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commentary Commentary,11aprile2016 TERRORISMO IN AFRICA: LE COMPLICITÀ DEI REGIMI AUTORITARI GIUSEPPE FUMAGALLI S ©ISPI2016 e si osserva la sequenza di attentati avvenuti a sud del Sahara tra fine 2015 e inizio 2016, i più esposti sembrano essere i paesi a guida democratica. Nonostante i messaggi di resa diffusi via web dal leader Abubakar Shekau, la Nigeria nordorientale è bersagliata quotidianamente da attacchi di Boko Haram. Il Mali ha subito a novembre un attentato in un albergo nel cuore della capitale Bamako. Il Burkina Faso, che a settembre 2015 aveva respinto un tentativo di colpo di stato, a gennaio 2016 non ha potuto evitare il raid jihadista in un hotel, un ristorante e un bar della capitale Ouagadougou. Poi è toccato alla Costa d’Avorio. Il paese era nel mirino, esercito e polizia hanno difeso per mesi la frontiera settentrionale da ripetuti tentativi d’infiltrazione ma il 13 marzo tre terroristi dopo aver perforato tutti i dispositivi di sicurezza, si sono presentati mitra in mano sulla spiaggia di Grand Bassam e indisturbati hanno falciato diciannove persone. Pare non sia finita e chi tiene sotto osservazione la galassia islamista sahariana ora lancia l’allarme Dakar, capitale del Senegal, dove i principi laici di una moderna repubblica parlamentare convivono con una popolazione a larga maggioranza musulmana. È pura coincidenza? Sono motivi ideologici a indirizzare l’azione dei gruppi jihadisti su paesi dove multipartitismo e libere elezioni sono più radicati? Oppure sono motivi pratici, in quanto le democrazie, con maggior libertà di movimento per tutti e la tendenza a ridurre budget militari e spese di sicurezza, diventano bersagli più facili? Tutte ipotesi verosimili che però non portano lontano. Con grande approssimazione possono aiutarci a identificare la potenziale vittima, ma aggiungono poco alla conoscenza del carnefice. Non ci dicono i suoi punti di forza e non ci danno le informazioni necessarie per affrontarlo e sconfiggerlo. In questo senso sarebbe d’aiuto uno spostamento di attenzione. Se anziché ragionare astrattamente sui nemici ipotetici del terrorismo si mettesse a nudo la rete di complicità e amicizie che lo sostengono, forse vedremmo emergere le cause prima degli effetti. I gruppi terroristici di fatto non sono piovuti dal cielo come figli di nessuno, sono inseriti in una rete internazionale che li aiuta, ma se riescono a sopravvivere è soprattutto per una serie di rapporti e supporti a livello locale. La natura di un regime in questo senso, ha una valenza fondamentale. Nel quadro cangiante di una democrazia certi legami sono difficili da stringere e da Giuseppe Fumagalli, giornalista di “Oggi” 1 Le opinioni espresse sono strettamente personali e non riflettono necessariamente le posizioni dell’ISPI. Le pubblicazioni online dell’ISPI sono realizzate anche grazie al sostegno della Fondazione Cariplo. commentary vato appena al di là del confine nelle regioni montuose a nord del Camerun. Paul Biya, al potere in Camerun da 41 anni, sette da premier e 34 da presidente, a parte qualche proclama e operazioni isolate delle forze di polizia, non sembra intenzionato a disturbare gli ospiti e finché questi non disturberanno lui sembrano escluse operazioni militari in grande stile. Negli ambienti governativi della capitale Yaoundè, del resto non si fa mistero di una certa simpatia per Boko Haram, che in questi anni ha tenuto l’esercito nigeriano occupato nelle regioni nordorientali, disimpegnandolo dalle rivendicazioni territoriali aperte con il Camerun per il possesso della penisola di Bakassi, in un tratto costiero ricco di petrolio. Si potrebbe continuare con la strana amicizia tra il presidente sudanese Omar al-Bashir, musulmano, e Joseph Kony, leader cristiano dell’Esercito della liberazione del Signore, che partendo dall’Uganda, ha moltiplicato le incursioni nei villaggi del Sud Sudan, lo stato più giovane del mondo, nato nel 2011 in opposizione (violenta) al governo di Khartoum. mantenere. Ma in presenza di regimi autocratici, guidati per decenni da una persona e da un clan, anche i patti più inconfessabili possono avere le necessarie garanzie di tenuta e durata. Il deal si può strutturare su vari livelli. Per essere lasciati in pace e non subire attentati, i regimi in modo più o meno diretto, possono lasciare una certa libertà di manovra. Purché i danni vengano fatti altrove, possono chiudere un occhio sulla formazione di cellule armate in zone periferiche e sul fronte interno possono sempre evocare la minaccia di attentati per inasprire controlli e dispositivi di sicurezza. A un livello più attivo possono fornire, armi, mezzi logistici ed economici per creare disordine là dove c’è interesse a destabilizzare. E dopo aver appiccato il fuoco, come faceva Joseph Mobutu in Africa centrale, possono sempre candidarsi agli occhi della comunità internazionale nel ruolo di pompieri. Idriss Deby, presidente del Ciad dal 1990, si è guadagnato la stella di sceriffo antiterrorismo mandando i propri uomini a sostenere le operazioni militari francesi per liberare nel 2013 il quadrante settentrionale del Mali da un embrione di califfato d’Africa. E a casa sua? All’inizio del nuovo secolo ha sostenuto apertamente Ibrahim Khalil, “fratello” della sua stessa etnia e leader del Jem, il Movimento per la giustizia e l’uguaglianza, che agitando l’indipendenza del Darfour nel 2008 ha portato un attacco diretto su Khartoum, per rovesciare il sistema affaristico del presidente al-Bashir, rimettere in sella Hassan al-Tourabi e rifondare lo stato sulla sharia e l’islamismo radicale. Sul versante opposto, al confine con la Nigeria opera Boko Haram, organizzazione nominalmente nemica, i cui uomini comprensibilmente utilizzano materiale strappato all’esercito nigeriano, ma inspiegabilmente dispongono di armi e mezzi in dotazione alle forze armate ciadiane. Per rimanere in zona, Boko Haram, attaccato pesantemente dall’esercito nigeriano, aveva bisogno di un rifugio sicuro e lo ha tro©ISPI2016 In Africa i regimi autocratici sono ancora parecchi. Mugabe in Zimbabwe, Biya in Camerun, Sassou N’Guesso in Congo, Alì Bongo in Gabon, Teodoro Obiang in Guinea Equatoriale, Yoweri Museveni in Uganda, Idriss Deby in Chad, Omar al-Bashir in Sudan, sono solo alcuni dei leader africani che direttamente o come successori dei loro padri, attuando sistematicamente il golpe bianco per modificare le Costituzioni ed eliminare il limite di mandati, perpetuano a Sud del Sahara regimi arcaici. Il tempo a differenza degli articoli di legge non può essere abrogato e nell'arco di pochi anni molti paesi potrebbero essere chiamati a confrontarsi con un vuoto di potere e il rinnovamento delle classi dirigenti. Un processo da sostenere. Per tutto quello che può comportare in termini di sviluppo civile, economico e sociale, ma anche per le ricadute positive sulla sicurezza globale. 2