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S EDITORIALE PROFESSIONE STORIA E CULTURA TESI DI LAUREA M M A R I O 3 Paolo Scandaletti Quali professionisti e quale università per la comunicazione? 6 Andrea Melodia Giornalisti nel fiume di Internet 12 Giorgio Tonelli Credibilità del giornalismo e crisi della società 14 Giancarlo Zizola Psicopatologie “adulte” nel web e ricadute sui minori 23 Marino Cavalli Progressive derive dell’ipercomunicazione pubblica 26 Paolo Scandaletti I giornali di trincea dopo Caporetto 33 Camilla Rumi Lobbies: regolamentazione possibile? 36 Piero Onofri Lobby: un’attività di pressione moderna ed efficace 44 Sergio Borsi Notizie dal mondo dell’informazione 48 Antonio Benforte Enzo Baldoni. La morte di un giornalista atipico 49 Irene Iermano Il caso Moro in tre quotidiani 51 Paolo Massa Pasolini: storia «scandalosa» di un giornalista-scrittore CONVEGNI 52 E CONGRESSI 53 MILANO Pubblicità online, crescita super Rosa Maria Serrao 54 LIBRI O ROMA Più libri, più liberi. Fiera della piccola e media editoria PROGETTO AMICO LIBRO 1000 euro alle scuole 55 Camilla Rumi ROMA Genitori e media, una sfida da vincere 56 C.R. ROMA UCSI Giornalisti con la schiena dritta 57 Piero Onofri STATISTICHE EUROPEE Uso del computer e di Internet 59 P.S. Giovanni Masciola, Il giornalista galantuomo 60 Mauro Banchini Riccardo Bigi, Giorgio La Pira. I miei pensieri 61 Paolo Scandaletti Corrado Augias, Leggere - EZIO RAIMONDI, Un’etica del lettore 62 Angelo Sferrazza Roberto Di Giovan Paolo con Maria Rita Moro, Comuni- 63 Francesco Malgeri care rende liberi 1 Antonio e Furio Scrimali, Graffiti e iscrizioni della Grande Guerra n. 2/2007 DESK DESK E C U LT U R A E R I C E R C A D E L L A C O M U N I C A Z I O N E REDAZIONE: ROMA, VIA IN LUCINA 16/A Rosa Maria Serrao 06/68.80.28.74 fax 06/45.44.96.21 cell. 349/09.211.07 e-mail: [email protected] NAPOLI: Arturo Lando, Andrea Pitasi cell. 339/22.65.709 e mail: [email protected] Proprietà ed Editore: Ucsi T O R I A L E QUALI PROFESSIONISTI E QUALE UNIVERSITÀ PER LA COMUNICAZIONE? Anno XIV n. 4 COMITATO SCIENTIFICO Francesco M. De Sanctis (Presidente) Giuseppe Acocella Ermanno Bocchini Pasquale Borgomeo Isabella Bossi Fedrigotti Enzo Cheli Massimo Corsale Piero Craveri Lucio D’Alessandro Derrick De Kerckhove Ornella De Sanctis Gianpiero Gamaleri Paolo Mazzoletti Massimo Milone Mario Morcellini Agata Piromallo Gambardella Emilio Rossi Paolo Scandaletti Franco Siddi I LA RICERCA LUISS: Rivista trimestrale Università Sr. Orsola Benincasa e Ucsi DIRETTORI Paolo Scandaletti (responsabile) Lucio D’Alessandro D PAOLO SCANDALETTI N Paolo Scandaletti, giornalista, insegna etica della comunicazione all’Università Luiss di Roma e Storia del giornalismo al Sr Orsola Benincasa di Napoli. Dirige questa rivista insieme a Lucio d’Alessandro www.ucsi.it GIUNTA ESECUTIVA Massimo Milone (Presidente) Angelo Sferrazza (Vicepresidente), Giorgio Tonelli (Segretario), Francesco Birocchi (Tesoriere), P. Pasquale Borgomeo (consulente ecclesiastico), Maurizio Del Maschio, Paolo Lambruschi, Andrea Melodia, Antonello Riccelli, Giuseppe Vecchio Finito di stampare: dicembre 2007 da CSR - Roma, Via di Pietralata 157 3 on esisteva una foto-analisi sullo stato delle professioni dei comunicatori italiani, la corrispondente offerta formativa delle università, l’assetto delle loro associazioni, la domanda del mercato. Tra evidenti reticenze, qualcosa era emerso, ma poco volentieri se ne discuteva in pubblico. Eppure, nell’incompiuto assetto del nostro sistema dei media, anche queste carenze apparivano in tutta la loro rilevanza, come linee d’ombra su una vita sociale così pervasa da trasmissioni e pagine, scelte e comportamenti sempre più aspramente giudicati dai cittadini-lettori-utenti. Di qui è nato il progetto di ricerca Le professioni della comunicazione in Italia e in Europa, nell’ambito della facoltà di scienze politiche-dipartimento di scienze storiche e sociopolitiche, Università Luiss Guido Carli di Roma; con il sostegno della Fondazione Antonveneta. E’ partito da una analitica e diffusa ricognizione dei livelli di formazione negli atenei e nelle aziende, l’accesso alla professione, l’esercizio e il controllo sociale; per allargarsi alla comparazione con sei significativi paesi europei. I risultati sono stati raccolti e pubblicati nei quaderni di DESK n. 13 e 14; verranno discussi nel convegno internazionale a Roma del 26 febbraio 2008. Se e come vorrà rispondere il sistema universitario, con scelte e positivi adeguamenti, lo vedremo nell’uncontro che il prossimo anno vi sarà dedicato. Il principale riferimento valoriale della ricerca, il sistema dei media per il sistema Paese, emerge ancor più in questa seconda parte, dedicata a Università e professioni dei comunicatori in Europa: criticità, ritardi e problemi irrisolti. Al di là di ogni pretesa autoreferenziale, informazione e comunicazione troveranno infatti tanta legittimazione e credibilità, sviluppo e innovazione, quanto saranno capaci di aiutare l’intera società a ben intendersi e rappresentarsi. Non riconoscendosi in un insieme di corporazioni in conflitto e i più fuori della porta: ma in quella società aperta, fondata su valori condivisi, che a Popper, dopo tanti disastri, hanno finalmente dovuto dare conferma. È curioso come in ambiti sociali così privilegiati e bisognosi di apporti culturali saggi e lungimiranti quali appunto l’università e le professioni, in Italia prevalga spesso invece la miopia e l’arroganza del potere. Caste chiuse, come e talvolta peggio di quella dei politici, di recente salita con clamore agli onori di cronache impietose. Preceduta, l’anno avanti, da quella economin. 2/2007 DESK E D I T O R I A L E co-finanziaria impegnata nella scalata alle banche, coperta da chi avrebbe dovuto controllare. La ricerca su Le professioni della comunicazione in Italia e in Europa intendeva precisamente mettere il dito su questa piaga sociale, per il comparto che più rientra nelle nostre competenze di studio e vissuto professionale. Abbiamo provato a rappresentare le cose come sono, evidenziandone sistematicamente i punti critici, le arretratezze e i problemi ancora insoluti; per ritrovare anche qui le motivazioni e le vie di una schietta consapevolezza, nella volontà di far tornare a crescere questo affannato Paese. Non è proprio questo, del resto, il nostro primo dovere di genitori, di educatori e formatori? Che altro ci potrebbero chiedere i giovani? Che cosa si aspettano i nostri studenti, se non un valido aiuto per capire il mondo nel quale si apprestano ad entrare con competenze specifiche? E - perché no? - anche quella manciata di valori pubblici sui quali radicare le loro attese e la speranza di una vita normale? Nella buona sostanza, dalla panoramica della ricerca emergono alcune criticità rilevanti e comuni ai diversi ambiti professionali. Mentre per i giornalisti l’identificazione delle proprie culture e competenze è andata crescendo e specificandosi fino alla soglia della comune percezione, non così avviene per i comunicatori; anche per uno sviluppo storicamente più ravvicinato. Occorrono dunque profili professionali e competenze meglio definite e agevolmente rilevabili dai potenziali clienti e dalla gente comune, per quanti fanno relazioni esterne, pubblicità, comunicazione pubblica e politica, lobby. E alla migliore definizione delle professioni è da accompagnare quella delle relative associazioni e rappresentanze: ordini o associazioni riconosciute, alle quali si dev’essere obbligatoriamente iscritti, che sono in grado di certificare le competenze ai cittadini, definire e autogestire davvero le rispettive deontologie; trovando, peraltro, gli interlocutori editoriali ed aziendali altrettanto dotati di codici deontologici e della consuetudine di applicarli, perché gli conviene e per senso di responsabilità verso il sistema-Paese. Rappresentanze lucide e decise nel collaborare con le università e le imprese, per dotarci di un’offerta formativa di qualità alta ed in sintonia con la domanda corrente. Perciò sul disegno di legge delega Mastella ministro e Parlamento non possono demordere, nè il Governo e la Pubblica amministrazione furbescamente defilarsi dall’applicare sistematicamente la legge 150 sulla comunicazione pubblica. E perché finalmente non riconoscere ed accreditare, con regole e sanzioni, le attività lobbistiche presso gli organi decisori; scegliendo la via legislativa (come ha fatto ora il Governo, in collaborazione con il CNEL e per le attività proprie e delle autorità) o quella più semplice dell’integrazione dei regolamenti parlamentari, sia pure pudicamente chiamandole comunicazioni istituzionali? DESK n. 2/2007 E D I T O R I A L E Per la compiuta definizione del sistema dei media e del quadro di riferimento di queste professioni, è ancora tollerabile procrastinare di continuo gli ordinamenti-statuti per le aziende che pubblicano quotidiani e periodici, fanno televisione e radio, libri e audiovisivi? Può decentemente il prolungato braccio di ferro nel rinnovo di un contratto di lavoro settoriale tentare di incidere negli statuti che salvaguardano non le parti ma il bene pubblico dell’informazione-comunicazione? Si può sottovalutare impunemente il tema delle reciprocità europee e dei riflessi sulle possibilità di lavoro all’estero dei nostri professionisti della comunicazione? E perché non s’importano le felici esperienze del garante del lettore e dei presscouncil, o non si realizza il comitato di mediaetica? Perché non si valorizzano appieno le crescenti energie e creatività della cittadinanza attiva, quale benefico interlocutore oltre che fruitore-cliente dei media, sui più sensibili fronti dei notiziari televisivi, la pubblicità e il suo Istituto di autodisciplina, i reality-show? Perché non unificare i cento dispersi, e singolarmente deboli anche in termini di credibilità pubblica, monitoraggi e rilevamenti in un autorevole e permanente osservatorio sulla comunicazione al servizio degli operatori, delle aziende e dell’intero sistema; magari affidato agli esperti e collaudati ricercatori del Censis? Le nostre università sono davvero in sintonia con queste lunghezze d’onda, illuminano e motivano anche concretamente i giovani che si affidano loro? E quanto sono predisposte a quella trasparenza vera ed efficace che sola può consentire alle matricole scelte autentiche e fondate tra le offerte spesso luccicanti degli atenei concorrenti? Lo Stato e il ministero addetto vogliono decidersi a catalizzare questa crescita evolutiva, tendente all’alta innovazione e capace di reggere la incalzante concorrenza degli atenei anglosassoni, destinando le risorse in ragione dei meriti conseguiti? Noi ci auguriamo che le scelte avviate dal ministro Mussi diventino determinazione puntuale e coerente, passando appunto dal controllo delle procedure alla valutazione dei risultati, frenando la proliferazione delle sedi e dei corsi, privilegiando qualità e merito forieri di eguaglianza, combattendo mediocrità arbitri e privilegi, fondendo davvero le culture professionali e quelle accademiche, impiegando i professionisti più colti e didatticamente capaci a condizioni perlomeno dignitose, ripulendo il filone del “laureare l’esperienza”. Del resto, se la gran parte dei giovani migliori e più capaci mostra sfiducia nel nostro Paese, andandosene all’estero e guardandosi bene dal rientrare qui una volta conquistate ottime specializzazioni, è proprio il caso che il mondo adulto e più accorto si guardi allo specchio. Decida si scrollarsi di dosso, una volta per tutte, le tanto comode quanto miopi autoreferenzialità, in nome di quell’etica delle responsabilità che sola può reinnervare una moderna società autenticamente libera. Paolo Scandaletti 4 5 n. 2/2007 DESK P R O F E S S I O N E P GIORNALISTI NEL FIUME DI INTERNET ANDREA MELODIA I Andrea Melodia, giornalista, dirigente RAI DESK l mancato rinnovo del contratto nazionale collettivo di lavoro dei giornalisti italiani, scaduto ormai da due anni, è segnale di uno scontro pesante tra FNSI e FIEG, tra giornalisti ed editori, che può essere spiegato con la rilevanza dei cambiamenti indotti nella professione dalle nuove tecnologie. Non è certo questa la sede per affrontare gli aspetti sindacali della controversia; possiamo invece cogliere l’occasione per riflettere su questi cambiamenti, che derivano direttamente dalle trasformazioni dei media stessi in questi anni. C’è una piattaforma tecnologica che investe oggi tutte le professioni dei comunicatori, indipendentemente dal medium finale utilizzato e dagli intendimenti professionali o etici perseguiti. Si tratta naturalmente di Internet, che non è più solo una rete per diffondere, ricevere e cercare informazioni, ma è divenuta il tessuto connettivo di un insieme di tecnologie specifiche che consentono di gestire a distanza elaborazioni e flussi di dati, attività creative, ricerca di informazioni o di svaghi; che è moltiplicatore degli autori e delle fonti, creatore di conn. 2/2007 nessioni sociali e insieme strumento di sopravvivenza di sette segrete; o anche, più semplicemente, strumento per la gestione di processi finalizzati alla produzione di beni materiali e immateriali. Un fiume in piena, che rischia di travolgere chi non abbia ripulito il suo alveo. E’ evidente che l’attività giornalistica, da sempre legata alla corsa contro il tempo, sia stata tra le prime ad avvalersi della semplice possibilità di “arrivare prima” che la rete globale ha reso disponibile. Gli strumenti tradizionali specifici della comunicazione giornalistica – telescriventi, telefoto – sono scomparsi, e lo stesso telefono liberato dei fili oggi praticamente funziona ovunque. Attraverso Internet si può trasmettere la matrice di stampa di un giornale, un servizio sonoro o un pezzo audiovisivo; si può editare un testo, o anche un servizio filmato, senza curarsi troppo se la memoria fisica su cui si interviene sia collocata sotto la propria scrivania o molto più lontano. Se i tempi si sono accorciati, le coordinate spaziali sono virtualmente azzerate; la delocalizzazione, il lavoro a distanza cambiano radicalmente le 6 potenzialità di una professione che come quella giornalistica è fatta essenzialmente del trattamento di dati immateriali. E’ importante capire come questa trasformazione sia tutt’altro che compiuta; per quanto veloci possano essere i cambiamenti, problemi di natura tecnica, finanziaria e resistenze umane inducono formidabili meccanismi inerziali che rallentano il cambiamento. Tuttavia è evidente che in una economia liberista vincerà o sopravvivrà solo l’impresa più capace di governare in velocità la trasformazione. Esaminerò alcuni aspetti del cambiamento riferendomi alle tecnologie che mi sono più familiari, quelle televisive; ma esprimo la convinzione che un percorso di evoluzione sostanzialmente analogo si possa applicare a tutti i media. E questo è vero anche perché Internet è oggi l’unico focus della comunicazione, il nuovo paradigma che regola tutti gli altri media. Nata poco più di 50 anni fa, la televisione si è rapidamente imposta come il mezzo di comunicazione più diffuso e performante della seconda metà del secolo, una età segnata dalla assenza di conflitti tra i paesi più industrializzati e fortemente impegnata a ridurre il peso dei confini geografici. Soprattutto attraverso la rete globale dei satelliti di telecomunicazione, la televisione, finestra sul mondo, è stata tra i principali attori nel nuovo bisogno di conoscere; il forte ostacolo delle barriere linguistiche è stato parzialmente abbattuto dalla comprensione universale delle immagini. Tuttavia la televisione è, e resta, un meccanismo fortemente accentratore, che attiva un meccanismo di comunicazione di pochi verso tutti, molto performante, 7 R O F E S S I O N E potenzialmente autoritario, e proprio per questo bisognoso di trasgredire per essere accettato; un meccanismo che sotto la spinta della concorrenza commerciale facilmente degenera creando una sorta di realtà alternativa, formata da un gran numero di flussi comunicativi che si intersecano autoreferenzialmente mescolando il vero, il verosimile e l’invenzione fantastica fino a renderli difficili da distinguere. Questa è la situazione, oggi della TV generalista. E’ uno strumento di comunicazione di cui nessuno può fare realmente a meno, ma che sempre più viene guardato con sospetto; i giovani, soprattutto, la usano ma non la amano. Se esaminiamo il mondo della televisione al suo interno, vediamo che esso è oggi alimentato da un coacervo di professioni della comunicazione tra le quali quella giornalistica appare ancora centrale, a causa del bisogno che la televisione conserva di confrontarsi con la realtà e i suoi accadimenti, ma che sempre meno appare sufficiente a garantire la performance del canale se non ci si piega a rilevanti compromessi con la elaborazione spettacolare e la drammaturgia narrativa. Il giornalista appare sempre più chiamato non a raccogliere le notizie, ma a rielaborarle narrativamente, ad adattarle ai format e alle regole dello storytelling. Attività questa da non demonizzare, anche se spesso applicata con esiti demoralizzanti. Ma sono i limiti intrinseci della professione, o meglio delle professioni comprendendo quelle limitrofe, ad essere sempre meno certi. Se questa è in estrema sintesi la situazione della televisione generalista oggi e della professione giornalistica al suo interno, dobbiamo chiederci quan. 2/2007 DESK P DESK R O F E S S I O N E le possa essere l’effetto dell’impatto con Internet, nuovo paradigma, come si diceva, della tecnologia digitale e della rete universale. Gli effetti intervengono su piani molto diversi tra loro. Il primo riguarda il medium televisivo in sé: Internet è un nuovo modo possibile di vedere la televisione tradizionale, ma è anche la via attraverso cui possono nascere nuove attività di produzione audiovisiva, immediatamente distribuite e quindi per molti aspetti simili alla televisione, ma cui si attribuiscono obbiettivi e investimenti più limitati; per esempio la TV di quartiere o quella di parrocchia, per restare sul territorio, che potrebbero raccontare i fatti sotto casa o trasmettere l’omelia del parroco in diretta; oppure il canale destinato agli appassionati di un hobby o ai consumatori di un certo tipo di prodotto. Oppure ancora, seguendo il modello dei giganti americani della nuova economia, una sorta di magazzino audiovisivo universale usa-e-getta come YouTube. Le declinazioni possibili sono infinite, il numero delle iniziative potenzialmente illimitato; mentre la TV tradizionale rimane invischiata nelle sue beghe antiche, tra carenza di frequenze, crisi degli ascolti e costi crescenti, in un sistema che molto lentamente declina, la nuova modalità trasmissiva è freneticamente segnata da pochi abbaglianti successi e da tanti subitanei declini, che lasciano un segno di dinamica vitalità. Ma non è solo la velocità ad attrarre l’attenzione dei giovani. Internet – e questo è un secondo aspetto – offre una modalità comunicativa sostanzialmente diversa. Consente effettiva interattività, restituendo all’utente la libertà di scegliere tra infiniti percorsi e n. 2/2007 P tra diverse tecnologie comunicative, di cui quella dell’immagine audiovisiva è solo una delle possibili; ed è assai più efficiente della TV nell’offrire usi finalizzati a specifici percorsi di ricerca informativa e formativa, anche per gruppi limitati o chiusi. Simmetricamente, pretende il superamento di più ardue barriere d’ingresso, economiche e di “cultura d’uso” (il digital divide) e nelle utilizzazioni finalizzate all’intrattenimento non fornisce alcun percorso preferenziale, costringendo a un surplus di decisione che non tutti e non sempre sono disposti a concedere. Come la televisione, Internet viene invasa da fornitori di contenuti e dalle loro attività di marketing, ma la loro barriera di ingresso è molto più facile da varcare di quella della televisione tradizionale. Mi pare chiaro che con il passare del tempo Internet prevarrà sulla televisione, perché Internet possiede il potenziale per inglobare tutti i modi d’uso della TV tradizionale e di aggiungerne molti altri. Progressivamente Internet invaderà le frequenze televisive e quelle satellitari, fornendo servizi free e a pagamento, accesso a infinite banche dati e percorsi precostruiti, svago, informazione e educazione. Non credo che un medium possa mai scomparire travolto da uno nuovo, ma certo può esserne significativamente ridimensionato. La TV generalista non sarà più quella di prima. Cerchiamo a questo punto di tornare al nostro punto di partenza, la professione del giornalista. Se Internet sarà il luogo privilegiato del suo lavoro, visto che in quella direzione convergono, secondo l’opinione dei protagonisti, non solo le attività radiotelevisive ma anche quelle a mezzo 8 stampa, evidentemente il processo di progressiva riduzione della focalizzazione professionale della categoria è destinato ad accelerarsi. Nel recente passato era giornalista chi lavorava più o meno stabilmente alla produzione dei contenuti primari in una azienda editoriale orientata all’informazione; già oggi appare sempre più incerto stabilire i confini della professione nella produzione di diffuse forme di infotainment (che non è solo televisivo, ma riguarda anche la stampa) e in altre forme di contaminazione di genere; domani le ambiguità cresceranno, e la delocalizzazione insita nelle modalità produttive di Internet ridurrà ulteriormente la possibilità di distinguere i contenuti professionali partendo dalla organizzazione dei luoghi della produzione. Mi pare peraltro insensato illudersi che sia possibile ostacolare questo processo potenzialmente involutivo interponendo ostacoli alla introduzione delle nuove tecnologie. Se penso al giornalismo televisivo, per esempio, noto che esiste un abisso in termini di evoluzione tecnologica tra l’attuale e il possibile. Se confrontiamo un canale televisivo all news di recentissimo avvio, come France 24, nel quale i giornalisti selezionano, scrivono, montano, leggono e trasmettono senza alzarsi dalla scrivania, e la produzione tradizionale analogica fatta di nastri, macchinari obsoleti e mansioni rigidamente separate che contraddistinguono la maggior parte dei nostri telegiornali, ci rendiamo conto facilmente che i conti sono destinati a non tornare. Certo, si può dire che la professionalità nel vecchio modello è più garantita. Ma è più garantita perché viene da una tradizione meglio garantita, men- 9 R O F E S S I O N E tre l’immobilità del modello produttivo e la bassissima produttività non rassicurano affatto sulla sopravvivenza delle garanzie; invece partendo da un modello funzionale ed efficiente è possibile introdurre miglioramenti della qualità. Il vecchio sistema è certamente destinato a peggiorare, mentre il nuovo è possibile che migliori. Inoltre basta riflettere sulle potenzialità delle tecnologie per immaginare possibili andamenti futuri. La delocalizzazione può raggiungere le sue estreme conseguenze in uno scenario in cui potrebbe scomparire il concetto stesso di redazione, perché tutte le attività, compresa l’impaginazione del giornale o del telegiornale o delle pagine del sito Internet, si potrebbero realizzare a distanza. E’ evidente in questa situazione il riassorbimento possibile nel lavoro giornalistico di molti ruoli oggi considerati tecnici, ma che in realtà hanno a che fare con il linguaggio e la sua declinazione concreta. E’ evidente che gli editori premono per conquistare libertà d’azione nel ridurre i ruoli e accorpare mansioni, e certo fa parte della dialettica sindacale ripartire i vantaggi di questo tipo di trasformazione tra le categorie interessate. Mi è meno chiaro il motivo per cui molti giornalisti non colgano gli aspetti positivi di una tecnologia che consente di riappropriarsi nella sua interezza del processo di elaborazione linguistica, in una prospettiva di sviluppo, come oggi si dice, cross-mediale, cioè capace di intervenire contemporaneamente su media diversi. L’analisi dei linguaggi e delle loro trasformazioni è forse un contenuto trascurato delle riflessioni sulla trasformazione in atto, riflessioni che oggi sono riserva di caccia degli ingegnen. 2/2007 DESK P DESK R O F E S S I O N E ri e dei controller aziendali. Coniugando potenzialità delle nuove tecnologie e prospettive di migliorata produttività le aziende corrono il rischio di trascurare l’aspetto essenziale del cambiamento, che è invece legato alla evoluzione dei linguaggi, alle mutate destinazioni d’uso della comunicazione, alle diverse condizioni della sua fruizione. Qualche esempio, pensando al solo segmento informativo: si continua a credere che l’approfondimento richieda abbondanza di parole; che il pubblico abbia bisogno assoluto di molti appuntamenti prefissati, anche se poveri di contenuti; che le redazioni di canali e di media diversi debbano restare separate; che gli strumenti produttivi debbano restare legati alla tradizione e non affidarsi appieno alla communication tecnology. Mi pare invece ci sia un generale bisogno di leggerezza: nei linguaggi, nei palinsesti, nei tempi di intervento, negli strumenti usati. Leggerezza non intesa come vacuità o superficialità, ma come capacità di adattarsi a un modo di vivere necessariamente più rapido anche nelle sue manifestazioni più profonde e ricche di contenuti e valori. Altro aspetto da non trascurare è la possibilità che nella nuova condizione professionale il giornalista possa essere invogliato a riconquistare il rapporto con il territorio, lavorando nei luoghi dove gli avvenimenti si svolgono pur mantenendo il totale controllo del segmento prodotto. Si dimentica facilmente che la globalizzazione della rete rafforza il bisogno di rapporti locali, e nel contempo fornisce strumenti per realizzarli. Questi strumenti introducono un’altra novità, che è la possibilità di integrare tra loro i processi produttivi destinati ai vari media: n. 2/2007 P il rapporto del giornalista con la fonte della notizia prevale rispetto al medium, e il giornalista sul territorio è inevitabilmente sollecitato a lavorare contemporaneamente per produrre testi, suoni e immagini fisse e in movimento. In un simile quadro di trasformazione è peraltro destinato a crescere anche il ruolo già oggi essenziale del giornalista di desk, di chi è addetto a editare il format del medium, a selezionare, a rielaborare il lavoro altrui. In questa area si accentrano le preoccupazioni di chi teme un imbarbarimento strisciante della professione giornalistica. Francamente, capisco ma non sono convinto. Non è l’uso inevitabile di una tecnologia a causare il degrado. Personalmente sono più preoccupato dalla fervida immaginazione e dalle capacità drammaturgiche senza freni di certi cronisti d’assalto. In sostanza, sono convinto che le innovazioni tecnologiche siano sostanzialmente ininfluenti circa la qualità del prodotto, ma siano essenziali alla sua sopravvivenza e possano essere strumenti di miglioramento. La professione giornalistica dovrà sempre più misurarsi con le potenzialità delle nuove tecnologie e imparare a gestirne le potenzialità positive. La qualità del prodotto è la sola strada attraverso cui sarà eventualmente possibile continuare a distinguere in futuro la professione giornalistica rispetto ad altre attività di comunicazione, che si svolgeranno in modo sostanzialmente simile salvo che nelle intenzionalità editoriali. E’ sulla gerarchia delle intenzioni che occorrerebbe maturare il giudizio e forse anche i meccanismi di valutazione; certo non sul piano retributivo, 10 ma almeno nella immagine pubblica di queste attività. Nella gerarchia delle intenzioni – ma questo apre un altro discorso – quella che una volta si definiva “servizio pubblico” speriamo possa riconquistare, anche nella transizione al digitale, il ruolo necessario: sapendo con chiarezza, come si è sempre saputo, che la qualità del servizio pubblico nella comunicazione non viene definita necessariamente dalla proprietà pubblica o meno dell’azienda o dalla esistenza o meno di un lungimirante “contratto di servizio”, ben- R O F E S S I O N E sì dalla qualità globale del prodotto fornito e dalla sua utilità ai fini di un ordinato sviluppo sociale. Perché qualsiasi informazione, qualsiasi processo comunicativo trasparente è destinato al pubblico e deve servirlo; e deve essere possibile ottenere che ciò avvenga, con buona pace di coloro che dipingono il servizio pubblico solo come l’avanzo di un’epoca antica, corrosa dal compromesso con la politica, che il nuovo clima di libera concorrenza dovrebbe taumaturgicamente sanare. Andrea Melodia P ROGETTO DI RICERCA Le professioni della comunicazione in Italia e in Europa vol. I - Le professioni dei comunicatori in Italia - Offerta formativa, associazioni e mercato vol. II - Università e professioni dei comunicatori in Europa - Criticità, ritardi e problemi irrisolti vol. III - Le proposte italiane ed europee - Cosa, come e quando fare I DIRETTORI DELLA RICERCA Prof. Massimo Baldini, Prof. Paolo Scandaletti IL GRUPPO DI RICERCA Antonio Benforte, Mascia Ferri, Sandra Gallerini, Settilio Mauro Gallinaro, Valeria Lupo, Donatella Marucci, Valeria Nevadini, Sara Peticca, Paolo Peverini, Camilla Rumi, Rosa Maria Serrao, Marica Spalletta, Sabrina Speranza Con la collaborazione di Ugo Apollonio, Germana Barba, Francesco Birocchi, Franco Mennitto Gianpietro Vecchiato; e Ilaria Della Corte per l’editing. Il convegno che discuterà questa ricerca, valutandola e proponendo delle soluzioni, si terrà a Roma il 26 febbraio 2008 a palazzo Rondanini, in via del Corso. La partecipazione è libera. 11 n. 2/2007 DESK P R O F E S S I O N E P CARD. TONINI: «BIAGI PORTAVA NEL MONDO I SENTIMENTI DELLA SUA INFANZIA A PIANACCIO» CREDIBILITÀ DEL GIORNALISMO E CRISI DELLA SOCIETÀ GIORGIO TONELLI Q Giorgio Tonelli, giornalista RAI Bologna, segretario nazionale UCSI DESK uando gli domandavano: quali sono le persone che ha particolarmente stimato, Enzo Biagi citava sempre tre preti che considerava «tre veri rivoluzionari: don Zeno, don Mazzi e don Milani». E tornando indietro negli anni, Biagi amava ricordare di aver imparato a leggere a 5 anni «La Bibbia e i Miserabili sono stati i primi due libri della mia vita. Poi i giornali». Ma c’è un Biagi ancor più inedito. Nel 1933, anno del Giubileo straordinario, la presidenza diocesana della Gioventù di Azione Cattolica Diocesana di Bologna promuove una ‘Gara di Cultura Religiosa’ che fu vinta dall’aspirante Enzo Biagi con un elaborato sulla ‘Passione di Cristo’ (con il voto finale di 30/30 e lode). Nell’archivio storico che l’Azione Cattolica di Bologna ha da poco riordinato, si conserva il testo autografo. Scrive, fra l’altro il 13enne Enzo Biagi «La passione di Cristo ci appare in tutta la sua grandezza, in tutta la sua potenza, ci fa pensare al Dio uomo che patisce, soffre, muore per le creature, ci fa pensare alla sua bontà, al suo amore,verso gli uomini…». E nel giorno della scomparsa del più noto giornalista italiano, “Casa Moretti” di Cesenatico ha riproposto l’articolo di esordio di quel “ragazzaccio di vent’anni”. Apn. 2/2007 parve sulle pagine de L’Avvenire d’Italia quotidiano cattolico bolognese, l’11 gennaio 1939 ed era dedicato a Marino Moretti, l’autore delle “Poesie scritte col Lapis”. Scriveva Biagi, parlando di Moretti che egli era poeta delle cose di tutti e della vita comune, il cui tormento è quello delle creature che vivono nell’ombra, ai margini della vita. «E’ in Moretti infatti un’umanità soffusa da un senso cristiano di bontà (una umanità che sa di dolore e di speranza), un umorismo suo particolare, ingenuo, terraiolo, che nasce spontaneo e lieve come un sorriso, un pensiero forte che si nasconde in una scrittura semplice, facile, chiara, uno spirito di osservazione arguto e finissimo» e il giovane Biagi concludeva «Anche quando la vita è bassezza e volgarità, l’occhio di Moretti contempla le miserie umane con l’animo teso alla pietà». Enzo Marco Biagi (all’epoca firmava col suo doppio nome) mentre parlava di Marino Moretti, in realtà stava - 67 anni fa - già costruendo le basi del progetto di vita e di scrittura che lo avrebbero contraddistinto e fatto ammirare da milioni di telespettatori e di lettori. Amico dell’Ucsi Enzo Biagi ha sempre seguito con attenzione le alterne vicende della pro- 12 fessione. Nel 1946, fra l’altro, è stato fra i fondatori dell’Associazione Stampa dell’Emilia Romagna. Ma è stato anche un grande amico dell’Ucsi. Fra i tanti suoi interventi, uno dei più recenti l’ha fatto al Congresso Nazionale del 2-4 dicembre 1993. Nell’aula absidale di Santa Lucia dell’Università di Bologna, dopo l’introduzione del presidente nazionale Paolo Scandaletti (che aveva sostituito Flaminio Piccoli dopo il congresso di Viterbo) Enzo Biagi incantò i congressisti intervenendo sulla credibilità del giornalista nell’attuale crisi della società. Quasi un anticipo sulle difficoltà che vive oggi la professione fra interferenze politiche ed editoriali. Un’epoca segnata da notizie che non nascono dalla realtà dei fatti, ma da decisioni o da esigenze di centri di potere che guidano la parabola delle notizie. Già all’epoca l’artigiano Biagi si sentiva stretto nell’industria della comunicazione, un’industria che antepone l’ufficio marketing alle esigenze del lettore. «Dalle diverse inchieste sostiene Biagi - pare che ciò che rende credibile un ‘operatore dei mass media’ è quella vecchia risorsa chiamata onestà, che nessuna scuola può insegnare: già tutto stabilito dai Dieci Comandamenti. Poi c’è la preparazione professionale: si impara qualcosa ogni giorno. Infine - conclude Biagi - una consolazione e una attenuante per gli inevitabili errori: la buona fede. Il giornalista appartiene al genere umano: ma anche chi finisce sul suo taccuino». L’ultimo saluto Nel giorno del suo funerale così il cardinal Ersilio Tonini, poco prima della benedizione della bara, ringrazia Pianaccio, il piccolo paese dell’Appennino bolognese e i suoi abitanti «Enzo Biagi portava nel mondo i sentimenti 13 R O F E S S I O N E che aveva respirato nel suo paese. Per questo motivo ringrazio Pianaccio». E in precedenza, improvvisando l’omelia per il ritardo del cardinale, don Giovanni Nicolini, già responsabile Caritas di Bologna, fa a Biagi il più bel complimento che si possa fare a un giornalista «Ci sentivamo interpretati da lui» e lo ricorda anche come «laico cristiano, angelo della speranza». Poi gli applausi, il coro che prima canta “Madonna delle nevi” e poi intona “Bella ciao” e le preghiere e il silenzio che porta al piccolo camposanto. Momenti di intensa commozione quando la bara di legno chiaro cala nella nuda terra mentre le due figlie Bice e Carla lanciano due rose rosse. Piccolo cimitero rigorosamente diviso fra uomini e donne. Un pò lontano, ma non tanto, riposano la moglie Lucia e la figlia Anna. Attorno i colori ruggine dell’autunno ed un cielo splendido che fanno dolce cornice all’ultimo saluto ad Enzo Biagi. La chiesa è troppo piccola. Una cinquantina di posti per familiari, autorità e direttori dei giornali. Fuori, quasi un migliaio di persone che hanno sfidato i 60 chilometri tortuosi su per l’Appennino e la fila per le navette da Lizzano. Sono assiepati nella piazzetta intitolata a don Giovanni Fornasini. E non sarà stato solo un caso, se uno dei primi servizi del ritorno di Biagi in Tv dopo l’editto bulgaro, è stato dedicato a don Giovanni Fornasini, definito “l’angelo di Marzabotto”, ucciso il 13 ottobre 1944 dai nazisti, mentre dava sepoltura ai suoi parrocchiani trucidati dalle SS di Reder. Ancora un prete fra le persone che ha stimato e, in qualche modo, lo hanno segnato per tutta la vita. Giorgio Tonelli n. 2/2007 DESK S T O R I A E C U L T U R A S PSICOPATOLOGIE “ADULTE” NEL WEB E RICADUTE SUI MINORI GIANCARLO ZIZOLA N Giancarlo Zizola, giornalista e scrittore, vaticanista de Il Sole 24 Ore DESK el corso degli anni 30 e 40 gli Stati fascisti e staliniani furono accusati di indottrinare i bambini, di suggestionarli e di rivolgerli contro i loro genitori. Delle questioni inquietanti furono sollevate allora da intellettuali quali Fritz Lang, George Orwell, Thomas Mann, Walter Benjamin, Theodor Adorno e Hannah Arendt. Ma oggi, con una democratizzazione che forgia il mondo, siamo sicuri di poter escludere che i grandi imperi massmediali globali non comportino delle tecniche temibili di manipolazione e di asservimento? Vogliamo ribadire il nostro approccio:demonizzare le reti della comunicazione, in particolare telematiche, oltre a non portare a un mutamento dello stato delle cose, produrrebbe un inutile spreco di energie. E’consigliabile piuttosto capire i meccanismi e le interazioni che l’individuo svolge con l’Altro da sé, per incoraggiare un uso del sistema più consapevole, eticamente compatibile e umanamente più utile. Sul fondale di questo interrogativo noi cercheremo di interpellare la responsabilità dei media in quello che ci appare da vari segnali come un nuovo attacco sociale all’infanzia nel pianeta n. 2/2007 globalizzato e dunque, in certo modo, come un colpo inferto sul futuro dell’umanità stessa, attraverso le “ferite invisibili” procurate a vittime innocenti come i bambini. Abbiamo presenti le ricerche che riguardano le conseguenze dell’assorbimento dell’infanzia dentro gli stereotipi di un universo competitivo e violento come quello del mercato dei cartoons e dei videogiochi (principale distrazione degli adolescenti). E’ stato esplorato il processo mediante il quale il mondo dei minori viene affittato in massa alla sovranità del conformismo mediante la soggezione a strutture di normalizzazione, tramite la televisione. La tv è ritenuta generalmente la baby sitter principale e la distrazione primordiale dei bambini. Molteplici e innegabilmente non contestabili sono le prove, confermate dall’esperienza quotidiana, che la tv è una baby sitter inaffidabile, perché procura ai bambini graffi profondi nell’anima. Tutto ciò sembra porre in ultima analisi un problema di protezione delle differenze antropologiche all’interno del sistema mondo, il rispetto per i sogni, ove si annidano e si costruiscono le risorse dell’immaginario dell’infan- 14 T O R zia, quelle risorse innovative che sono decisive, in quanto siano salvaguardate, sviluppate, formate ma non coartate, per l’avvenire di ogni società democratica. Per questo non possiamo esimerci dal compito di porre senza soste il problema della mercificazione dei programmi televisivi e, in generale, del mondo della comunicazione, in un universo di connivenze industriali, come un problema principale del sistema liberale. Se la comunicazione e l’informazione vengono concepiti, percepiti e gestiti come beni privati, come merci da vendere secondo gli imperativi del mercato, sarebbe difficile impedire che sia mandato in esilio qualsiasi riferimento vincolante a dei limiti che siano accettati come immanenti nell’impresa mediatica, così come lo sono nell’impresa scientifica. Concezioni e dottrine neoliberiste estese anche ai media finirebbero per accelerare un processo di deregolamentazione intensiva o di un laissez-faire anarchista, destinato ad erodere i riferimenti etici nel mondo della comunicazione per servire il trionfo dei criteri individualisti nei comportamenti e nelle scelte di larghe masse di cittadini, specialmente dei più giovani. Il risultato di un tale processo è già parzialmente sotto i nostri occhi, è lo sviluppo di una società gregaria, obbediente ai miti della massificazione. Per questo abbiamo notato che codici come la Carta di Treviso, primo tentativo in Italia di regolamentare i rapporti tra media e minori, sono divenuti dei fragili scudi, continuamente a repentaglio sotto la pressione dello scoop e del successo economico. Una seconda onda di domande riguar- 15 I A E C U L T U R A da in modo specifico la Carta di Treviso. Che bilancio se ne può trarre dopo oltre 15 anni? Si è fatta rispettare? L’anonimato dei minori, attivi o passivi in fatti di cronaca nera, è stato mantenuto? Sono stati attentamente o almeno in modo sufficientemente corretto risparmiati ai minori protagonismi e spettacolarizzazioni? Quali punti della Carta sono stati più ardui da onorare? Infine le domande de jure condendo:se non sia il caso di favorire la trasformazione della Carta di Treviso dal livello deontologico ad un più formale livello di giuridicità, munendola di carattere vincolante e di un sistema penale che abbia un reale potere deterrente, tale da scoraggiare eventuali tentazioni trasgressive. Ambiguità dei videogames Gli studi specializzati del prof. Giampaolo Nicolais, dell’Università degli Studi del Molise, indicano quanto la frequentazione dei videogames incida nell’immaginario infantile forgiandone i paradigmi cognitivi secondo modelli antagonistici propri della “cultura del nemico”. Ciò asseconda le tendenze al conformismo sociale fin dalla tenera età, allontanando nel tempo la possibilità di tradurre in progetto reale la proposta, fatta propria da scienziati della politica e da spiriti religiosi in ogni tempo, ma specialmente nel XX secolo, di arrivare all’abolizione della guerra come strumento per la soluzione dei conflitti internazionali, come la civiltà occidentale è arrivata a suo tempo all’abolizione della schiavitù. Nicolais invita a riflettere su alcuni dati, che qui riporto in modo sintetico. I bambini dai 9 ai 12 anni sono abbeverati di storie e immagini violente. I n. 2/2007 DESK S DESK T O R I A E C U conflitti fra gang e le battaglie intersiderali sono il pane quotidiano di cartoni giapponesi o coreani. I celebri Mangas vengono divorati più volentieri dei romanzi classici per bambini. I testi lapidari, gli scenari semplificati sui quali le peripezie si riassumono spesso nella lotta e nell’assassinio non incitano i bambini a riflettere sulla natura e sulle cause delle guerre. La banalizzazione dell’aggressione e della morte non li invita alla compassione dinanzi alla sofferenza .Diventa sempre più assente nell’universo dei bambini il discernimento tra Bene e Male. Si educa, divertendo, al sadismo banale, alla normalizzazione della violenza, allo svuotamento della morte e della sua natura di tragedia. Si educa il bambino all’indifferenza. I luoghi del gioco“al massacro”, anche via Web, possono essere posti dove ci si perde, si rimane bloccati, mondi dove le cose sono più semplici che nella vita reale, dove se si sbaglia ‘si muore’, tanto si muore solo per finta, dove, terminata un’esperienza sociale, basta un clic per cominciarne un’altra. La guerra è solo uno spettacolo, un gioco. Si sviluppano tendenze alla indistinzione fra fantasia e realtà. Malgrado ciò è stato accertato che la frequentazione dei videogame produce nei bambini reazioni ansiogene e aumenta in loro il volume dell’aggressività. La crescita delle vendite dei Mangas in Italia e in Francia (secondo mercato mondiale dopo il Giappone) ne fa un vettore di influenza maggiore. La sua funzione indiretta è quella di normalizzare la guerra come evento ineluttabile, quasi un dato della natura umana irrevocabile e persino a giustificarla come una missione necessaria e perfino pedagogica per l’ordine internazion. 2/2007 L T U R A S nale. La risposta possibile all’egemonia dei videogame potrebbe essere affidata allo sviluppo di una letteratura dell’infanzia. Essa dovrebbe poter disporre di un largo ventaglio di romanzi di qualità per affrontare il tema della guerra in una prospettiva educatrice.1 E’ possibile agire anche con videogame alternativi. Alcune ricerche curate dall’Onu hanno consentito di verificare che Internet può essere un ottimo strumento per comunicare e educare. Per esempio, l’ONU ha messo in rete nel 2006 il videogioco Food Force, destinato ai bambini e alle bambine dagli 8 ai 13 anni. Un gioco che sensibilizza al problema della fame nel mondo. I giovani giocatori devono superare diverse prove con un crescente grado di difficoltà per portare a termine 6 missioni umanitarie in un paese bisognoso del loro aiuto. Si calcola che finora oltre 3 milioni e 500 mila siano stati gli utenti, in oltre 40 paesi, collegatisi al sito del World Food Program. Il videogioco è disponibile in italiano collegandosi a www.foodforce.com. L’esempio è il videogioco Stopdisasters lanciato dall’Onu mediante l’International Strategy for Desaster Reduction (Isdr) il I marzo 2007 su Internet. Obiettivo: insegnare ai bambini e ai ragazzi dai 9 ai 16 anni, attraverso la dimensione virtuale, come organizzarsi in caso di disastri naturali, ma soprattutto come prevenirne gli effetti più devastanti dei quali è responsabile, più che la natura, la cecità dell’azione umana. Questi giochi alternativi possono essere giocati in gruppo, ragionando e scegliendo, anziché da solitari, in modo da educare allo spirito di solidarietà e di cura dell’ambiente. 16 T O R I bambini sono gli architetti e i costruttori, i sindaci e gli amministratori, gli insegnanti e i cittadini del futuro ed è importante renderli consapevoli che è possibile ridurre i danni provocati dai disastri naturali. Mediante questo videogioco si cerca di aiutare le future generazioni a comprendere e ad adattarsi al cambiamento climatico e al conseguente aumento del livello del mare. Ciò comporterà prevedibili disastri naturali. Tuttavia, con opportuni accorgimenti, ci si potrà difendere dall’apocalisse:se fossero stati adottati sistemi di allarme anche lo tsunami del dicembre 2004 non avrebbe fatto 200 mila vittime, ma forse alcune migliaia si sarebbero potute salvare. Il videogioco propone cinque diversi scenari catastrofici: un uragano, una inondazione, l’incendio di una foresta, un terremoto e uno tsunami. Presto verrà aggiunta anche la siccità. Cinque i piani di azione con tre livelli di difficoltà: il giocatore, rispettando un determinato bilancio di risorse a disposizione e entro tempo prestabiliti, deve costruire case, ospedali e infrastrutture nei luoghi più sicuri, rispettando l’ecosistema dell’area e con criteri che proteggano la popolazione dai pericoli di un eventuale disastro naturale. Evento che probabilmente si scatenerà, con la simulazione di fiamme che avanzano, terra che trema, onde gigantesche che si abbattono su centri abitati. Alla fine il giocatore otterrà più o meno punti secondo il numero di vite che sarà riuscito a salvare. Si tratta dunque di un classico gioco interattivo, che è possibile scaricare gratis da Internet in meno di tre minuti, collegandosi a www.stopdisastersgame.org. 17 I A E C U L T U R A Pornografia Spesso si sente dire che la pornografia dilaga in ogni angolo del web. Una quantità via via più ampia di utenti di Internet fruirebbe di materiale porno disponibile gratuitamente e a basso costo. I primi studi sul fenomeno dimostravano una netta prevalenza del consumo pornografico da parte di un pubblico maschile. Le statistiche più recenti registrano l’aumento degli accessi femminili. Ma non c’è ancora una completa ricerca scientifica che abbia esplorato questo delicato campo. Ovviamente il consumo pornografico esisteva anche prima di Internet. In genere si svolgeva con riviste e romanzi erotici o con film per sale a luci rosse. Ma certamente è con l’avvento su Internet di abbondante materiale porno che il fenomeno è divenuto esteso, tanto da far tremare il limite dell’osceno frapposto dall’art. 21 della Costituzione. Esso da un lato garantisce la totale libertà di manifestazione del pensiero, dall’altro vieta pubblicazioni a stampa, spettacoli e ogni altra manifestazione contraria al buon costume, cioè a ciò che offende il pudore generale. Si è potuto osservare come la tendenza a spostare il limite dell’osceno oltre i vincoli di legge e di buon senso sia stata notevolmente accelerata dal mezzo Internet. Il bacino dei fruitori di materiale pedofilo è aumentato, e così le forme di violenza sessuale incensurate. La facilità di entrare in contatto in Internet con materiale porno è estrema. In tale circostanza il senso del pudore, che può costituire un freno nella vita reale, si dissolve in Rete dentro l’anonimato, grazie anche alla possibilità di volatilizzare l’informazione una volta fruita. Entrano in funzione dei meccanismi di “autocondizionamento open. 2/2007 DESK S DESK T O R I A E C U rante”, per cui l’utente viene incalzato a fare scelte successive quasi in modo meccanico, inabissandolo nella navigazione “proibita” e cancellando i riferimenti consueti nella barra degli strumenti alle possibilità di sganciarsi e di tornare indietro. Se poi la fruizione diventa abitudinaria, si innesca un meccanismo negativo le cui conseguenze sul soggetto possono essere letali. Per superare lo stress e uno stato di insoddisfazione il soggetto tenderà ad aumentare lo stimolo e cioè a spostare la soglia di ciò che gli procura piacere verso zone liminari e sempre più stravaganti rispetto a normali prassi sessuali. Ci si sposta verso zone di perversione, fino a visitare siti di sesso / violenza, di stupro, di pedofilia2. Può accadere che nel soggetto la percezione del sesso possa subire delle alterazioni, nella maggior parte dei casi studiati. Il rapporto reale non viene più considerato tale se non rientra nei modelli fruiti in Rete. In tal modo può alterarsi la personalità del soggetto: nasce una tensione al limite che, entrando in attrito con il senso del pudore sociale o familiare introiettato, può indurre disturbi nevrotici. Questi a loro volta possono incatenare il soggetto alla pornografia in Rete, in una matrice di comportamento compulsivo – ossessivo. Noi qui esamineremo il fenomeno per i suoi indegni, pesanti contraccolpi sul mondo dei minori. Nel marzo del 2005 una operazione di polizia internazionale partita da Venezia portò a centinaia di arresti in decine di paesi in tutto il mondo.Era già un indizio allarmante della proporzione del fenomeno dei “predoni dell’infanzia” che fanno uso del web per la pedofilia e la n. 2/2007 L T U R A S pornografia minorile. La grande Rete della comunicazione, della connessione globale, il miracolo della tecnologia moderna col mondo a portata di clic e a costo zero si riduceva a veicolo di traffici perversi e corruttivi sui minorenni. L’Unicef aveva da tempo dato l’allarme denunciando l’esistenza di un vero e proprio business globale legato al mercato delle immagini e dei video che ritraggono abusi e violenze su bambini. La rete, una delle più straordinarie scoperte dell’umanità globale, era di fatto usata come incubatrice di ferocia atroce senza confini. L’Università di Kork, in Irlanda, ha raccolto con una specifica ricerca uno dei maggiori database di immagini pedofile dove la metà dei bambini ha meno di 12 anni. Un report del Telefono Arcobaleno(Italia) segnala che la pedofilia online su Internet è raddoppiata nel corso degli ultimi tre anni e che i siti scoperti nel 2004 sono oltre 19 mila, la maggior parte negli Usa, poi in Russia, Corea, Giappone, Spagna, Polonia, Germania, Svizzera, Inghilterra e Italia. L’Italia è citata fra i primi dieci paesi in questa classifica dell’orrore3. La legge n. 269 del 1998 stabilisce il carcere da 6 a 12 anni per lo sfruttamento della pornografia minorile. Punisce la detenzione di materiale pornografico acquisito con 3 anni di reclusione. Il Web non può essere trattato come una zona franca, al di fuori dei diritti e dei doveri: la libertà della rete per quanto prodigiosa non è un assoluto. E cresce la consapevolezza che i traffici oscuri vadano oscurati e debellati nell’interesse della società liberale. 18 19 T O R La Corte di Cassazione dell’Italia, II Sezione Civile, con una sentenza(n. 5749) pubblicata il 13 marzo 2007 ha ricordato come l’articolo 15 della legge 223 del 1990 stabilisce che “è vietata la trasmissione di programmi che possano nuocere allo sviluppo psichico o morale dei minori, che contengano scene di violenza gratuite o pornografiche, che inducano ad atteggiamenti di intolleranza basati su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità”. In questo modo la Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Autorità Garante delle Comunicazioni che si era opposta all’annullamento da parte del Tribunale di Milano della sanzione di 10 mila euro inflitta alla Rete A per avere mandato in onda “trasmissioni in ore notturne di spot che promozionavano l’uso di linee telefoniche erotiche contenenti scene di natura pornografica”. Il Tribunale di Milano aveva annullato la sanzione. Il giudice aveva ritenuto di non applicare alla fattispecie la norma specifica che impone limiti alla pubblicità televisiva, ma quella più generale che vieta la trasmissione di programmi che possano nuocere allo sviluppo psichico e morale dei minori. Invece la Cassazione ha sottolineato che l’illecito era stato giustamente contestato, in base all’articolo che tutela lo sviluppo psichico dei minori. Tale sviluppo psichico è stato riconosciuto come un bene degno di tutela giuridica. Come si evince dal dispositivo della sentenza, “in tema di disciplina del sistema tv pubblico e privato la trasmissione di spot pubblicitari contenenti scene porno integra l’illecito amministrativo” previsto dalla legge indicata. Visto l’andazzo, l’Autorità della Comunicazione ha ritenuto necessario un I A E C U L T U R A proprio intervento. Lo ha fatto con una delibera del 19 marzo 2007 che vieta il porno in tv( divenuta operativa un mese dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale): “Atto di indirizzo sul rispetto dei diritti fondamentali della persona e sul divieto di trasmissioni che presentino scene pornografiche”. Il criterio adottato è che la pornografia offende comunque il senso del pudore. Riaffermazione significativa dal momento che, con l’avvento di Internet, si sviluppa la tendenza a spostare il limite dell’osceno oltre i limiti di legge e di buon senso. Restano fuori dal divieto i programmi ad accesso condizionato, cioè criptati e protetti da un sistema di“Parental control”, cioè di un codice che impedisca l’accesso ai minori. L’unica eccezione riguarda il caso che l’immagine sia parte di “un contesto culturale o di valore artistico e risulti non fine a se stessa ma funzionale all’economia dell’opera in cui è inserita”. Ai trasgressori del divieto vengono comminate multe dai 5 mila ai 50 mila euro. E’ stato dunque ribadito il principio adottato dalla Cassazione che anche gli spot a luci rosse che promuovono in tv linee telefoniche erotiche sono vietati. Questo a tutela dei minori mentre l’emittente che li trasmette deve essere multata pesantemente, come se si trattasse di veri e propri programmi tv e non di semplici messaggi pubblicitari. Queste trasmissioni di contenuti porno presenti su quasi tutte le reti locali sono l’epicentro di un business enorme: i gestori delle società di chiamate a luci rosse hanno pagato multe da 250 mila-300 mila euro senza batter ciglio. Logico pensare che incassino almeno dieci volte tanto. n. 2/2007 DESK S T O R I A E C U Si tratta di truffe mascherate, denunciate dalla Lega Consumatori cui si sono rivolte molte famiglia allibite per bollette telefoniche impazzite. I programmi a luci rosse trasmessi finora dalle 22 alle 7 del mattino contenevano servizi “a valore aggiunto”, espliciti inviti a fare telefonate a numeri particolari. Spesso chiamavano ragazzi minorenni o poco più. All’altro capo del filo un operatore chiedeva l’assenso a effettuare la telefonata a pagamento. Dopo di che era praticata una tariffa salatissima per ogni minuto di conversazione. La lobby del porno voleva sbarcare sulla telefonia mobile, un gestore aveva messo in commercio i videotelefonini con inviti a fare foto spinte da inviare in cambio di tariffe scontate. E’ stato denunciato all’Autorità. Ciononostante la Rete è invasa da vido-choc con la trasmissione do scene di sesso scolastico o di bullismo, orribile il video su telefonino di una disabile aggredita e fotografata in un liceo di Torino4. DESK Pedofilia Meglio studiato il fenomeno della pedofilia e della sua estensione al mondo della Rete. Si trovano studi di criminologi, psicologi e altri osservatori professionali nella Rivista telematica di Criminologia Clinica. Si è accertato che con l’avvento delle reti telematiche il fenomeno ha registrato una nuova dimensione organizzata della pedofilia e una intensificazione del crimine. Lo sviluppo di Internet riesce a mettere in connessione pedofili di tutto il mondo con minori rischi di essere scoperti vista l’enorme quantità di collegamenti che la Rete ospita e l’inadeguatezza delle attuali tecniche di inven. 2/2007 L T U R A S stigazione e controllo. E’ stata resa possibile l’offerta on-line di una serie di servizi illegali, legati allo sfruttamento dei minori, da parte di organizzazioni criminali. I rischi associati all’offerta pedofila sono notevoli: gli studiosi hanno evidenziato soprattutto il rischio d’indebolimento delle difese personali e sociali a causa della possibilità di stimolazioni e occasioni di appagamento visivo delle proprie fantasie indecenti con l’effetto di normalizzare e quindi rendere meno riprovevole soggettivamente tale pulsione. Tutto ciò porterebbe alla rimozione di remore e sensi di colpa, a meccanismi di autogiustificazione dell’abnorme, al superamento delle barriere psicologiche della censurabilità o tabuizzazione della pedofilia facilitandone la traduzione dal visivo al fattuale, dal pensato all’agito. Il pericolo si nasconde nell’ambiente delle chat, aree o canali che consentono conversazioni ondine in tempo reale fra due o più persone. Il rischio maggiore è dato dalla possibilità di interloquire in maniera anonima sotto le maschere di un nome di comodo che permette di giocare con la propria identità rappresentata in Rete. Ricordiamo unepisodio avvenuto a Enna: un ragazzino di 13 anni, Antonio Lo Bue, di Barrafranca, venne ucciso nel dicembre 2005 per essersi ribellato a una tentata violenza di gruppo. Dopo mesi di indagini si è scoperto che l’omicidio era maturato e realizzato da una banda di pedofili che avrebbero violentato altri ragazzi, filmandoli, fotografandoli in pose oscene per poi far circolare le immagini nel giro internazionale della pedofilia. I carabinieri hanno scoperto siti porno per pedofili con immagini di bam- 20 T O R bini violentati, nei computer in uso ad almeno due dei cinque arrestati. E nella memoria di alcune macchine fotografiche sono state trovate le immagini di bambini nudi scattate nelle campagne in stalle della zona. Le ricerche svolte sul campo dal Gruppo di Ricerca sulle Forme Criminali Emergenti dell’Università Cattolica di Roma hanno prodotto risultati importanti circa l’atteggiamento di un adulto camuffato nei confronti di bambini incontrati in chat. Tra l’altro è emerso che in tutti i casi di molestia o di tentativo di adescamento, il pedofilo si accerta della condizione di solitudine del bambino con domande sulla presenza o meno di adulti in casa e che, in caso di risposta affermativa, tende a non rischiare. Molto spesso egli raccomanda la più totale riservatezza sui contenuti della conversazione che si accinge ad effettuare. Un’altra domanda ricorrente è che il bambino descriva le proprie caratteristiche fisiche, specie delle componenti genitali e sessuali. Il pedofilo si spinge a volte a chiedere l’invio di foto digitali. Nei tentativi di adescamento è molto comune che il pedofilo, mettendo in opera metodi da intelligence nel corso di chiacchiere apparentemente casuali, raccolga informazioni sui gusti, gli hobbies, le piccole manie e gli interessi del minore per poi offrirgli oggetti o situazioni che avranno per lui una particolare attrattiva e che rappresentano l’equivalente virtuale delle famose caramelle offerte dal famoso sconosciuto. Regola per una navigazione sicura dei bambini in Internet Quando sei su Internet non dare mai a nessuno il tuo indirizzo di casa, il 21 I A E C U L T U R A tuo numero di telefono o il nome della tua scuola, a meno che i tuoi genitori non ti diano il permesso di farlo; Non prendere appuntamenti con persone conosciute su Internet, anche se dicono di essere tuoi coetanei, senza prima avere il permesso dei tuoi genitori e fai venire anche loro, comunque, al primo incontro: Se frequenti una chat-room e qualcuno ti dice qualcosa di strano e di preoccupante – ad esempio, discorsi sul sesso – parlane appena possibile con i tuoi genitori; Non rispondere mai a email o messaggi fastidiosi oppure allusivi, specie se di argomento sessuale, e se ti capita di notare foto di persone adulte o bambini nudi parlane sempre ai tuoi genitori; Ricorda che se qualcuno ti fa un’offerta che sembra troppo bella per essere vera, probabilmente non lo è; Se non riesci a parlare subito con i tuoi genitori, parlane ai tuoi insegnanti; Ricordati che Internet è come il mondo reale, ci sono le cose belle e le cose brutte, zucchero e letame mischiati insieme. Basta seguire queste regole e fare un po’ di attenzione per divertirsi e imparare tante cose interessanti senza rischiare brutte sorprese. Consigli per i genitori dei bambini che usano Internet -tenere il computer in un posto centrale della casa, non nella stanza del bambino. Il computer dovrebbe essere uno strumento per attività che coinvolgono tutta la famiglia, non un pretesto del bambino per isolarsi; -cercare di imparare a usare Internet per riuscire a capire che cosa fanno i propri bambini; -cercare di conoscere gli amici online n. 2/2007 DESK S DESK T O R I A E C U dei propri bambini; -leggere e visionare le email con i propri bambini. Molti pedofili attaccano foto di pornografia infantile alle email inviate ai bambini. La pornografia viene usata dai pedofili per convincere il bambino che altri bambini compiono atti sessuali. Assicurarsi di controllare tutti gli attak alle email, file di testo o di immagini allegati; -aiutare i propri bambini a usare il computer in maniera equilibrata. Molti bambini si appassionano troppo al computer dimenticando di giocare con gli amici reali; -stabilire regole precise su come utilizzare Internet; -assicurarsi che i bambini comprendano che non possono incontrare nessuno nella vita reale, conosciuto online senza il consenso dei genitori e che le persone online non sempre sono così sincere su chi sono; -insegnare a propri bambini a non dare informazioni personali alle persone che incontrano online, specialmente in luoghi pubblici come le chatroom: -tenere i bambini lontani dalle chatroom a meno che non siano controllati; -incoraggiare discussioni con i propri bambini su ciò che trovano divertente online; -insegnare ai propri bambini a non rispondere quando ricevono email offensive o dannose, messaggi da chat o altre comunicazioni specie su temi sessuali; -seguire i propri bambini quando sono online e vedere dove vanno, senza pressarli troppo; -se non si può essere in casa quando i bambini sono online, usare software di protezione( riconoscono alcune n. 2/2007 L T U R A S parole-chiave tipo sex, erotico, ecc., e non consentono l’accesso ai siti che le contengono) per tenerli sotto controllo nelle navigazioni autonome; -installare sul proprio computer un programma che memorizza gli indirizzi Internet visitati dal proprio bambino e controllare quali sono da lui più frequentati; -in generale, insegnare ai propri bambini quali possono essere i rischi di Internet senza terrorizzarli e senza dimenticare che la Rete è come il mondo reale, che si può esplorare con un minimo di prudenza e precauzioni in modo positivo. Giancarlo Zizola NOTE 1 [email protected] 2 Gabriella Pravettoni, Web psychology, Guerini e associati, Milano 2002, p. 110. 3 Giuseppe Anzani, “Navigatori di mari putridi”, Avvenire, 18 marzo 2005. 4 Corriere della Sera, 18 novembre 2006. 22 T O R I A E C U L T U R A PROGRESSIVE DERIVE DELL’IPERCOMUNICAZIONE PUBBLICA MARINO CAVALLO A ssistiamo a una costante espansione della logica razionalizzante all’interno dei sistemi sociali contemporanei. Questo testimonia, se mai ce ne fosse ancora bisogno, della sorprendente vitalità e performatività di schemi interpretativi dei processi sociali basati sulle logiche dell’azione razionale e dell’approccio cibernetico allo studio della società. L’orizzonte di razionalità così ben delineato da Max Weber nel secolo scorso1, distintivo della modernità, alle soglie di questo nuovo millennio ha allargato il proprio dominio dilagando addirittura verso ambiti dell’individualità e della relazione interpersonale finora preservati dalle logiche del calcolo e del riduzionismo astratto. Infatti ora sono le emozioni stesse ad essere toccate da dinamiche di «rischiaramento» basate sulla capacità e la volontà di rendere positive e discorsive le «grammatiche» che regolano l’analisi del vissuto e la capacità delle persone di narrare e conferire significato identitario ai sentimenti e alla relazione con alter (comprese le relazioni identitarie di comunità)2. 23 Mai come nella società attuale gli ambiti di regolazione si sono estesi, fino a interpellare nella regola giuridica i territori della nuda vita3. Non a caso il diritto diventa uno dei luoghi privilegiati dell’indagine attorno ai corpi, uno dei campi prescelti per l’esercizio del potere disciplinare e dell’indagine sulla verità «incorporata» nel comportamento delle persone e nelle loro azioni quotidiane, atti che confermano o mettono in discussione le «microstrutture» e i «microsaperi»dell’architettura moderna del controllo4. Questa «potenza del diritto», che si manifesta nell’odierna law-satureted society,5 si accompagna a una profonda trasformazione dei confini tra sfera pubblica e sfera privata, tra visibilità e invisibilità, tra contesti trasparenti e contesti opachi, o nascosti. Nella classica divaricazione tra teorie sociali che postulano la completa indipendenza del sistema rispetto al proprio ambiente, la cecità autopoietica e autoreferenziale6, e teorie sociali che invece evidenziano le potenzialità sconfinate di controllo costante e totalizzante dell’universo delle azioni sociali dei sistemi tecnologici (anche attraverso tecniche sempre più raffinate di ossern. 2/2007 Marino Cavallo, Università degli Studi Suor Orsola Benincasa, Napoli. DESK S DESK T O R I A E C U vazione e di registrazione), pare prevalere nei nostri tempi la consapevolezza che i meccanismi di controllo possono essere efficacemente decentrati, delocalizzati e inoculati gradualmente nel corpo vivente oltre che nel corpo sociale7. Nel rendere «positivo» il discorso attorno al sé, nel portare nel bios il fondamento del potere-sapere sociale, nell’istituire la biopolitica quale zona privilegiata di esercizio disciplinare e di dislocazione dei dispositivi di sapere-potere si compie la transizione alla società del controllo tecnologico. Non è tanto la società del controllo totale, degli apparati totalitari di sorveglianza, quanto piuttosto la società della «microfisica dell’allarme», una società basata sulla potenzialità dell’ipercomunicazione pubblica, della comunicazione che rende oggetto di sapere-potere un ambito enormemente più esteso dei mondi di vita. Se accettiamo come riferimento di analisi il concetto di ipercomunicazione pubblica ecco che diventa essenziale indagare e rintracciare quei settori della vita sociale dove si esplica in modo visibile questo esercizio di ipertrofia della comunicazione pubblicamente orientata. La comunicazione della devianza e la comunicazione del rischio rappresentano a mio avviso due zone in cui emergono nettamente le tendenze attuali ad interpretare in chiave ipercomunicativa le minacce alla convivenza sociale. In questo modo dilagano interpretazioni del rischio strettamente collegate alle dinamiche di incertezza tipiche della modernità liquida8 e all’opacità dei sistemi esperti contemporanei9. Un’efficace analisi della percezione dell’insicurezza e dell’allarme sociale è presente nell’accurata indagine delle n. 2/2007 L T U R A S caratteristiche della criminalità nel tessuto urbano di una grande città, svolta con le tecniche della ricerca qualitativa da Alessandro Dal Lago qualche anno fa. La tesi che emerge dalla sua documentata ricerca è che il rischio e l’allarme sociale sono direttamente collegati alla visibilità pubblica del deviante prima e ancora che al rischio e al pericolo del reato. Spaventa ciò che è esposto e ostentato nel corpo sociale e urbano, impauriscono i comportamenti anormali che infrangono lo scorrere quieto del quotidiano, che mettono in discussione gli equilibri faticosamente negoziati tra la città visibile e la città invisibile, tra i corpi esposti alla luce del sole e i corpi che si muovono furtivi e di cui si intravedono a malapena le ombre nei vicoli scarsamente illuminati del centro urbano delle nostre metropoli10. Analoghe analisi sono applicabili ai media, che producono e moltiplicano immagini stereotipate dell’altro e che spesso mettono in scena, per esempio sugli immigrati, «cerimonie informative» ingannevoli, basate sulla diffusione di paure irrazionali e di conoscenze distorte e semplificatorie dei fenomeni. È in agguato lo stigma, che vede nel comportamento individuale il segno di una minaccia depositata nel gruppo sociale (o addirittura etnico!) a cui il singolo appartiene. Diventa così inevitabile per i media veicolare volontariamente o subire passivamente, dall’esterno, il frame interpretativo degli eventi. Però, sull’onda dell’emotività, la percezione sociale del rischio contribuisce a produrre dinamiche e processi di opinion building artificiosamente strumentalizzabili11. Così il conformismo e una certa superficialità nella lettura degli eventi rischiano 24 T O R di alimentare un «clima d’opinione»12 ostile, che rende tecnicamente semplice diffondere dispositivi e atteggiamenti di chiusura e di separatezza all’interno della nostra società. È ormai evidente che una delle poche vie d’uscita non regressive da questa situazione richiede un aumento della capacità del sistema di prodursi e rappresentarsi come intelligenza collettiva, in grado però di generare non solo reti di «intelligenze cognitive», ma pure solide e consistenti architetture di senso e di significato13. Marino Cavallo NOTE 1. M. Weber, Economia e società, Edizioni di Comunità, Milano, 1961, [1922]. 2. E. Illouz, Intimità fredde. Le emozioni nella società dei consumi, Feltrinelli, Milano, 2007. 3. G. Agamben, Homo Sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Einaudi, Torino, 1995. 4. M. Foucault, La verità e le forme giuridiche, La città del sole, Napoli, 1994. In 25 I A E C U L T U R A particolare cfr. L.D’Alessandro, “Potere e pena nella problematica di Michel Foucault”, ivi, pp. 141-160. 5. S. Rodotà, La vita e le regole. Tra diritto e non diritto, Feltrinelli, Milano, 2006. 6. N. Luhmann, Sistemi sociali: fondamenti di una teoria generale, Il Mulino, Bologna, 1990. 7. D. Lyon, La società sorvegliata. Tecnologie di controllo della vita quotidiana, Feltrinelli, Milano, 2002, [2001]. A. Pitasi (a cura di), Webcrimes: normalità, devianze e reati nel cyberspace, Guerini, 2007. 8. Z. Bauman, Modernità liquida, Laterza, Roma-Bari, 2002, [2000]. 9. A. Giddens, Le conseguenze della modernità. Fiducia e rischio, sicurezza e pericolo, Il Mulino, Bologna, 1994, [1990]. 10. A. Dal Lago, La città e le ombre: crimini, criminali, cittadini, Feltrinelli, Milano, 2003. La città presa in esame nello studio è Genova. 11. G. Grossi, L’opinione pubblica, Laterza, Roma-Bari, 2004. 12. E. Noelle-Neumann, La spirale del silenzio, Meltemi, Roma, 2002. 13. P. Lévy, “Verso una mappa dell’intelligenza collettiva nel cyberspazio”, pp. 15-24,e L. d’Alessandro, “Introduzione”, pp. 9-14, in L. d’Alessandro (a cura di), Il gioco dell’intelligenza collettiva e i nuovi percorsi dei significati n. 2/2007 DESK S T O R I A E C U L T U R A S NELLA STORIA DEL GIORNALISMO E DELLA COMUNICAZIONE, DELLA GUERRA E DELLA SOCIETÀ ITALIANA PAOLO SCANDALETTI L Paolo Scandaletti, professore di storia e di etica del giornalismo e della comunicazione nelle università Luiss di Roma e Suor Orsola Benincasa di Napoli DESK n. 2/2007 si con i grandi numeri, con i milioni di persone da mobilitare e mandare al combattimento, con le ingenti risorse da reperire facendo versare i pur esigui risparmi nelle sempre più esangui casse pubbliche. Così – in un mondo senza radio e televisione – ci si serve ancora degli ottocenteschi manifesti commerciali, nobilitati peraltro dall’arte di Toulouse-Lautrec, trasformati in strumenti di vasta comunicazione bellica. E’ un’esperienza comune a tutti gli Stati europei in armi. Colori e slogan su immagini eroiche ed esortative, o di soldati feriti e profughi, proclamano le ragioni della guerra e le sue necessità. Erano mezzi e modalità assunti nella convinzione che la durata del conflitto sarebbe stata breve. Per Natale, tutti a casa, si diceva a Londra. Ma quando l’arretrata cultura militare dei generali, l’impreparazione di fronte ad una guerra di tipo nuovo, il malcostume dell’arroganza e della supponenza, misto alle doppiezze e ai rimpalli di responsabilità, fecero cadere le illusioni o provocarono disastri come quelli accaduti a noi, si pose il problema di guardare ai soldati anche come soggetti con diritto alla vita e alla dignità, di passare dalla mera imposizione al 26 R rispetto, alla cura e soprattutto alla motivazione o ri – motivazione a resistere in guerra. Una estenuante guerra di posizione, confinati per mesi nella melma delle trincee, a combattere contro il gelo e il tanfo della putrefazione e degli escrementi, negli occhi lo spettacolo dei corpi smembrati dei compagni uccisi.. Vigendo la coscrizione obbligatoria, i manifesti per la mobilitazione ebbero origine e vita facile. Più arduo fu mobilitare i soldi, e infatti si ricorreva anche alla lusinga; o più tardi – col prolungarsi degli eventi bellici – alla mozione dei sentimenti verso i combattenti, i feriti, i profughi e gli orfani. Infine, venendo meno uomini e mezzi, arrivò l’appello alle donne affinché lavorassero nelle fabbriche, incrementassero la produzione. Così fu fatto in tutti i paesi dell’Europa continentale, ultima la Gran Bretagna, perché poteva contare su un esercito di soli volontari professionisti. La fotografia non ancora centenaria e un cinema appena ventenne muovevano i primi passi nella combinazione con le cronache illustrate e i cinegiornali, pioniere la Francia e l’Inghilterra. Mentre il grande schermo già svuotava i teatri, Hollywood era prossima a diventare la capitale della produzione e Charlie Chaplin si preparava a testimoniare i tempi con lo straordinario “Charlot soldato” del 1918. Si trattava di strumenti bellici del tutto nuovi: la settima arte nel rappresentare i vari fronti del bene e del male, la fotografia nelle rilevazioni e nella propaganda. Ma in trincea le foto giravano poco, per le restrizioni censorie e gli alti costi, eccettuato qualche raro e ingiallito ritratto famigliare; di più le immagini del santo protettore, il calenda- I GIORNALI DI TRINCEA DOPO CAPORETTO a prima Guerra Mondiale costituisce uno straordinario punto di svolta storico: cambia il potere e gli Stati, la società e l’economia, la cultura, la strategia e la tecnologia della guerra, ma avvia anche un cambiamento profondo del giornalismo e dei giornali. A mezzo secolo dalla sua unità, è stata per l’Italia, - non ancora veramente unificata e modernizzata, più agricola che industriale, dissanguata dall’ingente emigrazione e dalle avventurose vicende coloniali, debilitata dall’analfabetismo e dai risicati diritti elettorali – una prova tremenda. Così è stato per il suo giornalismo, già appesantito da assetti proprietari non originariamente editoriali, dalle ambizioni letterarie delle sue penne più note e dalle finalità di lotta politica. Pochi sono i fogli nati esclusivamente per i cittadini – lettori, e raramente hanno alle spalle una tradizione consolidata e duratura di “cani da guardia” dei poteri. Peraltro declinata all’impotenza perfino davanti agli atti lesivi della libertà del Parlamento della corrente interventista che spingeva alla guerra Ma la guerra di massa, che si profila nel 1914 sui territori di un’Europa spaccata verticalmente, costringe le élite e gli uomini di potere a confrontar- T O 27 I A E C U L T U R A rio profumato del barbiere con “le signorine” o le cartoline illustrate da mandare a casa con qualche scatto del ‘fotografista’.. Erano invece assai più significative le pitture che arrivavano dal fronte: tra i milioni di soldati, infatti, vi erano parecchi artisti – come sir Stanley Spencer, l’austriaco Egon Schiele, i tedeschi Otto Dix e Franz Marc, i nostri Umberto Boccioni e quell’Aristide Sartorio che aveva appena affrescato l’aula di Montecitorio – in grado di riprodurre con la matita e il pennello, con orrore e pietà, le scene del conflitto, eludendo le pressanti limitazioni imposte dalle autorità. A differenza dei manifesti, in queste immagini, come nei canti malinconici e nostalgici che salivano dalle trincee - canti popolari imparati da bambini, o composti dagli stessi soldati come “Bombardano Cortina” del 7° Alpini, o “Sul ponte di Bassano”, (“La leggenda del Piave” sarà scritta invece da intellettuali e cantata per la prima volta a Napoli nel 1918) o nelle iscrizioni incise sulle pareti di gallerie, rifugi e depositi, non vi è traccia di odio per i nemici, solo il ricordo degli amici scomparsi e il rimpianto per la gioventù perduta, la casa lontana, gli affetti interrotti, un senso di sfida verso la morte che coglie a tradimento in ogni angolo. Riecheggiavano questi temi anche le lettere che i soldati spedivano a casa o alla ‘morosa’: di proprio pugno molti, facendosi aiutare dai cappellani militari o dai commilitoni i più. I grandi quotidiani nazionali facevano eco alle dispute dei politici, l’un contro l’altro armati.. Qualcuno si occupava anche dei costi della guerra, che si stavano mangiando i due terzi del valore della lira; e magari degli avn. 2/2007 DESK S T O R I A E C U vertimenti di Max Weber sulla necessità di affidarsi alla legalità che legittima il comando. Si discuteva sulle posizioni di Croce e Cadorna, sull’avanzata del socialismo, sulla guerra come igiene del mondo predicata dai futuristi, della reciproca e crescente interferenza fra Stato economia e finanza, del nazionalismo e la relativa demonizzazione dello straniero – nemico. Ma tutto questo fervore dialettico rimaneva confinato nei recinti abituali della gente che conta e negli strati medio – alti della società: quelli dei consigli di amministrazione e dei ministeri, delle università e dei giornali destinati a chi aveva studiato; letti dagli aristocratici e dai borghesi, assai meno da operai e contadini. Qui si sosteneva con calore la ragione dell’intervento; di là saliva la protesta: “Basta che non continuino a scrivere balle su di noi in trincea” o anche “Se prendo Barzino, l’ammazzo”, secondo la testimonianza di Alfonso Omodeo e Corrado Alvaro. Benché lassù arrivassero poche copie di giornali, solo i bollettini di guerra e gli asciutti se non minacciosi comunicati dei comandi. In verità, i resoconti di guerra subivano tutte le limitazioni che ogni conflitto impone: informazioni parziali e verità taciute, censure e autocensure, per non dire dell’avversione del generale Cadorna per la stampa come per le “baionette intelligenti”e i “grilli parlanti”intellettuali e politici. Così, anche per il giornalismo più maturo e volonteroso correvano tempi difficili, poiché, come si sa, la prima vittima della guerra diventa proprio la verità dei fatti: e dunque la prima grande sconfitta fu l’informazione. I 14 giornalisti italiani – obbligatoriamente ultraquarantenni - accreditati nel gennaio del ‘16 presso il comando di Ca- DESK n. 2/2007 L T U R A S dorna a Udine, al di là degli scoop di Rino Alessi e Arnaldo Fraccaroli, dovevano limitarsi a 500 parole di cronaca edulcorata, piena di retorica e di omissioni, mirante più a convincere e rassicurare che ad informare. Mentre riservavano le verità più crude, gli errori e le disfunzioni toccati con mano, alle missive private, come faceva Luigi Barzini col suo direttore Albertini. E nonostante tutto, per i giornali erano affari d’oro e le tirature salivano: il Corriere veleggiò spesso sopra il mezzo milione di copie, La Stampa oltre le 200 mila, Il Resto del Carlino di Bologna passò dalle 38 alle 150 mila, così il Gazzettino di Venezia. Cominciava anche ad affermarsi l’abitudine a leggere il quotidiano. In uno scenario di stallo sostanziale, ma rivelatore di tutte le illusioni e le incapacità, i limiti culturali e materiali del Paese, irrompe Caporetto. Come dice Mario Rigoni Stern: “Ora sappiamo che fu solo una battaglia perduta, non una disfatta”. Ma, ben oltre il cambio Cadorna – Diaz, ha la capacità di rimettere in discussione quasi tutto. Compreso il giornalismo, che deve raccontare l’attacco subito e la ritirata, l’abbandono dei paesi e del territorio, la fuga dei profughi e l’invasione. Quando la guerra arriva a coinvolgere direttamente la società civile, assume ancor più dimensioni di popolo: e anche il giornalismo, dovendo fare i conti con nuovi protagonisti e nuovi lettori, deve darsi dei parametri diversi, una cultura e dei format più popolari. Nel dicembre del ‘17, due mesi dopo Caporetto, - consapevole che per il governo degli uomini la prima scelta strategica è di ricostruine il morale – il generale Diaz riassetta il rapporto dei poteri militari con i sottoposti e le fa- 28 T O R miglie dedicandovi maggiore rispetto e attenzione. Così i civili che lavorano nelle città possono sapere di più e cominciano a farsi un’opinione in proprio. A primavera istituisce, nell’ambito dell’ufficio stampa del suo Stato maggiore, la sezione propaganda: all’”ubbidire e combattere” subentra la rimotivazione e la cura del morale delle truppe. Manda Ugo Ojetti, un intellettuale, nella Commissione Interalleata; prende con sé il pedagogista Giuseppe Lombardo Radice; soprattutto promuove la pubblicazione dei giornali di trincea, destinatario il soldato che si logora sulla linea del fuoco. Prima di allora, giravano saltuariamente solo alcuni fogli improvvisati, compilati dai soldati stessi per i loro commilitoni: scritti nelle pause del combattimento e riprodotti al ciclostile, di impronta per lo più goliardica, letti e discussi al momento del rancio, magari con qualche ulteriore sfottò. Si chiamavano: Il Trentino, La scarica, Vittoria, Cecco Beppe, La sanità, Ragno, Elmetto, Fifa. Avevano la prevalente caratteristica della spontaneità, della vita alterna e breve, di un lessico spesso inventato: si diceva colla per dire riso, torrone stava per fucile, prugne per pallottole (ne è stato redatto un piccolo dizionario). La propaganda bellica, fin lì quasi improvvisata ed espressa nei manifesti e nelle conferenze, assume connotati cultural – scientifici e si esprime con modalità nuove, dapprima sperimentali e poi via via più rigorose. Tra queste, per l’appunto, i giornali di trincea: redatti da giornalisti – soldati per i soldati. Dal giugno 1918 vengono regolarmente spediti al fronte; secondo l’inventario fatto dall’Archivio storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, 28 te- 29 I A E C U L T U R A state destinate alle prime linee, 10 diffuse nelle retrovie e nelle città, altrettante all’estero. Naturalmente sono diversi l’uno dall’altro: più modesti o più raffinati, settimanali o mensili, popolari o colti, sciatti o eleganti, a colori alcuni e con fior di illustrazioni. Vi collaborano firme illustri come Gaetano Salvemini, Emilio Cecchi, Gioacchino Volpe, Ardengo Soffici, Giorgio De Chirico, Pietro Jahier, Giuseppe Ungaretti, Curzio Malaparte, Salvator Gotta, Grazia Deledda. All’ufficio P si preparano gli ‘spunti’, spesso stilati da Salvemini o Lombardo, per affidarli alla penna di qualche tenente o sergente che li renda più discorsivi e credibili ai commilitoni. Ci sono anche le pagine pubblicitarie di Pirelli o delle biciclette Bianchi. Pezzi e immagini puntano a rialzare il morale: compresi i rebus, le barzellette, i consigli pratici, lo sport, la poesia, le ‘signorine’; ma anche satira e malignità per denigrare il nemico, descrizioni tanto crude quanto fantasiose sui maltrattamenti ai prigionieri, documenti falsi che attestano la vittoria imminente, immagini volgari, eccessi retorici. Commistioni talvolta pesanti, come fa il giornale dei cappellani militari là dove definisce l’esercito come “il grande ritiro spirituale della gioventù d’Italia”. Praticamente ogni armata aveva il suo foglio, come pure enti o reparti minori. Lo scrittore vociano Jahier con il settimanale L’Astico, stampato a Piovene Rocchette, si occupava degli alpini della I Armata, con accenti democratici (il generale Cappello amava circondarsi di ufficiali colti). Per la III si pubblicava La Tradotta, realizzato da uomini del Corriere della Sera; la IV aven. 2/2007 DESK S T O R I A E C U va La Ghirba, dietro la quale c’era Soffici. E così La Marmitta, Il Grappa, il San Marco avevano precisi destinatari. Giornali per le trincee dunque, più che giornali delle trincee: veicoli di quegli “spunti” che in seguito, al tempo del fascismo, si trasformeranno in “veline” del Minculpop. Sullo sfondo di questa storia dei giornali di trincea risaltano con particolare spicco tre personaggi davvero emblematici: Renato Simoni, Arnaldo Fraccaroli e Arnoldo Mondadori; veronesi di origine e al Corriere i primi due, veronese d’adozione e tipografo il terzo. Delle 700 persone – fra giornalisti, tipografi e impiegati - in organico al Corriere della Sera all’inizio del conflitto, erano partiti in 380, ai quali lo stipendio continuava ad arrivare. Guidava la redazione romana Giovanni Amendola, con Angelo Gatti collaboratore militare; c’erano corrispondenti nelle principali capitali europee e 20 inviati sui fronti della guerra. E’ il giornale che per primo ha dato la notizia della morte di Francesco Giuseppe nel 1916; e l’anno dopo Fraccaroli avrebbe raccontato l’assalto con una torpediniera al porto di Trieste, per avervi personalmente partecipato. Renato Simoni ne sarà il critico teatrale per 40 anni. Comincia diciannovenne a L’Adige come cronista e poi agli spettacoli; nel 1897 passa a L’Arena e due anni dopo si trasferisce a Milano, al Tempo. Il successo della sua commedia La Vedova nel marzo 1903 induce il direttore Albertini ad assumerlo immediatamente al Corriere, con un ragguardevole stipendio. All’entrata in guerra ha 40 anni, è sottotenente di fanteria. Interventista convinto, va a dirigere il settimanale La Tradotta e organizza anche spettacoli per la trup- DESK n. 2/2007 L T U R A S pa. Finirà col grado di maggiore, decorato con la Croce di guerra. Della Tradotta, progettata e affidatagli dal colonnello trevigiano Ercole Smaniotto, capo dell’ufficio informazioni della Terza Armata, Simoni farà il modello per questo genere di pubblicazioni. Esce tra il 21 marzo 1918 e il 1° luglio del ‘19, con 25 numeri e tre supplementi. Redazione a Mogliano Veneto, al piano terra di villa Perosini, poi a Trieste al seguito dell’avanzata vittoriosa. Graficamente elegante, stampa a colori, illustrazioni davvero notevoli. Erano stati chiamati a collaborare dal Corriere dei Piccoli i disegnatori Antonio Rubini e Bruno Brunelleschi, così Enrico Sacchetti da Lettura; e inoltre gli inviati Riccardo Gigante e Arnaldo Fraccaroli. Editore il ventinovenne Arnoldo Mondadori, stampatore a Verona. Ma a fare il giornale è soprattutto lui, Simoni, capace di miscelare abilmente il serio e il faceto, con un linguaggio semplice ed accattivante. Talvolta eccedendo nei toni, là dove demonizza il nemico parlando di un re antropofago, del feldmaresciallo Conrad che sperpera le energie nelle alcove, di “quando erano già celebri i Romani,/ marciavano i tedeschi a quattro mani”; o se la prende con i socialisti (ed era un ex), ridicolizza l’anima di Pio X, la socializzazione delle donne in Russia, ricorre ai doppi sensi di derivazione plebea.. La linea politico – militare è altrettanto semplificata: “nessun popolo è rispettato se non ha dimostrato di saper menare le mani”, i soldati nemici praticano le peggiori bassezze, è contro gli americani e poi contro la “vittoria mutilata”, i lati più crudi della guerra vengono oscurati, il re e il Duca d’Aosta sempre esaltati. Arnaldo Fraccaroli na- 30 T O R sce sempre a Verona da una famiglia poverissima, sette anni dopo Simoni. Inviato speciale del Corriere e più avanti direttore della Domenica del Corriere, inizia come garzone di tipografia. Scrisse la prime righe sul giornale umoristico vicentino La Freccia e su L’Arena, ma esordì nel 1902 come cronista a La Provincia di Vicenza, diretto da un amico del padre; l’anno seguente si trasferì al Veneto di Padova e poi alla Gazzetta di Venezia. Il figlio Aldo lo ricorda come “un esempio di decoro e di dignità”, sempre pronto ad aiutare gli altri, saldamente ancorato ad una rigida scala di valori: la religione, la famiglia, l’amore per la patria e la passione per il lavoro, la generosità verso i meno fortunati. Non in linea il cliché degli inviati e dei corrispondenti di guerra, diventerà davvero uno dei più notevoli giornalisti italiani del suo tempo: conquistando fama, ricchezza e potere professionale. Ma occupandosi sino alla fine del milanesissimo premio Notte di Natale. A scoprirlo e valorizzarlo fu proprio Renato Simoni, e tra i due si stabilirà una stima ed un’amicizia indistruttibili. A Padova diventa redattore capo, scrive e mette in scena una commedia: “Ostrega che sbrego”, che avrà una fortuna straordinaria per oltre mezzo secolo. E’ il 1907, e due anni dopo Simoni dal Corriere lo chiama per presentarlo a Luigi Albertini, che lo assume ma lo fa ripartire da semplice cronista di nera. E’ comunque una via per entrare nel grande giornale e l’occasione per dimostrare le straordinarie qualità di testimone che va, vede e racconta, facendosi comprendere da tutti. Capita l’occasione di sostituire un collega e nella guerra italo – turca per la conqui- 31 I A E C U L T U R A sta della Libia e lavora accanto a Luigi Barzini e Guelfo Civinini, il pool di redattori viaggianti che di lì a poco seguirà la Grande Guerra. Dapprima sul fronte austro – russo, non oscurando gli orrori della guerra e non facendo storiografia né letteratura, ma soltanto vero giornalismo. In Italia esordisce sul fronte trentino; dopo Caporetto segue a Padova il comando generale che vi si è trasferito: ed è qui che collabora a La Tradotta di Simoni, inventandosi la corrispondenza amorosa fra il soldato Baldoria e la morosa Teresina, donna di servizio. Il fascino e la comicità nascono dalle situazioni, raccontate con un linguaggio che scambia le parole del gergo militare con quelle dell’amore: “Amore mio intangibile.. mi par di leggerti nelle retrovie del pensiero.. ti voglio dare un bacio a tiro radente.. scrivimi a bruciapelo”. E la propaganda la fa spiegando come la Patria sia “l’insieme di tante Teresine” e la difesa del Paese la lotta per difendere i propri cari. Il terzo determinante responsabile del successo del miglior giornale di trincea è Arnoldo Mondadori, che a Verona aveva già avviato un’ iniziativa editoriale. Mantovano, di poveri natali e di studi elementari, non avendo “mai potuto godere neppure una volta del possesso di un libro nuovo”, per campare fa di tutto. Il contatto con la carta stampata avviene nelle tipografia – cartoleria in cui fa il commesso. Socialista, promuove La Luce, giornale popolare e istruttivo. Poi rileva la tipografia, diventa amico del giornalista Tommaso Monicelli, socialista come lui, del quale sposerà la sorella e pubblicherà il primo libro. Allo scoppio della guerra è dichiarato ‘inabile’ a sparare, ma da essa trarrà le iniziali fortune editoriali n. 2/2007 DESK S T O R I A E C U stampando materiali per i militari e ben tre dei giornali di trincea: La Tradotta, La Ghirba e Le Fiamme nere. “La Sociale” - così si chiamava la sua società editrice – piantò ad Ostiglia il nuovo stabilimento, avendo assorbito una tipografia veronese, ma non il quotidiano L’Arena, che andava nelle mani dei liberali monarchici. Ma lui, per sostenere il crescente successo della sua Tradotta, la portò direttamente in prima linea alla truppa servendosi perfino di aeroplani. Era nato il grande editore. Concludendo, va ricordato che l’azione di propaganda militare veniva praticata anche negli altri Paesi europei di più consolidata tradizione democratico-liberale, dove la stampa aveva alle spalle una lunga storia di autonomia dai poteri politico – economici. Per prima la Gran Bretagna, con la collaborazione L T U R A S di fior di intellettuali e scrittori: là i nostri scrittori si chiamavano Kipling, Wells o Doyle... Così in Francia, in Germania e negli Stati Uniti. Nei momenti critici si può fare ricorso ad ogni mezzo: del resto, per promuovere la Rivoluzione francese vennero usati perfino i ventagli delle signore, le tazzine da caffè e le carte da gioco. Ma alla fine la verità ottiene la sua rivincita; finita la guerra, anche da noi s’è saputo quasi tutto: dalle Scarpe al sole di Paolo Monelli e Un anno sull’altipiano di Lussu, ai successivi film di Mario Monicelli e Francesco Rosi. E tuttavia il racconto storico, come ricerca e opinabile riflessione sui fatti e sui comportamenti, deve continuare: è ciò che stan facendo appunto il progetto “Rileggiamo la Grande Guerra”. Paolo Scandaletti NUOVO VERTICE FNSI Il 25° Congresso tenutosi a Bari dal 26 al 30 novembre ha eletto nuovo presidente della Federazione della stampa Roberto Natale, e segretario Franco Siddi. Il 18 dicembre è stata eletta la nuova Giunta esecutiva: Luigi Ronsisvalle, Marco Gardenghi, Guido Besana, Enrico Ferri, Giovanni Rossi, Pierfranco Devecchi, Fabio Azzolini, Lucia Visca, Carlo Maria Parisi, Daniela Stigliano, Marina Garbesi; collaboratori: Gino Falleri, Domenico Castellano, Ezio Ercole. “Contratto, riforma della professione, pluralismo, qualita’ dei contenuti. Con la guida di Franco Siddi e Roberto Natale il sindacato unitario dei giornalisti italiani” - per Massimo Milone, presidente Unione Cattolica Stampa Italiana - “colleghi che saldano robuste storie professionali, e sindacali, sensibilità e profonde motivazioni etiche, ha la possibilità di aprire una pagina nuova e diversa di protagonismo, seppur in uno scenario di crisi e di interrogativi, tra le logiche perverse del mercato e il diritto dei cittadini ad una informazione veritiera. Auguriamo alla nuova FNSI tante battaglie per la libertà d’informazione, l’obiettività, il pluralismo delle fonti, l’autonomia dei giornalisti, beni irrinunciabili non solo per il giornalismo italiano, ma per l’intera società”. DESK n. 2/2007 32 T O R I A E C U L T U R A LOBBIES REGOLAMENTAZIONE POSSIBILE? CAMILLA RUMI “ I lobbisti sono quelle persone che per farmi comprendere un problema impiegano dieci minuti e cinque fogli di carta. Per spiegarmi lo stesso problema i miei collaboratori impiegano tre giorni e decine di pagine”. Tale affermazione fatta dal Presidente Kennedy ed eletta a frase d’apertura della home page del sito di Reti, una delle principali società italiane di lobbying e public affaire, chiarisce in modo molto sintetico come la professione del lobbista consista nel rappresentare gli interessi di una determinata categoria sociale presso le sedi pubbliche, per raccogliere e sostenere le istanze di singole imprese private, enti o associazioni presso coloro che decidono e approvano le leggi. Un’attività che spazia dalla difesa di cause etiche, come l’ambiente e i diritti dei minori, agli interessi economici di grandi aziende. L’attività di lobbying, riconosciuta come vera e propria professione sia negli Stati Uniti che in gran parte d’Europa, stenta però a trovare un’adeguata regolamentazione in Italia, dove in- 33 vece, grazie alla scomparsa delle vecchie strutture di partito, sono sorte nuove esigenze e nuovi interessi da rappresentare che hanno, di conseguenza, incrementato lo spazio di attuazione di questa specifica professionalità. Questo atteggiamento di incondizionato sospetto verso tale professione, vista come gruppo di potere occulto che influenza le decisioni politiche tramite la pressione economica, inizia a vacillare, ma si è decisamente ancora molto lontani da un suo totale superamento. Ciò è testimoniato dal fatto che in Italia sono non più di una decina le società di comunicazione che dichiarano ufficialmente nello statuto, sul sito Internet o sui biglietti da visita di svolgere attività di lobbying. Tale pregiudizio ha senz’altro contribuito in maniera importante a bloccare la strada ad una seria e completa legislazione dell’attività lobbistica sia a livello nazionale che regionale, pur con qualche eccezione. Soltanto due delle venti Regioni italiane, Toscana e Molise, hanno infatti pienamente riconosciuto i gruppi di interesse presenti n. 2/2007 Camilla Rumi, giornalista, dottoranda Università LUMSA, Roma DESK S DESK T O R I A E C U nella società e valorizzato il loro ruolo ai fini della trasparenza dell’attività politica e amministrativa. Le leggi regionali 18 gennaio 2002 n. 5 (“Norme per la trasparenza dell’attività politica e amministrativa del Consiglio regionale della Toscana”) e 22 ottobre 2004 n. 4 (“Norme per la trasparenza dell’attività politica e amministrativa del Consiglio regionale del Molise”), grazie alle quali sono state poste le basi per la realizzazione di un vero pluralismo economico, sociale e culturale, sembrano rappresentare, almeno per il momento, due casi più che isolati. Nonostante in molti atti parlamentari si possa leggere che l’attività di lobbying è “un’attività in sé legittima ed ineliminabile in un regime pluralista”, il binomio lobby-democrazia stenta a trovare un pieno riconoscimento nel nostro Paese. Dal 1948 al marzo del 2006 (termine della XIV legislatura), sono stati presentati in materia ben 25 progetti di legge, di cui nessuno ha trovato una definitiva approvazione e soltanto 6 sono arrivati ad essere discussi dalle Commissioni competenti. L’ultima iniziativa risale invece allo scorso 12 ottobre, data in cui il Consiglio dei Ministri ha approvato su proposta del Presidente del Consiglio, Romano Prodi, e del Ministro per l’attuazione del programma di Governo, Giulio Santagata, il disegno di legge n. 1866 “Disciplina dell’attività di rappresentanza di interessi particolari”, con il preciso scopo di regolamentare, per la prima volta in Italia, l’attività di lobbying. Il ddl, il cui esan. 2/2007 L T U R A S me è stato assegnato ufficialmente lo scorso 13 novembre alla Commissione Affari costituzionali, si propone di soddisfare esigenze di trasparenza, al fine di rendere conoscibili al cittadino i molteplici fattori che incidono sui processi decisionali pubblici, e di garantire ai lobbisti la partecipazione a tali processi in condizioni di parità di trattamento. L’iniziativa del Governo introduce quindi disposizioni che intendono finalmente regolare il rapporto tra decisori pubblici e gruppi di pressione, la cui attività di rappresentanza di interessi particolari non può essere svolta nei confronti dei membri delle Camere o degli esponenti degli altri organi costituzionali, essendo circoscritta ai vertici del potere esecutivo, per la volontà di garantire una piena autonomia di tali organi. Le principali novità introdotte da questo disegno di legge, consultabile nella sua versione integrale sul sito del Senato (www.senato.it), possono essere considerate: a) la massima trasparenza dell’attività di lobbying: i decisori pubblici devono rendere disponibili a chiunque i documenti presentati dai lobbisti; b) l’obbligo dei decisori pubblici di citare nella relazione illustrativa e nel preambolo degli atti normativi e degli atti amministrativi generali l’attività di rappresentanza degli interessi svolta nei propri confronti; c) l’individuazione nel CNEL del soggetto garante dell’esercizio dell’attività di lobbying; d) l’istituzione presso il CNEL di un 34 T O R “Registro pubblico dei rappresentanti di interessi particolari” al fine di garantire la conoscibilità dell’attività dei soggetti che influenzano i processi decisionali pubblici; e) l’iscrizione a tale registro viene subordinata ad alcuni requisiti, tra i quali, si segnala, il rispetto del Codice di deontologia che sarà emanato dal CNEL, previa consultazione delle organizzazioni rappresentative del settore; f) la previsione di un sistema di sanzioni reputazionali (pubblicazione sui giornali) e pecuniarie (da 2.000 a 20.000 euro) per lo svolgimento dell’attività di lobbying da parte dei soggetti non iscritti al registro; g) l’obbligo per i lobbisti di presentare, ogni anno, al CNEL una relazione sull’attività di rappresentanza di interessi svolta; h) la trasmissione al Parlamento da parte del CNEL di un rapporto annuale sull’attività di verifica svolta. “I palazzi del Governo diventeranno trasparenti – ha dichiarato Michele Corradino, capo di Gabinetto del Ministero per l’attuazione del programma, agli esperti del sito lobbyingitalia.info – e con il riconoscimento del diritto di lobbying cade quell’aura negativa che circonda questo mestiere”. Soddisfatto del testo approvato dal Governo si è dimostrato anche Gianluca Comin, presidente della Federazione Italiana Relazioni Pubbliche: “Il provvedimento riconosce la professione del lobbista. Ora auspichiamo una rapida approvazione in Parlamen- 35 I A E C U L T U R A to anche se su alcuni punti il testo richiede alcuni affinamenti: sulle sanzioni per chi non rispetta le regole è chiaro che il CNEL emetterà provvedimenti motivati, ma non è esplicitato se prima sarà sentito l’interessato. Diamo inoltre la nostra disponibilità fin da ora per la consultazione sul codice deontologico che dovrà essere deliberato dal CNEL dopo l’entrata in vigore della legge”. Ciò che tutti ci auguriamo è che quindi tale disegno di legge possa andare incontro ad una rapida approvazione e che, soprattutto, non rappresenti l’ultima di una lunga serie di proposte legislative che hanno finito per arenarsi in Parlamento. Per ulteriori approfondimenti sul tema si rimanda al quaderno di Desk n. 14 “Università e professioni dei comunicatori in Europa. Criticità, ritardi e problemi irrisolti”, curato dal direttore di questa rivista, Paolo Scandaletti, e dal Preside della Facoltà di Scienze Politiche della Luiss, Massimo Baldini, che sarà presentato all’inizio del 2008 presso Palazzo Rondinini a Roma. Camilla Rumi n. 2/2007 DESK S T O R I A E UN’ATTIVITÀ C U L T U R A S LOBBY: MODERNA ED EFFICACE PIERO ONOFRI T Piero Onofri, esperto di comunicazione europea DESK n. 2/2007 progressiva internalizzazione della attività di Lobby. Con l’opzione di scegliere il tipo ed il peso del messaggio agendo direttamente ed individualmente, tramite proprie rappresentanze, oppure attraverso le Associazioni. Cito a titolo di esempio a livello europeo la Confindustria e l’UNICE, La Fiat e l’ACEA, le singole Regioni ed il Comitato delle Regioni, le Ferrovie e la CCFE e la UIC, le Confederazioni delle PMI e l’UEAPME. Alla complessità dell’apparato decisionale specialmente a livello Europeo ed al potere decisionale via via crescente delegato agli Enti Territoriali, vanno aggiunte le Autorità. E’ sufficiente indicare, a puro titolo di esempio, gli aspetti oggetto di esame e controllo della Autorità garante della concorrenza e del mercato2. Questa Autorità opera in piena autonomia su aspetti che hanno ricadute importanti sul tessuto economico e sociale: intese restrittive della libertà di concorrenza; abuso di posizione dominante; concentrazione di imprese. Il Potere Legislativo, in un assetto Costituzionale come il nostro, si estrinseca solo attraverso le decisioni prese dal Parlamento. Una Repubblica par- 36 R lamentare bicamerale come la nostra presenta comunque, a prescindere dai rischi dei rimbalzi da una Camera all’altra, un assetto decisionale stringato e sufficientemente elementare nei suoi passaggi. Stiamo assistendo, è vero, ad un crescente ricorso ai Decreti Legge ed alle Leggi Delegate; rimane pur sempre intatto ed intangibile il primato legislativo del Parlamento. Grande e crescente rilievo hanno assunto, come anticipato, le Istituzioni locali alle quali sono collegati gli stessi Parlamentari sempre più connessi con i rispettivi collegi le cui posizioni e/o richieste non sono sempre in sintonia con i Partiti. Il rapporto istituzionale è chiaramente esteso all’esecutivo sotto due aspetti. Da un lato la preparazione o predisposizione di norme, dall’altro per l’esecuzione appunto che i Dicasteri danno normalmente alle normative generali.E’ unanimemente nota la pletora di Decreti, Circolari, note ed interpretazioni. La complessità dell’organizzazione dei Ministeri è un aggravante del problema dei contatti per i risvolti delicati e spesso a rischio conflittualità che si possono creare passando dagli esecutivi ai direttivi. Va sottolineata al riguardo la estrema aleatorietà che ha caratterizzato i Governi fino agli ultimi anni del secolo scorso il che ha reso spesso inutili o comunque estremamente teorici i rapporti con i Titolari dei Dicasteri. Le azioni sono state e sono tutt’ora rivolte alla macchina ministeriale caratterizzata almeno fino al 2001 da una sostanziale stabilità a prescindere dal Governo in carica3. A tutto ciò va aggiunta poi l’attività di monitoraggio a posteriori delle ricadute delle norme, sulla possibilità DI PRESSIONE re gli aspetti di base da considerare: la complessità dell’impalcatura legislativa ed esecutiva specialmente nella Unione Europea; il decentramento del potere decisionale; una attività di pressione moderna ed efficace. Il primo aspetto problematico è imperniato sulla correlazione strettissima tra “Azione di Stimolo” cioè Lobby, Relazioni Istituzionali, conoscenza della materia di cui si tratta e capacità di Comunicazione. Tra le definizioni infatti della attività di Lobby, che mi sembrano maggiormente aderenti alla realtà, cito quella del Professore Mazzei1 : “strumento per rendere più flessibili e sensibili agli interessi, la politica e le forze che regolano il mercato”. Ricordo anche le Sue tre C “ Comunicazione, Convinzione, Cogestione delle decisioni” Non dunque una attività oscura, riprovevole, mistificante ma una Professione che richiede onestà intellettuale, grande professionalità, grande preparazione, disponibilità ai contatti interpersonali. Non a caso stiamo assistendo nelle Imprese ma anche nelle Associazioni di rappresentanza e tutela ad una T O 37 I A E C U L T U R A della loro interpretazione che l’averne partecipato alla stesura rende possibile. Si è detto sopra che il bicameralismo è sufficientemente chiaro e con percorsi definiti. La netta separazione dei poteri contribuisce a tale chiarezza e snellezza operativa. Il lavoro delle Commissioni rappresenta il lavoro di base, siano esse in sede deliberante o in sede legislativa. Le audizioni sono molto spesso una forma di lobby organizzata Il Parlamento è il Legislatore dunque, per antonomasia e per definizione. A lui spetta fare le Leggi, convertire in Legge i Decreti Legge che in caso eccezionale di necessità ed urgenza il Governo può emanare; delegare con apposito atto legislativo il suo potere al Governo che deve rispettare scrupolosamente i limiti previsti nella delega. L’Unione Europea presenta, per contro una impalcatura legislativa estremamente complessa, variegata e di difficile comprensione almeno a prima vista. Risente delle difficoltà che il percorso verso una Unione politica poi declassata ad un mercato unico e l’abolizione delle barriere di frontiera per giungere alla realizzazione delle quattro libertà di circolazione ( persone, merci, capitali, servizi), ha incontrato. Una Unione politica che, è amaro sottolineare, appare sempre più lontana, sostituita da un approccio economico-monetario che sono certo dispiacerebbe molto ai Padri fondatori della Comunità Europea come il nostro impareggiabile Altiero Spinelli che ebbe a dire molti anni fa “Il Mercato comune non è una tappa ma una beffa”4 Problema riproposto in agosto dal Presidente della Repubblica n. 2/2007 DESK S DESK T O R I A E C U che ha parlato di una “ semplice rete di cooperazione intergovernativa se non verrà cambiato l’assetto istituzionale”. L’attuale assetto ha portato a privilegiare alcuni aspetti come il Libero Mercato, la Concorrenza con un orientamento ad un corpo legislativo estremamente vasto, spesso frammentato e più volto a ciò che non si deve fare piuttosto che a quello che si dovrebbe e potrebbe fare.La Liberalizzazione e la Concorrenza hanno di fatto preso il sopravvento sulla politica industriale.E’ conseguenza, questo assetto, della difficoltà da parte degli Stati Membri di delegare la propria autonomia e potestà legislativa ad una entità superiore. Risente a sua volta tale impostazione, dall’avere gli Stati Membri cultura e tradizioni millenarie con specificità e caratterizzazioni ai quali non ritengo sia possibile derogare e che per contro rappresentano un patrimonio di civiltà non annullabile. Una costruzione che non è un Superstato né una federazione di Stati ma una sommatoria-Unione di Stati che mantiene lingue diverse ed assetti politici differenziati. Frutto anche di una marcata diversità di essere e sul come intendere questa nuova entità da parte degli Stati membri. Solo a titolo di esempio cito uno Paese fortemente centralizzato e caratterizzato da un forte senso dello Stato, la Francia; un Paese federato con ben 16 Lander, la Germania. Un esempio ulteriore è stato fornito dapprima dal voto contrario alla Costituzione Europea da parte di Francia ed Olanda e successivamente dall’accordo non certo esaltante raggiunto nella notte del 22 giugno di quest’anno. Cito inoltre la clausola del opt-out5 imposta dalla Gran Bretagna n. 2/2007 L T U R A S che, forse a qualcuno è sfuggito, è stato il motivo per il quale non si è riusciti agli inizi dell’anno, a far approvare la proposta di Direttiva di modifica dell’orario di lavoro. Ma non va neppure sottaciuto lo slittamento a tempi lunghi dell’entrata in vigore delle norme istituzionali appunto, che potrebbero rendere più agevole l’approvazione delle Leggi Europee. Un’entità, dunque, assolutamente inedita e storicamente unica. Ricalca, questa costruzione, quanto previsto con straordinario acume da Benedetto Croce in un periodo nel quale a tutto si poteva pensare meno che ad una Europa unita. Scriveva dunque Croce: “A quel modo che, or sono settant’anni, un napoletano dell’antico Regno o un piemontese del regno subalpino si fecero italiani, non rinnegando l’essere loro anteriore ma innalzandolo e risolvendolo in quel nuovo essere, così e Francesi e Tedeschi e Italiani e tutti gli altri si innalzeranno ad Europei ed i loro pensieri indirizzeranno all’Europa e i loro cuori batteranno per Lei come prima per le Patrie più piccole, non dimenticate già, ma meglio amate”6. Si tratta di un sistema tutto particolare e che non ha eguali in alcuna altra realtà al mondo. Uno Stato che non è uno Stato; una articolazione di gestione che non tiene in alcun conto il principio della separazione dei poteri, impostata come è sulla Commissione, vero motore della vita comunitaria e sotto certi aspetti rappresentante del potere esecutivo e controllore attento del rispetto delle normative comunitarie che essa stessa prepara e presenta, da parte degli Stati Membri Una Istituzione, questa, che come detto, presenta le proposte di Legge a due Istituzioni, il Parlamento ed il Consiglio, 38 T O R che procedono in via normale senza alcun coordinamento e che si trovano sempre più spesso a confrontarsi solo in sede di Comitato di Conciliazione. Già perché, unico caso conosciuto al mondo, se le due Istituzioni e la Commissione non si trovano d’accordo su un testo normativo, si ricorre al tentativo estremo di conciliazione appunto. Si ricorre cioè ad un Comitato formato da un numero uguale di Membri del Consiglio e del Parlamento7. Risente questo sistema del duopolio imperante dove il Parlamento Europeo è stato a lungo considerato privo di ogni autorità. Una Istituzione con funzioni meramente consultive che doveva esprimere pareri obbligatori ma non vincolanti come il CESE (Comitato Economico e Sociale Europeo). Questo fino all’Atto Unico (1 luglio 1987) consolidato poi con il Trattato di Maastricht nel febbraio 1992 da dove è iniziata lenta ma sicura la risalita del Parlamento europeo nella scala dei valori legislativi. Dapprima con poteri di codecisione limitati ad alcuni aspetti della vita europea per poi espandersi fino alla situazione attuale che vede tale metodologia pressoché generalizzata. Rimangono fuori dal sistema della codecisione alcuni settori definiti sensibili e tra questi ricordo quello fiscale per il quale è previsto un iter tutto eccezionale.. L’articolo 93 del Trattato assegna infatti una competenza esclusiva al Consiglio dei Ministri delle Finanze, il cosiddetto ECOFIN, che deve pronunciarsi alla unanimità sentito il parere del Parlamento Europeo e del Comitato Economico e Sociale Europeo. Pareri questi obbligatori si, ma non vincolanti. La Commissione è dunque fonte delle proposte legislative8 e nel con- 39 I A E C U L T U R A tempo vigile controllore del rispetto dei Trattati e delle normative comunitarie a livello nazionale.Ha il compito quindi di dare esecuzione, a livello comunitario, alla normativa adottata dal Consiglio e dal Parlamento. Una Istituzione articolata in Direzioni generali con funzioni specifiche e spiccatamente tecniche. Il Consiglio dei ministri, competente per materia, che si riunisce mediamente quattro volte l’anno e per la cui preparazione vengono coinvolti Gruppi di lavoro, tecnici dei vari Paesi ed il COREPER9. Proprio per questi motivi, considerato l’elevato tasso di tecnicismo che caratterizza la vita moderna ed i rapporti a tutti i livelli, nonché il panorama istituzionale così vasto ed articolato, l’attività di lobby è sempre di più vista come Relazioni Istituzionali all’interno delle strutture portatrici di interessi, molto spesso accorpata nella Direzione Relazione esterne. Uno degli ultimi esempi di tale scelta internalizzante è quello della General Electric che ha aperto un suo ufficio di rappresentanza a Bruxelles retto da un Vicepresidente. Qualcuno sostiene che tale iniziativa sia stata presa dopo la sonora bocciatura della fusione con Honeywell da parte della DG Concorrenza. Va aggiunto che fanno parte del variegato mondo dei portatori di interesse, anche realtà, senza fine di lucro, che sostengono diritti di convivenza e parificazione. Un esempio fra tanti ma forse il meno conosciuto, è il LEF (Lobbying Européen des Femmes) nato nel 1990 e cofinanziato dalla UE. Ed infine le cosiddette “Think Tanks” vere e proprie “Camere pensanti” o “ Riserve di pensiero” che si pongono l’obiettivo di identificare opzioni gen. 2/2007 DESK S DESK T O R I A E C U nerali e politiche volte ad influenzare le riflessioni si noti bene, non le decisioni. Apparse all’inizio del secolo scorso in G.B. si sono poi estese e sono operative a Bruxelles a partire dal 1990. Sono circa 700 in tutta Europa di cui un quarto interviene su problematiche europee, a fronte delle 4.500 operanti in USA. Funzionano come una lobby nei confronti della Commissione UE che le sovvenziona con un budget di circa 3,5 milioni €. La loro influenza, ripeto, è ideologica e politica non commerciale. Cito ad esempio la CEPS (Centre for European Policy Studies) che ha avuto un ruolo importante nella stesura del Libro Bianco su crescita e competitività di Jacques Delors e sulla creazione della BCE. Un altro esempio è la “Rete di Stoccolma” animata da un editorialista inglese che raggruppa 130 think tanks sostenitrice di una liberalizzazione totale dei mercati, della conseguente deregolamentazione dell’economia e di un livello di tassazione uniformata. L’European Enterprise Institut ha giocato un ruolo importante nella questione Microsoft/Commissione UE. Proprio in questi giorni è al lavoro un Think Tank inglese per l’esame dell’adozione del road pricing a Londra e l’eventuale estensione ad altre città e capitali europee, sempre da un punto di vista politico e strategico. In generale, pur nella difficoltà di effettuare censimenti precisi, operano a Bruxelles 3.000 Gruppi di pressione, 150 uffici di Governi Regionali comprese tutte le Regioni italiane se si eccettua la Basilicata. I contatti con il PE vengono fatti assommare a circa 70.000 l’anno mentre oltre 4.000 sono le Persone che hanno ottenuto i permessi di accesso cosiddetti di“ lunga n. 2/2007 L T U R A S durata” di cui diremo fra breve. Una attività regolamentata in Unione Europea in maniera molto blanda anche se ovviamente nel rispetto di normative precise differenti tra Parlamento che da questo anno ha irrigidito il sistema di rilascio dei permessi di accesso di lunga durata; Commissione che dal 2008 prevederà registrazioni su base volontaria e la presa visione di un Codice di deontologia in fase di definizione; Consiglio che ha puntato l’attenzione sul libero accesso alla documentazione. Anche nei singoli Paesi non esistono normative stringenti (esiste un blando controllo in Germania ma solo al Bundestag ed in Francia sono contingentati gli accessi ad alcuni locali), simili a quanto previsto negli USA. Il confronto però non è valido tenuto conto sia della Organizzazione Istituzionale che raggruppa nelle mani di una sola Persona poteri enormi, sia per la struttura stessa e l’organizzazione delle campagne elettorali. In questa ottica al finanziamento pubblico sempre largamente insufficiente, si sommano i fondi raccolti dai privati e dai PAC ( Political Action Committes). In Italia si è alla ricerca da anni di un simulacro di normalizzazione e solo due sono le Regioni che si sono date una normativa che peraltro è limitata all’obbligo di registrazione. Sono queste solo anticipazioni di quanto verrà detto più dettagliatamente nel corso di altri interventi previsti in questa giornata. In tutti questi casi, Relazioni Istituzionali assicura il monitoraggio continuo e l’analisi durante l’intero iter dei provvedimenti allertando le funzioni aziendali interessate fornendo e ricevendone impulsi. Cura i rapporti con i 40 T O R Parlamentari, organizza le audizioni avendo cura di fare intervenire i tecnici e gli specialisti e fornendo studi e ricerche di supporto. Emergono chiaramente le caratteristiche che Relazioni Istituzionali ha nell’organigramma aziendale: una funzione di staff intendendosi come trasversale alle altre funzioni alla pari con la funzione “ risorse umane”, Finanza, Legale. Una funzione dunque trasversale quella delle R.I. come si è detto più sopra caratterizzata da una molteplicità di sfaccettature e di interventi a diversi livelli che ne fanno una realtà aziendale assai importante, nevralgica e complessa i cui risultati sono valutati sulla base di parametri sostanzialmente differenti da quelli utilizzati per le funzioni cosiddette di “line” a diretto contatto cioè con il mercato, con i possibili o potenziali clienti. Ecco perché la maggior parte delle volte, una funzione come questa è difficile da pesare con parametri quantitativi. Una funzione strategica, dunque, allocata in Organigramma a livello molto alto, allineata alle funzioni trasversali più rilevanti come il Marketing o la Finanza o le Risorse Umane10. Rappresenta una delle professioni di maggiore rilievo e prestigio specialmente a Bruxelles. E’ fondamentale comunque una correlazione stretta tra le varie funzioni aziendali che devono essere interessate con messaggi forti e chiari. Perché un grande rischio sta nella sopravvalutazione o sottovalutazione dei fatti sotto controllo e delle conseguenze che determinate decisioni possono avere in un ottica di rischio/opportunità. Il quadro che ne emerge è molto articolato basato però su alcune impo- 41 I A E C U L T U R A stazioni precise. Cultura generale, conoscenza delle problematiche aziendali, conoscenza della propria attività e di quella dei competitori ma fondamentalmente conoscenza precisa e dettagliata dei livelli di intervento e del relativo spessore. Con alla base, onestà e senso del limite. Per giungere alla individuazione dei punti critici, dei livelli da aggredire. In altri termini di chi gestisce effettivamente il potere decisionale. La riuscita di una azione di tale fatta, implica dunque in sinergia e collaborazione stretta le varie funzioni aziendali, come detto, ma anche un attento monitoraggio della posizione degli Organismi “ associativi” al fine di evitare contraddizioni. Non solo perché è fondamentale intervenire anche su quegli Enti che pur avendo solo semplici poteri di espressione di pareri, possono costituire un appoggio sostanziale. Si allude qui in particolare al Comitato Economico e Sociale Europeo (CESE) che rappresenta la cosiddetta Società civile e che è formato da rappresentanti di tale Società (industria, commercio, sindacati etc). Deve inoltre, R:I: seguire passo passo l’iter dei provvedimenti rendendosi parte attiva e collaborativi a tutti i livelli nella ripetuta caratteristica che le norme sono ormai assate su aspetti tecnici e tecnologici di particolare complessità. Proprio per questo è indispensabile una azione continua che assommi al riconoscimento della professionalità ed alla conquista di stima e fiducia e sottolineo il termine fiducia, una presenza costante e discreta che eviti il senso di scortese ed inaccettabile ricorso solo quando se ne avverte la necessità. Il rammentare certe date, rin. 2/2007 DESK S DESK T O R I A E C U correnze, certi aspetti anche non rilevanti della vita quotidiana ( una vittoria sportiva del Paese o della squadra ad esempio), rappresentano l’abc del portatore di interessi. Proprio per i motivi addotti, il portatore di interessi fornisce notizie ed informazioni tecniche e consigli: e necessita di una grande trasparenza . Ed uno stile non aggressivo - a differenza di quanto avviene negli USA - con interventi molto tecnici sempre dimostrati e possibilmente in ottica di interesse europeo. Onestà intellettuale e grande disponibilità al dialogo ed al contatto umano sono le componenti aggiuntive. D’altro canto la molteplicità degli attori istituzionali in UE, la loro differente estrazione e potere di rappresentanza, non possono che comportare atteggiamenti di grande prudenza senza forzature di alcun genere. Una professione ad elevato valore aggiunto che coniuga conoscenze ed obiettivi. Nel caso di appartenenza ad una impresa il lobbista deve essere convinto delle tesi sostenute e conscio delle relative ricadute. La caratteristica fondamentale ed irrinunciabile deve essere quella della trasparenza. I dubbi e le perplessità che il termine lobby ha sollevato, sono infatti riconducibili all’alone di mistero che ha contraddistinto certe attività che poco o nulla hanno a che vedere con quella di pressione. Si tratta di manifestare interessi legittimi che devono corrispondere al soddisfacimento di interessi specifici e ben individuati. Quanto accaduto agli inizi degli anni 90 con tangentopoli è da considerare una patologia grave, esecrabile e non certo lobby. E’ stata semmai la n. 2/2007 L T U R A S R della legislazione che ha un impatto sugli Stati Membri, diretto o indiretto che sia, nasce negli ambienti comunitari. E’ la UE ad avere una grande discrezionalità ed autonomia legislativa in tutti i settori della vita quotidiana a volte eccedendo nel legiferare ed a volte assumendo una posizione di imposizione non comprensibile: alludo qui, ad esempio, alla normativa in fase di definizione sulle caratteristiche e nomenclature degli olii solari ed alla norma sulla detenzione nei bagagli a mano di liquidi, paste, creme etc. Non a caso il PE ha richiamato nello scorso mese di settembre, la Commissione ha giustificare tale ultima normativa o ad abolirla. Termino con una citazione che, a prescindere dalla attribuzione al Presidente Kennedy, fotografa in maniera perfetta le necessità e ciò che si attendono i Decisori da parte di una lobby in Europa : “I lobbisti sono quelle persone che, per farmi comprendere un problema impiegano dieci minuti e cinque fogli di carta. Per spiegarmi lo stesso problema i miei collaboratori impiegano tre giorni e decine di pagine”. manifestazione più deteriore di arroganza e sicumera con l’aggravante di un sentimento di sfida alle Leggi convinti della impunità. Ha acuito, tale situazione deteriore, il senso di profonda sfiducia nei confronti del mondo politico e dei decisori in generale.Sarebbe veramente sconfortante il pensare alla corruzione come ad un fenomeno di normale prassi con il quale bisogna convivere. Ciò non significa che situazioni siffatte non possano ripetersi e ne è un esempio triste e deplorevole quanto accaduto nel settore del calcio professionistico oppure il caso Abramov negli USA. Uno scandalo scoppiato a seguito della denuncia di una portavoce parlamentare che, abbandonata da un collaboratore dello stesso parlamentare, ha svelato un losco intrigo di soldi. Realtà vuole che sia meglio confrontarsi con esempi di grande rilievo e cito, per il nostro Paese, l’accordo nel settore saccarifero che ha comportato ricadute positive per il comparto nel 2005; e la fornitura di 23 elicotteri da parte della Finmeccanica all’Air Squadron Marine One in concorrenza con la Sikorsky; oppure ancora la bocciatura del sistema di ecopunti voluto dalla Austria e dalla Commissione Europea per l’attraversamento di quel Paese da parte dei veicoli trasporto merci. In chiave più generale bisognerebbe rifarsi ai casi Europei come l’abolizione del Duty Free nel 199911 con il Consiglio dei Ministri Trasporti in contrasto con quello dell’economia e finanze che alla fine ha vinto, oppure ancora la liberalizzazione del trasporto aereo. Una ultima notazione che può agevolare la comprensione del fenomeno in Unione Europea e che ci differenzia ulteriormente dagli USA. L’80% 42 T O Piero Onofri 43 I A E C U L T U R A NOTE 1 Giuseppe Mazzei, Lobby della trasparenza presentazione al Centro di documentazione giornalistica del 18/1/2005 2 Legge 287 del 10/10/1990 3 Contrariamente a quanto avviene in Francia ad esempio dove ad ogni cambiamento di Governo fa spesso seguito il cambio degli alti vertici ministeriali. 4 Ricordo di Altiero Spinelli Camera dei Deputati 16/12/1996 5 clausola che permette su accordo Azienda/Sindacati di non rispettare l’orario di lavoro a determinate condizioni 6 Benedetto Croce Storia d’Europa del secolo XIX 1932 7 Lo schema della procedura di codecisione è riportata in pagina successiva. 8 Le fonti aventi forza di Legge sono Direttive, Regolamenti e Decisioni. Le Raccomandazioni non hanno invece valore di Legge.( art. 249 del trattato) 9 Comitato dei Rappresentanti Permanenti (ambasciate dei vari Paesi accreditate presso la Unione Europea) 10 V. anche G. Mazzei - Lobby della trasparenza. Centro Doc.Giornalistica Roma 2003 11 Un businnes da 12 miliardi$ nel mondo e quasi 5 in Europa con oltre 140.000 addetti. n. 2/2007 DESK S T O R I A E C U L T U R A S INFORMAZIONE DELL’ SERGIO BORSI Giornata comunicazioni sociali “I mezzi di comunicazione sociale: al bivio tra protagonismo e servizio. DESK n. 2/2007 R Rosi Brandi (La Prealpina) è la nuova presidente del Gruppo cronisti lombardi. Sostituisce Michele Crosti, dimissionario. NOTIZIE DAL MONDO Legge editoria Il Governo ha varato il 12 ottobre “un disegno di legge per la nuova disciplina dell’editoria quotidiana, periodica e libraria, che conferisce allo stesso Governo la delega per l’emanazione di un testo unico finalizzato al riordino dell’intera legislazione del settore”. L’obiettivo è promuovere “un crescente pluralismo ed un maggiore sostegno all’innovazione, all’occupazione, alla trasparenza delle provvidenze pubbliche”. Il ddl è stato presentato il 24 ottobre alla Commissione Cultura della Camera. Saranno due le autorità che vigileranno sulla libera concorrenza: quella per le garanzie nelle comunicazioni e l’antitrust che conosceranno il mercato attraverso il registro degli operatori (Roc). Il finanziamento diretto dello Stato continuerà per le cooperative e le testate di partito ma il contributo deve avvenire nelle forme più corrette e con criteri più severi. Le riduzioni delle spese postali sono sostituite dal credito d’imposta. T O Cercare la verità per condividerla”: questo il titolo scelto dal Papa per la 42.ma giornata mondiale delle comunicazioni sociali che sarà celebrata il 4 maggio 2008. Il testo del messaggio papale sarà pubblicato il 24 gennaio, festa di san Francesco di Sales, patrono dei giornalisti. Internet Sono esclusi dall’obbligo di iscrizione al registro degli operatori della comunicazione i soggetti che accedono a internet o operano su internet in forme o con prodotti, come i siti personali, o a uso collettivo che non costituiscono un’organizzazione imprenditoriale del lavoro. Con questa decisione il Governo ha risposto positivamente alle richieste avanzate da più parti, politiche e sociali, perché venisse riconosciuta la libertà ai cittadini di possedere o partecipare alla vita di un blog o di un sito con caratteristiche non giornalistiche. Unione cronisti Al termine dei lavori del congresso che si è svolto a San Felice Circeo, i delegati hanno confermato alla presidenza dell’Unci Guido Columba. 44 Free press Dei 23 milioni di lettori di quotidiani in Italia, un terzo legge giornali distribuiti gratuitamente. Questa è anche una delle cause della crisi delle vendite di quotidiani. I dati sono stati forniti durante la presentazione a Roma della terza edizione del volume: L’Europa di carta – Guida alla stampa estera, Franco Angeli editore. In Europa la free press è un mercato di 97 testate con oltre 22 milioni di copie. La fase è delicata perché si tratta di far diventare stabile e duraturo un mercato ancora giovane. I nostri editori – Chi sono? Il gruppo Il Sole-24 Ore ha acquistato il 30% del capitale di Diamante, software house attiva nel mercato delle soluzioni gestionali per professionisti, micro e piccole imprese. La società gestisce attualmente oltre 5 mila aziende clienti. Intesa-San Paolo è salita in RCS MediaGroup dal 4,863 al 4,917%. Nicola Grauso ha lasciato la gestione del Gruppo E Polis, i quotidiani a distribuzione mista (free e in edicola a 50 centesimi). Resta nel gruppo solo come consulente fino alla fine di agosto del prossimo anno. Ciò in attuazione di una clausola del contratto di acquisto del gruppo da parte della finanziaria ABM. Il presidente di Confindustria ha scelto i componenti del cda de Il Sole-24 Ore che entrerà in carica il primo giorno di quotazione del giornale in Borsa. Alla presidenza è confermato 45 I A E C U L T U R A Giancarlo Cerutti e Claudio Calabi come ad. Quotidiano.net dopo l’accordo di collaborazione con Il Tempo.it ha sottoscritto l’intesa anche con il Secolo XIX.it, della durata triennale per realizzare un progetto di web marketing comune attraverso l’integrazione dei siti e aggregazione dei volumi di traffico. L’obiettivo è di offrire alla pubblicità un nuovo mezzo forte come numeri e come target. Sono tre le caratteristiche del gruppo RCS: multimediale, internazionale, integrato. Al centro – ha detto l’ad Perricone – c’è la carta stampata che però non può essere considerato l’unico mezzo. La vera sfida è catturare gli utenti generalisti con nuove tecnologie, modalità e approcci. Libero è ora controllato al 100% dalla famiglia Angelucci dopo che i soci Feltri, Tagliapietra, Di Giore e Capriglia hanno ceduto la loro quota del 30,8% alla Fondazione San Raffaele. Angelucci è anche proprietario de il Riformista ed è azionista de l’Unità con ipotesi di acquisizione del quotidiano. “De Bortoli è il direttore de Il Sole-24 Ore e, come tale, avrà uno dei ruoli più importanti per lo sviluppo della casa editrice e del giornale dopo la quotazione in Borsa”. Lo ha detto Montezemolo definendo prive di fondamento le notizie di un cambio alla direzione del quotidiano economico. Chi viene e chi va Angelo Sajeva è il nuovo amministratore delegato di Mondadori pubblicità. Dal 5 novembre ha preso il posto di Eduardo Giliberti che manterrà la presidenza di Mondadori pubblicità fino alla fine dell’anno. n. 2/2007 DESK S DESK T O R I A E C U Nel mondo Dal 21 ottobre nelle edicole spagnole il quotidiano El Pais ha cambiato motto: da “quotidiano indipendente del mattino” a “quotidiano globale in spagnolo”. Il giornale socialista si trasforma potenziando anche la sua versione on line. Il direttore del settimanale tedesco Die Zeit critica editori e manager editoriali che in Germania considerano la carta stampata come un prodotto provvisorio che durerà solo fino a quando quei pochi eccentrici che ancora amano prendere in mano un giornale di carta, saranno così vecchi da non poter più leggere. Sulla fusione Thomson-Reuters la Commissione Ue ha aperto un’inchiesta per verificare gli effetti negativi sulla concorrenza in diversi mercati del settore. Entrambe le società sono leader nell’informazione economica e finanziaria offrendo dati a banche, fondi, società e operatori. Dal 5 ottobre il quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung ha introdotto il colore cominciando a pubblicare foto a colori dei più importanti avvenimenti. Lo scopo è quello di migliorare la qualità e recuperare lettori. Negli ultimi nove anni il giornale ha perso 40 mila copie mentre la concorrente Sueddeutsche Zeitung di Monaco ne ha guadagnati 20 mila. Il tribunale di Algeri ha assolto gli otto giornalisti della tv pubblica e di altri due canali televisivi. Erano accusati di aver trasmesso, durante il telegiornale, le caricature danesi sul profeta Mohamed. Ha prevalso la tesi dell’assenza di volontà di danneggiare il profeta. Dal 31 dicembre 1999 ad oggi sono 43 i giornalisti uccisi nella Federazione n. 2/2007 L T U R A S Russa. In pratica l’intero periodo del governo Putin. La prima vittima fu un cittadino italiano, Antonio Russo che denunciava il genocidio del popolo ceceno così come Anna Politkovskaja, uccisa davanti alla sua abitazione il 7 ottobre dello scorso anno. La BBC, per difficoltà economiche, ha annunciato di voler ridurre il personale di 2800 unità, pari al 12% del totale di 23 mila dipendenti. La BBC, infatti, è finanziata esclusivamente dal canone televisivo e la decisione del Governo di non aumentare il canone oltre il tasso d’inflazione, ha creato un buco di due miliardi di sterline nel bilancio. Secondo i dirigenti dell’ente l’unica strada per il risanamento è la riduzione del personale. Dopo l’uscita di Colombani Le Monde si prepara a liquidare anche Alain Minc che per 13 anni è stato presidente del consiglio di vigilanza del gruppo editoriale. Un’uscita voluta dalla redazione. Minc lascerà entro marzo del prossimo anno. A Varsavia dal 15 ottobre è in vendita il nuovo quotidiano Polska, edito da Polskapresse, società controllata dal gruppo tedesco Verlagsgruppe Passau. Inizialmente è stampata in 600700 mila copie con una foliazione che varia fra le 40 e le 56 pagine. Si tratta di un’edizione locale – con notizie anche regionali – che si affianca ai sei quotidiani regionali e a quelli locali che sono già pubblicati dalla stessa società editrice. La Tribune ha invitato il proprietario Barnard Arnault a “divorziare con dignità”, cioè che la vendita del giornale avvenga nel rispetto della sua indipendenza e della sua qualità. Arnault vuole vendere il giornale per comprare Les Echos. 46 T O R Liberation, quotidiano della sinistra francese, dal 15 ottobre è a colori e con una sola grande immagine in prima pagina e un format più geometrico e lineare. A Pechino e in tutta la Cina se i giornali stranieri pubblicano in prima pagina una notizia che suscita grande interesse fra i lettori fa scattare la censura. L’edizione asiatica del Wall Street Journal aveva un pezzo in prima pagina che continuava in altra parte del giornale. Ebbene la pagina interna è stata tagliata su tutte le copie del giornale. Il 62% dei francesi giudica i giornali dipendenti dal potere politico mentre il 33% li giudica indipendenti. In un sondaggio realizzato per Liberation il 53% degli intervistati ritiene che nulla sia cambiato dopo l’elezione di Sarkozy. In Slovenia oltre 500 giornalisti hanno accusato il governo di centro-destra del primo ministro Janez Jansa di censura e di pressioni politiche sui media. Una petizione è stata consegnata al presidente del Parlamento di Lubiana. Negli Stati Uniti la Camera ha approvato un provvedimento a tutela del diritto dei giornalisti ad avere fonti confidenziali. In particolare i giornalisti possono continuare a mantenere riservate le loro fonti confidenziali anche quando sono coinvolti in dibattimenti davanti alla Corte federale. Fanno eccezione le notizie che possono mettere a rischio la sicurezza nazionale. Inoltre il capo della Federal Communication Commission ha proposto una riforma che prevede la revoca del divieto per una società di possedere un quotidiano e una televisione o una stazione radio nello stesso 47 I A E C U L T U R A bacino di utenza. La proposta gode del consenso della maggioranza dei membri della FCC. News Corp ha superato la capitalizzazione di Time Warner alla borsa di New York, diventando così il gruppo più grande del settore dei media con un valore di mercato di 67,79 miliardi di dollari. Al terzo posto Disney, al quarto Sony che precede Viacom e Cbs. I dirigenti di 84 agenzie di stampa operanti in oltre 90 Paesi si sono riuniti a Estopona, in Andalusia, per il secondo congresso mondiale dedicato alle questioni legate alla globalizzazione nel mondo dell’informazione, alle nuove tecnologie e alla libertà di stampa. Ha detto re Juan Carlos, aprendo i lavori, che prima della rapidità di diffusione devono contare il rigore e la serietà dell’informazione. Le agenzie hanno prospettive di sviluppo perché la domanda di informazione è in costante crescita ma devono sapersi adattare rapidamente alle nuove modalità di confezionamento e distribuzione del loro prodotto ed essere all’avanguardia nell’uso delle nuove tecnologie. [email protected] n. 2/2007 DESK T E S I a cura di Settilio Mauro Gallinaro, tutor all’Università La Sapienza, Roma D I L AU R E A T E S I Enzo Baldoni. La morte di un giornalista atipico. di Antonio Benforte Università “La Sapienza”, Roma Relatore: Prof. Pietro Veronese uesto lavoro di tesi nasce da due esigenze: fare chiarezza e non dimenticare. Portare alla luce i tratti di una vicenda che riguarda da vicino la nostra storia recente e che, troppo in fretta, è finita nel dimenticatoio; e ricordare il lavoro di Enzo Baldoni, giornalista atipico, andato in Iraq per documentare la guerra ed invece morto in circostanze ancora non del tutto chiare, nonostante siano passati più di tre anni dal suo assassinio. Questa è una ricerca sul suo modo di fare e di intendere il giornalismo, facendo parlare Baldoni attraverso i suoi scritti e i suoi reportage. In molte interviste aveva dichiarato di non sentirsi un vero giornalista, di scrivere soprattutto per passione, perché amava i viaggi e desiderava capire le culture dei paesi lontani. Ma, nonostante quello dell’inviato non fosse il suo primo mestiere, il suo è lo sguardo di un reporter esperto, curioso e dubbioso. Alla luce di questa sua visione del mondo, l’intento è ripercorrere e ricostruire - attraverso articoli su (e di) Enzo Baldoni - la storia della sua vita, la carriera giornalistica ed il suo ultimo viaggio in Iraq. Si è analizzata la figura di Baldoni come quella di giornalista fuori dai ranghi, di battitore libero del giornalismo: dai primi reportage fino agli ultimi articoli per “Diario”. Si è cercato di mettere in risalto gli elementi innovativi del suo modo di intendere il giornalismo e la comunicazione, l’uso del blog come strumento antimainstream e antagonistico e di uno stile di scrittura volutamente colloquiale, diretto, al di sopra delle righe. Il ritratto che emerge è quello di un uomo spavaldo e curioso, caparbio e totalmente libero da ideologie. Un uomo senza rigidi schemi precostituiti, animato da una grande voglia di conoscere e capire. Si cercherà di dare un senso ai suoi ultimi giorni di vita, ripercorrendo le tappe più importanti del suo viaggio a Baghdad, e confrontando le diverse versioni della vicenda apparse sui quotidiani – durante e dopo il rapimento – e sul settimanale “Diario” – diretto da Enrico Deaglio, per cui Enzo lavorava – che è l’unico ad aver realizzato una serie di numeri di inchiesta sulla vicenda. Particolare attenzione è rivolta a comprendere cosa sia successo durante quei concitati giorni di fine agosto, perché il giornalista sia stato rapito e quali siano stati effettivamente le ultime ore prima del sequestro. Ci siamo chiesti quali siano state le cause che hanno portato alla sua morte, il motivo di una così evidente approssimazione della stampa nell’analisi della vicenda e le motivazioni che hanno portato ad una conclusione così rapida e drammatica del rapimento. Lo studio si è sviluppato attraverso quattro percorsi di ricerca bibliografica: testi sull’Iraq, sul giornalismo in generale e sul giornalismo di guerra in particolare; libri su e di Baldoni, come i Roadbook in pdf scaricabili dal sito www.balene.it, e informazioni tratte dai suoi blog; giornali e articoli sul sequestro e l’assasn. 2/2007 48 L AU R E A sinio; tutti i numeri della rivista “Diario” dedicati alla memoria del giornalista. Dall’analisi comparata delle informazioni, si evidenzieranno numerose incongruenze tra le versioni riportate dai quotidiani e le ricerche più approfondite realizzate da “Diario” successivamente. Incongruenze che mettono in luce l’atteggiamento superficiale dei media italiani e la grettezza della campagna denigratoria di “Libero”, il quotidiano di Vittorio Feltri; dettagli che testimoniano la poca partecipazione del Governo italiano, i comportamenti ambigui della Croce Rossa e di Scelli; che evidenziano la mancata attivazione dei giusti canali per rintracciare il giornalista e il disinteresse quasi totale da parte dell’opinione pubblica italiana. C’era poi, inspiegabilmente, una strana combinazione di superficialità, ottimismo e ironia, in alcuni articoli e interventi pubblici che tratteggiavano la figura del reporter durante quei giorni concitati, che non hanno permesso di capire in tempo la drammaticità della situazione. Tutta la vicenda, in generale, non è stata affrontata con lo stesso interesse apparso in altri casi simili verificatisi in Iraq nei mesi precedenti e successivi. E, dopo queste vicende, anche la sua tragica fine ha subito quasi subito un abbandono da parte di molti canali informativi e delle istituzioni. Dopo il suo assassinio, infatti, ancora domande senza risposte, pressappochismo, colpevole superficialità e inefficienza da parte dei media, del Governo e della Croce Rossa. Intanto, la famiglia aspetta ancora il suo corpo, per un funerale che Enzo Baldoni ancora non ha avuto. E sono ormai trascorsi più di tre anni dalla sua assurda morte. Q DESK D I Il caso Moro in tre quotidiani di Irene Iermano Università Suor Orsola Benincasa, Napoli Relatore: Prof. Paolo Scandaletti I l lavoro di ricerca si è proposto di ripercorrere le fasi più drammatiche del Caso Moro, attraverso l’analisi di tre testate giornalistiche che si sono occupate dell’affaire dal giorno del sequestro, avvenuto per mano brigatista il 16 marzo 1978 a Roma, a quello del ritrovamento del cadavere in Via Caetani il 9 maggio dello stesso anno. La ricerca bibliografica si è avvalsa dei numerosi volumi dedicati alla figura politica e umana di Aldo Moro ma, soprattutto, degli articoli giornalistici che hanno monitorato in quei giorni gli sviluppi della drammatica vicenda. I giornali scelti per la ricerca sono stati: “Il Messaggero”, “l’Unità” e “il Mattino”. Si sono individuati, in questo modo, tre percorsi definiti, orientati a rappresentare gli umori della capitale, le posizioni del PCI e le attese delle regioni meridionali di fronte ad un avvenimento storico-politico dagli esisti imprevedibili. Attraverso campioni di lettura, la ricerca ha analizzato gli articoli pubblicati durante il sequestro, soffermandosi sulla grammatica dei titoli, la nomenclatura 49 n. 2/2007 DESK T E S I D I L AU R E A T E S I dei pezzi, il taglio e lo stile di scrittura. Durante i cinquantacinque giorni di prigionia del presidente Moro, “Il Messaggero” raccolse, soprattutto nello spazio delle opinioni, la voce di chi, oltre a condannare l’atto terroristico, stigmatizzava la debolezza delle forze statali. Inoltre, il giornale romano avviò una discussione di grande interesse mediatico sull’ipotesi di un black out delle comunicazioni per non essere, anche involontariamente, strumento di propaganda delle BR. Tra i sostenitori del silenzio stampa ci fu anche il famoso sociologo delle comunicazioni di massa Marshall McLuhan ma il “blocco della stampa” scelse di non “staccare la spina” e di attestarsi sulla linea della fermezza. Gli articoli e i resoconti parlamentari pubblicati dal “Il Mattino” raccolsero la ferma decisione di difendere il diritto di cronaca, inteso come libertà di stampa. In ultimo “Il Mattino” fu interprete degli umori dei cinque capoluoghi campani e soprattutto di Maglie, il paese salentino di cui Moro era originario. “l’Unità” invece seguì fedelmente la linea di piena collaborazione politica con le forze della maggioranza, indicata dal PCI nel giorno della strage; da qui scaturì anche la scelta di schierarsi a favore della “fermezza” quando i brigatisti rossi proposero al governo uno scambio tra la vita di Moro e la libertà di tredici terroristi. L’ultimo momento preso in esame dal lavoro di ricerca è stata la morte di Aldo Moro, freddamente annunciata nell’ultimo comunicato delle Brigate Rosse. I tre quotidiani nazionali reagirono all’agghiacciante notizia con commozione ed indignazione: furono uniti nel condannare il delitto politico e ribadirono con fermezza che, colpendo il leader più autorevole del partito della maggioranza il terrorismo aveva inflitto un durissimo colpo al sistema politico italiano, proprio alle soglie di un nuovo capitolo storico. In conclusione, possiamo affermare che la stampa italiana durante i cinquantacinque giorni del sequestro Moro è riuscita, anche se con qualche limite, ad informare dettagliatamente l’opinione pubblica, fermo restante la difficoltà di reperire notizie attendibili, e nello stesso tempo ad avviare un dibattito sui nuovi scenari aperti dall’azione terroristica. Infine è da sottolineare, anche, la capacità avuta dai professionisti della comunicazione di mettere in discussione il loro ruolo e quello dell’informazione nella ricerca del giusto equilibrio tra l’assicurare dovere di cronaca e il diventare cassa di risonanza delle forze criminali. Pasolini: storia «scandalosa» di un giornalista-scrittore-regista di Paolo Massa Università Suor Orsola Benincasa, Napoli Relatore: Prof. Paolo Scandaletti D I L AU R E A Alla luce delle sue parole, questo lavoro di tesi intende rileggere – attraverso articoli su (e di) Pasolini – la storia «scandalosa» del poeta friulano, ripercorrendo le più importanti opere (in versi, in prosa, su pellicola e carta stampata) ed evidenziando le scandalizzate reazioni di alcuni giornali (sia di destra che di sinistra, da “Il Contemporaneo” a “Lo Specchio”, da “Rinascita” fino a “Il Borghese”) in prima linea nella violenta campagna mediatica antipasoliniana. Si analizza la figura di Pasolini anche nella sua innata vocazione di pedagogo di massa – da giovane professore di scuola media fino a intellettuale scomodo dalle colonne dei più prestigiosi giornali italiani – rileggendo alcuni suoi articoli scritti tra il 1942 e il 1948, in aggiunta alla corrispondenza con i lettori del settimanale comunista “Vie Nuove” e alla rubrica “Il caos” su “Tempo”. Per concludere con gli ultimi anni delle sue collaborazioni giornalistiche, gli anni «scandalosi» del Pasolini “corsaro” e “luterano”. La tesi è suddivisa in quattro capitoli. Nel primo - “Nella Storia” – si parte dalla tragica morte del poeta friulano per poi ripercorrere le ragioni di una vita che, dal Friuli fino a Roma, hanno animato le sue vicende pubbliche e private: dalla lettura vorace dei primi libri alla scoperta dell’antifascismo, dalla dura esperienza della seconda guerra mondiale alla militanza politica nel partito comunista. Il secondo capitolo – “Scandalo tra le righe” – si concentra principalmente sulle opere (in versi e in prosa) che più hanno scandalizzato (e non solo stilisticamente) la società dell’epoca: dalle poesie in lingua friulana di “Poesie a Casarsa” fino alle storie di emarginazione dei giovani protagonisti di borgata dei romanzi “Ragazzi di vita” e “Una vita violenta”. Nel terzo capitolo – “La lingua scritta della realtà” – partendo dall’analisi della concezione cinematografica di Pasolini, secondo il quale con la Settima Arte diventa possibile rappresentare «la realtà attraverso la realtà», si ripercorrono le polemiche giornalistiche che hanno accompagnato negli anni l’uscita nelle sale dei maggiori film del regista friulano: da “Accattone” a “Mamma Roma”, da “La ricotta” a “Il Vangelo secondo Matteo”, fino allo scandaloso “Salò o le 120 giornate di Sodoma”. Il quarto e ultimo capitolo – “Il pedagogo di massa” – si sofferma invece sugli scritti giornalistici di Pasolini, alla luce della sua vocazione pedagogica, come si evince dal ruolo sempre più autorevole che ebbe, ad esempio dalle colonne del “Corriere della Sera”, nell’analizzare criticamente la società italiana del tempo. Un’indimenticabile stagione di impegno e lotta civile – suggellata dagli articoli dei primi anni Settanta, pubblicati poi in “Scritti corsari” e “Lettere luterane” – che a distanza di oltre trent’anni dalla morte di Pier Paolo Pasolini, ci fa rimpiangere ancor di più la voce anticonformista di un poeta eretico, che dando uno sguardo impietoso al presente ci mise in guardia dai pericoli del futuro. I n un’intervista al mensile francese “Lui”, nell’aprile 1970, Pier Paolo Pasolini dichiarò: «Amo la vita ferocemente, disperatamente. E credo che questa ferocia, questa disperazione mi porteranno alla fine. […] Io sono scandaloso. Lo sono nella misura in cui tendo una corda, anzi, un cordone ombelicale, tra il sacro e il profano». DESK n. 2/2007 50 51 n. 2/2007 DESK C O N V E G N I a cura di Camilla Rumi, dottoranda Università Lumsa, Roma DESK E C O N G R E S S I C O N V E G N I Milano - Pubblicità online, crescita super I ronico e anche un po’ feroce l’intervento di un guru del web come David Weinberger (Harvard Berkman Center for Internet Society) allo Iab Forum 2007, il forum dell'associazione internazionale per lo sviluppo dell'advertising interattivo. Davanti a 4 mila persone mostra la pubblicità di una marca di lavatrici e attacca: “Le parole che molte aziende usano per parlare ai consumatori sono vecchie e vuote. Di questa washing machine ho saputo molto di più da un certo Jim - frequentando un forum specializzato mi ha spiegato pregi e difetti di questo prodotto - che dalla home page dell’azienda e dalle sue banali e costosissime campagne”. Il mercato della pubblicità su internet è in piena lievitazione e guarda oltre la Manica, al ricchissimo mercato inglese, dove la “fetta” di messaggi commerciali che finiscono sul web ha superato il 10% dell’intera torta. “E’ solo questione di tempo” dice Layla Pavone presidente Iab Italia “poiché la pubblicità tradizionale in Italia cresce del 1,1% e quella digitale dedicata a internet del 45% mese su mese. Inoltre, le aziende che investono sul web sono diventate 1.800 e mentre nel 2006 spendevano, in media, 75 mila euro per un’operazione di marketing, adesso la media si attesta sui 95 mila”. Le connessioni a banda larga rappresentano il 75% di tutti i collegamenti attivi, gli utenti italiani del web sono 24 milioni, di cui 18 da casa e circa 8,6 dall’ufficio secondo Nielsen/NetRating”. Da Los Angeles arriva la voce di un utente, Rob, 27 anni, che dice “Non voglio subire la pubblicità dalle marche, ma voglio che loro divengano mie amiche”. “Questo obiettivo”, sottolinea Jaap Favier di Forrester Research “è stato pienamente raggiunto dalla squadra del Liverpool, che ha usato il web in maniera decisiva per la sua community di tifosi. Lo stadio vero contiene appena 45 mila tifosi ma sul sito sono stati inviati 3,5 milioni di commenti alla fine di ogni big match, totalizzando 70 milioni di contatti all’anno. Saper usare il web significa ottenere una vera e propria moltiplicazione dell’audience ed entrare in un rapporto confidenziale con milioni di potenziali consumatori”. Nota dolente, secondo il vice presidente di Forrester Research, l’attività online delle banche che conta 13 milioni di uffici e appena 28 milioni di contatti online. “Il mercato italiano con le capacità creative che ha dimostrato in altri settori riuscirà ad elaborare grandi case-histories anche sul web”, afferma Lamberto Dolci, responsabile Immagine e Pubblicità dell’Eni che sta scoprendo inedite possibilità sulla comunicazione digitale”. E Gianluca Stazio direttore commerciale Rainet, ha annunciato un recentissimo accordo con Nokia, grazie al quale gli ultimi modelli dotati di Video Center (N95, N81 e futuri) mostreranno gratuitamente l’ampia selezione delle migliori clip presenti su Rai.tv. E veniamo agli investimenti pubblicitari sul web che secondo Walter Hartsarich, Ceo di Aegis Media Italia “Sono destinati ad una progressiva moltiplicazione considerando che quest’anno le aziende hanno investito 665 milioni e che per il 2008 si stima 1 milione di euro in arrivo da settori come auto, viagn. 2/2007 52 E C O N G R E S S I gi, tlc, intrattenimento, assicurazioni/finanza, elettronica di consumo”. Tra le tecnologie più gettonate allo Iab Forum 2007, specchio di un settore che conta su 5 mila addetti, la IPTV quella televisione che arriverà attraverso la banda larga e che riproporrà - oltre a tutte le possibili nuove forme di social networking, web 2.0 - anche l’”antico” vecchio spot pubblicitario in modalità più agile e guizzante rispetto a quelli di “nonna televisione”. (fonte: key4byz) Roma - Più libri, più liberi: al via a Roma la 6a edizione della fiera della piccola e media editoria U n’avventura della conoscenza. Questo, e molto altro, è Più libri più liberi, la Fiera della piccola e media editoria che torna per il sesto anno consecutivo, dal 6 al 9 dicembre, al Palazzo dei Congressi dell’Eur a Roma, confermandosi come il più importante evento dedicato al libro del centro-sud Italia. 50.000 le presenze registrate quest’anno. Il rilievo nazionale e internazionale della manifestazione è ancora una volta scandito dagli oltre 200 eventi, tra presentazioni, dibattiti, conferenze, convegni e incontri che coinvolgono autori, studiosi, personaggi della politica o dello spettacolo, legati al mondo del libro. L’appuntamento annuale con circa 400 espositori e migliaia di libri, che lo scorso anno ha superato il record di 50mila visitatori, è realizzato, come sempre, dall’Associazione Italiana Editori con il sostegno dell’Assessorato alle Politiche Culturali del Comune di Roma, della Provincia di Roma e della Regione Lazio, con il contributo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, tradizionali partner della Fiera, ai quali si aggiunge anche quest’anno la Camera di Commercio di Roma che con il suo intervento salda il rapporto essenziale tra cultura, impresa e territorio. Completano le partnership il patrocinio del Ministero della Pubblica Istruzione, l’insostituibile supporto dell’Istituzione Biblioteche di Roma e di Radio Tre, la collaborazione con Atac. E’ un mondo diversificato e in crescita quello degli editori piccoli e medi, protagonisti di una realtà dinamica, come dimostrano i dati dei quali si è discusso nel convegno d’apertura della prima giornata ‘Gli stati della lettura’: dal 2001 al 2006, infatti, gli editori del settore hanno visto aumentare l’incidenza del proprio fatturato dal 31% al 35% sul totale di quello registrato dall’intero comparto librario. “I libri da leggere non potranno essere sostituiti da alcun congegno elettronico. Sono fatti per essere presi in mano, anche a letto, anche in barca, anche là dove non ci sono spine elettriche”. In questa frase di Umberto Eco, che è una dichiarazione d’amore per il libro, risuona lo spirito della Fiera, fatta di percorsi molteplici attraverso i quali scegliere, e lasciarsi incuriosire, dalle novità e rarità editoriali, dall’opera prima, italiana o straniera che sia, dal libro corrosivo, irriverente, indipendente. Tre i temi-contenitore che hanno scandito quest’anno le tre giornate dedicate ai programmi professionali: la Lettura con il convegno inaugurale dell’AIE ‘Sta- 53 n. 2/2007 DESK C O N V E G N I E C O N G R E S S I C O N V E G N I ti della Lettura’ dove sono stati presentati gli ultimi dati ISTAT e la tavola rotonda ’La lettura, e le altre letture’ per ragionare sulle trasformazioni in atto nel settore dell’editoria libraria in seguito all’evoluzione delle tecnologie digitali; la Distribuzione con l’incontro ‘Produrre, distribuire, vendere. Forse leggere’ a cura dell’AIE e del Giornale della libreria. Infine le Nuove tecnologie dove si sono affrontate le problematiche legate ai nuovi orizzonti dei prodotti multimediali. Ampio spazio anche all’aspetto della formazione e crescita professionale dei librai con la presentazione del Secondo Corso di Alta Formazione in Gestione della Libreria. Un’iniziativa dell’Associazione Librai Italiani (ALI), aperta anche ai non addetti ai lavori. Anche quest’anno gli editori stranieri hanno confermato la loro presenza in Fiera: editori provenienti da Bulgaria, Francia, Germania, Gran Bretagna, Olanda, Portogallo e Spagna, con l’obiettivo di favorire la conoscenza e il successivo scambio di diritti d’autore tra gli editori italiani e quelli stranieri, grazie al progetto realizzato in collaborazione con l’Istituto Nazionale per il Commercio Estero (ICE). (Rosa Maria Serrao) Progetto Amico Libro: ogni scuola italiana dotata di mille euro da poter spendere per i libri G li editori: ‘La nostra sfida è insegnare ad amare sempre più i libri ai ragazzi. Oggi più di uno studente su tre, fra i 6 e i 19 anni, non legge alcun libro a parte quelli scolastici nel suo tempo libero’. Un libro per amico? Adesso sì. Parte ufficialmente il Progetto Amico Libro, frutto dell’accordo raggiunto tra il Ministero della Pubblica Istruzione, l’AIE (Associazione Italiana Editori), l’Anci (Associazione Nazionale Comuni Italiani) e l’Upi (Unione Province Italiane) per promuovere tra i giovani la passione della lettura e l’amore per i libri. “Si tratta di un’intesa – ha sottolineato il presidente di AIE, Federico Motta – tra soggetti uniti dal comune interesse per la promozione della lettura nelle scuole e tra i giovani, con l’obiettivo di insegnare ad amare (sempre più) i libri. Questa è un’occasione unica – ha proseguito Motta - per arricchire già dalla fine dell’anno le biblioteche scolastiche in Italia, avvicinando i giovani al piacere della lettura. La nostra grande sfida, come editori- e da qui il supporto convinto al Progetto promosso dal Ministero - è contrastare questa emergenza di non lettura dei ragazzi. Un dato per tutti: in media il 35,8% degli studenti italiani – nella fascia tra le scuole primarie e l’ingresso in università - non legge alcun libro nel tempo libero”. La fotografia che emerge dagli ultimi dati Istat elaborati dall’Ufficio studi di AIE non lascia dubbi: non legge nulla (a parte i libri scolastici) il 52,9% dei bambini tra 6 e i 10 anni, il 40,2% degli 11-14enni, il 41,3% dei 15-17enni, il 48,8% dei 18-19enni e il 46,7% di chi entra in Università. Grazie al progetto ogni scuola potrà invece spendere in libri per la propria biblioteca almeno 1.000 euro, destinati a questo scopo dal Ministero della Pub- DESK n. 2/2007 54 E C O N G R E S S I blica Istruzione: “AIE – ha proseguito Motta - sul suo sito (www.aie.it) ha inoltre già attivato una sezione in cui sono indicate le case editrici che hanno segnalato la propria adesione al Progetto e la disponibilità a proporre offerte vantaggiose alle scuole. L’Associazione è intervenuta proprio per agevolare il contatto diretto tra scuole ed editori”. (fonte: key4byz) Roma – Genitori e media: una sfida da vincere G li scorsi 30 novembre/1-2 dicembre, presso l’Hotel “Casa tra Noi” di Roma, si è svolto il XII Congresso Nazionale dell’AGE (Associazione Italiana Genitori), che ormai da quasi quarant’anni raccoglie gruppi di genitori volenterosi che, ispirandosi alla Costituzione italiana e all’etica cristiana, intendono partecipare alla vita scolastica e sociale per fare della famiglia un soggetto politico. Il Congresso ha puntato a ribadire la valenza della cultura di animazione e promozione sociale che ha consentito fino a questo momento all’Associazione di collaborare, sia a livello nazionale che regionale e locale, con diverse realtà associative, istituzionali ed ecclesiali affinché anche la famiglia potesse apportare il proprio contributo nei vari settori della vita pubblica. Tra i molteplici temi affrontati nel corso del Congresso, quest’anno dedicato ai “Genitori: cittadini in Italia, in Europa. Diritti e doveri in famiglia, nella scuola, nella società”, anche quello della comunicazione interna ed esterna all’AGE. E’ essenziale infatti che le informazioni circolino in modo rapido, puntuale e corretto all’interno dell’Associazione chiarendo a tutti gli aderenti gli obiettivi definiti e condivisi, ma anche una comunicazione ben strutturata verso l’esterno che, in modo chiaro e sintetico, sia in grado di dare visibilità ai valori e alle iniziative delle diverse associazioni saldamente radicate nel territorio. Rita Manzani Di Goro, direttore responsabile dell’AGE Stampa, recentemente vincitrice del Premio addetto stampa dell’anno 2007 per la sezione “Non profit e diritti”, ha sottolineato come tutto il mondo dell’associazionismo debba prestare attenzione ai vecchi e ai nuovi media e come questi ultimi siano da impiegare secondo le esigenze e i bisogni che di volta in volta emergono nella società (basti pensare al dibattito mediatico generato dai recenti fenomeni di bullismo nelle scuole) per comunicare contenuti importanti. Un compito particolarmente difficile, considerando soprattutto l’attuale clima di “emergenza educativa” derivante dal vuoto lasciato dalle principali istituzioni, tra cui appunto quella massmediale, che sembrano aver dimenticato le gravose responsabilità di cui sono portatrici verso i soggetti in età evolutiva. “E’ necessario che i genitori raccolgano la sfida del cambiamento tecnologico – ha affermato Maria Micaela Fagiolo, responsabile dell’Ufficio comunicazione dell’AGE – e che richiedano all’intero sistema dei media una qualità dei contenuti che permetta il corretto sviluppo psico-fisico dei bambini e degli adolescenti”. L’AGE sembra, quindi, voler ricordare a tutta la società come sia fondamentale non dare per scontata l’esistenza di una cultura dell’infanzia, ma operare per ridefinirla giorno dopo giorno. (Camilla Rumi) 55 n. 2/2007 DESK C O N V E G N I E C O N G R E S S I C O N V E G N I “ La questione informazione non può essere trascinata troppo nel tempo, pena la riduzione della consapevolezza dei cittadini degli spazi di libertà e di autonomia del Paese, né può essere affrontata su singoli aspetti o con interventi settoriali. La manovra è complessa e deve coinvolgere contestualmente tutti i protagonisti (proprietà, giornalisti, pubblicitari, classe politica, lettoriutenti) e tutte le aree di produzione: carta stampata, radio, televisione, internet”. Questo il motivo per cui l’UCSI (Unione Cattolica Stampa Italiana), alla vigilia del XXV Congresso della FNSI, ha deciso di organizzare un convegno dal titolo “La professione che cambia. Giornalisti con la schiena dritta”, volto ad approfondire i temi, ormai da decenni al centro del dibattito tra giornalisti ed editori, riguardanti la riforma dell’editoria, la riorganizzazione del servizio pubblico ed il rinnovo del contratto di lavoro. Il convegno, tenutosi a Roma lo scorso 21 novembre presso l’AICCRE (Sezione Italiana del Consiglio dei Comuni e delle Regioni d’Europa), ha rappresentato un importante momento di riflessione sullo stato attuale della professione giornalistica che necessita di nuove regole, maggiormente adeguate alla legislazione e ai processi tecnologici in corso. Ai saluti del presidente nazionale dell’UCSI, Massimo Milone, sono seguiti gli interventi dei vertici della Federazione Nazionale Stampa Italiana, dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti e dell’UsigRai, nella piena consapevolezza che solo un efficace intervento sul piano associativo potrà riaffermare con decisione beni irrinunciabili quali la libertà d’informazione, l’obiettività, il pluralismo delle fonti, l’autonomia dei giornalisti, che devono essere in grado di tenere, volendo riprendere il titolo del convegno, “la schiena dritta”. L’immagine, evocata per la prima volta da Oscar Luigi Scalfaro e recentemente ripresa da Carlo Azeglio Ciampi, chiarisce come tutti i professionisti della comunicazione debbano poter essere indipendenti dai poteri forti che detengono, in tutto o in parte, il controllo delle imprese editoriali. “Ci troviamo di fronte ad un quadro legislativo che non fornisce alcuna garanzia sul piano istituzionale – ha affermato Sergio Borsi, consigliere nazionale dell’Ordine dei Giornalisti e membro della giunta nazionale dell’UCSI – a strutture redazionali inadeguate, ad un forte ritardo tecnologico, alla mancanza di editori puri”. Se a ciò si aggiunge l’assenza, come ricordato da Enzo Iacopino, segretario nazionale dell’Ordine, del contratto di lavoro e la volontà degli editori di scegliere i rappresentanti degli istituti di categoria e di fissare la linea politica dei giornali, la possibilità di tenere “la schiena dritta” finisce per diventare, come ha sottolineato Paola Springhetti, presidente dell’UCSI Lazio, non un dovere di tutti ma “un lusso per pochi giornalisti”. Di fronte ad una professione in continuo mutamento, come testimonia la storia del giornalismo dalle prime gazzette agli attuali quotidiani on line, l’indipendenza deve però rappresentare un principio costante ed ineliminabile per tutti coloro che ancora svolgono tale professione nella convinzione che l’inforn. 2/2007 56 C O N G R E S S I mazione costituisca un bene prezioso per la crescita della società civile. E’ proprio in virtù di una informazione che sia realmente al servizio del cittadino che Paolo Scandaletti, direttore della rivista “Desk” e docente presso le Università Luiss di Roma e Suor Orsola Benincasa di Napoli, dopo aver evidenziato la mancata preparazione culturale della nuova generazione di giornalisti (motivo per il quale potrebbe addirittura verificarsi “un precariato al contrario”), ha ribadito l’importanza dei Press Council, della figura del garante del lettore e, soprattutto, dei codici deontologici. E’ su queste basi che l’UCSI, nel novembre del 1999, avanzò la proposta di costituire un Comitato di Mediaetica con il preciso compito di offrire indirizzi adeguati in materia di etica e deontologia dell’informazione e della comunicazione. “Il sistema che regola l’informazione – ha sostenuto Francesco Birocchi, presidente dell’UCSI Sardegna – necessita di essere completamente riformato. Tutte le forze culturali che gravitano attorno a tale sistema devono pertanto operare affinché si rafforzi la coscienza professionale e venga rivalutato il principio dell’obiettività per una informazione credibile”. Sull’argomento sono intervenuti anche Giuseppe Sangiorgi, membro del Consiglio comunicazione del Ministero, Giorgio Tonelli, segretario nazionale dell’UCSI, Emilio Rossi, presidente del Comitato Tv e Minori, Angelo Sferrazza, vicepresidente nazionale dell’UCSI, e Ignazio Ingrao, membro dell’Assostampa romana e consigliere dell’Ordine dei Giornalisti del Lazio. Le conclusioni sono invece spettate a Franco Siddi e Roberto Natale, rispettivamente presidente e membro della giunta della FNSI, i quali hanno sottolineato come il Congresso debba necessariamente affrontare, oltre ai temi già citati in precedenza, quello della riorganizzazione del servizio pubblico che dovrebbe, soprattutto dopo i recenti casi di intercettazioni telefoniche, mandare un forte segnale di “pulizia etica” affinché sia finalmente possibile “allontanare la maggioranza di turno dall’azienda”. Il problema principale resta però quello, come evidenziato da Franco Siddi, di conciliare la pluralità di espressioni della professione giornalistica in un progetto unitario per chiedere con forza un nuovo sistema dell’informazione basato sul senso del dovere che garantisca lo svolgimento di una professione realmente libera. (C.R.) Roma - “La professione che cambia. Giornalisti con la schiena dritta” DESK E Statistiche europee: uso del computer e di Internet G li uomini in Europa utilizzano di più il computer ed internet di quanto non facciano le donne e molte meno degli uomini sono le donne che lavorano nel settore dell’informatica. Queste le conclusioni generali cui è pervenuta una rilevazione fatta da Eurostat Istituto statistico europeo (Eurostat Statistiques en bref n.119/2007 del 23.10.2007su rilevazioni effettuate il 4.4.2007). La differenza calcolata in percentuale tra uomini e donne che utilizzano computer e internet, varia a seconda dell’età, essendo bassa nella fascia dei più giovani ( da 16 a 24 anni) per poi aumentare dai 5 punti ad 8 ( 25-54 anni) ed arrivare a 12 ( 55-74 anni) ma sempre a favore degli uomini. Nel complesso ed 57 n. 2/2007 DESK C O N V E G N I E C O N G R E S S I L in generale gli uomini battono le donne di 8 punti con il nostro Paese che registra una differenza tra uomini e donne più elevata (12 punti). Il che lo pone in una fascia che comprende Germania, Austria, Paesi Bassi, e Gran Bretagna.Evidenziamo comunque in Italia un minore utilizzo in generale rispetto alla media europea. con le donne a – 7 punti e gli uomini a –10 il che ci pone al decimo posto sui 25 censiti. Più in dettaglio usano il computer nella prima fascia il 67% degli uomini ed il 62% delle donne, nella seconda il 54 e 47 nella terza il 26 ed il 14%. Inferiore è l’utilizzo di internet rispettivamente con 53 e 48 nella prima fascia; 43 e 34 nella seconda; 18 e 9 nella terza. Il livello di utilizzazione quotidiana del computer varia considerevolmente da Paese a Paese; per la prima fascia di età scarta da circa il 75% in Danimarca ed altri Paesi del Nord Europa a meno del 40% in Bulgaria, con l’Italia al 66% e ad un livello inferiore alla media europea. Salendo nell’età da 25 a 54 anni l’utilizzo nel nostro paese diminuisce rispetto alla media europea specialmente per le donne che si posizionano al 57% contro l’81% con gli uomini al 69 contro l’83%. Nell’ultima fascia ( 55-74) il divario aumenta ancora 6 contro 21 per le donne e 19 contro 35 per gli uomini. Nell’uso di internet il nostro Paese si pone al di sotto della media europea ed al 12° posto su 25 Paesi considerati. Varia però la differenza tra uomo e donna. In questo caso le donne italiane utilizzano internet di più in rapporto alla rispettiva media europea e questo vale in particolare nella fascia giovanile ed in quella media, in pratica da 16 a 54 anni. Il livello di competenza di base in informatica evidenzia uno stridente scarto a favore degli uomini sia in Europa che in Italia. Nella prima fascia di età in 7 Stati membri il 60 % degli uomini possiede un livello elevato ed in 6 altri il livello è superiore al 50%, mentre solo Austria e Slovenia evidenziano siffatta competenza il 50% delle donne. In media europea gli uomini si posizionano attorno al 50% ( Italia 39%) e le donne al 30% ( In Italia 25%). Molti più uomini che donne lavorano infine nel comparto dell’informatica. In Europa il 2,6% degli uomini attivi a fronte dello 0,7% delle donne il che significa una proporzione di 4 a 1. L’aspetto più interessante consiste nel fatto che non c’è differenza tra Paesi della vecchia Europa ed i nuovi entrati con Romania e Lettonia ai primi posti. In Italia la percentuale degli uomini è del 1,9% contro lo 0,6% delle donne ma va rilevato che mentre l’occupazione degli uomini è aumentata dello 0,5% in 5 anni ( 2001-2006), quella delle donne è rimasta invariata come d’altro canto in Europa. E non sembra prevedibile che lo scarto diminuisca in futuro dal momento che proprio tra i più giovani si registra il maggiore divario a favore degli uomini. Fino a 40 anni infatti la percentuale delle donne impiegate nel settore rispetto a tutte le professioni è dello 0,8% contro il 3,5% degli uomini con l’Italia che registra rispettivamente lo 0,9% contro il 2,7%. (Piero Onofri) DESK n. 2/2007 58 I B R I LIBRI RECENSIONI A cura di Marica Spalletta, Università Luiss Guido Carli, Roma E milio Salgari e Renato Simoni, assurti in seguito a successi e notorietà, dove hanno cominciato come giovani cronisti, in quale giornale? A L’Arena di Verona, sul finire del 1800; dove aveva un ruolo di primo piano quel giornalista galantuomo, ma ancor più dal fiuto lungimirante, che fu Aymo, del quale ora Giovanni Masciola ci offre una succosa biografia. Anche Masciola è giovane e divide la sua giornata fra le assicurazioni e le pandette, le iniziative culturali e la collaborazione alla terza pagina di quel medesimo giornale. In particolare, avendo passione per la storia, cura le interviste con gli autori che se ne occupano abitualmente. Al tempo della presa di Roma, l’Italia era un paese malandato: analfabetismo al 70 per cento della popolazione, sui 25 milioni di abitanti votavano in cinquecentomila; altrettanta era la tiratura complessiva dei quotidiani e quando uno raggiungeva le 2500 copie si riteneva pago. I giornali erano figli dei poteri economico - finanziari, o promossi per battaglie politico-culturali; alla fine, anche queste per il potere, come han mostrato i rapporti non virtuosi fra Depretis e Crispi con più di una testata. L’informazione secondo natura era rimasta un sogno. A badare ai lettori cominciò l’editore Sonzogno con Il Secolo nel 1866, sull’onda delle felici esperienze fatte con i periodici. Importò dalla Francia il romanzo d’appendice, ma la leva del successo fu la cronaca, “il giro” quotidiano alle fonti (municipio, polizia e carabinieri, ospedali, tribunale) dove trovare i fatti da trasformare in notizie per i propri lettori. Nel 1870 il commerciante di medicinali Attilio Manzoni apre un’agenzia di intermediazione per gli spazi pubblicitari. Nel 1876, sempre a Milano, Eugenio Torelli Viollier aveva fondato il Corriere della sera. Ma giusto due anni prima era giunto a Verona, come direttore de L’Arena – in vita dal 1866 - Dario Papa, 28 anni, nato a Desenzano. Aveva vissuto a Vienna e a Venezia, imparato il giornalismo a Milano. In questa nuova esperienza portò freschezza grafica ed innovazione, soprattutto facendo leva sulla cronaca locale. Se ne accorse il direttore del Corriere che se lo portò a Milano e poi lo mandò negli Stati Uniti, dove imparò e s’entusiasmò ai giornali fatti per i lettori. Rientrato in sede e visto che lì non si voleva cambiare, se ne tornò a Verona; incontrò il giovane Aymo, fra i due scattò l’intesa e così tanta collaborazione che nel 1884 questi succedette a quello nella direzione del giornale. Anche Aymo, piemontese, aveva avuto una vita avventurosa tra Messico e USA, polemiche e duelli. Ma in 59 n. 2/2007 G I OVA N N I MASCIOLA Il giornalista galantuomo, Giovanni Antonio Aymo 1861-1901 Gemma edizioni, pp. 256, € 13,00 DESK L I B R I L mente e nell’animo covava il vero giornalismo, sganciato da interessi altri e rivolto davvero ai lettori. E per farlo appieno, grazie alle sostanze della moglie, si comprerà l’azienda editrice. Morì a 39 anni, di male ai polmoni. Fece in tempo tuttavia a costruire un gran bel giornale, anche girando egli stesso per la città, a scoprirne fatti e vicende, persone ed umori. Il teatro e la lirica l’appassionavano parecchio. Pubblicò un paio di libri. Dipanò il suo progetto di giornale assicurandosi, oltre un affidabile notista politico a Roma che trasmetteva i pezzi col telegrafo, validi corrispondenti dai comuni della provincia veronese, da Milano, Torino, Firenze, Napoli, Venezia, Padova, Mantova e Vicenza. Emilio Salgari lavorerà al suo fianco per dieci anni. Avranno ottimi risultati d’opinione e editoriali. Alla scomparsa di Aymo il Corriere della sera gli dedicherà un’ampia nota d’elogio: era un cavaliere del giornalismo, battagliero ma perfetto galantuomo. Masciola lo chiama “giornalista dalla schiena dritta”, a ragione; e ce ne offre un profilo ricco, minuzioso, assai ben documentato, anche nei risvolti più personali. E leale col lettore pure lui: dove la fonte è incerta, lo dice chiaramente. Bel lavoro, perfino utile a qualche giovane direttore…(P.S.) RICCARDO BIGI, (a cura di) Giorgio La Pira. I miei pensieri (con una testimonianza di Giulio Andreotti) Società Editrice Fiorentina, 2007, pp. 96, € 10,00 DESK R I D opo averne scritti più d’uno – e tutti di notevole successo – ed essere prezioso divulgatore in tv di moltissimi autori, ora racconta “degli scrittori e dei libri che in tutti questi anni ho amato e ai quali devo quel poco che sono riuscito ad apprendere”. E’ la biografia intellettuale di Corrado Augias che alla fine confessa: “Con l’esperienza ho imparato, credo, a riconoscere i libri che mi piacciono, i soli che valga la pena di leggere per davvero”. In una scrittura magistrale e in tono confidenziale, si intrecciano qui due registri: la sequenza dei “suoi libri”, dei quali diremo, e un condensato di cultura del libro dalla quale conviene cominciare. “Perché si scrive?... è la forma migliore di comunicazione”, e leggere fa parte della medesima operazione mentale, è il suo ‘positivo’: “scorrendoli con gli occhi restituiscono il valore che chi li ha scritti ha inteso dar loro”. E quale piacere se ne trae, e quali frutti? “La persecuzione contro i libri è propria di tutti i regimi dispotici, e basterebbe questo per farci amare la lettura”. Citando G: Gioacchino Belli: “che predicava a la Missione er prete?/ Li libri nun so’ robba da cristiano:/Fiji, pe’ carità, nun li leggete..”, commenta Augias: “foss’anche solo per questo, verrebbe la pena leggere”. La sequenza dei libri che fissano le tappe di un’evoluzione partono naturalmente dagli anni del liceo, in aggiunta a quelli obbligatoriamente presenti sui banchi di scuola. E dunque “I Sepolcri” di Foscolo, “Guerra e pace” di Tolstoj e “I Miserabili” di Hugo, ma anche quelli proibiti come “L’amante di Lady Chatterley” e “Delta di Venere” di Anais Nin, che provocano turbamenti e insieme fanno capire che “l’erotismo è cultura”. Poi la grande letteratura americana e francese, fino ai mitici Joseph Roth e Robert Musil. Ma “se dovessi consigliare a un incerto lettore uno fra i possibili strumenti capaci d’indurre un sicuro amore per la lettura, citerei senza esitazione i romanzi di Raymond Chandler”. Il senso e la passione per il libro arrivano da tre grandi: 1. Petrarca: “Io voglio che il mio lettore..mentre legge voglio che sia solo con me..non voglio che si impadronisca senza fatica di ciò che non senza fatica io ho scritto”; 2. Machiavelli, che indossava abiti di gala per le serate di lettura: “non sento per quattro ore di tempo alcuna noia; dimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte” ; 3. Sant’Agostino di Ippona, che svela come leggesse il suo maestro sant’Ambrogio a Milano: “gli occhi gli scorrevano lungo la pagina e la mente ne coglieva il senso, ma voce e lingua restavano immobili”. Fu il primo a far così, annota l’autore. E nell’introdursi in questo mondo ‘altro’ si fonda, conclude Augias, “una vera etica della lettura”. Quella affrontata dal grande storico della letteratura italiana Ezio Raimondi nel suo piccolo e prezioso testo. “La lettura non è mai un monologo, ma n volume piccolo nelle dimensioni, ma da tenere in evidenza per una utilità quotidiana che riguarda uomini e donne della politica ma anche uomini e donne della comunicazione. Lo ha curato Riccardo Bigi, giovane redattore a “Toscana Oggi” (la catena dei settimanali diocesani della Toscana), ed è stato presentato a Roma nella sala Laurentina di via in Lucina su iniziativa di Ucsi, nazionale e toscana. Si intitola “Giorgio La Pira. I miei pensieri” ed è una raccolta di frasi del “sindaco santo”, uscita nei giorni del trentesimo anniversario della morte, sulla base dei temi che ne hanno caratterizzato vita e attività: spiritualità, politica, tematiche legate alla città, poveri, pace, opposizione alla brutalità e inutilità della guerra. “Un credente appassionato, un uomo delle istituzioni, un uomo della mescolanza, un politico, un visionario”. Così era La Pira per Marco Politi, vaticanista di “Repubblica” secondo cui l’idea di raccogliere alcune frasi per grandi temi è un “eccellente” modo per contribuire, specie rivolgendosi ai giovani, a non perdere la memoria di un personaggio ancora di enorme attualità. Moderato da Angelo Sferrazza e con la partecipazione del curatore, l’incontro è stato animato anche da una bella testimonianza di Fabrizio Fabbrini: di La Pira fu assistente universitario per molti anni nella cattedra di Diritto Romano e su La Pira ha detto parole ancora capaci di commuovere. Ha concluso Giulio Andreotti, autore di una tanto breve quanto preziosa prefazione al volume. “Aveva ragione lui”si intitolano le poche parole scritte dal senatore che pure, nel suo intervento, non ha nascosto la “scomodità” del professore siciliano diventato sindaco in una città complessa 60 B come Firenze. “Anche oggi – ha concluso Andreotti – ho provato una sensazione: La Pira non è morto, è ancora vivo”. (Mauro Banchini) U n. 2/2007 I 61 n. 2/2007 CORRADO AULeggere: Perchè i libri ci rendono migliori, più allegri e più liberi Mondadori ed., pp. 115, €12,00 GIAS EZIO RAIUn’etica del lettore ed. il Mulino, pp.76, € 7,00 MONDI DESK L I B R I L l’incontro con un altro uomo, che nel libro ci rivela qualcosa della sua storia più profonda e al quale ci rivolgiamo in uno slancio intimo della coscienza affettiva, che può valere anche un atto d’amore: la solitudine diventa paradossalmente socievolezza, entro un rapporto certo fragile come sono fragili tutti i rapporti intensi e non convenzionali, che aspirino ad essere autentici. E qui forse, tra il lettore e lo scrittore, si producono lo sguardo, la coscienza, il faccia a faccia di una vera e propria relazione etica”.” La lettura non è mai un monologo, ma un incontro con un altro: il senso di un’opera sta per metà nella risposta del lettore, scrivere è desiderio di farsi leggere e di colloquiare, fino alla risposta creativa.. Cita Virginia Wolf “come dobbiamo leggere un libro?” per rispondere: con “una grande finezza di percezione e un’ardita larghezza di immaginazione” . Ed aggiunge che “l’etica della lettura sta in un’esperienza di libertà compresente nel pieno riconoscimento dell’altro, nell’incontro di due solitudini”. Raimondi mette in campo saperi ed erudizione da par suo, autori fra i più raffinati. Non sarebbe stato forse più efficace usare un linguaggio meno da iniziati? (Paolo Scandaletti) Roberto Di Giovan Paolo con Maria Rita Moro Comunicare rende liberi ed. Nutrimenti pp. 236,€13,00 DESK I l titolo già condensa il senso del libro e lo fa con una operazione di memoria molto complessa. Quel “rende liberi” ti riporta al ricordo di altri “rende liberi” primi fra tutti quello terribile di Auschwitz campeggiante all’ingresso del campo. Dunque il “rende liberi” si può esprimere in molti modi e può significare altrettante cose. Nel caso del “lavoro” degli autori il fine è corretto e non dissimula il senso vero. Roberto Di Giovan Paolo non è da poco che si batte sul fronte della comunicazione e il suo è un impegno che si è espresso e si esprime anche nell’azione e non solo con la parola e la scrittura. Questo libro, che si avvale anche della collaborazione di Maria Rita Moro, è un lavoro che fa fare un passo avanti al modo di parlare di comunicazione, una tematica che ci investe quotidianamente e trapassa i nostri cervelli e le nostre coscienze come le invisibili onde elettromagnetiche. Gli autori hanno scelto dieci “comunicatori” di diversi campi: Luigi Martini, Ascanio Celestini, Paolo Ruffini, Roberto Cotroneo, Alessandro Portelli, Filippo Ceccarelli, Ivano Fossati, Liliana Cavani, Annamaria Testa, Giorgio Bocca e con essi hanno colloquiato, socraticamente. E il risultato è veramente notevole. Gli A. nella introduzione fanno un intelligente ed opportuno riferimento alla nostra Costituzione e a quell’articolo (quello che si riferisce al dovere di rimuovere le disuguaglianze) scrivendo che «…davvero la frontiera del futuro è fatta anche di un welfare della comunicazione e delle conoscenze, di una lotta quotidiana, insomma, affinché ad ogni cittadino sia garantito il diritto e il dovere di sapere decodificare cosa lo circonda in una cosiddetta società della comunicazione…». E i colloqui con i 10 hanno questo filo conduttore, cercare di farsi dire da operatori della comunicazione in campi diversi se questa che viviamo è davvero una società dove si comunica, cosa comunichiamo, cosa vorremmo comunicare, se si sa comunicare e se si sanno ben utilizzare i mezzi anche in senso tec- n. 2/2007 62 I B R I nologico e in fine cosa rimane dopo il passaggio dell’ “alluvione comunicazionale”. I 10 non si sono sottratti all’interrogatorio e con le diverse sensibilità ed esperienze danno un contributo molto importante a districarsi in questa matassa che è la comunicazione oggi. Da giornalisti ci catturano i colloqui con Giorgio Bocca, Annamaria Testa e Filippo Ceccarelli. Come non essere colpiti dalla lucidità con cui Annamaria Testa scava sul tema della pubblicità e ne parla con coraggiosa obbiettività. Di grande interesse le sue analisi sul rapporto adolescenti-pubblicità che ci offrono chiavi di lettura di molti preoccupanti fenomeni generazionali: «gli adolescenti la sanno lunga, con la pubblicità ci sono nati e la usano in termini di intrattenimento». Forse è più importante per la società conoscere meglio questo aspetto che parlare ancora del rapporto pubblicità-giornali. Giorgio Bocca colpisce per quel suo coraggio di non sottrarsi ad una specie di gioco della verità fra il giornalismo di ieri e quello di oggi e a riconoscere a quello di ieri un rispetto per la professionalità dei giornalisti che pare scomparso. Non si salvano da queste considerazioni i direttori. Anzi! Bocca dice: «Io ho capito, attraverso le vicende di alcuni direttori di giornali, che i direttori oggi sono completamente dipendenti dal potere economico e non hanno più alcuna autonomia». Filippo Ceccarelli, si addentra con quello stile che lo contraddistingue, nel rapporto comunicazione e politica, anzi politici. E ne esce un quadro che colpisce, ma rattrista. Il libro è penetrante e nuovo. Ha in sé il valore del saggio e lo spirito del reportage, l’autorevolezza del testo di studio e la preziosità di un libro di meditazione. Sì, meditazione sul tempo che viviamo, che di giorno in giorno è quello del mare della comunicazione, nel quale rischiamo di affogare in mancanza di zattere di salvataggio. (Angelo Sferrazza) Q uesto libro pubblicato dall’Ufficio storico dello Stato maggiore dell’esercito, ci offre una singolare raccolta di splendide immagini, che sono il frutto di un lungo, intenso e paziente lavoro condotto da Antonio e Furio Scrimali dai primi anni Ottanta, un lavoro più che ventennale che evidenzia anche una intensa passione nella ricerca di graffiti, iscrizioni, targhe e cippi disseminati lungo l’arco alpino del Carso e del alto, medio e basso Isonzo. Centinaia e centinaia di splendide fotografie testimoniano questo lavoro carico di passione per la ricerca di testimonianze e dei segni tangibili di una presenza e di una storia animata da vari sentimenti, di senso del dovere, di orgoglio nazionale, di sacrificio, di dolore, di nostalgia. Il sottotitolo di questo libro “le pietre parlano” evidenzia con grande chiarezza il senso di un repertorio così carico di suggestioni. In realtà è molto difficile recensire un libro come questo. Non può essere presentato come un qualsiasi altro libro. Non si tratta di discuterne o condividere o confutare una tesi o una interpretazione storiografica, di giudicare uno stile letterario o una riflessione filosofica. Questo è un libro che va letto e soprattutto sfogliato, pagina dopo pagina, immagine dopo imma- 63 n. 2/2007 ANTONIO E FURIO SCRIMALI, Graffiti e iscrizioni della Grande Guerra. Dal Carso alle Alpi Giulie-Carniche. “Le pietre parlano”, Stato Maggiore dell’esercito. Ufficio storico, Roma 2007, pp. 301, € 18,00 DESK L I B R I gine, facendosi condurre per mano in una realtà carica di suggestioni, di ricordi, di scoperte all’interno di una realtà territoriale fatta di montagne. grotte, caverne, dirupi, trincee, fortini e così via. Vi troviamo lapidi e cippi dedicati a soldato o ufficiali caduti, oppure iscrizioni su importanti opere belliche eseguite assieme a fregi, targhe e cippi ufficiali dei vari reparti ed infine i graffiti e le scritte di singoli soldati. Un primo aspetto da sottolineare è la possibilità, attraverso questi reperti, di testimoniare nelle diverse località la presenze dei vari reparti, reggimenti, battaglioni, compagnie, plotoni. Vi troviamo fanti, bersaglieri, genieri, mitraglieri, alpini, artiglieri, ma vi troviamo, soprattutto la volontà di documentare una presenza di non lasciare senza memoria le lunghe e snervanti attese nelle trincee, e il sacrificio di uomini che con il fissare sulla pietra il proprio nome e la propria appartenenza in seno all’esercito ci lasciano un messaggio e un monito. Vi si coglie, come ha sottolineato Luigi Emilio Longo nella sua Prefazione, “l’affermazione indelebile di un’identità, la testimonianza tangibile di una presenza, l’orgoglio di un’appartenenza”. I sentimenti che sgorgano da queste pietre sono anche altri. A cominciare dall’attesa e dal desiderio di pace. L’invocazione alla pace è presente in uno di questi graffiti con una straordinaria semplicità. “W la pace” si legge in una pietra rintracciata ai margini di una trincea sul monte Sei Busi. La scritta è contornata da alcuni segni decorativi e dalla sigla D.G., a testimonianza di una attesa e di una speranza coltivata gelosamente nel cuore di un combattente duramente provato. Non mancano anche altri sentimenti. Lungo una mulattiera nel fondo valle del Monte Pal Grande si può leggere “Mamma ritornerò”, scritto da un fante della Brigata Catania. Vi si coglie la speranza e il desiderio di un ritorno al mondo degli affetti nel guscio protettivo della famiglia e della casa. In un altro di questi graffiti, cogliamo anche il senso di tristezza per un amaro destino, evidenziato da alcune parole tracciate su un pezzo di cemento sulle Alpi carniche, ove si legge “Gli anni più belli i giorni più tristi”. Parole che in forma quanto mai incisiva esprimono le difficoltà di una condizione che imponeva alle più giovani generazioni del nostro paese, e di tutta Europa, il sacrificio dei loro anni migliori. Abbiamo quindi a disposizione, con questa magnifica raccolta i segni visibili e concreti di una dura esperienza. Siamo di fronte ad una mappa nuova e significativa della grande guerra sul fronte italiano, che ha il merito di restituirci la memoria di migliaia di uomini vissuti sulle montagne, nelle caverne e nelle trincee, lì dove si è consumata, nel dolore, nella morte, nel sacrificio e nella speranza una pagina della nostra storia che non va dimenticata. Questo libro ci aiuta a custodirla la memoria della grande guerra. Grazie alla passione e alla tenacia di chi, come Antonio e Furio Scrimali, è andato a riscoprire, rileggere e restituirci i segni tangibili e reali di una presenza e di una storia, che parla anche attraverso le pietre. (Francesco Malgeri) DESK n. 2/2007 64