Il gioco del pollo sul debito greco

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Il gioco del pollo sul debito greco
Il gioco del pollo sul debito greco
Alessandro Ceccaroni, Marco De Andreis
Roma, 21 giugno 2011
Nel gioco del pollo due individui sono lanciati a forte velocità l’uno contro l’altro: vince chi resiste alla
tentazione di scartare dalla traiettoria. Ma se entrambi resistono, perdono entrambi. La vita.
Il governo greco da una parte e l’Unione europea dall’altra sembra abbiano finito per cacciarsi in questo
maledetto, stupido gioco.
I greci sanno che le possibili conseguenze di un default sul proprio debito pubblico – potenziali fallimenti a
catena di altri debiti sovrani dell’eurozona, crisi del sistema bancario dentro e fuori l’eurozona che detiene i
titoli pubblici europei, altra (dopo quella del 2008) penosa transizione di fase dell’intero sistema finanziario
internazionale dallo stato liquido allo stato solido – sono troppo importanti per essere ignorate. Anche la
Grecia, insomma, si sente too big to fail. Puntando sull’alta probabilità di venire salvata in ogni caso, può
decidere di tirare dritto, evitando i grossi sacrifici che le vengono richiesti in cambio del salvataggio.
L’Unione europea – o meglio l’eurozona e in particolare il governo tedesco – sa che se garantisce in anticipo
al governo greco il salvataggio, questo può evitare le misure di aggiustamento politicamente indigeste che
dovrebbero costituirne la controparte. Moral hazard. Di qui la decisione da parte dei ministri delle finanze
dell’eurozona, lo scorso fine settimana, di non garantire nulla, di aspettare la fiducia al nuovo gabinetto
greco e l’approvazione dal parte del Parlamento di Atene del pacchetto di misure di austerità.
Perfetto. L’uno aspetta che l’altro scarti per primo. E se non scarta nessuno?
Nel vuoto di decisioni le note stonate aumentano. Inoltre, l’aumento della pressione fiscale e la riduzione
del potere d’acquisto conseguenza dell’austerità richiesta ai greci, deprimono viepiù la loro economia,
impedendo quella crescita che sola può far rientrare dal debito – dicono in molti. Anche le riforme
strutturali – cioè la deregolamentazione di tanta parte dell’economia e della società greche – hanno effetti
positivi sulla crescita nel medio periodo. Nel breve, deprimono.
Così riprendono fiato gli aficionado della svalutazione – che potrebbe aver luogo solo se la Grecia uscisse
dall’euro e tornasse alla dracma. Il loro cavallo di battaglia è l’Argentina: nel gennaio del 2002 fa default sul
debito, svaluta il peso et voilà, tutto a posto: immediata (dopo solo un trimestre) ripresa della crescita.
Peccato che si ometta di ricordare che il rimbalzo è stato proporzionale alla violenza della caduta: un quarto
degli argentini si sono ritrovati di colpo sotto la soglia di povertà, i conti correnti bloccati, le pensioni che
non valevano più nulla. E le conseguenze del fallimento sul risparmio non-argentino? Quanto è corta la
memoria. Crack Parmalat e bond argentini sono stati lo scandalo bancario italiano della prima metà di
questo decennio.
Non c’è nessuna maniera indolore di uscire da questo imbroglio, ma a differenza dell’Argentina, la Grecia,
facendo parte dell’eurozona, ha un’alternativa. Il male minore, giunti a questo punto, non è la soluzione
argentina, bensì il fatto che siano non i greci ma gli altri, Unione europea in testa, a cedere e a scartare per
primi, nel gioco del pollo. Cedere qui vuol dire accollarsi parte del debito pubblico greco.
Chi se lo accolla, i governi e/o i privati? Da parte soprattutto tedesca sono venute proposte per una
“partecipazione dei privati” al problema in questione. Si tratterebbe di spingere le maggiori istituzioni
private europee creditrici della Grecia ad effettuare un roll over, ossia rinnovare il vecchio debito con del
nuovo a condizioni in vigore nel passato ma non più di mercato. Purtroppo ciò costituirebbe l’indizio di un
default bello e buono, in quanto il valore attuale (net present value) del nuovo debito, calcolato ai tassi di
rendimento correnti, che sono oltre il 20%, sarebbe a sconto sul nominale ed equivarrebbe da un punto di
vista finanziario a un mancato parziale rimborso del debito preesistente (per la differenza tra l’ammontare
del nuovo debito sottoscritto ed il suo net present value). Le agenzie di rating ed i titolari di credit default
swap (una sorta di assicurazione contro l’insolvenza di un debitore) griderebbero al default – con le
potenziali disastrose conseguenze già ricordate.
L’unica via di uscita sembrerebbe una sorta di offerta pubblica d’acquisto da parte delle istituzioni
pubbliche europee e internazionali di tutto il debito sovrano greco al valore corrente di mercato (o a un
prezzo più elevato per fornire un incentivo all’adesione) che è comunque ben più basso di quello nominale.
Ad esempio si potrebbe offrire, grosso modo, 50% per i trentennali (prezzo corrente 43 circa), 60% per i
decennali (prezzo 52), 70% per i quinquennali (prezzo 54) e così via.
Un ottimo schema secondo queste linee è quello proposto da Daniel Gros sul New York Times.
Pertanto quella persuasione che si vorrebbe esercitare sulle istituzioni private creditrici potrebbe essere
meglio applicata per spingerle ad aderire all’OPA alle condizioni sopra esposte, purgare i propri bilanci dai
titoli greci ed eventualmente ricorrere al mercato per ricapitalizzarsi, ove necessario. Un caso a parte è
rappresentato dal sistema bancario greco, che verrebbe colpito in modo più profondo e andrebbe
ricapitalizzato. Qui, più che l’ammontare delle risorse, rileverebbe la probabile perdita di sovranità della
Grecia sulla proprietà delle banche locali.
Una volta che il grosso del debito pubblico greco fosse nelle mani di dette istituzioni internazionali (Banca
centrale europea inclusa) e le banche/compagnie di assicurazione europee avessero proceduto a
ricapitalizzarsi, il problema del contagio non esisterebbe più e tutta la faccenda diventerebbe una
questione bilaterale tra il Governo greco e quello che chiameremo il suo Creditore Unico. A questo punto si
aprirebbero diversi scenari, ma senza alcuna pressione del mercato e senza eccessiva fretta.
Prima di passare alla soluzione finale, già ci sembra di sentire le obiezioni riguardo al problema del free
riding ossia quei creditori che opportunisticamente non aderiscono all’offerta nella speranza di essere alla
fine ripagati in pieno. Aspettativa non del tutto campata in aria visto che finora tutti i bond in scadenza
sono stati dalla Grecia puntualmente rimborsati al valore facciale più interessi. Ma, se la moral suasion di
cui sopra avrà funzionato a dovere, il problema dovrebbe essere di dimensione del tutto marginale. Inoltre,
nel nostro finale preferito, di cui si dirà qui sotto, il free rider non fa proprio una bella fine.
Infatti, nel nostro scenario preferito, effettuata l’OPA e tolto dalla circolazione l’intero debito della Grecia,
quest’ultima riporta il proprio bilancio pubblico in pareggio, avvia un massiccio programma di
privatizzazioni e alienazioni nonché di riforme delle rendite e pensioni che ponga il tenore di vita dei
cittadini in linea con la propria capacità produttiva e la competitività del sistema – il che non significa un
ritorno al medio evo ma semplicemente vivere non al di sopra dei propri mezzi. A molti greci ciò potrà
sembrare un opprimente commissariamento da parte di Bruxelles o Berlino, ma è un aggiustamento dello
stile di vita a cui si dovranno prima o poi sottoporre non pochi paesi, anche al di fuori dell’eurozona.
Tutto ciò compiuto, il Creditore Unico potrebbe, nella sua interessata generosità, proporre unilateralmente
alla Grecia un dimezzamento del debito – capitale e interessi – che coinvolgerebbe ovviamente anche i free
riders. Il default pertanto arriverebbe, ma in modo del tutto programmato e senza effetti a catena. La
Grecia, in pareggio di bilancio e con un debito ed un onere per interessi dimezzati, verrebbe messa in una
situazione di sostenibilità, ossia con un rapporto debito/Pil probabilmente tra il 90 ed il 100%.
Come verrebbe ripartito il costo del salvataggio? Nella nostra ipotesi di un haircut finale del 50%, l’onere
per i creditori sarebbe di circa 180 miliardi di euro. Immaginando un’OPA ad una media del 75% del
nominale, questo verrebbe ripartito 50/50 tra pubblico e privato (in realtà ci sono i titoli greci detenuti dalla
Banca centrale europea che fanno pendere la bilancia maggiormente a carico del Creditore Unico).
Il pacchetto complessivo di aiuti attualmente in discussione a favore della Grecia lievita di ora in ora e si
avvia verso la soglia dei 200 miliardi di euro, con il rischio che nonostante tutto il problema della
sostenibilità del debito greco non venga risolto alla radice ma solo procrastinato, mantenendo
sull’eurozona la spada di Damocle del contagio.
I governi europei devono quindi mettere sul tavolo i soldi per questa specie di OPA. Perché dovrebbero
farlo? Perché abbiamo tutti un tornaconto.
Salviamo tutti vari beni pubblici: la moneta unica, forse l’intera l’Unione, la stabilità del sistema finanziario
internazionale. I governi tedesco e francese salvano le proprie banche, piene di carta greca – che però
dovranno anche ricapitalizzare, probabilmente. Gli italiani e gli spagnoli, poco esposti ai titoli greci, si
mettono tuttavia al riparo da un contagio che colpirebbe i loro conti pubblici per primi. E così via.
La moneta unica permette inoltre alla macchina esportatrice tedesca di girare a mille senza la zavorra di
una valuta che di conseguenza si apprezzerebbe vertiginosamente. Il surplus commerciale tedesco è pari
(grosso modo) al deficit commerciale del resto dell’aerea dell’euro. La Germania accumula un surplus
finanziario, perlopiù in capo al suo settore industriale, del tutto analogo a quello della Cina nei confronti
degli USA, ma senza i rischi che i cinesi si prendono nei confronti degli americani (il deprezzamento del
dollaro) o meglio con rischi di natura diversa (vedi Grecia) che derivano da carenze di progettazione del
meccanismo della moneta unica e dalla non corretta applicazione del trattato di Maastricht.
Non abbiamo mai usato l’argomento solidarietà (in questo caso con i greci) – e ci dispiace perché noi la
tireremmo in ballo volentieri: che unione politica vuoi fare in Europa senza solidarietà? È pur vero che la
Grecia ha spudoratamente approfittato dell’ombrello dell’euro per vivere più spensieratamente e
partecipare ai benefici della moneta unica – non ultimo l’innalzamento del tenore di vita dei cittadini che
deriva dall’avere in tasca una valuta di riserva globale – senza agire sulla competitività e senza riforme
micro-economiche. Per non parlare dell’attendibilità dei conti pubblici al momento degli esami di
ammissione all’euro.
Ma la solidarietà è un argomento che nessuno si azzarda a tirar fuori perché ognuno ha i suoi leghisti,
perfino i finlandesi, e perché il governo tedesco non fa che usare il termine Transfer Union come un
dispregiativo. Eppure le unioni, le federazioni, servono anche a questo: a trasferire risorse attraverso la
politica fiscale da chi prospera a chi arranca, per procedere tutti assieme con meno squilibri possibili, nel
presupposto che oggi può toccare a me, domani può toccare a te. Negli Stati Uniti d’America funziona così
da più di due secoli.
Il problema del debito dei paesi cosiddetti periferici è di dimensioni trattabili per un’area ricca e tutto
sommato sana come quella dell’euro. Come nel gioco del pollo, però, qualcosa potrebbe non funzionare a
dovere, in particolare nella sfera della politica, e il gioco potrebbe finire con un po’ di ossa rotte – ma, tutto
sommato, anche dalle fratture si può recuperare completamente.