1 DA MOSCA A FIRENZE NEL QUATTROCENTO Sul

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1 DA MOSCA A FIRENZE NEL QUATTROCENTO Sul
DA MOSCA A FIRENZE NEL QUATTROCENTO
Sul finire del ‘300 i turchi avevano invaso e conquistato gran parte dei territori dell’impero
bizantino: solo la capitale Costantinopoli, grazie alle sue fortificazioni, sembrava resistere
all’assedio degli ottomani. L’imperatore bizantino, Michele II Paloelogo decise allora, per far
fronte all’invasione, di chiedere aiuto al Gran Principe di Mosca, Vasilij I, confidando in un
atto di solidarietà nei confronti dei “confratelli cristiani”, ma Vasilij ordinò di non menzionare
l’imperatore bizantino nelle funzioni della chiesa russa. Questo accadde perché Vasilij, pur
essendo assolutamente fedele alla chiesa greca, si rifiutava di riconoscere all’imperatore la
supremazia di capo spirituale del mondo ortodosso. Forzato dalle circostanze, Michele II
decise di cercare aiuto all’esterno, si recò a Venezia, a Parigi, a Londra, scrisse al papa e ai
sovrani spagnoli d’Aragona, ma non ottenne l’effetto sperato: benché umanamente fosse
accolto benissimo ovunque andasse, sul piano politico-militare non ricevette nessun aiuto.
Mentre la pressione dei turchi contro Costantinopoli era diventata insostenibile, a Michele II
successe il figlio Giovanni VIII, al quale non restò altra soluzione che aprire con Roma delle
trattative per firmare l’unione delle Chiese; Giovanni VIII, sperava che l’unione religiosa al
papa di Roma gli assicurasse l’aiuto dell’occidente cattolico contro i turchi. Le estenuanti
trattative con papa Eugenio IV imposero la presenza dell'imperatore ai lavori del concilio
da convocare in Italia, e così il 24 novembre 1437 Giovanni VIII lasciò Costantinopoli alla
volta di Ferrara; vi giunse nella primavera dell'anno seguente e il 9 aprile il Concilio
ebbe la sua solenne inaugurazione.
Le esigenze extra dogmatiche ed extra dottrinali che avevano condotto fino al concilio i
bizantini imponevano loro di accogliere senza riserve le condizioni di Roma; gli accesi
dibattiti, che spesso trascesero nella polemica violenta, protrassero i lavori conciliari per
oltre un anno. La firma della Bolla di Firenze, dove il Concilio si era trasferito a causa
dello scoppio di un'epidemia di peste a Ferrara, sanciva infine il primato papale e
concedeva ai bizantini di conservare il loro rito ecclesiastico. Sebbene appagata nella sua
aspirazione di ottenere il tanto ambito riconoscimento di supremazia, Roma non offrì, né
mai avrebbe potuto offrire perché impossibilitata per carenza di mezzi, l'aiuto promesso in
cambio all’imperatore. L'Unione non portava nessun beneficio ai bizantini, anzi rese
Giovanni VIII impopolare fra i sudditi e contribuì ad istaurare nell'Impero un clima di
lotte interne. Il popolo, fedele alla Chiesa bizantina, era pervase di odio profondo verso gli
artefici dell'Unione e le ripercussioni sul prestigio internazionale dell'Impero furono non
meno devastanti: di fatto perdette rapidamente quella supremazia che da sempre l'aveva
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accompagnato presso il mondo slavo. Il principato di Mosca, all'epoca in grande ascesa e
lontano dalla minaccia ottomana, benché non ancora totalmente indipendente dal khaganto
tartaro, non concepiva affatto l'urgenza della spedizione di salvezza in nome della quale s'era
consumata l'Unione. I russi erano stati introdotti nella famiglia cristiana da
Costantinopoli, che li aveva istruiti sui misteri della vera fede, ma insieme ad essa vi
aveva istillato anche l'acerrimo odio nei confronti di Roma, e quindi si può facilmente
comprendere come la conversione dell’imperatore Giovanni VIII e del patriarca di
Costantinopoli Giuseppe II, assunse, agli occhi dei russi, il carattere di un imperdonabile
tradimento.
La delegazione russa al Concilio di Ferrara-Firenze era guidata dal Metropolita Isidoro,
greco di nascita, eminente esponente del gruppo di coloro che erano favorevoli
all’Unione, già Metropolita di Kiev e di tutta la Rus’. Isidoro era tenuto in grande
considerazione sia dall’imperatore che dal patriarca, e infatti, poco prima della partenza
per il concilio fu elevato alla carica metropolitana di Mosca. Nel settembre del 1440
rientrò a Mosca investito della carica di cardinale conferitogli da Papa Eugenio IV dopo
averlo nominato suo delegato in luogo per la Lituania, la Livonia e la Russia. Nel marzo
del 1441, però, il Gran Principe di Mosca Vasilij II fece arrestare e imprigionare Isidoro
con l’accusa di alto tradimento: infatti la Moscovia essendo assolutamente contraria
all’Unione, rifiutava interamente gli accordi di Firenze.
Alcuni partecipanti della delegazione russa che accompagnò il metropolita Isidoro al Concilio
scrissero una serie di opere sull’avvenimento. Una di esse, intitolata “Cronaca dell’ottavo
Concilio”, scritta dal sacerdote (ierei, dal greco hieros, sacro) Simeon, racconta delle attività
del Concilio, inserendovi anche delle venature anticattoliche; un’altra opera post-conciliare è
quella del vescovo Avramij che scrisse un misteri, cioè una rappresentazione teatrale con un
tema religioso, nota come “Viaggio di Avramij di Suzdal’”. Al seguito di Avramij c’era un
anonimo religioso che compose una descrizione del viaggio dell’ambasciata russa, annotando
tutti i toponimi dei luoghi attraversati e le distanze percorse tra l’8 settembre 1437, giorno
della partenza da Mosca, e il 29 settembre 1440, data di ritorno a Suzdal’. All’anonimo russo
viene anche attribuita la breve “Annotazione su Roma”.
L’opera dell’anonimo di Suzdal’ è intitolata “Choždenie na florentinskij sobor” (Viaggio al
Concilio di Firenze). Choždenie (cioè viaggio) è il termine con il quale si designavano nella
letteratura russa antica le opere in cui venivano descritti i viaggi o i pellegrinaggi in Terra
Santa; la tradizione di questo genere letterario fu inaugurata nel XII secolo dall’igumeno
Daniil che per primo narrò per scritto la sua esperienza di visitatore nei Luoghi Sacri. Sotto
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l’aspetto formale, il Choždenie na florentinskij sobor, ricorda il genere del choždenie
“classico”, infatti la sua importanza deriva piuttosto dal fatto di essere il primo a portare in
Russia informazioni dirette sull’Europa occidentale. Il racconto dell’anonimo russo fa
conoscere al lettore non soltanto la geografia e la politica dell’Europa, ma anche l’assetto
delle città europee, comunica informazioni sulla lingua e sulla cultura, anche religiosa, dei
luoghi visitati.
La narrazione del viaggio inizia con la partenza da Mosca l’8 settembre 1437, anno indicato
dall’anonimo narratore come 6945, usando come coefficiente per il conteggio il 5508
dell’epoca costantiniana, e prosegue per le terre russe (Tver’, Novgorod, Pskov), fino ad
arrivare in Livonia (indicata nel testo come terra tedesca). L’anonimo, per ogni città visitata,
indica il giorno di arrivo secondo il calendario liturgico, cioè citando la ricorrenza di quel
determinato giorno, la distanza dalla città precedente misurata in verste (un’antica misura
lineare russa che equivale a 1,06 km) e racconta di come, in ogni città, il metropolita Isidoro e
la delegazione russa, fossero accolti in modo sfarzoso e con tutti gli onori. Arrivati al
momento della partenza dalla città di Riga, c’è il racconto di un atto di forza della cristianità:
mentre stavano lasciando Riga in nave calò una forte nebbia che sparì solo dopo le preghiere
in greco e in russo del vescovo Avramij e del suo seguito. L’anonimo descrive Lubecca con
toni entusiastici, soprattutto le chiese, i monasteri e i tesori in essi custoditi; il viaggio
continua con la descrizione di alcune città della Germania, chiamata dall’anonimo terra
Alemanna, fino all’arrivo nelle Alpi (chiamate cinta di terra), a Trento, e da lì a Padova e poi
a Ferrara dove si svolgeva il Concilio. A questo punto, il narratore ci informa che erano
presenti Papa Eugenio IV, l’imperatore bizantino Giovanni VIII Paleologo, Giuseppe II,
patriarca di Costantinopoli e altri 22 metropoliti di cui cita i nomi. L’anonimo indica come
prima sessione quella dell’8 ottobre, ma in realtà l’apertura del Concilio c’era stata il 9 aprile,
questa differenza temporale si deve al fatto che la delegazione russa era arrivata in ritardo,
cioè quando ormai i lavori erano già iniziati. Il narratore fa poi un elenco delle sessioni
conciliari con le rispettive date di svolgimento e questo lista, a mio avviso, ricorda lo stile
degli elenchi della “Cronaca degli anni passati”. Segue una descrizione delle bellezze della
città di Ferrara e il momento dell’arrivo della bolla che, a causa delle peste, imponeva il
trasferimento del Concilio da Ferrara a Firenze. Con la partenza della delegazione, il narratore
ci informa delle distanze tra le città italiane attraversate nel viaggio per raggiungere Firenze
che viene presentata come “gloriosa e straordinaria”. Firenze era effettivamente una grande
città, specie per i parametri di un osservatore russo, abituato alla rarefazione degli
insediamenti, alle scure costruzioni di legno e al parsimonioso impiego della pietra
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nell’edilizia; come solitamente accade ai turisti, anch’egli andava via via annotando quei
particolari della città che erano estranei dalla sua esperienza e che quindi gli apparivano
inconsueti, come la maestria costruttiva degli edifici, o il loro particolare cromatismo (es. il
biancore della pietra). L’anonimo narratore prosegue la sua visita a Firenze con una
descrizione delle principali chiese della città e dei rispettivi monasteri.
Caratterizza il racconto anche lo stupore per certe forme locali di devozione, come si coglie
nella descrizione del più noto santuario fiorentino del tempo, la Santissima Annunziata dei
Servi di Maria, dove già dal secondo Trecento un’immagine miracolosa della Vergine
catalizzava la richiesta di intercessione e di grazie della città. Sono pochi gli accenni alla sede
del Concilio, la cattedrale fiorentina di S. Maria del Fiore, a colpire l’immaginazione del
visitatore è piuttosto la maestosità del campanile di Giotto.
Con la ripresa del sinodo, c’è di nuovo l’elenco delle sessioni dei lavori conciliari, fino alla
firma della bolla conclusiva del Concilio sottoscritta dal papa e dall’imperatore bizantino il 5
luglio. Dopodichè c’è il racconto della Messa celebrativa in onore dell’accordo siglato al
Concilio officiata dal papa alla presenza di tutte le autorità sia cattoliche che ortodosse, e di
altre celebrazioni liturgiche. Nel testo mancano alcuni avvenimenti come il racconto delle due
sacre rappresentazioni cui assisté la delegazione russa a Firenze il 25 marzo e l’11 maggio,
rispettivamente nelle chiese di San Marco e del Carmine, in occasione delle feste
dell’Annunciazione e dell’Ascensione di Maria (delle quali invece offre un dettagliato
resoconto l’altro testo russo conciliare, il “Viaggio di Avramij di Suzdal’”). Queste omissioni
sono forse ascrivibili ad una prolungata assenza del narratore da Firenze, probabilmente
determinata da un pellegrinaggio a Roma, documentato dalla breve “Annotazione su Roma”.
Il 6 settembre la delegazione russa lasciò Firenze per fare ritorno in patria, inizia quindi, da
questo punto, la narrazione del viaggio di ritorno, che toccò alcune città italiane, tra le quali
Venezia di cui lo scrittore presenta una particolareggiata descrizione (soprattutto della chiesa
di S. Marco e del monastero di S. Nicola); il viaggio proseguì attraverso le terre croate, quelle
serbe, le ungheresi, le polacche, le lituane, fino ad arrivare a Kiev e poi a Mosca il 19
settembre, ed infine a Suzdal’ il 29 settembre, sempre menzionando i nomi di tutte le città
percorse, l’indicazione della distanza tra l’una e l’altra, il nome e il grado ecclesiastico o
civile delle personalità che accoglievano la delegazione.
Durante il soggiorno in Italia, l’autore del “Viaggio al concilio di Firenze”, insieme ad alcuni
membri della delegazione russa, si recò a Roma e nella breve “Annotazione su Roma” che si
trova in appendice al racconto del viaggio, espone le impressioni sulla città. Nonostante la
brevità della composizione, vi si trovano informazioni geografiche su Roma, e sulle sue
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bellezze religiose e architettoniche. Molto interessanti sono le osservazioni dell’autore sulla
trascuratezza di Roma, e sui suoi edifici ormai cadenti; in effetti, la città, tra il IV secolo e la
prima metà del XV, stava attraversando una fase di declino. L’"Annotazione su Roma” scritta
dall’anonimo di Suzdal’, rappresenta la prima descrizione nella letteratura russa della città
eterna.
Durante il viaggio, l’attenzione dell’anonimo russo si volge soprattutto verso le meraviglie
architettoniche e decorative che ammira nelle città visitate, che lui definisce sempre
“meravigliose”, in quanto non le aveva né viste né immaginate prima, e in alcuni casi questa
meraviglia appare addirittura esagerata. La frammentarietà e il disordine della narrazione
richiamano più ad un taccuino di appunti senza rielaborazione, che alla narrazione vera e
propria di un viaggio; neanche degli eventi conciliari infatti si ha un’ordinata esposizione,
salvo l’elencazione cronologica delle sessioni, conclusa dalla descrizione della solennità
formale dell’Unione, episodio del quale l’anonimo nota solo il tripudio latino per l’ottenuto
“perdono dei greci”. Le osservazioni si accavallano senza ordine, quasi casualmente, ad
esempio nel periodo che segue quello in cui descrive la cattedrale di Santa Maria del Fiore e il
campanile di Giotto, il narratore ricorda le ventidue fiere presenti nelle mostre cittadine e il
numero delle miglia del circuito delle mura; questa mancanza di consequenzialità concettuale
si ritrova, ad esempio, nel lungo accenno alla consuetudine devozionale degli ex voto nel
santuario della Santissima Annunziata, che è seguito da una secca annotazione sul fatto che lì
si tessessero anche le stoffe; o ancora, subito dopo aver dato memoria della sessione solenne
del 5 luglio, quella in cui avvenne la proclamazione e la ratifica dell’unione, cioè il punto
culminante di tutto l’evento conciliare, l’anonimo inserisce un’osservazione sui bachi da seta.
Una cosa che colpisce nel racconto del viaggio è l’assenza di accenni agli abitanti delle città
menzionate nel testo, di sicuro questo aspetto era importante per il narratore, e sicuramente
durante l’itinerario sarà accaduto qualche episodio degno di essere raccontato, ma non va
dimenticato che all’epoca la Russia era chiusa agli influssi occidentali perché si temeva il
contagio dei costumi stranieri, e per questo i sovrani russi facevano di tutti per tenere lontano
ogni influsso straniero capace di alterare le consuetudini nazionali. È evidente quindi, che
l’anonimo autore si impose una rigida autocensura: da religioso e letterato conosceva bene le
regole con cui il suo diario di viaggio doveva essere scritto se voleva trasmettere la sua
esperienza in occidente ai suoi contemporanei e nel contempo salvaguardare la propria vita.
Nonostante tutte le meraviglie incontrate nel cammino, il viaggio a Firenze non si rivelò
propizio: il ritorno della delegazione in Russia, segnò l’arresto e la deposizione con infamia
del metropolita Isidoro da parte del sovrano Vasilij II che rifiutò l’accordo tra le due chiese,
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che, comunque, si rivelò molto labile e poco duraturo. In ogni caso, il “Choždenie na
florentinskij sobor” è importante perché è la prima descrizione dell’Europa vista con gli occhi
di un russo e custodisce in sé la prima impressione al contatto con l’occidente.
BIBLIOGRAFIA:
AA.VV. 1981:
“Памятники литературы древней Руси XIV –
середина XV века”, Mosca, 1981, pagg. 468-495
e pagg. 585-590
Benvenuti A. 2005:
“Firenze nel racconto di viaggio al Concilio del
1439”, Firenze, 2005, pagg. 256-264
Colucci M. – Picchio R. 1997:
“Storia della civiltà letteraria russa”, Volume I,
Torino, 1997, pagg. 52-54 e pagg. 112-113
Giambelluca Kossova A. 1996:
“Da Mosca a Firenze nel Quattrocento”, Palermo,
1996
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