Il rischio osteoporotico nella malattia di Crohn.

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Il rischio osteoporotico nella malattia di Crohn.
Vol. 96, N. 5, Maggio 2005
Pagg. 254-260
Il rischio osteoporotico nella malattia di Crohn.
Epidemiologia, patogenesi e trattamento
Lidia Di Prima1, Carmela Sferrazza2, Daniela Avila2, Giuseppe Pirrone1,
Giovanna Cappello1, Gabriele Di Lorenzo2, Antonio Carroccio1,
Giovan Battista Rini2, Gaetana Di Fede2
Riassunto. Vengono discussi gli aspetti patogenetici dell’osteoporosi, i fattori di rischio
ed il rapporto fra dati densitometrici e rischio di fratture. Vengono valutati i trial di terapia per il trattamento e la prevenzione dell’osteoporosi.
Parole chiave. Alendronato, bifosfonati, calcio, corticosteroidi, densità minerale ossea, densitometria, fluoruro di sodio, fratture spontanee, malattia di Crohn, osteoporosi, vitamina D.
Summary. Osteoporotic risk in Crohn’s disease.
The pathogenetic mechanisms, risk factors and relationship between densitometric
data and risk of fractures have been examined. The results of treatment trials and prevention measures have been showed.
Key words. Alendronate, bone mineral density, calcium, corticosteroids, Crohn disease,
densitometry, sodium floride, spontaneous fractures, vitamin D.
Introduzione
La malattia di Crohn (MC) è caratterizzata da
un’ampia e variabile serie di manifestazioni cliniche, sia gastroenterologiche che extra-intestinali,
la cui varietà dipende sia dalla localizzazione della malattia nei diversi tratti gastro-intestinali, sia
dal possibile coesistere di manifestazioni sistemiche. Infatti è noto che la MC può coinvolgere tutto
il tubo digerente, dalla bocca all’ano, con localizzazioni segmentarie che interessano ampi tratti d’organo, lasciando zone indenni tra una lesione e l’altra. L’intestino tenue è comunque la sede elettiva
della malattia.
L’incidenza di MC è stimata prossima a
5/100.000 nella popolazione generale dei paesi occidentali, ma essendo una patologia cronica e per di
più insorgente in soggetti giovani, la sua prevalenza
è molto più alta, stimandosi prossima a 50/100.0001.
Poiché la MC non è definitivamente curabile, né
con terapia medica né con terapia chirurgica, si
tratta di una patologia spesso molto invalidante e
certamente impegnativa per il medico che la deve
trattare.
La terapia della MC deve tendere a ottenere la
remissione della fase acuta e, successivamente, a
mantenere lo stato di remissione (asintomaticità),
garantendo una buona qualità della vita.
Questi obiettivi devono essere raggiunti tenendo conto, ovviamente, della tossicità, nel breve e
lungo termine, dei farmaci impiegati; sia gli steroidi che gli immunosoppressori sono largamente utilizzati nel trattamento della MC e il bilancio rischio/beneficio del loro uso impiego essere sempre
tenuto in considerazione.
Questo articolo si occuperà di valutare un aspetto
della MC che va divenendo sempre più rilevante:
la relazione fra MC ed insorgenza di osteoporosi
con conseguenti fratture ossee spontanee.
L’associazione fra la patologia osteoporotica e la
MC, è dovuta sostanzialmente a:
1) presenza di una malattia cronica, spesso di
lunghissima durata, che coinvolge il tubo digerente determinando un malassorbimento
intestinale;
2) necessità di protratti e/o ripetuti trattamenti
steroidei che hanno la potenziale capacità di impoverire il contenuto minerale osseo.
Lo “strumento” della mineralometria ossea
(densitometria)
La quantificazione del contenuto minerale osseo
mediante esame densitometrico ha aperto una nuova
era nello studio dell’osteoporosi.
1Dipartimento di Medicina Clinica e Patologie Emergenti, Medicina Interna I; 2Medicina Interna II, Università
degli Studi, Azienda Universitaria Policlinico, Palermo.
Pervenuto il 3 gennaio 2005.
L. Di Prima, et al.: Il rischio osteoporotico nella malattia di Crohn. Epidemiologia, patogenesi e trattamento
L’osteoporosi è un disturbo scheletrico sistemico,
caratterizzato da una ridotta densità minerale ossea
cui corrisponde una aumentata probabilità di fratture.
Ampi studi su popolazione generale hanno dimostrato
che una BMD misurata con metodo densitometrico è
un importante fattore di rischio per l’insorgenza di
fratture2,3. Dunque, nel considerare il rischio osteoporotico e di fratture nei pazienti sofferenti di MC, non si
possono non considerare i dati densitometrici come primo parametro di riferimento. A tal proposito, per una
corretta comprensione di quanto verrà esposto, occorre
ricordare che i risultati della densitometria vengono
espressi come numero di deviazioni standard che differenziano l’esame in oggetto dal valore medio di massa
minerale ossea osservato in una popolazione di riferimento composta da giovani adulti dello stesso sesso.
Tale valore è detto T-score ed in accordo con le raccomandazioni della Organizzazione Mondiale della Sanità per le donne in post-menopausa, viene definita
osteopenia una condizione con T-score compreso fra –1
e –2,5, mentre si definisce osteoporosi la condizione con
T-score < –2,5 4. Altro parametro da considerare è lo Zscore, che si ottiene secondo gli stessi criteri su esposti,
ma utilizzando come controllo di riferimento una popolazione comparabile per sesso, età ed etnia al soggetto in esame.
Patogenesi dell’osteoporosi
nella malattia di Crohn
La WHO definisce l’osteoporosi come una malattia sistemica dello scheletro caratterizzata da una
riduzione della massa ossea e da un deterioramento della microarchitettura del tessuto osseo con conseguente incremento della fragilità ossea e di facilità di fratture5. Perché si verifichi perdita di massa
ossea è necessario che si instauri un processo di rimodellamento negativo con prevalenza del riassorbimento osseo rispetto alla nuova apposizione.
È stata descritta una osteoporosi a basso turnover in cui ad un normale riassorbimento si associa una ridotta sintesi di matrice osteoide che
verrà comunque normalmente mineralizzata. In
questo caso gli indici biochimici di riassorbimento
osseo risulteranno normali. Nell’osteoporosi ad alto turnover si verifica invece un aumento del riassorbimento osseo per aumentata attività degli
osteoclasti ed elevata escrezione di prodotti di degradazione del collageno. Il conseguente aumento
dell’attività di sintesi da parte degli osteoblasti ,
pur sempre presente, sarà in questi casi insufficiente a compensare la perdita. Mentre l’osteoporosi a rapido turnover è tipica della post menopausa, nei pazienti trattati con corticosteroidi prevale la forma a basso turnover; nelle patologie
infiammatorie gastrointestinali sono presenti entrambi i meccanismi6.
Anche l’alterazione della microarchitettura, pur
non riflettendo sempre una riduzione della densità
ossea, svolge un ruolo importante nella perdita di
solidità delle strutture ossee ma è difficile studiarla con indagini non invasive. Cambiamenti tipici
dell’osso trabecolare includono riduzione numerica
delle trabecole e perforazioni delle stesse con la formazione di profonde aree di riassorbimento e perdita delle connessioni intertrabecolari.
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Come accennato, oltre ai fattori di rischio per
l’osteoporosi caratteristici della popolazione generale, nei pazienti con malattia di Crohn sono implicati altri fattori di rischio7-9. Sicuramente il processo infiammatorio e i mediatori della flogosi prodotti a livello intestinale che sono alla base della
MC svolgono un ruolo importante nello sviluppo
dell’osteoporosi, indipendentemente dall’uso di terapia corticosteroidea7,10,11. Nella tabella 1 sono riassunte le cause di osteoporosi nella MC.
Pazienti con MC e osteoporosi presentano elevati livelli di IL-6 rispetto a pazienti con MC ed esame densitometrico nella norma. L’interleuchina 6
nell’osso promuove la differenziazione degli osteociti in osteoclasti, quest’ultimi vengono quindi attivati ad opera del TNF e della stessa IL-1 con conseguente incremento del riassorbimento osseo12. A
conferma di tale meccanismo, uno studio sperimentale evidenziava che in un modello murino di colite
il processo flogistico intestinale si associava a perdita di circa il 33% di osso trabecolare e ad una ridotta neoformazione di matrice ossea. La guarigione dalla colite riportava a normali indici di apposizione di massa ossea e di densità minerale ossea13.
Tabella 1. - Cause di osteoporosi
nella malattia di Crohn.
Fattori di rischio generali e non specifici
Età avanzata
Sesso femminile
Prematura scomparsa delle funzioni gonadiche
Etnia caucasica o asiatica
Familiarità per osteoporosi
Inattività fisica
Ridotto apporto di calcio con la dieta
Fumo di sigaretta
Abuso di alcool
Fattori di rischio correlati alla MC
Farmaci (ciclosporina,metotrexate, corticosteroidi)
Incremento citochine infiammatorie (IL-6, IL-1, TNF)
Deficit di vitamina D
Malassorbimento del calcio
Pazienti con MC hanno un aumentato rischio
di sviluppare deficit di vitamina D sia per un ridotto apporto dietetico, sia per malassorbimento
legato alla malattia del piccolo intestino o a sindrome dell’intestino corto. È noto, infatti, che la
chirurgia resettiva di ampi tratti del tenue per il
trattamento di stenosi o altre complicanze fa parte della storia clinica della maggior parte dei pazienti affetti da malattia di Crohn, portando, in
casi estremi, a quadri di sindrome da intestino
corto. La resezione della superficie assorbente è,
dunque, un cofattore patogenetico importante di
perdita minerale ossea; infatti, un deficit di vitamina D si osserva approssimativamente nel 30%
dei pazienti con MC14,15, ma la percentuale sale al
62% in pazienti con MC che hanno subìto resezioni intestinali.
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Recenti Progressi in Medicina, 96, 5, 2005
L’uso di corticosteroidi è certamente la causa
più importante di demineralizzazione ossea e
di osteoporosi per i pazienti con MC e riguarda nella stessa misura sia il sesso femminile
che quello maschile16.
La perdita di massa ossea dipende sia dalla dose che dalla durata della terapia con corticosteroidi.
Dati riguardanti pazienti asmatici, anch’essi trattati con steroidi, indicano come il processo sia più rapido in pazienti con età inferiore ai 40 anni17. I corticosteroidi agiscono sia sul riassorbimento osseo che
sulla neoformazione, determinando una perdita di
tessuto e un maggior rischio di fratture principalmente in aree di osso trabecolare (come i corpi vertebrali) che sono la sede più frequente di frattura. La
tabella 2 riassume i meccanismi attraverso i quali l’uso degli steroidi può indurre osteoporosi. I corticosteroidi riducono la produzione e differenziazione degli
osteoblasti e ne inibiscono la funzione riducendo la
formazione di nuovo osso e, contemporaneamente,
promuovono l’attività degli osteoclasti aumentando
la produzione di IL-11,16. Inoltre, l’aumento del riassorbimento osseo è mediato in gran parte da un aumento della increzione di paratormone secondario ad
un ridotto assorbimento di calcio a livello intestinale
e ad una aumentata escrezione renale di calcio. Non
sono ancora ben chiariti i meccanismi attraverso cui
si verificano anormalità nell’assorbimento e idrossilazione della vitamina D, e nei livelli di produzione di
paratormone e calcitonina.
Come si è già detto, la patogenesi dell’osteopenia e dell’osteoporosi in pazienti con MC non è ancora perfettamente conosciuta, per quanto un contributo determinante è dato da fattori endocrini,
metabolici, genetici, nutrizionali ed infiammatori.
L’osteoporosi è associata ad un alto rischio di fratture della colonna vertebrale, bacino e radio con
conseguente significativo aumento di morbilità e
mortalità.
Clinicamente, le fratture vertebrali determinano dolore alla schiena, perdita di peso, deformità
della colonna e disabilità. Nuove fratture sono associate con un incremento del dolore e aumento della limitazione funzionale. Considerando che i pazienti con MC hanno una normale aspettativa di vita è chiaro che, soprattutto tra giovani pazienti, le
fratture vertebrali possono rappresentare un serio
handicap.
La rilevanza clinica dell’osteopenia nei pazienti con MC rimarrà poco chiara fino a quando non
saranno disponibili dati sufficienti sul rischio e
sulla prevalenza di fratture in questi pazienti. Attualmente, numerosi ma limitati studi sono stati
condotti sul rischio di fratture e dati recenti derivanti dall’utilizzo di database o di questionari mostrano un incremento di incidenza di fratture tra
pazienti con IBD, in particolare nelle donne. Nonostante ciò, la prevalenza di fratture vertebrali in
pazienti con MC con ridotta densità minerale ossea (T score <-1) non è conosciuta.
Da numerosi studi è emersa una notevole variabilità di frequenza di fratture in pazienti con
MC. Mentre Motley et
al.19, in uno studio longitudinale condotto mediaTabella 2. - Meccanismi di riassorbimento osseo indotto dalla terapia corticosteroide.
mente per quattro anni su
51 pazienti con MC, non
Aumentato riassorbimento osseo
Ridotta formazione di osso
hanno riportato alcun caso di frattura, diversi altri
Ridotto assorbimento intestinale di calcio Ridotta sintesi di osteoblasti
studi riportano una auAumentata escrezione renale di calcio
Ridotta proliferazione di osteoblasti
mentata frequenza di fratAumentata attività paratiroidi
Alterata produzione di ormoni gonadici
ture in pazienti con MC,
Ridotta sintesi di calcitonina
principalmente a livello di
Aumentata attività osteoclastica
colonna vertebrale20,21.
In tutti gli studi emerge come la frequenza di
fratture sia correlata con una più bassa densità
La perdita di massa ossea in pazienti trattati
minerale ossea e soprattutto con la dose e la duracon corticosteroidi è più rapida durante le prime
ta della terapia corticosteroidea. È importante sotsettimane di trattamento e, con buona probabilità,
tolineare che circa due terzi delle fratture verteè direttamente proporzionale alla dose di steroide
brali non vengono diagnosticate perché clinicaimpiegata. In un recente studio, basse dosi di cormente silenti e che quindi la loro reale incidenza è
ticosteroidi (prednisone < 10 mg/die) hanno mocertamente sottostimata.
strato solo uno scarso effetto sulla incidenza di
Un interessante questionario sulle fratture è stafratture e sulla riduzione di massa ossea, verosito spedito per posta ai pazienti che fanno parte delmilmente attraverso la simultanea soppressione
la Associazione di malati di Crohn in Danimarca22 e
dello stato infiammatorio18.
in base ai risultati è stato calcolato il rischio relativo per fratture nei pazienti con MC. Dalle risposte al
Malattia di Crohn e rischio di fratture
questionario è risultato che pazienti con MC hanno
un rischio relativo per fratture di 1,7 rispetto alla popolazione generale, con un rischio maggiore nelle
I pazienti con malattia intestinale infiammatodonne che negli uomini. Il rischio relativo aumenta
ria (IBD) sono ad alto rischio di riduzione della
nelle donne in post-menopausa e in pazienti con fadensità minerale ossea e specialmente i pazienti
miliarità per fratture.
con malattia di Crohn.
L. Di Prima, et al.: Il rischio osteoporotico nella malattia di Crohn. Epidemiologia, patogenesi e trattamento
L’indagine presentava però severe pecche metodologiche; i controlli utilizzati per lo studio non erano ben selezionati in quanto si registrava una maggiore frequenza di maschi, di soggetti più anziani, un
minor numero di fumatori e di pazienti che non facevano uso di terapia ormonale sostitutiva; inoltre,
tutti quelli che hanno risposto al questionario erano
in genere pazienti con un maggior rischio di fratture. Nonostante questi errori di base, i dati danesi devono essere tenuti in conto, a causa l’estrema esiguità di studi similari.
Due ampi studi americani sono stati pubblicati
su MC e rischio di fratture23,24.
Il primo è stato condotto su 6027 pazienti con
IBD confrontati con ugual numero di controlli sani con caratteristiche similari per età sesso e località geografica di residenza. I pazienti con frattura
erano identificati usando il database della amministrazione della provincia di Manitoba che includeva i dati della copertura assicurativa sanitaria
di tutta la popolazione. La frequenza globale di
fratture, più alta rispetto ai controlli per i pazienti con MC, è stata individuata prossima a 1 per 100
pazienti per anno. Si evidenziava una correlazione
chiara tra frequenza di frattura, principalmente a
livello di anca e colonna vertebrale, ed età del paziente. Per semplificare i risultati di questo studio,
possiamo dire che esiste un più alto rischio di fratture nei pazienti con IBD, ma tale rischio è solo di
poco più alto rispetto alla popolazione generale. Da
rilevare che un disegno come quello adottato nella
ricerca non presenta gli stessi errori dello studio
“per corrispondenza” precedentemente citato.
Il secondo studio americano di popolazione ha
usato il database della contea di Olmsted, Minnesota24 ed ha valutato 243 pazienti con MC. Il dato
principale che è emerso indica che il rischio di frattura in questi pazienti rispetto alla popolazione generale non è molto più alto, eccetto che nei pazienti più anziani. Infatti, sebbene l’incidenza cumulativa per ogni frattura fosse del 36%, dopo 20 anni
di osservazione nei controlli si registrava una incidenza simile (32%). Quantunque lo studio sia stato condotto su un numero relativamente esiguo di
pazienti, il messaggio principale è simile a quello
proveniente dallo studio di Manitoba: i pazienti
con MC presentano un lieve aumento del rischio di
fratture se confrontati con la popolazione generale, ma questo rischio aumenta considerevolmente
in pazienti più anziani affetti da malattia di
Crohn. Un dato contraddittorio è che né la durata
della malattia, né l’uso di corticosteroidi, né la storia di resezioni intestinali incrementavano, in questo studio, il rischio di fratture.
Un importante studio prospettico è stato di recente pubblicato, per stabilire la prevalenza di
fratture vertebrali usando la densitometia ossea e
la morfometria quantitativa a livello della colonna toracica e lombare25. Sono stati reclutati 293
pazienti consecutivi con MC seguìti tra il gennaio
1998 e il gennaio 2001 presso una Unità di Gastroenterologia. Tutti i pazienti sono stati sotto-
257
posti a densitometria ossea della colonna lombare
e dell’estremità prossimale del femore destro. Al
femore prossimale la densità minerale ossea era
valutata in quattro punti diversi (collo del femore,
trocantere, area intertrocanterica e triangolo di
Ward). Per stabilire la presenza o meno di osteoporosi veniva utilizzata una media dei valori ottenuti tra quelli della colonna e la media dei valori
dei quattro siti femorali. La densità minerale ossea era espressa sia come valore assoluto (g/cm2)
sia come numero di deviazioni standard dall’indice di massa ossea di giovani adulti comparabili
per sesso ed età (T-score). In accordo con le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della
Sanità per donne in post-menopausa, l’osteopenia
era definita come un T-score<–1 SD e l’osteoporosi con T-score di <–2,5 SD. Per stabilire la presenza di fratture vertebrali, tutti i pazienti con valori densitometrici di osteopenia od osteoporosi (156
dei 293 pazienti inizialmente reclutati) venivano
sottoposti a Rx in proiezione antero-posteriore e
laterale della colonna vertebrale dorsale e lombare. Nei pazienti con frattura vertebrale L1-L4 i
valori medi di BMD venivano ricalcolati escludendo la vertebra fratturata. Le fratture venivano valutate utilizzando la morfometria quantitativa mediante l’uso di già stabilite percentuali di
riduzione dell’altezza delle vertebre. Questo è infatti il metodo più semplice e più pratico per stabilire la presenza di deformità delle vertebre. Inoltre, ogni qualvolta veniva posta diagnosi di deformità vertebrale, si eseguiva una diagnosi
differenziale radiologica per stabilire l’etiopatogenesi (osteoporotica, degenerativa, traumatica o altro). Le fratture osteoporotiche sono state distinte in fratture con evidente linea di frattura e fratture con alterata struttura, ma senza evidente
linea di frattura. I risultati della radiografia della colonna vertebrale nei 156 pazienti con osteopenia a livello del tratto lombare (n=111) o con
osteoporosi (n=45) mostrarono che 34 di essi
(21,8%, 18 femmine) avevano una o più fratture
osteoporotiche della colonna. La misurazione
quantitativa dimostrava la presenza di un totale
di 63 fratture: 50 fratture presentavano una evidente linea di frattura ed interessavano 25 soggetti (16%, 15 femmine); 13 fratture in 9 pazienti
(5,8%, 3 femmine) erano caratterizzate da un’alterata struttura ossea, senza evidente linea di
frattura. In 122 pazienti con osteopenia o osteoporosi non si evidenziavano fratture (78%, 66 femmine). La prevalenza di fratture vertebrali era più
alta in pazienti con osteoporosi che in pazienti con
osteopenia. In quattro donne le fratture erano clinicamente evidenti con dolore alla colonna e disabilità, mentre negli altri pazienti le fratture erano asintomatiche. La densità minerale ossea era
significativamente ridotta nei pazienti con fratture rispetto a quelli senza fratture. In definitiva, è
stata rilevata una elevata prevalenza di fratture
vertebrali in pazienti con MC e ridotta BMD (T
score <–1). La prevalenza di fratture vertebrali
era del 21,8%. In 34 dei 156 pazienti sono state dimostrate una o più fratture vertebrali.
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Recenti Progressi in Medicina, 96, 5, 2005
Altri due studi avevano mostrato risultati sulla elevata frequenza di fratture nella MC analoghi a quelli di Klaus e coll.
Bernstein e coll.23 hanno dimostrato una incidenza di fratture vertebrali in pazienti con MC
del 50% in più rispetto alla popolazione generale.
Vestergaard26 ha dimostrato un più alto rischio di
fratture low energy in donne con MC.
Lo studio di Klaus e coll25 rappresenta il primo
studio prospettico di prevalenza di fratture utilizzando metodi standardizzati analoghi ai criteri dello studio EVOS (European Vertebral Osteoporosis
Study). Quest’ultimo è uno studio epidemiologico
che ha analizzato la prevalenza di fratture vertebrali in donne e uomini di età superiore ai 50 anni
e rappresenta un punto di riferimento metodologico
fondamentale per tutte le ricerche basate sulla valutazione della densitometria ossea27,28. Nello studio EVOS la percentuale di fratture vertebrali osservata è stata del 12% (media fra tutti i Centri partecipanti alla ricerca).
Nello studio di Vestergaard26 la prevalenza di
fratture vertebrali è risultata più alta se comparata con la prevalenza riportata dallo studio EVOS
nella popolazione generale. Questo risultato è maggiormente interessante se si considera la più alta
età media dello studio EVOS e che in quest’ultimo
non veniva fatta una diagnosi differenziale delle
fratture (osteoporotiche o altro).
Nello studio EPOS (European Prospective
Osteoporosis Study), la prevalenza di fratture osteoporotiche risulta del 10,6% rendendo ancora più significativi i risultati sopra riportati27.
Tornando allo studio di Klaus e coll., appare
importante sottolineare come i risultati ottenuti
confermino la stretta relazione fra risultati di
densitometria, stato osteoporotico e rischio di fratture. In generale, l’associazione tra osteoporosi in
post-menopausa e crolli vertebrali è ben descritta
in letteratura. Per quel che riguarda la densitometria ossea, è riportato che ogni spostamento di
una DS della densità minerale ossea incrementa
il rischio di fratture approssimativamente di due
volte. Concordemente con quanto appena esposto,
lo studio di Klaus e coll. mostrava una più alta
prevalenza di fratture in pazienti con osteoporosi,
comparati con i pazienti con osteopenia. La densità minerale ossea appariva significativamente più
alta nei 122 pazienti senza fratture vertebrali
confortando l’ipotesi che la riduzione della densità minerale dell’osso è un fattore di rischio determinante per le fratture vertebrali. Tuttavia, non è
stata rilevata alcuna correlazione tra il numero di
fratture vertebrali per paziente e la densità minerale ossea nel singolo paziente; ciò è in contrasto con i risultati dello studio di Mann e coll.28 che
avevano dimostrato come il numero di fratture
vertebrali correlasse negativamente con la densità minerale ossea di femore e vertebre.
Un’altra considerazione riguarda l’età dei pazienti affetti da MC; è da notare che i pazienti con
osteoporosi erano solo di poco più anziani dei pa-
zienti con osteopenia ed anche l’età dei 34 pazienti con fratture vertebrali era solo lievemente superiore a quella dei 122 pazienti senza fratture
vertebrali. Questo dato suggeriva debole correlazione fra l’età del paziente con IBD e l’insorgenza
di osteoporosi e fratture, tanto che molti giovani
pazienti con età inferiore a 30 anni presentavano
fratture vertebrali.
Klaus e coll. non hanno valutato se vi era una significativa prevalenza di fratture in pazienti con MC
con una normale BMD (il disegno dello studio non
prevedeva l’esame radiologico della colonna per chi
avesse una densitometria normale).
Un altro dato da sottolineare è di natura clinica:
l’alta frequenza di fratture silenti in pazienti con MC
e osteoporosi conclamata. Le fratture erano clinicamente evidenti soltanto in quattro pazienti.
Prevenzione e trattamento
dell’osteoporosi nella malattia di Crohn
I risultati dei trial ai quali abbiamo fatto riferimento mostrano che uomini e donne con MC hanno un uguale rischio di sviluppare osteoporosi e
che tali soggetti hanno un 40-50% di maggiore probabilità di fratture. In questi pazienti la somministrazione di terapia corticosteroidea aumenta il rischio di osteoporosi.
Il trattamento dei pazienti con MC dovrebbe
essere diretto anche a prevenire la perdita di
massa ossea, controllando allo stesso tempo l’attività di malattia. Si dovrebbe, dunque, mirare al
mantenimento di una adeguata alimentazione
(con un corretto stile di vita, evitando l’abuso di
alcool ed il fumo di sigaretta) ed a somministrare
la più bassa dose di corticosteroidi; eventualmente utilizzando gli immunomodulatori per ridurre o
discontinuare la terapia steroidea.
La misurazione iniziale della densità minerale
ossea dovrebbe essere praticata in tutti i pazienti
con malattie infiammatorie croniche intestinali per
iniziare un’eventuale terapia di supporto e per avere un esame basale da confrontare con i successivi,
praticati in follow-up. L’esame di scelta per valutare la densità minerale ossea è la densitometria ossea eseguita sia a livello del femore che della colonna vertebrale; questo esame, come visto, ha anche un buon valore di predittività per il rischio di
fratture. I vantaggi della densitometria ossea rispetto ad altri metodi di misurazione della densità
minerale ossea consistono nella facile riproducibilità, nella rapidità di esecuzione, nella bassa dose
di radiazioni utilizzate e nel basso costo.
La densitometria ossea, tuttavia. non distingue
l’osteoporosi dall’osteomalacia, per cui si rende necessaria una valutazione iniziale del metabolismo
della vitamina D soprattutto in pazienti con MC a
localizzazione ileale o che hanno subìto resezioni
segmentarie dell’intestino tenue o segni di malassorbimento.
Oltre all’iniziale densitometria ossea, si dovrebbe eseguire il dosaggio urinario del N-telopeptide e della calciuria, da ripetere dopo quattro settimane per valutare l’efficacia della terapia.
L. Di Prima, et al.: Il rischio osteoporotico nella malattia di Crohn. Epidemiologia, patogenesi e trattamento
Infatti N-telopeptide urinario è un marcatore
rapido e altamente specifico dell’attività degli
osteoclasti. Una caduta della concentrazione dell’N-telopeptide urinario è predittivo, nelle donne in
postmenopausa in terapia sostitutiva con estrogeni o in pazienti in terapia con corticosteroidi, dell’incremento di massa ossea.
I dati della letteratura sulle strategie terapeutiche utili nel prevenire perdita di massa ossea in pazienti con MC sono limitati.
Secondo l’opinione di molti, i pazienti che devono
iniziare terapia con corticosteroidi dovrebbero contemporaneamente iniziare una profilassi per l’osteoporosi con calcio e vitamina D sia perché inizialmente le dosi di corticosteroidi utilizzate sono piuttosto alte, sia perché la perdita di massa ossea
indotta dai corticosteroidi è maggiore nelle prime
settimane di terapia. È però da notare che qualche
dato discordante appare in letteratura anche su questo punto. Infatti, in uno studio pilota condotto su 17
pazienti con MC trattati con terapia steroidea, la
somministrazione di 1000 mg/die di calcio e 250
IU/die di vitamina D per un anno non ha determinato significativi miglioramenti nella densità minerale ossea. Lo stesso studio ha messo in evidenza che
la media dei pazienti con malattia infiammatoria intestinale (IBD) introduce con la dieta una quantità
considerevolmente più bassa della dose giornaliera
raccomandata di calcio e vitamina D29. Quindi, un
supplemento orale di calcio e vitamina D può risultare utile, quando prescritto in maniera mirata, ai
molti pazienti con IBD per sopperire alle carenze
dietetiche. In uno studio randomizzato e controllato
versus placebo, che includeva 75 pazienti di ambo i
sessi affetti da MC, Vogelsang et al.30 hanno riportato che un trattamento con 1000 UI/die di vitamina D preveniva la perdita di massa ossea misurata
nell’avambraccio. Era però anche riportato che mediamente questi pazienti assumevano 1 IU/die di
vitamina D, che rappresenta solo il 20% della dose
giornaliera raccomandata. Resta quindi da chiarire
se dosi supplementari di vitamina D in pazienti con
un corretto apporto dietetico possano avere un ruolo nel prevenire la perdita di massa ossea.
Un altro farmaco potenzialmente utile è il fluoruro di sodio. Esso stimola la formazione di nuovo osso e ne promuove la mineralizzazione. Il suo
uso però non risulta privo di effetti collaterali che
si osservano in circa il 40% dei casi, includendo
disturbi gastrointestinali. Uno studio randomizzato condotto su 33 pazienti con MC31 ha confrontato gli effetti di una terapia con 1000 mg/die di calcio associato a 1000 UI/die di vitamina D con quelli di questa combinazione più 75 mg/die di fluoruro
di sodio. Nel secondo gruppo si è evidenziato un incremento medio dello Z-score a livello della colonna significativamente maggiore (1,39 versus 0,65,
P<0,05).
In pazienti trattati con corticosteroidi è frequente il riscontro di ipercalciuria, mentre l’iperossaluria e la presenza di calcoli di ossalato di
calcio possono essere di frequente riscontro in pa-
259
zienti con malassorbimento. Pertanto, quando il
livello di calcio nelle urine risulta elevato
(>4mg/kg), l’aggiunta di un diuretico tiazidico
alla terapia di pazienti con MC dovrebbe essere
considerata, per ridurre il rischio di nefrolitiasi e
migliorare l’omeostasi del calcio; si è infatti osservato come i diuretici tiazidici determinino un
incremento della densità ossea a livello sia del femore che della colonna vertebrale, riducendo il
rischio di fratture.
Per quei pazienti che nonostante un supplemento adeguato di calcio e vitamina D continuano a presentare riassorbimento osseo o osteoporosi documentata, si rende necessaria l’inibizione
dell’attività osteoclastica con calcitonina o bifosfonati32. La calcitonina agisce inibendo direttamente l’attività degli osteoclasti ed è disponibile
sia come spray nasale che come iniezioni sottocutanee. Tuttavia, l’uso dei bifosfonati sembra avere
basi più solide. In un trial clinico con 32 pazienti
con MC e osteopenia, l’ utilizzo di 10 mg/die di
alendronato determinava un incremento di massa
ossea del 3%-5% in un anno.
Pazienti trattati con calcitonina, bifosfonati o tiazidici dovrebbero essere seguiti in follow-up dosando
N-telopeptide urinario ed escrezione urinaria di calcio per verificare l’efficacia del trattamento.
Le norme igieniche generali conservano intatta la loro importanza. Per quanto concerne l’esercizio fisico, ad esempio, esso può certamente
mantenere, se non migliorare, lo stato di buona salute della massa ossea.
È raccomandata una densitometria ossea dopo
un anno di terapia per verificare la stabilità della
massa ossea: quindi è sufficiente eseguirne una
ogni due tre anni.
Per concludere: l’evidenza che il particolare stato infiammatorio tipico delle malattie croniche intestinali e l’utilizzo di corticosteroidi fanno di questi pazienti
una classe a rischio, impone ai gastroenterologi ed agli internisti una particolare attenzione
nell’uso di misure profilattiche. La diagnosi
precoce dell’osteopenia o dell’osteoporosi e l’avvio di terapie per rallentare la perdita di massa ossea sono oggi obiettivi meglio raggiungibili, tenuto conto del notevole miglioramento
avvenuto negli ultimi anni nelle tecniche di
diagnosi e di trattamento dell’osteoporosi.
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Indirizzo per la corrispondenza:
Dott. Lidia Di Prima
Azienda Universitaria Policlinico
Dipartimento di Medicina Clinica
e Patologie Emergenti
Via del Vespro, 141
90127 Palermo
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