Vivo solo e in pace, ogni tanto vado a fare

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Vivo solo e in pace, ogni tanto vado a fare
Vivo solo e in pace, ogni tanto vado a fare quattro passi fra concetti e idee.
Ho appena letto l’articolo di un convegno sul “male del secolo”: la solitudine.
La sola parola fa paura, si ha il terrore della solitudine.
Tralasciando i tristi casi di persone anziane abbandonate o sole perché superstiti di famiglie estinte, trovo che il
problema sia esattamente l’opposto: trascorriamo il novanta per cento della nostra vita in mezzo a decine, centinaia
di persone spesso sconosciute.
Facciamo colazione al bar, siamo imbottigliati nel traffico, nella bolgia; in ufficio siamo immersi nella promiscuità,
ogni privacy ci è preclusa, pranziamo insieme ai colleghi nella grande parte dei casi, poi in palestra, a nuoto, a fare
inutili corsi di pittura, di lingue ecc ….
Spesso usciamo a cena o dopo cena, siamo ovunque e spesso mai dove dovremmo essere o vorremmo essere.
L’unico spazio di solitudine resta quello del sonno.
La verità è che non stiamo mai soli o comunque il meno possibile.
Se dopo una giornata “tipo” ci troviamo a casa da soli e ceniamo con un solo piatto sul tavolo, ci sentiamo depressi,
pensiamo di essere delle persone sfigate, ci vergogniamo. Il tempo per il silenzio è scomparso, idem per quello
della lettura, della meditazione, dell’impegno nelle proprie piccole e necessarie occupazioni personali.
Abbiamo necessità del “gruppo”.
Il male dell’epoca, uno dei suoi mali almeno, è esattamente questo: noi non stiamo mai da soli, o meglio non
sappiamo stare soli.
Esiste una grande differenza tra essere soli e sentirsi soli.
Si può stare da soli senza sentirsi soli e la capacità di stare con se stessi aiuta a vincere il senso di solitudine.
Sentirsi soli è una condizione del cuore, un vuoto che ci fa sentire tristi e qualche volta senza speranza.
È necessario saper leggere la “solitudine” per cercare di guardarci dentro con occhi diversi e capire cosa
desideriamo o ci aspettiamo dagli altri.
Spesso la paura deriva dal fatto che con la solitudine si resta soli con se stessi e allora si può scoprire di avere una
solitudine interiore, un vuoto dentro che non possiamo colmare con gli amici, con le serate in discoteca, con il
frastuono, a volte si è soli perfino in una stanza piena di gente.
Si preferisce una compagnia devastante alla solitudine.
Come dice Giorgio Gaber nella sua canzone “La solitudine non è mica una follia, è indispensabile per stare bene in
compagnia”, la solitudine ci aiuta a stare bene con noi stessi, a coltivare un dialogo intimo e a prendere coscienza
dell’io più autentico e quindi a stare meglio con gli altri, perché si avrà qualcosa da offrire e da scambiare.
La paura è proprio questo: mettere in gioco se stessi nella ricerca del proprio essere.
Chiaramente non bisogna confonde “solitudine” con “isolamento” non sono affatto sinonimi!
L'isolamento è una condizione negativa, sottintende che senti la mancanza di qualcuno; senti il vuoto e hai paura.
La solitudine ha un significato totalmente diverso: non senti la mancanza degli altri perché hai trovato te stesso.
E’ comunque necessario distinguere tra diversi tipi di solitudine: solitudine affettiva, solitudine sociale o stare
in solitudine.
La differenza è sottile, sulla lama di un rasoio o borderline come si usa adesso, da una si può passare all’altra o
viceversa, e allora può diventare fortuna o disgrazia.
La solitudine affettiva dà un senso di abbandono, di vuoto, di impotenza, che può essere dovuta alla perdita di una
persona cara, ma spesso anche alla privazione di un affetto in età infantile, tipico di una infanzia infelice.
Qui chiaramente si apre una problematica difficilmente affrontabile.
La solitudine sociale significa ritrovarsi soli con la difficoltà a integrarsi nella società, per cui ci si sente fuori
posto, non accettati o addirittura esclusi e rifiutati dagli altri e questo è uno dei mali del nostro tempo, passiamo
più tempo in compagnia della tecnologia che con persone, in comunicazione virtuale con gli altri, chiusi tra quattro
mura che somigliano sempre più ad una prigione, dorata, ma sempre prigione.
Ci siamo inventati un’altra diavoleria per fingere di avere amici, i “social network”, in cui ti ritrovi con centinaia di
“amici” mai visti ne conosciuti.
Diverso è lo stare in solitudine, stare da soli.
C’è chi si sente solo anche in compagnia, questo si che è brutto !!
Molte persone che stanno sole, hanno una vita molto intensa, riempita dal lavoro, da hobby cui tengono molto,
interessi culturali, volontariato e quindi non soffrono la solitudine.
Un antidoto alla solitudine è quello di avere “oggetti d’amore” che riempiano la nostra vita.
Occorre una grande capacità d’amare per sapere stare soli o una grande forma di egoismo.
Gli svogliati, avendo una scarsa forza di volontà, non sono in grado di costruirsi oggetti d’amore perché raramente
superano lo scoglio della fatica della conoscenza dell’oggetto stesso.
La solitudine, se scelta, è uno stato di grazia, una conquista, un ritrovare se stessi.
Nella solitudine si riesce finalmente a parlare con se stessi, a meditare sulla nostra esistenza.
Stare soli è una serata a riordinare i pensieri, riordinare gli appunti, a leggere, ad ascoltare musica, sdraiarsi sul
divano a contemplare serenamente il soffitto, sedersi in un bar e osservare la gente che passa, fare una pedalata, una
passeggiata senza meta, dedicarsi ad una attività privilegio di pochi: pensare.
Riflettere, meditare, pensare, creare, lavorare in solitudine, sono concetti dimenticati.
Entriamo in casa e sentiamo la necessità di accendere qualche cosa che faccia rumore, radio, televisore, stereo, il
silenzio ci annoia o ci fa paura; abbiamo bisogno della confusione, del rumore, della folla proprio per non ritrovarsi
con il proprio io, con i propri pensieri, così da non dover fare i conti con le nostre scelte.
Un modo per apprezzare la solitudine è fare qualche cosa che amiamo o meglio, amare le cose che facciamo, dalla
lettura di un libro ad una passeggiata, dalla coltivazione di fiori alla cura della casa, dalla musica al silenzio.
Per esempio, leggere e tenere a portata di penna un taccuino su cui annotare citazioni, frasi, parole che ci hanno
colpito, ritagliare un articolo, strappare una pagina che può interessare, questo crea pensieri nuovi, stimola la
conoscenza e la creatività.
È sicuramente una condiziona non facile, ci si arriva con grande fatica, sacrificio, volontà e a volte sofferenza, ma
l’accettarsi come compagno di se stessi è un traguardo
Lasciarsi vivere spesso è meglio che scegliere come vivere e a volte è necessario chiudere la porta in faccia ai morti
che provano a tornare.
Stare soli però fa venire voglia degli altri; non più bisogno di tutti, ma desiderio di alcuni, quelli che scegliamo per
farci interrompere la gioia della solitudine pur di incontrarli, per parlare ed ascoltare.
Chiaramente non bisogna farsi schiacciare dalla solitudine.
Purtroppo esiste un grande pericolo nello stare soli, quello di non riuscire più a relazionare con gli altri; non riuscire
a trovare la stessa intesa che si ha con se stessi con le persone che incontriamo.
A volte non è una grande perdita.
Bisogna essere molto forti, avere una grossa personalità, una grossa forza interiore o forse una grande stupidità, ma
sicuramente una grande resistenza alla sofferenza.
Non voglio assolutamente negare la meraviglia di essere in condivisione di intenti con una persona, la meraviglia di
trovarsi due in uno è fantastica, ma questo è un’altra storia, non si possono fare paragoni.
Vista la difficoltà dell’argomento, lo lascio è chi è più esperto di me e che è riuscito a trovare l’altra metà della
mela e non l’unione di due solitudini.
Io sono più bravo nella teoria; all’orale me la cavo, nello scritto ho l’insufficienza.
Resta sempre valido il detto “meglio soli che male accompagnati”