la
norma sia interpretativa del quadro
giuridico pregresso.
Chi scrive (Tribunale di Napoli, Sezione
Distaccata di Frattamaggiore - ordinanza
ex 186 ter c.p.c., del 4.11.2010) si è
espresso in senso contrario evidenziando
la parziarietà del richiamo alla norma e il
risultato opposto a cui la sua lettura
dovrebbe condurre: <<2. Gli interessi, le
commissioni e le provvigioni derivanti
dalle clausole, comunque denominate,
che prevedono una remunerazione, a
favore
della
banca,
dipendente
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interesse globale inclusivo della c.m.s. Si
tratta, però, di una clausola che prevede
un criterio di calcolo che il predisponente
deve considerare prudenzialmente nella
sua formulazione nell’ipotesi di utilizzo
più oneroso per il cliente e quindi,
sarebbe perfettamente giustificabile la
sanzione di nullità contro una clausola che
porta al superamento del TEG in caso di
utilizzo discontinuo ed irregolare del fido.
Volendo, a questo punto, trarre alcune
conclusioni sulla c.m.s., considerato che
attualmente, esistono due tipi di
commissione, validi a certe condizioni
oggi previste per legge, per il periodo
antecedente, la validità delle omologhe
commissioni di provvigione e di massimo
coperto è da ritenersi subordinata a
condizione che le clausole:
•
rispettassero il requisito
della forma scritta;
•
il contratto indicasse anche
l’entità numerica della c.m.s.
•
sul
piano
economico
corrispondano potenzialmente a costi
finanziari della banca collegati alla messa
a disposizione delle somme ed alle loro
modalità di utilizzo, sia pur non
aritmeticamente proporzionali, dovendosi
altrimenti ritenere la clausola non
meritevole di tutela ex art. 1322, comma
2 c.
In ogni caso, il dato testuale di
interpretazione autentica della norma del
2009 porta ad escludere che tale
commissione rientri per il passato nel
calcolo del T.E.G., diversamente da
quanto
sostenuto
dalla
Corte
di
Cassazione penale.
dagli intermediari finanziari, per cui la
comparazione
avviene
tra
entità
economiche disomogenee: nel tasso
applicato dalla banche è inclusa e nel
tasso rilevato è esclusa.
Tale considerazione è stata sviluppata
dal Tribunale di Napoli, II^ Sezione Civile,
, 18.11.2010), che non ha recepito il
criterio di calcolo prospettato dal C.T.U.
il quale ha ovviato all’inconveniente di
rapportare dati disomogenei ricalcolando
il TEGM mediante l’integrazione del tasso
che si rinviene nei decreti ministeriali con
quello con le risultanze delle separate
rilevazioni sui tasso delle commissioni di
massimo scoperto operate secondo le
istruzioni della Banca d’Italia, osservando
che <<In tal modo… si realizza la
creazione di un nuovo TEGM che non è
contemplato dalla legge …,una forzatura
del dato normativo>>.
Per completezza di esposizione, va
anche segnalato che alcuni operatori
hanno
sostenuto
contro
questo
argomento, che, in una prospettiva
sanzionatoria della banca, sarebbe
perfettamente
giustificabile
che
si
confrontino entità disomogenee, altri
hanno più fondatamente sostenuto, in
questa prospettiva che anche al TEG
rilevato deve essere aggiunta la c.m.s.
rilevata trimestralmente dalla Banca
d’Italia.
Un terzo motivo di esclusione della
c.m.s. dal tasso rilevante, di carattere
eminentemente pratico è l’estrema
difficoltà di computo della CMS che è
collegata al picco di utilizzo per N. giorni
con il tasso di interesse di saggio annuale.
Un quarto argomento prospettato
evidenzia, non a torto, che lo sforamento
del tasso usura dipende dal modo di
utilizzo del fisso da parte del cliente (il
quale a seconda della durata e della
somma
determina
indirettamente
l’ammontare della commissione) perché
minore è il periodo di utilizzazione
massima e più è irregolare il ricorso
all’accordato, di più sale il tasso di
8. Interessi usurari.
La legge n. 108 del 1996, ha
modificato l’art. 1815 c.c., prevedendo
che, nel contratto di mutuo, <<se sono
convenuti interessi usurari, la clausola è
nulla e non sono dovuti interessi>>.
L’abbandono
del
collegamento
giurisprudenziale
all’elemento
dell’
<<approfittamento
dello
stato
di
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bisogno>> del vecchio reato di usura ha
consentito di ridurre i margini di
discrezionalità
e
le
conseguenti
incertezze in ordine al carattere usurario
degli interessi, ancorando lo stesso al
superamento
del
TEG,
rilevato
trimestralmente con decreto ministeriale.
accertata al momento della variazione.
Ciò non tanto perché la citata norma di
interpretazione autentica si riferisce
all’art. 644 c.p. ed all’art. 1815 c.c.(174),
ma piuttosto perchè, trattandosi di una
modifica
dell’accordo
contrattuale,
seppure non bilaterale, si procede, anche
nel caso di esercizio dello jus variandi, ad
accertare la conformità alla legge del
tasso al momento dell’introduzione del
(nuovo) saggio di interesse contrattuale.
8.1. Usurarietà originaria e ius
variandi.
Poiché l’art. 644 c.p. si riferisce tanto
al “farsi promettere” quanto al “farsi
dare” interessi usurari,
si è chiesti
inizialmente se il carattere usurario
dovesse essere accertato con riferimento
al TEG vigente al momento della
pattuizione, oppure dell’addebito in conto
o della riscossione delle rate di mutuo.
L’art. 1, comma 1°, del decreto legge
29 dicembre 2000 n. 394, convertito nella
legge 28 febbraio 2001 n. 24 (ritenuto
costituzionale, cfr. Corte Costituzionale
n. 29 del 2002), ha introdotto come
l’interpretazione autentica il principio di
usurarietà
originaria:
"ai
fini
dell'applicazione dell'art. 644 c.p. e
dell'art. 1815 , comma 2, c.c., si
intendono usurari gli interessi che
superano il limite stabilito dalla legge nel
momento in cui sono convenuti, a
qualunque titolo, indipendentemente dal
momento del loro pagamento".
La questione nell’ipotesi classica del
mutuo è chiusa: è irrilevante che la
discesa
dei
tassi
determini
un
superamento successivo del TEG al
momento della scadenza della rata del
mutuo e la banca non ha alcun obbligo di
adeguamento.
Ma cosa accade nei rapporti bancari
regolati in conto corrente, con apertura di
credito (con apertura di credito o
comunque affidati), nei casi, quindi, in
cui il tasso non è fisso e neppure varia
secondo parametri determinati ex ante?
Le banche si avvalgono del potere di
modifica unilaterale delle condizioni
contrattuali. In questo caso non vi è
dubbio che, trattandosi la usurarietà vada
8.2.
Tasso
soglia
e
clausole
impositive di oneri passivi invalide.
Resta problematica, invece, l’ipotesi
in cui vi è una variazione del tasso che
risulta dagli estratti conto, ma non risulti
agli atti la comunicazione di variazione: in
questo caso, solo se è espressamente
contestata la comunicazione da parte del
cliente, vi sono due opzioni: ritenere non
dovuto il tasso incrementato senza avviso
al cliente e, quindi, applicare il tasso
precedente,
indipendentemente
dall’eventuale superamento del tasso
soglia, oppure ritenere che il principio
(174) L’art 1, comma 1° della legge 28 febbraio
2001 n. 24, di conversione del decreto legge 29
dicembre 2000 n. 394, di interpretazione
autentica della legge 7 marzo 1996 n. 108, che
ha fissato la valutazione della natura usuraria
dei tassi d’interesse al momento della
convenzione e non a quello della dazione,,
indica che la norma interpretativa è introdotta
“ai fini dell’applicazione dell’art. 644 del
codice penale e dell’art. 1815, secondo comma,
del
codice
civile”,
come
evidenziato
nell’ambito di una analisi estesa anche ai lavori
preparatori da A. Grieco, op. cit., il quale
giustamente critica l’indirizzo della S.C. che,
senza un particolare approfondimento della
motivazione, ha statuito che la legge non si
applica solo ai rapporti di mutuo ma a tutte le
fattispecie negoziali che possano contenere la
pattuizione d’interessi usurari, compreso il
contratto di apertura di credito (Cass.
27009/2008; Cass. 15621/2007). Per la
restrizione, invece, al solo mutuo o allo stesso
assimilabili App. Milano 6 marzo 2002, in Giur.
It. 2003, 93),
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dell’usurarietà originaria, da un lato porti
ad escludere la rilevanza, nel caso di
invarianza del tasso praticato, dello
sforamento
dovuto
al
successivo
decrescere del TEG, ma dall’altro
imponga che per ogni variazione del tasso
applicato (sia o no frutto di accordo
contrattuale o dell’esercizio dello jus
variandi), si debba valutare in quel dato
momento la conformità al tasso soglia.
Si tratta null’altro che di chiedersi se
la clausola nulla che impone interessi o
oneri che incidono sul TEG sia rilevante o
non sia rilevante ai fini del suo computo.
Le conseguenze sono rilevanti perché,
in un caso si tratta di nullità dell’intera
obbligazione di interessi (estesa anche
agli interessi convenzionali redatti per
iscritti e di per sé validi), con estensione
della domanda di ripetizione a tutte le
somme diverse dal capitale e dalle
imposte; nell’altra solo della clausola
nulla per cui l’azione di ripetizione è
limitata alle somme addebitate in forza
della clausola stessa.
Mi sembra preferibile la seconda
ipotesi (la quale implica che l’art. 1815
c.c. non estende l’ambito applicativo
anche alla convenzione invalida di
interessi usurari).
E’ vero che il legislatore penale
sanziona anche la mera richiesta di
pagamento
di
tassi
usurari,
indipendentente dal fatto che la stessa sia
attuativa di accordi (o di validi accordi)
tra le parti; tuttavia, l’art. 1815 c.c. si
riferisce solo ad interessi “convenuti:
poiché quod nullum est nullum producit
effectum,
si
dovrà
semplicemente
scomputare le somme dovute in base a
clausola nulla, senza poter richiedere la
restituzione di tutti gli interessi versati.
Accade talora, inoltre, che la banca,
esercitando lo ius variandi della banca
riduca il tasso, ma che il nuovo tasso, sia
pur inferiore di quello originariamente
convenuto (in linea con il TEG al momento
della pattuizione), ma il nuovo saggio non
sia ridimensionato in misura tale da
essere in linea con il TEG del tempo della
variazione. Si crea, quindi, una situazione
singolare per la quale un tasso più basso
del precedente, poiché entra a far parte
dell’accordo
contrattuale
successivamente,
dovrebbe
essere
usurario, con rilevanti conseguenze sia
civili sulla debenza del tasso ex art. 1815,
comma 2 c.c. sia penali.
Poiché, tuttavia, l’esercizio dello jus
variandi non può che essere conforme al
quadro legale ed economico attuale,
vanno
confermate
le
conclusioni
precedenti anche in caso di modifica
migliorativa del tasso non conforme al
nuovo tasso soglia.
8.3. Usura ed interessi di mora.
Secondo l’indirizzo prevalente è nel
senso che anche gli interessi di mora
rientrino nella previsione sanzionatoria
della legge 108/96 (così Cass. Sez. 3,
Sentenza n. 5324 del 04/04/2003 (Rv.
561894) Cass. 17 novembre 2000 n. 14899
e Corte Cost. 25 febbraio 2002 n. 29,
Cass. 22.4.2000 n. 5286; Cass. 17.11.2000
n. 14899; Cass. 13.6.2002 n. 8442; Cass.
4.4.2003 n. 5324.)
Si è così affermato che gli interessi
moratori non devono superare – per non
essere ritenuti usurari – il limite stabilito
dal tasso effettivo globale medio
aumentato
della
metà
(Tribunale
Campobasso, sent. del 03/10/2000;
Tribunale Napoli, sent. del 19/05/2000;
Tribunale Roma, sent. del 10/07/1998;
Tribunale
Parma,
sent.
del
07/08/2000,Tribunale Torino sez. II, 03
novembre 2006).
In senso contrario si è evidenziato che
tale orientamento sembra in conflitto con
gli stessi meccanismi predisposti dalla
legge in caso di interessi di mora “iniqui”,
che infatti, equivalendo in sostanza a una
penale per il ritardo nell’adempimento,
possono essere ridotti dal giudice (175).
(175) Anche d’ufficio seguendo l’ indirizzo delle
Sezioni Unite sulla riduzione della penale: CSU
18128/2005, GRIECO, op. cit.
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Si tratta di un diritto soggettivo
autonomo, il quale trova fondamento nei
doveri di solidarietà e negli obblighi di
comportamento secondo buona fede nella
esecuzione del rapporto e, per altro
verso, sulla disposizione di cui all’art.
119, comma 4, d.lgs. 1 settembre 1993, n.
385 (Tribunale Torino 12 aprile 2010, il
caso.it). La casistica giurisprudenziale si è
occupata sia delle modalità di tutela
processuale del diritto sia delle richieste
istruttorie di copia della documentazione
formulate nel corso di un giudizio avente
ad oggetto domande di pagamento o
restituzione inerenti il rapporto.
PARTE PRIMA
SEZIONE TERZA
Estratti conto e prova del credito
SOMMARIO.1. IL DIRITTO SOSTANZIALE DEL
CLIENTE. 2. IL DECRETO INGIUNTIVO DI CONSEGNA
DELLA DOCUMENTAZIONE BANCARIA. 3. LA TUTELA
SOMMARIA DEL DIRITTO ALLA CONSEGNA DELLA
DOCUMENTAZIONE. 4. MANCATA CONSERVAZIONE
DELLA DOCUMENTAZIONE ANTERIORE AL DECENNIO.
5. L’ORDINE DI ESIBIZIONE EX ART. 210 C.P.C.
5.1. LA TESI POSITIVA. 5.2. LA TESI NEGATIVA.
5.3. LA TESI DELLA PREGIUDIZIALITÀ DELLA
RICHIESTA EX ART. 119 T.U.B. 6. IL CONTENUTO
DELLA RICHIESTA. 7. AMMISSIONE IMPLICITA DEL
DIRITTO. 8. PERSISTENZA DELL’OBBLIGO DI
CONSEGNA ALLO SCIOGLIMENTO O SUCCESSIONE NEL
RAPPORTO. 9. AMMISSIBILITÀ DELLA DOMANDA EX
ART. 696 BIC C.P.C. 10. L’INCOMPLETEZZA DELLA
DOCUMENTAZIONE ED IL CD. SALDO ZERO. 10.1.
MANCANZA TOTALE DEGLI ESTRATTI CONTO. 10.2.
MANCANZA DEGLI ESTRATTI CONTO INIZIALI. 10.3.
MANCANZA DEGLI ESTRATTI INTERMEDI.11. SALDO
DEL CONTO ULTRADECENNALE.
2. Il Decreto ingiuntivo di consegna
della documentazione bancaria.
1. Nei contratti di durata i soggetti indicati
nell'articolo 115 forniscono al cliente, in forma
scritta o mediante altro supporto durevole
preventivamente accettato dal cliente stesso,
alla scadenza del contratto e comunque almeno
una volta all'anno, una comunicazione chiara in
merito allo svolgimento del rapporto. Il CICR
indica il contenuto e le modalità della
comunicazione.
1. Il diritto sostanziale del cliente.
Il cliente vanta il diritto (176) alla
consegna della documentazione bancaria
ed anche a copie o duplicati di quanto già
inviatogli nel corso del rapporto(art. 119
t.u.b.) (177)
2. Per i rapporti regolati in conto corrente
l'estratto conto è inviato al cliente con
periodicità annuale o, a scelta del cliente, con
periodicità semestrale, trimestrale o mensile.
3. In mancanza di opposizione scritta da parte
del cliente, gli estratti conto e le altre
comunicazioni periodiche alla clientela si
intendono approvati trascorsi sessanta giorni
dal ricevimento.
(176) Si è quindi affermato che <<Il diritto del
cliente alla consegna dei documenti relativi a
rapporti bancari ha la consistenza di diritto
soggettivo autonomo, il quale trova fondamento
nei doveri di solidarietà e negli obblighi di
comportamento secondo buona fede nella
esecuzione del rapporto e, per altro verso, sulla
disposizione di cui all’art. 119, comma 4, d.lgs.
1 settembre 1993, n. 385.>> (Tribunale di
Torino, 12 aprile 2010 – Est. Emanuela
Germano, il caso.it.
177
Art. 119 Comunicazioni periodiche alla
clientela.
4. Il cliente, colui che gli succede a qualunque
titolo e colui che subentra nell'amministrazione
dei suoi beni hanno diritto di ottenere, a
proprie spese, entro un congruo termine e
comunque non oltre novanta giorni, copia della
documentazione inerente a singole operazioni
poste in essere negli ultimi dieci anni. Al
cliente possono essere addebitate solo i costi di
produzione di tale documentazione.
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Si discute se tale diritto sia tutelabile
mediante
ricorso
alla
procedura
monitoria.
Già in precedenza, in materia
fallimentare, si è ritenuto che il curatore
del fallimento possa fare ricorso al
procedimento monitorio, al fine di
ottenere copia degli estratti conto relativi
ai rapporti intrattenuti con gli istituti di
credito dall'impresa fallita (Trib. Milano
21 giugno 1996, in Foro it., 1996, I, 3200).
Tale orientamento è stato criticato
dalla dottrina, la quale ha evidenziato
che:
• il
bene
debba
essere
preventivamente formato all'esito di una
complessa
attività
ricognitiva,
concretandosi quindi la consegna in
un'obbligazione di facere del debitore;
• il procedimento per ingiunzione
non viene attivato al fine di conseguire in forme più semplici e rapide - la
condanna alla consegna di un cosa o al
pagamento di una somma di denaro, bensì
al precipuo scopo di ottenere il rilascio di
una prova documentale, da utilizzare poi
in procedimenti diversi da quello
monitorio. <<È chiaro, infatti, che
l'eventuale opposizione del debitore non
potrebbe avere mai ad oggetto le singole
poste contabili dell' estratto, ma soltanto
il diritto dell'istante all'esibizione del
documento. Per il che il decreto
ingiuntivo verrebbe, in buona sostanza, a
concretare un mezzo per ottenere
surrettiziamente un ordine di esibizione
(art. 210 c.p.c.) con decreto - anziché con
ordinanza, ossia sentite le parti (ex artt.
134 e 186 c.p.c.) - in violazione di quanto
dispone l'art. 176 c.p.c. per tutti i
provvedimenti istruttori.>> (A. VALITUTTI, Il
procedimento
di
ingiunzione:
le
problematiche pratiche più controverse,
in Giur. merito, 2010, 7-8, 2032 s.).
eventualmente
sfocia
in
un‘azione
giudiziaria e resta un motivo di per sé
irrilevante e, quindi, non ostativo della
richiesta.
3. La tutela sommaria del diritto alla
consegna della documentazione.
E’ stato ritenuto ammissibile il ricorso
al procedimento sommario per la
domanda di consegna di copia della
documentazione
in
casi
di
intermediazione finanziaria
(Tribunale
Ferrara 04 giugno 2007, il caso.it,
Tribunale Pisa 13 novembre 2007, il
caso.it) e di procedimento sommario
sommario regolato dal rito societario (art.
19 l. n. 5 del 2003), ma non vi è alcun
ostacolo
concettuale
o
normativo
all’estensione di tale facoltà anche ai
contratti bancari ed al rito sommario
introdotto dalla legge n. 69 del 2009.(178)
(178) Art. 19.
Procedimento.
Ambito
di
applicazione.
1. Fatta eccezione per le azioni di
responsabilita' da chiunque proposte, le
controversie di cui all'articolo 1 che abbiano ad
oggetto il pagamento di una somma di danaro,
anche se non liquida, ovvero la consegna di
cosa mobile determinata, possono essere
proposte, in alternativa alle forme di cui agli
articoli 2 e seguenti, con ricorso da depositarsi
nella cancelleria del tribunale competente, in
composizione monocratica.
2. Disposta la comparizione delle parti e
assegnato il termine per la costituzione del
convenuto, che deve avvenire non oltre dieci
giorni prima dell'udienza, il giudice designato,
ove ritenga sussistenti i fatti costitutivi della
domanda e manifestamente infondata la
contestazione
del
convenuto,
pronuncia
ordinanza
immediatamente
esecutiva
di
condanna e dispone sulle spese ai sensi degli
articoli 91 e seguenti del codice di procedura
civile. L'ordinanza costituisce titolo per
l'iscrizione di ipoteca giudiziale.
A tali obiezioni può rispondersi che il
facere assume un ruolo ancillare e non
caratterizza la prestazione. La finalità
dell’acquisizione degli estratti solo
3. Il giudice, se ritiene che l'oggetto della causa
o le difese svolte dal convenuto richiedano una
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Il Tribunale di Pisa specifica che il
ricorso alla procedura sommaria non è
contraria a buona fede se preceduta dalla
richiesta a mezzo di missiva, non essendo
previsto un termine minimo per l’attesa
una volta decorsi tre mesi dalla richiesta
antecedente alla domanda contenziosa.
5. L’ordine di esibizione ex art. 210
c.p.c.
Vi
è
notevole
contrasto
giurisprudenziale sulla possibilità di
richiedere
l’esibizione
della
documentazione ex art. 210 c.p.c.
4. Mancata conservazione della
documentazione anteriore al decennio.
5.1. La tesi positiva.
Secondo l’orientamento positivo, non
sarebbe possibile fa discendere dal
mancato esercizio del diritto sostanziale
la preclusione all’esercizi della facoltà
processuale prevista dall’art. 210 c.p.c.
che, tra l’altro, per gli estratti conti
risalenti ad un periodo precedente al
decennio,
non
sarebbe
comunque
esercitabile: il diritto non è precluso dal
precedente invio della documentazione e
non richiede la prova di un precedente
smarrimento accidentale o incolpevole,
senza trascurare che anche i doveri di
buona fede nell’esecuzione del contratto
(art.
1374
c.c.)
suggeriscono
l’ammissibilità della richiesta (Tribunale
di Latina del 19 luglio 2007, il caso.it
Tribunale di Padova, 9 marzo 2009, il
caso.it). Essa, infatti, rappresenta la
trasposizione sul piano processuale della
norma sostanziale di cui all’art. 119,
comma 4, d. lgs. n. 385/1993, norma da
interpretarsi alla luce del principio di
buona fede nell’esecuzione del contratto.
(Tribunale Latina 19 giugno 2007 , cit.)
In forza dell’art. 119 t.u. n. 385 del
1993, la banca può sì ritenersi legittimata
a non conservare per oltre un decennio la
documentazione legata al conto, ma non a
pretendere, ove abbia provveduto alla
distruzione
della
documentazione
precedente al decennio, di essere
esonerata
dagli
ordinari
impegni
probatori, ogni qual volta intenda fondare
la propria pretesa su situazioni sostanziali
destinate a trovare riscontro proprio nella
documentazione distrutta. (Tribunale
Catania, sez. IV, 23 maggio 2008, n.
2795, Diritto & Giustizia , 2008,
dejure.giuffre.it).
Sul piano della dialettica processuale,
il venir meno, per effetto del decorso del
tempo, dell’obbligo di conservazione della
documentazione della quale viene chiesta
la consegna ai sensi dell’art. 119, comma
4, d. lgs. n. 385/1993 deve comunque
essere eccepito dalla banca convenuta
(Tribunale di Brescia 10 ottobre 2007, il
caso.it)
5.2. La tesi negativa.
L’opposto
orientamento
nega
l’azionabilità della facoltà ex art. 210
c.p.c. perché: a) il diritto ex art. 119 ha
carattere sostanziale e non può quindi
essere tutelato ai sensi dell’art. 199
t.u.b.; b) difetterebbe il requisito della
“indispensabilità” di tale mezzo di prova,
essendo acquisibili gli estratti su iniziativa
del cliente ai sensi dell’art. 199 t.u.b.
(Cass. 19475/2005; Cass. 149/2003;
9514/1999), c) l’ordine di esibizione di
cognizione non sommaria, assegna all'attore i
termini di cui all'articolo 6.
4. Avverso l'ordinanza di condanna puo' essere
proposta esclusivamente impugnazione davanti
alla corte di appello nelle forme di cui
all'articolo 20.
5. All'ordinanza non impugnata non conseguono
gli effetti di cui all'articolo 2909 del codice
civile.
80
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documenti ex art. 210 c.p.c. deve essere
tenuto distinto dalla produzione in
giudizio dei documenti di cui la parte è
direttamente onerata ex art. 2697 c. c.,
sicché esso non può essere considerato in
funzione sostitutiva dell’onere probatorio,
né l’istanza di parte, cui è subordinata la
possibilità
di
emissione
del
provvedimento, può avere un effetto
modificativo
dell’incombenza
legale
derivante dall’applicazione del citato art.
2697 cit. legittimità (ex plurimis: Cass.
17149/2008; Cass. Cass. 10043/2004;
Cass. 9126/1990). (179)
149/2003; Cass. N. 4363/1997; Cass. N.
4907/1988).
In applicazione di tali consolidati
principi,
si
è
ad
esempio
ritenuta
inammissibile- perché generica in spregio alla
disposizione di cui all’art. 94 disp. att. c.p.c. e
meramente esplorativa- una richiesta di ordine
di esibizione “del fascicolo relativo al conto
corrente bancario” non accompagnata da
alcuna specifica contestazione in ordine alla
regolarità ed esattezza delle singole partite
contabili" (Cass. N. 10916/2003) ovvero di “tutti
i documenti contabili” di una società relativi ad
un dato esercizio finanziario richiesta al fine di
dimostrare
l'inesistenza
dello
stato
di
insolvenza ma senza la specifica indicazione dei
documenti asseritamente comprovanti detto
stato, al fine di consentire al giudice di valutare
la pertinenza del documento e la sua idoneità a
provare determinati fatti (Cass. N. 9514/1999),
ovvero “delle scritture e dei libri contabili”
senza ulteriori specificazioni (che rischierebbe
di sconfinare nell'ipotesi di comunicazione
integrale di detti libri e scritture contabili,
consentita dal primo comma dell'art. 2711 c.c.
solo in ben determinate ipotesi, diverse da
quella di cui all’art. 210 c.p.c.: Cass. N.
2760/1996), ovvero della “contabilità” di una
banca al fine della prova dell'eccepito
soddisfacimento
del
credito
cartolare
dell’istituto di credito ma senza specificazione
di quale partita o registrazione conterrebbe
quella dimostrazione (pena “un'inammissibile
pretesa di acquisire indiscriminatamente tale
contabilità nella speranza che vi fossero
annotazioni a lei favorevoli”: così testualmente
Cass. N. 6707/1991 in motivazione).
L'esibizione a norma dell'art. 210
cod. proc. civ. non può quindi in alcun caso
supplire al mancato assolvimento dell'onere
della prova a carico della parte istante (Cass.
Sez. L, Sentenza n. 17948 del 08/08/2006; Cass.
Sez. L, Sentenza n. 10043 del 25/05/2004; Cass.
N. 149 del 2003; Cass. Sez. L, Sentenza n. 9126
del 04/09/1990).
Ne consegue che l'esibizione a
norma dell'art. 210 cod. proc. civ. non può
essere ordinata allorché l'istante avrebbe
potuto di propria iniziativa acquisire la
documentazione in questione, acquisendone
copia e producendola in causa (Cass. Sez. 3,
Sentenza n. 19475 del 06/10/2005; Cass. Sez.
1, Sentenza n. 149 del 10/01/2003: fattispecie
in cui la Cassazione ha ritenuto non censurabile
poi il mancato accoglimento dell'istanza attrice
(179) Tribunale di Pescara 4 ottobre 2007, n.
1288 – Est. Gianluca Falco.
<<A fronte di siffatte premesse, deve tuttavia
ritenersi innanzitutto che l’istanza istruttoria
spiegata da parte attrice ex art. 210 c.p.c. è
inammissibile, sia perché afferente a documenti
ad essa direttamente accessibili, sia perché
spiegata in modo generico.
Si premette in diritto che:
L'ordine di esibizione di
documenti previsto dall'art. 210 cod. proc.
civ., provvedimento tipicamente discrezionale
del giudice di merito (come tale censurabile in
sede di legittimità solo per vizio di
motivazione), deve riguardare documenti che
siano specificamente indicati dalla parte che
ne abbia fatto istanza, dei quali sia noto, o
almeno assertivamente indicato, un preciso
contenuto, influente per la decisione della
causa, che come tali risultino indispensabili al
fine della prova dei fatti controversi, che
concernano fatti o elementi la cui prova non sia
acquisibile aliunde (cfr. da ultimo Cass. N.
10043/2004; Cass. N. 5908/2004; Cass. N.
13072/2003; Cass. N. 12782/2003; Cass. N.
10916/2003; Cass. N. 149/2003; Cass. N.
4363/1997; Cass. N. 4907/1988).
Di conseguenza un tale strumento
istruttorio ufficioso e “residuale”non può avere
fini meramente esplorativi, ossia non può
essere richiesto ed ammesso al solo scopo di
indagare se detta prova possa essere rinvenuta
nei documenti stessi, altrimenti lo stesso
servirebbe a supplire al mancato assolvimento
dell'onere della prova a carico della parte
istante (cfr. da ultimo Cass. Sez. L, Sentenza n.
17948 del 08/08/2006; Cass. N. 10043/2004;
Cass. N. 5908/2004; Cass. N. 13072/2003; Cass.
N. 12782/2003; Cass. N. 10916/2003; Cass. N.
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5.3. La tesi della pregiudizialità della
richiesta ex art. 119 t.u.b.
Si è sostenuto anche che l’istanza di
cui all’art. 210 c.p.c. volta ad ottenere
l’esibizione
della
documentazione
inerente i conti di cui gli attori sono
titolari, non potendo essere utilizzata per
supplire
al
mancato
assolvimento
dell’onere della prova a carico della parte
istante, potrà trovare accoglimento solo
nel caso in cui la parte abbia dato prova
di aver richiesto alla banca la
documentazione medesima ai sensi
dell’art. 119, 4° comma d.lg. n. 385/1993
(Tribunale di Barcellona P.G., ordinanza
13 ottobre 2006, il caso.it).
Il diritto del cliente di ottenere dalla
banca copia della documentazione di cui
all’art. 119 d.lgs. n. 385/1993 può essere
azionato anche facendo riferimento a
tutte le operazioni riportate nell’estratto
conto ed eseguite in un determinato arco
temporale. In detta fattispecie deve
ritenersi
ammissibile
l’istanza
di
esibizione prevista dall’art. 210 c.p.c.,
posto
che
il
requisito
della
indispensabilità
dei
documenti
per
conoscere i fatti di causa previsto
dall’art. 118 c.p.c. non è rimesso alla
valutazione
del
giudice,
ma
è
definitivamente risolto dalla prescrizione
dell’art. 119, IV° comma citato (Tribunale
Milano 17 ottobre 2006 ).
La Corte di Cassazione ha evidenziato
la non necessità di una richiesta
dettagliata: <<non è necessario che il
richiedente indichi specificamente gli
estremi del rapporto a cui si riferisce la
documentazione richiesta in copia,
essendo sufficiente che l'interessato
fornisca alla banca gli elementi minimi
indispensabili
per
consentirle
l'individuazione dei documenti richiesti,
quali, ad esempio, i dati concernenti il
soggetto titolare del rapporto, il tipo di
rapporto a cui è correlata la richiesta e il
periodo di tempo entro il quale le
operazioni da documentare si sono svolte.
(Cassazione civile sez. I, 12 maggio 2006,
n. 11004 Giust. civ. Mass. 2006, 5, D&G Dir.
e
giust. 2006, 23, 27, BBTC, 2007, 6, 731,
dejure.giuffre.it)
I Tribunali di merito, su questa linea
hanno affermato che la richiesta
formulata
dall’investitore
all’intermediario di consegnare “l’intero
incartamento relativo alla operazione
finanziaria” è idonea ad identificare ogni
documento attinente una determinata
operazione /Tribunale di Pisa, ordinanza
15 dicembre 2006 – G. Bufardeci, il
caso.it) e che, inoltre, è sufficiente il
riferimento a tutte le operazioni riportate
6. Il contenuto della richiesta.
di esibizione da rivolgersi agli istituti di credito
interessati; Cass. N. 9514 del 1999).
(…) Il cliente, colui che gli succede a qualunque
titolo e colui che subentra nell'amministrazione
dei suoi beni hanno diritto di ottenere, a
proprie spese, entro un congruo termine e
comunque non oltre novanta giorni, copia
della documentazione inerente a singole
operazioni poste in essere negli ultimi dieci
anni”(IV comma).
Il diritto del cliente di ottenere
dall'istituto bancario la consegna di copia
della documentazione relativa alle operazioni
dell'ultimo decennio, previsto dal quarto
comma dell'art. 119 del D.Lgs. n. 385 del 1993,
si configura come un diritto sostanziale la cui
tutela è riconosciuta come situazione giuridica
"finale" e non strumentale, onde per il suo
riconoscimento non assume alcun rilievo
l'utilizzazione che il cliente intende fare della
documentazione, una volta ottenuta la e deve
escludersi, in particolare, che tale utilizzazione
debba essere necessariamente funzionale
all'esercizio di diritti inerenti il rapporto
contrattuale corrente con l'istituto di credito
(ben potendo, ad esempio, essere finalizzata a
far emergere un illecito, anche non civilistico,
di un terzo soggetto o di un dipendente della
banca: Cass Sez. 1, Sentenza n. 11733 del
19/10/1999; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11004
del 12/05/2006).>>
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nell’estratto conto ed eseguite in un
determinato arco temporale. <<In detta
fattispecie deve ritenersi ammissibile
l’istanza di esibizione prevista dall’art.
210 c.p.c., posto che il requisito della
indispensabilità
dei
documenti
per
conoscere i fatti di causa previsto
dall’art. 118 c.p.c. non è rimesso alla
valutazione
del
giudice,
ma
è
definitivamente risolto dalla prescrizione
dell’art. 119, IV° comma citato.>>
(Tribunale Milano 17 ottobre 2006 ,
ilcaso.it., Tribunale Pisa 15 dicembre
2006 , il caso.it).
L’accesso ad informazioni concernenti
il rapporto con la banca è stato anche
riconosciuto in base alla normativa sul
trattamento dei dati personali, sebbene si
tratti di ipotesi riguardante contratti di
intermediazione finanziari (180)
7. Ammissione implicita del diritto.
L’allegazione di aver già consegnato la
documentazione è stata considerata come
<<una implicita ammissione del fatto
costitutivo del diritto la parte convenuta
in sede di ricorso ex art. 19 d.lgs. n. 5/03
volto
ad
ottenere
copia
della
documentazione relativa a determinati
servizi di investimento>>
(Tribunale
Nocera Inferiore 31 luglio 2006 , il
caso.it).
8.
Persistenza
dell’obbligo
di
consegna allo scioglimento o successione
nel rapporto.
Il diritto previsto dall’art. 119 del
t.u.b. non si estingue con lo scioglimento
del rapporto, anche in caso di fallimento
del cliente (art. 78 l.f.)(181)
180
L'art. 7 d. lgs.vo n.ro 196/2003 riconosce
all'interessato il diritto di chiedere al titolare
del trattamento l’accesso ai propri dati
personali, ed a qualunque informazione relativa
alla persona, di ottenere conferma dell'origine,
dell'esistenza, delle finalità e modalità del loro
trattamento e di riceverne comunicazione in
forma chiara ed intelligibile.Alla richiesta di
accesso corrisponde il dovere del titolare del
trattamento di dare riscontro all'interessato ai
sensi dell'art. 10 d. lgs.vo n.ro 196/2003,
estraendo dai propri archivi tutte le
informazioni allo stesso relative della richiesta
e comunicandole nelle forme e nei modi più
idonei a renderle chiare e perfettamente
comprensibili.L’istituto di credito, titolare del
trattamento dei dati personali ai sensi dell’art.
28 d. lgs.vo n. 196/03, ove ne sia fatta
richiesta, è quindi tenuto a:1. dare conferma
dell'esistenza presso i propri archivi dei dati
personali del ricorrente afferenti operazioni di
investimento mobiliare a far data dall'inizio del
rapporto;2. comunicare al richiedente tutti i
dati e le informazioni personali che lo
riguardano relative ad ogni atto, rapporto,
documento ed operazione concernenti: a) il
contratto originario di prestazione dei servizi di
investimento e accessori e/o di gestione di
portafogli di investimento e deposito titoli
siglati inter partes, incluse eventuali successive
modifiche e integrazioni; b) il contratto
originario regolante il rapporto di conto
corrente eventualmente in essere ed ogni sua
eventuale modifica e integrazione; c) le
operazioni di investimento, gli ordini di
acquisto e gli acquisti di titoli, di qualsivoglia
genere, specie e natura, compiuti dal
richiedete presso o tramite ovvero con
l'intermediazione
dell'istituto
di
credito
dall'inizio del rapporto, compresi i rendiconti, i
movimenti e la composizione del deposito titoli
regolati nell'anzidetto periodo. (Tribunale
Bologna 28 luglio 2005 , il caso.it. )
(181)In quanto si tratta di un << diritto che
promana dall'obbligo di buona fede, correttezza
e solidarietà, declinandosi in prestazioni
imposte dalla legge (ai sensi dell'art. 1374 c.c.),
secondo una regola di esecuzione in buona fede
(ex art. 1375 c.c.) che aggiunge tali obblighi a
quelli convenzionali quale
impegno di
solidarietà (ex art. 2 cost.), così imponendosi a
ciascuna parte l'adozione di comportamenti
che, a prescindere da specifici obblighi
contrattuali e dal dovere extracontrattuale del
"neminem laedere", senza rappresentare un
apprezzabile sacrificio a suo carico, siano
idonei a preservare gli interessi dell'altra
parte;posto che tra i doveri di comportamento
scaturenti dall'obbligo di buona fede vi è anche
quello di fornire alla controparte la
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Va notato che già in precedenza si era
affermato che <<L'art. 119, comma 4,
d.lg. n. 385 del 1993, come sostituito
dall'art. 24, comma 2, d.lg. n. 342 del
1999, riconoscendo al cliente (…) il diritto
di ottenere copia della documentazione
relativa a singole operazioni poste in
essere negli ultimi dieci anni, si applica
anche a situazioni soggettive che, se pur
derivanti da un rapporto concluso, non
hanno ancora esaurito nel tempo i loro
effetti, con la conseguenza che detto
diritto di copia è riconosciuto al cliente
della banca e al suo successore
prescindendo dall'attualità del rapporto a
cui la documentazione richiesta si
riferisce.>> (Cassazione civile sez. I, 12
maggio 2006, n. 11004, Giust. civ.
Mass. 2006, 5, Banca
borsa
tit.
182
cred. 2007, 6, 731., ( ).
9. Ammissibilità della domanda ex
art. 696 bic c.p.c.
Il Tribunale di Napoli ha ritenuto
ammissibile l’istanza ai sensi dell’art. 696
bis c.p.c. di accertamento tecnico
preventivo, formulata dopo la richiesta
stragiudiziale ex art. 119 t.u.b. di
richiesta di esibizione alla banca della
documentazione bancaria e di devoluzione
ad un CTU del compito della ricostruzione
contabile del rapporto (Tribunale di
Napoli del 16.10.2007, il caso.it).
10.
L’incompletezza
della
documentazione ed il cd. saldo zero.
Accade
di
frequente
che
la
documentazione acquisita al processo,
dopo l’ammissione dei mezzi istruttori
manchi o resti incompleta.
documentazione
relativa
al
rapporto
obbligatorio ed al suo svolgimento, il predetto
diritto alla documentazione trova fondamento e
regolazione inoltre nell'art. 8 l. 17 febbraio
1992 n. 154 e compiutamente nell'art. 119 del
t.u.l.b. (d.lg. 1° settembre 1993 n. 385), (…)
indipendentemente
dall'adempimento
del
dovere di informazione da parte della banca e
anche dopo lo scioglimento de rapporto (Cass.
Civ. 13 luglio 2007, n. 15669 Giust. civ.
Mass. 2007, 7-8, Giust.
civ. 2008, 3, 712, Ilcivilista 2007, 3, 80) Nella
specie, la S.C. ha cassato la sentenza
impugnata e, decidendo nel merito ordinato
all'istituto di credito la consegna alla curatela
del fallimento delle informazioni riguardanti
numero dei conti intrattenuti dal fallito,
garanzie prestate, movimenti bancari, saldi
attivi con gli interessi maturati, modalità di
estinzione dei conti, ritenendo che per tali
richieste non fosse necessario altro che
l'inquadramento del rapporto di conto corrente,
senza onere dell'istante di indicare in dettaglio
gli estremi delle singole operazioni e
prescindendo dall'utilizzazione finale potenziale
della documentazione, essendo la richiesta non
giudizialmente indirizzata e risolvendosi nella
piena tutela della posizione di amministratore
del patrimonio fallimentare.
10.1. Mancanza totale degli estratti
conto.
Nel caso in cui gli estratti non siano
prodotti, se è la banca ad agire per la
riscossione di un credito, non essendo
sufficiente il saldaconto, la mancata
produzione degli estratti conto, anche in
caso di opposizione a decreto ingiuntivo,
comporta il rigetto della domanda,
ovviamente in presenza di contestazioni
specifiche circa l’applicazione di clausole
invalide (v. Cass. 10692/2007).
Se, invece, è il correntista ad agire per
la restituzione degli interessi anatocistici
credito la consegna alla curatela del fallimento
degli estratti conto degli ultimi due anni- la
sentenza di merito che aveva escluso la
configurabilità di un diritto alle copie dei
documenti inerenti il rapporto una volta
ricevute dalla banca le comunicazioni
periodiche di cui all'art. 119 TU cit.;; Cass. 19
ottobre 1999, n. 11733; Cass. 22 maggio 1997,
n. 4598; cfr. anche il provvedimento del
7.12.2006 del Garante per la protezione dei
dati personal
(182) Cass. Sez. 1, Sentenza n. 12093 del
27/09/2001: nella specie, la SC ha cassato - e
decidendo nel merito ordinato agli istituti di
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o usurati pagati o addebitati sul suo
conto, l’onere della prova si inverte e
ricade per intero a suo carico secondo una
tesi e comporta, invece, la partenza del
calcolo dall’ultimo estratto secondo la
seconda tesi. (cfr. per l’onere della prova
Tribunale di Napoli n. 3108 del 2008 e
Tribunale di Napoli n.1789 del 2008,
Tribunale di Mantova del 2 febbraio 2009,
il caso.it).
La terza ipotesi è che la sequenza
degli estratti conto non sia continua,
perché la banca non produca l’intera
sequenza degli estratti conto, ma ne
produca uno successivo al primo, il saldo
da cui partire per l’analisi contabile deve
essere pari a zero, essendo la banca
venuta meno all’onere di esibizione e di
prova del saldo iniziale differente dallo
zero (in tal senso la giurisprudenza
prevalente).
Secondo una diversa, tesi, invece, nel
caso di mancanza degli estratti conto dei
periodi intermedi, il CTU dovrebbe partire
dall’estratto più risalente se è la banca ad
agire, fermo restando, al contrario che se
è il cliente attore sostanziale, si partirà,
invece, dal saldo più recente.
10.2. Mancanza degli estratti conto
iniziali.
Altro caso possibile è che gli estratti
conto siano prodotti, ma manchino gli
estratti iniziali. Se è la banca a richiedere
il pagamento e la documentazione
bancaria sia parziale o incompleta o in
mancanza di qualsiasi giustificazione
causale del saldo iniziale passivo,
l’eventuale CTU dovrà procedere al
calcolo partendo dal saldo zero. In questo
senso è intervenuta la recentissima
sentenza della Cassazione civile sez. I del
26 gennaio 2011 n. 1842, che ha annullato
la sentenza cui era stata rigettata la
domanda della banca per la mancata
produzione degli estratti iniziali, potendo
la CTU essere effettuata partendo
dall’ipotesi più sfavorevole alla banca del
nulla inizialmente dovuto (183).
Nel caso in cui sia il cliente, ad agire,
invece, si potrà partire come base di
calcolo dal primo estratto prodotto.
10.3.
Mancanza
intermedi.
degli
11. Saldo del conto ultradecennale.
Il Tribunale di Pescara, n.78 del 2008
ha ricordato che” nel nostro sistema vige
il principio generale di conservazione
della documentazione contabile per la
durata di dieci anni (art. 2220 c.c.) e
l’art. 119, ultimo comma TUB consente di
ottenere da parte del cliente-correntista
copia di documentazione inerente a
singole operazioni se poste in essere
nell’ultimo decennio. Ora, siccome spetta
a chi agisce in giudizio munirsi di tutta la
documentazione necessaria per far valere
le proprie ragioni, e non rinvenendosi
principio in base al quale l’istituto di
credito
sarebbe
tenuto
ad
una
conservazione illimitata delle scritture
contabili
contrattuali,
nulla
può
pretendersi dalla parte convenuta in base
alla normativa vigente nell’ambito di una
domanda di restituzione di indebito e
rispetto ad estratti contabili che non sono
stati a suo tempo neppure oggetto di
contestazione; il mancato assolvimento
dell’onere della prova non può che
ricadere su parte attrice. Di conseguenza,
i conteggi, debbono tener conto delle
estratti
(183) cfr. anche Trib. Pescara 18 novembre 2005,
in Giur. di Merito, 2006 p. 1874; App. Lecce, 19
aprile 2004, Trib. Genova, 9 novembre 2001, in
Foro pad., 2002, I, 287 ss., pur non precisando
se l'onere di produzione debba estendersi a
tutti gli estratti conto a partire dall'accensione
del conto corrente; Trib. Nuoro, 11 luglio 2007,
in questa Rivista, 2008, II, 708 ss.; alla
conclusione riportata nel testo, anche se
nell'ambito
di
una
questione
diversa
dall'anatocismo, perviene Trib. Genova, 3
giugno 1996, in Fallimento, 1997, 208 ss
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indicazioni di saldo del primo estratto
conto disponibile.”
Alla medesima conclusione si giunge a
parti invertite, posto che di recente, la
Corte di legittimità ha ribadito il
principio, affermando che non può <<la
banca può sottrarsi all'assolvimento di
tale onere invocando l'insussistenza
dell'obbligo di conservare le scritture
contabili oltre dieci anni, perché non si
può confondere l'onere di conservazione
della documentazione contabile con
quello di prova del proprio credito.>>
(Cassazione civile sez. I, 25 novembre
2010, n. 23974, Red. Giust. civ.
Mass. 2010, 11), con ciò estendendo il
principio del saldo zero anche ai rapporti
ultradecennali.
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I prodotti strutturati combinano
strumenti finanziari classici (azioni,
obbligazioni, panieri di titoli), con
derivati o con operazioni equivalenti,
spesso
rappresentati
da
options.
Rientrano nella categoria, ad esempio, le
obbligazioni legate ad indici azionari e
panieri di indici o singole azioni (index ed
equity index linked bonds), le obbligazioni
callable e puttable, che attribuiscono
rispettivamente
all'emittente
o
al
sottoscrittore la facoltà di estinzione
anticipata del prestito, le obbligazioni
step-up e step-down, che prevedono una
variabilità crescente o decrescente dei
tassi cedolari, le obbligazioni reverse
floater, fixed reverse floater e reverse
convertible,
con
cedola
variabile
indicizzata a parametri del mercato dei
capitali ecc. È possibile anche che, nel
corso del rapporto, ad una certa data,
vari lo stesso criterio di indicizzazione,
come avviene per le obbligazioni
trasformabili.
Le banche hanno fatto ampio uso
dell'ingegneria finanziaria sia per la
clientela corporate, utilizzando contratti
di swap sempre più sofisticati, sia verso la
clientela retail alla quale hanno proposto
la
conclusione
di
contratti
che
contemplano più operazioni finanziarie
collegate. Hanno una struttura composita,
però, anche i prodotti emessi da imprese
di
assicurazione,
definiti
di
tipo
«finanziario-assicurativo» (art. 29 Reg.
Consob intermediari), come le polizze
vita, nuziali e di natalità di tipo unit
linked, le cui prestazioni principali sono
direttamente collegate al valore di quote
di organismi di investimento collettivo del
risparmio o di fondi interni, le polizze di
tipo index linked, collegate ad indici o
altri valori di riferimento (art. 1 comma 1,
lett. w-bis, T.u.f.), ed i prodotti finanziari
di capitalizzazione (art. 29, lett. c) reg.
intermediari, art. 2 e 179 cod.
assicurazioni); ad essi si applicano le
regole del TU sui contratti di investimento
(artt. 21 e 23, art. 25-bis), con
“Un Cigno nero è un evento altamente
improbabile con tre caratteristiche
fondamentali. Primo: è isolato e
imprevedibile. Secondo: ha un impatto
enorme. Terzo: la nostra natura ci spinge
ad architettare a posteriori giustificazioni
della sua comparsa, per renderlo meno
casuale di quanto non sia in realtà.”
Nassim Nicholas Taleb, il Cigno nero,
2007.
PARTE
SECONDA – IL CONTENZIOSO
DEGLI
INTERMEDIARI FINANZIARI
SEZIONE PRIMA.
I PRODOTTI STRUTTURATI
SOMMARIO: 1. PREMESSA. - 2. I CASI
AFFRONTATI DALLA GIURISPRUDENZA DI MERITO - 3.
L'OPERAZIONE «BTP DEL SALENTO» - 4. SI TRATTA
DI CONTRATTI VALIDI? - 5. È NULLO SOLO
L'ACCORDO NEGOZIALE RELATIVO ALLA PARTE
STRUTTURATA,
OPPURE
È
NULLA
L'INTERA
OPERAZIONE? - 6. I CONTRATTI «MY WAY» E
«4YOU»? - 7. LE CRITICITÀ DI QUESTI PRODOTTI? 7.1. SI APPLICANO AI PRODOTTI STRUTTURATI LE
NORME IN MATERIA DI INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA
E LE NORME BANCARIE? - 7.3. ANNULLABILITÀ PER
VIZI DELLA VOLONTÀ - 7.4. IL CONTROLLO DI
MERITEVOLEZZA DEI CONTRATTI «MY WAY» E
«4YOU» - 7.4.1. È POSSIBILE, QUINDI, UN
CONTROLLO SULLA CORRETTA COSTRUZIONE DEL
SINALLAGMA
NEI
CONTRATTI
FINANZIARI
STRUTTURATI? - 7.5. L'OGGETTO DEL CONTRATTO
È DETERMINATO? - 7.5.1. DEVE ESSERE INDICATO IL
TAEG? - 7.6. LE CONSEGUENZE DEI VIZI DI FORMA
E DI CONTENUTO DEI CONTRATTI RELATIVI A
PRODOTTI STRUTTURATI? - 7.7. IL DIRITTO DI
RECESSO ALL'INVESTITORE NEI CONTRATTI MY WAY E
4YOU? - 7.7.1. È PREVISTO UN CORRISPETTIVO PER
IL DIRITTO DI RECESSO DEL CLIENTE? - 7.7.2. LE
INDICAZIONI DEL DIRITTO DI RECESSO. - 7.8. LA
PROVA TESTIMONIALE DEL FUNZIONARIO CHE HA
PROMOSSO L'INVESTIMENTO PER L'INTERMEDIARIO.
7.9 POLIZZE LINKED - 8. BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE.
1. Premessa.
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derivatives);
contratti
finanziari
differenziali. Per il t.u.f., ai fini della
disciplina dell'intermediazione finanziaria,
rientra tra gli «strumenti finanziari
derivati» anche qualsiasi «altro titolo che
comporta un regolamento in contanti
determinato con riferimento ai valori
mobiliari (...), a valute, a tassi di
interesse, a rendimenti, a merci, a indici
o a misure» (art. 1 comma 1-bis e 3
t.u.f.).
Il notevole contenzioso sui prodotti
strutturati ed i derivati in genere
suggerisce, anche per lo stimolo a nuove
azioni legali derivante da più recenti
crack finanziari, un'analisi sistematica
delle decisioni giurisprudenziali, con la
possibilità di enucleare e discutere
tendenze evolutive ed affermazioni di
principio suscettibili di essere estese a
casi diversi rispetto a quelli oggetto di
attuale decisione.
Non si trascuri, però, che i casi
pendenti davanti ai tribunali, sono per lo
più regolati da disposizioni precedenti
all'entrata in vigore delle norme primarie
e secondarie attuative della Direttiva
MIFID (d.lg. n. 164 del 2007) ed anche
della stessa legge sulla tutela del
risparmio (es. Trib. Roma, sez. III, 11
dicembre 2007, in dejure.giuffè.it,
ricorda che l'art. 100 t.u.f., nel testo
anteriore alla legge sul risparmio n. 262
del 2005, escludeva l'applicazione delle
norme sulla sollecitazione all'investimento
ai « prodotti assicurativi emessi da
imprese di assicurazione»).
conseguente vigilanza della Consob,
sull'offerta fuori sede (art. 30), sul
collocamento e la promozione a distanza
di strumenti finanziari e sull'offerta al
pubblico di prodotti finanziari diversi alle
quote o azioni di OICR aperti (artt. 94-98bis, 99 ss.); pertanto sono attualmente
soggette agli obblighi di prospetto anche
le imprese di assicurazione che offrono
tali prodotti.
Si tratta di contratti e di titoli che, pur
essendo privi di una disciplina analitica,
non sono ignorati dall'ordinamento. Il
Regolamento
n.
809/2004/CE
(11ª
considerando) ne fa menzione, precisando
che «Alcuni titoli di debito, quali ad
esempio le obbligazioni strutturate,
incorporano
taluni
elementi
degli
strumenti derivati». Il Regolamento
Consob in materia di emittenti definisce
le «obbligazioni strutturate» come «i
titoli obbligazionari il cui rimborso e/o la
cui remunerazione dipendono, in tutto o
in parte, secondo meccanismi che
equivalgono all'assunzione di posizioni in
strumenti finanziari derivati, dal valore o
dall'andamento del valore di prodotti
finanziari, tassi di interesse, valute, merci
e relativi indici» oppure «dal verificarsi di
determinati eventi o condizioni» (art. 51,
lett. b, Reg. Consob n. 11971 del 1999).
Molto più ampio è l'elenco dei derivati
contenuto
nella
descrizione
degli
strumenti finanziari offerta da T.u.f. (art.
1 comma 2 d.lg. n. 58 del 1998): contratti
di opzione, «future», «swap», accordi per
scambi futuri di tassi di interesse e altri
contratti derivati connessi a valori
mobiliari, valute, tassi di interesse o
rendimenti (financial derivatives), oppure
a merci (commodities derivatives), a
variabili climatiche (weather derivatives),
a tariffe di trasporto, quote di emissione,
tassi di inflazione o ad altre statistiche
economiche
ufficiali,
eventualmente
negoziati su mercati regolamentati e/o in
sistemi multilaterali di negoziazione;
indici finanziari, strumenti derivati per il
trasferimento del rischio di credito (credit
2. I casi ricorrenti.
Il contenzioso giurisprudenziale più
esteso ha riguardato contratti strutturati,
nei quali, oltre ad indicizzarsi il
rendimento dell'investimento del cliente,
è stata introdotta anche una componente
di
finanziamento
e
di
garanzia
dell'operazione. Sono nati, quindi i noti
filoni giurisprudenziali, quelli dei «BTP del
Salento» e dei casi «My way» e «4you»
decisi dai tribunali con criteri non sempre
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uniformi. Non mancano anche decisioni
riguardanti la stipula di polizze di tipo
linked (es. Trib. Trani 30 aprile 2008, in
dejure.giuffre.it per una polizza «Spazio
Aperto Unit Linked»).
Il default della Lemhan Brothers ha
comportato notevoli perdite, non solo per
coloro che hanno direttamente investito
in obbligazione della banca americana
(per esempio Trib. Venezia 5 novembre
2009, in www.ilcaso.it, doc. 1924/2009,
Trib.
Udine
5
marzo
2010,
in
www.ilcaso.it, doc. 2091/2010) ma anche
per gli acquirenti di polizze assicurative
collegate al loro rendimento.
L'operazione
implica,
pertanto,
la
conclusione di quattro negozi: 1) un
contratto di negoziazione di ordini su
strumenti finanziari, che regola la
prestazione dei servizi di investimento; 1)
un accordo quadro per la stipula di
strumenti finanziari derivati, che regola
specificamente la negoziazione di questi
ultimi; 3) un ordine di negoziazione su
strumenti finanziari, che regola l'acquisto
di BTP; 4) la proposta di contratto di
vendita
dell'opzione
put
collegato
all'andamento dei corsi su titoli azionari
(cfr. Trib. Bari 17 luglio 2006, in www.il
caso.it, doc. 449/2006).
3. «BTP DEL SALENTO>>.
Con tali contratti il cliente non si
limita ad acquistare titoli sicuri come i
BTP. La banca acquista anche per conto
del cliente e vende a sé stessa, con
opzione put a suo favore (ovvero con
facoltà di rivendita), una certa quantità di
un paniere di titoli europei rientranti
nelle nuove tecnologie, al prezzo di borsa
della data della stipula (c.d. corso strike).
La banca esercita l'opzione put solo nel
caso in cui i titoli abbiano un andamento
inferiore e riceve il differenziale tra lo
strike price ed il prezzo di mercato al
momento dell'opzione (cash settlement).
A garanzia del rischio del mancato
versamento della differenza da parte del
cliente vengono posti i BTP acquistati. Il
cliente acquista titoli di Stato ad un
prezzo più conveniente (al valore
nominale, invece, del valore superiore di
mercato),
ma
assume
il
rischio
scommettendo sull'andamento favorevole
dei titoli collegati.
Si tratta, quindi, di due singole
operazioni
costituenti
due
diversi
contratti di compravendita di strumenti
finanziari: con il primo il cliente acquista
un BTP con scadenza 1 gennaio 2004; con
il secondo egli vende alla banca opzioni
put collegate all'andamento dei corsi su
titoli azionari (Trib. Brindisi 21 febbraio
2005, in www.ilcaso.it, doc. 34/05)
4. Contratto quadro e forma
negoziale.
La
giurisprudenza
ha
risposto
negativamente.
Innanzitutto, si è dichiarata la nullità
del contratto nei casi in cui non era stato
preventivamente stipulato il contratto
quadro di investimento tra cliente ed
intermediario (es. Trib. Taranto, sez. II,
16 maggio 2005, in www.ilcaso.it, doc.
251/05, ha affermato che per prodotti
finanziari «BTP Tel» e «BTP Index» non
può sopperirsi alla mancanza del
contratto quadro di cui all'art. 30 Reg.
Consob n. 11522 del 1998, mediante gli
ordini scritti di investimento, non
indicando gli stessi né il prezzo base né il
premio delle opzioni).
Il Tribunale di Napoli, sez. VIII, con
sentenza 7 marzo 2007 (inedita) ha
rilevato il difetto di forma scritta del
contratto, rilevando che nell'ordine
scritto non vi era indicazione di diversi
elementi essenziali, come la vendita
dell'«opzione
put»
e
del
premio/corrispettivo pagato dalla Banca
per tale acquisto e delle modalità del suo
esercizio, dei titoli azionari da acquistare
e
del
loro
prezzo,
dell'obbligo
dell'investitore di coprire l'eventuale
differenziale negativo tra tale prezzo e
quello di mercato alla data di rilevazione
89
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scommettendo su di esso. La decisione
quindi, poggia su un collegamento
negoziale
inscindibile
tra
le
due
operazioni (conf. Trib. Brindisi 16
dicembre 2005, in www.ilcaso.it, doc.
395/2005 e Trib. Brindisi 21 febbraio
2005, in www.ilcaso.it, doc. 34/2005,
conf. anche Trib. Pescara 28 dicembre
2007, in www.ilcaso.it).
dei corsi di chiusura, della funzione di
garanzia dei BTP.
Il contratto di vendita di dell'opzione,
secondo il tribunale, è affetto da nullità
relativa, denunciabile solo dal cliente,
per contrasto con gli artt. 23 t.u.f. e 30
Regolamento Consob n. 11522 del 1998, in
quanto privo della forma scritta vincolata.
Ha affermato, però la nullità del solo
contratto derivato, non avendo la parte
contestato la validità dell'acquisto dei
BTP, rimasto in capo all'acquirente.
Il Tribunale di Brindisi 2007, per
contro, ha dichiarato la nullità di un
analogo contratto derivato connesso a BTP
con opzione put a favore della banca, non
per
vizio
di
forma,
ma
per
indeterminatezza ed indeterminabilità
dell'oggetto del contratto (art. 1346 c.c.,
Trib. Brindisi 18 luglio 2007, in
www.ilcaso.it, doc. 969/2007, così anche
Trib. Bari, sentenza 17 luglio 2006, n.
1993, in www.ilcaso.it, doc. 449/2006.).
Nella
descrizione
degli
strumenti
finanziari
contenuta
nell'ordine
di
negoziazione vi era esclusivamente la
voce «BTP index», senza ulteriori
specificazioni, per cui, secondo il
tribunale per il cliente non era possibile
comprendere se l'oggetto del contratto
era un titolo di Stato, oppure un titolo
collegato ad un prodotto strutturato né
quale fosse l'opzione che vendeva ed il
relativo premio. (Trib. Brindisi 18 luglio
2007 e Trib. Bari, sent. 17 luglio 2006, n.
1993, cit.)
6. CONTRATTI «MY WAY» E «4YOU»
Anche il piano finanziario denominato
«My way» si compone di più contratti
funzionalmente
collegati:
a)
viene
concesso un finanziamento al cliente, non
concretamente erogato, ma vincolato
all'acquisto
di
determinati
titoli
(obbligazioni e quote di fondi comuni di
investimento);b) i titoli a reddito fisso
sono acquistati ad un prezzo inferiore al
valore nominale, e permettono al cliente
di acquisire alla scadenza un capitale
certo, di importo predeterminato, tale da
garantire il recupero della sorte capitale e
di una parte degli interessi versati alla
banca per il rimborso del finanziamento
alla scadenza di 15, 20 o 30 anni; c) il
rendimento dei fondi costituisce la
componente aleatoria dell'operazione,
condizionata dall'andamento dei mercati
finanziari nei trent'anni successivi alla
sottoscrizione; d) i titoli sono inseriti in
un deposito titoli, intestato al cliente e
costituiti in pegno a favore della banca, a
garanzia del rimborso del finanziamento
(cfr. Trib. Bari 31 marzo 2009, in
dejure.giuffre.it).
Il contratto «4you» è un'operazione di
finanziamento in gran parte simile:
a) viene concesso un finanziamento al
tasso di circa il 6,7%; b) destinato
all'acquisto di titoli (obbligazioni senza
cedole zero coupon e quote di fondi
comuni); c) i titoli vengono depositati un
conto e posti a garanzia del rimborso del
finanziamento; d) è presente una polizza
assicurativa in caso di morte o infortunio
grave ed è previsto con corrispettivo per il
recesso. Il titolo esprime quindi, le
5. Nullità parziale o integrale?
La
risposta
può
essere
data
richiamando la decisione del Trib. Bari 17
luglio 2006, che ha dichiarato la nullità
dell'intero
contratto
mettendo
in
evidenza come nell'operazione strutturata
il cliente acquisti titoli di Stato ad un
prezzo più conveniente rispetto a quello
di mercato (in pratica al valore nominale,
invece, del valore superiore), assumendo,
però,
contestualmente,
il
rischio
dell'andamento dei titoli collegati e
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applicabile la disciplina di cui agli artt. 21
ss. t.u.f., che impone all'intermediario lo
specifico obbligo di diligenza, correttezza
e trasparenza nei confronti del cliente
(Trib. Brindisi 21 giugno 2005). Si è
sottolineato, infatti, che nei contratti
denominati «4 you» e «My way» la somma
di denaro che la banca mette a
disposizione dell'investitore viene da
subito vincolata e veicolata, senza
possibilità di diversa determinazione,
verso un prestabilito piano finanziario di
accumulo (Trib. Salerno 18 marzo 2008, in
Guida dir., 2008, f. 20, 58.)
Si è anche affermato che potrebbe
essere congiuntamente applicata anche la
normativa sulla trasparenza bancaria
proprio perché lo stesso t.u.f. prevede,
come indicato in precedenza tra i servizi
accessori la concessione di finanziamenti
agli investitori per operazioni in strumenti
finanziari (art. 1 comma 6, lett. c), T.u.f.,
Trib. Benevento 30 ottobre 2007, in
dejure.giuffre.it).
Anche le polizze assicurative linked
pur
essendo
emesse
da
imprese
assicurative
hanno,
secondo
la
giurisprudenza
funzione
prevalente
finanziaria e, quindi, sono soggette al
t.u.f. (es. Trib. Busto Arsizio 6 novembre
2010, Trib. Milano, sez. IV, 12 gennaio
2007, entrambe in dejure.giuffré.it,
SEVERI, nt. 16; MARTINA, 1946 s.).
7.2. La pubblicità che è stata fatta
sui prodotti è ingannevole?
L'Autorità Garante per la Concorrenza
ed il mercato (decisione 6 marzo 2003) ha
affermato che i messaggi divulgativi
pubblicitari relativi ai prodotti «121
Performance» e «My way» integrano una
fattispecie di pubblicità ingannevole ai
sensi degli artt. 1, 2, e 3, lett. a), d.lg. n.
74 del 1992 perché essi sono prospettati
nei rispettivi messaggi come « prodotti di
investimento che consentono di accedere
alle opportunità offerte dai mercati con
versamenti mensili di modesta entità
(...)», con modalità apparentemente
simili ai piani di accumulo di capitale dei
quattro componenti dell'investimento
(finanziamento,
obbligazioni,
azioni,
polizza assicurativa).
Anche per i per i piani finanziari «My
way» e «4you» la giurisprudenza ha
affermato l'unitarietà delle operazioni e
l'interdipendenza
funzionale
delle
prestazioni, ad esempio, affermando
l'inscindibilità della dichiarazione di
recesso (Trib. Rimini 28 aprile 2007, in
www.ilcaso.it, doc. 553/2007).
7. Aspetti problematici.
All'esame della giurisprudenza sono
stati posti diversi profili:
1. il quadro ordinamentale di
riferimento e la natura dell'operazione;
2. l'attività promozionale;
3. la formazione del consenso;
4.
la
meritevolezza
e
liceità
dell'operazione;
5. la determinatezza dell'oggetto
contrattuale;
6. i requisiti di forma;
7. le modalità di recesso.
È opportuno, quindi, esaminare
specificamente ciascuno di essi.
7.1. Si applicano ai prodotti
strutturati le norme in materia di
intermediazione finanziaria e le norme
bancarie?
Un
punto
fermo
fissato
dalla
giurisprudenza è l'applicabilità delle
norme in materia di intermediazione
finanziaria: nonostante la forte incidenza
del
componente
di
finanziamento
dell'operazione.
Si è escluso, infatti, che possa
attribuirsi valenza assorbente al profilo
del finanziamento, perché con l'accordo
stipulato tra banca e cliente prevede la
concessione di un finanziamento vincolato
esclusivamente all'acquisto di particolari
strumenti finanziari, per cui la causa del
negozio deve essere ricercata nel
collegamento
negoziale
tra
il
finanziamento e la vendita dei prodotti
finanziari, con la conseguenza che alla
fattispecie
deve
essere
ritenuta
91
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fondi comuni di investimenti; manca,
quindi, un'informazione corretta sulla
necessità di sottoscrivere un contratto
di finanziamento per accedere ai
prodotti, che non può essere considerato
di carattere accessorio.
La slealtà informativa di cui si sono
rese responsabili le banche, quindi, si
colloca in una fase precedente a quella
degli obblighi informativi propri delle
trattative della stipula ed esecuzione del
contratto di investimento.
La giurisprudenza si è occupata delle
conseguenze della pubblicità ingannevole
sulle trattative individuali.
Il Tribunale di Pavia ha affermato che,
essendovi stata preliminarmente una
pubblicità di carattere ingannevole,
imperniata sulle finalità previdenziali dei
prodotti e, quindi, sulla non rischiosità
dell'investimento, la banca deve ritenersi
obbligata ad un'attività di informazione
dettagliata e scrupolosa che, invece,
consenta di comprendere esattamente la
natura del prodotto. (Trib. Pavia 10
febbraio 2009, in www.ilcaso.it, doc.
1760/2009).
In effetti, è ragionevole presumere
che di fronte ad una campagna
promozionale scorretta l'investitore si
avvicini al prodotto ed aderisca al
contratto perché attratto ed informato
dalla stessa, per cui dovrà essere la banca
a dimostrare, non solo che obblighi
informativi
generali
sono
stati
scrupolosamente osservati, ma anche
evidenziando la non correttezza del
messaggio pubblicitario diffuso o quanto
meno, fornendo elementi circostanziati,
idonei a ripristinare una rappresentazione
del prodotto corretta.
contratto qualora l'investitore presti il
proprio consenso nel convincimento di
sottoscrivere un piano di investimento
basato sull'accantonamento di una somma
mensile, senza avere la consapevolezza di
aver contratto un mutuo e che le somme
pagate mensilmente ne rappresentano in
realtà la rata di rimborso (Trib. Parma 6
dicembre 2006, n. 1442, in www.ilcaso.it,
doc. 470/2006), e ciò anche perché per
effetto del messaggio pubblicitario
ingannevole «il destinatario del messaggio
è portato ad immaginare che i piccoli
versamenti mensili cui il messaggio fa
riferimento vengano impiegati per far
fronte all'investimento con modalità
analoghe a quelle previste nei piani di
accumulo di capitale dei fondi comuni di
investimento» mentre non emerge in
modo chiaro il profilo del finanziamento
(Trib. Firenze 19 aprile 2005, in
www.ilcaso.it, doc. 37/2005);
- in senso contrario, si è affermato che
«Il piano finanziario denominato 4you, pur
avendo una struttura complessa, ha
caratteristiche tali da poter essere
compreso da un investitore di media
diligenza ed attenzione, per cui devono
essere
disattese
le
domande
di
annullabilità del contratto per vizio del
consenso determinato da dolo o errore
essenziale ove le stesse siano basate sul
contenuto del contratto» (Trib. Prato 5
marzo 2009, in www.ilcaso.it, doc.
1769/2009).
Anche se non vi è dubbio della
decettività del messaggio pubblicitario,
l'annullamento del contratto non è una
sua conseguenza automatica, ma va
comunque
verificata
in
concreto
l'eziologia del messaggio ingannevole sulla
formazione della volontà dell'investitore,
anche mediante presunzioni logiche e
massime di esperienza, collegando le
caratteristiche del piano, le modalità di
diffusione e di redazione del testo
contrattuale
all'attività
informativa
effettuata in concreto, alla sua personale
7.3.
Annullabilità per vizi della
volontà.
La giurisprudenza di merito si divide
riguardo all'annullabilità del contratto per
vizi della volontà:
- si è affermato si versa in ipotesi di
errore essenziale riconoscibile sull'intero
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insito nella connotazione previdenziale; al
contrario il contratto è redditizio solo per
la banca, perché il cliente è destinato a
subire perdite riguardo alla componente
azionaria, non potendo «effettuare
operazioni di passaggio di fondi,
indispensabili in caso di turbolenze dei
mercati». Si tratta, quindi di un contratto
atipico, «che non ha nulla dello schema
del contratto di mutuo, in quanto dirotta
le somme messe a disposizione verso
incontrollate forme di investimento»; di
conseguenza «non è certo meritevole di
tutela giuridica ex art. 1322 c.c. in quanto
eccessivamente squilibrato a vantaggio di
un contraente, ben al di là della normale
alea contrattuale, con detrimento elevato
dell'investitore,
che
merita
tutela
giuridica, anche per la sua posizione di
consumatore (v. art. 1469-bis c.c.)».
Di recente la Corte appello Napoli
sez. III, con sentenza del 3 marzo 2010
(dejure.giuffre.it),
ha
escluso
la
meritevolezza del contratto <<4you>> ,
analizzando la causa negoziale in modo
unitario e ribadendo l’assenza di controllo
del
cliente
sull’andamento
dell’investimento ed evidenziando che
<<la banca, oltre a realizzare il proprio
legittimo
interesse
a
guadagnare
attraverso il corrispettivo del mutuo e
della vendita dei titoli che ha in
portafoglio, arriva ad eliminare il rischio
conseguente alla propria attività di
impresa facendolo gravare esclusivamente
sul cliente>> e, quindi,<<non ha alcun
interesse a perseguire la necessaria
diligenza
nell'esecuzione
del
contratto>>>>
La tesi della validità del contratto.
Un secondo indirizzo giunge a
conclusioni opposte, ma secondo due
strade diverse.
Alcuni tribunali, effettuando una
valutazione in concreto della causa, ne
hanno affermato la validità, sostenendo
che: a) il «My Way» consente, in una
logica
di
medio-lungo
periodo,
un'incentivazione del risparmio diretto
esperienza di investimento ed attività
professionale.
7.4. Il controllo di meritevolezza dei
contratti «My way» e «4you».
La giurisprudenza ha esaminato questi
piani, per gli elementi di complessità,
collegamento negoziale ed atipicità sul
piano del controllo previsto dall'art. 1322
comma 2 c.c,con risultanti molto
contrastanti.
La tesi del difetto di meritevolezza.
Secondo una prima tesi il contratto
(«4you», ma il discorso è analogo per il
«My way») sarebbe immeritevole di tutela
ex art. 1322 c.c., perché, traslando il
rischio su una sola delle parti,
rappresenterebbe un contratto aleatorio
unilaterale, da ritenersi nullo per difetto
di causa, non essendo diretto a realizzare
interessi meritevoli di tutela secondo
l'ordinamento giuridico, ai sensi dell'art.
1322 e 1343 c.c. (Trib. Brindisi, sez. fall.,
8 luglio 2008, in Dir. e prat. soc., 2008,
62; conf. Trib. Civitavecchia 20 aprile
2007, in Red. Giuffrè, 2007, in
precedenza già Trib. Brindisi, sez. fall.,
28 giugno 2005, in www.ilcaso.it, doc.
32/2005, Trib. Brindisi 30 dicembre 2005,
n. 1417, in www.ilcaso.it, doc. 28572005,
di recente, sent. 8 ottobre 2008, in
www.ilcaso.it, doc. 1305/2008),
La Corte di Appello di Salerno (sent. 30
settembre 2009, n. 836), confermando un
indirizzo già espresso in precedenza dal
Tribunale di Salerno (sent. 26 settembre
2007, in www.ilcaso.it) è giunta alla
medesima conclusione con un percorso
argomentativo più composito: poiché «la
causa del contratto in esame si sostanzia
da una parte nell'erogazione di un
finanziamento retribuito per l'acquisto di
strumenti
finanziari
e
dall'altra
nell'acquisizione a scadenza di un capitale
rivalutato con finalità previdenziali»,
l'alea sottostante a tale investimento può
legittimamente riguardare, quindi, il
quantum del vantaggio patrimoniale, ma
non l'an dello vantaggio stesso perché
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alla costituzione di un capitale futuro;
b) il cliente può in ogni momento
disinvestire; c) la somma erogata al
cliente è destinata all'acquisto di tipologie
di
strumenti
finanziari
non
particolarmente speculative (Trib. Roma,
sez.
III,
4
dicembre
2008,
in
dejure.giuffré.it, 24138, per la tesi che
nega il difetto di meritevolezza anche
conf. Trib. Milano, sez. VI, sent. 25
novembre 2008).
Altri tribunali, invece, hanno sostenuto
che la valutazione di meritevolezza deve
appuntarsi sullo schema causale astratto
del contratto e non sulla vantaggiosità
economica in concreto del negozio
atipico (Trib. Parma, sent. 1 aprile 2009,
Trib. Torino, sez. I, 8 maggio 2009, in
dejure.giuffre.it) inoltre, l'inquadrabilità
del contratto nella figura del mutuo di
scopo finalizzato ad operazioni in
strumenti
finanziari
previsto
come
servizio finanziario accessorio (art. 1
comma 6, lett. c), t.u.f. e l'art. 47 comma
2 Reg. n. 11522 del 1997), riporta la
figura ad una fattispecie normativamente
già prevista. (Trib. Parma 1 aprile 2009, in
www.ilcaso.it). Su questa linea si colloca
anche la recente decisione della Corte di
Appello di Firenze, sez. I, sent. 5 gennaio
2010 che, precisando che l'art. 1322 c.c.
si limita a consentire negozi atipici basati
su uno scambio di prestazioni non vietato
o illecito, ha escluso il difetto di
rilevanza giuridica del «4you» per
eccessivo squilibrio delle prestazioni,
nonché l'invocata illiceità della causa per
la violazione della libertà di investimento
e disinvestimento.
7.4.1. È possibile, quindi, un controllo
sulla corretta costruzione del sinallagma
nei contratti finanziari strutturati?
Discutere di meritevolezza e liceità di
più contratti collegati significa andare al
cuore dei più dibattuti ed irrisolti
problemi della teoria del negozio
giuridico: causa e tipo, rapporto tra
controllo di liceità e di meritevolezza,
negozi atipici e negozi collegati, ed,
inoltre, profili più recenti come il tema
dell'eccessivo squilibrio delle prestazioni e
della
giustizia
contrattuale
che,
evidentemente, non possono di certo
essere affrontati compiutamente in
questa sede.
Si possono, però, effettuare alcune
considerazioni:
a) allorché si discute di collegamento
negoziale (indipendentemente dalla tesi
oggettiva, soggettiva o mista del
collegamento), tendenzialmente si resta
nell'ambito dei contratti tipici (a meno
ché gli stessi negozi collegati siano
individualmente atipici). Non è corretto,
quindi, parlare di collegamento genetico e
funzionale dei negozi ed al tempo stesso
di contratto atipico per effetto di tale
collegamento: se più contratti tipici sono
interdipendenti, non diventano per ciò
stesso atipici; è atipico, invece, il
contratto misto, che si differenzia dai
negozi collegati per la fusione delle
diverse cause negoziali;
b) oggetto della valutazione di
meritevolezza, non è la causa in astratto,
come pure ha affermato parte della
giurisprudenza, ma la causa in concreto,
ovvero la funzione pratica del negozio,
come da decenni afferma la dottrina (cfr.
per tutti, G.B. FERRI, Causa, 251) e come
ha più volte affermato anche la stessa,
Corte di Cassazione (cfr. Cass. 20 agosto
2003, n. 12216; Cass. 4 aprile 2003 n.
5324; Cass. 19 febbraio 2000, n. 1898, Rv.
534659, Cass. 19 marzo 1999, n. 2526;
Cass. 15 luglio 1993, n. 7844, in Giur. it.,
1995, I, 1, 734; Cass. 15 giugno 1991, n.
6771; Cass. 18 febbraio 1983, n. 1244;
Cass. 29 gennaio 1983, n. 826; Cass. 11
agosto 1980, n. 4921; Cass. 22 gennaio
1976, n. 185; Cass. 13 ottobre 1975, n.
3300; Cass. 7 aprile 1971, n. 1025, in Foro
it., I, 2574; Cass. 16 ottobre 1968, n.
3317; Cass. 15 febbraio 1963, n. 331;
Cass. 7 maggio 1955, n. 1299, in Giur. it.,
1955, I, 1075; Cass. 28 febbraio 1946 n.
217; v. ALPA, 1 ss.; soprattutto, vedi la
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recente decisione delle sez. un., 18
febbraio 2010, n. 3947, Rv. 611834).
c) Il giudizio di meritevolezza ex art.
1332 c.c. è inteso da alcuni come verifica
della contrarietà della causa alla legge,
all'ordine pubblico ed al buon costume
(quindi, come giudizio di liceità della
causa), da altri come valutazione
dell'idoneità dello strumento elaborato
dai privati ad assurgere a modello
giuridico di regolamentazione di interessi,
e, quindi come riconoscimento del
carattere giuridicamente vincolante del
negozio, con ciò presupponendo questa
seconda tesi una distinzione tra tipo
astratto
di
negozio
previsto
dal
legislatore, soggetto a verifica ex art.
1322, perché diverso dagli schemi tipici
predisposti dal legislatore, e la causa,
intesa come effettivo assetto degli
interessi delineato dalle parti e soggetta a
«giudizio di liceità ha la funzione di
salvaguardare l'ordine giuridico dalla
presenza di singoli accordi impegnativi i
cui contenuti siano in contrasto con i
princìpi
regolatori
dell'ordinamento»
(GAZZONI, Manuale..., 808 s.). Entrambe le
tesi, anche se sotto profili diversi,
sottopongono il concreto regolamento di
interessi tra le parti al giudizio di liceità
sia che esso risponda allo schema di un
contratto tipico sia che non possa essere
ricondotto ad uno degli schemi legali
prefissati (cfr. anche GAZZONI, Atipicità...,
52 ss.; G.B. FERRI, Meritevolezza..., 81 ss.;
G.B. FERRI, Ancora..., 331 ss., distingue
tra
«rilevanza»
ed
il
giudizio
meritevolezza, ma avvicina quest'ultimo
con quello di liceità; anche PERLINGIERI,
289-429).
Ne consegue, per i contratti strutturati
in esame, che il fatto che il t.u.f. preveda
il finanziamento legato all'acquisto di
titoli e, quindi, che assuma natura tipica
lo schema causale astratto del mutuo di
scopo
collegato
all'investimento
in
strumenti finanziari, così come il fatto
che il t.u.f. nomini ed in parte regoli gli
strumenti finanziari derivati, proprio
perché il giudizio di meritevolezza è sul
concreto regolamento del negozio, non
rendono
i
prodotti
strutturati
automaticamente tipici o meritevoli di
tutela.
d) La dottrina più recente a spingersi
oltre la nozione di causa in concreto.
«L'affare così come costruito dai privati
deve essere riguardato nella sua unità
formale,
cioè
come
"operazione
economica",
indipendentemente
dal
singolo tipo o dall'insieme dei tipi, seppur
tra loro collegati o dipendenti, che le
parti hanno utilizzato per costruire il loro
assetto di interessi»; «L'operazione
economica,
infatti,
quale
schema
unificante l'intero assetto di interessi
disegnato dall'autonomia privata, penetra
all'interno delle singole cause che
compongono il collegamento negoziale,
qualificandole in concreto, a prescindere
dalla causa tipica dei singoli schemi
negoziali» (GABRIELLI, 905 s.; per un
riferimento, sia pure fugace alla categoria
dell'operazione economica cfr. Cass. 23
aprile 2005, n. 8565, Rv. 580637).
e) la meritevolezza, consistendo in
una valutazione della liceità del negozio o
della possibilità di attribuzione allo stesso
di
giuridica
rilevanza,
e
solo
successivamente
della
validità,
tradizionalmente non rappresenta una
valutazione di conformità all'interesse
sociale del negozioex art. 41 comma 2
Cost. di proporzione, delle prestazioni
oppure di reciproca vantaggiosità, per
cui appare poco sviluppata l'affermazione
secondo cui «l'ordinamento non può
ammettere la validità di contratti atipici
che, lungi dal prevedere semplici
modalità di differenziazione dei diversi
profili di rischio, trasferiscano piuttosto in
capo ad una sola parte tutta l'alea
derivante dal contratto, attribuendo
invece alla controparte profili certi
quanto alla redditività futura del proprio
investimento.
L'insanabile
squilibrio
iniziale tra le prestazioni oggetto del
sinallagma contrattuale rende allora
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l'intero contratto (...) radicalmente nullo,
non soltanto per contrasto con gli art. 21
ss. t.u.f., ma anche per sua contrarietà
alla previsione di cui all'art. 1322 c.c.,
non essendo detto negozio volto alla
realizzazione di interessi meritevoli di
tutela secondo l'ordinamento giuridico»
(Trib. Brindisi, sez. fall., 8 luglio 2008, in
dejure.giuffrè.it, per un commento v.
SANGIOVANNI, 3116 s. ).
f) Va ricordato che, nell'ambito della
prestazione dei servizi e attività di
investimento, agli strumenti finanziari
derivati nonché a quelli analoghi
individuati ai sensi dell'art. 18 comma 5,
lett. a), non si applica l'eccezione di gioco
o scommessa prevista dall'art. 1933 c.c.
(art. 23 comma 5 t.u.f., così come
modificato dall'così modificato dall'art. 4
d.lg. 17 settembre 2007, n. 164), fatto
sintomatico
della
meritevolezza
di
contratti con finalità esclusivamente
speculativa.
Altra questione, invece, è se la
conclusione di tali contratti si traduce in
una violazione da parte dell'intermediario
degli obblighi di protezione o delle norme
sul conflitto di interessi. In altri termini,
la poca o nulla convenienza per
l'investitore nel contratto asimmetrico
rileva certamente sul piano delle regole di
condotta piuttosto che su quello delle
regole di validità. Residua lo spazio per
una rilevanza dei vizi della volontà
quando la violazione delle prime integra il
dolo o l'errore essenziale riconoscibile.
g) Può però accadere che la causa del
prodotto strutturato sia illecita quando il
concreto regolamento degli interessi
contrasti con finalità di tutela di
interessi esplicitamente considerati dal
legislatore. Ad esempio, si è sostenuto
che la clausola negoziale di una polizza
index vita, con cui l'assicuratore non
garantisce alla scadenza il rimborso del
capitale assicurato e i versamenti delle
cedole annuali «appare in contrasto con la
causa giuridica (causa previdenziale) del
contratto di assicurazione sulla vita (...)
perché è tipica infatti dei contratti di
assicurazione sulla vita l'irrilevanza delle
modalità di investimento dei premi
ricevuti dall'impresa di assicurazione, la
quale è sempre responsabile nei confronti
degli assicurati del pagamento delle
somme assicurate», come confermato
anche
dall'impignorabilità
ed
insequestrabilità delle somme dovute
dall'assicuratore a titolo di prestazione
assicurata in caso di morte dell'assicurato
o in caso che l'assicurato sia in vita alla
scadenza contrattuale (art. 1923 c.c.)
(SALANITRO, 491 s., il quale precisa che il
collegamento del capitale al rendimento
di titoli sarebbe ammissibile se operante
esclusivamente a favore dell'assicurato).
Sul piano della meritevolezza/liceità
della causa in concreto un ulteriore
approfondimento
va
effettuato
sul
contenuto del programma contrattuale
del piano strutturato sugli obiettivi che
esso si pone. Si è fatto riferimento alla
opposte conclusioni, in particolar,e dei
giudici salernitani e brindisini e dei giudici
fiorentini (Trib. Salerno 26 settembre
2007, in www.ilcaso.it).
Non convince, però, argomento, pur
accuratamente svolto, dei giudici pugliesi
che ritengono che il finanziamento non
costituisca né un mutuo ordinario, né un
mutuo di scopo, in quanto, essendo
destinato all'acquisto immediato dei titoli
indicati dalla banca, di carattere
puramente nominalistico che, pertanto,
rappresenta
un
contratto
atipico
immeritevole di tutela. Si sostiene,
infatti, che la valutazione negativa ai
sensi dell'art. 1322 c.c. è collegata al
carattere
di
contratto
aleatorio
unilaterale dell'operazione e, quindi, al
vantaggio diretto esclusivamente in favore
della banca proponente.
È evidente, però, che si trascura di
considerare che l'investitore ha l'utilità di
effettuare un investimento in assenza di
una qualsiasi disponibilità di denaro grazie
al finanziamento, sia pure dirottato verso
l'acquisto di titoli scelti dalla banca. La
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convenienza economica del contratto ed
uno squilibrio non giustificato delle
prestazioni è problematica ed incerta,
specialmente
quando
la
normativa
specifica tutela l'investitore e l'integrità
dei mercati (art. 6 e 23 t.u.f.). Eppure
questa è la strada per considerare valido
un
negozio
atipico
di
carattere
finanziario.
In conclusione, un contratto in derivati
con finalità di copertura, stipulato a
condizioni economiche che, secondo le
corrette analisi di mercato, non possono salvo il verificarsi di eventi eccezionali assicurare nell'esecuzione del contratto il
raggiungimento dell'obiettivo, ha una
causa illecita perché contrastante con tali
principi costituzionali e con il principio di
tutela dell'investitore immanente alla
normativa settoriale; mentre un contratto
in cui una parte fornisce una prestazione
come
il
finanziamento
finalizzato
all'acquisto di titoli, garantendosi contro il
rischio insolvenza attraverso un vincolo
sui titoli acquistati e, quindi, non avendo
un concreto rischio di inadempimento,
laddove la controparte che ottiene il
finanziamento ha una prospettiva di
redditività
solo
eventuale
è
perfettamente lecito; sarà illecito,
invece, se le scelte di investimento non
possono essere modificate nel tempo su
sua iniziativa, disinvestendo senza oneri
aggiuntivi e, quindi, operando quelle
variazioni di portafoglio necessarie a dare
redditività all'investimento o quanto
meno, a ridurre le perdite dovute agli
andamenti dei mercati finanziari, ciò in
quanto
tali
limitazioni
aggravano
anticipatamente la posizione contrattuale
della controparte e,pertanto, contrastano
con
i
principi
della
solidarietà
costituzionale, della tutela del risparmio
e della libertà di investimento.
questione, quindi, si pone in modo
diverso: entrambe le parti hanno un'utilità
potenziale,
sia
pure
diversamente
distribuita perché la banca sterilizza a
monte il rischio di inadempimento del
mutuatario con la costituzione dei titoli
«sicuri» a garanzia. La differenza rispetto
ad un mutuo ipotecario risiede nella
maggiore liquidità della garanzia rispetto
agli immobili, da alienare con procedura
esecutiva; nell'assenza di un'utilità diretta
per il mutuatario del bene acquistato
indipendente dall'incremento di valore
dello
stesso;
infine,
dal
difficile
bilanciamento della redditività dei titoli
con gli interessi passivi del mutuo,
superiore al 6%.
La
crescente
valorizzazione
dell'applicazione diretta delle norme
costituzionali nei rapporti privatistici può
probabilmente indurre ad affermare che i
contratti finanziari atipici, così come tutti
gli altri contratti possono essere non
meritevoli di tutela o, se si vuole, nullità
per illiceità della causa quando l'interesse
economico che concretamente persegue il
negozio non è conforme a parametri
costituzionali di diretto riferimento come
il principio di tutela del risparmio (art. 47
Cost.), oppure i doveri di solidarietà
costituzionale (art. 2 Cost.). Si può
richiamare, in proposito l'affermazione
recente della corte di legittimità per la
quale «i controlli insiti nell'ordinamento
positivo
relativi
all'esplicazione
dell'autonomia negoziale, coincidenti con
la meritevolezza di tutela degli interessi
regolati convenzionalmente e con la
liceità della causa, devono essere in ogni
caso parametrati ai superiori valori
costituzionali previsti a garanzia degli
specifici interessi, ivi compreso quello
contemplato dall'art. 2 Cost. (che tutela i
diritti involabili dell'uomo e impone
l'adempimento dei doveri inderogabili di
solidarietà)» (Cass., sez. III, 19 giugno
2009, n. 14343, Rv. 608475).
Non vi è dubbio che la linea
(soprattutto pratica) di demarcazione tra
7.5. L'oggetto del contratto è
determinato?
Il Tribunale di Parma dell'11 dicembre
2008, per un piano «4you», adottando una
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1. Sebbene diversi tribunali parlino di
«ordine», piuttosto che di contratto, in
modo esplicito o implicito, viene
riconosciuta l'autonomia negoziale del
piano di investimento strutturato rispetto
al contrato quadro (Trib. Torino, sez. I, 8
maggio 2009). Il primo, quindi, non potrà
essere considerato in nessun caso come
meramente
attuativo
del
mandato
originario e sarà soggetto a tutti i rimedi
invalidatori e risolutori propri del
contratto: annullabilità per vizi del
consenso, nullità relativa per vizi di
forma.
2. La sua unitarietà non consentirà
interventi parziali degli effetti del
contratto complesso, neppure quando il
rimedio è di natura relativa come nullità
per vizio di forma.
Sia per il collegamento necessario tra
le operazioni sia per il rispetto del
principio risarcitorio puro (allorché il
contratto strutturato consente l'acquisto
di titoli a prezzo inferiore rispetto a
quello di mercato) si dimostra necessaria,
invece, una declaratoria di nullità che si
estende all'ordine complessivo, anche
quando la domanda di nullità è ristretta
all'operazione in derivati. Il carattere
unilaterale del collegamento esistente tra
contratto quadro ed ordine, non va,
invece, dichiarata la nullità anche del
contratto quadro.
3. La componente di finanziamento
determina la necessità di applicare
congiuntamente anche le norme sulla
trasparenza bancaria previste dal t.u.b.,
espressamente
estese
anche
agli
intermediari finanziari (cfr. artt. 115 e
121 t.u.b.): non si vede del resto perché
si debbano escludere gli strumenti di
tutela specifici per contratti che vedono
una
loro
componente
del
tutto
corrispondente ai classici contratti
bancari (si pensi alla trasparenza
contrattuale sui tassi di interesse e sul
TAEG in caso di credito al consumo che,
ad esempio, non a caso non si applicano
quando il contratto non prevede interessi
soluzione analoga a quella dei tribunali
pugliesi per la decisione dei casi dei «BTP
del Salento», ha sostenuto che il
contratto è nullo per indeterminatezza ed
indeterminabilità dell'oggetto perché si
limita a descrivere le caratteristiche
generiche dei titoli da acquistare, senza
indicarne la scadenza, il tasso di interesse
e non contiene in allegato il prospetto
informativo dell'offerta al pubblico delle
quote di fondi comuni, né del prestito
obbligazionario
zero
coupon.
Va
precisato, tuttavia, come emerge dalla
motivazione che tale conclusione è stata
indotta dalla mancata produzione in
giudizio del prospetto informativo relativo
alla sottoscrizione delle quote di fondi
comuni di investimento mobiliare, e del
regolamento per l'emissione del prestito
obbligazionario zero coupon.
7.5.1. Deve essere indicato il TAEG?
La giurisprudenza ha individuato, per i
contratti in materia di credito al consumo
(art. 121 t.u.b.), ovvero quelli nei quali il
cliente ha agito per scopi estranei alla
propria attività professionale, un'ulteriore
causa di nullità dei contratti strutturati in
precedenza analizzati, consistente nel
difetto di indicazione per iscritto del tasso
annuo effettivo globale (TAEG) del
finanziamento concesso al cliente.
Il testo contrattuale indica, infatti,
solo il tasso annuo nominale (TAN),
mentre il TAEG include anche gli oneri
ulteriori aggiuntivi rispetto al solo tasso
nominale, violando l'art. 124 del d.lg. 1
settembre 1993, n. 385 (Trib. Benevento
30 ottobre 2007, in dejure.giuffre.it).
La nullità prevista dal TUB non
comporta però la nullità dell'intero
contratto, ma solo della clausola relativa
agli interessi passivi; l'art. 124 comma 5
t.u.b., infatti, prevede la sostituzione
automatica della clausola nulla con il
tasso nominale dei BOT o di titoli similari.
7.6.
Le conseguenze dei vizi di
forma e di contenuto dei contratti
relativi a prodotti strutturati.
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Quando, però la forma assume una
funzione informativa, con un contenuto
minimo predeterminato, il rapporto tra i
due vizi è più complesso: il difetto dei
contenuti
indicati,
anche
relativi
all'oggetto, integra sia un difetto di forma
(si pensi, ad esempio al contenuto minimo
del contratto quadro che, in caso di
omissione certamente determina una
nullità ex art. 23 t.u.f. e non ex art. 1346
c.c., sia un vizio del contenuto dell'atto,
in quanto il programma contrattuale è
generico; la prima però è nullità relativa
e la seconda è nullità assoluta.)
Teoricamente le due nullità sono
cumulabili,
ma
la
prospettiva
di
protezione dell'investitore e la specialità
della norma porterebbero a ritenere
applicabile solo il rimedio relativo. Il
risparmiatore, altrimenti, si troverebbe
esposto alla più pericolosa nullità
assoluta. Si pensi, poi al paradosso della
nullità relativa del contratto verbale ed
alla nullità assoluta del contratto scritto
deficitario.
Per risolvere il problema bisogna prima
considerare che se il contratto è a forma
libera, in caso di redazione di un testo
contrattuale scritto, ma lacunoso non è
configurabile
la
nullità
per
indeterminatezza dell'oggetto, perché
l'accordo è completo (salvo il problema
dei limiti di prova patti anteriori o
contemporanei).
Orbene, se consideriamo che la nullità
per vizio di forma nel contratto di
investimento in prodotti strutturati può
essere fatta valere solo dal cliente, sono
possibili le seguenti ipotesi:
- il cliente può agire per la nullità
relativa del contratto per vizio di forma.
Trattandosi di un prodotto strutturato che
esula dal mero ordine e che al tempo
stesso prevede anche un finanziamento,
devono essere rispettati congiuntamente
gli obblighi di forma previsti dal t.u.b. e
di stipula di un contratto quadro (salvo
che il contratto noi rispetti tutti i requisiti
di contenuto minimo del contratto
o altri oneri analoghi), fermo restando
che trovano poi applicazione i rimedi
specificamente previsti (es. per l'omessa
indicazione di interessi o del TAEG si
applicheranno i tassi previsti dagli artt.
117 comma 7 e 124 comma 5 per l'omessa
indicazione della durata del prestito varrà
il termine di trenta mesi, per l'omessa
indicazione delle garanzie, nessuna
garanzia sarà validamente costituita art.
125 comma 5).
4. Per ciò che concerne le eventuali
carenze formali dei contratti, bisogna
preliminarmente esaminare il rapporto tra
nullità del contratto per indeterminatezza
del'oggetto e nullità per vizio di forma.
La distinzione astratta tra nullità per
mancanza della forma e nullità per
indeterminatezza dell'oggetto sul piano
logico è agevole: nel primo caso l'accordo
è completo, ma non è rispettata la
modalità esteriore di perfezionamento del
negozio; nel secondo caso, anche se i
requisiti formali sono rispettati, è
l'accordo
stesso
intrinsecamente
deficitario, perché le due volontà si sono
appuntate su un quid eccessivamente
generico e non è neppure determinabile
in base ad «elementi prestabiliti dalle
parti, che possono consistere anche nel
riferimento a dati di fatto esistenti e
sicuramente accertabili» ed il programma
contrattuale, quindi, è concretamente
impraticabile (cfr. Cass., sez. II, 29 marzo
2006, n. 7279, Rv. 587607; Cass., sez. II,
30 dicembre 1997, n. 13098, Rv. 511249).
Nel caso della forma vincolata
tradizionale è facile operare una
distinzione funzionale tra le due ipotesi di
nullità: la prima è essenzialmente legata
alla
funzione
di
avvertimento
dell'importanza dell'atto ed a assicurare la
paternità della sottoscrizione, per cui il
requisito è sostanzialmente integrato dai
requisiti minimi dell'atto pubblico o della
scrittura privata. Se il testo contrattuale
è lacunoso nel descrivere a prestazioni il
contratto non è nullo per difetto di forma,
ma per indeterminatezza dell'oggetto.
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___________________________________________________________________________________________________________
l'espresso riferimento alla sottoscrizione
dell'art.
25
del
previgente
reg.
intermediari (Trib. Isernia, 21 ottobre
2009, in www.il caso.it, doc. 2003/201).
Il punctum dolens, tuttavia, non è
stato l'accertamento del luogo di
conclusione
del
contratto,
ma
dell'applicabilità a tali contratti delle
norme in materia di offerte a distanza di
servizi finanziari ed, in particolare, delle
regole relative allo ius poenitendi:
l'indicazione del diritto di recesso nel
contratto, la sospensione dell'efficacia del
contratto per sette giorni data di
sottoscrizione da parte dell'investitore; la
mancanza di spese o di corrispettivi (art.
30 comma 6 t.u.f.).
Vi è un notevole dibattito nella
giurisprudenza
e
nella
dottrina
sull'applicabilità dell'art. 30 a questi
contratti strutturati, perché non è chiara
la portata applicativa di tale norma. L'art.
30, infatti, definisce le offerte a distanza
come la promozione e il collocamento
presso il pubblico, in luogo diverso dalla
sede
legale
e
dalla
dipendenza
dell'intermediario, di strumenti finanziari
e di servizi e attività di investimento. I
commi 6 e 7 t.u.f. regolano testualmente
lo ius poenitendi per i «contratti di
collocamento di strumenti finanziari o di
gestione di portafogli individuali conclusi
fuori sede».
Secondo un primo indirizzo, il
collocamento va inteso in senso ampio,
per diversi motivi: 1) per coerenza con la
finalità di tutela del consumatore propria
della Direttiva 857577/CEE e successive;
2) per la previsione della promozione e
collocamento
anche
si
servizi
di
investimento, oltre che di strumenti
finanziari; 3) per evitare un'ingiustificata
disparità di trattamento tra le diverse
ipotesi di offerta fuori sede; 4) perché
l'art. 36 Regolamento Consob sugli
intermediari (n. 11522 del 1998, ora
sostituito dal Reg. n. 16190 del 2007),
prevede genericamente per tutte le
offerte fuori sede - e non solo per la
quadro), per cui verranno elisi gli effetti
del contratto con obblighi restitutori del
capitale investito;
il
cliente
potrebbe
agire
alternativamente per indeterminatezza
dell'oggetto in quanto, pur avendo
stipulato il contratto quadro ed un
successivo
testo
contrattuale,
quest'ultimo non contiene una descrizione
di tutte le condizioni contrattuali
rilevanti, ed anche in questo caso
verranno elisi gli effetti del contratto;
- la banca non può agire per ottenere
la nullità del contratto ex art. 1346 c.c.
perché, nella sua prospettiva, non
potendo dolersi delle lacune formali del
testo
contrattuale
(difetto
di
legittimazione alla azione di nullità di
protezione), l'oggetto del contratto, può
ben essere determinato aliunde in base ad
altri elementi quando il cliente non va
valere il vizio di forma;
- la nullità per indeterminatezza ed
indeterminabilità
dell'oggetto
potrà
essere fatta valere dalla banca solo nel
caso in cui riesca a dimostrare che
l'accordo delle parti di è perfezionato su
un'operazione
non
esattamente
determinata né determinabile in base agli
accordi delle parti (senza, ad esempio,
prevedere quali titoli o stabilire i criteri
per la loro determinazione).
7.7.
Il
diritto
di
recesso
all'investitore nei contratti My way e
4you.
In numerosi casi i Tribunali hanno
accertato che tali contratti sono stati
offerti fuori sede (es. perché avendo la
banca ha inviato al cliente l'accettazione
della proposta da questi formulata, il
contratto ex art. 1326 c.c. è perfezionato
presso il suo domicilio, Trib. Forlì 4 marzo
2006, in Merito, 2007, 34).
Si è però sottolineato che non basta
che le trattative si svolgano fuori sede,
ma che è necessario che la stipula
avvenga al di fuori dei locali commerciali
dell'intermediario, non potendosi superare
100
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promozione ed il collocamento - che i
promotori
finanziari
illustrino
agli
investitori la facoltà prevista dall'art. 30
comma 6 t.u.; 5) infine perché, l'art. 61
comma 3 del regolamento ricomprende
nel servizio di collocamento anche
l'attività di offerta fuori sede di strumenti
finanziari (Trib. Milano 4 aprile 2007;
Trib. Mantova 10 dicembre 2004, in
Contr., 2005, 604; Trib. Forlì 13 gennaio
2009, in www.ilcaso.it; Trib. Firenze 11
marzo 2008, in Contratti, 2009, 159, v.
CARUSO, 2411 ss.; Trib. Parma 17 gennaio
2006, in www.giuraemilia.it, 2006; Trib.
Pescara 9 maggio 2006, in www.ilcaso.it,
doc. 316/2006; Trib. Roma 20 luglio 2006,
in www.ilcaso, doc. 426/2006; Trib. Roma
14 settembre 2006, in www.ilcaso.it,
428/2006; Trib. Rimini 28 aprile 2007, in
www.ilcaso.it, doc. 553/2007, Trib.
Benevento 26 ottobre 2005).
La tesi negativa, a sua volta, articola
una pluralità di argomenti: 1) esclude che
il legislatore abbia potuto utilizzare
atecnicamente l'espressione collocamento
includendovi la negoziazione in senso
stretto, ossia l'attività di acquisto o di
vendita titoli e l'attività di ricezione e
trasmissione di ordini di acquisto, vendita
o sottoscrizione; 2) sottolinea che, se il
legislatore avesse voluto intendere per
«contratti di collocamento di strumenti
finanziari» tutti i contratti conclusi fuori
sede come oggetto gli strumenti
finanziari, non avrebbe avuto ragione di
aggiungere, subito dopo, i «contratti di
gestione di portafogli individuali», che si
sarebbe tradotta in una specificazione
inutile; 3) precisa che la negoziazione,
consistente nell'esecuzione «di ordini di
acquisto ricevuti dalla clientela stessa, a
condizioni, quindi, diverse a seconda
dell'acquirente
e
del
momento
dell'operazione»
è
attività
non
assimilabile al collocamento di strumenti
finanziari che, consiste, invece, in un'
attività svolta dal soggetto incaricato
dall'emittente al fine di offrire al pubblico
e di collocare le proprie azioni o
obbligazioni; 4) evidenzia che il recesso è
istituto eccezionale e, quindi, le norme
che lo consentono sono di stretta
interpretazione; 5) osserva che la
negoziazione di ordini deve avvenire in
tempi rapidi e, quindi, a differenza della
gestione di portafogli di investimento, è
ostacolata dal periodo di sospensione
dell'efficacia del contratto; 7) ricorda,
ancora, che la Direttiva 2002/65/CE in
materia di servizi finanziari a distanza
(art. 6, par. 2) esclude l'applicabilità del
diritto di recesso ai servizi finanziari,
diversi dalla gestione di portafogli di
investimento che devono avere attuazione
prima del decorso del termine per il
recesso o il cui prezzo è soggetto ad
oscillazioni del mercato finanziario che
possono aver luogo durante il periodo di
recesso. Tale esclusione, inoltre, essendo
prevista per i consumatori a fortiori
dovrebbe riguardare gli altri investitori
destinatari dell'offerta a distanza prevista
dall'art. 30 t.u.f.; al contrario, la gestione
di portafogli ed il collocamento di
strumenti finanziari (a prezzo fisso)
sarebbero gli unici casi in cui il diritto di
recesso
non
potrebbe
essere
strumentalizzato per trarre vantaggio
dalle immediate fluttuazioni del prezzo
(CARUSO, 2411, che pure conclude per
l'insuperabilità delle espresse previsioni
del regolamento; SANTOSUOSSO, 758, il
quale ricorda che la Consob, nel
prevedere
con
proprie
norme
regolamentari l'obbligo di registrazione
degli ordini telefonici (art. 60 commi 2 e 3
Reg. interm.), ne ha implicitamente
ammesso la legittimità, escludendo,
ovviamente, il diritto di recesso).
Alcuni Tribunali, inoltre, hanno risolto
il problema, in alcuni casi esplicitamente
aggirando
la
dibattuta
questione,
osservando che risulta pacifica l'esistenza
di un collegamento negoziale inscindibile
tra le diverse operazioni sottostanti a tali
contratti; di conseguenza, per il «4 you»
hanno sostenuto la nullità dell'intera
operazione perché il diritto di recesso era
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reputarsi nulla, ai sensi dell'art. 1469-bis
comma 3, n. 5 c.c.(Trib. Brindisi 28
giugno 2005, cit.; conf. Trib. Pescara, 9
maggio 2006, in www.ilcaso.it, doc.
316/2006; Trib. Pavia 10 febbraio 2009, in
www.ilcaso.it, doc. 1760/2009).
Di segno opposto, invece, la decisione
del Tribunale di Torino (sez. I, 8 maggio
2009, cit.), che ha ritenuto infondata la
domanda di nullità delle clausole che
prevedono il corrispettivo per il recesso ai
sensi dell'art. 33 comma 2, lett. e) e g) e
dell'art. 35 cod. consumo: con essa,
infatti, non si pattuirebbe tanto un
corrispettivo o una sanzione per il
recesso, quanto le modalità per la
determinazione della somma che il
mutuatario deve rimborsare al mutuante
in caso di estinzione anticipata del
finanziamento erogato.
7.7.2. Le indicazioni del diritto di
recesso.
Una volta stabilito che il diritto di
recesso spetta all'investitore e può essere
esercitato unitariamente, vanno tratte le
conclusioni riguardo alle modalità di
informazione dell'esistenza di tale diritto.
Quanto al contenuto dell'informativa
sul recesso, la giurisprudenza è rigorosa;
non basta una generica indicazione scritta
del diritto di recesso, ma si è detto che:
a) l'informazione scritta sul diritto di
recesso deve essere indicata in tutti i
contratti collegati e non solo nel
prospetto informativo relativo alle quote
di fondi (Trib. Bari 31 marzo 2009, in
dejure.giuffre.it; Trib. Benevento 30
ottobre 2007, in dejure.giuffre.it., Trib.
Rimini 28 aprile 2007, n. 441, in
www.ilcaso.it, doc. 553/2007; b) deve
essere inserita per espressa previsione
legislativa nei moduli o formulari
costituenti
il
testo
dell'offerta
contrattuale sottoscritta fuori sede
dall'investitore e che, quindi, per cui ogni
altra modalità di informazione (ivi incluso
il prospetto informativo) non soddisfa il
preciso requisito di forma stabilito dalla
legge a pena di nullità; c) che non può
previsto solo per uno dei contratti
collegati (la sottoscrizione dei fondi
comuni di investimento nel caso
esaminato dal Trib. Bari 31 marzo 2009,
massima in questa Rivista, 2009, 1867,
per esteso in dejure.giiuffré.it) nel solo
foglio informativo relativo agli stessi
(Trib. Rovigo, sent. 2 ottobre 2009, in
www.confoconsumatori.com
e
in
www.ilcaso.it, doc. 1847/2009); Trib.
Forlì 4 marzo 2006, in Merito, 2007, 34,
che ha anche precisato che «La nullità che
ne deriva per la mancata indicazione della
facoltà di recesso riconosciuta al cliente,
si estende, in virtù del collegamento
negoziale,
a
tutta
la
fattispecie
contrattuale, ivi compreso il mutuo».
7.7.1. È previsto un corrispettivo per
il diritto di recesso del cliente?
Si è evidenziato che la facoltà
unilaterale di recesso dal piano My way,
comporta
il
pagamento
di
un
corrispettivo, diretto a compensare l'altro
contraente dalla concessione di tale
facoltà a proprio rischio: il cliente non
perde le somme versate, ma le stesse
vengono
computate
ai
fini
della
determinazione della somma residua da
versare per lo scioglimento del rapporto
di
finanziamento
del
quale
il
sottoscrittore ha beneficiato.
Il Tribunale di Brindisi ha analizzato
accuratamente i costi del recesso,
individuando l'obbligo dell'investitore di
corrispondere alla banca, «oltre agli
interessi e gli altri oneri maturati fino
all'esercizio di detta facoltà, un importo
determinato dalla somma delle rate
ancora a scadere, comprensive di capitale
ed interessi, attualizzata al tasso IRS
(Interest Rate Swap) corrispondente al
periodo intercorrente tra la data di
esercizio della facoltà di anticipata
estinzione e la data di naturale scadenza
del finanziamento», concludendo che si
tratta «di una clausola limitativa del
diritto di recesso, non bilanciata da
analoga facoltà concessa al consumatore
per l'ipotesi di recesso della banca», da
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responsabilità contrattuale della banca,
se prospettata dal cliente.
riferirsi alla sola facoltà di recedere dal
fondo, ma deve indicare il termine di
sette giorni e fare riferimento alla
complessiva ed unitaria operazione
finanziaria My Way sottoscritta dall'attore
fuori
la
sede
dell'intermediario
finanziario. (Trib. Benevento 30 ottobre
2007, cit.; Trib. Rovigo, sent. 2
ottobre2009) d) la clausola che regola i
costi di recesso nel «4you», essendo
comprensibile
solo
da
esperti
è
vessatoria, e deve pertanto essere
dichiarata inefficace (Trib. Prato 5 marzo
2009, in www.ilcaso.it, doc. 1769/2009.)
7.8. Polizze linked .
La descrizione delle polizze di tipo
linked può essere affidata alla parte
motiva della sentenza del Tribunale di
Busto Arsizio del 6 novembre 2009, in
dejuregiuffre.it)
<<Il contratto di assicurazione si
caratterizza per "la certezza della
prestazione dell'assicurazione" per quanto
riguarda sia l'an sia il quantum, sul
presupposto che l'assicuratore assume su
di sé tanto il c.d. "rischio demografico",
ossia il rischio attinente alla durata della
vita umana (morte o sopravvivenza
dell'assicurato), quanto i rischi finanziari
correlati
al
contratto,
perché
all'assicurato viene sempre garantita una
determinata prestazione a prescindere dai
risultati
della
gestione
finanziaria,
cosicché
i
rischi
finanziari
degli
investimenti sfuggono dalla portata
conoscitiva dell'assicurato, in quanto la
loro gestione è di stretta competenza
della sola compagnia assicuratrice.
Questo
assetto
di
interessi
è
completamente venuto meno negli ultimi
decenni, quando si è sviluppato il
fenomeno delle c.d. "linked life policies",
contratti tipici dei mercati finanziari
inglesi e nordamericani, che, sebbene
inquadrati nel novero delle assicurazioni
sulla vita, ricomprendono fattispecie
molto diverse da quelle collegate in
passato
ai
"bisogni
previdenziali"
dell'assicurato, potendo non solo mancare
qualsiasi forma di garanzia da parte della
compagnia in ordine alla restituzione del
capitale, ma anche il quantum delle
prestazioni stesse è determinato solo a
posteriori sulla base dei risultati degli
investimenti dei premi.
Da tanto ne consegue che l'intero
rischio dell'investimento dei capitali in
questo secondo tipo di polizze è a carico
dell'assicurato, sicché sul piano finanziario
7.8. La prova testimoniale del
funzionario
che
ha
promosso
l'investimento per l'intermediario.
Parte della giurisprudenza ha rilevato
che vi sia un'incapacità a testimoniare ex
art. 246 c.p.c. perché il funzionario che si
è occupato della promozione sarebbe
corresponsabile del danno e potrebbe
essere citato in giudizio in via alternativa
o solidale (Trib. Genova 22 aprile 2005;
Trib. Genova 12 aprile 2005, in Red.
Giuffrè, 2005; Trib. Napoli, sez. IV, 9
febbraio 2006,). Vi è da dire, però che le
Sezioni Unite hanno affermato che «la
veste
di
dipendenti
o
funzionari
dell'intermediario,
i
quali
hanno
materialmente mantenuto col cliente i
rapporti da cui sono scaturite le pretese
risarcitorie discusse in causa, non basta a
rendere i testi titolari di un interesse che
ne
giustificherebbe
la
personale
partecipazione al giudizio, e quindi non
determina la loro incapacità a deporre
(Cass., sez. un., 19 dicembre 2007, n.
26724, Trib. Firenze 27 novembre 2002, in
Dir.
banc.,
2004,
I,
155).
La
corresponsabilità del funzionario di banca,
però, è ristretta alla domanda di
risarcimento del danno per responsabilità
precontrattuale, non potendo essere
esercitate nei suoi confronti né le
domande di nullità ed annullabilità del
contratto, né le domande fondate su una
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alle polizze assicurative sulla vita
collegate a valori mobiliari), pur tuttavia,
ritiene che nel caso specifico prevalga la
connotazione finanziaria dei contratti
conclusi dallo Speroni, con tutte le
conseguenze che ne derivano anche in
rito.
Dal punto di vista giuridico, difatti, le
index - linked sono delle polizze vita e,
pertanto, sono soggette alla disciplina
giuridica di questo tipo di prodotto (come
l'impignorabilità,
l'insequestrabilità,
particolari vantaggi finanziari, ecc.), ma
l'imprinting è la connotazione finanziaria
delle stesse: mentre le polizze vita
ordinarie si basano su principi di
mutualizzazione dei rischi, le polizze di
cui trattasi si caratterizzano per un
elemento
di
rischio
(l'andamento
dell'indice) che è lo stesso per ogni
polizza, per la rivalutazione del capitale
in base ad indici azionari, titoli guida o
composizioni miste, il che comporta per i
piccoli investitori un collegamento tra la
borsa (investimento ritenuto rischioso
dalla maggior parte dei risparmiatori) e la
banca-assicurazione che rassicura il
piccolo risparmiatore. Certamente non
sono polizze tradizionali, ma contratti
legati a uno strumento finanziario di tipo
speculativo che potrebbe offrire nel
tempo maggiori opportunità di guadagno:
proprio per la peculiarità di offrire
presumibili maggiori rendimenti e, al
contempo, di fornire anche un'ampia
copertura previdenziale per gli anni a
venire hanno ottenuto un grande successo
di pubblico.
Esse, infatti, non nascono in funzione
delle esigenze personali del singolo
cliente, ma sono frutto di una vera e
propria operazione di "emissione" con
versamento di un premio in un'unica
soluzione ovvero secondo un piano di
accumulo.
Due sono gli strumenti di questo tipo
di polizze: le polizze unit linked (ovvero
polizze agganciate a un determinato
fondo di investimento), e le polizze index
si è più vicini ad un fondo comune di
investimento
che
non
ad
una
assicurazione sulla vita.
Le polizze sulla vita, pertanto, si sono
evolute, passando attraverso le polizze
cd. rivalutabili, in polizze indicizzate
(index, sia linked sia unit,...) al fine di
cercare di riuscire a trarre un maggior
rendimento dagli investimenti effettuati:
di fatto, si può dire che le index - linked
sono un prodotto intermedio tra
l'investimento in borsa e la tradizionale
polizza vita, attesa la particolare natura
del prodotto, la durata, l'importo e anche
l'entità dei premi minimi, che sono
mediamente più elevati rispetto ad un
prodotto prevalentemente assicurativo.
Nella
pratica,
solitamente
la
compagnia di assicurazione si avvale di un
grosso
investitore
finanziario
professionale (che deve avere dei prerequisiti stabiliti dall'ISVAP, istituto che
peraltro ha ampiamente regolamentato
dette polizze con varie circolari), in grado
di procurare i fondi necessari per
finanziare il prodotto ovvero di "costruire
il prodotto": gli attivi messi a garanzia
dell'operazione
finanziaria
sono
rappresentati
da
obbligazioni
e
precisamente da titoli di puro sconto
(zero coupon bond).
L'istituto finanziario (banca, sim o
istituto assicurativo), nel proporre al
cliente l'assicurazione "index linked"
(legata all'indice- polizza indicizzata), gli
rappresenta la possibilità di diversificare
rischi nel breve/medio termine, nel senso
che il valore del capitale assicurato
dipende dall'andamento del valore di un
indice azionario (o vari indici o ad un
paniere azionario o altri valori di
riferimento), ed è suscettibile di ampie
oscillazioni (positive e negative) nel
periodo di riferimento.
Orbene, se pur il Collegio ben conosce
l'ultimo orientamento del Supremo
Collegio (cfr. Cass. S.U. 31.3.2008, n.
8671, in Foro it., 2008, I, 1434 che
riconosce una connotazione pensionistica
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insolevenza dell’emittente costituisce una
clsusola di tipo vessatorio: <<Sono nulle le
clausole di una polizza "index linked", con
cui si pone a carico del cliente il rischio
dell'inadempimento
o
dell'insolvenza
dell'ente che ha emesso i titoli collegati
alla polizza medesima, sia per il loro
carattere di vessatorietà, sia perché non
approvate specificatamente per iscritto;
ne
consegue
che
la
compagnia
assicuratrice è tenuta a corrispondere al
cliente il capitale minimo garantito
previsto nel contratto, oltre agli interessi
legali e alla rivalutazione monetaria a far
tempo dalla scadenza della polizza.>>
(Tribunale Milano, 12 febbraio 2010, Foro
it. 2010, 5, 1626 ).
linked (polizze legate invece ad un
particolare indice di borsa o a un paniere
di titoli azionari).
Nella pratica si può dire che "le polizze
unit linked sono un modo indiretto di
comprare fondi comuni di investimento":
infatti, i premi versati dall'assicurato,
invece di essere investiti in titoli di Stato
e altre obbligazioni a tasso fisso, vengono
investiti in fondi, sicché il rendimento
della polizza è strettamente legato alla
rivalutazione del fondo prescelto.
Le polizze index linked, invece, sono
polizze vita, i cui rendimenti sono
ancorati a particolari indici di borsa o a
particolari panieri di titoli azionari, di tal
che
i
rendimenti
delle
polizze
beneficeranno, o meno, dell'aumento o
del decremento di valore dell'indice o del
paniere di azioni. Le index linked si
caratterizzano, pertanto, per essere una
specie di investimento intermedio tra
l'acquisto di azioni in borsa e la
tradizionale polizza vita: così consentono
di diversificare il portafoglio titoli e
presentano una componente previdenziale
ridotta, ma non inesistente, utilizzabile
anche per costruirsi una pensione
complementare, con la speranza di poter
ottenere capitali superiori a quelli
conseguibili
con
le
mere polizze
rivalutabili.
Questo Tribunale, pertanto, ritiene
che le polizze vita indicizzate del tipo
Index
Linked
si
concretizzino
prevalentemente per la componente
propria degli investimenti finanziari, di tal
che le stesse sono soggette al rito
societario di cui all'art. 1 lett. d) D. Lgs.
17.1.03 n.5.>> (per la natura finanziaria
anche Tribunale Firenze sez. III, 06
novembre 2007, in dejure.giuffre.it).
7.8.2. Buona fede nelle trattative e
nell’esecuzione del contratto.
La medesima pronuncia ha anche
censurato
il
comportamento
della
compagnia assicurativa prima e durante
l’esecuzione del contratto, considerando
contrarie alla buona fede le condotte
della compagnia assicuratrice che, nella
stipulazione e nell'esecuzione di una
polizza
"index
linked":
1)
abbia
consegnato le condizioni di polizza solo
dopo l'accettazione della proposta; 2) non
abbia reso edotto il cliente della
connotazione finanziaria dei prodotto che
stava acquistando e da rischi che così si
assumeva; 3) si sia rifiutato di
corrispondergli il minimo garantito; il
cliente ha diritto al risarcimento del
danno patrimoniale (consistente nella
ritardata
disponibilità
dell'importo
costituito dal capitale minimo garantito) e
non patrimoniale (consistente nella
frustrazione che il rifiuto dell'assicuratore
gli ha procurato, nonché nell'ansia e
apprensione per il suo futuro e quello dei
suoi cari e nello stato di angoscia e rabbia
derivante dall'illecita sottrazione di una
somma ingente che ritenevo invece di
aver posto in sicurezza).(Tribunale
Milano,
12
febbraio
2010,
Foro
it. 2010, 5, 1626 ).
7.8.1. Vessatorietà della clausola di
devoluzione del cliente del rischio di
insolvenza dell’emittente.
La validità di tali polizze è stata messa
in discussione, osservandosi che il
trasferimento sul cliente del rischio
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7.8.3. Violazione degli obblighi
informativi.
Il Tribunale Firenze sez. III del 6
novembre 2007 ha anche affermato che la
sostituzione di un polizza con capitale
garantito con una di tipo linked con
rischio di perdita del capitale investititi
può
rappresentare
un’operazione
inadeguata, ricordando che l’art. 29 del
reg. intermediari n. 11522 del 1998
richiede
l’obbligo
di
astensione
dall’effettuare
l’operazione,
l’informazione
al
cliente
e
l’autorizzazione specifica per iscritto. Di
analogo contenuto anche la precedente
decisione del Tribunale Trani del 30
aprile 2008, n. 529 (dejure.giuffre.it) che
applica i principi della know your product
rule
prevista dall’art. 26 del re.
Intermediari n. 11522 del 1998 e della
know your customer rule contemplata dal
citato art. 29 (184).
7.8.4. Diritti dei consumatori.
Il Tribunale Milano, con ordinanza del 21
dicembre 2009 in (Foro it. 2010, 5, 1627
s.) è intervenuto su una domanda
inibitoria
di
una
associazione
di
prodotto, sicché il cliente sia messo nella
condizio-ne di effettuare scelte consapevoli e
solo successivamente "può" con-sigliare e, sulla
base delle disposizioni impartitegli da un
cliente edotto, ef-fettuare l'operazione.
Sul punto si sottolinea che l'obbligo informativo
non è soddi-sfatto dalla consegna del
documento sui rischi generali degli investimenti
in strumenti finanziari, previsto dall'art. 28
comma I lett. b Reg. Consob, poiché tale
documento, che pure rientra tra quanto va dato
al cliente, è solo finalizzato ad una conoscenza
generica della tipologia degli strumenti
finanziari, senza tuttavia alcuna attinenza con
quella informazione specifica su un determinato
strumento, possibile oggetto di negoziazione.
Ulteriore dovere informativo sancito dall'art.27
Reg. Consob è quello relativo all'ipotesi di
esistenza di un interesse in conflitto, diretto o
indiretto -derivante anche da rapporti di
gruppo- nell'effettuazione dell'operazione con o
per conto della propria clientela: in tal caso,
infatti, l'operazione è vietata, salvo preventiva
informazione scritta e consenso espresso
preventivamente dal cliente per iscritto o su
nastro registrato.
Acquisiti gli elementi utili in ordine alle
caratteristiche
del
prodotto
incombe
sull'intermediario, quindi, a norma dell'art. 29
Reg. Consob n. 11522/1998, l'onere di verificare
gli obiettivi e le finalità dell'investimento,
assumendo a tal fine informazioni dal cliente,
onde poter compiutamente esprimere una
valutazione sull'adeguatezza dell'operazione per
tipologia, oggetto, frequenza e dimensione,
ovvero se la stessa sia com-patibile con le
esigenze
e
le
capacità
economiche
dell'investitore, a-dottando una procedura di
cautela in caso di ritenuta inadeguatezza
dell'ope-razione.
In tal caso, infatti, spetta all'intermediario
acquisire ai sensi dell'art.29 comma II Reg.
Consob n.11522/1998 un ordine scritto specificamente impartito dal cliente informato
dell'inadeguatezza per eseguire l'operazione.
(184) <<gli obblighi informativi gravanti
sull'intermediario sono innanzitutto quelli di
acquisire ogni notizia ed ele-mento utile a
comprendere le caratteristiche dello strumento
finanziario da trattare (art. 26 lett. e Reg.
Consob). È necessario cioè che, prima ancora di
fornire informazioni al cliente, sia lo stesso
intermediario a verificare compiutamente le
qualità generali del prodotto. Trattasi del primo
essenziale dovere dell'operatore finanziario,
che nello svolgere una funzione così rilevante
nel mercato finanziario "deve" essere in grado
di valutare il prodotto stesso, comprendendone
caratteristiche oggettive e so-lidità rispetto al
suo emittente, presupposto per valutare a sua
volta l'adeguatezza rispetto alle esigenze del
cliente-investitore. Sempre nell'alveo della
ricezione delle informazioni l'intermediario, ai
sensi dell'art.28 Reg. Consob, ha l'obbligo di
acquisire dal cliente notizie sulla sua
esperienza in materia di investimenti in
strumenti finanziari, sulla sua situazione
finanziaria, sugli obiettivi d'investimento, sulla
propensione al rischio. Infine, acquisite le
notizie
sul
prodotto
e
sul
soggetto
(naturalmente
ciò
nella
complessa
organizzazione di cui dispone), "deve" fornire al
potenziale investitore adeguate informazioni
sulle caratteristiche, natura e rischi del singolo
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Unite 2008/8271), ha escluso, però,
l’impignorabilità delle polizze linked per
diversi motivi:
• perchè si tratta di <<prodotti
finanziari a tutti gli effetti che possono
essere riscattati in qualsiasi momento e
nulla
garantiscono
per
l'assicurato
nemmeno il rientro del valore investito il
quale, contrariamente a quanto si verifica
per le polizze vita "vere" viene
assoggettato proprio a quel rischio che,
secondo il codificatore, le polizze vita si
prefiggono di ovviare">>,
• vi è un versamento unico (…)
certamente non volto, almeno in via
principale, a soddisfare bisogni di natura
previdenziale principalmente "legati ai
bisogni dell'età post lavorativa o derivante
dall'evento morte di colui che percepisce
reddito dei quali anche altri si avvalga",
• i prodotti prevedono una redditività
esclusivamente legata a fenomeni di tipo
finanziario e che la loro redditività può
anche mancare in caso di negatività dei
riferimenti finanziari: <<ciò che appare
chiaramente
incompatibile
con
"lo
strumento, (che in ragione appunto della
sua funzione previdenziale il divieto sub
art. 1923 cod. civ. è volto a presidiare)
della assicurazione sulla vita, quale forma
di assicurazione privata (pur nelle possibili
sue
varie
modulazioni
negoziali)
maggiormente affine agli istituti di
previdenza elaborati dalle assicurazioni
sociali">>;
• <<che
può
quindi
ritenersi
dall'esame dei prodotti in esame che essi
assolvano più a funzioni di investimento
finanziario di capitali che alla funzione di
una tutela previdenziale (che, proprio per
le sue finalità, deve porsi come obiettivo
minimo almeno quello della conservazione
integrale del capitale)>>.
In precedenza la giurisprudenza (185)
aveva in senso contrario affermato che
<<nelle polizze sulla vita indicizzate (c.d.
consumatori formulata ai sensi dell’art.
140 del Codice del consumo (d.lgs. n. 206
del 2005) volta a rimediare alle
comunicazioni
della
compagnia
assicuratrice che, in relazione a polizze
index linked di prossima scadenza
collegate ad obbligazioni della Lheman
Borthers, aveva inviato comunicazioni alla
clientela indicando in termini certi che,
per effetto del fallimento della soc.
Lheman essi non avevano un diritto
contrattuale nascente dalla polizza alla
restituzione del capitale garantito, con
probabili perdite rilevante e che avevano
anche invitando la stessa ad aderire a
proposte transattive.
Ritenuta la violazione dei principi di
buona fede, correttezza e lealtà previsti
dall’art. 2, comma 2 cod. consumo, dai
doversi di solidarietà costituzionale ex
art. 2 Cost. e 1375 c.c., ha condannato ad
un messaggio di rettifica contenente la
valutazione del Tribunale delle missive
ed, in termini di probabilità, degli
effettivi diritti restitutori della clientela,
individuando giusti motivi d'urgenza (art.
140, comma 8 cod. cons.) per la
concessione di misure cautelari nel fatto
che il tempo occorrente all'associazione
rappresentativa dei consumatori per agire
in via ordinaria potrebbe comportare
l'adozione di una pronuncia non più
efficace, sia per il rischio di prescrizione
delle azioni individuali sia perché
un’informazione a rettifica effettuata a
distanza di tempo non riuscirebbe nello
scopo di assicurare una informazione
efficace nella fase di conclusione dei
contratti sostitutivi.
7.8.5. Pignorabilità delle polizze
linked.
Il Tribunale Parma sez. I del 10
agosto 2010, n. 1107 nel fare applicazione
dell’art. 1923 cod. civ., ovvero
del
divieto di pignoramento e di sequestro
dellepolizze vita, per la funzione
previdenziale riconoscibile al contratto di
assicurazione sulla vita (cfr. Cass. Sez.
(185) Il Tribunale Bologna, con decisione del 12
gennaio 2001, Assicurazioni, 2002, II, 164 (nota
di: ROSSETTI).
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Incontro di studio in materia civile riservato ai magistrati nominati con D.M. 2/10/2009.
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"linked"), la finalità di risparmio non vale
a snaturare il contratto di assicurazione,
se la prestazione dell'assicuratore resta
comunque ancorata ad un evento
attinente la vita umana. Ne consegue che
l'indennità dovuta al beneficiario, in
esecuzione di un contratto di questo tipo,
non può essere sottoposta a sequestro
conservativo, ex art. 1923, comma 1, c.c.
,>>, pur precisando che <<attraverso
l'esercizio del diritto di riscatto da parte
dello stipulante viene realizzato uno
scopo di risparmio, e non di previdenza.>>
(186)
(186) La non sequestrabilità dell’indennità
spettante al beneficiario in caso di morte,
quindi, deriva dal mancato esercizio di tale
diritto di riscatto in vita.
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PARTE SECONDA
strumenti derivati l’art. 23, comma 5 del
t.u.f. in tema di contratti prevede che non si
applica l'articolo 1933 del codice civile sulla
mancanza di azione per il debito derivante d
giuoco o scommessa (189).
L'interest Rate Swap (190)è lo swap più
diffuso(191). Con questo contratto le parti si
scambiano, per un periodo di tempo
predefinito al momento della stipula,
pagamenti calcolati sulla base di tassi di
interesse differenti (Euribor o Libor) 192,
SEZIONE SECONDA
2. GLI SWAPS.
SOMMARIO. 1. GLI SWAP. 2. OBBLIGHI DI
INFORMAZIONE LEGATI AGLI STRUMENTI DERIVATI. 2.1.
GLI OBBLIGHI PREVISTI DAL REGOLAMENTO
INTERMEDIARI N. 11522./98. 2.2. GLI OBBLIGHI DI
INFORMAZIONE COLLEGATI AI DERIVATI DOPO LA MIFID.
2.3. CLASSIFICAZIONE DEL CLIENTE ED ESONERO DA
OBBLIGHI INFORMATIVI: OPERATORI E CONTROPARTI
<<QUALIFICATE>>.2.3.1.L’OPERATORE QUALIFICATO
PRIMA DELLA MIFID. 2.3.2. CLIENTI AL DETTAGLIO,
CLIENTI PROFESSIONALI, CONTROPARTE QUALIFICATA
NELLA
MIFID.
2.3.2.1.
MODIFICA DELLA
CLASSIFICAZIONE. 2.4.L’OBBLIGO DI INFORMAZIONE
SULL’ANDAMENTO DEL DERIVATO. 3. MERITEVOLEZZA
4. SWAP E
DELLO
SCOPO
PERSEGUITO.
RISTRUTTURAZIONE DEL DEBITO PUBBLICO DEGLI ENTI
LOCALI. 5. PROVVEDIMENTI CAUTELARI IN MATERIA
DI DERIVATI.
(189) “Nell'ambito della prestazione dei servizi e
attività di investimento, agli strumenti
finanziari derivati nonché a quelli analoghi
individuati ai sensi dell'articolo 18, comma 5,
lettera a), Comma così modificato dall’art. 4
del d.lgs. n. 164 del 17.9.2007.>>>
(190)
Altri swap sono il Coupon swap,
contratto con il quale due parti si scambiano un
flusso di interessi a tasso fisso ed uno a tasso
variabile nella solita valuta (floating-to-fixed
swap); il Basis swap, contratto con il quale
due parti si scambiano flussi di interessi
entrambi a tasso variabile nella solita valuta
(floating-to-floating swap); il Cross-currency
interest rate swap, contratto con il quale due
parti si scambiano due flussi di interessi
denominati in due diverse valute (fixed-to-fixed
swap).
Gli elementi del contratto IRS: - capitale
Nozionale (E' il capitale sul quale vengono fatti i
calcoli del contratto) , data stipula del
contratto, data di inizio che può differire dalla
data di stipula, - data di scadenza , - data di
pagamento dei flussi,
- il parametro di
indicizzazione, - 'accordo delle parti: la parte
che paga il fisso (nell'esempio sotto l'azienda) e
la parte che paga il variabile (nell'esempio sotto
la banca). Se TV>TF allora è la banca che paga
il differenziale alla azienda; Se TV<TF allora è
l'impresa che paga il differenziale alla banca.
(191) La scelta di esaminare più analiticamente
gli IRS nasce dal fatto che i derivati su tasso di
interesse sono la tipologia più diffusa (84,2% a
giugno 2008) , rispetto alle altre due tipologie
(+15,5% per i derivati su cambi e +16,6% per i
derivati su azioni e merci) è leggermente più
contenuta. Gli IRS rappresentano, in termini di
valore nozionale, circa il 73% (pari al 57% di
tutti i derivati posti in essere in Italia
(192) EURIBOR (Euro Interbank Offered Rate):
il tasso interbancario lettera per i depositi in
1. GLI SWAPS.
Prima di analizzare
i profili di
contenzioso più interessanti in materia di
swap, è opportuno fornire alcune ulteriori
indicazioni sulla natura di questi derivati per
l’importanza assunta nel quadro finanziario
generale Basti considerare che il volume
degli swaps sul mercato mondiale ha assunto
dimensioni notevolissime, raggiungendo, nel
2004, di 7,3 volte il volume del P.I.L. dei
principali paesi (187).
Gli swaps sono previsti dal testo unico
della finanza tra gli strumenti finanziari
derivati (188). Ricordiamo che per tutti gli
(187) MARCELLI, I derivati: impiego a copertura e
impiego speculativo. Strumenti di tutela del
diritto, in Banche, consumatori e tutela del
risparmio, a cura di Ambrosini e demarchi,
Milano, 2009, p. 275 ss.
(188) Art. 1, comma 2 t.u.f. che li elenca tra gli
altri strumenti finanziari) e dal comma 3 che
indica
quali
degli strumenti
finanziari
rappresentano strumenti derivati.
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definiti come trassi parametro e predefiniti,
applicati ad un capitale nozionale. I due
flussi sono definiti come gambe dello swap.
L’ acquirente dello swap si obbliga a
pagamenti a tasso fisso ed il venditore a
quelli a tasso variabile: il primo ha
un’aspettativa di rialzo ed assume una
posizione lunga (long swap position ed il
secondo un’aspettativa di ribasso ed assume
una posizione corta (short swap position).
Il tasso swap è il tasso che rende neutro
lo scambio. Se, come accade, i tassi di
riferimento variano nel tempo, determinano
la creazione di un differenziale positivo o
negativo per il cliente.
La copertura del rischio può riguardare le
passività dell’impresa (liability swap) (193).
Un’impresa può essere interessata ad un
contratto IRS per eliminare l'incertezza di un
debito contratto a tassi variabili (operazione
di copertura): preferisce avere la certezza di
quanto dovrà pagare per motivi di politica
aziendale ovvero perché ipotizza un rialzo
dei
tassi.
La
banca
lucra
sull’intermediazione del prodotto derivato,
mentre chi ha la posizione corta guadagnerà
un dIfferenziale in caso di discesa dei
tassi.(194) La copertura del rischio può
riguardare anche le attività, ovvero le
oscillazioni finanziarie che riguardano le
entrate (asset swap).(195)
Il contratto di Interest Rate Swap può
essere utilizzato anche con diverse finalità
speculative. Gli investitori istituzionali come
gli Hedge Fund ricorrono agli swap quando
hanno determinate attese sui tassi di
interesse. (196)
Gli swap, si è accennato, vengono
venduti fuori dei mercati regolamentati
(Over the Counter), come circuiti telematici
riservati a dealer con alto livello di rating.
Gli intermediari spesso mettono in
relazione le due società che hanno entrambe
esigenze di cautelarsi dalle variazioni dei
tassi, percependo uno spread, un margine di
intermediazione che remunera il servizio e
compensa il rischio di default che viene
assunto dall’intermediario.
Finanziari, proprio per il rischio che queste
strumenti finanziari possono creare sulla
solidità della azienda che stipula questo
contratto.
(195) E’ il contratto utilizzato per modificare la
natura fissa o variabile della remunerazione di
attività finanziarie, neutralizzando il rischio
della riduzione dei tassi attivi Un contratto di
Interest Rate Swap, se il soggetto ha dei debiti
a tasso variabile ed assume una posizione lunga
ha la caratteristica di copertura contro il rischio
di aumento del tasso di interesse sul mercato.
Infatti l'acquirente paga un fisso e riceve un
tasso variabile sul capitale nozionale di stipula,
l'acquirente andrà perciò a guadagnare in una
situazione di tassi in risalita e quanto riceve
come differenziale a suo favore gli consente di
neutralizzare quanto deve a tasso variabile. Si
tutela perciò dal rischio di oscillazioni dei tassi,
stabilendo fin da subito quale tasso andrà a
pagare per la durata del contratto swap
(hedging).
Euro, rilevato alle ore 11.00 a.m. (ora di
Bruxelles) e pubblicato sulla Reuters (o altra
similare rete telematica).
LIBOR (London Interbank Offered Rate): il tasso
di interesse rilevato dalla British Bankers’
Association (BBA) alle ore 11.00 a.m. (ora di
Londra) e pubblicato attualmente sulla pagina
LIBOR01 e seguenti della Reuters, ovvero in
similari
reti
telematiche
eventualmente
indicate dalla stessa BBA (da clausole
contrattuali bancarie).
(193) Al fine di modificare la natura fissa o
variabile dell'onere di passività finanziarie,
neutralizzando il rischio di innalzamento dei
tassi di interessi passivi applicati su operazioni
finanziarie.
(194) Da notare che i contratti di Interest Rate
Swap sono segnalati da parte della Banca
proponente nei confronti della azienda
stipulante alla Centrale Rischi. Quindi vanno ad
appesantire la posizione debitoria della azienda
che lo stipula. Vengono segnalati in un’
apposita
sezione
denominata
Derivati
(196) Ad esempio, in caso di previsione della
riduzione dei tassi potrebbe vendere un
contratto di Interest Rate Swap, assumendo
quindi una posizione Short, pagando il tasso
variabile
e
ricevendo
il
tasso
fisso,
avvantaggiandosi quindi da uno scenario di tassi
in discesa.
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Si distinguono, tra le altre, tre tipologie
di IRS:
(1) I plain vanilla swap, detti anche
coupon swap o generic swap, rappresentano
il modello base di swap. Sono contratti in cui
la parti si impegnano a scambiarsi
reciprocamente flussi di interessi, di cui uno
calcolato sulla base di in tasso fisso (fixed
rate payer) ed uno a tasso variabile (floating
rate payer).
Un contratto plain vanilla può essere
par o non par. I contratti par sono
strutturati in modo tale che le prestazioni
delle due controparti sono agganciate al
livello dei tassi di interesse corrente al
momento della stipula del contratto; a tale
data il contratto ha quindi un valore di
mercato nullo per entrambe le controparti. I
contratti non par, invece, presentano al
momento della stipula un valore di mercato
negativo per una delle due controparti,
poiché uno dei due flussi di pagamento non
riflette il livello dei tassi di mercato. In
generale, i termini finanziari della
transazione vengono riequilibrati attraverso
il pagamento di una somma di denaro alla
controparte che accetta condizioni più
penalizzanti pur di incassare la somma di
denaro; tale pagamento, che dovrebbe
essere pari al valore di mercato negativo del
contratto, prende il nome di up front. (197)
(2) I basis swap, in cui entrambi i flussi di
cassa sono calcolati sulla base di un tasso
variabile (floating-for-floating);
(3) I cross currency interest rate swap (o
CCIRS), in cui i contraenti si scambiano
periodicamente flussi monetari in diversa
valuta calcolati con diversi tassi di interesse
(fisso contro fisso, variabile contro fisso,
fisso contro variabile). I CCIRS sono degli IRS
e non dei CS in quanto i capitali sono dei
nozionali e non sono oggetto di scambio tra
le parti.
I contratti di interest rate swap possono
presentare clausole aggiuntive che li
rendono molto più complessi rispetto a
quelli plain vanilla (e vengono denominati
solitamente "esotici"); in tali casi la
determinazione dei flussi di cassa dipende
da condizioni che si potranno verificare in
momenti successivi alla stipula del contratto
o da formule matematiche complesse. Ad
esempio, nel caso dei contratti con strutture
cosiddette collar, una delle due controparti
paga il tasso variabile solo se esso rimane
entro un determinato "corridoio", definito da
un tetto (cosiddetto cap) e da un valore
minimo (cosiddetto floor). Anche tali
contratti "esotici" possono essere par o non
par.(198,199).
<8198) AUDIZIONE CONSOB, cit. Come ulteriori
caratteristiche dell’IRS, va segnalato che: il
contratto ha scadenze che superano l'anno; ha
le scadenze dei pagamenti (flussi) determinate
a 3,6,9,12 mesi, ma le parti si possono
accordare anche diversamente; può essere
ceduto ad un'altra controparte rinegoziandone
le caratteristiche.
Un richiamo specifico al contratto di swap è
contenuto nell’art.41 della legge 28 dicembre
2001 n.448 (Finanziaria 2002), che tra gli
“Strumenti di gestione del debito pubblico”,
relativamente alla finanza degli enti territoriali
prevede la possibilità per gli enti pubblici
territoriali di emettere titoli obbligazionari o di
contrarre mutui, con rimborso del capitale in
un’unica soluzione alla scadenza, previa
costituzione, al momento dell’emissione o
dell’accensione, di un fondo di ammortamento
del debito o previa conclusione di contratti di
swap
per
l’ammortamento
del
debito
(amortizing swap).
La scelta operata dal
Legislatore nella legge finanziaria 2002 secondo la Consob - è evidentemente
indirizzata verso l’utilizzo della tipologia
negoziale non con finalità speculativa che, fra
l’altro, mal si attaglia agli scopi istituzionali
che improntano l’azione delle amministrazioni
locali interessate, quanto piuttosto verso
l’utilizzo della tipologia negoziale finalizzata
alla copertura del rischio connesso ad
operazioni di finanziamento delle attività
pubbliche (Consob, Audizione, cit.).
(197) INDAGINE CONOSCITIVA SULLA DIFFUSIONE DEGLI
STRUMENTI
DI
FINANZA
DERIVATA
E
DELLE
CARTOLARIZZAZIONI NELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI,
Audizione presso il Senato
Generale della Consob, 2009.
del
Direttore
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strumenti finanziari (201). Il reg. intermediari
prevedeva che per gli swap, prodotti offerti
OTC e non standardizzati l'investitore, prima
di sottoscrivere il contratto, debba essere
sicuro di aver ben compreso, in sostanza la
leva finanziaria e la possibilità di poter
versare margini di garanzia, mentre
l’investitore
deve
accertarsi
se
l’intermediario
risponde
in
proprio
dell’insolvenza della controparte.(202)
2) il contratto con l'investitore deve
indicare e disciplinare, nei rapporti di
negoziazione e di ricezione e trasmissione di
ordini, le modalità di costituzione e
ricostituzione della provvista o garanzia
delle operazioni disposte, specificando
separatamente i mezzi costituiti per
l'esecuzione delle operazioni aventi ad
oggetto strumenti finanziari derivati e
warrant; (art. 30, comma 1°, lett. e), del
più
volte
richiamato
regolamento
intermediari)
3) il contratto di gestione di portafogli di
investimento deve indicare, con riguardo
agli strumenti finanziari derivati, se essi
possono essere utilizzati per finalità diverse
da quella di copertura dei rischi connessi
alle posizioni detenute (l'art. 37, comma 1°,
lett.
c),
sempre
del
regolamento
intermediari;
4) l’intermediario deve dare pronta
informazione scritta sulla genesi di perdite
Gli swap hanno dato vita ad un
contenzioso che è possibile suddividere in
quattro diverse questioni:
A) la disapplicazione degli obblighi
informativi previsti dalla normativa di
settore;
B) l’uso degli swap per finalità diverse
da quelle di copertura di un rischio (cambio,
variazione tassi, ecc.);
C) l’obbligo
di
comunicazione
dell’andamento del contratto e della
previsione di chiusura;
D) il ricorso agli swaps nell’ambito della
finanza degli enti locali;
E) la tutela cautelare per il maturarsi di
passività in derivati;
2. Obblighi di informazione legati agli
strumenti derivati.
Un
problema
caratteristico
del
contenzioso in tema di tema di swap è
quello della prassi di disapplicazione degli
obblighi informativi da parte delle banche
per questi prodotti il cui profilo economico,
man mano che ci si allontana dall’ipotesi del
plain
vanilla, diviene estremamente
complesso, se non del tutto inintelligibile
per chi non abbia una solida preparazione in
matematica finanziaria.
L’offerta di prodotti derivati da parte
dell’intermediario,
quindi,
comporta
obblighi informativi specifici che si pongono
accanto obblighi di informazione previsti per
la prestazione di servizi (200).
(201) Art. 28, comma 1°, lett. b), reg. 11522, All
n. 3.
(202) In quale modo e con quale rapidità le
variazioni del parametro di riferimento si
riflettono sulla determinazione dei differenziali
che dovrà pagare o ricevere. Conviene altresì
precisare che, in determinate situazioni,
l'investitore
può
essere
chiamato
dall'intermediario a versare margini di garanzia
anche prima della data di regolamento dei
differenziali.
Inoltre,
tenuto
conto
dell'importanza assunta in tali operazioni dalla
solidità patrimoniale della controparte, laddove
quest'ultima sia "terza", l'investitore doveva
informarsi sulla solidità della stessa ed
accertarsi che l'intermediario risponderà in
proprio se la controparte medesima risultasse
insolvente (Allegato n. 3, sez. B, punto 4.1)(3).
2.1.
Gli obblighi previsti dal
regolamento intermediari n. 11522./98.
Prima dell’attuazione della Mifid,
schematicamente erano i seguenti:
1) obbligo di consegna del documento sui
rischi generali degli investimenti in
(200) PICARDI, La negoziazione di strumenti
finanziari derivati fra codice civile e
legislazione speciale, in Banca borsa tit. cred.,
2006, 3, p. 355.
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e 2), informano sul metodo e sulla
frequenza di valutazione degli strumenti
finanziari contenuti nel portafoglio del
cliente; la descrizione del parametro di
riferimento al quale verrà raffrontato il
rendimento del portafoglio del cliente; i tipi
di strumenti finanziari che possono essere
inclusi nel portafoglio del cliente e i tipi di
operazioni che possono essere realizzate su
tali strumenti, inclusi eventuali limiti; gli
obiettivi di gestione, il livello del rischio
entro il quale il gestore può esercitare la sua
discrezionalità ed eventuali specifiche
restrizioni a tale discrezionalità. (artt. 29,
comma 3);
- gli intermediari sono tenuti a
consegnare (204) la descrizione generale
rilevanti in caso di derivati per finalità di
diverse da quelle di copertura. 203
2.2. Gli obblighi di informazione
collegati ai derivati dopo la Mifid.
Attualmente l’informazione specifica è
strutturata in questo modo:
- per il servizio di gestione di portafogli
di investimento, quando gli intermediari
propongono di fornire il servizio, in aggiunta
alle informazioni relative all’intermediario
ed i servizi di investimento (art. 29, commi 1
(203)
I
soggetti
autorizzati
informano
prontamente e per iscritto l'investitore non
appena le operazioni in strumenti derivati e in
warrant da lui disposte per finalità diverse da
quelle di copertura(4) abbiano generato una
perdita, effettiva o potenziale, pari o superiore
al 50% del valore dei mezzi costituiti a titolo di
provvista e di garanzia per l'esecuzione
dell'operazione(all'art.
28,
comma
3°,
regolamento intermediari, il quale prevedeva
che 3. Gli intermediari autorizzati informano
prontamente e per iscritto l'investitore appena
le operazioni in strumenti derivati da lui
disposte per finalità diverse da quelle di
copertura abbiano generato una perdita,
effettiva o potenziale, pari o superiore al 50%
del valore dei mezzi costituiti a titolo di
provvista e garanzia per l'esecuzione delle
operazioni. Il valore di riferimento di tali mezzi
si ridetermina in occasione della comunicazione
all'investitore della perdita, nonché in caso di
versamenti o prelievi. Il nuovo valore di
riferimento
è
prontamente
comunicato
all'investitore. In caso di versamenti o prelievi è
comunque comunicato all'investitore il risultato
fino ad allora conseguito.). 5. gestione. Per la
gestione prevedeva che 4. Gli intermediari
autorizzati informano prontamente e per
iscritto l'investitore ove il patrimonio affidato
nell'ambito di una gestione si sia ridotto per
effetto di perdite, effettive o potenziali, in
misura pari o superiore al 30% del controvalore
totale del patrimonio a disposizione alla data di
inizio di ciascun anno, ovvero, se successiva, a
quella di inizio del rapporto, tenuto conto di
eventuali conferimenti o prelievi. Analoga
informativa dovrà essere effettuata in
occasione di ogni ulteriore riduzione pari o
superiore al 10% di tale controvalore.
(204) Art. 31 (Informazioni sugli strumenti
finanziari)
1. Gli intermediari forniscono ai clienti o
potenziali clienti una descrizione generale della
natura e dei rischi degli strumenti finanziari
trattati, tenendo conto in particolare della
classificazione del cliente come cliente al
dettaglio o cliente professionale. La descrizione
illustra le caratteristiche del tipo specifico di
strumento interessato, nonché i rischi propri di
tale
tipo
di
strumento,
in
modo
sufficientemente dettagliato da consentire al
cliente di adottare decisioni di investimento
informate.
2. La descrizione dei rischi include, ove
pertinente per il tipo specifico di strumento e
lo status e il livello di conoscenza del cliente, i
seguenti elementi:
a) i rischi connessi a tale tipo di strumento
finanziario,
compresa
una
spiegazione
dell’effetto leva e della sua incidenza, nonché
il rischio di perdita totale dell’investimento;
b) la volatilità del prezzo di tali strumenti ed
eventuali limiti di liquidabilità dei medesimi;
c) il fatto che un investitore potrebbe
assumersi, a seguito di operazioni su tali
strumenti,
impegni
finanziari
e
altre
obbligazioni aggiuntive, comprese eventuali
passività potenziali, ulteriori rispetto al costo di
acquisizione degli strumenti;
d) eventuali requisiti di marginatura od
obbligazioni analoghe applicabili a tali
strumenti.
3. Se l’intermediario fornisce ad un cliente al
dettaglio o potenziale cliente al dettaglio
informazioni in merito ad uno strumento
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della natura e dei rischi degli strumenti
finanziari trattati che, tenendo conto in
particolare della classificazione del cliente
come cliente al dettaglio o cliente
professionale, illustra le caratteristiche ed i
rischi del tipo specifico di strumento
interessato (eventualmente indicando i
rischi
aggiuntivi
derivanti
dalla
combinazione di più strumenti), nonché i
rischi propri di tale tipo di strumento, che
deve includere, se pertinente, una
spiegazione dell’effetto leva e della sua
incidenza, nonché il rischio di perdita totale
dell’investimento; la volatilità del prezzo di
tali strumenti ed eventuali limiti di
liquidabilità dei medesimi; la possibilità di
indebitarsi oltre il costo di acquisizione degli
strumenti con impegni finanziari e altre
obbligazioni aggiuntive, comprese eventuali
passività potenziali, eventuali requisiti di
marginatura od obbligazioni analoghe
applicabili a tali strumenti; i dettagli
inerenti la garanzia di terzi eventualmente
incorporata nel titolo.(art. 31 reg. inr.
16190)
- l’art. 37, lett. e prevede che il
contratto di investimento (oltre a
specificare i servizi forniti e le loro
caratteristiche, indicando il contenuto delle
prestazioni dovute e delle tipologie di
strumenti finanziari e di operazioni
interessate - lett. a), indica e disciplina, nei
rapporti di esecuzione degli ordini dei
clienti, di ricezione e trasmissione di ordini,
nonché di gestione di portafogli, la soglia
delle perdite, nel caso di posizioni aperte
scoperte su operazioni che possano
determinare passività effettive o potenziali
superiori al costo di acquisto degli strumenti
finanziari, oltre la quale è prevista la
comunicazione al cliente (205);
- L’art. 38 in materia di gestione di
portafogli di investimento prevede diverse
informazioni
inerenti
agli
strumenti
finanziari, ed in particolare, i derivati,
dovendo indicare i tipi di strumenti
finanziari che possono essere inclusi nel
portafoglio del cliente e i tipi di operazioni
che possono essere realizzate su tali
strumenti, inclusi eventuali limiti; gli
obiettivi di gestione, il livello del rischio
entro il quale il gestore può esercitare la sua
discrezionalità ed eventuali specifiche
restrizioni a tale discrezionalità; se il
portafogli può essere caratterizzato da
effetto leva; la descrizione del parametro di
riferimento, ove significativo, al quale verrà
raffrontato il rendimento del portafoglio del
cliente; il metodo e la frequenza di
valutazione degli strumenti finanziari
contenuti nel portafoglio del cliente. Inoltre,
il contratto deve specificare esplicitamente
la possibilità per l’intermediario di investire
in strumenti finanziari fuori dei mercati
regolamentati , in derivati o in strumenti
illiquidi o altamente volatili; o di procedere
a vendite allo scoperto, di acquistare
<<tramite somme di denaro prese a prestito,
operazioni di finanziamento tramite titoli o
qualsiasi operazione che implichi pagamenti
finanziario che è oggetto di un’offerta al
pubblico in corso ed in relazione a tale offerta
è stato pubblicato un prospetto conformemente
agli articoli 94 e seguenti del Testo Unico,
l’intermediario medesimo comunica al cliente o
potenziale cliente le modalità per ottenere il
prospetto.
4. Quando è probabile che i rischi connessi con
uno strumento finanziario o con un’operazione
finanziaria che combinano tra loro due o più
strumenti o servizi finanziari diversi siano
superiori ai rischi connessi alle singole
componenti, l’intermediario fornisce una
descrizione adeguata delle singole componenti
e del modo in cui la loro interazione accresce i
rischi.
5. Nel caso di strumenti finanziari che
incorporano una garanzia di un terzo, le
informazioni relative a tale garanzia includono
dettagli sufficienti sul garante e sulla garanzia,
affinché il cliente al dettaglio o potenziale
cliente al dettaglio possa compiere una
valutazione corretta della garanzia.
(205) Quindi, non indica più le modalità di
costituzione e ricostituzione della provvista o
garanzia delle operazioni disposte, specificando
separatamente
i
mezzi
costituiti
per
l'esecuzione delle operazioni aventi ad oggetto
strumenti finanziari derivati e warrant.
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di margini, deposito di garanzie o rischio di
cambio. >>.
Sulla validità di tali dichiarazioni vi è un
acceso dibattito giurisprudenziale, che può
essere sintetizzato in una domanda: è
sufficiente l’autodichiarazione di essere
operatore
qualificato
per
escludere
l’applicazione degli obblighi informativi?
La questione nasce dal fatto che il
regolamento n. 11522 del 1998 prevedeva
l’esclusione degli obblighi di informazione
per l’appunto, per gli operatori qualificati.
I problemi non sono nati tanto dalla
categoria dei clienti professionali di diritto
(imprese di investimenti, di assicurazione,
fondi
pensione,
soggetti
che
professionalmente svolgono la prestazione di
servizi di negoziazione per conto proprio,
agenti
di
cambio,
altri
investitori
istituzionali, le fondazioni bancarie, ecc.,
ma anche le imprese di grandi dimensioni
con requisiti patrimoniali notevoli), ma per i
clienti professionali su richiesta, ovvero <<
le persone fisiche che documentino il
possesso dei requisiti di professionalità
stabiliti dal Testo Unico per i soggetti che
svolgono funzioni di amministrazione,
direzione e controllo presso società di
intermediazione mobiliare (…) nonché ogni
società o persona giuridica in possesso di una
specifica competenza ed esperienza in
materia di operazioni in strumenti finanziari
espressamente dichiarata per iscritto dal
legale rappresentante.>> (art. 31 reg.
interm. 11522) (207).
2.3. Classificazione del cliente ed
esonero da obblighi informativi: operatori
e controparti <<qualificate>>.
2.3.1. L’operatore qualificato prima
della Mifid.
Prima dell’entrata in vigore delle norme
Mifid,
soprattutto
nell’ambito
della
commercializzazione di prodotti derivati, si
sono verificati numerosissimi casi di
disapplicazione di regole ed obblighi
informativi
in base all’31 del reg.
intermediari n. 11522 del 1998, ora abrogato
e sostituito dal regolamento n. 16190 del
2007 (informazioni sul cliente ed al cliente
sul prodotto, sull’adeguatezza, consegna del
documento rischi generali, sulle perdite
generate da derivati - art. 28, sulle
operazioni inadeguate e sull’acquisizione di
ordine scritto del cliente - art. 29, sul
conflitto di interessi - art. 27, contenuto
minimo dei contratti – artt. 30, 37,38,
informazioni sugli ordini, categorie di
prodotti, leva finanziaria, limiti inserimento
di strumenti finanziari OTC, documentazione
delle analisi, previsioni e strategie - artt 39
ss, ecc.).(206)
La prassi delle banche è stata
caratterizzata
dalla
ricorrente
sottoposizione al cliente, soprattutto quelli
rientranti nella clientela corporate, di un
modulo prestampato con il quale il legale
rappresentante della società si dichiarava
operatore qualificato.
(207) Art. 31, comma 2: Per operatori qualificati
si intendono gli intermediari autorizzati, le
società di gestione del risparmio, le SICAV, i
fondi pensione, le compagnie di assicurazione, i
soggetti esteri che svolgono in forza della
normativa in vigore nel proprio Stato d'origine
le attività svolte dai soggetti di cui sopra, le
società e gli enti emittenti strumenti finanziari
negoziati in mercati regolamentati, le società
iscritte negli elenchi di cui agli articoli 106, 107
e 113 del decreto legislativo 1^ settembre
1993, n. 385, le persone fisiche che
documentino il possesso dei requisiti di
professionalità stabiliti dal Testo Unico per i
soggetti
che
svolgono
funzioni
di
amministrazione, direzione e controllo presso
società di intermediazione mobiliare, le
fondazioni bancarie, nonché ogni società o
(206) Art. 31 , comma 1 reg. 11522/1998:Ad
eccezione di quanto previsto da specifiche
disposizioni di legge e salvo diverso accordo tra
le parti, nei rapporti tra intermediari
autorizzati e operatori qualificati non si
applicano le disposizioni di cui agli articoli 27,
28, 29, 30, comma 1, fatta eccezione per il
servizio di gestione, e commi 2 e 3, 32, commi
3, 4 e 5, 37, fatta eccezione per il comma 1,
lett. e), 38, 39, 40, 41, 42, 43, comma 5, lett.
b), comma 6, primo periodo, e comma 7, lett.
b) e c), 44, 45, 47, comma 1, 60, 61 e 62. 2.
115
Il contenzioso bancario e degli intermediari finanziari
Pasquale Serrao d’Aquino
Consiglio Superiore della Magistratura - 9° Commissione – Tirocinio e Formazione Professionale
Incontro di studio in materia civile riservato ai magistrati nominati con D.M. 2/10/2009.
___________________________________________________________________________________________________________
Il contenzioso è sorto, sull’esonero dagli
obblighi, non tanto nei confronti delle
persone fisiche, tenute a <<documentare>>
il possesso di requisiti specifici, ma nei
confronti delle società che dovevano
possedere competenza ed esperienza
specifica e potevano dichiararlo per iscritto.
La giurisprudenza di merito si è regolata
in modo contrapposto.
Alcune
decisioni,
soprattutto
del
208
Tribunale di Milano, ( ) hanno sostenuto
che la dichiarazione del cliente, non
dovendo
la
banca
procedere
ad
accertamenti complessi non previsti, era
sufficiente a qualificare il primo come
operatore qualificato ed a escludere gli
obblighi informativi.
Altre decisioni, invece, hanno ritenuto
che la banca fosse tenuta a tali
accertamenti, concludendo, quindi, per
l’illecita pretermissione delle informazioni
previste dal t.u.f. e dal regolamento
intermediari n. 11522/1998.
Per fare un esempio, il Tribunale di
Roma ha escluso l’applicazione degli
obblighi informativi, ritenendo che una
società
immobiliare
potesse
essere
considerata operatore qualificato sulla base
della dichiarazione contenuta nel contratto
di IRS, perché deve presumersi che un
amministratore di società di capitali abbia la
capacità di comprendere il carattere
speculativo dell’operazione (209).
Merita di essere segnalata la sentenza
del Tribunale di Torino del 18 09 2007 (210)
la quale afferma, in relazione alle persone
giuridiche, che la competenza del cliente
deve essere necessaria e che la
dichiarazione del legale rappresentante
assume valore confessorio, a condizione che
non sia indeterminata, ma contenga
l’elencazione di fatti (non di opinioni)
effettivamente indicativi dell’esperienza. La
possibilità di raccogliere la dichiarazione,
indica il Collegio, individua un <<punto di
equilibrio tra esigenze di efficienza,
flessitibilità e fluidità del traffico giuridico
ed esigenze di protezione dell’investitore>>.
La banca, quindi, non deve compiere
specifiche indagini sulla veridicità, salvo
l’obbligo di tener conto dei pregressi
(209) <<E’ invero del tutto ragionevole che il
sottoscrittore del contratto, amministratore di
una società di capitali, fosse necessariamente
dotato di diligenza professionale nello
svolgimento del proprio mandato gestorio (art.
2392 c.c., nella sua formulazione applicabile
nella specie) e fosse quindi a conoscenza delle
operazioni speculative quale quella in esame,
correlate ad operazioni di concessione di
credito e ad operazioni produttive di guadagno,
tipiche queste ultime dell’attività sociale. Non
casualmente invero, nelle premesse del
contratto normativo, è esposto che “il cliente
è/sarà titolare di posizioni creditorie o
debitorie suscettibili di generare interessi
calcolati di volta in volta in base ad un tasso di
interesse variabile o fisso; il cliente intende
cautelarsi rispetto al rischio di tasso di
interesse derivante dalle suddette posizioni
debitorie/creditorie attraverso la conclusione
di Interest Rate Swap (IRS) allo scopo di meglio
correlare le posizioni medesime con la propria
situazione creditoria e debitoria
globale,
oppure bilanciare posizione creditorie e/o
debitorie generate da operazioni analoghe a
quelle prevista nei diversi contratti posti in
essere”.
210
In NCCC, 2008, I, 337.
persona giuridica in possesso di una specifica
competenza ed esperienza in materia di
operazioni
in
strumenti
finanziari
espressamente dichiarata per iscritto dal legale
rappresentante.
(208) App. Milano, 12.10.2007, in NGCC, 2008, I
con nota di Ruggieri; Trib. Milano, 03.04.2004 in
Banca borsa tit. cred., 2005, II, 36 con nota di
Chionna, Trib. Milano 06.04.2005 inedita,
20.07,2006
inedita,
11.07.2005
inedita,
25,11,2005, inedita, Tribunale di Rimini,
25.03.2005, in Redazione Giuffrè, Tribunale
Vincenza 08.10.2006, Tribunale Mantova, ord.
12.072004, Trib. Catania, sez. GIP, ord.,
15.03.2005, Trib. Torino, ord. 07.072005, Tirb.
Ancona 14.02.2007, Trib. Ancona 14.02.2007,
Trib. Pescara 13.09.2006, Trib. Treviso, ord.
19.11.2007), Trib. Roma 11.10.2005 secondo cui
la nullità relativa conseguente alla violazione
degli obblighi di trasparenza in tema di swap
sarebbe sanata dalle successive rinegoziazioni
dei contratti ed accettazione degli addebiti,
sentenza citate da P. Buontempi, nota a
tribunale di Torino del 18.09.2007, in NGCC,
2008, I, p. 355)
116
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Incontro di studio in materia civile riservato ai magistrati nominati con D.M. 2/10/2009.
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rapporti intrattenuti con il cliente. E’ da
respingere, invece, l’idea che la norma
distingue due categorie, la prima delle
persone fisiche che deve effettivamente
essere dotata dei requisiti, e la seconda,
invece, delle persone giuridiche, invece, che
possono autoproclamarsi (211).
La Corte di Appello di Milano, ha
sanzionato una banca, affermando che
<<Gli intermediari autorizzati devono
predisporre accorgimenti procedurali per
verificare l’effettivo possesso in capo alla
clientela dei requisiti di operatore
qualificato richiesti dall’art. 31 reg. Consob
n. 11522/98>>. (212)
Ancora, il Tribunale di Verona del
14.08.2005 (Il sole 24 ore – Inserto Plus) ha
precisato che, prima di raccogliere le
dichiarazioni del cliente, la banca deve
illustrare al cliente il contenuto di tale
dichiarazione e le gravi conseguenze che ne
derivano.
Una motivazione accurata è stata svolta
su questa linea anche da una sentenza del
Tribunale di Catania del 13 febbraio 2009,
che ha accolto la domanda di risoluzione per
inadempimento prevista in un caso di IRS. Il
Tribunale in sintesi, ha indicato che, in un
quadro di obblighi di protezione, la
dichiarazione non può risolversi <<in una
mera attestazione, dovendo piuttosto il
dichiarante segnalare in modo piuttosto
analitico all'intermediario le situazioni in
forza alle quali si ritiene in via
autoreferenziale dotato di esperienza e
competenze in operazioni in strumenti
finanziari ( per come si ricava del resto
dall'utilizzo del termine letterale "specifiche"
riferito per l'appunto alle esperienze e
competenze ). (213)
La Corte di Cassazione ha affermato che
“L’art. 13 del regolamento di cui alla
delibera Consob 2 luglio 1991, n. 5387,
secondo il quale è classificabile come
operatore qualificato anche «ogni società o
persona giuridica in possesso di una
specifica competenza ed esperienza in
materia di operazioni in valori mobiliari
espressamente dichiarata per iscritto»,
esonera l’intermediario dal verificare
l’effettiva esperienza dichiarata nel senso
che, in mancanza di elementi contrari già in
suo possesso, la semplice dichiarazione in
questione,
pur
non
costituendo
dichiarazione confessoria in quanto volta
alla formulazione di un giudizio e non alla
affermazione di scienza e verità di un fatto
obiettivo, esonera l’intermediario dalle
(211) Nella specie, il caso riguardava una
complessa operazione di interest rate swap con
rinegoziazione progressiva del differenziale
negativo mediante altri swap e veniva esclusa
l’efficacia della dichiarazione che si limitata a
riprodurre l testo dell’art. 31. reg. interm.(211);
così anche il Tribunale di Novara del 18 01
2007, citato dal Tribunale di Torino
(212) Corte Di Appello di Milano, prima sez. civ.,
decreto 13 novembre 2008, ilcaso.it, doc.
1451/2008, che ha anche affermato che gli
intermediari autorizzati devono predisporre
accorgimenti
procedurali
per
verificare
l’effettivo possesso in capo alla clientela dei
requisiti di operatore qualificato richiesti
dall’art. 31 reg. Consob n. 11522/98. Inoltre
sostiene che gli intermediari autorizzati devono
predisporre procedure di ingegnerizzazione
idonee a formare prodotti derivati OTC che
consentano di coprire i rischi degli operatori
qualificati ai quali tali prodotti sono destinati,
così da evitare che l’utilizzo dei medesimi
assuma finalità speculative estranee alla
finalità di copertura dei rischi della clientela.
Dette procedure devono altresì essere dirette a
limitare la discrezionalità degli operatori nella
fissazione degli spread applicati alle singole
transazioni e tali da fornire anche a posteriori
indicazioni sui criteri di determinazione dei
ricarichi applicati alla clientela (ilcaso.it).
(213)
La
sentenza
afferma
anche
l'interpretazione suggerita trova una conferma
ex post nelle nuove e più dettagliate
disposizioni normative emesse in esito alla
direttiva MIFID. Ora, ferma la non applicabilità
alla fattispecie della disciplina in questione,
attualmente vigente, resta da dire che,
all'infuori della procedura di accertamento
descritta in via normativa, il nuovo regolamento
non fa altro che confermare e dettagliare
principi già ricavabili dal previgente testo
regolamentare sempre se letto nell'ottica
sistematica sopra suggerita. >>
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verifiche sul punto. Tale dichiarazione,
inoltre, in difetto di contrarie allegazioni
specificamente dedotte e dimostrate dalla
parte interessata e di ulteriori riscontri, può
costituire argomento di prova che il giudice
- nell’esercizio del discrezionale potere di
valutazione del materiale probatorio a
propria disposizione ed apprezzando il
complessivo
comportamento
extraprocessuale e processuale delle parti può porre a fondamento della propria
decisione anche come unica fonte di prova
per quanto riguarda la sussistenza in capo
all’investitore della sua natura di operatore
qualificato e la diligenza prestata
dall’intermediario. (214).
La Cassazione, quindi, anche se esclude
la natura di confessione della dichiarazione,
afferma che la mera dichiarazione può
essere sufficiente per ritenere legittima la
condotta disapplicativa degli obblighi di
informazione. E’ necessario, però compire
alcune ulteriori osservazioni.
L’art. 31, nel descrivere gli operatori
qualificati di diritto prevede dei requisiti
estremamente rigorosi che portano, in
sostanza,
ad
escludere
l’asimmetria
informativa su cui si fondano gli obblighi di
comunicazione. Si tratta, infatti, di altri
intermediari, di categorie sostanzialmente
equiparabili o di grandi imprese in forma
societaria o di agenti di cambio. Inoltre, le
persone fisiche devono effettivamente
possedere i requisiti per svolgere l’attività
proprio nelle s.i.m.(215).
Non si può non tener conto di questo nel
descrivere i confini della categoria dei
clienti persone giuridiche. Stride con tale
rigorosità l’idea che tutto possa basarsi su
un’autocertificazione generica, mentre
appare più coerente per le persone
giuridiche, che sia necessario, in linea di
principio, l’effettività del possesso dei
requisiti. Opportunamente si esclude che
l’intermediario debba svolgere una specifica
indagine per accertare la verità di quanto
dichiarato dal cliente per iscritto sul
presupposto di un ordinario principio di
affidamento nella controparte. E’ giusto
però, che non si reputi sufficiente il cliente
si limiti genericamente a dichiarare di avere
l’esperienza necessaria. La banca può
definire il cliente come operatore
qualificato solo se la dichiarazione contiene
fatti che la banca legittimamente valutare
come dimostrativi dei requisiti previsti
dall’art. 31 (es. indicando quali esperienze e
qualifiche abbiano la struttura organizzativa
o le persone che assumono le decisioni sulle
scelte di investimento, oppure indicando i
pregressi investimenti finanziari, anche ad
alto rischio), fermo restando che dovrà
comunque comparare tale auto-giudizio del
cliente con gli elementi di conoscenza di cui
già
dispone
e,
nel
dubbio
sulla
qualificazione, prudenzialmente esclude la
qualifica esonerativa degli obblighi di
informazione.
Tale conclusione si impone, non solo
mediante un’interpretazione sistematica
dell’art. 31 e della finalità di ampia tutela
del cliente propria dell’intera normativa dei
servizi di investimento, con le deroghe
necessarie a dare speditezza alle transazioni
solo quando non vi è asimmetria informativa
(216) ed, in particolare, dell’obbligo di
comportarsi con diligenza, correttezza e
trasparenza, per servire al meglio l’interesse
dei clienti e per l’integrità dei mercati
(216) Cfr. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato
mobiliare, Torino, 2004, 120, il quale avverte
che trattare un investitore "esperto" allo stesso
modo di un cliente privato può comportare
l'applicazione di regole del tutto superflue e
risolversi in un inutile dispendio di risorse tanto
per l'intermediario quanto per il cliente: l'uno
sconterà gli oneri derivanti dall'applicazione di
regole pervasive e dal contenuto talora molto
circostanziato; l'altro potrà risentire degli
svantaggi dovuti, ad esempio, al rallentamento
nell'esecuzione
delle
operazioni
o
all'incremento dei costi destinato a tradursi,
inevitabilmente, in un aumento del prezzo dei
servizi prestati.
(214) Corte di Cassazione, Sez. I Civile 26 maggio
2009, n. 12138.
(215 ) INZITARI-PICCININI, La tutela del cliente
nella negoziazione di strumenti finanziari, cit.
p. 85 ss.
118
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Incontro di studio in materia civile riservato ai magistrati nominati con D.M. 2/10/2009.
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(previsto nei criteri generali per la
prestazione dei servizi e delle attività di
investimento – art. 21 t.u.f.); ma anche in
base alle clausole generali di buone fede e
correttezza, derivanti dal dovere di
solidarietà costituzionale (art. 2 Cost.) e
dagli obblighi previsti dall’art. 1337,1338,
1175 e 1375 in tute le fasi di svolgimento del
rapporto.
Non
vi
è
dubbio
che
l’intermediario assume obblighi di natura
protettiva e che le modalità di esecuzione
del contratto di investimento devono essere
improntate secondo buona fede ed secondo
un principio di protezione degli interessi del
cliente. Ciò deriva non solo dal principio di
tutela costituzionale del risparmio, ma
anche dalla presunzione di asimmetria
informativa tra intermediario e cliente che
necessariamente permea la normativa del
mercato finanziario. E’ evidente che tagliare
fuori
tali
finalità
sulla
base
di
autodichiarazione
prestampata
ed
a
carattere seriale appare certamente
condotta contraria a buona fede ed
inutilmente elusiva degli obblighi generali e
puntuali di informazione.
Si consideri, infine che la clausola di
rinuncia alla tutela degli obblighi informativi
è da considerarsi nulla perché le norme a
tutela dell’investitore sono di ordine
pubblico (217)
E’ utile però richiamare come tale
decisione correttamente ricordi che tale
dichiarazione, non esonera l'intermediario
solo dall’osservanza degli obblighi di
informazione, ma anche dalla stessa
redazione per iscritto di un contratto
quadro (art. 30, comma 1, fatta eccezione
per il servizio di gestione.
2.3.2. CLIENTI AL DETTAGLIO, CLIENTI
PROFESSIONALI, CONTROPARTE QUALIFICATA NELLA
MIFID.
L’entrata in vigore delle norme
<<MIFID>> ha modificato il quadro normativo
degli esoneri dai doveri di informazione.
L’esistenza di diversi livelli conoscitivi ed
anche di una diversità di solidità finanziaria
tra cliente e cliente non determina solo la
modulazione concreta dell’informazione in
relazione al profilo di ciascuno, ma
comporta anche la distinzione tra diverse
categorie di clienti, alla quale consegue una
sostanziale diversità di regole informative.
Classificazione dei clienti.
Ai fini della prestazione dei servizi e
delle attività di investimento e dei servizi
accessori (218), viene indicata come
«cliente» la persona fisica o giuridica alla
quale
vengono
prestati
servizi
di
investimento o accessori (art. 26, lett. c). Si
distingue, però tra:
a) controparte qualificata sono <<i
clienti a cui sono prestati i servizi di
esecuzione di ordini e/o di negoziazione per
conto proprio e/o di ricezione e trasmissione
ordini, definiti come tali dall’articolo 6,
comma 2-quater, lettera d), numeri 1), 2),
3) e 5) del Testo Unico>> - art. 58 reg.
interm.(219), vale a dire le imprese di
Per tali ragioni non possono essere
condivise la tesi espressa di recente dal
Tribunale di Torino (sent. 31.12.2010)
secondo cui la mera dichiarazione di
operatore
qualificato
comporta
una
inversione dell’onere della prova: si tratta di
argomento di prova, ma deve contenere
riferimenti specifici; se essi sono indicati,
non sarà neppure possibile per il principio di
affidamento provare l’assenza di esperienza,
salvo che essa emerga chiaramente da
documenti nella disponibilità della banca.
(218) Art. 26 Definizioni relative a PRESTAZIONE
DEI
SERVIZI
E
DELLE
ATTIVITA’
DI
INVESTIMENTO E DEI SERVIZI ACCESSORI.
(219) Art. 58
(Rapporti con controparti
qualificate)
1. Sono controparti qualificate i clienti a cui
sono prestati i servizi di esecuzione di ordini
(217) Cfr. anche INZITARI, Contratti derivati e
dichiarazione di operatore qualificato, in
Banche, consumatori e tutela del risparmio, a
cura di Ambrosini- Demarchi, Milano, 2009, p.
272-274.
119
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investimento, le banche, le imprese di
assicurazioni, gli OICR, le SGR, i fondi
pensione, gli intermediari finanziari iscritti
negli elenchi generali e speciali, gli istituti di
moneta elettronica, le fondazioni bancarie, i
Governi nazionali, le banche centrali e le
organizzazioni sovranazionali a carattere
pubblico; imprese che come attività
principale negoziano per conto proprio merci
e la cui attività principale consista nel
negoziare per conto proprio merci e derivati
su merci o la cui attività esclusiva consista
nel negoziare per conto proprio nei mercati
di strumenti finanziari derivati e, per meri
fini di copertura a determinate condizioni,
ecc.) oltre che alcune delle categorie dei
clienti professionali. Alle controparti
qualificate non si applicano gran parte degli
informativi previsti (art. 29-56 del reg., ad
eccezione del comma 2 dell’art. 49);
b) cliente professionale: cliente
professionale pubblico
(220), e cliente
professionale privato.
Il cliente professionale privato (221) può
ulteriormente essere distinto in
- cliente professionali di diritto (in
sostanza da un lato, banche, imprese di
investimento, di assicurazione, negoziatori
professionali, dall’altro grandi imprese)
(222),
e/o di negoziazione per conto proprio e/o di
ricezione e trasmissione ordini, definiti come
tali dall’articolo 6, comma 2-quater, lettera d),
numeri 1), 2), 3) e 5) del Testo Unico.
2. Sono altresì controparti qualificate le
imprese di cui all’Allegato n. 3, parte I, punti
(1) e (2) non già richiamate al comma 1, a cui
sono prestati i servizi ivi menzionati, nonché le
imprese che siano qualificate come tali, ai sensi
dell’articolo 24, paragrafo 3, della direttiva n.
2004/39/CE, dall’ordinamento dello Stato
comunitario in cui hanno sede o che siano
sottoposte a identiche condizioni e requisiti
nello Stato extracomunitario in cui hanno sede.
Gli intermediari ottengono da tali controparti la
conferma esplicita, in via generale o in
relazione alle singole operazioni, che esse
accettano di essere trattate come controparti
qualificate.
3. Alla prestazione dei servizi di investimento, e
dei servizi accessori ad essi connessi, a
controparti qualificate, non si applicano le
regole di condotta di cui agli articoli da 27 a 56,
ad eccezione del comma 2 dell’articolo 49.
Resta fermo quanto previsto dall’articolo 35.
4. La classificazione come controparte
qualificata non pregiudica la facoltà del
soggetto di chiedere, in via generale o per ogni
singola operazione, di essere trattato come un
cliente professionale ovvero, in via espressa,
come un cliente al dettaglio. La richiesta è
soggetta al consenso dell’intermediario.
5. Quando, ai sensi del comma 4, una
controparte qualificata richiede espressamente
di essere trattata come un cliente al dettaglio,
si applicano le disposizioni relative alle
richieste di trattamento quale cliente non
professionale di cui agli ultimi tre capoversi
dell’allegato n. 3, parte I.
(220) di cui al regolamento emanato dal Ministro
dell’Economia e delle Finanze ai sensi
dell’articolo 6, comma 2-sexies del Testo Unico
(art. 26 lett. d) reg. interm.).
(221) Il regolamento Consob procedere a
definizioni e distinzioni.
CLIENTI PROFESSIONALI PRIVATI: Un cliente
professionale è un cliente che possiede
l’esperienza, le conoscenze e la competenza
necessarie per prendere consapevolmente le
proprie decisioni in materia di investimenti e
per valutare correttamente i rischi che assume.
(222) I. Clienti professionali di diritto
Si intendono clienti professionali per tutti i
servizi e gli strumenti di investimento:
(1) i soggetti che sono tenuti ad essere
autorizzati o regolamentati per operare nei
mercati finanziari, siano essi italiani o esteri
quali:a) banche; b) imprese di investimento; c)
altri
istituti
finanziari
autorizzati
o
regolamentati;
d) imprese di assicurazione; e) organismi di
investimento collettivo e società di gestione di
tali organismi; f) fondi pensione e società di
gestione di tali fondi; g) i negoziatori per conto
proprio di merci e strumenti derivati su merci;
h) soggetti che svolgono esclusivamente la
negoziazione per conto proprio su mercati di
strumenti
finanziari
e
che
aderiscono
indirettamente al servizio di liquidazione,
nonché al sistema di compensazione e garanzia
(locals); i) altri investitori istituzionali;l) agenti
di cambio;
(2) le imprese di grandi dimensioni che
presentano a livello di singola società, almeno
120
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- clienti professionali su richiesta (223),
ovvero clienti che per frequenza di
operazioni, capitale investito ed esperienza
pregressa
soddisfano i requisiti di cui
all’Allegato n. 3 del regolamento.
Il cliente che non è controparte
qualificata, ma che è comunque classificato
come cliente professionale ha il diritto alle
informazioni ed alle cautele previste dal
regolamento, con alcune attenuazioni (224).
c) cliente al dettaglio: il cliente che
non sia cliente professionale o controparte
qualificata, che ha diritto a ricevere la
massima tutela prevista dal regolamento
(art. 26, lett. e) reg. interm.).
due dei seguenti requisiti dimensionali:— totale
di bilancio: 20 000 000 EUR, — fatturato netto:
40 000 000 EUR, — fondi propri: 2 000 000 EUR.
(3) gli investitori istituzionali la cui attività
principale è investire in strumenti finanziari,
compresi gli enti dediti alla cartolarizzazione di
attivi o altre operazioni finanziarie.
(223) II. Clienti professionali su richiesta
II.1. Criteri di identificazione
Gli intermediari possono trattare i clienti
diversi da quelli inclusi alla sezione I, che ne
facciano espressa richiesta, come clienti
professionali, purché siano rispettati i criteri e
le procedure menzionati di seguito. Non è
comunque consentito presumere che tali clienti
possiedano conoscenze ed esperienze di
mercato comparabili a quelle delle categorie
elencate alla sezione I. La disapplicazione di
regole di condotta previste per la prestazione
dei servizi nei confronti dei clienti non
professionali è consentita quando, dopo aver
effettuato una valutazione adeguata della
competenza,
dell’esperienza
e
delle
conoscenze del cliente, l’intermediario possa
ragionevolmente ritenere, tenuto conto della
natura delle operazioni o dei servizi previsti,
che cliente sia in grado di adottare
consapevolmente le proprie decisioni in materia
di investimenti di comprendere i rischi che
assume.
Il
possesso
dei
requisiti
di
professionalità previsti per dirigenti e
amministratori dei soggetti autorizzati a norma
delle direttive comunitarie nel settore
finanziario può essere considerato come un
riferimento per valutare la competenza e le
conoscenze del cliente.
Nel corso della predetta valutazione, devono
essere soddisfatti almeno due dei seguenti
requisiti: — il cliente ha effettuato operazioni
di dimensioni significative sul mercato in
questione con una frequenza media di 10
operazioni al trimestre nei quattro trimestri
precedenti; — il valore del portafoglio di
strumenti finanziari del cliente, inclusi i
depositi in contante, deve superare 500.000
EUR; — il cliente lavora o ha lavorato nel
settore finanziario per almeno un anno in una
posizione professionale che presupponga la
conoscenza delle operazioni o dei servizi
previsti.
In caso di persone giuridiche, la valutazione di
cui sopra è condotta con riguardo alla persona
2.3.2.1. Modifica della classificazione.
La disciplina attuativa della Mifid
prevede la mobilità da una categoria
all’altra, su iniziativa del cliente oppure
della banca.
Un cliente che potrebbe ricevere la
qualifica di controparte qualificata può
chiedere si essere qualificata come cliente
professionale o al dettaglio, così come un
cliente professionale può chiedere di essere
classificato come cliente al dettaglio. E’
opportuno però chiarire che la scelta di
trattare come cliente al dettaglio un cliente
autorizzata ad effettuare operazioni per loro
conto e/o alla persona giuridica medesima.
224
Per fare un esempio, nel servizio di
consulenza in materia di investimenti o di
gestione di portafogli ad un cliente
professionale,
gli
intermediari
possono
presumere che, per quanto riguarda gli
strumenti, le operazioni e i servizi per i quali
tale cliente è classificato nella categoria dei
clienti professionali, egli abbia il livello di
esperienza e di conoscenza necessario per
comprendere i rischi inerenti all’operazione o
alla gestione del suo portafoglio, che
rappresentano uno dei criteri di valutazione
della suitability (art. 40, comma 2 reg.
intermediari). Se è classificato come cliente
professionale di diritto, in caso di prestazione
del servizio di consulenza <<gli intermediari
possono presumere, ai fini del comma 1, lettera
b), che il cliente sia finanziariamente in grado
di sopportare qualsiasi rischio di investimento
compatibile con i propri obiettivi di
investimento>> (art. 40, comma 3).
121
Il contenzioso bancario e degli intermediari finanziari
Pasquale Serrao d’Aquino
Consiglio Superiore della Magistratura - 9° Commissione – Tirocinio e Formazione Professionale
Incontro di studio in materia civile riservato ai magistrati nominati con D.M. 2/10/2009.
___________________________________________________________________________________________________________
(226) devono comunicare, su supporto
duraturo la nuova classificazione del cliente,
contemporaneamente avvertendo il cliente
del diritto ad essere diversamente
qualificato e dei limiti di tutela che ne
deriva.
La rinuncia alle protezioni derivanti dalla
classificazione è possibile, però solo
successivamente a che:
a) i clienti abbiano comunicato per
iscritto all’intermediario che desiderano
essere trattati come clienti professionali, a
titolo generale o rispetto ad un particolare
servizio od operazione di investimento o tipo
di operazione o di prodotto;
b) l’intermediario abbiano avvertito i
clienti, in una comunicazione scritta e
chiara, di quali sono le protezioni e i diritti
di indennizzo che potrebbero perdere;
c) i clienti abbiano dichiarato per
iscritto, in un documento separato dal
contratto, di essere a conoscenza delle
conseguenze derivanti dalla perdita di tali
protezioni;
d) in ogni caso prima di decidere di
accettare
richieste
di
rinuncia,
l’intermediario deve accertarsi che il cliente
che chiede di essere considerato cliente
professionale soddisfi i criteri di riferimento
indicati dal regolamento
(227) e la
professionale o una controparte qualificata
può essere effettuata anche dalla banca
(art. 35 reg. interm.)
Il cliente ha diritto a chiedere di essere
inserito in una categoria più tutelata,
oppure, al contrario, chiedere di essere
classificato in una categoria superiore. Il
cliente al dettaglio può chiedere di essere
inserito tra i clienti professionali su richiesta
per i quali comunque (non è comunque
consentito presumere che tali clienti
possiedano conoscenze ed esperienze di
mercato comparabili a quelle delle categorie
dei clienti professionali di diritto, elencate
alla sezione I.).(225)
Gli intermediari con le informazioni,
“riguardanti la classificazione dei clienti”
(225) Allegato II.2. Procedura. I clienti definiti in
precedenza possono rinunciare alle protezioni
previste dalle norme di comportamento solo
una volta espletata la procedura seguente:
— i clienti devono comunicare per iscritto
all’intermediario che desiderano essere trattati
come clienti professionali, a titolo generale o
rispetto ad un particolare servizio od
operazione di investimento o tipo di operazione
o di prodotto;
— l’intermediario deve avvertire i clienti, in
una comunicazione scritta e chiara, di quali
sono le protezioni e i diritti di indennizzo che
potrebbero perdere;
— i clienti devono dichiarare per iscritto, in un
documento separato dal contratto, di essere a
conoscenza delle conseguenze derivanti dalla
perdita di tali protezioni.
Prima di decidere di accettare richieste di
rinuncia a protezione, devono essere adottate
tutte le misure ragionevoli per accertarsi che il
cliente che chiede di essere considerato cliente
professionale soddisfi i requisiti indicati nella
sezione II al punto 1.
Gli intermediari devono adottare per iscritto
misure interne appropriate per classificare i
clienti.
Spetta ai clienti professionali informare il
prestatore
del
servizio
di
eventuali
cambiamenti che potrebbero influenzare la loro
attuale
classificazione.
Se
tuttavia
l’intermediario constata che il cliente non
soddisfa più le condizioni necessarie per
ottenere il trattamento riservato ai clienti
professionali deve adottare provvedimenti
appropriati
(226) Art. 35 reg. interm.“1. Gli intermediari
comunicano su supporto duraturo ai clienti la
loro nuova classificazione in qualità di cliente al
dettaglio, cliente professionale o controparte
qualificata. 2. Gli intermediari informano i
clienti, su supporto duraturo, circa l’eventuale
diritto di richiedere una diversa classificazione
e circa gli eventuali limiti che ne deriverebbero
sotto il profilo della tutela del cliente.”
(227)Allegato 3, sex. II Il possesso dei requisiti di
professionalità previsti per dirigenti e
amministratori dei soggetti autorizzati a norma
delle direttive comunitarie nel settore
finanziario può essere considerato come un
riferimento per valutare la competenza e le
conoscenze del cliente. Nel corso della
predetta valutazione, devono essere soddisfatti
almeno due dei seguenti requisiti:
- il cliente ha effettuato operazioni di
dimensioni significative sul mercato in
122
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disapplicazione è consentita solo si possa
compiere
una
valutazione
positiva,
commisurata alle operazione e servizi
previsti, della capacità del cliente di
adottare decisioni consapevoli e di
comprenderne i rischi (228).
Ciò comporta una procedura molto più
rigorosa rispetto alla precedente che
dovrebbe consentire di ridurre la prassi della
disapplicazione delle norme mediante
sottoscrizione di un modulo prestampato.
Infine, si precisa che, in linea di principio
è il cliente professionale che deve informare
il prestatore del servizio di eventuali
cambiamenti che potrebbero influenzare la
loro attuale classificazione. Se tuttavia
l’intermediario constata che il cliente non
soddisfa più le condizioni necessarie per
ottenere il trattamento riservato ai clienti
professionali deve adottare provvedimenti
appropriati.
Il
meccanismo
attuale,
quindi,
abbandona qualsiasi automatismo: gli
intermediari devono anche adottare per
iscritto misure interne appropriate per
classificare i clienti, richiedendo una verifica
attenta del possesso dei requisiti, e
comunque, escludendo la possibilità di
classificare il cliente, su richiesta come
controparte qualificata, priva di diritte
informativi e cautele.
2.4.L’obbligo
di
informazione
dell’andamento del derivato.
Alcune pronunce hanno ritenuto che
l’intermediario non è tenuto solo agli
obblighi informativi previsti per al stipula
del contratto, derivato, ma è obbligato a
tenere informato il cliente.
Ad esempio il Tribunale Salerno sez.
I, 03 dicembre 2010, dejure.giuffre.it ha
affermato che <<In ipotesi di operazioni
finanziarie in strumenti warrant, disposte
per finalità diverse da quelle di
copertura, l'intermediario, per escludere
la propria responsabilità risarcitoria,
deva
dar
prova
dell'avvenuta
informazione dell'investitore, sul sito
internet, circa la natura, i rischi e
implicazioni delle operazioni stesse, la
cui conoscenza era necessaria per
effettuare
consapevoli
scelte
di
investimento. L'obbligo di informazione
posto a carico dell'intermediario è di
carattere continuativo e non si esaurisce
in occasione della prima operazione, né
risultano a tal fine sufficienti le modalità
informative
standardizzate
che
l'intermediaria abbia procurato mediante
i propri sistemi di trading on line.
Tramite l'internet va altresì anticipata la
comunicazione di eventuali perdite,
effettive o potenziali, pari o superiori al
cinquanta per cento del valore dei mezzi
costituiti a titolo di provvista e garanzia,
derivanti da operazioni in strumenti
derivati e in warrant, disposte per
finalità diverse da quelle di copertura.>>
questione con una frequenza media di 10
operazioni al trimestre nei quattro trimestri
precedenti;
- il valore del portafoglio di strumenti finanziari
del cliente, inclusi i depositi in contante, deve
superare 500.000 EUR;
- il cliente lavora o ha lavorato nel settore
finanziario per almeno un anno in una posizione
professionale che presupponga la conoscenza
delle operazioni o dei servizi previsti.
In caso di persone giuridiche, la valutazione di
cui sopra è condotta con riguardo alla persona
autorizzata ad effettuare operazioni per loro
conto e/o alla persona giuridica medesima.
(228) <<quando, dopo aver effettuato una
valutazione adeguata della competenza,
dell’esperienza e delle conoscenze del cliente,
l’intermediario possa ragionevolmente ritenere,
tenuto conto della natura delle operazioni o dei
servizi previsti, che il cliente sia in grado di
adottare consapevolmente le proprie decisioni
in materia di investimenti e di comprendere i
rischi che assume>> sulla base di una procedura
(All. 3, Sez. II.1).
3.
Meritevolezza
perseguito.
dello
scopo
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___________________________________________________________________________________________________________
I contratti di swaps sono atipici e sono
soggetti al controllo di meritevolezza.
Quando essi hanno una funzione di
copertura di un rischio, vi sono pochi
dubbi sulla loro liceità ai sensi dell’art.
1322, comma 2 c.c.
Più problematiche sono le ipotesi nelle
quali, invece, finalità non è di hedging,
ma di trading. Come si è già detto in
precedenza, il carattere speculativo del
contratto non è esclude la liceità della
causa; non per questo, però, è possibile
accantonare
la
verifica
della
meritevolezza della causa in concreto
ordinanza del Tribunale di Bari del 15
luglio 2010, ricordando, appunto il
recepimento da parte della S.C. della tesi
della causa in concreto (Cass. 8/5/2006
n. 10490, Cass. 11/11/2008, n. 26972 sul
danno non patrimoniale e 18/2/2010, n.
3947 sulla polizza fideiussoria) - pur
negando che la violazione delle regole di
comportamento possa comportare la
deviazione dal tipo sociale sul piano della
causa concreta (per l'indeducibilità delle
regole di validità dalle regole di
comportamento) - ha sancito la nullità di
contratti di swap successivo al primo,
stipulati per incorporare le passività
pregresse, rilevando che il 44,5% del costo
complessivo dell’operazione era collegato
a costi impliciti.(229) Nei limiti di una
pronuncia cautelare, non è l’up front o i
costi impliciti a determinare la nullità ma
la loro rilevante incidenza sulla funzione
di copertura del rischio.
Non sembra però che si possa
escludere la validità di contratti derivati
perché speculativi, considerato anche che
l’art. 23, 5° comma del t.u.f. ora
espressamente
prevede
la
non
applicazione agli strumenti finanziari
derivati dell’eccezione di gioco e di
scommessa prevista.
4. Swaps e ristrutturazione del debito
pubblico degli enti locali.
Un’ indagine conoscitiva condotta nel
2004 dalla Consob ha evidenziato che già
allora erano molto diffusi contratti con
valore di mercato negativo per gli Enti locali
(circa il 70% dei contratti era in perdita),
anche se non era chiaro in che misura ciò
derivasse da rinegoziazioni di precedenti
contratti o piuttosto da nuovi contratti non
par che prevedevano l’incasso di una somma
up front per gli Enti. In sostanza, le
operazioni di rinegoziazione dei contratti
derivati, a seguito di operazioni di
ristrutturazione del debito, prevedono già in
partenza condizioni di sfavore per gli Enti o
implicano l’assunzione di rischi aggiuntivi
che fanno sì che la probabilità che gli Enti
stessi possano effettivamente beneficiare da
tali contratti, in termini di protezione dal
rischio di tasso di interesse, rimane assai
remota(230).
La Legge Finanziaria per il 2009 (art. 3 l.
203/2008), ha riformulato il disposto
dell’art. 62 del D.L. n. 112/2008, abrogando
le precedenti disposizioni relative all’utilizzo
degli strumenti derivati da parte degli Enti
territoriali, e prevedendo che
a) in via regolamentare il Ministero
dell’Economia e delle Finanze, sentite la
Consob e la Banca d’Italia, disciplini la
tipologia dei contratti relativi agli gli
strumenti finanziari derivati previsti dall’art.
1, comma 3 del TUF che gli Enti (incluse le
regioni) possono concludere e le componenti
derivate, implicite o esplicite, che gli stessi
Enti hanno facoltà di prevedere nei contratti
di finanziamento”
b) la nullità dei contratti stipulati in
violazione delle disposizioni contenute
nell’emananda regolamentazione, che può
essere fatta valere solo dall’Ente “al fine di
assicurare la massima trasparenza dei
contratti relativi agli strumenti finanziari
derivati nonché delle clausole relative alle
predette componenti derivate, la medesima
229
Lembo, La rinegoziazione dei contratti
derivati: brevi note sulle problematiche
civilistiche e fallimentari, in Dir. fall., 2005, I,
355 ss.
(230) Consob,Audizione, cit.
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regolamentazione individua anche le
informazioni, rese in lingua italiana, che gli
stessi devono contenere”;
c) il divieto di “stipulare fino all’entrata
in vigore della suddetta regolamentazione, e
comunque per il periodo minimo di un anno
decorrente dall’entrata in vigore del citato
decreto-legge,
contratti
relativi
agli
strumenti finanziari derivati”; a ciò fa
eccezione l’ipotesi della ristrutturazione
del debito, visto che resta ferma <<la
possibilità di ristrutturare il contratto
derivato a seguito di modifica della
passività alla quale il medesimo contratto
è riferito, con la finalità di mantenere la
corrispondenza tra la passività rinegoziata
e la collegata operazione di copertura>>;
d) i regolamenti devono prevedere che
“ai fini della conclusione di un contratto
relativo a strumenti finanziari derivati o
di un contratto di finanziamento che
include una componente derivata, il
soggetto competente alla sottoscrizione
del contratto per l’ente pubblico attesta
per iscritto di avere preso conoscenza
dei rischi e delle caratteristiche dei
medesimi” (art. 62, comma 4, d.l. n.
112/2008);
e) la violazione dell’art. 62 comporta
la nullità di protezione del contratto: “il
contratto relativo a strumenti finanziari
derivati o il contratto di finanziamento
che include una componente derivata,
stipulato dagli enti di cui al comma 2 in
violazione delle disposizioni previste dal
regolamento emanato in attuazione del
comma 3 o privo dell’attestazione di cui
al comma 4, è nullo. La nullità può essere
fatta valere solo dall’ente” (art. 62,
comma 5, d.l. n. 112/2008.
La norma è stata impugnata violazione
dell’art. 117, comma 3 e comma 6 cost.
dalla Regione Veneto, ma
la Corte
costituzionale, sent. 18 febbraio 2010, n.
52,
ha
dichiarato
infondata
la
questione.(231)
I
contratti
in
derivati
hanno
comportato corpose passività per gli enti
«ai mercati finanziari», all'«ordinamento civile»
e al «coordinamento della finanza pubblica»: le
prime due di competenza esclusiva dello Stato
e l'ultima di competenza concorrente. In
applicazione del "criterio della prevalenza" deve
rilevarsi che la finalità principale della
normativa statale in esame sia rappresentata
dalla tutela del risparmio e dei mercati
finanziari, nonché dalla disciplina di rapporti
privatistici e dei connessi rimedi azionabili in
caso
di
violazione
delle
disposizioni
disciplinatrici del settore. La peculiarità del
contenuto della tipologia contrattuale in esame
impone, in questo caso, di risolvere il concorso
delle
plurime
competenze
legislative
riconducibili alle elencazioni contenute nel
secondo e terzo comma dell'art. 117 Cost.
mediante l'inquadramento della normativa
censurata in via prevalente nelle materie dei
mercati finanziari e dell'ordinamento civile, di
esclusiva spettanza del potere legislativo
statale. Ne discende che anche la questione
sollevata in relazione al sesto comma dell'art.
117 Cost. non ha fondamento dato che allo
Stato spetta la potestà regolamentare - senza
alcuna limitazione connessa alla tipologia dei
regolamenti - nelle materie che la stessa
Costituzione attribuisce alla esclusiva potestà
legislativa
statale.
In
ogni
caso,
il
coinvolgimento regionale risulta, nella specie,
assicurato dal novellato comma 3 dell'art.
62Non è fondata, in riferimento agli art. 70 e 77
cost., la q.l.c. dell'art. 62, commi 01, 1, 2 e 3
d.l. 25 giugno 2008 n. 112, conv., con
modificazioni, in l. 6 agosto 2008 n. 133. La
disciplina introdotta con le disposizioni del
censurato art. 62 è diretta a contenere
l'esposizione delle regioni e degli altri enti
locali territoriali a indebitamenti che, per il
rischio che comportano, possono esporre le
rispettive finanze ad accollarsi oneri impropri e
non prevedibili all'atto della stipulazione dei
relativi contratti aventi ad oggetto i cosiddetti
derivati finanziari. Sussistono, pertanto,
oggettivamente le ragioni di straordinarietà e
urgenza che giustificano il ricorso al decretolegge, volto, da un lato, alla disciplina a regime
del fenomeno e, dall'altro, al divieto immediato
per gli enti stessi di ricorrere ai predetti
strumenti finanziari.( Corte costituzionale,
sent. 18 febbraio 2010, n. 52)
(231) Osservando che <<La disciplina dei derivati
finanziari si colloca alla confluenza di un
insieme di materie, vale a dire quelle relative
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locali (232), ed è sorto un contenzioso sia
civile sia penale (es. come nel Caso del
Comune di Milano, che ha portato, oltre
che al rinvio a giudizio di diversi imputati
per i reati di truffa aggravata e falso
ideologico, anche all’emissione di un
decreto di sequestro preventivo nei
confronti di diversi istituti bancari per
oltre 100 milioni di euro), imperniato:
a) sulla esistenza di costi impliciti;
b) sulla elusione degli obblighi
informativi previsti per la conclusione dei
contratti attribuendo all’ente la qualità di
<<operatore qualificato>>.
Nel frattempo i primi procedimenti
hanno
avuto
una
conclusione
e,
soprattutto, opportunamente alcuni enti
pubblici sono intervenuti in autotutela.
Il T.A.R. di Firenze, davanti al quale
sono stati impugnati gli atti di autotutela,
ha recentemente affermato che <<Viola
l'art. 41, comma 2, della l. 28 dicembre
2001, n. 448 per assenza di convenienza
economica un'operazione di "swap" posta
in essere da un ente pubblico nella quale,
al momento della stipulazione, il risultato
differenziale tra le parti non sia eguale a
zero ma comporti uno squilibrio a sfavore
dell'ente.>> (T.A.R. Firenze, Sez. I, 11
novembre 2010, n. 6579, Red. amm.
TAR 2010, 11, dejure.giuffre.it) (233)
(232) C.Conti reg. Campania sez. contr., 25
febbraio 2010, n. 11Riv. corte conti 2010, 1, 9
<<La Sezione osserva che i contratti di "swap"
sottoscritti dal comune di Napoli sino all'anno
2006
prevedevano
una
delegazione
di
pagamento a favore delle banche, circostanza
ritenuta, secondo una corretta interpretazione
della normativa di settore, non legittima;
inoltre, nell'analisi del merito dell'operazione,
pur non trattandosi di estinzione anticipata del
debito con effettivo esborso, ma di
rinegoziazione dei contratti di strumenti
finanziari derivati in materia di gestione del
debito; tuttavia, in tale sede l'onere della
chiusura dei precedenti contratti non può non
riversarsi sulla nuova posizione debitoria e ciò
rammentando che i contratti sostituiti
presentavano un "mark to market" di notevole
entità, operazione, quella del "mark to market",
che si configura come un valore tipico attinente
ai contratti di gestione dei debiti come lo
"swap" con il correlato finanziario che tale
valore non dà luogo ad esborso materiale di
denaro, nel caso di ristrutturazioni di contratti
precedenti, ma comporta inevitabilmente che
l'onere della chiusura si riversa sulla nuova
posizione debitoria. Ancora la Sezione rileva
che la stessa amministrazione, in occasione
della chiusura di precedenti contratti di "swap",
ha preso atto del "mark to market" negativo ed
ha previsto l'incidenza sulle condizioni
contrattuali successive come emerge da una
deliberazione del servizio finanziamenti europei
e finanza innovativa; soluzione però non
satisfattiva permanendo, quale punto critico
nei contratti all'esame l'esistenza di un "collar"
a favore del limite superiore (cap) con la
conseguenza che nel caso che l'euribor salga, i
costi per l'ente sono maggiori rispetto ai
vantaggi derivanti da una quotazione dell'
"euribor"
in
ribasso
dovendosi
allora
aggiuntivamente considerare che, atteso che
dopo il 2023 viene prevista una quota maggiore
per rimborso del capitale appare fondato
ritenere che il Comune abbia operato la scelta
di rinviare ai futuri bilanci maggiori oneri.>>
(233) La Provincia di Pisa ha indetto una gara
ufficiosa per individuare uno o più intermediari
finanziari con i quali perfezionare un'operazione
di ristrutturazione del proprio debito. La gara è
stata vinta dalle società Dexia Crediop s.p.a. e
Depfa Bank PLC riunite in associazione
temporanea di imprese. L'operazione si è
concretizzata nell'emissione di un prestito
obbligazionario al tasso variabile Euribor
maggiorato dello spread indicato nell'offerta di
gara, per un importo di 95.494.000; la Provincia
ha poi perfezionato due operazioni in derivati di
copertura dal rischio di tasso, finalizzate a
garantire che il livello dei tassi d'interesse da
corrispondere fosse oscillante all'interno di un
minimo ed un massimo prestabiliti. La Provincia
di Pisa ha poi annullato la procedura poiché
sarebbero stati violati l'art. 41 l. 28 dicembre
2001 n. 448 e l'art. 3 della circolare ministeriale
27 maggio 2004 a causa di costi impliciti
dell'operazione non dichiarati dalle ricorrenti.
Tali provvedimenti sono stati impugnati con i
gravami epigrafati, notificati il 9 ottobre 2009 e
depositati il 19 ottobre 2009, per violazione di
legge ed eccesso di potere sotto diversi profili.
Si é costituita la Provincia di Pisa chiedendo la
reiezione dei ricorsi.
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Spesso è accaduto che proprio
l’attribuzione di una somma iniziale abbia
invogliato gli enti alla conclusione del
derivato. Il Tribunale di Bologna, 14
dicembre 2009, però, ha affermato che
nell’IRS, la clausola up front, non
comporta una funzione di finanziamento
del contratto; l’attribuzione di liquidità
non è equiparabile ad un <<credito a
restituirsi>> e non trasforma la causa,
assimilandola
al
mutuo,
restando
prevalente la funzione di scambio di tassi
di interessi.
La conclusione è stata oggetto di
critiche(234); si è osservato che quando i
contratti derivati sono gravati da oneri
divenuti insopportabili per il cliente e
sono
"rinegoziati”
mediante
corresponsione a titolo di up front da
parte della Banca al cliente di importo
pari al mark to market di chiusura del
contratto <<in maniera tale da perseguire
l'obiettivo di (quantomeno) recuperare
con una certa remunerazione l'importo
erogato a titolo up front (…) pare davvero
difficile
escludere
la
natura
di
finanziamento dell'up front riconosciuto al
cliente, né rileverebbe, al riguardo,
eccepire il carattere eventuale della
prestazione restitutoria del cliente (in
qualche modo connessa alle assunzioni
previsionali supposte dall'IRS rinegoziato),
visto e considerato che la natura di
finanziamento dell'erogazione di somme
appare compatibile con il carattere
incerto della restituzione (cfr., ad es., la
fattispecie del mutuo sub condicione, su
cui Cass. civ. sez. I n° 13168/2005)>>.
La decisione del Tribunale di Bologna è
intervenuta
anche
sul
tema
dell’<<operatore
qualificato>>,
affermando che Il Comune il cui dirigente
abilitato rilascia la dichiarazione ex art.
31
reg.
intermediari
può
essere
considerato come operatore qualificato,
perché è noto che il Comune ha
competenza finanziaria perché dispone di
complesse strutture ragioneristiche ed
effettua operazioni finanziarie complesse
come
l’emissione
di
strumenti
obbligazionari e la partecipazione al
capitale azionario.
In senso contrario si è pronunciato il
Tribunale di Rimini (sentenza 12.10.2010),
il quale ha escluso la validità della
dichiarazione
consistente
nella
competenza maturata in virtù dell’ausilio
di un advisor essendo il contratto di
consulenza stato concluso solo 7 giorni
prima dell’operazione in derivati, fatto
noto alla controparte, appartenendo il
consulente al medesimo gruppo bancario
della controparte contrattuale. Vista
l’inefficacia di tale dichiarazione, il
Tribunale, ha altresì considerato che il
contratto era stato stipulato presso la
sede del Comune e, quindi, esso doveva
contenere l’informativa riguardante il
diritto di recesso, con conseguente nullità
derivante dalla qua omissione ex art. 30
del d.lgs. n. 58 del 1998.
La questione è rilevante in quanto i
Comuni spesso si sono avvalsi di advisors
riconducibili agli stessi gruppi bancari con
Nel caso di specie il contratto era stato
stipulato il 4 luglio 2007 per la copertura del
rischio derivante dalla fluttuazione dei tassi
relativi ad un bond (capitale nozionale) emesso
dalla Provincia il 28 giugno 2007, e il
differenziale sarebbe stato calcolato sulle
oscillazioni dell'Euribor. La scadenza delle rate
tra i contraenti era stabilita a sei mesi. La
Provincia intimata e le ricorrenti avevano anche
stabilito che l'oscillazione sulla quale calcolare
il differenziale venisse contenuta entro
determinati limiti, in modo che se l'Euribor
fosse salito oltre il 5,99% (cap), la differenza
sarebbe rimasta a carico delle banche; se
invece fosse sceso il 4,64% (floor), la Provincia
avrebbe comunque continuato a pagare detto
tasso.(T.A.R. Firenze, 11 novembre 2010, n.
6579,
Red.
amm.
TAR 2010, 11,
dejure.giuffre.it).
(234) ZAMAGNI, CEDRINI, La clausola "up front"
non cambierebbe l'inquadramento dello "swap"
in mutuo, parola di Tribunale. E anche i piccoli
Comuni erano abilitati... al rischio di
sovraindebitarsi, in Diritto e Giustizia, 2010,
0, 75 s.
127
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cui hanno concluso operazioni in derivati
per il ripianamento di passività, talvolta
concludendo contratti non soggetti alla
legge italiana, ma di altri stati europei.
Verona 01 aprile 2008 , sempre su il
caso.it).
5. Provvedimenti cautelari in materia
di derivati.
Il carattere puramente finanziario dei
contratti derivati porterebbe ad escludere
la tutela cautelare del cliente per difetto
di periculum in mora.
In realtà, la centralità di questi
contratti nell’equilibrio finanziario delle
imprese
e
le
conseguenze
degli
inadempimenti per le segnalazioni alla
Centrale dei rischi, con conseguenti
ricadute rilevanti nella sua esposizione e
debitoria e sul merito creditizio, e la
possibile rinuncia o rescissione dei
contratti
in
corso,
può
portare
all’accoglimento anche di domande
cautelari.
E’ stata di recente, riconosciuto,
infatti, in più di una occasione il
periculum
in
mora
derivante
dall’esecuzione di un contratto di Interest
Rate Swap quando è prevedibile
l’andamento negativo dello stesso,
quando
esso
può
comportare
il
superamento del fido, la segnalazione alla
Centrale dei rischi, la revoca dei contratti
commerciali in corso (Tribunale di
Catanzaro, 30 novembre 2010, Tribunale
di Catanzaro, 17 dicembre 2009, il
caso.it), Tribunale Bari 15 luglio 2010 , il
caso.it ,che segnala anche la perdita del
merito creditizio). In tali casi il giudice
adito, quando è stata prospettata una
domanda di nullità o di inefficacia delle
obbligazioni assunte con l’IRS, ha
dichiarato la sospensione dell’efficacia di
tali obbligazioni (Tribunale di Catanzaro,
30 novembre 2010) , o il divieto di
addebito sul conto corrente delle passività
derivati dal contratto stesso (Tribunale
Bari 15 luglio 2010) 235, v. anche Tribunale
Pasquale Serrao d’Aquino
volto a conseguire un provvedimento a
carattere anticipatorio rispetto al "petitum" di
merito, di inibitoria dell'esecuzione di addebiti
per effetto di contratti di swap sui conti
correnti intrattenuti con la banca e della
segnalazione alla Centrale rischi della Banca
d'Italia, laddove sussista il "fumus" - ravvisabile
nella nullità dei predetti contratti per
mancanza di causa, ed alla conseguente azione
di ripetizione - ed il "periculum in mora",
ravvisabile nell'irreparabilità del pregiudizio
denunciato,
avente
ad
oggetto
il
soddisfacimento di un preteso credito della
controparte, le cui conseguenze non appaiono
riparabili patrimonialmente, tenuto conto che
vi sarebbe uno scarto non colmabile fra danno
subito e danno risarcibile, avuto riguardo agli
effetti negativi di uno sconfinamento e della
perdita del merito creditizio per la stessa
esistenza
di
un'attività
imprenditoriale
esercitata dalla ricorrente, già in situazione di
difficoltà secondo quanto emerge dall'ultimo
bilancio sociale approvato.
(235)
Tribunale Bari sez. IV, 15 luglio
2010:<<Va accolto il ricorso ex art. 700, c.p.c.,
128
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PROVVEDIMENTI
INTERESSE
GIUDIZIARI
effettuata, in ordine alla quale il giudice,
ai sensi dell'art. 152, comma 12, può
provvedere anche in deroga al divieto di
cui all'art. 4 l. 20 marzo 1865 n. 2248, all.
E.
DI
Segnalazioni alla Centrale dei rischi.
Autorità: Cassazione civile sez. I
Data:
01
aprile
2009
Numero:
n.
7958
Parti: G.E. C. Banca d'Italia e altro
Fonti:
Giust.
civ.
Mass. 2009, 4, 561, Resp.
civ.
e
prev. 2010, 5, 1095 (s.m.) (nota
di:
BOLOGNINI)
Testo
Persona fisica e diritti
della
personalità - Riservatezza - Centrale dei
rischi - Disciplina generale in tema di
trattamento dei dati personali Applicabilità
Conseguenze
Segnalazione erronea - Responsabilità
civile
della
Banca
d'Italia
Configurabilità - Legittimazione passiva
in ordine all'azione ex art. 152 del d.lg.
n. 196 del 2003 - Sussistenza - Rettifica
o cancellazione - Ammissibilità
Nella gestione della Centrale dei
rischi, la Banca d'Italia non si sottrae alla
disciplina generale in tema di trattamento
dei dati personali, dettata dal d.lg. 3
giugno 2003 n. 196, in quanto la
riconducibilità
di
tale
trattamento
all'ipotesi prevista dall'art. 8, comma 2,
lett. d, del d.lg. cit. esclude soltanto
l'applicabilità della tutela amministrativa
e di quella alternativa alla tutela
giurisdizionale, ma non anche di quella
giurisdizionale prevista dall'art. 152 e di
quella dinanzi al Garante nelle forme
previste dall'art. 141, lett. a) e b): è
pertanto configurabile una responsabilità
civile della Banca d'Italia in relazione ai
danni cagionati dal predetto trattamento,
ai sensi dell'art. 11 del d.lg. cit., con la
conseguenza che spetta alla medesima
Banca la legittimazione passiva in ordine
all'azione proposta dall'interessato per
ottenere la rettifica o la cancellazione
della
segnalazione
erroneamente
Autorità: Tribunale Trani sez. I
Data:
12
settembre
2008
Numero:
Parti:
Fonti: Giurisprudenzabarese.it 2008
Classificazione
TITOLI DI CREDITO Assegno bancario
a vuoto aggravanti
Testo
A differenza della disciplina esistente
in tema di Centrale Rischi presso la Banca
ddItalia, quella dettata in materia di
emissione di assegni senza provvista è
dettagliatamente descrittiva dei doveri e
delle cadenze temporali, indifferibili, del
trattario, sul quale anzi, nell'ipotesi di
ritardata
iscrizione
nell'archivio
informatico dei protesti gravano le
responsabilità previste dall'art. 10 della l.
n. 386 del 1990, come modificata dal
D.lg. n. 507 del 1999. La lettera della
normativa non lascia spazio alla banca ad
alcuna discrezionalità, e ddaltronde ciò si
spiega alla luce del quadro complessivo
normativo,
che
partendo
dalla
depenalizzazione degli assegni bancari
emessi senza autorizzazione o provvista,
ha previsto llapplicazione di sanzioni
amministrative, anche queste evitabili per
la sola ipotesi di mancanza di provvista,
purché il traente rispetti i tempi dettati
per il pagamento e la messa a disposizione
delle relative prove.
Autorità: Cassazione civile sez. I
Data:
24
maggio
2010
Numero:
n.
12626
Parti: Soc. Imarfa C. Banca Carime
Fonti:
Guida
al
diritto 2010, 3334, 67 (s.m.)
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Classificazione
BANCA (Istituti di credito) Banca
d'Italia
Il giudice dott. Pasquale Serrao
d’Aquino,
letti gli atti;
OSSERVA
Il ricorrente ha chiesto, ex art. 700
c.p.c., ordinarsi ai resistenti _________e
Camera di commercio di Napoli:
1. la sospensione e la cancellazione
dei protesti elevati in danno della ditta
individuale ______________________,
2. la cancellazione della segnalazione
alla CAI,
atti entrambi ritenuti illegittimi per la
mancata comunicazione dell’avviso ex
art. 9 bis l. 386 del 1990.
La banca indica di aver regolarmente
effettuato la notifica al domicilio eletto e
la necessità di rispettare i tempi di
segnalazione previsti per legge.
La Camera di Commercio, Industria,
Artigianato ed Agricoltura di Napoli di
Napoli resistente ha evidenziato che l’art.
4 della legge n. 77 del 1995, come
sostituito dall’art, 2,comma 1 della legge
n. 235 del 2000, prevede il ricorso al
Giudice di Pace avverso la reiezione o la
mancata decisione del Presidente del
responsabile dirigente dell’ufficio protesti
della C.C.I.A.A. sulla richiesta di
cancellazione del protesto illegittimo o
erroneo.
Ha, quindi, eccepito:
• il difetto di residualità del rimedio
esperito;
• il difetto di legittimazione passiva,
dovuto al fatto che essa è mera
destinataria materiale di una eventuale
pronuncia del giudice.
1. Domanda di sospensione o
cancellazione della pubblicazione del
protesto.
Le eccezioni della Camera di
Commercio presuppongono logicamente
che sia ammissibile la procedura
amministrativa descritta anche nel caso
degli assegni bancari e che la stessa
esclude la tutela cautelare o, al limite, ne
Testo
La segnalazione di una posizione in
sofferenza presso la centrale rischi della
Banca ddItalia, secondo le istruzioni del
predetto istituto, lungi dal poter
discendere dalla sola analisi dello
specifico o degli specifici rapporti in corso
di svolgimento tra la singola banca
segnalante e il cliente, implica una
valutazione della complessiva situazione
patrimoniale di questo ultimo, ovvero del
debitore di cui alla diagnosi di sofferenza.
L’accostamento che tali istruzioni hanno
inteso stabilire tra stato di insolvenza
(anche non accertato giudizialmente) e
situazione sostanzialmente equiparabili,
inducono a preferire quelle ricostruzioni
che, oggettivamente gemmate dalla
piattaforma di cui all'art. 5 l. fall., hanno
tuttavia
proposto,
ai
fini
della
segnalazione, una nozione "levior" rispetto
a quella della insolvenza fallimentare,
così da concepire lo stato di insolvenza e
le situazioni equiparabili in termini di
valutazione negativa di una situazione
patrimoniale apprezzata come deficitaria,
ovvero - in buona sostanza - di grave (e
non transitoria) difficoltà economica,
senza - cioè - fare necessario riferimento
all'insolvenza intesa quale situazione di
incapienza,
ovvero
di
definitiva
irrecuperabilità. Conclusivamente, ciò che
rileva è la situazione oggettiva di
incapacità finanziaria (incapacità non
transitoria di adempiere alle obbligazioni
assunte) mentre nessun rilievo assume la
manifestazione di volontà di non
adempimento, se giustificata da una seria
contestazione sulla esistenza del titolo del
credito vantato dalla banca.
Domanda
di
cancellazione
sospensione di protesto.
o
Tribunale di Napoli
III Sezione Civile
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condizioni l’ammissibilità al suo previo
esperimento.
L’art. 4, comma 1 della legge n. 77 del
1995, attuale formulazione, regolando la
cancellazione a seguito di pagamento
tardivo del capitale ed accessi, menziona
esclusivamente la cambiale ed il vaglia
cambiario e non l’assegno bancario.
Non vi è dubbio che tale norma non
trovi applicazione anche per l’assegno
bancario, così come chiarito anche dalla
Corte Costituzionale la quale, con la
sentenza di rigetto n. 70 del 2003 (poi
ribadita dall’ordinanza di inammissibilità
n. 84 del 2004), ha rimarcato la non
irragionevolezza dell’esclusione degli
assegni bancari da tale previsione.
Richiamando tali pronunce il Tribunale
di Nola ha escluso l’applicabilità della
procedura di cui all’art. 4 alla
cancellazione
dell’assegno
illegittimamente protestato (ord. del
17.02.2006), così come era stata esclusa
da altri tribunali di merito (Tribunale di
Foggia, 5 febbraio 2004, in Giur. Merito,
2004, p. 914) e da parte della dottrina.
Questo Giudice, ritiene, al contrario,
che possa giungersi ad una diversa
conclusione. Sembra, infatti, non corretto
estendere le conclusioni a cui si può e si
deve giungere in relazione alla fattispecie
di cui all’art. 4, comma 1 alla diversa
ipotesi prevista dall’art. 4, comma 2. Nel
primo caso viene regolata la cancellazione
del protesto a seguito di ravvedimento
operoso, ovvero del pagamento tardivo
del capitale e degli accessori; nel secondo
caso, invece, si chiede la cancellazione
del protesto erroneo o illegittimo.
La Corte Costituzionale, come può
evincersi dalla sentenza e dall’ordinanza
citate, è stata chiamata, appunto, a
valutare una ritenuta disparità di
trattamento
tra
il
“ravvedimento
operoso” avente ad oggetto la cambiale o
il vaglia cambiario e quello avente ad
oggetto l’assegno, ritenendo infondata la
questione sulla base di una persistente
non omogeneità normativa e funzionale
tra assegno e cambiale. E’ sufficiente
mettere in evidenza che cosa ben diversa
è non onorare quanto previsto in uno
strumento di credito, quale la cambiale,
rispetto all’insolvenza di un assegno, che
costituisce,
invece,
strumento
di
pagamento e determina un affidamento
nel prenditore sull’esistenza dei fondi.
Come può evincersi da una lettura della
sentenza n. 70 del 2003, la Consulta
sofferma la sua analisi solo sul primo
comma dell’art. 4: è tale norma, nella
sua inapplicabilità all’assegno bancario,
ad essere sospettata di incostituzionalità
da parte dei giudici emittenti sulla base di
argomentazioni ritenute infondate da
parte del Giudice delle Leggi.
Con un esame attento dell’art. 4 può
notarsi come né il tenore letterale
dell’art. 4, comma 2, né il suo aspetto
funzionale consentono una perfetta
sovrapposizione delle due norme, e
questo per diverse ragioni. Innanzitutto, il
capoverso dell’art. 4, ed anche la
disciplina successiva, diversamente dal
comma 1, non effettuano un riferimento
alla cambiale ed al vaglia cambiario. Non
è senza rilievo, sul punto, che anche i
commi successivi dell’art. 4 nel regolare
la procedura applicabile tanto alle ipotesi
di cui al comma 1, quanto a quelle di cui
al comma 2, non contengano alcun
riferimento alla cambiale ed al pagherò
cambiario. E’ appena il caso di notare,
poi, che la legge n. 77 del 1955 è
denominata “Pubblicazione dei protesti
cambiari”, ma regola i protesti anche
degli
assegni
cambiari.
L’omessa
menzione degli assegni (come anche delle
cambiali), nel comma 2 dell’art. 4, anche
se non costituisce argomento decisivo per
ritenere la norma applicabile anche agli
assegni bancari, di certo non è dirimente
per
accedere
alla
tesi
opposta.
Quest’ultimo rilievo, poi, contribuisce a
negare qualsiasi rilevanza al fatto che
l’allegato all’art. 4 contenente un
modello di richiesta di cancellazione dal
registro informatico dei protesti contiene
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dell’inapplicabilità dell’art. 4, comma 2
alle ipotesi, come quella di apocrifia della
sottoscrizione, che non potrebbero essere
oggetto
di
accertamenti
in
sede
amministrativa; in proposito la Corte di
Cassazione a Sezioni Unite, prima della
riforma legislativa dell’art 4, aveva
ritenuto ammissibile la procedura ex art.
700 e sussistente la giurisdizione
dell’A.G.O. in considerazione della natura
meramente
materiale,
e
non
amministrativa della pubblicazione dei
protesti).
Difetto di residualità della tutela
cautelare.
L’esistenza della procedura prevista
dall’art. 4, tuttavia, diversamente da
quanto sostenuto dalle resistenti non
determina
l’inammissibilità
della
procedura di urgenza: l’azione per cui è
competente il giudice di pace, infatti, è
comunque un’azione di merito e,
pertanto, non esclude la necessità di una
tutela cautelare prima o durante il
giudizio di merito. La proposizione
dell’istanza al responsabile dell’ufficio
protesti della C.C.I.A.A. costituisce una
condizione di procedibilità del giudizio di
merito, ma non di astratta esperibilità
della tutela cautelare.
Tuttavia, come già rilevato di recente
da questo medesimo Tribunale, III Sezione
(8 aprile 2010), <<parte della dottrina e
un settore della stessa giurisprudenza di
merito (Trib. Udine 13 febbraio 2002; in
termini, sia pure implicitamente Trib.
Napoli, 13 febbraio 2001, in Giur. Merito,
2001,I, 626) ritengono che non possa
ritenersi proponibile immediatamente
dinanzi al giudice ordinario, ai sensi
dell'art. 700 c.p.c., in sede cautelare,
l'istanza
di
cancellazione
della
pubblicazione di un protesto illegittimo,
giacché
la
cancellazione
va
preventivamente richiesta al Presidente
(rectius: dirigente responsabile dell'ufficio
protesti) della Camera di commercio,
organo investito in tema di pubblicazione
degli elenchi dei protesti di potestà
il riferimento ai titoli cambiari e non
anche agli assegni. Basta considerare che
molte Camere di Commercio forniscono
modelli per la cancellazione dei protesti
nei quali, nei casi di cui al comma 2 vi è
la generica indicazione di “titoli”.
Inoltre, a fronte di un’illegittimità o
erroneità nella levata del protesto, alcuna
differenza appare rivestire la qualità del
titolo di credito al quale esso fa
riferimento, non apparendo configurabile
alcuna rilevanza della diversità funzionale
tra cambiale ed assegno. Nel comma 1
non ci si duole dell’atto di protesto, ma si
chiede di cancellarne gli effetti per
effetto di un ravvedimento successivo; nel
secondo comma si chiede di ovviare ad un
errore del protesto stesso.
Di particolare importanza, ancora, è la
distinzione tra i soggetti legittimati
all’istanza: per il pagamento tardivo, il
solo debitore; per l’illegittimità o
erroneità del protesto, chiunque vi abbia
interesse, oltre che lo stesso pubblico
ufficiale che ha redatto il protesto. La
previsione appare logica, in quanto il
pagamento tardivo è atto del debitore
cambiario il quale, dopo l’adempimento,
chiede anche la cancellazione della
pubblicità negativa conseguente al
protesto del titolo. Nel secondo caso,
invece, può essere lo stesso pubblico
ufficiale che intende ovviare ad un
proprio errore; può trattarsi del debitore
danneggiato dall’errore; oppure può
anche trattarsi di un terzo (come nel caso
di specie ove l’ex socio accomandatario
lamenta l’erroneo inserimento del suo
nominativo nell’atto di protesto).
In conclusione, sussistono ad un esame
compiuto del testo normativo induce a
ritenere applicabile la procedura di cui
all’art. 4,comma 2 l. n. 77 del 1955 anche
agli assegni. Esula dal presente giudizio,
ove si discute dell’erroneità letterale
dell’atto di protesto, la diversa questione,
accennata dalla giurisprudenza di merito
(Tribunale di Foggia, 11 febbraio 2003, in
Giur.
Merito,
2004,
p.
914),
132
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amministrativa ad esso riservata e non più
riconducibile
a
mera
operazione
materiale.
Secondo
tali
indirizzi
lascerebbero propendere per questa
soluzione il carattere necessariamente
prodromico della fase amministrativa e la
circostanza
che
un
provvedimento
cautelare
adottato
prima
della
presentazione dell'istanza al suddetto
dirigente responsabile della Camera di
commercio non risulterebbe strumentale
ad un giudizio di merito, assolutamente
eventuale, bensì alla decisione adottata
dall'organo amministrativo(Trib. Vallo
della Lucania, 17 maggio 2004).>>
La citata decisione del Tribunale di
Napoli, III Sezione (8 aprile 2010),
sottolinea che va <<rimarcato in proposito
che
gli
orientamenti
favorevoli
all'ammissibilità della indicata tutela
cautelare possono risultare plausibili
qualora il petitum dello strumento
urgente si identifichi con la richiesta di
sospensione della pubblicazione ritenuta
erronea od illegittima, mentre desta
perplessità l'indirizzo che propone una
visione più ampia dell'esercitabilità di
siffatta tutela fino ad inglobare in essa
anche la possibilità dell'ottenimento, in
via d'urgenza, di una pronuncia che
comporti direttamente l'effetto della
cancellazione del protesto (in quanto
illegittimo od erroneo), al quale è
preposto un procedimento ad hoc
normativamente
predeterminato
(ancorché di tipo amministrativo) rispetto
al quale potrebbe venirsi a configurare un
problema di sovrapposizione, collidente
con
il
necessario
requisito
della
residualità (o sussidiarietà) che, come è
noto,
caratterizza
il
procedimento
previsto dall'art. 700 del codice di rito.
In altri termini, il procedimento ex
art. 700 c.p.c. - alla stregua anche
dell'attuale quadro normativo - non
sembra poter essere finalizzato (né per
cambiali
né
per
assegni)
alla
cancellazione del protesto, mentre esso si
profila ammissibile (per ambedue le
categorie di titoli) qualora il ricorso abbia
ad oggetto la sospensione (degli effetti)
del protesto ed a prescindere dal
preventivo
esperimento
dell'iter
amministrativo
precedentemente
descritto; è scontato che all'esito
favorevole del successivo giudizio di
merito non potrebbe che conseguire la
cancellazione, ma questa, tuttavia, non è
altro che la naturale consecutio logica di
quella domanda cautelare, mediante la
quale
il
diritto
dell'interessato,
sussistendo le condizioni di legge, trova il
suo pieno e definitivo soddisfacimento
(incompatibile, in quanto tale, con una
pronuncia
anticipatoria
di
tipo
cautelare).>>
Orbene,
questo
giudice
ritiene
condivisile tali conclusioni, ma per ragioni
in parte diverse.
La tutela cautelare è indirizzata ad
assicurare
l’effettività
dell’azione
giudiziaria. Per tale motivo la Corte
Costituzionale (Sentenza del 30 novembre
2007, n. 403) ha dichiarato non fondata la
questione
di
incostituzionalità
del
tentativo obbligatorio di conciliazione
previsto dall'art. 1 comma 11, della legge
31/7/1997, n. 249, censurato, in
riferimento all'art. 24, co., Cost., se
esteso alla tutela cautelare, affermando
che tale << assunto risulta privo di
fondamento alla luce degli orientamenti
espressi
dalla
giurisprudenza
costituzionale in tema di tentativo
obbligatorio di conciliazione e di tutela
cautelare. Occorre, infatti, considerare
che questa Corte ha affermato che quanto
stabilito dall'art. 412-bis del codice di
procedura civile, con riferimento alla
disciplina delle controversie di lavoro,
secondo cui il mancato espletamento del
prescritto tentativo di conciliazione non
preclude la concessione di provvedimenti
cautelari, deve essere inteso nel senso
che <<un istituto di generale applicazione
in ogni controversia di lavoro (il tentativo
obbligatorio di conciliazione) si arresta in
presenza
di
un'istanza
cautelare,
133
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ed effettiva della situazione giuridica
violata non può essere condizionata
dall’ammissibilità
del
ricorso
amministrativo. Quest’ultimo, quindi, non
è, ad avviso di questo giudice, condizione
di ammissibilità della tutela cautelare.
E’ condivisile, invece, la conclusione
dell’ammissibilità
della
domanda
cautelare alla sola sospensione del
protesto,
con
esclusione
della
cancellazione. Quest’ultimo, infatti, è
provvedimento sostanzialmente definitivo
che comporterebbe una
successiva
iscrizione del protesto in caso di
inefficacia o revoca del provvedimento
cautelare; il provvedimento cautelare
esaurirebbe
la
tutela
conseguibile
attraverso il giudizio di merito, con
problematiche in parte assimilabili –
anche se ben più gravi – assimilabili alla
domanda di cancellazione di altre
iscrizioni (iscrizione di ipoteca, per la
quale però vi è un espresso riferimento al
giudicato, la trascrizione della domanda
giudiziale, cfr. in tal senso anche Cass. 16
gennaio 1986, n. 251, in Nuova giur. civ.
comm., 1986, 483, e secondo cui
l'ordinanza che dispone la cancellazione
della trascrizione della domanda è da
considerarsi in netto contrasto con il
connotato più tipico dei provvedimenti di
urgenza ex art. 700, quello che lo
accomuna
agli
altri
provvedimenti
cautelari dello stesso Capo III, cioè la
provvisorietà, e, producendo effetti
irreversibili, spezza quel legame di
strumentalità che il provvedimento di
urgenza deve avere con quello di
cognizione ordinaria e assume i caratteri
di un provvedimento abnorme).>>
La
cancellazione,
quindi,
è
provvedimento
demandabile
esclusivamente il giudizio di merito,
trattandosi di un facere che assume
carattere definitivo. Ne consegue che la
domanda è in parte qua inammissibile.
Non portano a conclusioni diverse le
modifiche intervenute in tema di giudizi
cautelari ed, in particolare, il fatto che il
prevalendo - sulle altre perseguite dal
legislatore - le esigenze proprie della
tutela cautelare>> (sentenza n. 199 del
2003). In termini più generali, questa
Corte ha inoltre riconosciuto, sia pure
incidentalmente, che, per i procedimenti
cautelari, <<l'esclusione dalla soggezione
al tentativo di conciliazione si correla alla
stessa strumentalità della giurisdizione
cautelare>> (sentenza n. 276 del 2000)
rispetto alla effettività della tutela
dinanzi al giudice ripetutamente ribadita
da questa Corte (sentenza n. 336 del
1998; ma si vedano anche le sentenze n.
199 del 2003, n. 165 del 2000, n. 161 del
2000, n. 190 del 1985 e le ordinanze n.
179 del 2002, n. 217 del 2000).La tutela
cautelare, infatti, in quanto preordinata
ad assicurare l'effettività della tutela
giurisdizionale, in particolare a non
lasciare vanificato l'accertamento del
diritto, è uno strumento fondamentale e
inerente a qualsiasi sistema processuale
(sentenza n. 190 del 1985), anche
indipendentemente da una previsione
espressa (Corte di giustizia delle Comunità
Europee, sentenza del 19 giugno 1990,
causa C-213/89, Factortame). (…) si deve,
quindi,
interpretare
la
predetta
disposizione nel senso che il mancato
espletamento del prescritto tentativo di
conciliazione non preclude la concessione
di provvedimenti cautelari. Tale opzione
interpretativa - che obbedisce al
principio,
espresso
anche
dalla
giurisprudenza di legittimità, secondo il
quale le disposizioni che prevedono
condizioni di procedibilità, costituendo
deroga alla disciplina generale, devono
essere interpretate in senso non
estensivo.>>
La
diversità
della
procedura
prodromica all’azione giudiziale (nel caso
di
specie
si
tratta
di
ricorso
amministrativo e non di tentativo di
conciliazione), non esclude che i principi
di effettività dell’azione giudiziale
abbiano la medesima valenza: il diritto ad
ottenere una tutela giudiziale immediata
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Il contenzioso bancario e degli intermediari finanziari
Pasquale Serrao d’Aquino
Consiglio Superiore della Magistratura - 9° Commissione – Tirocinio e Formazione Professionale
Incontro di studio in materia civile riservato ai magistrati nominati con D.M. 2/10/2009.
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provvedimento ex art. 700 c.p.c. non ha
più
un
carattere
necessariamente
provvisorio in quanto può essere
scollegato rispetto ad un successivo
giudizio di merito e, così come gli altri
provvedimenti cautelari, conserva la sua
efficacia in caso di estinzione del giudizio
di merito. Tali modifiche hanno fatto
discutere di una provvisorietà attenuata
del giudizio cautelare; tuttavia, mentre la
sentenza ha un’attitudine “naturale” a
divenire definitiva, contro la volontà della
parte soccombente qualora non venga
riformata (così come anche il decreto
ingiuntivo, che diviene definitivo anche
quando l’opposizione è rigettata) il nuovo
provvedimento cautelare anticipatorio
diviene definitivo solo se una delle parti
non inizia il giudizio di merito,
conservando, quindi, una provvisorietà
che viene a mancare solo eventualmente,
per effetto dell’inerzia delle parti e con
efficacia limitata a quel processo (la sua
autorità, infatti, non è invocabile in un
diverso processo.)
Per i motivi sopra espressi è
astrattamente ammissibile la domanda
cautelare volta ad ottenere la sospensione
della pubblicazione del protesto, ma non
la sua cancellazione.
Legittimazione passiva della Camera di
Commercio.
Dalla
possibilità di esperire la
procedura di cui all’art. 4, comma 2 l. n.
77 del 1995 deriva la qualità di
legittimato passivo della C.C.II.AA.; non
appare revocabile in dubbio il fatto che
sia la C.C.II.AA. ad effettuare la
cancellazione del protesto dal registro
informatico, sia quest’ultima a dover
essere destinataria di un eventuale ordine
del giudice (da ultimo, Cass. Sez. Unite,
Sentenza n. 4464 del 25/02/2009 (Rv.
606666).
Fumus boni iuris e periculum in mora
della domanda di cancellazione o
sospensione della pubblicazione del
protesto.
Orbene, in concreto, la fondatezza
della domanda cautelare di sospensione e
di cancellazione del protesto non risulta
dimostrata
in
quanto
l’omessa
comunicazione ex art. 9 bis l. 386 del
1990 non è funzionale alla pubblicazione
del protesto, ma alla segnalazione alla
Centrale di Allarme Interbancaria (CAI).
Sebbene la parte attrice si dolga dei
lunghi
tempi
necessari
per
la
cancellazione dall’elenco dei protestati
prevista dalla legge 235 del 2000 ed il
danno conseguente ad una giovane ditta
individuale connesso all’impossibilità di
emettere assegni in pagamento, non
evidenzia
ragioni
specifiche
dell’illegittimità del protesto relativo al
primo assegno, avvenuto per mancanza di
provvista. E’ evidente, quindi, il difetto di
fumus boni iuris.
Segnalazione alla Centrale di Allarme
Interbancaria .
La comunicazione successiva ex art. 9,
invece, riguarda la sola segnalazione alla
CAI.
Sul punto va evidenziato che la lettera
che la banca ha inviato, effettivamente,
al
domicilio
eletto
mediante
raccomandata a.r., è stata ricevuta da
persona priva di qualsiasi legame con il
correntista ricorrente, come risulta dallo
stesso avviso di ricezione.
Orbene, se è vero che il correntista
non può dolersi della spedizione al
domicilio
prescelto
qualora
abbia
modificato la residenza o il centro dei
propri interessi senza comunicarlo alla
banca,
è
altresì
vero
che
la
comunicazione
deve
raggiungere
il
destinatario o persona allo stesso
collegata (familiare convivente, addetto
alla ricezione, portiere), oppure essere
impossibile per irreperibilità, in questo
caso gravando sul destinatario le
conseguenze dell’omessa comunicazione.
Al contrario, la ricezione da parte di
persona per la quale non risulta indicato
né dimostrato un legame con il
destinatario, mina ogni possibilità di
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Pasquale Serrao d’Aquino
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conoscenza dell’atto, senza che ciò sia
dovuto ad alcuna negligenza del
destinatario stesso.
Ne consegue, allo stato, l’esistenza del
fumus boni iuris dell’illegittimità della
segnalazione,
che
presuppone
necessariamente il preventivo avviso ex
art. 9bis.
Sussiste, a riguardo anche il periculum
in mora. La reputazione economica
dell’imprenditore è uno dei fattori
dell’avviamento, consente di mantenere
ed incrementare fornitori, affidamenti
bancari,
clientela.
Il
discredito
commerciale derivante dalle informazioni
può portare sia ad una rottura delle
relazioni commerciali in atto sia alla
perdita di nuove opportunità: sia che si
tratti di danno emergente che di lucro
cessante o, se si vuole, di vera propria
perdita
di
chances
commerciali
(opportunità economiche già sviluppate e
quelle ancora da sfruttarsi), comunque il
pregiudizio è di carattere patrimoniale.
L’allegazione della natura di imprenditore
del ricorrente, quindi, appare sufficiente
a rendere probabile che egli possa subire
un
pregiudizio
irreparabile
dalla
segnalazione, con conseguenti restrizioni
nell’accesso al credito e nei pagamenti,
dovendo ritenersi puramente eventuale la
possibilità che egli operi senza relazioni
commerciali con banche , mediante l’uso
esclusivamente di contanti.
Spese del giudizio cautelare.
Il
rigetto
della
domanda
di
cancellazione
del
protesto
e
l’accoglimento
della
domanda
di
sospensione della segnalazione alla C.A.I.,
determinano una soccombenza reciproca
che giustifica la compensazione delle
spese di lite rispetto all’Unicredit, e la
condanna alle spese nei confronti della
Camera di Commercio.
p.q.m.
visto l’art. 700 C.P.C.:
• ordina a BANCA in persona del
legale rappresentante pro tempore la
sospensione della segnalazione alla
Centrale di Allarme Interbancaria di
______________;
• rigetta la domanda cautelare di
cancellazione
e/o
sospensione
del
protesto elevato il ____________nei
confronti di___________________;
• compensa integralmente le spese
del giudizio cautelare;
• condanna
_________________al
pagamento in solido nei confronti della
resistente
Camera
di
Commercio,
Industria, Artigianato ed Agricoltura di
Napoli delle spese relative al giudizio
cautelare che si fissano in € 650 per
onorari, € 600 per diritti, spese vive €
300, oltre spese generali 12,5% IVA e CPA,
se dovute.
Napoli 28 maggio 2010
Il
giudice
dott. Pasquale
Serrao d’Aquino
Commissione di massimo scoperto ed
usura
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale di Napoli, II^ Sezione
Civile, in composizione monocratica, nella
persona del dott. Mario Suriano, ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al N° 34731/2006
Ruolo Generale Affari Contenziosi Civili,
avente ad
oggetto:ripetizione dell’indebito,
e vertente
TRA
S.M.,
rappresentata
e
difesa
dall’avvocato___,
ed
elettivamente
domiciliata presso lo stesso in Napoli,
alla_________, in virtù di mandato in capo
all’atto di citazione.
ATTRICE
E
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___________________________________________________________________________________________________________
Banca Popolare di___speciale rag.
Gregorio Monachino, rappresentata e
difesa dall’avvocato______, in virtù di
mandato a margine della comparsa di
costituzione e risposta.
CONVENUTA
CONCLUSIONI
Per l’attrice: “… si riporta alle
conclusioni formulate in atti e nei verbali
di causa, qui integralmente ripetute e
trascritte. Impugna e contesta le avverse
eccezioni, deduzioni e conclusioni”.
Per la convenuta: “… impugna e
contesta l’avverso dedotto, nonché la
C.T.U. per quanto di ragione e per i
motivi che meglio si evidenzieranno nella
comparsa conclusionale (inclusione della
commissione di massimo scoperto nel
calcolo del tasso effettivo globale medio,
ad esempio)”.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, va rilevato che si
omette di sviluppare lo svolgimento del
processo, atteso che, a norma dell’art.132
c.p.c. come novellato a seguito della L.
18.6.2009, n.469, la sentenza deve
contenere
unicamente
la
“concisa
esposizione delle ragioni di fatto e di
diritto della decisione”.
Sempre in limine litis, appare
meritevole di accoglimento l’eccezione di
inammissibilità sollevata dalla convenuta
in relazione alla domanda di risarcimento
danni proposta dall’attrice.
Con ordinanza pronunciata all’esito
della prima udienza del 1° febbraio 2007,
venne fissato alla parte istante termine
per integrare la domanda ai sensi dell’art.
164, comma 5 c.p.c., data “la nullità
della citazione con riferimento alla
domanda di risarcimento danni … non
risultando in alcun modo descritte le
ragioni di un pregiudizio ulteriore rispetto
alla obbligazione di carattere restitutorio
e non risultando altresì chiara la riserva o
meno di far valere il diritto risarcitorio in
altro giudizio”.
Ebbene, l’atto di integrazione della
citazione depositato dall’attrice in data
13.3.2007 non fornisce risposta alle
lacune e alle incertezze di allegazione
evidenziate nell’ordinanza del 1° febbraio
2007,
contenendo
solo
una
quantificazione della pretesa risarcitoria,
precisazione questa che non consente la
sanatoria dell’originario difetto dell’atto
introduttivo del giudizio.
Conseguentemente,
la
domanda
risarcitoria avanzata dall’attrice va
dichiarata inammissibile.
Occorre, pertanto, affrontare le
ulteriori domande proposte dall’attrice.
Sul punto, va osservato che l’istante,
cliente del convenuto istituto di credito,
ha chiesto la ripetizione di somme
incassate dalla banca indebitamente
stante la nullità delle pattuizioni
concernenti gli interessi debitori posti a
carico dell’attrice, praticati in misura
“usuraria”, e la commissione di massimo
scoperto.
Vero è che l’attrice ha domandato, in
via preliminare, “dichiararsi l’invalidità e
la nullità parziale dei singoli contratti di
apertura di credito a valere sul conto
corrente ordinario oggetto del rapporto
tra l’istante e la banca” e che di detti
contratti di apertura di credito non è
stata fornita prova in giudizio essendosi le
parti limitate a stipulare, sulla base della
documentazione
prodotta,
solo
un
contratto di conto corrente.
Ciò, tuttavia, non può condurre ad un
rigetto della domanda così come invocato
dalla parte convenuta atteso che, a
parere
di
questo
giudicante,
l'interpretazione della domanda giudiziale
va compiuta non solo nella sua letterale
formulazione, ma anche nel sostanziale
contenuto delle sue pretese, con riguardo
alle finalità perseguite nel giudizio.
Orbene, non vi è dubbio alcuno che
l’interesse principale dell’attrice sia
quello volto ad ottenere la restituzione
delle somme a suo dire illegittimamente
percepite dalla banca e che le doglianze
fatte valere in giudizio dall’attrice
riguardino
profili
direttamente
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conto delle commissioni, remunerazioni a
qualsiasi titolo e delle spese, escluse
quelle per imposte e tasse, collegate alla
erogazione del credito” (comma 4).
Il tenore letterale della norma
sembrerebbe avvalorare pienamente la
tesi sostenuta dal C.T.U. nella depositata
relazione peritale e, dunque, confermare
la bontà dell’opera prestata.
Una disamina più approfondita della
fattispecie sottoposta all’attenzione di
questo
giudicante
lascia,
tuttavia,
pervenire a conclusioni diverse da quelle
rese dall’ausiliare.
Ed invero, il C.T.U. ha evidenziato nel
proprio elaborato peritale che il
superamento del cd. tasso soglia è
influenzato dall’ammontare delle spese
trimestrali addebitate alla cliente,
ritenute dal dott. Ossani sproporzionate
rispetto all’utilizzo del credito.
Effettivamente,
esaminando
gli
estratti conto in atti e, in particolare, il
modello di conteggio delle competenze
all’esito di ogni trimestre, risulta evidente
la sproporzione tra gli importi addebitati
alla cliente a titolo di interessi e
commissione di massimo scoperto e quelli
a titolo di “spese”.
Come
evidenziato
sempre
negli
estratti conto in questione, dette spese
sono costituite dagli importi relativi alla
penale per liquidazione a debito di conti
non affidati.
L’inclusione di tali importi tra le spese
è, dunque, impropria, poiché ci troviamo
dinanzi ad una vera e propria clausola
penale che determina il sorgere di
obbligazioni di carattere risarcitorio che
mal si conciliano con le categorie indicate
dal quarto comma dell’art. 644 per la
determinazione del tasso usurario.
L’eccessiva
determinazione
dell’ammontare
della
penale,
sproporzionata soprattutto in ragione
della limitata “scopertura” del conto
corrente, può trovare rimedio non nella
disciplina relativa allo sconfinamento del
cd. tasso soglia – come invocato nel
riconducibili alla genesi e all’esecuzione
del rapporto contrattuale documentato in
atti.
Ciò, evidentemente, induce questo
Tribunale a valorizzare l’aspetto della
pretesa attorea attinente alla spiegata
azione di ripetizione dell’indebito e
conseguentemente ad intendere per
riferite al contratto di conto corrente
prodotto
in
atti
le
doglianze
impropriamente indirizzate a non meglio
precisati contratti di apertura di credito,
mai formalmente stipulati.
Nel merito, la domanda è infondata e
va rigettata.
In corso di lite è stata assegnato al
C.T.U. dott. Giovanni Ossani l’incarico di
valutare anzitutto la conformità del tasso
di interessi applicato a carico dell’attrice
a quello pattuito contrattualmente,
nonché di accertare il superamento o
meno del cd. tasso soglia previsto dalla L.
n. 108/1996.
Il nominato C.T.U. ha avuto modo di
constatare, esaminati gli estratti conto in
atti, come la banca abbia rispettato, nel
corso del rapporto, non solo il tasso di
interessi convenzionalmente fissato ma
anche
tutte
le
altre
condizioni
economiche stabilite in contratto.
L’ausiliare ha, tuttavia, evidenziato
come, tenendo conto dell’ammontare
delle eccessive e sproporzionate spese
trimestrali addebitate alla cliente e
dell’aggravio di ulteriori oneri economici
imposti
con
l’applicazione
della
commissione
di
massimo
scoperto
contrattualmente prevista, vi sia stato, a
suo parere, il superamento del cd. tasso
soglia.
Detta interpretazione trova sostegno
nella disposizione di cui all’art. 644 c.p.,
come novellato dall’art. 1 della L n.
108/1996, in tema di usura.
In particolare, la norma citata prevede
che è la legge a stabilire il limite oltre il
quale gli interessi sono sempre usurari
(comma 3) e che “per la determinazione
del tasso di interesse usurario si tiene
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intermedia del 2005, in tutte le altre
circolari di “istruzioni” della Banca
d’Italia è stato sempre escluso che la
commissione
di
massimo
scoperto
rientrasse nel calcolo del tasso effettivo
globale,
essendosene
disposta
la
rilevazione separata ed espressa in
termini percentuali.
Il valore del TEGM, fissato poi
trimestralmente con decreti ministeriali,
è risultato pertanto influenzato dal
mancato
conteggio
della
c.m.s.
comportando la determinazione di un
tasso soglia usurario più basso e, quindi,
più facilmente superabile.
Il C.T.U. ha ovviato all’inconveniente
di
rapportare
dati
disomogenei
ricalcolando
il
TEGM
mediante
l’integrazione del tasso che si rinviene nei
decreti ministeriali con quello con le
risultanze delle separate rilevazioni sui
tasso delle commissioni di massimo
scoperto operate secondo le istruzioni
della Banca d’Italia.
In tal modo, tuttavia, si realizza la
creazione di un nuovo TEGM che non è
contemplato dalla legge e che risulta una
forzatura del dato normativo anche
perché è ai decreti ministeriali ai quali fa
rinvio la normativa penale in materia di
usura.
La situazione è stata
da ultimo
interessata dall’entrata in vigore della
legge
28 gennaio 2009 n. 2, di
conversione del decreto legge 20
novembre 2008 n. 185. Nel comma 2°
dell’art. 2 bis della legge n. 2 del 2009 si
prevede,
infatti,
che
interessi,
commissioni e provvigioni derivanti dalle
clausole, comunque denominate, che
prevedono una remunerazione, a favore
della banca, dipendente dall’effettiva
durata dell’utilizzazione dei fondi da
parte del cliente, dalla data di entrata in
vigore della legge di conversione del
decreto, sono comunque rilevanti ai fini
dell’applicazione dell’articolo 1815 del
codice civile, dell’articolo 644 del codice
penale e degli articoli 2 e 3 della legge 7
presente giudizio – ma al più mediante la
richiesta di riduzione ad equità della
penale che, nel caso di specie, non può
essere effettuata d’ufficio esulando tale
tematica
dall’ambito
del
thema
decidendum
fissato nella
domanda
giudiziale.
Secondo questo giudicante vanno
esclusi dal computo del tasso usurario
anche gli oneri derivanti dall’applicazione
della commissione di massimo scoperto.
L’art. 2 della L. n. 108/1996 assegna al
Ministro del Tesoro, sentiti la
Banca
d’Italia e l’Ufficio italiano dei cambi, il
compito di rilevare trimestralmente il
tasso
effettivo
globale
medio,
“..comprensivo
di
commissioni,
di
remunerazioni a qualsiasi titolo e spese,
escluse per imposte e tasse, riferito ad
anno, degli interessi praticati dalle
banche e dagli intermediari finanziari…
nel corso del trimestre precedente per
operazioni della stessa natura. I valori
medi, derivanti da tale rilevazione,
corretti in ragione delle eventuali
variazioni del tasso ufficiale di sconto
successive al trimestre di riferimento,
sono pubblicati senza ritardo nella
Gazzetta ufficiale” (art. 2, comma 1°,
della legge n. 108/1996). Il comma 4°
dell’art. 2 citato così stabilisce: “Il limite
previsto dal terzo comma dell’articolo 644
del codice penale, oltre il quale gli
interessi sono sempre usurari, è stabilito
nel tasso medio risultante dall’ultima
rilevazione pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale ai sensi del comma 1
relativamente alla categoria di operazioni
in cui il credito è compreso, aumentato
della metà”.
All’individuazione del tasso effettivo
globale medio (TEGM) si perviene all’esito
di rilevazioni del tasso effettivo globale
(TEG) compiute seguendo apposite
circolari emanate dalla Banca d’Italia e
denominate: “Istruzioni per la rilevazione
del tasso effettivo globale medio ai sensi
della legge sull’usura”.
Orbene, ad eccezione di una circolare
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clausola contrattuale contenente la
commissione di massimo scoperto.
Premesso che la commissione in
questione è espressamente pattuita nel
contratto stipulato tra le parti, essa
presenta altresì anche una sua autonoma
e giustificata causale, assolvendo alla
funzione di “remunerazione accordata
alla banca per la messa a disposizione di
fondi
a
favore
del
correntista
indipendentemente
dall’effettivo
prelevamento della somma” (così in
motivazione Cass., 18.1.2006, n. 870).
La
domanda
di
ripetizione
dell’indebito proposta dalla Martucci è,
dunque, infondata e va rigettata.
Tenuto conto della natura del
contenzioso e delle particolarità della
fattispecie affrontata, soccorrono giusti
motivi
per
dichiarare
interamente
compensate tra le parti le spese
processuali.
P.Q.M.
Il Tribunale di Napoli così provvede:
a) Dichiara l’inammissibilità della
domanda di risarcimento danni proposta
da _____________nei confronti della
Banca Popolare_;
b) rigetta la domanda di ripetizione
dell’indebito proposta da ________nei
confronti della Banca Popolare di Bari
_______
c) dichiara interamente compensate
le spese processuali.
Napoli, 18.11.2010
marzo 1996, n. 108 (ai fini della
determinazione del tasso soglia d’usura).
La stessa legge prevede, poi, che il
Ministro dell’economia e delle finanze,
sentita
la
Banca
d'Italia,
emana
disposizioni transitorie in relazione
all’applicazione dell’articolo 2 della legge
7 marzo 1996, n. 108, per stabilire che il
limite
previsto
dal terzo
comma
dell’articolo 644 del codice penale, oltre
il quale gli interessi sono usurari, resta
regolato dalla disciplina vigente alla data
di entrata in vigore della legge di
conversione del presente decreto fino a
che la rilevazione del tasso effettivo
globale medio non verrà effettuata
tenendo conto delle nuove disposizioni.
La
singolare
formulazione
della
disposizione nel mentre “ribadisce” che la
commissione di massimo scoperto (e ogni
altra commissione o remunerazione) deve
rientrare nel calcolo del tasso soglia,
dall’altro
sembra
avallare
l’interpretazione
seguita dai decreti
ministeriali che hanno finora escluso la
rilevanza della c.m.s. ai fini della
determinazione
del
tasso
soglia
dell’usura, non spiegandosi, altrimenti, la
previsione che il Ministro dell’economia e
delle finanze, sentita la Banca d'Italia,
emana disposizioni transitorie in relazione
all’applicazione dell’articolo 2 della legge
7 marzo 1996, n. 108, per stabilire che il
limite
previsto
dal terzo
comma
dell’articolo 644 del codice penale, oltre
il quale gli interessi sono usurari, resta
regolato dalla disciplina vigente alla data
di entrata in vigore della legge di
conversione del presente decreto fino a
che la rilevazione del tasso effettivo
globale medio non verrà effettuata
tenendo conto delle nuove disposizioni.
Da quanto sopra esposto deriva
l’infondatezza della doglianza avanzata
dall’attrice
in
ordine
al
dedotto
superamento della soglia del tasso di
interesse usurario.
Del pari va disattesa la questione
concernente l’affermata nullità della
Il Giudice
(dott. Mario Suriano)
______________
Tribunale di Napoli
Sezione Distaccata di Frattamaggiore
Il Giudice dr. Pasquale Serrao
d’Aquino,
sciogliendo la riserva formulata a
seguito delle richieste istruttorie e di
concessione dell’ordinanza ai sensi
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dell’art. 186 ter C.P.C. per la domanda
riconvenzionale della banca convenuta;
considerato che parte attrice deduce
la nullità degli interessi per violazione del
tasso usura ex art .1812, comma 2 c.c.;
considerato, però che con atto del
14.07.2008, la società cliente, oltre a
riconoscere il debito, ha rinunciato a far
valere ogni questione inerente il calcolo
degli interessi e, quindi, al diritto ad
un’eventuale restituzione degli interessi
corrisposti, senza tener conto, peraltro,
dei seguenti fatti:
a) l’allegazione del superamento del
tasso soglia è del tutto generica, non
essendo
stata
effettuata
nessuna
comparazione del tasso praticato con il
tasso
usura,
neppure
a
titolo
esemplificativo,
b) non sono stati neppure prodotti i
decreti ministeriali relativi ai diversi tassi,
c) l’argomento della necessità di
sommare la CMS al tasso praticato al fine
del computo del tasso usura non appare
condivisibile per i motivi che seguono.
La tesi sostenuta da Cass. Pen. Sez. 2,
Sentenza n. 28743 del 14/05/2010
Ud. (dep. 22/07/2010 ) Rv. 247861 della
necessità di computo della stessa nel
tasso
usura,
perché
<<Nella
determinazione del tasso di interesse, ai
fini di verificare se sia stato posto in
essere il delitto di usura, occorre tener
conto, ove il rapporto finanziario
rilevante sia con un istituto di credito, di
tutti gli oneri imposti all'utente in
connessione
con
l'utilizzazione
del
credito,
e
quindi
anche
della
"commissione di massimo scoperto", che è
costo
indiscutibilmente
legato
all'erogazione del credito>> (confermata
anche da Cass. Pen. N. 12028 del 2010
Rv. 246729) appare poco convincente in
quanto secondo le Istruzioni della Banca
d’Italia del 2006: 1) la CMS non doveva
essere rilevata per determinare il TEG e,
quindi, il tasso soglia (per cui si
comparerebbero entità disomogenee); 2)
essa va computata separatamente dal
TEG; 3) le istruzioni prevedevano
espressamente che: <<C5. Metodologia di
calcolo
della
percentuale
della
commissione di massimo scoperto La
commissione di massimo scoperto non
entra nel calcolo del TEG.
(per la
precisione esse affermavano che << Tale
commissione è strutturalmente connessa
alle sole operazioni di finanziamento per
le quali l’utilizzo del credito avviene in
modo variabile, sul presupposto tecnico
che esista uno “scoperto di conto”.
Pertanto, analoghe commissioni applicate
ad altre categorie di finanziamento
andranno incluse nel calcolo del TEG.>>).
A ciò si aggiunge che la giurisprudenza
citata non richiama compiutamente
dell’espressione normativa secondo cui
<<2. Gli interessi, le commissioni e le
provvigioni derivanti dalle clausole,
comunque denominate, che prevedono
una remunerazione, a favore della banca,
dipendente
dall'effettiva
durata
dell'utilizzazione dei fondi da parte del
cliente, dalla data di entrata in vigore
della legge di conversione del presente
decreto, sono comunque rilevanti ai fini
dell'applicazione dell'articolo 1815 del
codice civile, dell'articolo 644 del codice
penale e degli articoli 2 e 3 della legge 7
marzo 1996, n. 108. >> (2 bis del decretolegge 29 novembre 2008 n. 185,
convertito nella legge 28 gennaio 2009 n.
2 (c.d. decreto “anticrisi”):);la norma,
quindi,
fornisce
un’interpretazione
autentica di segno diametralmente
opposto rispetto a quello sostenuto dal
citato indirizzo di legittimità;
L’indirizzo avversato, inoltre, omette
di considerare che le Istruzioni della
Banca d’Italia dell’agosto del 2009 in
materia di rilevazione del TEG – le quali
ora esplicitamente includono la CMS nel
calcolo del TEG - per il periodo transitorio
prevedono espressamente che <<fino al 31
dicembre 2009, al fine di verificare il
rispetto del limite oltre il quale gli
interessi sono sempre usurari ai sensi
dell’articolo 2, comma 4, della legge 7
141
Il contenzioso bancario e degli intermediari finanziari
Pasquale Serrao d’Aquino
Consiglio Superiore della Magistratura - 9° Commissione – Tirocinio e Formazione Professionale
Incontro di studio in materia civile riservato ai magistrati nominati con D.M. 2/10/2009.
___________________________________________________________________________________________________________
marzo 1996, n. 108, gli intermediari
devono attenersi ai criteri indicati nelle
Istruzioni della Banca d'Italia e dell’UIC
pubblicate rispettivamente nella G.U. n.
74 del 29 marzo 2006 e n. 102 del 4
maggio 2006.>> ed ancora, <<Nel periodo
transitorio restano pertanto esclusi dal
calcolo del TEG per la verifica del limite
di cui al punto precedente (ma vanno
inclusi nel TEG per l’invio delle
segnalazioni alla Banca d’Italia): a) la CMS
e gli oneri applicati in sostituzione della
stessa, come previsto dalla legge 2 del
2009 (omissis)>>;
considerato che il riconoscimento del
debito con relativa rinunzia è stato
sottoscritto anche dai fideiussori, con ciò
superandosi il profilo della qualificazione
del negozio contratto autonomo di
garanzia - che comporta l’ineccepibilità
della nullità del rapporto principale salvo
l’exceptio doli, cfr. Cass. Sez. 1,
Sentenza n. 26262 del 14/12/2007 (Rv.
601218) - oppure come contratto di
fideiussione - che presuppone, invece
l’accessorietà del rapporto a quello
principale) (doc. 20 produzione banca) -,
considerato che in ordine a tale ultimo
aspetto di rimanda comunque agli
argomenti
già
espressi
riguardo
all’infondatezza dell’eccezione di nullità
per violazione del tasso soglia dell’usura;
considerato, quindi, che il credito è
fondato su prova scritta e che, invece, la
difesa attorea avverso la domanda
riconvenzionale,
per
quanto
sopra
esposto, non risulta fondata su prova
scritta o di pronta soluzione;
vista
la
richiesta
di
efficacia
provvisoriamente esecutiva (memoria 3°
termine) ed il riconoscimento del debito;
considerato, ancora che, per i motivi
espressi in precedenza (genericità delle
allegazioni, omessa produzione de decreti
relativi ai tassi soglia) non appaiono
fondate le richieste istruttorie di parte
attrice e dei chiamati in causa (gli estratti
scalari risultano, peraltro già prodotti);
p.q.m.
visto l’art. 186 ter C.P.C.;
- ingiunge a ________, in solido tra
loro,il pagamento immediato in favore di
Unicredit Banca di Roma s.p.a., in
persona del l.r.p.t., della somma di €
395.336,74 oltre interessi convenzionali;
- condanna_________, in persona del
l.r.p.t, _________, in solido tra loro, alla
rifusione del giudizio in favore di
_____________in persona del l.r.p.t,
che determina in € 2.800 per onorari, €
1.400 per diritti, € 150 per spese vive,
oltre spese generali 12,5% ed IVA e CPA,
se dovute;
- rigetta le richieste istruttorie;
- rinvia per la precisazione delle
conclusioni al 21.11.2011;
Manda alla Cancelleria
per gli
adempimenti.
Frattamaggiore, 26 ottobre – 4
novembre 2010
Il
Giudice
dr. Pasquale Serrao d’Aquino
Decreto ingiuntivo di consegna della
documentazione bancaria.
Tribunale di Patti
Sezione distaccata di Sant'Agata di
Militello
Il Giudice
Fatto
visto il ricorso per ingiunzione che
precede, iscritto al n. 160/10 R.G.;
rilevato che M.S. ha chiesto che si
ingiunga alla Banca Popolare di___ di
consegnarle copia dei contratti di conto
corrente e di apertura di credito relativi
al rapporto di conto corrente n. 36602001/21, essendo rimaste senza esito le
sue richieste inoltrate a mezzo di lettere
raccomandate;
considerato che, ai sensi dell'art. 117
del d.lgs. n. 385/93 ("Testo unico delle
leggi in materia bancaria e creditizia"), i
142
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Incontro di studio in materia civile riservato ai magistrati nominati con D.M. 2/10/2009.
___________________________________________________________________________________________________________
decreto ingiuntivo 21 giugno 1996, in Foro
it. 1996, I, 3200);
che su tale tesi si sono appuntati i
dubbi di coloro che hanno evidenziato
come l'attività della banca non si
esaurisca
nell'atto
del
semplice
consegnare,
richiedendosi
ad
essa
un'attività di ricerca, elaborazione e
stampa dei dati contabili richiesti (in
questo senso, si cfr. Trib. Sant'Angelo dei
Lombardi, 5 gennaio 2010, inedita, che ha
ritenuto inammissibile il ricorso monitorio
per ottenere la consegna di una copia
della polizza fideiussoria, sul presupposto
che la compagnia assicuratrice è
"chiamata a svolgere un'attività di ricerca
in archivio, formazione del duplicato e
successiva consegna ");
che i dubbi appaiono superabili in base
all'argomento per cui la ricerca e la
formazione di una copia di un documento
contabile già predisposto, nel corso del
rapporto, dalla banca costituiscono mere
attività
preparatorie
rispetto
alla
consegna dello stesso documento, con la
conseguenza che la prestazione, nel suo
nucleo essenziale, resta qualificabile
come " consegna ", restando assorbito il
profilo del facere - perché ad esso
collegato in funzione strumentale - in
quello del dare;
che non si ravvisano ostacoli nel
tenore letterale dell'art. 119, laddove si
fa riferimento a "singole operazioni",
espressione che lascerebbe circoscrivere il
diritto alla consegna delle copie dei soli
documenti
attinenti
ad
operazioni
(contabili o finanziarie) e non già al
documento contrattuale di base;
che infatti nel raggio semantico del
termine "operazione" si possono includere
non solo gli atti contabili, ma anche quelli
negoziali;
che, in ogni caso, uno specifico diritto
alla consegna del documento contrattuale
(da intendersi come cosa mobile
determinata) viene riconosciuto al cliente
dell'istituto bancario dall'art. 114, laddove
contratti bancari devono essere redatti
per iscritto sotto pena di nullità;
che, in base all'art. 119, comma 4 del
citato decreto , il cliente della banca ,
colui che gli succede a qualunque titolo e
colui che subentra nell'amministrazione
dei suoi beni hanno diritto di ottenere, a
proprie spese, entro un congruo termine e
comunque non oltre novanta giorni, copia
della documentazione inerente a singole
operazioni poste in essere negli ultimi
dieci anni;
che tale norma è stata oggetto di una
lettura garantista da parte della
giurisprudenza di legittimità: essa va
interpretata, alla luce del principio di
buona fede nell'esecuzione del contratto
(art. 1375 c.c.), nel senso di attribuire ai
soggetti indicati il diritto di ottenere la
documentazione inerente a tutte le
operazioni del periodo a cui il richiedente
sia in concreto interessato, nel rispetto
del limite di tempo decennale fissato
dalla norma, e che comunque non è
necessario che il richiedente indichi
specificamente gli estremi del rapporto a
cui si riferisce la documentazione
richiesta in copia, essendo sufficiente che
l'interessato fornisca alla banca gli
elementi
minimi
indispensabili
per
consentirle l'individuazione dei documenti
richiesti, quali, ad esempio, i dati
concernenti il soggetto titolare del
rapporto, il tipo di rapporto a cui è
correlata la richiesta e il periodo di tempo
entro il quale le operazioni da
documentare si sono svolte (Cass. n.
11004/06; Cass. n. 12093/01);
che l'art. 633 c.p.c., fra i crediti
tutelabili con le forme del procedimento
monitorio, annovera quello alla consegna
di cose mobili determinate;
che in giurisprudenza è stata ammesso
il ricorso al procedimento monitorio da
parte del curatore fallimentare per
ottenere dall'istituto bancario la copia
degli estratti- conto bancari relativi ai
rapporti del fallito preesistenti alla
dichiarazione di fallimento (Trib. Milano,
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___________________________________________________________________________________________________________
si prevede appunto che al medesimo deve
esserne consegnato un "esemplare";
che il diritto di credito fatto valere, in
quanto di fonte legale, è certo nella sua
esistenza.
P.Q.M.
ingiunge alla ____, in persona del suo
legale rappresentante pro tempore, di
consegnare immediatamente a M.S. copia
dei contratti di conto corrente e di
apertura di credito relativi al rapporto di
conto corrente bancario n. 366-02001/21,
e inoltre di pagare immediatamente alla
stessa le spese di questo procedimento
che liquida in complessivi euro 178,00 per
spese vive, euro 511,00 per diritti ed euro
332,50 per onorari, oltre spese generali
I.V.A. e C.P.A. come per legge.
Sant'Agata di Militello, 21 aprile 2010
Il Giudice
Dott. Giuseppe Bonfiglio
della ricorrente dichiarazione ai sensi
dell'art. 31 secondo comma regolamento
Consob n. 11522 del 1998 in ordine al
possesso di specifica competenza ed
esperienza in materia di operazioni in
strumenti finanziari.
Il contratto e la dichiarazione da
ultimo citata devono intendersi di data
27/11/2003, posto che il timbro di data
31/1/2007 recante la dicitura "dare corso"
si trova nel documento dopo la
sottoscrizione (di una sola delle parti,
come si vedrà a breve). Quanto al valore
giuridico della dichiarazione ai sensi
dell'art. 31 secondo comma regolamento
Consob, trattasi di testo conforme ai
requisiti normativi alla stregua del
recente arresto della Suprema corte
(Cass. 26/5/2009, n. 12138). Per il vero la
pronuncia di legittimità è giunta all'esito
di un confronto a più voci nella
giurisprudenza di merito, accompagnato
da diverse prese di posizioni della
dottrina, tendenzialmente caratterizzato
dalla necessità di interpretare la norma
regolamentare sulla base del criterio di
legge enunciato dall'art. 21 t.u.f. quanto
all'ampiezza
degli
obblighi
di
comportamento
degli
intermediari
finanziari. La giurisprudenza di legittimità
ha reputato di limitare l'efficacia della
dichiarazione ad argomento di prova per il
giudice, eventualmente in grado di
sostenere la decisione, a condizione che
la parte interessata non dimostri la
discordanza fra il giudizio formulato e la
situazione reale e la conoscenza da parte
dell'intermediario mobiliare di tale
circostanza. Ne discende che, come nel
testo in atti, è sufficiente la semplice
dichiarazione sottoscritta dal legale
rappresentante della società, dove il
requisito di specificità, contrariamente a
quanto
ritenuto
da
una
certa
giurisprudenza di merito che ha richiesto
la specifica indicazione dei fatti alla base
del giudizio, attiene alla competenza ed
esperienza, e non alla dichiarazione
stessa. Non ignora il giudicante che con
Altri provvedimenti: annullamento di
addebito in conto corrente per nullità
del derivato.
Tribunale di Bari
Il Giudice istruttore
a scioglimento della riserva in ordine
al ricorso proposto ai sensi dell'art. 700
c.p.c. in corso di causa nell'interesse di
America s.r.l. e nei confronti di Intesa
SanPaolo s.p.a., osserva quanto segue.
Fatto
Muovendo dall'esame delle circostanze
di fatto deve premettersi che, alla
stregua
di
quanto
allegato
dalla
ricorrente, nonché di quanto documentato
dalla convenuta, risulta stipulato in data
27/11/2003 contratto quadro di swap, al
quale faceva seguito in data 12/1/2004
contratto di mandato per la negoziazione
di strumenti finanziari, e quindi una
sequenza di contratti interest rate swap,
l'ultimo dei quali in data 2/2/2007.
Sempre in data 27/11/2003 risulta
sottoscritta dal legale rappresentante
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___________________________________________________________________________________________________________
investimento. Vi è in atti bilancio di
esercizio al 28/2/2003, ma trattasi di un
dato contabile isolato. Per converso non è
stato documentato, sempre mediante i
bilanci, che per tutto l'arco del periodo
del rapporto con la banca non sono state
compiuti investimenti di tipo finanziario.
Anche il fatto che il conto corrente
intrattenuto con la banca fosse utilizzato
per normali operazioni di versamento e
per l'utilizzazione di linee di credito,
come allegato dalla ricorrente, non
esclude la possibilità che presso altri
operatori bancari in passato si fosse svolta
attività di investimento finanziario
(peraltro proprio con Banca Antonveneta
erano stati stipulati i due mutui che hanno
costituito il presupposto delle operazioni
di swap). Tale dato a disposizione della
banca non appare pertanto alla stato tale
da comportare la conoscibilità di
un'assenza di specifica competenza ed
esperienza in materia finanziaria. Resta
dunque per la ricorrente, sulla base degli
elementi allo stato disponibili nel
processo di merito, la qualifica di
operatore qualificato.
Venendo quindi alle nullità allegate
dalla parte attrice, in primo luogo si
deduce
la
nullità
dell'operazione
finanziaria per mancanza, in relazione al
servizio di investimento prestato, di un
contratto redatto per iscritto ai sensi
dell'art. 23 primo comma t.u.f.. In
particolare, secondo l'attrice, deve
ritenersi che non sia stata osservata la
forma prescritta, con conseguente nullità,
perché il contratto è stato sottoscritto
solo
dal
cliente
e
non
anche
dall'intermediario. Ha opposto la banca
l'esistenza per un verso di dichiarazione
confessoria da parte della ricorrente circa
la ricezione di copia del contratto, da
intendersi evidentemente completo delle
sottoscrizioni di entrambe le parti, per
l'altro il fatto che con la produzione il
contratto deve intendersi sottoscritto
anche dalla stessa parte che provvede alla
produzione. È costante l'orientamento
l'entrata in vigore della direttiva
2004/39/CE del 21/4/2004, dalla cui
attuazione legislativa è poi disceso il
nuovo regolamento Consob n. 16190 del
2007, si impone per il giudicante
l'interpretazione del diritto nazionale in
modo da non contraddire lo scopo
perseguito dalla norma comunitaria fin
dalla data di entrata in vigore della
direttiva, e dunque prima della scadenza
del termine del recepimento (Corte giust.
17/1/2008, causa C-246/06). E tuttavia un
eventuale sforzo ermeneutico in tal senso
è irrilevante perché la dichiarazione de
qua è antecedente anche l'entrata in
vigore
della
direttiva,
sicché
va
qualificata in base all'ordinamento vigente
all'epoca della sua emanazione, mentre,
ai fini dell'applicazione della disciplina di
fonte comunitaria, va evidenziato che
l'ultimo contratto è antecedente l'entrata
in vigore del nuovo regolamento Consob
(il precedente regolamento è stato
abrogato a partire dal 2/11/2007).
Avendo quindi riguardo alla disciplina
applicabile, per come interpretata dalla
Corte di cassazione, va evidenziato, sulla
base per il momento di una valutazione di
fumus boni iuris, che la ricorrente ha
allegato
la
discordanza
fra
la
dichiarazione e la situazione reale, ma
non ha dimostrato la conoscenza, o
conoscibilità, da parte dell'intermediario
mobiliare di tale circostanza. Non c'è
infatti prova che la banca, all'epoca della
sottoscrizione della dichiarazione, fosse a
conoscenza della mancanza di una
specifica competenza ed esperienza in
materia di operazioni in strumenti
finanziari,
o
che
comunque
tale
circostanza
fosse
conoscibile.
La
conoscenza del bilancio di esercizio e dei
relativi
allegati
non
equivale
a
conoscibilità della dedotta mancanza di
specifica competenza ed esperienza posto
che l'occasionale assenza di indicazioni
nel documento contabile in ordine al
possesso di strumenti finanziari non
esclude una pregressa attività di
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___________________________________________________________________________________________________________
sua configurazione la qualità di operatore
qualificato. L'art. 23 t.u.f., prescrivendo a
pena di nullità la forma scritta, autorizza
la Consob a prevedere con regolamento,
in relazione alla natura professionale dei
contraenti, una diversa forma per
particolari tipi di contratto. L'art. 31
comma prima del regolamento Consob n.
11522 del 1998 esclude, in presenza di
operatore qualificato, l'applicabilità di
diverse
disposizioni
del
medesimo
regolamento, e fra queste quella dell'art.
30 sulla necessità del contratto scritto per
la
prestazione
del
servizio
di
investimento. Permanendo pertanto nel
giudizio di merito la qualità di operatore
qualificato la denunciata nullità non può
operare. La seconda nullità dedotta è di
tipo non formale, ed attiene al requisito
di sostanza rappresentato dalla causa.
Anche sulla base del dictum della
Suprema corte (Cass. 19/5/2005, n.
10598), e delle recenti acquisizioni
dottrinali, il contratto di swap può essere
definito un contratto nominato, ma
atipico in quanto privo di disciplina
legislativa (ovvero solo socialmente
tipico), a termine, consensuale, oneroso e
aleatorio, contraddistinto per ciò che
riguarda l'interest rate swap dallo scambio
a scadenze prefissate dei flussi di cassa
prodotti dall'applicazione di diversi
parametri ad uno stesso capitale di
riferimento (c.d. nozionale). La funzione
del contratto consiste nella copertura di
un rischio mediante un contratto
aleatorio, con la finalità di depotenziare
le incertezze connesse ai costi dei
finanziamenti. In pratica la posta passiva
derivante dall'aumento del tasso variabile
relativo al finanziamento dovrebbe
essere, nella prospettiva del cliente,
neutralizzata dalla posta attiva costituita
dal rapporto fra tasso fisso e tasso
variabile nel rapporto di swap. Se però il
tasso di interesse anziché aumentare
crolla, ciò rappresenta un indubbio
vantaggio
quanto
al
rapporto
di
finanziamento, ma nell'ambito dello swap
della giurisprudenza (espresso in relazione
alla compravendita immobiliare) secondo
cui, vigendo la forma scritta ad
substantiam, la manifestazione scritta
della volontà di uno dei contraenti, la
quale concorre alla formazione del
negozio con efficienza pari alla volontà
dell'altro, non può essere sostituita da una
dichiarazione confessoria dell'altra parte,
che non può essere utilizzata né come
elemento
integrante
il
contratto
né(quand'anche contenga il preciso
riferimento ad un contratto concluso per
iscritto), come prova di questo (Cass.
7/4/2005, n. 7274; 18/6/2003, n. 9687;
7/3/1990 n. 1811). Quanto alla seconda
eccezione, va rammentato l'altrettanto
costante orientamento secondo cui "la
produzione in giudizio, di una scrittura
privata ad opera della parte che non
l'aveva
sottoscritta
costituisce
equipollente della mancata sottoscrizione
contestuale e pertanto perfeziona sul
piano sostanziale o su quello probatorio, il
contratto in essa contenuto, purché la
controparte del giudizio sia la stessa che
aveva già sottoscritto il contratto e non
abbia revocato, prima della produzione, il
consenso prestato" (ex multis Cass.
12/6/2006,
n.
13548).
Proprio
considerando tale indirizzo l'eccezione
della banca è inidonea ad integrare un
fatto impeditivo della pretesa di
controparte, sotto un duplice profilo: in
primo luogo se produzione equivale a
sottoscrizione, ciò vuol dire che il
contratto si intende sottoscritto all'epoca
della produzione, e dunque in epoca
successiva alla prestazione del servizio di
investimento, che resta così eseguita
senza una previa stipulazione di accordo
scritto; in secondo luogo, sulla base di
tutte le allegazioni di parte attrice
nell'atto di citazione, ed in particolare
quelle relative alla causa del contratto, il
consenso deve intendersi comunque
revocato, prima della produzione.
La nullità allegata è pertanto
astrattamente ipotizzabile. Osta però alla
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comportamento, violando il principio,
ormai non più solo dottrinale, ma anche
giurisprudenziale (cfr. l'arresto delle
sezioni unite di cui a Cass. 19/12/2007, n.
26724; e già prima Cass. 29/9/2005, n.
19024), dell'indeducibilità delle regole di
validità dalle regole di comportamento.
Più seria è la censura quanto ai contratti
stipulati successivamente, caratterizzati
dal crescente ammontare della passività.
Si tratta di verificare, sul piano della
causa concreta, se l'incorporazione nel
regolamento della passività pregressa e
degli ulteriori costi renda lo schema
negoziale ab origine incapace di
realizzare la funzione di copertura del
rischio, da intendersi connaturata al tipo
sociale, stante anche quanto osservato
dalla Consob con la comunicazione del
26/2/1999
(secondo
Trib.
Monza
31/8/2009 la previsione a carico del
cliente di un tasso fisso in misura
crescente, nell'ambito di una sequenza di
contratti, preclude il raggiungimento
dello scopo della copertura del rischio, e
determina pertanto la nullità del
contratto per difetto di causa). L'indagine
tecnica effettuata da Calipso s.p.a., e
prodotta dall'attrice, ha concluso nel
senso che il 44,5% del costo complessivo
dell'operazione per la società attrice si
spiega con costi impliciti, e non sulla base
di movimenti avversi di mercato. Benché
la questione meriti un approfondimento in
sede di giudizio di merito, anche
eventualmente a mezzo di CTU, sul piano
del fumus boni iuris, caratterizzante la
presente fase, può concludersi nel senso
del verosimile difetto genetico di causa
dei contratti stipulati in sede di
"ristrutturazione" del debito.
Posto che quanto alla dedotta
annullabilità del contratto indimostrato
allo stato è il presupposto del dolo, e che
la qualifica di operatore qualificato,
escludendo l'operatività delle tutele di cui
al regolamento Consob fatta eccezione
comunque per il rispetto delle regole
generali di comportamento di cui all'art.
è il cliente a dover versare la differenza
alla banca, e l'ammontare della perdita è
direttamente proporzionale al livello di
abbassamento del tasso.
Tornando al caso di specie la società
attrice ha allegato la non meritevolezza
della causa in concreto deducendo che la
violazione delle regole di comportamento
prescritte dall'art. 21 t.u.f. si è tradotta
in una deviazione della causa rispondente
alla suddetta tipicità sociale, in quanto lo
schema causale è stato adoperato dalla
banca per finalità non ad esso coerenti.
Con riferimento poi ai contratti stipulati
successivamente al primo, costituenti una
sorta di "ristrutturazione" del debito in
quanto incorporanti le passività prodotte
da quello precedente, ha dedotto la
ricorrente che l'operazione, per effetto
della pregressa passività e degli ulteriori
costi, e della mancanza di copertura del
rischio sottostante, non è in grado di
realizzare la funzione dell'interest rate
swap.
La ricorrente fa in modo pertinente
riferimento alla nozione di causa
concreta, che risponde al modo in cui
ormai la giurisprudenza di legittimità
concepisce il requisito causale. Da quando
Cass. 8/5/2006 n. 10490 ha affermato il
principio che causa del contratto è la
causa concreta, lo scopo pratico del
negozio, la sintesi, cioè, degli interessi
che lo stesso è concretamente diretto a
realizzare, quale funzione individuale
della singola e specifica negoziazione, al
di là del modello astratto utilizzato, la
causa concreta non solo è penetrata nelle
pronunce a sezioni semplici (Cass.
12/11/2009, n. 23941), ma quel che più
importa è che si tratta di nozione fatta
propria da rilevanti arresti delle sezioni
unite (Cass. 11/11/2008, n. 26972 sul
danno non patrimoniale e 18/2/2010, n.
3947 sulla polizza fideiussoria). Quanto
però al primo contratto di swap la
deviazione dal tipo sociale sul piano della
causa concreta viene indebitamente
dedotta dalla violazione delle regole di
147
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___________________________________________________________________________________________________________
nullità e di ripetizione. Non accoglibile è
invece la seconda istanza cautelare, posto
che per un verso trattasi di domanda
strumentale ad istanza risarcitoria, per la
quale non è configurabile come si è visto
il fumus boni iuris, per l'altro, anche
ipotizzando la fondatezza della domanda
risarcitoria, questa ha ad oggetto il lucro
cessante e non altre forme di pregiudizio
patrimoniale, cui sarebbe strumentale
l'inibitoria dalla segnalazione.
(Torna su ) P.Q.M.
P.Q.M.
Visto l'art. 700 c.p.c.;
ordina a Intesa SanPaolo s.p.a. di non
addebitare, sui conti correnti intrattenuti
presso di essa da America s.r.l., somme in
dipendenza dei contratti interest rate
swap di cui al ricorso;
si comunichi.
Bari 15/7/2010
Giudice Enrico Scoditti
26 del regolamento, non rende allo stato
evidente la ricorrenza dei presupposti
dell'azione di risoluzione e di quella
risarcitoria, è alla nullità per mancanza di
causa, ed alla conseguente azione di
ripetizione, che deve farsi riferimento per
l'integrazione del requisito del fumus boni
iuris.
Venendo
quindi
all'aspetto
del
periculum in mora, va preliminarmente
chiarito che fondandosi il fumus sul
profilo della nullità, e non su quelli
dell'annullabilità e/o risoluzione del
contratto, la questione del carattere
costitutivo non si pone, evidenziandosi
solo la tutela anticipatoria rispetto a
domanda di nullità e di ripetizione. In
ordine alle conseguenze pregiudizievoli la
società ricorrente ha prodotto relazione
tecnica sottoscritta dal dott. Saverio
Natale dalla quale si evince il concorso
dei differenziali negativi swap, e da
ultimo dell'imminente addebito di agosto
p.v., nella determinazione di una
situazione di sconfinamento dai fidi
bancari. Quanto alla irreparabilità del
pregiudizio denunciato, se è vero che il
provvedimento invocato ha ad oggetto un
credito preteso dalla controparte, le
conseguenze del pagamento non appaiono
riparabili patrimonialmente, o comunque
vi sarebbe uno scarto non colmabile fra
danno subito e danno risarcibile, avuto
riguardo agli effetti negativi di uno
sconfinamento e della perdita del merito
creditizio per la stessa esistenza
dell'attività
imprenditoriale,
già
in
situazione di difficoltà secondo quanto
emerge dall'ultimo bilancio approvato.
La
ricorrente
ha
chiesto
provvedimento
di
inibitoria
dell'esecuzione di addebiti per effetto dei
contratti in questione sui conti correnti
intrattenuti con la banca e della
segnalazione alla Centrale Rischi della
Banca d'Italia. Il primo provvedimento,
come si è detto, ha carattere
anticipatorio rispetto al petitum di
merito, sotto il profilo dell'azione di
Ammissibilità della tutela cautelare
in caso di uso illegittimo di assegno in
bianco a scopo di garanzia.
Tribunale di Napoli
04 luglio 2007
Il G.D. letto il ricorso presentato in
data 21 giugno 2007 da________., nonché
da quest'ultima in proprio, nei confronti
della
Banca
d'Italia,
della
Punto
Immobiliare Caserta S.a.s.
e
del
_______________., all'esito dell'udienza
del 3 luglio 2007, ha pronunziato la
seguente
ORDINANZA
Con la procedura ex art. 700 c.p.c. per
cui è causa, la ricorrente ha chiesto
inibirsi al
_______la comunicazione
all'archivio CAI della Banca d'Italia del
mancato pagamento dell'assegno bancario
n. omissis tratto sul conto corrente della
ricorrente, ovvero disporsi l'immediata
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avveniva direttamente ad opera delle
banche e degli uffici postali, che vi
provvedono in via informatica. Inoltre la
gestione dell'archivio, era stato affidato
dalla resistente alla S.I.A. avvalendosi
della previsione di cui all'art. 10 bis
comma 2 della legge n. 386/90, che
appunto consente di avvalersi di un
concessionario
per
la
gestione
dell'archivio.
Si costituiva altresì il___________, il
quale insisteva per il rigetto del ricorso,
evidenziando che non era ravvisabile
alcuna
sua
responsabilità
nella
negoziazione dell'assegno, ed essendo
invece obbligata ad effettuare l'iscrizione
una volta decorso il termine di sessanta
giorni di cui all'art. 9 bis della legge n.
386 del 1990.
Si
costituiva
anche
la
Punto
Immobiliare Caserta, la quale confermava
che al momento del conferimento
dell'incarico da parte della ricorrente, era
stato rilasciato in suo favore, a garanzia
delle obbligazioni assunte con l'incarico,
l'assegno
poi
portato
all'incasso,
dell'importo di euro 27.000,00, la cui
funzione era quella di deposito cauzionale
infruttifero.
In particolare poichè la ricorrente
aveva ingiustificatamente rifiutato di
addivenire
alla
conclusione
del
preliminare con la venditrice del bene,
cui era interessata, aveva quindi posto
all'incasso
l'assegno,
che
poi
inopinatamente non era stato pagato dal
Sanpaolo Banco di Napoli, senza che
neanche fosse stato elevato il protesto.
Aggiungeva che in relazione alla cifra
oggetto dell'assegno insoluto, aveva
richiesto ed ottenuto presso la Sezione
Distaccata di Caserta del Tribunale di S.
Maria C.V. un decreto ingiuntivo per
l'importo di euro 27.000,00.
Pertanto la domanda della ricorrente
era infondata, poiché la ricorrente si era
avvalsa dell'assegno a suo tempo lasciato
in garanzia, una volta che la ricorrente si
era resa del tutto inadempiente.
cancellazione dell'iscrizione presso il
medesimo registro.
A sostegno del ricorso ha dedotto che
l'assegno in questione sarebbe stato
consegnato alla Punto Immobiliare al
momento del conferimento di un incarico
di mediazione per l'acquisto di un
immobile, a scopo di garanzia, e privo sia
della data che del luogo di emissione.
Aggiungeva che essendo naufragate le
trattative per l'acquisto, aveva però
riscontrato che il detto assegno era stato
posto all'incasso da parte della società di
mediazione, essendo stata a tal fine
contattata dal direttore dell'agenzia della
banca trattaria. Pertanto, evitato il
protesto, anche a seguito di denunzia dei
fatti alla Procura della Repubblica presso
il Tribunale di S. Maria C.V., le veniva
comunicato dalla banca che avrebbe
proceduto alla revoca ai sensi dell'art. 9
bis della legge n. 386/90, laddove entro
sessanta giorni non fosse stato onorario
l'assegno, procedendo altresì all'iscrizione
presso l'archivio CAI della Banca d'Italia.
Deduceva che l'assegno in quanto
emesso incompleto nell'indicazione della
data e del luogo di emissione, era da
ritenersi nullo, e quindi inefficace come
titolo esecutivo non potendo quindi essere
portato all'incasso.
Ne conseguiva che l'iscrizione sarebbe
risultata illegittima, determinando altresì
un
evidente
periculum
in
mora,
consistente nell'impossibilità di procedere
all'emissione di assegni, con paralisi
dell'attività imprenditoriale svolta dalla
ricorrente, alla quale sarebbe stata
preclusa anche la possibilità di stipulare
qualsiasi contratto di conto corrente,
convenzione di assegno o apertura di
credito.
Disposta la comparizione delle parti, e
notificato il ricorso ed il decreto di
fissazione dell'udienza, si costituiva la
Banca d'Italia, la quale eccepiva il proprio
difetto
di
legittimazione
passiva,
evidenziando
che
l'inserimento
e
l'aggiornamento dei dati del registro CAI
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ove si legge che la cancellazione e la
rettifica dei dati inseriti nell'archivio sono
effettuate dallo stesso ente che ha a suo
tempo effettuato la segnalazione anche su
ordine dell'autorità giudiziaria, i cui
provvedimento sono appunto eseguiti
dall'ente segnalante.
Ne discende che a differenza di quanto
avviene per la Camera di Comemrcio, per
la gestione del bollettino dei protesti, la
Banca d'Italia conserva una sola titolarità
formale dell'archivio e non può in alcun
modo essere destinataria di eventuali
provvedimenti di cancellazione o rettifica
dei dati inseriti, occorrendo invece a tal
fine, coinvolgere unicamente le anche o
gli uffici postali che originariamente
hanno effettuato la segnalazione.
Una volta rigettato il ricorso nei
confronti della Banca d'Italia, occorre
quindi
esaminare
la
domanda
relativamente agli altrui resistenti, e cioè
nei conforti della società che ha messo
all'incasso l'assegno per cui è causa, e
della banca trattaria, la quale non avendo
provveduto al pagamento dell'assegno per
carenza della provvista, ha prima
effettuato la comunicazione di preavviso
di cui all'art. 9 bis della legge n. 386 del
1990, per poi procedere in data 2 luglio
2007
all'iscrizione
della
ricorrente
nell'archivio CAI ed a richiedere la
restituzione dei moduli di assegno in suo
possesso, recedendo dalla convenzione di
assegni.
Le affermazioni di parte ricorrente,
secondo cui l'assegno n. omissis tratto sul
conto corrente della Casa & Arte s.a.s n.
omissis acceso presso la Filiale n. omissis
del Sanpaolo Banco di Napoli, venne
consegnato alla Punto Immobiliare privo
dell'indicazione della data e del luogo di
emissione, appaiono confermate dalla
stessa
difesa
della
società
di
intermediazione immobiliare, la quale
nella propria memoria ha precisato che
tale assegno costituiva una garanzia per
gli impegni che la ricorrente si assumeva
con
il
conferimento
dell'incarico
All'esito della comparizione delle
parti, e sentiti liberamente il legale
rappresentante della società ricorrente e
della
Punto
Immobiliare
Caserta,
all'udienza del 3 luglio 207, il Giudice si
riservava la decisione.
Il ricorso è fondato e pertanto deve
essere accolto.
Preliminarmente deve essere accolta
l'eccezione di difetto di legittimazione
passiva sollevata da parte della Banca
d'Italia, apparendo del tutto condivisibili
le argomentazioni adottate dai numerosi
precedenti giurisprudenziali allegati alla
produzione della detta Banca, le quali
hanno appunto evidenziato l'estraneità
della medesima rispetto alle richieste di
inibire ovvero ordinare la cancellazione
delle iscrizioni presso l'archivio CAI di cui
all'art. 10 bis della legge n. 386 del 1990.
Tale archivio di cui formalmente è
titolare la Banca d'Italia, può essere
gestito anche, così come avvenuto in
concreto, da un ente esterno, previo
ricorso alla figura della concessione,
giusta provvedimento del 15/3/2002,
prorogato in data 20/5/2005, e quindi in
corso di validità sino al 26/4/2008.
Ne consegue che all'esito di tale
affidamento, alla Banca residua solo un
potere
superiore
di
controllo
ed
eccezionalmente sostitutivo, ma è escluso
ogni potere concretamente gestorio,
quale in particolare quello di effettuare la
cancellazione
dei
dati
inseriti
nell'archivio.
Infatti, ai sensi del combinato disposto
dell'art. 10 bis della legge n. 386 del 1990
e dell'art. 2 del D.M. Giustizia del 7
novembre 2001 n. 458, che regolamenta il
funzionamento dell'archivio in questione,
le attività di inserimento, aggiornamento
e cancellazione dei dati avvengono per via
telematica, esclusivamente da parte delle
banche trattarie e dagli uffici postali.
Ciò appare altresì confermato dall'art.
5 del regolamento della Banca d'Italia del
29/01/2002,
sempre
relativo
al
funzionamento dell'archivio in oggetto,
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tutti gli elementi dell'assegno sano
presenti al momento della sua emissione (
Cassazione civile 3 maggio 1967 n. 828, in
BBTC 1967, II, 507).
Ed invero la giustificazione della
sanzione della nullità si rinviene nella
ontologica natura dell'assegno il quale,
pur a seguito delle modifiche intervenute
nel corso degli anni, che hanno eliminato
la rilevanza penale dell'emissione degli
assegni in bianco, conserva la sua
funzione
essenziale
di
mezzo
di
pagamento, posto che altrimenti opinando
verrebbe ad assumere una funzione
totalmente diversa, assolvendo uno scopo
assimilabile a quello della cambiale.
Tale argomento è quello che, anche a
seguito dell'abrogazione dell'art. 116 l.
assegni ad opera dell'art. 12 della legge n.
36 del 1990, permette di concludere per
la nullità per illiceità della causa
dell'eventuale accordo di riempimento
dell'assegno parzialmente in bianco, in
quanto il venir meno dell'illiceità penale,
non fa venire meno anche la contrarietà
con le norme di cui agli artt. 1 e 2 della l.
assegni, con una frode alla legge, atteso il
travisamento della funzione del titolo in
oggetto che da mezzo di pagamento si
trasformerebbe in uno strumento di
credito.
In tale ottica deve quindi confermasi
la
validità
dell'orientamento
giurisprudenziale in base al quale
l'emissione di un assegno in bianco, cui di
regola si fa ricorso per realizzare il fine di
garanzia, nel senso che è consegnato a
garanzia di un debito e deve essere
restituito al debitore qualora questi
adempia regolarmente alla scadenza della
propria obbligazione, rimanendo nel
frattempo nelle mani del creditore come
titolo esecutivo da far valere in caso di
inadempimento, è contrario alle norme
imperative di cui agli artt. 1 e 2 del R.D.
n. 1736 del 1933, e dà luogo ad un
giudizio negativo sulla meritevolezza degli
interessi perseguiti dalle parti, alla luce
del criterio della conformità a norme
professionale alla Punto Immobiliare,
avendo
altresì
la
funzione
di
rappresentare un deposito cauzionale
infruttifero.
Tale circostanza appare documentata
anche dalla lettura della lettera di
conferimento di incarico, predisposta su
carta intestata della Toscano Immobiliare,
cui la Punto Immobiliare è affiliata, nella
quale si da atto che è stato creato un
deposito cauzionale dell'importo di euro
27.00,00, previo rilascio dell'assegno per
cui è causa. Inoltre nella stessa
produzione della resistente si rinviene una
fotocopia dell'assegno in oggetto, che
reca in bianco sia la data che il luogo di
emissione, conformemente alla fotocopia
allegata alla produzione della ricorrente,
unitamente alla firma per ricevuta da
parte di F.F., agente della Punto
Immobiliare.
Appare quindi pacifico che l'assegno de
quo, al momento della sua consegna alla
resistente venne emesso privo della data
e del luogo di emissione e cioè degli
elementi di cui al n. 5) dell'art. 1 del R.D.
n. 1736 del 1933.
A mente del successivo art. 2,
l'assenza di alcuno dei requisiti di cui al
precedente articolo determina che il
titolo non valga come assegno, ed in tal
senso la contenete giurisprudenza di
legittimità ha affermato che l'assegno
privo di data è nullo, potendo invece
valere quale promessa di pagamento (
Cassazione civile 6 marzo 2006 n. 4804;
Cassazione civile 14 novembre 2001 n.
14158; Cassazione civile 30 maggio 1996
n. 5039 che evidenziasi peraltro la
differenza con l'assegno postdatato, il
quale è affetto da una mera irregolarità,
ben potendo essere immediatamente
pagato).
Né appare possibile supplire a tale
carenza con il potere conferito dal
traente al prenditore di completare
successivamente il titolo con la data
mancante, essendosi ritenuta inefficace
tale delega, in quanto è necessario che
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nominativo della ricorrente nell'archivio
CAI di cui all'art. 10 bis della legge n.
386/1990, ovvero, nel caso vi abbia già
provveduto, ad ordinarne l'immediata
cancellazione,
con
conseguente
inefficacia del recesso dalla convenzione
di assegni e del divieto di emissione degli
assegni, e di tutte le conseguenze di cui
all'art. 9 della legge ora menzionata.
Attesa la particolare complessità della
questione trattata, considerato che la
banca trattaria non aveva elementi per
valutare che l'assegno fosse stato
originariamente rilasciato in bianco, e
considerato che la nullità dell'assegno
deriva dalla consapevole partecipazione
della
ricorrente
che
ha
appunto
scientemente consegnato un assegno in
bianco, sussistono giusti motivi per
compensare integralmente le spese della
presente procedura.
P.Q.M.
-Rigetta il ricorso nei confronti della
Banca d'Italia;
-Inibisce al ________di procedere
all'inserimento
del
nominativo
__________nell'archivio di cui all'art. 10
bis della legge n. 386 del 1990, in
relazione
al
mancato
pagamento
dell'assegno n. omissis tratto sul conto
corrente della omissis acceso presso la
Filiale n. omissis del ______ovvero in caso
di già avvenuto inserimento, ne ordina
l'immediata
cancellazione,
con
conseguente inefficacia di tutte le
conseguenze di cui all'art. 9 della legge n.
386 del 1990;
-Compensa integralmente tra le parti
le spese di lite.
Napoli, 4 luglio 2007.
Il Giudice designato
Dott. Mauro Criscuolo
imperative, all'ordine pubblico ed al buon
costume ( Cassazione civile 19 aprile 1995
n. 4368).
Attesa la evidente nullità dell'assegno
in questione, lo stesso, valendo al più
come promessa di pagamento ( ed in tale
veste è stato correttamente azionato
dalla Punto Immobiliare al fine di
ottenere e l'emissione di un decreto
ingiuntivo,
potendosi
in
sede
di
opposizione far valere le questioni
relative alla validità del rapporto
sottostante), non poteva essere pertanto
portato legittimamente all'incasso, con
l'ulteriore conseguenza che la banca
trattaria non era tenuta a garantirne il
pagamento. Ne discende altresì il fumus
della domanda attorea, posto che, non
trattandosi di mancato pagamento di un
assegno, essendo il titolo in questione
radicalmente nullo, non si impone la
comunicazione di cui all'art. 9 bis della
legge n. 386 del 1990, ed appare altresì
illegittimo l'inserimento del nominativo
della ricorrente nel registro di cui all'art.
10 bis della medesima legge.
Quanto al periculum in mora, lo stesso
si evidenzia nella circostanza che la
ricorrente svolge attività imprenditoriale,
e che tale attività verrebbe a subire un
pregiudizio irreparabile, attesa la paralisi
di qualsiasi forma di transazione e
pagamento scaturente dalla revoca della
convenzione di assegni.
Inoltre l'inserimento dell'archivio CAI,
oltre ad inibire il normale sviluppo delle
relazioni con il mondo bancario e
finanziario, atteso il sospetto che investe
la persona il cui nominativo sia stato ivi
inserito, determina anche un pregiudizio a
carattere non patrimoniale, minando il
buon nome, la credibilità e l'immagine,
commerciale e non, del soggetto
illegittimamente iscritto.
Sussistono quindi i presupposti per la
concessione
della
richiesta
tutela
innominata d'urgenza, con la conseguenza
che deve inibirsi al Sanpaolo Banco di
Napoli, di provvedere all'inserimento del
Fideiussione e contratto autonomo di
garanzia
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___________________________________________________________________________________________________________
Autorità: Cassazione civile sez. I
Data:
14
dicembre
2007
Numero:
n.
26262
Parti:
Fonti: Giust. civ. Mass. 2007, 12, Banca
borsa tit. cred. 2009, 4, 412 (s.m.) (nota
di: CUCCOVILLO)
Classificazione
Testo
Fideiussione - Rapporti fra creditore
e fideiussore - Eccezioni opponibili dal
fideiussore - Contratto autonomo di
garanzia - Caratteri - Obbligo di
effettuare il pagamento a semplice
richiesta del creditore - Rinuncia ad
opporre le eccezioni inerenti al
rapporto principale - Configurabilità Limiti - Abusiva esecuzione della
garanzia - Nullità del contratto
presupposto per contrarietà a norme
imperative o per illiceità della causa Conseguenze - Fattispecie in tema di
usura.
In tema di contratto autonomo di
garanzia, l'assunzione da parte del
garante dell'impegno di effettuare il
pagamento a semplice richiesta del
beneficiario della garanzia comporta la
rinunzia ad opporre le eccezioni inerenti
al rapporto principale, ivi comprese
quelle relative all'invalidità del contratto
da cui tale rapporto deriva, con il duplice
limite dell'esecuzione fraudolenta o
abusiva, a fronte della quale il garante
può opporre l'"exceptio doli", e del caso in
cui le predette eccezioni siano fondate
sulla nullità del contratto presupposto per
contrarietà a norme imperative o per
illiceità della sua causa, tendendo
altrimenti il primo contratto ad assicurare
il risultato che l'ordinamento vieta. (In
applicazione di tale principio, la S.C.,
cassando
con
rinvio
la
sentenza
impugnata, che aveva erroneamente
ritenuto inammissibile l'eccezione di
nullità, ha affermato il dovere di
accertare - come richiesto dagli opponenti
ad un decreto ingiuntivo ottenuto dalla
banca ai sensi dell'art. 50 d.lg. n. 385 del
1993 - l'eventuale previsione del tasso
usurario sugli interessi passivi interessanti
il rapporto di conto corrente ai sensi degli
art. 644 c.p. e 1815 c.c., e la conseguente
nullità ex art. 1418 c.c.).
Quesiti al CTU in materia di usura ed
anatocismo.
-----Tribunale di Napoli
Sezione Distaccata di Frattamaggiore
Proc. n. ……………
R.G.A.C……………..
Il G.I.,
letti gli atti e i documenti di causa;
ritenuto che appare opportuno avvalersi
dell’ausilio di un consulente di ufficio per
la verifica di cui ai quesiti che segue:
1.
Accertamento
delle
condizioni
contrattuali. Voglia il consulente, previa
acquisizione ed
esame
della
documentazione relativa al rapporto di
conto corrente in oggetto (contratto di
apertura di conto corrente ed estratti
conto dall’epoca di apertura del conto a
quella di sua chiusura, conti scalari,
ecc.), presente agli atti del giudizio (o
acquisita consensualmente dalle parti),
indicare
separatamente
le
voci
contrattuali previste per calcolo degli
interessi,
commissione
di
massimo
scoperto, calcolo dei giorni di valuta.
2.
Sviluppo
delle
condizioni
convenute nel contratto. Predisponga un
calcolo applicando il tasso di interesse
pattuito tra le parti nel contratto nella
misura numerica ivi indicata, ovvero il
diverso tasso di interesse modificato in
senso favorevole dalla Banca o anche
sfavorevole al cliente (se non vi siano
contestazioni
delle
comunicazioni
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periodiche allo stesso, oppure se esse
risultino allegate);
3.
Applicazione saggio legale ed art.
117 TUB: nel caso in cui il tasso di
interesse non sia determinato nel
contratto, manchi il contratto oppure
venga determinato mediante rinvio alle
condizioni su piazza (oppure nel caso in
cui gli interessi siano più sfavorevoli
rispetto a quelli pubblicizzati per il
periodo
successivo
al
3.12.2010)
verificata l’epoca di stipula del contratto
o di inizio del rapporto, sostituisca gli
interessi applicati dalla banca con gli
interessi al saggio legale, se il contratto è
antecedente al 09.07.1992, data di
entrata in vigore della legge n.l 152 del
1992 sulla trasparenza e fino a tale data;
se, invece, è successivo (o per il periodo
successivo al 09.07.1992), applichi il tasso
nominale minimo dei BOT per le
operazioni attive della banca (prestiti al
cliente), ed il tasso nominale massimo per
le operazioni passive (annotazioni a
credito del cliente), determinando tale
tasso sui BOT a 12 mesi emessi nell’anno
precedente a quelli di applicazione
(quindi non esclusivamente la rendita dei
BOT al momento della stipula del
contratto);
4.
Tasso usura. Accerti il CTU,
secondo i d.m. prodotti dalle parti, se al
momento
della
pattuizione
degli
interessi,o dell’esercizio dello ius variandi
da parte della banca, si sia superato il
TEG, confrontando, quindi, il tasso con ul
TEG al momento della stipula o della
variazione.
5.
Accertamento della c.m.s. verifichi
se la c.m.s. è stata convenuta per
iscritto, quale sia la sua natura (come
provvigione sull’accordato, sull’accordato
al netto dell’utilizzato oppure come
commissione determinata sull’ammontare
massimo dell’utilizzato nel periodo
individuato in contratto, oppure sulla
misura massima dello sconfinamento),
applichi tale commissione esclusivamente
nel primo caso, altrimenti se determinata
sul picco massimo di scoperto, se non
convenuta per iscritto o determinata con
rinvio agli usi escluda dal calcolo
integralmente la c.m.s.,
6.
Esclusione di costi non dovuti
Esclusa qualsiasi altra remunerazione
contabilizzata a carico del correntista,
ma non pattuita nel contratto, ad
eccezione delle imposte e delle tasse
come dovute ex lege,
7.
Accertamento
dell’usurarietà
originaria. per i contratti stipulati
successivamente all’entrata in vigore
della legge n. 108 del 1996, oppure in
caso di variazione successiva del tasso
convenzionale, .verifichi se vi sia stata
usurarietà originaria del saggio applicato
accertando il rispetto al tasso soglia al
momento della stipula del tasso
originariamente convenuto sia del tasso
convenzionale anche unilateralmente
variato al momento della variazione
stessa (il tasso non sarà quindi usurario se
il superamento del tasso soglia nel
periodo di riferimento rappresenta
l’effetto della discesa dei tassi e non
della variazione del tasso applicato) nel
caso di superamento del tasso soglia nei
casi indicati, applichi la sanzione ex art.
1815, comma 2 c.c. (<<nessun interesse è
dovuto>>),
8.
Formule di calcolo ed oneri inclusi
ed esclusi. determini il tasso soglia in
conformità alle formule di calcolo
previste nelle Istruzioni della Banca
d’Italia applicabili nel periodo di
riferimento,
9.
Usura e c.m.s. nell’accertare il
superamento del tasso soglia escluda dal
calcolo la c.m.s. fino al 31.12.2009 (’art.
2 bis. comma 2 del d.l.. 29 novembre
2008, n. 185, convertito con la L. 28
gennaio 2009, n. 2, Istruzioni della Banca
d’Italia dell’agosto del 2009),
10.
Capitalizzazione trimestrale degli
interessi. Verifichi l’applicazione degli usi
o della clausola di
capitalizzazione
trimestrale degli interessi debitori,
predisporre analitico calcolo delle voci
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___________________________________________________________________________________________________________
costituenti il saldo passivo, applicando la
misura legale degli interessi ed il criterio
di capitalizzazione pattuito dalle parti;
11.
Esclusione di ogni capitalizzazione
fino al 2000. predisponga, altresì, altro
calcolo
applicando
la
misura
convenzionale degli interessi o se non
possibile per i motivi sopra indicati, il
saggio legale degli interessi ed il saggio
ex art. 117 TUB senza operare alcuna
capitalizzazione degli stessi, fino alla
data di comunicazione al cliente, previa
pubblicazione della clausola di reciprocità
della capitalizzazione trimestrale sulla
Gazzetta Ufficiale e, successivamente
applichi la capitalizzazione reciproca
trimestrale per gli interessi attivi e
passivi (30.6.2000);
12.
Saldo zero. Nel caso in cui sia la
banca a richiedere il pagamento e la
documentazione bancaria sia parziale o
incompleta o in mancanza di qualsiasi
giustificazione causale del saldo iniziale
passivo,
sempre
che
sia
stata
tempestivamente eccepita la mancata
dimostrazione del saldo passivo, proceda
il CTU al calcolo partendo dal saldo zero;
nel caso, invece, in cui, invece, la
documentazione sia incompleta nei
periodi intermedi, proceda il CTU al
calcolo partendo, in caso di richiesta
della banca, dall’estratto più risalente e
documentato, e nel caso, invece, di
richiesta di indebito del cliente, partendo
dall’estratto più recente e documentato;
13.
Prescrizione.
Nel
caso
di
formulazione
di
eccezione
di
prescrizione, il CTU, consideri che:
- il termine decorre dall’annotazione del
versamento in caso di assenza di fido o
nel caso in cui il pagamento sia
imputabile
all’extrafido,
e
dalla
chiusura del conto nel caso in cui i
versamenti siano ripristinatori della
provvista
- vanno a tal fine equiparate la regolare
concessione di fido, e la concessione di
un fido di fatto (riscontrabile se le
modalità
di
utilizzo
del
conto
dimostrino
univocamente
tale
condizione).
In caso di eccezione di prescrizione,
quindi, effettui il ricalcolo senza escludere
gli atti di pagamento – come sopra definitianteriori di oltre 10 anni rispetto al
primo atto interruttivo della prescrizione
(art. 2, comma 61 del decreto-legge 29
dicembre 2010, n. 225, conv.in legge n. 10
del 2011).
-
-
nomina
consulente
tecnico
dr.
_______________________________
preso atto della sua presenza
all'odierna udienza e della disponibilità ad
assolvere l’incarico;
letto
l'art.
193
c.p.c.,
riceve
preliminarmente il giuramento di questi di
bene e fedelmente adempiere le funzioni
che gli vengono affidate al solo scopo di
far conoscere al Giudice la verità,
ricordandogli l'importanza delle funzioni
che è chiamato ad adempiere;
- autorizza il consulente a servirsi del
mezzo proprio;
ll C.T.U. dichiara di accettare l'incarico e
chiede termine di giorni 120 per il
deposito della relazione scritta decorrenti
dall'inizio delle operazioni che fin da ora
fissa per il giorno
_________________________presso lo
studio in ______________________
Il G.I.
•
•
•
•
assegna il termine richiesto;
manda inoltre al ctu di tentare la
conciliazione della lite, sia in sede di
inizio delle operazioni, sia alla chiusura
della fase in contraddittorio;
autorizza il ctu ad assumere
informazioni dalle parti e da terzi, anche
enti pubblici, ma non ad acquisire
documenti, se non con il consenso delle
parti;
dispone
fin
d'ora
che
le
comunicazioni tra il CTU e le parti, ai
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___________________________________________________________________________________________________________
•
•
•
•
sensi dell'art. 195, co. III, c.p.c.
avvengano a mezzo lettera raccomandata
con ricevuta di ritorno, posta elettronica
certificata o telefax (da fornire al CTU in
allegato al verbale o in occasione del
primo accesso);
invita il CTU a depositare copia della
relazione e dei relativi allegati e ad
inviare copia elettronica dell'elaborato
definitivo sia alle parti, sia al giudice
istruttore
([email protected]).
invita il CTU al rispetto del termine
dal
medesimo
indicato;
i
CTU
provvederanno a depositare entro il
___________________ bozza di CTU da
sottoporre alle parti che potranno
depositare le loro controdeduzioni fino al
___________________
ed
il
CTU
depositeranno CTU definitiva entro il
_______________________
In caso di
consegna della bozza di CTU in data
successiva alla data indicata, il CTU
provvederà a comunicare alle parti
l’avvenuto deposito le parti avranno giorni
30
dalla
comunicazione
per
controdeduzioni ed il CTU avrà ulteriori
giorni 30 per il deposito della bozza
finale.
invita in ogni caso il CTU al rispetto
del termine dal medesimo indicato e
comunque al deposito in cancelleria,
almeno 15 giorni prima dell’udienza a
fissarsi, della relazione in originale
nonché delle copie per le parti,
onerandolo dell’avviso alle stesse del
completamento delle operazioni peritali;
evidenzia
che
eventuali
proroghe
potranno essere concesse solo per
giustificati motivi e che il ritardo
ingiustificato nel deposito della relazione
costituirà motivo di segnalazione al
Presidente del Tribunale ai sensi dell’art.
19 disp att. c.p.c..
fissa
l'acconto
in
euro
___________________________ che pone
provvisoriamente
a
carico
dei_________________
•
autorizza altresì la nomina dei
consulenti di parte sino alla data d'inizio
delle operazioni peritali ;
P.Q.M.
Rinvia all’udienza del
__________________
Frattamaggiore,
Il CTU
Il Giudice
dr. Pasquale Serrao d’Aquino
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