16 Comunicare

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16 Comunicare
Pierpaolo Bellucci
COMUNICARE
Fare comunicazione nel tempo dei media
IL DIRETTORIO SULLE COMUNICAZIONI SOCIALI
La comunicazione del Vangelo richiede attenzione ai cambiamenti generati dagli
strumenti della comunicazione sociale. Per esercitare il suo ruolo profetico la comunità
ecclesiale deve comprendere e dialogare con la nuova cultura generata dalla crescente
diffusione dei media. E’ un dovere ed un’opportunità per la Chiesa saper rispondere
con coraggio alle nuove istanze culturali. Se non s’impegnasse con tutte le sue forze per
comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, non adempirebbe la sua missione
universale. La Chiesa negli ultimi anni ha posto una rinnovata attenzione al ruolo che la
comunicazione sociale gioca nella cultura e nella vita sociale del Paese. Il mondo dei
media è l’areopago dei tempi moderni, e da cristiani dobbiamo riprendere quelle pagine
degli Atti dove si narra il discorso di Paolo agli ateniesi. Il Direttorio “Comunicazione e
Missione” rappresenta una concreta e specifica attuazione di quanto auspicato negli
orientamenti pastorali, che richiamano l’importanza di innestare la comunicazione
sociale nell’azione missionaria della Chiesa. Con il Direttorio, s’intende proporre alla
comunità ecclesiale italiana un quadro strutturato delle prospettive su cui basare
l’azione pastorale. Destinatari del documento sono tutti i membri della comunità
ecclesiale, i responsabili della pastorale, gli operatori in genere e in particolare quelli per
le comunicazioni sociali e la cultura; chi gestisce i media cattolici e chi opera in essi; i
professionisti del settore; tutti coloro che sono responsabili della formazione perché
collochino la loro missione educativa nella nuova prospettiva generata dai media.
Le comunicazioni sociali crocevia del cambiamento
Per essere fedeli al Vangelo in questo nuovo contesto, un semplice processo di
adattamento o la ricerca di modalità aggiornate di comunicazione non bastano. Occorre
individuare forme credibili per una comunicazione della Fede in un contesto socioculturale, nel quale il Vangelo deve incarnarsi senza però disperdersi. L’attenzione a ciò
che emerge nella ricerca dell’uomo non significa rinunciare alla trascendenza del
Vangelo, bensì si tratta di adattare i contenuti alla realtà quotidiana. I media non sono
strumenti neutri: essi sono mezzo e messaggio, portatori di una nuova cultura che
nasce, prima ancora che dai contenuti, dal fatto stesso che esistono nuovi modi di
comunicare, forti di nuovi linguaggi e nuovi atteggiamenti psicologici. Discernere
significa comprendere la natura, le dinamiche e gli esiti del nuovo processo mediatico
per saper selezionare e scegliere. Proprio perché così potenti, i media possono
comportare non pochi rischi: se usati per condizionare la vita democratica, politica ed
economica, possono risultare devastanti per i singoli come per il sistema sociale. Per
questo la Chiesa è sempre vigile e prudente. Se usati correttamente, i media
costituiscono da una parte una risorsa per il singolo, per la società e per lo sviluppo dei
popoli, dall’altra segnano nuove frontiere tra zone di ricchezza e sacche di povertà.
Nuove opportunità di sviluppo e di collaborazione tra i popoli potrebbero derivare
dalla condivisione delle conoscenze. Ma così non sempre accade. Le tecnologie e i
processi della comunicazione sociale sono sempre più collegati con il sistema
economico e commerciale, fino a diventarne dipendenti. Anche l’informazione rientra
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in questo processo, e il confine tra comunicazione e spettacolo diventa sempre più
labile. Quanto più aumenta la dipendenza della comunicazione sociale dal sistema
economico, tanto più risulta necessario introdurre criteri etici. I bilanci economici sono
importanti, ma ogni investimento nel campo delle comunicazioni sociali deve essere
fatto in sintonia con il rispetto della dignità della persona, delle verità fondamentali e
della libertà. Occorre promuovere codici deontologici e autoregolamentazioni, facendo
sempre riferimento alla logica del dono e della comunione. Il sistema mediatico si
presenta articolato e non sempre omogeneo: quindi i topos culturali che determina sono
molto differenti. I media tradizionali convivono accanto ai nuovi media. I primi sono
caratterizzati dalla cosiddetta “cultura di massa”, ovvero cinema, radio, giornali e
televisione. I secondi sono maggiormente caratterizzati da una forte interattività
multimediale, il cui simbolo è internet, che consente sia collegamenti personali sia la
costituzione di nuove forme di aggregazione sociale. I media abbattono differenze
culturali e territoriali, creando un areopago mondiale. Le nuove tecnologie, inculcando
nuovi modi di pensare, rischiano di schiacciare i valori tradizionali. Almeno tre sono gli
aspetti sui quali vigilare in vista della missione ecclesiale: la perdita dell’interiorità,
l’incontro superficiale e la sostituzione della verità con l’opinione. I tratti della cultura
mediale ci ricordano che l’uomo può realizzare la sua umanità solo tramite una
comunicazione capace di verità e comunione. La comunicazione è luogo dove
apprendere i criteri della comunione e della condivisione, che sono il frutto di un
ascolto attento e rispettoso e di un’adesione alla verità sull’uomo e sul suo destino.
Da cristiani nella cultura dei media
Solo il cittadino globale che abbia una percezione totale di sé, dunque del suo essere
umano bisognoso di relazioni con altri uomini, potrà affrontare nella maniera giusta la
nuova sfida nella società dei media. Tanto più il cristiano deve avere una precisa
concezione del suo essere, se vuole essere testimone del Vangelo in un mondo che
cambia. Non va dimenticato che la prima modalità di comunicazione della Fede resta la
testimonianza. Chi desideri farsi comunicatore dinamico deve porre al centro l’ascolto.
A partire da questa disponibilità la persona può orientare i sentimenti, i desideri, i
progetti, le attese e il tempo che gli è dato, vivendo con responsabilità la propria vita e
le relazioni di cui è intessuta. Cristo si rivela come auto-comunicazione dell’amore di
Dio per gli uomini, rompendo le catene dell’incomunicabilità umana e orientandola
verso un futuro pieno di comunione. Gesù è icona di umanità e divinità in dialogo.
Portando dentro di sé la passione per la volontà del Padre e quella per l’uomo che cerca
la vita, ogni sua azione e ogni sua parola diventano spada a doppio taglio capace di
distinguere e separare il grano dalla zizzania, nel presente della storia. Gesù di
Nazareth è uomo della parola e del silenzio, della meditazione nel giorno e nella notte.
Le notti passate in preghiera sono un segnale, secondo la testimonianza evangelica, di
una relazione unica con la fonte dell’Amore, il Padre. Lo Spirito consente una proficua
comunicazione tra gli uomini, il cui messaggio deve essere orientato a Colui che è Via,
Verità e Vita. La partecipazione della Chiesa all’evento comunicativo del Figlio
Unigenito avviene in forza di tre elementi fondamentali:
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1. condivisione della Fede
2. celebrazione eucaristica
3. vita fraterna
La comunione, di cui la Chiesa vive, si esplica in un dire (annuncio) e in un fare
(celebrazioni e relazioni). In forza di tali processi si realizza una dilatazione
dell’esperienza originaria dello stare con Gesù, fino ad includere tutta l’umanità. Nata
dall’evento comunicativo del Verbo, la Chiesa è costituita essenzialmente come
trasmissione di questo evento di comunicazione tra gli uomini nelle forme
comunicative della società umana. Forme legate alla storia, al tempo, che non
penalizzano la missione della Chiesa, ma anzi offrono nuove opportunità per andare in
tutto il mondo e predicare il Vangelo ad ogni creatura. La Chiesa non è soltanto un
luogo di trasmissione della Fede, non è una semplice emittente. Custode fedele della
Parola, la Chiesa è chiamata a porsi in religioso ascolto di essa, riconoscendola come
dono da condividere con tutti gli uomini. L’evangelizzazione consiste nella
comunicazione di questa Parola. La forza comunicativa della Parola di Dio emerge in
maniera singolare nella celebrazione liturgica. Qui l’annuncio accade. Non più solo
espressioni verbali, ma realtà. Per questo è importante curare la liturgia, per dare una
testimonianza visiva del nostro Credo. Siamo consapevoli dell’inadeguatezza dei nostri
mezzi per una missione così grande, così come ne era consapevole Paolo quando
scriveva la seconda Lettera ai Corinzi (cf 2 Cor 4,7-10): teniamo presente che vanno
evitati i due eccessi: da un lato diffidare delle tecnologie fino a demonizzarle, dall’altro
cedere al facile entusiasmo pastorale del tutto ciò che è nuovo è bello e buono.
Integrare il messaggio cristiano nella cultura dei media
Il ruolo dei media risulta essenziale per attuare il Progetto Culturale della Chiesa
italiana, che si propone l’inculturazione della Fede e l’evangelizzazione della cultura. La
Fede non è autentica e la missione della Chiesa non è efficace, se non assumono uno
spessore e una valenza culturali. La comunicazione sociale diviene contenuto e rete
dello stesso progetto culturale cristianamente ispirato. Per svolgere la sua missione in
questo nuovo contesto culturale, alla Chiesa viene richiesta una nuova conversione
pastorale, che include ed esige una conversione culturale. E’ necessario passare ad una
pastorale di missione permanente. La consapevolezza della necessità di leggere le
attuali esigenze sociali va messa al centro dei vari percorsi pastorali destinati al mondo
della scuola, ai giovani e alle famiglie. L’evangelizzazione costituisce la missione
fondamentale della Chiesa in ogni tempo e cultura, e la catechesi rappresenta l’opera
educativa della comunità che conduce i battezzati alla maturità della Fede. La pastorale
catechistica italiana ha avuto dopo il Concilio Vaticano II una stagione feconda di
rinnovamento: saper leggere e servirsi in modo adeguato degli strumenti della
comunicazione è il minimo richiesto ad ogni catechista. Occorre poi considerare che la
catechesi si rivolge sempre più a persone adulte, venendo ad assomigliare ad un
catecumenato. Come faceva Gesù, il catechista comunicatore deve saper modulare
simboli, parabole, racconti, testimonianze che parlino di Fede libera e responsabile. Al
comunicatore della Fede è chiesto di saper usare tutti i registri della comunicazione: il
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linguaggio verbale e non verbale, le immagini e i suoni, attingendo dai media esempi ed
evocazioni, proponendo nuove metafore della Fede, suscitando interessi ed emozioni,
animando esperienze di Fede all’interno del proprio gruppo. L’arte rende possibile
l’incontro col Mistero: incontro fatto di stupore, emozione e gioia. Dunque anche l’arte è
uno strumento pastorale potente, e per questo va tutelata in maniera da finalizzare
l’attenzione dell’artista non solo all’opera che ha davanti agli occhi, ma anche alla
propria interiorità. Liturgia e comunicazione hanno molti aspetti in comune: entrambe
si realizzano attraverso segni ed azioni simboliche, entrambe richiedono gestualità e
partecipazione. Il rito liturgico rappresenta il dialogo permanente tra Dio e il suo
popolo: la liturgia esprime proprio questo meraviglioso scambio. La forma liturgica non
ha come primo compito narrare gli eventi fondanti i contenuti della Fede, ma
ripresentare la loro forza che salva e trasforma. Una liturgia preoccupata di rendersi
comprensibile, presto o tardi, smentisce se stessa. La comprensione della liturgia deve
essere simbolica. Il tempo e l’esercizio, i sensi e la materia, il corpo e lo spirito
divengono componenti essenziali. L’omelia è parte stessa della liturgia: la sua natura va
colta all’interno dell’esercizio del ministero della Parola. I fedeli ne ricavano frutto in
virtù della sua semplicità e chiarezza, caratteristiche entrambe radicate
nell’insegnamento evangelico. Occorre rispettare le cinque finalità precisate
nell’introduzione al Lezionario:
1. guidare i fedeli ad intendere e gustare la scrittura
2. aprire il loro cuore al rendimento di grazie
3. condurli all’atto di Fede per la Parola che nella celebrazione si fa sacramento
4. prepararli ad una fruttuosa comunione
5. esortarli ad assumere gli impegni di una vita cristiana
Nell’omelia devono trovare spazio anche riferimenti relativi alle concrete situazioni di
vita. Occorre tenere conto dell’uditorio e della mentalità diffusa, per calibrare nel
migliore dei modi linguaggio, ritmo e tono. Nel prossimo futuro, i mezzi di
comunicazione saranno apportatori di bene o di male? Dipenderà dalle scelte degli
uomini che li utilizzano. Certo i mezzi di comunicazione sociale possono essere di
grande aiuto anche per scopi umanitari e di giustizia sociale.
Educare e fare cultura nella società mediatica
Il lettore, il telespettatore, il radioascoltatore, il navigatore della rete internet è il vero
protagonista della comunicazione. Chi fruisce dei prodotti mediali può sancirne il
successo o il fallimento. La Chiesa ha raccomandato con insistenza l’educazione ai
media a partire dal decreto conciliare Inter mirifica, in quanto possono essere un valido
strumento di apostolato non solo da parte dei religiosi, ma soprattutto dei laici. A
questa responsabilità educativa non è legittimo sottrarsi. In particolare le università, i
collegi, le scuole e i programmi educativi cattolici a tutti i livelli dovrebbero offrire
occasioni di crescita in questo senso. La famiglia è la cellula fondamentale della società
e snodo essenziale di tutti i processi culturali. Dal rapporto che essa stabilisce con i
media dipende dunque in larga parte anche il ruolo che i suoi componenti assumeranno
nella società. I genitori devono essere preparati a convivere con i media e ad educare i
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figli perché sappiano interagire in modo competente, critico ed eticamente responsabile.
Ai genitori tocca farsi carico d’una responsabilità nuova, ovvero il discernimento sui
media e la comprensione degli stessi, distinguendo gli influssi positivi da quelli
negativi. Tutto ciò vale anche per bambini, ragazzi e giovani, ossia quanti si trovano in
condizione di particolare vulnerabilità perché nel vivo dei processi di costruzione della
personalità e di socializzazione. Proprio per questo la scuola non può ignorare il ruolo
delle comunicazioni sociali, a cominciare dalla vita degli studenti, che dai media
ricevono una mole d’informazioni ben superiore a quella che attingono in classe.
Internet può diventare uno straordinario mezzo di comunicazione e progresso culturale
della società. Varcare le soglie dell’arena mediale comporta un riconoscimento sociale
sempre maggiore: rinunciarvi significa perdere rilevanza. Di qui la necessità di invertire
una certa spirale del silenzio, talora messa in atto dai media, relativamente
all’esperienza di Fede della grande tradizione cristiana e agli stessi valori umani
fondamentali. L’etica si erige a via per l’umanizzazione di processi destinati a
provocare conseguenze negative, sul piano personale, relazionale e sociale. Comunicare
in modo onesto significa servire la verità dell’uomo e del suo destino personale e
sociale. Non è esagerato affermare che nei processi della comunicazione sociale si gioca
oggi il futuro dell’umanità. Di conseguenza, la legittima libertà delle comunicazioni
sociali non potrà mai distaccarsi dal perseguimento della verità. La diffusione e lo
sviluppo dei mezzi di comunicazione sociale sembra accorciare la distanza fra uomini e
comunità. Allo stesso tempo, sembra innescare nuovi meccanismi di ingiustizia sociale.
Va nuovamente ribadito che l’unico orizzonte accettabile è quello del bene comune. Né
si può prescindere dal rispetto verso il creato: inaccettabile sarà dunque l’adozione di
tecnologie che possano avere effetti negativi sull’ambiente e sulla salute.
Per una pastorale organica delle comunicazioni sociali
Servono a poco le iniziative estemporanee ed episodiche. E’ urgente, piuttosto,
sviluppare una progettazione pastorale coerente ed incisiva. Numerose sono state sino
ad oggi le indicazioni date dal Magistero della Chiesa, che dal Concilio Vaticano II non
ha perso occasione per sottolineare il nesso profondo tra la missione della Chiesa e le
comunicazioni sociali. Ogni progetto pastorale deve tener conto dei rapporti tra
linguaggio di Fede e nuovi linguaggi mediali. E’ la logica degli stessi orientamenti
pastorali per il primo decennio del Duemila, che della comunicazione fanno una
prospettiva specifica con cui deve coniugarsi l’evangelizzazione. Come può operare la
Chiesa all’interno della nuova cultura? Ad un contesto sempre più complesso si
aggiunge il profilo multietnico e multireligioso. Una tale prospettiva d’impegno
comporta la ridefinizione del profilo di tutta l’azione pastorale, compito che non può
essere affidato esclusivamente ad alcuni esperti o ai soli addetti del settore. Non si tratta
solo di inventare cose nuove, quanto di dare maggior vigore alle metodologie già
esistenti. In questo senso la pastorale ordinaria richiede un nuovo slancio e una nuova
creatività, che induca a percorrere le strade della cultura e della comunicazione. Nel
nuovo slancio missionario è coinvolto anche chi, pur credente, non ruota all’interno
della realtà parrocchiale. Dunque un’estensione a macchia d’olio dell’attività pastorale
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tale da inglobare anche gli individui ai margini della comunità. Un piano pastorale per
la comunicazione sociale, quindi, non può che servire la missione complessiva della
Chiesa stessa ed essere parte di un progetto ben più vasto e articolato. L’idea da
sviluppare è quella di un piano integrato per le comunicazioni sociali, a partire dal
quale realizzare una programmazione pastorale non limitata al solo ufficio diocesano,
ma capace di coinvolgere tutti gli ambiti pastorali. E’ importante calibrare il progetto
sulle questioni rilevanti, per conferirgli maggiore efficacia. L’obiettivo principale del
piano pastorale è il cambiamento di mentalità di tutti i membri della comunità,
coinvolgendo da più angolature tutta la Chiesa. Indichiamo alcuni ambiti:
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rendere tutti capaci di coniugare l’esperienza di Fede con la nuova cultura mediale,
per dare piena attuazione al mandato di Gesù che ha donato lo Spirito Santo
affinché in ogni tempo e secondo il linguaggio di ciascuna epoca sia annunciato il
Vangelo;
far sì che quanti hanno responsabilità nella Chiesa, siano in grado di capire,
interpretare e parlare il nuovo linguaggio dei media;
operare perché i media siano utilizzati per fornire informazioni, ma anche per
sviluppare la crescita e la maturazione della Fede;
sviluppare il senso critico, necessario per una sincera ricerca della Verità;
formare comunicatori non più isolati, né operatori pastorali dispersi, per un impulso
deciso al piano integrato per la comunicazione;
condividere le risorse favorendo una sapiente sinergia tra le molte iniziative mediali;
favorire una comprensione degli significato della nuova era dei media;
garantire le risorse umane ed economiche necessarie al pieno sviluppo dei progetti
pastorali.
In ogni diocesi, in primo luogo, va verificata la ricezione delle linee pastorali maturate
dal Concilio Vaticano II ad oggi. Per questo e per tutti i progetti diocesani è decisivo
l’operato dell’ufficio per le comunicazioni sociali. Ad esso compete l’attuazione delle
linee fissate dal vescovo, con un lavoro qualificato, metodico e condiviso. Dall’ufficio
devono essere promosse e coordinate:
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la verifica e la progettazione della pastorale delle comunicazioni sociali;
le iniziative di formazione;
le sinergie tra i media;
la celebrazione della Giornata mondiale delle comunicazioni sociali;
l’uso intelligente e competente dei media e delle nuove tecnologie.
In particolare, la celebrazione della Giornata mondiale delle comunicazioni sociale, che
dal 1967 costituisce l’appuntamento annuale per tutti i comunicatori, va preparata per
tempo, iniziando con la diffusione del messaggio del Santo Padre. La varie iniziative
devono estendersi nell’arco della settimana precedente e successiva, proponendo
momenti di preghiera, riflessione e formazione. I sussidi, predisposti a livello nazionale
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e diocesano, dovranno orientarsi sul tema proposto dal Santo Padre, approfondendolo
sulla base delle esigenze della Chiesa locale.
Per lo sviluppo e l’attuazione di una pastorale organica delle comunicazioni sociali il
ruolo della parrocchia è primario e decisivo: tutta la vita della comunità parrocchiale
dovrebbe essere ripensata in un’ottica più organica ed integrata, in modo da coniugare
insieme i seguenti ambiti:
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catechesi
celebrazione liturgica
patrimonio architettonico
dimensione caritativa
Uno strumento da utilizzare come collante tra i vari ambiti d’impegno della parrocchia
può essere il sito internet: se usato in maniera dinamica e non solo come vetrina statica,
il sito della parrocchia può rivelarsi uno strumento prezioso per l’evangelizzazione, la
conoscenza delle attività della parrocchia, la crescita della comunicazione e della
comunione all’interno della parrocchia stessa. In ultimo sarebbe bene attivare in ogni
parrocchia la figura dell’animatore alla cultura e alle comunicazioni sociali, con
caratteristiche e competenze adeguate all’impegni che è chiamato ad assumere. Nelle
parrocchia più grandi e dotate sarebbe buona cosa attivare la sala della comunità, dove
poter svolgere cineforum ed altre attività di formazione e riflessione: importante è
capire che la sala della comunità non va intesa solo come il cinema, ma come un luogo
di evangelizzazione, catechesi e formazione. Di norma le sale della comunità sono
associate all’Acec (Associazione cattolica esercenti cinema). La formazione non solo
degli animatori alla cultura e alle comunicazioni sociali, ma anche dei presbiteri, dei
religiosi e delle religiose, dei catechisti e degli operatori pastorali richiede organicità e
strumenti adeguati. La formazione non può essere solo teorica, ma deve abbracciare
tutta l’attività che il comunicatore si troverà a svolgere una volta iniziato il proprio
mandato pastorale. Delicato e prezioso è il servizio che da un po’ di anni svolgono
alcuni istituti di vita consacrata: il loro contributo è importante ed è bene che sia inserito
all’interno dei progetti ecclesiali per la cultura e le comunicazioni sociali. Alle società e
agli istituti religiosi votati all’apostolato delle comunicazioni sociali viene chiesto di
cooperare alle altre iniziative ecclesiali con uno stile di collaborazione e di comunione.
Gli istituti sorti con la finalità dell’apostolato delle comunicazioni sociali devono
collaborare strettamente tra di loro e tenersi in fattivo contatto con gli uffici diocesani
per non rischiare di perseguire linee pastorali differenti. Ancora più importante è il
servizio che prestano all’interno delle scuole, come insegnati di religione: anche in
questo ambito è bene che siano in accordo con i vescovi e i presbiteri. Le aggregazioni
laicali sono una ricchezza per la Chiesa italiana, in quanto sono rappresentanti di una
vasta schiera di laici. Esse contribuiscono alla pratica della vita cristiana nei vari modi
precisati negli statuti e ricorrono alla comunicazioni sociali in vari modi: notiziari
interni, pubblicazioni e siti internet. Costituiscono certamente un’importante risorsa che
deve però integrarsi al piano pastorale perseguito dalla C.E.I. e dalle realtà diocesane di
riferimento.
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L’animatore della comunicazione e della cultura
Cultura e comunicazione, tra loro interdipendenti, spalancano nuovi orizzonti
all’azione pastorale, chiamando in causa nuovi soggetti. Quanto mai urgente appare
quindi individuare nuove figure di animatori nell’ambito della cultura e della
comunicazione, che affianchino quelle ormai ampiamente riconosciute del catechista,
dell’animatore della liturgia e della carità. L’impegno assunto dalla Chiesa italiana con
il Progetto culturale orientato in senso cristiano rende ancora più urgente e attuale
questo nuovo profilo di animatore. Il Progetto culturale non si identifica con la
pastorale della cultura. Il suo obiettivo è dare spessore culturale a tutta l’azione
pastorale. Non è un settore tra gli altri nella vita della comunità, ma un modo nuovo di
pensare e realizzare l’azione pastorale. Per questo motivo il Progetto culturale non ha
tanto bisogno di specialisti della cultura, ma di animatori che nella pastorale ordinaria
sappiano conferire spessore culturale alle iniziative della comunità ecclesiale. Gli
animatori della comunicazione e della cultura potrebbero essere individuati tra quanti,
a diverso titolo, operano già in ambiti specifici, ma potrebbe rivelarsi utile anche chi è
impegnato in altri settori pastorali. In una pastorale concepita come azione a tutto
campo, e non solo tra le mura ecclesiastiche, si possono intercettare molte persone che
per impegni professionali o altri motivi non verrebbero coinvolto con la pastorale
ordinaria. La cultura e la comunicazione sono vie maestre per il dialogo tra la Chiesa e il
mondo, ma nella nostra realtà concreta un polmone di ampio respiro può essere creato
anche all’interno della propria parrocchia, appunto aprendosi alla cultura, che tutti noi
respiriamo grazie al rapporto quotidiano che abbiamo con i mass-media. La
responsabilità dell’animatore alle comunicazioni sociali ha una chiara connotazione
ecclesiale, e la Chiesa gli ha dato carattere di ministerialità. L’impegno specifico del
laicato, lo si comprende bene leggendo il Magistero della Chiesa dal Concilio in poi, è
volto ad incidere sulla vita sociale: questa è la sua specificità, che rende il laicato per
nulla inferiore al clero. Gli ambiti d’azione possono essere molteplici e diversificati:
innanzitutto la promozione della comunicazione all’interno della comunità cristiana, e
tra la comunità cristiana e la società civile. Occorre rompere il cerchio di
autoreferenzialità che spesso rende il vissuto ecclesiale chiuso e restio al dialogo.
Troppe comunità stentano a comunicare o non ne avvertono affatto la necessità. Il
contributi degli animatori alla cultura e alle comunicazioni sociali dovrà farsi sentire
anche all’interno del consiglio pastorale, in quanto sono responsabili del cammino
complessivo della comunità parrocchiale e diocesana. L’animatore utilizza e promuove
i media, come prima cosa, e poi si preoccupa di trovare strade nuove come, per
esempio, l’utilizzo della sala della comunità: questo per evitare di tralasciare l’utilizzo
di ciò che già esiste per inventarsi strade nuove.
I media nella missione della Chiesa
Ruolo e controllo dei media sono diventati decisivi anche per gli assetti sociali e civili
del Paese e per lo sviluppo della democrazia. E’ necessario che a livello nazionale e
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internazionale, si definisca un sistema compiuto di regole in grado di garantire il
pluralismo ed un corretto rapporto con la politica e l’economia, nello spirito di un
autentico servizio al bene comune. La comunità ecclesiale deve quindi adoperarsi
affinché nel campo della comunicazione sociale venga esercitata la stessa vigilanza e la
stessa funzione di stimolo e di proposta ordinariamente svolta in altri ambiti, come la
tutela della vita umana, le politiche familiari, scolastiche e sociali. Anche in questo
campo la Chiesa, offrendo il suo peculiare contributo di giudizio critico e di proposta e,
se necessario, anche di protesta, esercita la sua funzione profetica. Doverosa e legittima
è la partecipazione dei cattolici al dibattito pubblico sui media e l’intervento su singole
questioni, anche attraverso le associazioni cattoliche sorte con questi appositi scopi. La
Chiesa è attenta alle produzione e ai programmi di taglio religioso, come pure
all’informazione fornita dai media su aspetti della Fede e della vita ecclesiale. I cattolici
presenti nei grandi circuiti della comunicazione possono dare un prezioso contributo
alla diffusione dei valori religiosi e cristiani. A tale scopo la loro azione deve essere
continuamente ispirata al messaggio evangelico. Di grande rilievo è anche il contributo
offerto attraverso i media da parte dei cattolici esperti nei vari ambiti del sapere
teologico, filosofico, antropologico e scientifico. Tra i cattolici presenti sui media ci sono
spesso persone di speciale consacrazione, presbiteri, religiosi e religiose. Occorre
ricordare che nessuno, tuttavia, ha il diritto di parlare a nome della Chiesa, o se lo fa,
deve essere investito di tale incarico. E’ bene valutare, caso per caso, ciascun invito ad
intervenire attraverso i media. Considerato il peso dei media sull’opinione pubblica e il
particolare apostolato attuabile loro tramite, gli episcopati nazionali possono stabilire
criteri e norme in materia, secondo quanto previsto dal Codice di Diritto Canonico al
canone 227: “Spetta alla Conferenza episcopale stabilire norme sui requisiti perché ai
chierici e ai membri degli istituti religiosi sia lecito partecipare a trasmissioni
radiofoniche o televisive che trattino questioni attinenti la dottrina cattolica e morale”. I
chierici che intervengono abitualmente sui media, devono essere in possesso della
licenza del proprio Ordinario. Almeno due sono i momenti in cui è bene organizzare
incontri di sostegno, confronto e dialogo. Il primo, ormai radicato nella tradizione
italiana, è l’incontro tra il vescovo e i gli operatori della comunicazione in occasione
della festa di San Francesco di Sales. La ricorrenza del 24 gennaio è un’occasione
preziosa per riflettere insieme sulle comunicazioni sociali e sulla responsabilità di chi vi
opera. Un secondo momento è la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, di cui
abbiamo già parlato. In modo particolare i settimanali diocesani rappresentano ancora
oggi un riferimento in mote diocesi. Per lungo tempo hanno costituito il principale
presidio comunicativo. Oggi vivono una fase di rinnovamento in un contesto di
molteplici diversificate presenze mediatiche. A servizio dei settimanali diocesani, ma
non solo, è stato da tempo istituito il Sir. L’agenzia risponde alla crescente domanda
d’informazione religiosa posta dai media ma anche dai singoli cristiani, dalle comunità
ecclesiali, dalle aggregazioni cattoliche, dalla società stessa. Inoltre va considerato
Avvenire, punto di riferimento per quanti desiderano conoscere il punto di vista
ecclesiale su tutti i fatti quotidiani. Diocesi, parrocchie e associazioni devono
impegnarsi a leggerlo e a farlo leggere. Sul piano televisivo, Sat2000 costituisce ormai
una presenza significativa dei cattolici a livello nazionale e va ad integrare la già
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rilevante storia delle televisioni locali nate per iniziativa di realtà ecclesiali. La radio è lo
strumento più agile per comunicare: a questo proposito le radio locali hanno un punto
di riferimento nel circuito InBlu. Si tratta di un circuito che permette la trasmissione in
contemporanea per alcune ore al giorno. Le radio aderenti al progetto possono
usufruire di vari servizi e collaborare secondo le proprie capacità; così collegate,
riescono pure a dare maggiore visibilità nazionale e locale alla radiofonia d’ispirazione
cattolica. I rapporti tra Chiesa e cinema hanno conosciuto stagioni più o meno
favorevoli, ma l’interesse non è mai venuto meno. Per il cinema la sfida del futuro sta
nel produrre film di qualità e in grado di parlare alle grandi masse. Anche per la sala
della comunità la sfida è riuscire a garantire una produzione attenta ai contenuti e allo
stesso tempo alla qualità. In ambito musicale, la Chiesa vanta una ricchissima
tradizione: il canto liturgico, religioso e classico è sviluppato da secoli, e permette ai
fedeli di arricchirsi sia culturalmente che spiritualmente. La musica leggere è anch’essa
campo d’azione per la Chiesa, in quanto attira masse di giovani. Meritano attenzione
iniziative e luoghi di ritrovo dove i giovani si riuniscono per suonare o ascoltare
musica, attuando comunque un discernimento critico. Il teatro è, come la musica,
un’arte antica ma sempre attuale, da valorizzare e promuovere. Le arti visive, pittura,
scultura e architettura, sono patrimonio culturale insostituibile: i beni culturali presenti
sia in ambiti nazionale che diocesano vanno conservati, salvaguardati e valorizzati in
modo da farne ricchezza per la comunità intera. Infatti anche l’arte aiuta i fedeli nel
proprio percorso spirituale.
Responsabilità, strutture e organismi
L’intera comunità ecclesiale è responsabile dello sviluppo di una compiuta pastorale
delle comunicazioni sociali, pur nella diversità dei ruoli e delle competenze. Al vescovo
spetta promuovere e orientare l’azione pastorale della diocesi nel campo della pastorale
delle comunicazioni sociali e dei media. Così i presbiteri, i religiosi, gli operatori
pastorali e gli educatori, ciascuno per la sua parte, sono chiamati a rileggere il proprio
mandato per un annuncio del Vangelo adeguato al nuovo contesto culturale
determinato dai media. La Commissione episcopale per la cultura e le comunicazioni
sociali è un organismo della C.E.I. Attualmente la Commissione si interessa di quattro
ambiti pastorali:
1. comunicazioni sociali
2. cultura
3. tempo libero, turismo e sport
4. beni culturali ecclesiastici
La Commissione svolge compiti di studio, proposta e animazione nei settori di
riferimento. Ha il compito di dare continuità alle riflessioni e alle linee operative
formulate dall’Assemblea generale dell’episcopato italiano, tenendo conto degli
sviluppi del Progetto Culturale. Oltre a studiare i problemi, ha il compito di
promuovere progetti di formazione degli operatori, la promozione della sala della
comunità e dei centri culturali, lo sviluppo di sinergie tra i media e la pastorale
ordinaria. Funzioni analoghe, su scala regionale, ha la Commissione regionale per le
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comunicazioni sociali. L’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali è un organismo
della Segreteria generale C.E.I. Svolge incarichi di servizio nel campo delle
comunicazioni sociali secondo le direttrici e i progetti della C.E.I. Tra i compiti
dell’Ufficio c’è anche quello di Ufficio Stampa. Il direttore dell’Ufficio è solitamente
anche il portavoce della C.E.I. Sul versante pastorale, l’ufficio ha il compito di tenere i
contatti con gli incaricati regionali e con i direttori diocesani. L’ufficio si pone a servizio
delle strutture diocesane, favorendo la formazione, il coordinamento e la preparazione
di sussidi. All’ufficio nazionale spetta anche coordinare la presenza dei media collegati
con l’episcopato italiano e di promuovere la collaborazione con tutti i media di
ispirazione cattolica, favorendo le sinergie e creando occasioni per l’approfondimento, il
confronto e la progettazione. Funzioni in analoghe, su scala diocesana, ha l’Ufficio
diocesano per le comunicazioni sociali. La Commissione per la valutazione dei film ha
lo scopo di formulare una valutazione complessiva dei film ed un giudizio morale a fini
pastorali. Ha il compito di offrire ai fedeli un giudizio qualificato per la scelta dei film
da vedere o da utilizzare in ambito pastorale. Particolarmente utile sarebbe la creazione
di un Osservatorio permanente a cui fare riferimento per la comprensione del fenomeno
comunicativo e per fornire ai responsabili della Chiesa locale indicazioni utili alla
conoscenza degli orientamenti dell’opinione pubblica.
12
SOCIOLOGIA DEI PROCESSI CULTURALI
I mass-media arrivano a coinvolgere anche la c.d. massa di soggetti isolati, che senza
questo coinvolgimento non riuscirebbero ad entrare in relazione tra loro e sicuramente
non entrerebbero in relazione col mondo dell’informazione. Tra i soggetti isolati ci sono
anche gli opinion leaders, che costituiscono a loro volta dei soggetti capaci di
coinvolgere altri soggetti. I mass media costituiscono nello stesso tempo tre tipi di
indicatori di rilevanza:
1. agende mediali
2. agende pubbliche
3. agende politiche
Queste tre tipologie costituiscono, inoltre, tre tipi di esperienza personale di
comunicazione interpersonale, e sono tra loro collegati in maniera circolare. Il sociologo
McLuhan ha stabilito tre ere di sviluppo dei media:
1. oralità (orecchio): simultanea, circolare, concreta, coinvolgente, interdipendente, tribale
2. scrittura (occhio): analitica, lineare, astratta, individuale
3. elettronica (sistema nervoso): sintetica, sinestesia, globale, decentrata, neotribale
Il nuovo areopago dei media ha portato al formarsi di un vero e proprio villaggio
globale, che ha sancito il passaggio dall’individualismo della modernità al
neotribalismo. La stampa, invece, aveva portato all’individualismo: basti considerare le
leggi sulla privacy, con tutta la politica ad esse connessa, oppure alla logica relativista
che si è susseguita con l’affermarsi del c.d. punto di vista, per finire col processo di
specializzazione nel lavoro. In senso sociologico, la definizione di villaggio globale
potrebbe essere la seguente: un luogo dove i flussi di informazione entrano in contatto
con individui non più atomizzati, ma connessi l’uno all’altro. L’intuizione di McLuhan
è stata la comprensione che i media sono un ambiente all’interno del quale costruire e
negoziare proposte identitarie, ideologiche e relazionali, attingendo al repertorio
simbolico in essi contenuto.
Il funzionamento dei media
La riflessione non deve limitarsi agli effetti che il contenuto dei media avrebbe sulla
personalità dell’individuo, che è ormai competente e consapevole. Tale riflessione deve
invece concentrarsi sugli usi che persone concrete fanno delle risorse che i media
mettono a disposizione. Con la fine del monopolio delle agenzie di socializzazione
tradizionali, il soggetto ha avuto accesso ad una gamma di risorse simboliche più
ampia, attraverso le quali elaborare la propria proposta identitaria. Nella società attuale
il “sé” è la proposta identitaria, in quanto il “sé”, oggi, è sempre un progetto o un work
in progress. Come dice il sociologo Thompson, siamo tutti biografi di noi stessi. Si
scontrano dunque due contrari: monopolio e pluralismo. Il vantaggio del monopolio è
l’uniformità e la consonanza delle risorse messe a disposizione del soggetto, mentre la
pluralità di agenzie permette l’accaparramento di risorse discordanti e/o conflittuali al
loro interno e con i ruoli sociali. Riguardo le risorse discordanti, il soggetto deve ovviare
impegnandosi in una strategia di raccordo che sia creativa (elaborazione di codici),
13
escapistica (fuga nella fantasia) e anti-istituzionale (ribellione come strategia di raccordo
soggetto-ruolo). I media non sono dei persuasori occulti: da un lato essi strutturano e
ristrutturano gli spazi dell’esistenza, dall’altra essi stessi sono luoghi e ambienti dove il
soggetto si muove reperendo risorse simboliche. I media strutturano anche nuove
forme di azione a distanza, ovvero azioni che riguardano altri lontani. La Tv è stata
capace di moltiplicare i punti di vista, portando alla dissociazione tra vedere e agire.
L’esperienza mediata della sofferenza dell’altro lontano limita il coinvolgimento:
dunque si scatena il fenomeno dell’emozione senza azione. Da un lato i media
frammentano lo spazio ed estendono le percezioni al di là del luogo, dall’altro sono
utilizzati come costruttori di mondo comuni. Il “mondo comune” è fondamentale nella
manutenzione di una comunità, e i membri di una comunità si riconoscono come tali
nel loro dare lo stesso significato agli stessi simboli. Il rituale è una delle modalità di
manutenzione del mondo comune più importanti di ogni cultura. Ha la funzione di
esibire i simboli condivisi dal gruppo e di tracciare confini fra chi è dentro (e vi si
riconosce) e chi è fuori. I “media events” (ovvero le incoronazioni, i mondiali di calcio,
ecc.) sono rituali concepiti per essere mediatizzati su scala mondiale. Assolvono alla
funzione di esibire dei valori condivisi e rafforzare il senso di appartenenza ad una
comunità, anche attraverso il coinvolgimento emozionale. In un contesto delocalizzato o
plurilocalizzato come il nostro, e soprattutto per le comunità diasporiche, i media
costituiscono spesso l’unico possibile palcoscenico per i rituali che mantengono unite le
comunità. Siamo alle prese con un processo di compressione spazio-temporale, in cui si
verifica uno sganciamento dallo spazio e una conseguente pluralizzazione dei mondi
dell’esperienza. La dialettica locale/globale porta all’incipiente fenomeno dei flussi
migratori e di conseguenza alle comunità diasporiche. Tutto ciò sancisce la fine della
monogamia geografica. I media trasformano il luogo in spazio aperto verso l’esterno,
attraversato da una pluralità di flussi. Presentiamo tre modelli di rispazializzazione:
1. globalizzazione: la dimensione locale si è estesa all’intero pianeta
2. aspazialità-despazializzazione: lo spazio, scavalcabile sia fisicamente (con effetti deterritorializzanti), che simbolicamente (con effetti delocalizzanti), si ridefinisce e
pluralizza, e così facendo perde il suo ruolo orientante.
3. reticolarità: una topografia culturale basata sugli Stati-Nazione risulta obsoleta; i
media contribuiscono a costruire nuove possibilità di connessione e relazione,
trasformando i luoghi in nodi di passaggio e smistamento dei flussi.
La rispazializzazione è caratterizzata da una rete che diventa l’immagine più indicata
per rappresentare la contemporaneità. La crisi della relazione identità-luogo-cultura è la
diretta conseguenza, in quanto siamo alle prese con una cultura omogenea all’interno di
un territorio non più circoscritto nei confini nazionali. Ora sul territorio si muovono
costellazioni di identità e culture diasporiche, che sono in perenne movimento. I media
utilizzati da queste comunità sono gli “small media”, detti anche “personal media”, ovvero
sistemi di comunicazione casalinghi.
14
Media e costruzione dell’identità nazionale
I media non sono meri apparati di persuasione del singolo, bensì strutturano e
ristrutturano gli spazi, creano ambienti per la costruzione identitaria, forniscono un
palcoscenico per le performance rituali. Una delle cornici identitarie di maggiore
impatto è costituita dall’appartenenza nazionale. Lo Stato è l’insieme di istituzioni
pubbliche e condivise che governano sopra un territorio definito, esercitando il
monopolio della violenza. La Nazione è la comunità di persone che si percepiscono
come affini condividendo una serie di tratti comuni considerati importanti, quali ad
esempio la lingua, la cultura, la religione. Il nazionalismo è la politica ideologica
secondo cui ad una Nazione deve corrispondere uno Stato: dunque si fa propinatore del
concetto di Stato-Nazione. La comunità nazionale va costruita rinforzando i legami
esistenti o creandone di nuovi. I mass media svolgono, in questo senso, un ruolo
fondamentale. L’istituzione è quell’organo all’interno del quale i mass media lavorano,
determinando la modernità nazionale, che ha la sua realizzazione pratica, appunto,
nelle istituzioni. Queste costituiscono anzitutto dei principi ordinatori, e forniscono
quadri con i quali orientarsi nel mondo. Le istituzioni cercano di presentarsi come:
• Legittime
• Coerenti
• In grado di stabilizzare la complessità del mondo
• Monopolistiche
La crisi delle istituzioni ha attraversato varie fasi:
1. Crisi di legittimità
Negli anni ’60 l’ego è stato riposizionato al centro dell’esperienza, dando luogo ai
concetti di auto-espressione, auto-realizzazione, auto-determinazione, e alla
contestazione del potere delle istituzioni di framing.
2. Crisi di coerenza
In seguito le istituzioni si sono pluralizzate al proprio interno, non riuscendo ad
assimilare una molteplicità di comportamenti ed atteggiamenti spesso discordanti.
3. Crisi di capacità di stabilizzazione
I processi di pluralizzazione, rispazializzazione e ri-sincronizzazione, fanno sì che il
mondo si renda più complesso, al punto da sfuggire al pur considerevole potere di
normalizzazione istituzionale.
4. Crisi di monopolio
Soggettivazione e culto della personalizzazione, unite alla presenza sul territorio di
un’identità irriducibile all’assimilazione istituzionale, hanno portato alla
moltiplicazione e alla dislocazione delle istituzioni a cui il soggetto risponde.
Cultura e comunicazione
I media lavorano come serbatoi transnazionali di risorse simboliche. Il soggetto vi
attinge per costruire e mantenere il suo progetto identitario in un contesto nel quale
l’orizzonte dello Stato-Nazione non costituisce più la cornice fondamentale. Il soggetto
15
elabora i propri progetti esistenziali attraverso l’immaginazione, spostandosi ben al di
là della dimensione della località. Una grande pluralità di progetti identitari molto
diversi fra di loro si trovano quindi a convivere all’interno del medesimo spazio
geografico.
Il concetto di cultura, nell’epoca classica (sec. XVII) era così concepito: “la cultura è tutto
ciò di migliore che è stato prodotto dai grandi uomini”: dunque c’era una concezione di
cultura eccezionale, universale, in opposizione con la natura.
La concezione di cultura che c’è al giorno d’oggi prevede una cultura immersiva,
continuamente prodotta e riprodotta dal soggetto. La cultura è un’insieme di valori,
norme, simboli e manufatti tramandato di generazione in generazione, acquisito,
elaborato e trasmesso, attraverso atti di comunicazione. Le funzioni che adempie la
cultura sono principalmente tre:
•
•
•
Serbatoio di cornici condivise
Prerequisito per l’ammissione di un gruppo
Filtro tra stimolo e risposta
Le relazioni interne ad una cultura sono la c.d. “sottocultura”, ovvero una compagine
strutturata intorno alla fruizione, elaborazione e circolazione di codici diversi da quelli
della cultura dominante. Generalmente la sottocultura è in opposizione alla cultura
dominante, ma la prospettiva dominante è quella ludico-ricreativa. La relazioni interne
ad una cultura sono il c.d. fenomeno della “controcultura”, ovvero una sottocultura
caratterizzata da un’opposizione sistematica e strutturata alla cultura dominante. Il
mosaico delle culture prevede che le culture vengano lasciate coesistere, eventualmente
delimitando le aree geografiche di riferimento. Questo modello presuppone che le
culture siano omogenee al proprio interno, ed entra pertanto in crisi quando ci si
accorge che i confini vengono continuamente permeati. Le culture non sono mai
omogenee, ma hanno al proprio interno un necessario grado di conflittualità. E’ in atto
un processo di creolizzazione delle culture, ossia di contaminazione reciproca e bidirezionale fra le culture nazionali e la cultura globale. La debolezza del mosaico delle
culture è determinata dalla permeabilità dell’arena globale, che porta ad un diffuso
senso di minaccia verso la propria cultura e alla presunzione di omogeneità ed
irrigidimento dell’identità, utilizzata come strumento difensivo atto a rimarcare le
differenze verso le altre culture. Tutto ciò porta all’indifferenza verso la necessaria
conflittualità interna di ogni cultura. La necessità della comunicazione interculturale è
dovuta dalla disomogeneità della cultura al proprio interno, unita alla coesistenza sul
medesimo territorio di culture diverse: questo fa sì che ogni atto comunicativo sia un
atto di comunicazione interculturale.
16
ETICA DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI
Definizione di etica: l'etica è l'indagine sull'agire dell'uomo. Il termine "etica" deriva dal
greco "ethos". Esso indica un comportamento individuale o collettivo, un costume. Il
termine "morale", a sua volta, deriva dalla traduzione latina di "ethos", che è appunto
"mos, moris", costume. Può essere dunque considerato come un sinonimo di "etica".
L'etica non è solo l'indicazione di un comportamento, individuale o collettivo, ma è la
riflessione su quei principi e quei criteri che guidano il nostro agire. A seconda dei
principi e dei criteri scelti questo agire può essere considerato, appunto, buono o
cattivo, moralmente approvabile o moralmente riprovevole. L'agire, in quanto agire
morale, è dunque un agire governato da criteri e da principi, che permettono di
orientarci nelle nostre scelte concrete. C'è differenza tra etica generale ed etiche
applicate: i progressi attuali di scienza e tecnica e la cancellazione, vera o presunta, dei
limiti dell'azione umana, fanno sorgere la necessità di creare nuove discipline etiche,
come la bioetica, l'etica ambientale, l'etica economica, l'etica sociale e, appunto, l'etica
della comunicazione. Per definizione, l'etica applicata si riferisce a quell'ambito di
discipline che affrontano i problemi connessi agli sviluppi della scienza e della tecnica,
alla loro incidenza sull'agire dell'uomo e alla loro capacità di prolungare e di potenziare
questo agire in maniera apparentemente illimitata. La domanda di partenza è: quali
motivazioni stanno dietro alle scelte che, relativamente a una stessa notizia, fanno
propendere per un titolo piuttosto che per un altro? E' la domanda dell'etica della
comunicazione. La comunicazione è intesa come trasmissione di informazioni (in
generale si parla di un messaggio) da un emittente ad un ricevente (o anche
destinatario). Un tale messaggio è trasmesso in virtù di un vero e proprio contatto fra
emittente e ricevente che si chiama "canale" (ad esempio, la mia voce). Il messaggio è
dato secondo un codice ben preciso (ad esempio una determinata lingua). Un esempio
pratico della teoria standard è la comunicazione pubblicitaria, in quanto c'è l'emittente,
il messaggio pubblicitario e il ricevente come target (bersaglio). A proposito, quando si
può dire che la pubblicità è una buona pubblicità? Quando un messaggio pubblicitario
è ben riuscito? Risposta: quando risulta efficace ed efficiente. Qual è lo sfondo etico di
queste nozioni? Esso è costituito dal principio dell'utilità. Si rimanda implicitamente,
qui, ad un modello utilitaristico di definizione dell'azione. Da un punto di vista storico
il modello standard nasce dalla volontà del matematico statunitense Shannon di
massimizzare il rendimento informazionale della comunicazione, ricercando cioè il
modo più efficiente per trasmettere i segnali, evitando ambiguità, disturbi e rumori di
fondo. La cibernetica è stato o sbocco moderno di questa teoria di Shannon, ma si è
rivelata inadeguata a spiegare ogni tipo di interazione comunicativa (come ad esempio
l'interazione dialogica). E' bene porre una distinzione tra "informare" e "comunicare".
Siamo infatti di fronte all'unilateralità del comunicare e alla bidirezionalità del
comunicare, in quanto nel primo caso ci può essere anche un locutore e un locutario,
mentre nel secondo casi ci sono due interlocutori. Siamo dunque giunti alla definizione
generale di "comunicazione": comunicare significa dischiudere uno spazio comune di
relazione fra interlocutori.
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La deontologia professionale
L'approccio deontologico è quello che riguarda le varie categorie professionali di
comunicatori. Con l'emergere dell'aspetto deontologico si delinea l'esigenza di una
regolamentazione dei processi comunicativi. E riconoscere questa esigenza è certamente
fondamentale se si vuole favorire la nascita di un'etica della comunicazione: è il suo
grado-zero. Possiamo dare la seguente definizione di deontologia: il complesso dei doveri
relativi ad una certa professione o ad una particolare attività. Essa stabilisce ciò che bisogna o
meno fare in un certo ambito, nella misura in cui ciò risulta prescritto da un'istanza
riconosciuta come normativa. L'approccio deontologico, relativo alle varie categorie
professionali di comunicatori o a specifiche loro attività, si esprime attraverso i codici.
Un codice è il luogo in cui viene raccolto, enunciato e perciò reso pubblico l'insieme dei
doveri riguardanti una determinata attività. Di solito esso indica, oltre che particolari
doveri, anche le sanzioni a cui va incontro chi trasgredisce quanto stabilito dal codice. Il
codice solitamente indica inoltre le regole che sovrintendono al riconoscimento della
trasgressione e all'applicazione delle sanzioni. Il carattere proprio dei codici è quello
dell'auto-regolamentazione. Per salvaguardare la libertà di espressione e di
comunicazione in un contesto democratico i codici non possono essere imposti da
un'istanza esterna alla categoria professionale interessata. I codici quindi sono di autoregolamentazione: un'auto-regolamentazione che viene compiuta all'interno degli
ambiti professionali coinvolti. In questo modo, dunque, risultano conciliate, per un
verso, la necessità di salvaguardare la libertà di espressione e, per altro verso, la
consapevolezza che non si può dire tutto, facendo in modo, cioè, che quanto si può dire
venga fissato proprio da coloro che lo possono o che lo debbono dire. Il limite dei codici
è che fin troppo spesso l'applicazione di questi documenti risulta difficile e farraginosa,
e le sanzioni comminate, posto che lo siano davvero, sono spesso di modesta entità. I
codici, poi, sono relativi a particolari categorie professionali. E all'interno di queste
organizzazioni di categoria, sovente, controllore e controllato finiscono per coincidere. I
codici rimandano perciò, per poter essere, ad una motivazione etica che li travalica.
L'etica nella comunicazione
L'etica nella comunicazione è un'indagine sul linguaggio e sulla comunicazione che
ritiene di essere in grado di ritrovare all'opera, nella comunicazione stessa, particolari
principi etici, che ciascun parlante si troverebbe indotto ad applicare. Questa è la tesi
elaborata da Apel e Habermas. In estrema sintesi il loro progetto è caratterizzato
dall'intenzione di rinvenire all'interno dello stesso ambito comunicativo, criteri e
principi etici che pretendono di avere una validità universale. Già nel discorso stesso vi
sono aspetti decisivi, implicitamente messi in opera, che assumono, di fatto, il carattere
di obblighi morali. Ecco perché, nella misura in cui tali obblighi sono riconosciuti da
ogni soggetto razionale, diviene possibile ricavare, da questi elementi insiti nella prassi
comunicativa, le condizioni che consentono di elaborare un'etica generale. Apel enuncia
questi principi:
1. giustizia
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2. solidarietà
3. corresponsabilità
Habermas ha invece elaborato la dottrina dell'approfondimento. Vi è differenza tra l'agire
comunicativo strategico, il quale mira a promuovere l'affermazione di sé e della propria
tesi, rispetto all'agire comunicativo nell'ambito dell'etica del discorso, che si configura
per la sua aspirazione all'intesa e per l'identificazione del linguaggio come luogo in cui
una tale intesa si può realizzare. All'interno dell'etica del discorso si possono enunciare
due principi:
1. principio di universalizzazione: ognuno norma valida deve ottemperare alla condizione
che le conseguenze e gli effetti collaterali possano essere accettati senza coazione da
tutti gli interessati;
2. formula essenziale dell'etica del discorso: ogni norma valida dovrebbe poter trovare il
consenso di tutti gli interessati, purché questi partecipino ad un discorso pratico.
Si tratta di una teoria ambiziosa, perché intende offrire una fondazione comunicativa
della stessa etica in generale, visto che i principi etici si trovano nell'esercizio dello
stesso agire comunicativo. Si tratta di una teoria che mostra indubbie opportunità, ma
anche dei limiti. Apel e Habermas mostrano che non si può comunicare senza agire
eticamente. Etica qui vuol dire qualcosa di ben preciso. Nella concezione di Apel
significa promozione di giustizia, solidarietà e corresponsabilità. Resta aperta la
domanda sul senso dell’agire morale: la questione riguardante il voler essere buoni.
Etica della comunicazione giornalistica
I codici dei giornalisti riguardano il trattamento della privacy, il trattamento delle
notizie relative ai minori (Carta di Treviso), il rapporto tra attività giornalistica e
pubblicità, l'utilizzo dei sondaggi come fonte d'informazione giornalistica. La
responsabilità del giornalista riguarda l'assunzione di quanto prescritto dai codici, e
soprattutto, nei confronti dei fatti e delle notizie di cui scrive. Il problema della verità e
dell'obiettività del discorso giornalistico. Molto ampio è il discorso sull'obiettività del
giornalista. Possiamo sintetizzarlo in due punti:
1. obiettività come neutralità
2. obiettività come equità
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PASTORALE DELLA COMUNICAZIONE
Occorre fare chiarezza sui termini:
1. pastorale (riflessione pastorale, azione pastorale)
2. delle comunicazioni sociali (genitivo allo stesso tempo oggettivo e soggettivo)
Fare chiarezza su questi due concetti, che insieme formano l’oggetto del nostro studio,
aiuta a cogliere gli snodi epocali, sociali e culturali e, allo stesso tempo, ad indagare
come lo scenario sia fortemente modificato a partire dalla presenza massiccia,
complessa ed integrata dei media. L’animatore della cultura e della comunicazione può
muovere i suoi passi, perché la fede e la cultura possano riconoscersi come alleati nel
processo di costruzione dell’uomo.
Il significato di pastorale
“Pastorale” è spesso usato come aggettivo specificativo di un sostantivo (concilio
pastorale, teologia pastorale, progetto pastorale). Chiediamoci quel è il significato che
diamo a questo termine e, in particolare, cosa intendiamo dire quando predichiamo di
un sostantivo la sua propria pastoralità. “Pastorale” non indica ciò che è pratico nel
senso di uno spazio nel quale basta applicare i criteri dogmatici normativi, bensì
trattiene un costitutivo legame con la prassi, ma non può essere ricondotto con
semplicità al luogo dell’empiria né tanto meno dell’applicazione. Si parla spesso di
progettualità pastorale, in quanto è diventato un termine del linguaggio comune, così
come è diventato comune (dunque a volte anche retorico) dire che “è lo Spirito Santo
che ci guida”. Il problema è dire di no alla pigrizia ripetitiva e all’empirismo acritico. E’
lo stesso agire umano personale e sociale che ha come carattere distintivo e specifico la
progettualità. La progettualità pastorale non avviene nell’ambito delle tecnologie
esperte, ma agisce nelle mentalità. Progettare l’azione ecclesiale è una questione di
Fede. I modelli inadeguati per progettare la pastorale sono quelli che fanno riferimento
al bianco/nero: ovvero o va tutto bene quello che si è sempre fatto, o non va per niente
bene e bisogna ripartire da zero. Il futuro può essere previsto, calcolato e pianificato: è il
potere politico, economico e mediatico a decidere sugli obiettivi da perseguire e sui
mezzi da utilizzare (modello positivistico). Allo stesso tempo, è la comunità scientifica ad
indicare obiettivi e mezzi che i politici ratificano (modello tecnocratico). Questi due
modelli sono inadeguati in quanto non si può interpretare il futuro in modo
esclusivamente tecnologico/evolutivo e neppure teleologico. Inoltre, il futuro non può
essere anticipato né predeterminato, poiché non può essere posseduto. Va chiarito che
si rinuncia al possesso ma non alla conoscenza. Il progetto pastorale ha un carattere
situato e concreto, ma si mantiene ancora su linee di carattere complessivo. Individua
obiettivi da raggiungere nel medio e lungo periodo, in forma specifica secondo le
esigenze, opportunità e disponibilità che comportano tali scelte. Indica in modo
generale linee e strumenti d’azione e dà forma operativa primaria alle azioni pastorali.
20
Chiesa e comunicazione
La nostra epoca costituisce una provocazione per la Chiesa. Oggi non è più opportuno
solo prendere coscienza delle mutate condizioni storiche della società e delle sue
strutture culturali, ma assumere concretamente uno sguardo nuovo. Non è solo il
momento propizio per discutere di eventi e di problemi, ma soprattutto per cambiare
radicalmente il volto della presenza e dell’intelligenza cristiana. E’ venuto meno il c.d.
“regime di cristianità”, cioè una struttura sociale nella quale la cultura-ambiente
sosteneva una sorta di iniziale predeterminazione della fede cristiana di ogni uomocittadino. L’appartenenza alla grande famiglia cristiana non è più un dato scontato.
Tuttavia le grida allarmate degli apocalittici nostalgici non sembrano più giustificate, in
quanto le loro valutazioni nascono da un’analisi affrettata di quello che è il contesto
religioso attuale, che non riesce a comprendere le mutate condizioni culturali in cui
annunciare il Vangelo. Ed è su questo importante aspetto comunicativo che si vuole
dare una risposta. Va dato atto alla comunità cristiana di questi ultimi anni di avere
sviluppato in modo coerente e positivo la sua attenzione nei confronti dei media. A
partire dal Vaticano II, la crescente importanza dei mezzi di comunicazione di massa è
stata continuamente analizzata, ma solo ultimamente è maturata una comprensione
profonda del problema comunicativo in seno alla Chiesa. Un’analisi profonda del
rapporto tra Chiesa e comunicazione sociale ha portato ad una risposta gestionale,
ovvero un uso dei media per la pastorale. Ciò detto, è maturata un’altra esigenza, la
formazione degli utenti e degli spettatori. L’interesse e le iniziative si sono spostati dal
versante dell’emittente a quello del ricettore. La recente letteratura critica sui media
tende ad accentuare la responsabilità critica sullo spettatore, abbandonando le iniziali
teorie ipodermiche che ritenevano i media come protagonisti di un’onnipotenza
persuasiva. Lo spettatore dunque interagisce con i messaggi che gli arrivano dai media
con le proprie conoscenze e aspettative. La Chiesa si è fatta carico di non trascurare
questa priorità assoluta della formazione, attivando corsi, attenzioni e opportunità
educative. Tra le righe di questi due atteggiamenti, emerge una terza dimensione
fondante, che si configura come una riflessione socio-antropologica che tematizzi la
modalità attraverso cui il complesso e integrato sistema dei media influisce sul nostro
essere Chiesa. Come già aveva messo in luce McLuhan, i media trasformano la stessa
società. Un diverso modo di comunicare determina un diverso modo di socializzare, di
pensare, di fare cultura. La riflessione degli specialisti ha cercato da una parte di offrire
prospettive circa il possibile uso che la Chiesa può fare dei media, e dall’altra ha chiarito
il ruolo che la comunità cristiana può rivestire operando nell’ambito formativo. Il dato
epocale importante è che più recentemente ci si è preoccupati di comprendere quale sia
l’incidenza dei media e delle nuove tecnologie rispetto alla pastorale ordinaria e alle sue
strategie. Lo stesso convegno di Palermo ha cercato di raccogliere quegli presenti nelle
svariate riflessioni presentate, per fare emergere quelle domande che il nuovo mondo
mediale pone all’opera di evangelizzazione di base della Chiesa. Non ci si potrà esimere
dall’attivare, almeno in modo sperimentale, alcune situazioni dove si cerchi di dare
forma ad alcuni itinerari di educazione alla fede che nascano proprio dalla riflessione
sull’incidenza dei new media sui modelli antropologici. E soprattutto andrà indicato
21
quali siano le aree della pastorale ordinaria dove le competenze comunicative diventino
forma di spiritualità laicale. Ma, accanto alle considerazioni di tipo operativo, è
importante soffermare l’attenzione sulle linee di un quadro storico-antropologico più
ampio, per comprendere in quale senso sia possibile sostenere che, in realtà, mai
un’epoca è stata così favorevole quanto la nostra. Infatti oggi, quando i tradizionali
canali di trasmissione della fede, come la famiglia, la scuola e le istituzioni sociali,
presentano ormai la loro totale inadeguatezza a causa delle mutate strutture
ideologiche, emerge con forza l’idea che sia illuminante operare un parallelo suggestivo
tra il nostro periodo e quello della Chiesa primitiva o apostolica. Oggi incontriamo un
panorama creato da decenni di cultura laicista, dominata da paradigmi di pensiero che
hanno spostato la problematica religiosa su terreni di difficile controllo: tanto che la
reazione delle agenzie educative è stata quanto meno impulsiva. Tutto ciò sembra
definitivamente porre il credo cattolico come una fra le molte possibili visioni del
mondo, con la conseguente reclusione del religioso nella sfera del privato. E’ in
profonda crisi il modello di trasmissione del Vangelo: è infatti del tutto sbagliato
pensare che sia antiquato il Vangelo. Per un Chiesa più consapevole, si pone oggi un
nuovo compito: quello di accettare il mutamento dei canali di trasmissione della Fede.
Ma c’è un’altra provocazione importante: se non è più possibile pensare alla famiglia,
alla scuola e alla società come a fattori determinanti la scelta della fede, questo pone in
evidenza anche un aspetto positivo e cioè che la fede diviene sempre più un’opzione
consapevole e libera. Proprio questo rilievo ci apre a considerare la nostra epoca come
un momento che la cristianità può vivere in modo propriamente apostolico. Appunto
come all’inizio della vita della Chiesa, anche oggi i cristiani devono inculturare il
messaggio evangelico. La nostra cultura appare composta da due versanti
imprescindibili: da una parte le contraddizioni e il fascino di una nuova epoca del
pensiero e del comportamento umano, segnata dalla c.d. secolarizzazione e dal
postmoderno irrazionalista; dall’altra la permanenza di un progetto forte, che è quello
di continuare a coltivare, mostrare e approfondire il legame imprescindibile con il
mistero di Dio. La coscienza del singolo diviene dunque luogo del discernimento
culturale per l’emersione del rimando. Essa rappresenta il luogo di un’attività personale
che assume la forma di una spiritualità possibile per l’oggi: coltivare la capacità di
cogliere i segni di quel rimando che, se accolto, rivela che l’esperienza umana,
dall’adesione alla fede alla responsabilità civile, si dà costitutivamente come unità di
senso. Inoltre la dimensione relazionale della comprensione coinvolge da vicino e
illumina tutta la sfera della comunicazione, anche della comunicazione di massa. Il
sistema dei media oggi propone un’enorme quantità di segni, che devono ovviamente
essere interpretati dal singolo: ecco che la coscienza dell’uomo postmoderno riceve
continue sollecitazioni per lo sviluppo della propria competenza interpretativa. La
comunità cristiana vive straniera in questa cultura, che pure le appartiene ma alla quale
non appartiene più. E’ dunque chiamata, come all’inizio della vita della Chiesa, a
giocare la sua credibilità anzitutto sulle persone che incontra, piuttosto che ad
impegnarsi in un’operazione di auto-coinvolgimento manageriale in tutte le agenzie
comunicative ed educative.
22
La Chiesa nella società dei media
La Chiesa oggi è sempre più vista, sia dalle pubbliche amministrazioni che dai singoli,
fedeli, come erogatrici di servizi, e non più come luogo dive ritrovarsi da un punto di
vista esistenziale. La contemporaneità ha visto il venir meno dei tradizionali canali di
trasmissione della fede ed in particolare la messa in mora della famiglia e della scuola
come luoghi/occasioni di apprendimento della simbolica cristiana e dell’elaborazione
del senso dell’esistenza. Insieme al profilarsi di un contesto socio-culturale sempre più
complesso e delicato, è venuto emergendo in maniera esponenziale il sistema
produttivo mediatico con la sua carica di rimediazione delle esperienze e di erosione
dello stesso linguaggio e delle figure religiose. Quella che va in qualche modo istruita è
la questione circa il rapporto tra fede e cultura, nella consapevolezza che non c’è cultura
che non sia permeabile al Vangelo, e nello stesso tempo tale permeabilità non giunge
mai all’identificazione del Vangelo con una forma culturale. Esso infatti si presenta
continuamente estroverso, eccedente rispetto a qualsiasi forma di cultura.
Generalmente si è soliti far iniziare l’interesse della Chiesa nei confronti del mondo
della comunicazione con il decreto conciliare Inter Mirifica. Al di là della complessa e
per certi versi contrastata vicenda redazionale del decreto, esso rappresenta certamente
un documento di grande rilievo proprio per il fatto di essere frutto del Concilio
Vaticano II. Ma non si devono dimenticare i moltissimi interventi della Chiesa, dai
discorsi alle encicliche, proprio in riferimento al mondo dei media. In seguito, si è
passati al c.d. metodo della biblia pauperum, la riproposizione del messaggio biblico in
una chiave più facilmente comunicativa. Inoltre, si è arrivati a proporre il messaggio
cristologico nelle più varie sfaccettature (sociologico, psicologico, ecc.). Questi approcci
non sono al riparo da alcune problematiche: anzitutto cercano di correlare discipline
differenti per oggetto e per metodo, e non è chiaro se venga fatto con un’ottica
speculativa oppure solamente pratica. La problematicità della correlazione dei termini
Chiesa e comunicazione si accompagna dunque ad un disagio di metodo. La Chiesa
presente in un luogo comunica, si rapporta con il territorio, subisce l’influsso e il
condizionamento della cultura dominante, soffre e alimenta pregiudizi. La correlazione
Chiesa e comunicazione pertanto si sottrae alla riduzione di una Chiesa solo
comunicazionale, come se fosse la public-relation di Dio. Il suo fare comunicazione è
inteso invece in un’ottica prettamente evangelica. Queste incursioni teologiche
sull’azione della Chiesa nell’attuale contesto socio-culturale, la cui cifra sintetica è il
sistema comunicativo, ribadiscono la necessità di sviluppare lo studio di una teologia
della comunicazione che non si annoveri tra le ormai codificate teologie del genitivo,
ma all’interno della teologia pastorale. Porre il problema del rapporto tra Chiesa e
comunicazione significa riflettere su un’ermeneutica della storia per un discernimento
che sappia cogliere la possibilità, oltre che l’attualità, della prassi credente. Insomma, si
tratta di farsi carico di creatività e intelligenza per immaginare quali forme potrebbe
assumere la comunità cristiana per essere attestazione comprensibile della verità
evangelica. Pare assodato a questo punto che il problema non è riducibile
semplicemente ad un ammodernamento di linguaggio quanto piuttosto della questione
antropologica. Infatti, guardando alla storia della comunicazione, ci si accorge che i
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cambi epocali non riguardano semplicemente una nuova tecnologia comunicativa, ma
implicano un lento e inesorabile ripensamento antropologico. Tra le scelte prioritarie
della Chiesa italiana si annovera la formazione differenziata per livelli di percorsi e
integrata tra centri formativi e strutture professionali. Dunque la sinergia tra università
pontificie e uffici CEI ha dato luogo a varie esperienze, come la Sala della comunità,
oppure Sat2000 o il circuito radio InBlu, che sono entrate a far parte dello scenario massmediale ecclesiale.
DIRITTO DELL’INFORMAZIONE
La disposizione costituzionale sulla libertà di manifestazione del pensiero
La libertà di manifestazione del pensiero, tra le libertà fondamentali, è certamente una
di quelle che più caratterizza i rapporti tra lo Stato ed i cittadini, contribuisce a
delineare una determinata forma di Stato, e tutto il sistema democratico di stampo
occidentale (o liberale). La Corte Costituzionale italiana l’ha definita “la pietra angolare
dell’ordinamento democratico. Il principio della libera manifestazione del pensiero è,
tra l’altro, uno dei più regolamentati dalle moderne Costituzioni nazionali, ed anche in
numerosi atti e documenti internazionali. L’art. 21 della Costituzione italiana stabilisce,
al primo comma, che “tutti hanno diritto a manifestare liberamente il proprio pensiero
con la parola, lo scritto, ed ogni altro mezzo di diffusione”. Nei commi successivi, dal
secondo al quinto, detta i principi sulla disciplina della stampa infine, al sesto comma,
enuncia i limiti del buon costume, che vale non solo per la stampa ma anche per gli
spettacoli, ed in genere per “tutte le manifestazioni del pensiero”. La norma dell’art. 21
della Costituzione segna un notevole progresso rispetto alla corrispondente dello
Statuto Albertino, che proclamava la libertà della stampa, ma la consegnava alla
discrezionalità del legislatore con un’equivoca formulazione (“La stampa è libera ma
una legge ne reprime gli abusi”), che avrebbe consentito ampie limitazioni durante il
ventennio fascista. Da notare che l’art. 21 parla di “stampa”, ma non fa cenno alla tv ed
alla radio: la prima ancora non esisteva, era agli inizi del suo sviluppo in Europa, ma
analoga considerazione non può valere per la radio, invece già molto diffusa. Oltre a
queste “omissioni” sui supporti tecnici, nell’art. 21 mancano alcuni profili concettuali
già presenti in altri testi normativi: ad esempio, nell’art. 19 della Dichiarazione
universale dei diritti dell’uomo, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni
Unite il 10 dicembre 1948, troviamo una definizione più ampia della libertà di pensiero:
“Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di
cercare, ricevere, e diffondere informazione ed idee attraverso ogni mezzo e senza
riguardo alle frontiere”. La stessa Costituzione tedesca (art. 5) parla di “diritto di
informarsi senza ostacoli da fonti accessibili a tutti”, e proclama, oltre alla libertà di
stampa, la “libertà di informare mediante radio e film”. Un altro importante riferimento
è rappresentato dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e
delle libertà fondamentali (approvata nel 1950 dagli Stati membri del Consiglio
d’Europa e ratificata dall’Italia nel 1955): il primo comma dell’art. 10 stabilisce che ogni
persona ha diritto alla libertà di espressione, che comprende la libertà di opinione e la
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libertà di ricevere o comunicare le informazioni e le idee senza ingerenze da parte di
pubbliche autorità e senza considerazione di frontiere”; conclude precisando che “il
presente articolo non impedisce agli Stati di sottoporre le imprese di radiodiffusione, di
cinema e di televisione ad un regime di autorizzazione”. Un’articolazione ancora più
completa si trova negli atti più recenti, in primo luogo l’art. 11 della Parte prima del
progetto di Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa, adottato dalla
Convenzione europea il 10 luglio 2003: in tale articolo riprende la formula della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali, in quanto stabilisce che “ogni individuo ha diritto alla libertà di
espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di
comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle
autorità pubbliche e senza limiti di frontiera”.
La definizione della libertà di manifestazione del pensiero.
Il primo comma dell’art. 21 adotta una formulazione che attribuisce a tutti (sia cittadini
che stranieri) il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, a conferma che si
tratta di un diritto dell’uomo. Questo dal punto di vista del soggetto titolare del diritto.
Dal punto di vista dell’oggetto del diritto, la dottrina e la giurisprudenza della Corte
Costituzionale hanno equiparato alla definizione del “proprio pensiero” le notizie ed i
fatti di attualità, le conoscenze e, in genere, le informazioni. Restano invece esclusi dalle
garanzie dell’art. 21 l’istigazione, l’apologia, la propaganda, ritenute più azioni che
pensiero, nonché, secondo una parte della dottrina, la pubblicità, considerata
strumentale alla libertà di iniziativa economica e sottoponibile agli stessi limiti che l’art.
41 della Costituzione prevede a tale riguardo. La libertà di manifestazione del pensiero
si ricollega inoltre ad una pluralità di altre libertà enunciate nella nostra Costituzione,
tra cui la libertà di riunione ed associazione (art. 17-18), le libertà sindacali (art. 39) e
l’attività dei partiti politici (art. 49).
Sistema dei limiti alla libertà di manifestazione del pensiero
L’unico limite stabilito espressamente dall’art. 21 è quello del “buon costume”: il sesto
comma prevede infatti che siano “vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte
le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti
adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni”. E’ evidente, tuttavia, che la libertà di
manifestazione del pensiero incontra altri limiti, “impliciti”, dettati dall’esigenza di
tutelare beni diversi, altrettanto garantiti dalla Costituzione. La dottrina prevalente,
nonché la giurisprudenza della Corte costituzionale, concorda tuttavia nel ritenere che
non siano ammissibili altri limiti diversi da quelli fondati sulla stessa Costituzione. I
cosiddetti “limiti impliciti” (cioè diversi dal buon costume) possono comunque essere
classificati in due grandi categorie, a seconda che derivino da situazioni giuridiche
facenti capo a soggetti privati o a gruppi sociali, oppure alla tutela di interessi di natura
pubblicistica. Nel primo gruppo rientrano i limiti che discendono dai cosiddetti “diritti
della personalità”:
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• diritto alla riservatezza;
• diritto all’onorabilità;
• diritto alla dignità sociale;
• diritto d’autore e delle opere di ingegno;
Nella seconda categoria rientrano i limiti fondati sull’interesse all’amministrazione
della giustizia, il prestigio del Governo e della pubblica amministrazione, la sicurezza
dello Stato, il prestigio dell’economia pubblica.
Il buon costume
È piuttosto problematico dare una definizione univoca di buon costume. Dal punto di
vista penalistico, afferisce al comune senso del pudore e della pubblica decenza, ed è
relativo essenzialmente alla sfera della morale sessuale. Il riferimento normativo
fondamentale è l’art. 529 del codice penale, che precisa che “agli effetti della legge
penale, si considerano osceni gli atti e gli oggetti che, secondo il comune sentimento,
offendono il pudore”. Trattasi di una definizione che comporta un’ampia flessibilità
applicativa, a causa della indeterminatezza e della variabilità storica delle nozioni di
“comune sentimento” e di “pudore”. La Corte costituzionale ha precisato con fermezza
che il buon costume non può coincidere con la morale o la coscienza etica in quanto
concetti che vivono nella coscienza individuale, ma deve intendersi come risultante da
“un insieme di precetti che impongono un determinato comportamento nella vita
sociale di relazione, l’inosservanza dei quali comporta la violazione del pudore
sessuale, della dignità personale che con esso si congiunge, e del sentimento morale dei
giovani”. È una definizione più precisa, ma ancora notevolmente elastica, per
consentirne l’adeguamento al mutare delle opinioni sociali nel corso del tempo. La
Corte è inoltre intervenuta per operare un netto distinguo tra la capacità offensiva del
comune senso del pudore quando atti e oggetti sono destinati a raggiungere la
percezione della collettività e, al contrario, la mancanza di tale capacità quando gli
stessi si esauriscono nella sfera privata. In altre parole, per la Corte la “pubblicità” è un
requisito essenziale della nozione di “buon costume”; tanto più importante quando i
destinatari dell’atto o dell’oggetto sono i giovani, in quanto il dovere di protezione della
gioventù è espressamente previsto dalla Costituzione (art. 31). Al limite del buon
costume non è soggetta invece l’opera d’arte e la scienza, mancando la menzione di tale
limite nell’art. 33 della Costituzione.
Il limite della tutela dell’onore
La libertà di manifestazione del pensiero comprende qualsiasi forma di espressione
delle idee, di opinione, di notizia che si vuol comunicare agli altri. Dunque si devono
considerare tutelate dalla norma costituzionale anche le notizie e, in genere, le
informazioni. Esiste, cioè, un diritto di cronaca che la giurisprudenza ritiene legittimo
anche nel caso di contenuto ingiurioso o diffamatorio, in presenza di requisiti di verità,
utilità sociale e continenza. La tutela dell’onore e della reputazione della persona
costituisce la fonte di una serie di limiti alla libertà di espressione. Il suo fondamento
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viene ravvisato da alcuni nell’art. 2 della Costituzione (interpretato come “categoria
aperta” dei diritti inviolabili); da altri nell’art. 3, che riconosce la “pari dignità sociale
dei cittadini”; da altri ancora nello steso art. 21, primo comma, che, nella parte in cui
tutela il cosiddetto “diritto al silenzio”, garantirebbe anche la pretesa a che non siano
divulgati fatti o valutazioni disonorevoli. Ma come può essere definito il “bene
giuridico dell’onore”? Una definizione è “il complesso delle condizioni da cui dipende
il valore sociale della persona, o come l’opinione che delle qualità di una persona ha
essa stessa o l’ambiente sociale”. In generale, si tende ad individuare due profili:
• l’onore in senso “soggettivo”, che consiste nel sentimento che ciascuno ha di se
stesso e della propria dignità;
• l’onore in senso “oggettivo”, cioè la reputazione, che si individua nella stima che i
consociati hanno del soggetto in questione.
In base a questa dicotomia è definito anche il sistema dei delitti contro l’onore, che
prevede le due fattispecie-base dell’ingiuria, offensiva dell’onore e del decoro, e della
diffamazione, lesiva della reputazione.
I limiti al diritto di cronaca
Ai fini della tutela dell’onore, la Corte di Cassazione ha individuato una serie di limiti
all’esercizio di cronaca, o più esattamente una serie di condizioni che operano come
discriminanti nei confronti della cronaca lesiva dell’onore altrui:
• la prima attiene all’“utilità sociale” della notizia o alla rilevanza sociale della stessa:
sono socialmente rilevanti le notizie che rivestono interesse per l’intera collettività
nazionale, o anche per poche persone, purché siano tali da assumere ugualmente
significato per la collettività in ragione della rilevanza morale o sociale
dell’argomento.
• l’inderogabile necessità di un rispetto del limite della verità oggettiva di quanto
riferito; non poche sentenze, peraltro, hanno considerato sufficiente la “verità
putativa”, purché il giornalista dia prova di aver svolto un lavoro diligente di
verifica delle fonti di informazione;
• l’obbligo di rappresentare fedelmente gli avvenimenti tali quali siano; pertanto,
un’altra condizione essenziale è la continenza, ovvero la forma civile
dell’esposizione, poiché notizie vere possono risultare offensive in conseguenza del
modo e della forma in cui vengono presentate: perciò possono considerarsi illeciti, in
quanto lesivi dell’onore, gli epiteti ingiuriosi isolati, le valutazioni offensive
sproporzionate alla portata del fatto o del comportamento censurato, le affermazioni
degradanti.
La tutela dell’onore diventa ancora più complessa quando si considerano forme di
espressione diverse dalla cronaca, quali la critica e la satira, entrambe garantite dall’art.
21 della Costituzione. La critica, rispetto alla cronaca non si concretizza nella narrazione
di fatti, bensì nell’espressione di un giudizio o di un’opinione: pertanto, come
discriminanti, vengono meno i criteri di verità ed obiettività, e diventa complicata
l’applicazione della categoria di continenza (perché la critica deve esprimersi con libertà
di linguaggio); rimane però il limite dell’interesse pubblico e sociale della critica stessa:
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in altre parole, le persone ed i comportamenti criticati devono richiamare su di sé
l’attenzione dell’opinione pubblica. Ancora più aleatoria è la consistenza dei limiti nel
caso della satira, per il suo carattere intrinsecamente dissacrante: l’unico limite vero è
quello della rilevanza sociale, cioè la notorietà della persona cui il fatto si riferisce, ed
un nesso di pertinenza tra il fatto esposto in forma umoristica e la sfera della persona
investita dalla notorietà, poiché la satira deve attenersi ad ambiti diversi da quelli della
vita privata della persona nota.
Il limite della riservatezza
Altro limite alla libertà di manifestazione del pensiero è il diritto alla riservatezza,
definito come l’interesse di un soggetto a mantenere la sfera della propria vita privata
ed intima al riparo da indiscrezioni altrui. Qual è il fondamento costituzionale? Alcuni
lo fanno discendere dalle disposizioni che tutela il domicilio (art.14) ed il diritto di
comunicazione e corrispondenza (art. 15); altri lo ricavano dallo stesso art. 21, come
libertà negativa di manifestazione del pensiero; la dottrina prevalente fa però
riferimento all’art. 2 della Costituzione, interpretandolo come “generale diritto della
personalità”. Ma il contributo più importante alla sua definizione è venuto dalla
giurisprudenza della corte di Cassazione, che ha elaborato una serie di principi recepiti
dal legislatore con la cd. “legge sulla privacy”. La sentenza storica è la n. 2199/1975,
nella quale è stata individuata la natura nella “tutela di quelle situazioni e vicende
strettamente personali e familiari, le quali, anche se verificatesi fuori dal domicilio
domestico, non hanno per i terzi un interesse socialmente apprezzabile”. Il problema
della tutela della riservatezza si pone soprattutto in relazione al diritto di cronaca.
La libertà di essere informati
All’interno della libertà d’informazione è necessario distinguere i due lati della
medaglia:
• il lato attivo, definito come “libertà di informare”, che definisce la posizione
soggettiva del titolare della libertà di informazione, di colui, cioè, che elabora e che
diffonde presso il pubblico notizie, fatti, informazioni;
• il lato passivo, inteso come libertà di informarsi, “libertà-diritto di essere informati”.
Il lato passivo della libertà d’informazione è da tempo evidenziato nei testi
costituzionali ed anche in molti documenti internazionali (la Carta delle Nazioni Unite,
la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, la Carta dei diritti
dell’Unione europea). Il titolare di questa libertà è frequentemente lo stesso titolare
della libertà d’informazione mentre il titolare dell’obbligo, dei doveri, sarà
principalmente lo Stato, la pubblica amministrazione o quanti altri detengano le fonti, le
notizie riservate che i primi hanno interesse a conoscere e divulgare. Il principio della
pubblicità degli atti amministrativi è da ricollegare ai principi costituzionali di legalità e
imparzialità dell’azione amministrativa (art. 97).
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Il limite dei segreti
Le considerazioni appena svolte sulla libertà di essere informati, ci portano a
considerare un’altra categoria di limiti, quella relativa ai segreti, l’esistenza dei quali
costituisce forse la più radicale limitazione alla libertà di cui all’art. 21 della
Costituzione. In linea generale, è possibile ricondurre i segreti a due grandi categorie:
• il primo gruppo attiene alla tutela di situazioni facenti capo a soggetti privati:
segreto professionale, segreto scientifico e industriale, segretezza delle
comunicazioni;
• il secondo gruppo attiene invece alla tutela di interessi di dimensione schiettamente
pubblicistica: così il segreto di Stato, il segreto d’ufficio e, per certi aspetti, il segreto
investigativo.
Il segreto professionale
L’art. 622 del codice penale prevede il delitto di rivelazione del segreto professionale
per le seguenti categorie di professionisti e titolari di particolari uffici:
• ministri delle confessioni religiose;
• avvocati;
• investigatori privati autorizzati;
• consulenti tecnici e notai;
• medici, chirurghi, farmacisti, ostetriche ed ogni altro esercente la professione
sanitaria;
• gli esercenti altri uffici o professioni cui la legge riconosca la facoltà di astenersi dal
deporre.
L’art. 200 del codice penale dispone che il diritto di astenersi dal deporre è riconosciuto
anche ai “giornalisti iscritti nell’albo professionale, relativamente ai nomi delle persone
dalle quali hanno avuto notizie nell’esercizio della loro professione. Tuttavia, se le
notizie sono indispensabili ai fini della prova del reato per cui si procede e la loro
veridicità può esser accertata solo attraverso l’identificazione della fonte della notizia, il
giudice ordina al giornalista di indicare la fonte delle sue informazioni”.
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Ordinamento della comunicazione
La riforma costituzionale del Titolo V della parte seconda della Costituzione, nella redistribuzione delle competenze tra Stato e Regioni, ha collocato il settore della
comunicazione (“ordinamento della comunicazione”) tra le materie di legislazione
concorrente, laddove allo Stato è riservata la definizione di principi fondamentali e alle
Regioni la normativa di dettaglio. Tale scelta risponde alla necessità che lo Stato – nel
definire i principi fondamentali – svolga la sua “essenziale funzione di salvaguardia
dell’unità della Nazione e dell’identità culturale italiana”, mentre, dall’altro, le Regioni
sviluppino una legislazione che “valorizzi il criterio dell’articolazione territoriale della
comunicazione come espressione delle identità e delle culture locali”.
Principi fondamentali individuati dalla Corte costituzionale
In questo quadro gli orientamenti più innovativi della giurisprudenza sono si sono
venuti a manifestare sull’asse di tre direttrici fondamentali che hanno investito:
• riconoscimento di un “diritto all’informazione” inteso come “libertà di informare”;
• individuazione del pluralismo come valore sotteso all’intero sistema
dell’informazione;
• definizione dei caratteri fondamentali del servizio radiotelevisivo inteso come
“servizio pubblico essenziale” (art. 43 Cost.), ma destinato ad operare entro la
cornice costituzionale della libertà di espressione del pensiero (art. 21 Cost.) e della
libertà di impresa (art. 41 Cost.).
Per quanto concerne il “diritto all’informazione”, la Corte, in linea generale, è sempre
partita dal riconoscimento che la libertà d’informazione va inclusa nella libertà di
espressione, dal momento che le notizie (al pari delle opinioni) vanno ricondotte
all’ambito delle espressioni del pensiero. Da qui l’esigenza di caratterizzare e qualificare
il “diritto dell’informazione” in ragione di:
• pluralismo delle fonti di informazione;
• obiettività e imparzialità dei dati forniti;
• completezza, correttezza e continuità dell’attività informativa;
• rispetto della dignità umana e degli altri valori primari garantiti dalla Costituzione.
E proprio da questi obblighi specifici la Corte faceva anche derivare il dovere per lo
Stato di garantire le condizioni per la presenza di un sistema informativo fondato su
una pluralità di fonti d’informazione in libera concorrenza tra loro.
La disciplina della stampa
L’art. 21 della Costituzione dedica un’attenzione particolare alla stampa, quello cioè che
per tutto l’800 era considerato il principale mezzo di comunicazione di massa. Il
secondo comma dice che la stampa non può essere soggetta ad autorizzazione o a
censura. Questa specifica attenzione sembra costituire un privilegio rispetto ad altri
mezzi (non meno importanti - basti pensare alla Tv) non espressamente disciplinati; ma
un principio di disciplina dei mezzi si ricava già dal 1° comma dell’art. 21, e quindi le
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garanzie che ne derivano dai combinati disposti costituzionali non sono certamente
inferiori, anche se affidate in parte significativa all’opera degli interpreti.
Principi costituzionali in materia di stampa
L’oggetto principale della Costituzione è la stampa intesa come “stampato”, prodotto
cioè dell’attività editoriale, sia esso un giornale, un manifesto o anche un semplice
volantino. La Corte cost. nelle sue sentenze ha precisato cosa debba intendersi per
autorizzazione (“provvedimenti preventivi che, rimessi al potere discrezionale
dell’autorità amministrativa, potrebbero impedire la pubblicazione degli scritti destinati
al pubblico, come appunto i giornali ed i periodici”) e censura (“istituto tipico del diritto
pubblico, secondo cui gli organi dello Stato esercitano un controllo preventivo della
stampa”). Si sono voluti quindi rimuovere categoricamente i rischi, e non solo i rischi,
che la stampa aveva corso durante il regime fascista ad opera di ripetuti interventi di
censura politica esercitati da organi polizia. Il secondo comma dell’art. 21 ammette
invece il sequestro dello stampato, successivamente alla sua pubblicazione, con una
serie di cautele e garanzie. Si tratta delle garanzie che presidiano gli artt. 13 e 14, con
alcuni adattamenti derivanti dalla situazione specifica della stampa. Sono previsti:
• riserva di legge;
• riserva di giurisdizione.
Per quanto riguarda la riserva di legge è rinforzata dalla previsione dei casi nei quali il
sequestro può essere ammesso e che riguardano:
• delitti per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi;
• violazioni di norme che la legge stessa prescrive per l’indicazione dei responsabili.
Il quinto comma dell’art. 21 esamina il principio della trasparenza delle fonti di
finanziamento, che ha assunto con il passare del tempo un’importanza crescente. Dice
la Cost. che “la legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i
mezzi di finanziamento della stampa periodica”. Non si è voluto quindi stabilire un
obbligo a questo riguardo, ma una semplice facoltà, demandando al Parlamento il
compito di provvedere con norme di carattere generale. La legge n. 416 del 1981 recante
provvedimenti per l’editoria ha dato applicazione a questo principio con tre gruppi di
norme:
• norme che impongono, per motivi di trasparenza, la titolarità delle imprese editrici
di quotidiani e periodici a persone fisiche o comunque a società riconducibili a
persone fisiche;
• istituzione del registro nazionale della stampa al quale debbono iscriversi
obbligatoriamente, tra l’altro, gli editori di giornali quotidiani e periodici;
• prescrizione di pubblicare annualmente, sulla base di un schema-tipo, i bilanci delle
imprese editrici di giornali quotidiani.
La disciplina giuridica della stampa – cenni storici
Possiamo distinguere tre fasi:
1. periodo liberale;
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2. periodo fascista;
3. fase successiva alla redazione della Costituzione.
Le scelte operate dallo Statuto albertino nel 1848 e dall’Editto sulla stampa evidenziano
i tratti tipici dell’atteggiamento degli Stati liberali nei confronti della stampa. In
particolare:
• affermazione della equivalenza tra la garanzia della libertà di manifestazione del
pensiero e la libertà di stampa;
• assenza di ogni strumento di censura o di autorizzazione;
• limitatezza delle prescrizioni di previa pubblicità sia per la stampa periodica che
non periodica.
L’art. 28 dello Statuto albertino dichiara che “la stampa sarà libera, ma una legge ne
reprime gli abusi”. Di particolare rilevanza è la figura del “gerente responsabile”, che
doveva essere obbligatoriamente nominato per ogni periodico e che fungeva centro di
imputazione delle responsabilità per la commissione di reati a mezzo stampa; egli
rispondeva personalmente del contenuto degli articoli anonimi e in solido con l’autore
per quelli regolarmente firmati. Un sostanziale mutamento inizia con l’approssimarsi
della guerra e le acute tensioni politiche e sociali conseguenti: dalla primavera del 1915
alla metà del 1919 si opera in un regime di limitazione della libertà di stampa, che
progressivamente si estende ad una serie sempre più ampia di materie, sebbene sia
l’avvento del regime fascista a determinare le trasformazioni più radicali. Affermatosi il
regime, infatti, vengono convertiti in legge due decreti sostanzialmente diretti a colpire
la stampa contraria la regime. Emerge con chiarezza la volontà totalitaria del regime
fascista di realizzare un controllo pieno sulla stampa periodica e quotidiana, come
dimostrano anche le c.d. “istruzioni alla stampa”, ovvero ordini e divieti fatti pervenire
ai giornali al fine di renderli “uniformi” ai dettami della propaganda fascista. Dopo l’8
settembre 1943, furono concessi pieni poteri agli Alleati sui mezzi di comunicazione di
massa, ma anche sotto il Governo Badoglio e nella fase dei Governi dei partiti politici
del Comitato di Liberazione nazionale, la legislazione sulla stampa rimane illiberale.
La legge sulla stampa 47/1948 e la legge di riforma dell’editoria n. 416/1981
La legge 8 febbraio 1948, n. 47, rappresenta quella “legge sulla stampa” cui fa
riferimento il terzo comma dell’art. 21. Tale legge ha introdotto le seguenti novità:
• registrazione, da effettuare presso la cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione
si intende svolgere l’attività, ha sostituito il provvedimento autorizzatorio;
• disciplina del diritto di rettifica;
• aggravamento delle pene per il reato di diffamazione commesso con il mezzo della
stampa.
Di particolare importanza è la figura del “direttore responsabile”: la legge stabilisce che
ogni giornale o altro periodico deve avere un direttore responsabile, il cui nome deve
essere obbligatoriamente riportato in ogni stampato, oltre ai dati dello stampatore e
dell’editore. Tale indicazione assume particolare rilievo ai fini dell’imputazione della
responsabilità penale per i rati commessi a mezzo stampa.
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L’esercizio della professione giornalistica
La legge istitutiva dell’ordine dei giornalisti risale al 1925 (31 dicembre, n. 2307): essa
prevedeva la costituzione di albi professionali, depositati presso le Corti di Appello,
presso cui bisognava essere iscritti per esercitare la professione. Con regio decreto del
1928 venne stabilito che la tenuta dell’albo era affidato ad un comitato di 5 membri,
nominati dal Ministro di Grazia e Giustizia di concerto con i Ministri dell’Interno e delle
Corporazioni. Tale sistema rimase invariato fino al 1944, quando una nuova
disposizione affidò la tenuta degli Albi e la disciplina degli iscritti ad un’unica
Commissione con sede a Roma. Soltanto dopo 18 anni di regime transitorio,
l’ordinamento della professione giornalistica ha assunto un assetto definitivo, con la
vigente legge 3 febbraio 1963, n. 69. Dal combinato disposto dell’art. 2 e dell’art. 34 si
desume una definizione dell’attività giornalistica quale:
• attività di diffusione (mediante giornali, periodici, agenzie di stampa, radio e
televisione) di notizie, ovvero di conoscenze di determinati fatti, acquisite e
criticamente formate in modo da corrispondere alla loro verità sostanziale, nonché
di opinioni e di commenti in genere.
I soggetti dell’attività sono individuati dall’art. 1:
• i professionisti, ovvero coloro che esercitano in modo esclusivo e continuato la
professione giornalistica, dopo aver svolto almeno 18 mesi la pratica professionale
presso un giornale;
• i pubblicisti, ovvero coloro ce svolgono attività giornalistica non occasionale e
retribuita da almeno 2 anni, anche se esercitano altre professioni o impieghi.
Per queste due categorie è prevista l’iscrizione all’Albo professionale, deliberata dal
competente Consiglio Regionale o Interregionale, a condizione che l’interessato
dimostri l’attività giornalistica svolta, attraverso la presentazione di giornali e periodici
contenenti scritti e firma del richiedente ed i certificati dei direttori delle pubblicazioni,
comprovanti lo svolgimento di un’attività pubblicistica regolarmente retribuita per
almeno 2 anni. Al giornalista professionista è richiesto anche il requisito dell’idoneità
professionale accertata tramite un esame. I praticanti invece non sono iscritti all’albo,
sono semplicemente aspiranti e sono iscritti nel registro dei praticanti: sono tenuti ad
osservare le regole deontologiche dei professionisti. La legge precisa le modalità della
pratica:
• presso un quotidiano o servizio radiofonico o televisivo;
• presso un’agenzia di stampa a diffusione nazionale e con almeno 4 redattori
ordinari;
• presso un periodico a diffusione nazionale con almeno 6 redattori ordinari.
L’ordine dei giornalisti è un ente pubblico a struttura associativa; l’albo, invece, è un
documento che attesta pubblicamente l’esistenza nei soggetti iscritti dei requisiti
richiesti dalla legge. Ci sono tuttavia perplessità sulla legittimità costituzionale
dell’ordine, in quanto l’iscrizione obbligatoria nell’albo sembra contrastare con l’art. 21
che consente a tutti di manifestare liberamente il proprio pensiero. Con una sentenza
del 1968, la Corte costituzionale dispone l’obbligatorietà dell’iscrizione, e ha
riconosciuto il ruolo dell’ordine dei giornalisti come strumento di auto-tutela della
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categoria, per contrastare il potere economico dei datori di lavoro e vigilare sulla
dignità professionale degli iscritti. Nel corso degli anni ci sono stati tentativi di
modificare tale disciplina (anche tramite referendum popolare), allo scopo di
liberalizzare l’accesso alla professione e renderlo più coerente con i principi
dell’ordinamento comunitario. Nessuna delle proposte ha terminato con esito
favorevole il proprio iter di esame.
La deontologia professionale
Nell’esercizio della professione giornalistica si pone quotidianamente un contrasto tra i
valori tutelati dalla Costituzione – il diritto di cronaca - e la tutela dei diritti
fondamentali della persona (riservatezza, dignità, presunzione di innocenza). L’art. 2
della legge 69/1963 prevede che il giornalista ha un diritto insopprimibile alla libertà di
informazione e di critica e, contestualmente, l’obbligo inderogabile di rispettare la verità
sostanziale dei fatti, in un contesto di lealtà e di buona fede. La legge stabilisce un
procedimento disciplinare per coloro che si rendono colpevoli di fatti che
compromettono la propria reputazione o la dignità dell’ordine. Le sanzioni sono
modulate sulla base della gravità della violazione, e prevedono:
• avvertimento, che consiste in un mero richiamo ed in un’esortazione all’osservanza
dei doveri;
• censura, un biasimo formale per una violazione deontologica di maggiore gravità;
• sospensione dall’esercizio della professione per un periodo da 2 mesi a 1 anno;
• radiazione dall’albo.
Tali regole deontologiche si sono rivelate generiche e poco efficaci, e l’ordine non è stato
in grado, se non eccezionalmente, di intervenire in maniera efficace.
Le carte dei doveri
Vista la scarsa efficacia delle sanzioni della legge 69/1963, si è preferito puntare su
forme di autoregolamentazione. Il primo codice di autodisciplina è costituito dalla
Carta di Treviso, sottoscritta nel 1990 dall’Ordine e dalla FNSI (il sindacato dei
giornalisti) al fine di sviluppare un’informazione sui minori più funzionale alle esigenze
dell’infanzia e dell’adolescenza. Nel 1993 la FNSI e l’Ordine hanno dato vita alla Carta
dei doveri dei giornalisti. Essa fissa una serie di doveri che attengono alla responsabilità
del giornalista verso i cittadini. In particolare, il giornalista:
• accetta indicazioni e direttive soltanto dalle gerarchie redazionali della sua testata,
purché le disposizioni non siano contrarie alla legge professionale, al Contratto
nazionale del lavoro e alla Carta dei doveri;
• non può discriminare nessuno per la sua razza, religione, sesso, condizioni fisiche o
mentali, opinioni politiche. Il riferimento non discriminatorio, ingiurioso o
denigratorio a queste caratteristiche della sfera privata delle persone è ammesso solo
quando sia di rilevante interesse pubblico;
• rispetta il diritto alla riservatezza di ogni cittadino e non può pubblicare notizie sulla
sua vita privata se non quando siano di chiaro e rilevante interesse e rende,
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comunque, sempre nota la propria identità e professione quando raccoglie tali
notizie;
• i nomi delle vittime di violenze sessuali non vanno pubblicati né si possono fornire
particolari che possano condurre alla loro identificazione a meno che ciò sia richiesto
delle stesse vittime per motivi di rilevante interesse generale;
• in tutti i casi di indagini o processi, il giornalista deve sempre ricordare che ogni
persona accusata di un reato è innocente fino alla condanna definitiva e non deve
costruire le notizie in modo da presentare come colpevoli le persone che non siano
state giudicate tali in un processo;
• in caso di assoluzione o proscioglimento di un imputato o di un inquisito, il
giornalista deve sempre dare un appropriato rilievo giornalistico alla notizia, anche
facendo riferimento alle notizie ed agli articoli pubblicati precedentemente;
• il giornalista rispetta il diritto inviolabile del cittadino alla rettifica delle notizie
inesatte o ritenute ingiustamente lesive. Rettifica quindi con tempestività e
appropriato rilievo, anche in assenza di specifica richiesta, le informazioni che dopo
la loro diffusione si siano rivelate inesatte o errate, soprattutto quando l'errore possa
ledere o danneggiare singole persone, enti, categorie, associazioni o comunità.
Con riferimento alle fonti dell’informazione:
• il giornalista deve sempre verificare le informazioni ottenute dalle sue fonti, per
accertarne l'attendibilità;
• nel caso in cui le fonti chiedano di rimanere riservate, il giornalista deve rispettare il
segreto professionale e avrà cura di informare il lettore di tale circostanza;
• in qualunque altro caso il giornalista deve sempre rispettare il principio della
massima trasparenza delle fonti d'informazione, indicandole ai lettori o agli
spettatori con la massima precisione possibile.
In tema d’incompatibilità, la Carta dei doveri prevede che il giornalista:
• non può subordinare in alcun caso al profitto personale o di terzi le informazioni
economiche o finanziarie di cui sia venuto comunque a conoscenza;
• non può scrivere articoli o notizie relativi ad azioni sul cui andamento borsistico
abbia direttamente o indirettamente un interesse finanziario, ne’ può vendere o
acquistare azioni delle quali si stia occupando professionalmente o debba occuparsi
a breve termine;
• rifiuta pagamenti, rimborsi-spese, elargizioni, vacanze gratuite, trasferte, inviti a
viaggi, regali, facilitazioni o prebende, da privati o da enti pubblici, che possano
condizionare il suo lavoro e l'attività redazionale o ledere la sua credibilità e dignità
professionale;
• non assume incarichi e responsabilità in contrasto con l'esercizio autonomo della
professione, né può prestare il nome, la voce, l'immagine per iniziative pubblicitarie
incompatibili con la tutela dell'autonomia professionale;
• sono consentite invece, a titolo gratuito, analoghe prestazioni per iniziative
pubblicitarie volte a fini sociali, umanitari, culturali, religiosi, artistici, sindacali o
comunque prive di carattere speculativo.
La Carta ha approntato un nuovo organismo che, dietro segnalazione dei cittadini
direttamente o indirettamente offesi da articoli, valuta la fondatezza della denuncia: in
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caso positivo, notifica al Consiglio dell’Ordine competente per territorio il
comportamento del giornalista per l’eventuale apertura di un procedimento
disciplinare.
VOCABOLARIO GIORNALISTICO
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Abbreviazione: scrittura di una parola in forma ridotta.
Abstract: sintesi della notizia per l'archiviazione.
Accredito: autorizzazione garantita dalla testata che permette l'accesso a strutture o
sedi istituzionali.
Acronimo: parola composta dalle sillabe iniziali di alcune parole.
Agenda: rubrica in cui si segnalano scadenze, santi del giorno, viabilità, previsioni
meteo ed altre informazioni utili.
Allegato: fascicolo aggiuntivo a una pubblicazione periodica.
Andare in macchina: momento in cui il giornale è pronto per la stampa.
Apertura: articolo pubblicato in prima pagina, dedicato alla notizia più importante
del giorno.
Aperta: pagina che non può essere variata in nessun caso.
Appuntamenti: spazio dedicato alla segnalazione di spettacoli, conferenze, fiere,
ecc...
Articolo di colore: pezzo a carattere sociologico che descrive ambienti, sensazioni e
umori circa un determinato avvenimento.
Asterismo: segno di suddivisione di un testo costituito da tre asterischi (***), nel
corpo della pagina.
Attacco: parte iniziale di un articolo che fornisce al lettore gli elementi sostanziali
della notizia.
Attualizzare: rinnovare una notizia vecchia per farla accettare dai lettori.
Audience: tutti gli spettatori del programma nelle diverse fasce orarie.
Avviamento: fase iniziale delle operazioni di spedizione di un giornale ai
distributori e alle edicole.
Background: il complesso degli elementi necessari per conoscere meglio un fatto. In
genere è rappresentato dai precedenti del fatto.
Ballon d'essai: notizia diffusa per registrare la reazione dell'opinione pubblica su un
fatto di ordine politico.
Battage: servizio giornalistico impegnato a sostegno di un avvenimento o di un
personaggio pubblico.
Battuta: è l'unità di misura della lunghezza del pezzo. In genere indica le lettere.
Binomizzazione: ricorso a binomi di immediata comprensione nel linguaggio
giornalistico.
Breve: notizia di poche righe senza titolo.
Briefing: la somma delle informazioni che un'agenzia di pubblicità riceve dal cliente
in merito al prodotto di cui deve ideare la campagna.
Borderò: elenco delle spese di una testata giornalistica.
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Box: piccolo spazio evidenziato nella pagina dedicato ad un approfondimento o ad
un inciso.
Bozza: parte della pagina riprodotta per la correzione. Prova di stampa.
Bozzino: prova di stampa elettronica di una pagina, di proporzioni ridotte rispetto
all'originale.
Bozzone: prova di stampa di una pagina composta.
Bruciatura: notizia diffusa con largo anticipo da altri mass media.
Buco: mancata pubblicazione di una notizia importante, apparsa sulle testate
concorrenti. Si tratta di un pezzo mai scritto e mai pubblicato.
Bufala: notizia di grande clamore completamente falsa e tendenziosa.
Calembour: titolo fantasioso, risultato di un gioco di parole.
Campagna: impegno di una testata ad affrontare in modo continuativo un
determinato argomento.
Canard: notizia assolutamente priva di fondamento.
Capocronaca: articolo di fondo della pagina riservata alla cronaca locale.
Capolettera: lettera maiuscola iniziale, di dimensione maggiore rispetto al resto del
copo del testo.
Capopagina: redattore responsabile di una pagina.
Caporali: virgolette che racchiudono un discorso diretto, ovvero le dichiarazioni di
un intervistato.
Caposervizio: responsabile di una unità operativa del giornale.
Cappello: breve testo che precede l'articolo, composto in caratteri più grandi.
Carrellata: movimento della telecamera con punto di inquadratura fisso.
Cartella: unità di misura della lunghezza del pezzo pari a 30 righe di 60 battute
l'una.
Carticino: foglio contenete quattro pagine. Viene detto anche "Quarticino".
Case history: storia altamente significativa ed esemplare in riferimento
all'argomento trattato.
Catena: gruppo di quotidiani locali che fanno capo alla stessa proprietà.
Catenaccio: ulteriore titolo posto sotto a quello principale come una sorta di
sommario dell'articolo.
Cavallo: informatore personale di un giornalista.
Cavallo di ritorno: notizia scambiata per nuova e quindi rilanciata erroneamente con
risonanza.
Censura: azione preventiva attraverso la quale un potere governativo impedisce la
pubblicazione di determinate notizie.
Centro: notizia che occupa nella pagina, di solito la prima pagina del giornale, una
posizione centrale.
Centrotesta: spazio tra apertura e spalla, in alto, al centro della pagina.
Cestinare: mancata pubblicazione di una notizia.
Chiamata: segno convenzionale sulla bozza per indicare al compositore la
correzione da apportare a un testo.
Chiusa: la fine di un articolo (detta anche "Coda").
Chiusura: fase finale del ciclo di lavoro in redazione.
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Circulation: numero di copie distribuite, ossia il numero effettivo di copie di
giornale vendute, con esclusione degli omaggi, copie di scambio, ecc.
Civetta: segnalazione in prima pagina di un articolo posizionato nelle pagine interne
del giornale.
Coccodrillo: articolo commemorativo, già confezionato, su un personaggio pubblico
che viene pubblicato in occasione della sua scomparsa.
Coda: la fine di un articolo (detta anche "Chiusa").
Codice interno: insieme di norme linguistiche e deontologiche che ogni testata
diffonde in redazione per uniformare il lavoro dei diversi giornalisti.
Collaboratore: colui che scrive regolarmente su una testata senza essere assunto.
Collazione: confronto tra il testo originale e la prima bozza di stampa.
Colonna: spazio predeterminato in cui viene suddivisa verticalmente la pagina di
una testata. In genere, i quotidiani hanno nove colonne, i tabloid sei, e i periodici da
due a cinque.
Colonnaggio: numero di colonne utili per un determinato articolo.
Colpo giornalistico: rivelazione sensazionalistica di un fatto sconosciuto al pubblico.
Equivale all'inglese scoop.
Commento: articolo che non descrive un fatto, ma esprime un’opinione o
un’interpretazione. In genere affianca un articolo in cui vengono riportate le notizie
del momento.
Compilare: selezionare le notizie, fare i titoli, indicare la forza del corpo, o il tipo di
carattere tipografico da usare, la giustezza.
Comunicato stampa: notizia sintetica priva di commenti su iniziative o
manifestazioni diramate da enti, istituzioni, partiti politici, aziende o associazioni.
Concessionaria: la società a cui un'azienda editoriale o un'emittente tv delega la
vendita degli spazi pubblicitari.
Conferenza stampa: evento a cui vengono invitati i giornalisti di tutte le testate
interessate all'argomento. Può essere indetta da un personaggio conosciuto, da un
ente pubblico, da una impresa o da chiunque possa comunicare notizie di interesse
giornalistico.
Contenitore: programma televisivo che contiene diverse situazioni, anche totalmente
differenti tra loro.
Contornato: richiamo e riassunto a notizie o servizi contenuti nelle pagine interne.
Copertina: prima pagina - solitamente di grammatura maggiore - di un periodico,
generalmente dedicata all'argomento principale trattato in quel numero.
Copie d'obbligo: le copie della testata inviate, in accordo con la Legge vigente, dal
tipografo o dall'editore al tribunale di competenza e alle biblioteche nazionali.
Copyright: diritto d'autore. Divieto di riproduzione.
Copywriter: creatore dei testi e dei contenuti di una campagna stampa o una
campagna pubblicitaria.
Corpo: parte centrale di una notizia che segue all'attacco, aggiungendo particolari
via via che il pezzo procede.
Correttore di bozze: colui che corregge i testi per verificare la presenza di errori,
sviste o refusi.
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Corrispondente: giornalista o collaboratore, redattore o cronista, che invia notizie e
servizi dalla zona in cui risiede, e comunque da una località diversa dalla sede del
giornale o dall'agenzia per cui lavora. I corrispondenti si distinguono in: locali,
regionali, esteri e speciali.
Corrispondenza: è inviata dal corrispondente interno o esterno al giornale.
Corsivo: commento breve ma incisivo e polemico scritto, generalmente, in carattere
corsivo.
Corta: il giorno di riposo non festivo che i giornalisti, lavorando la domenica,
osservano a rotazione durante la settimana.
Costume: genere giornalistico che, prendendo spunto da notizie di attualità,
analizza le mutazioni dei comportamenti, degli stili di vita, dei valori.
Cover story: servizio speciale sul personaggio che compare nella copertina dei più
importanti periodici.
Cucina: lavoro di correzione dei pezzi inviati dai collaboratori esterni o dalle
agenzie.
Critica: articolo in cui si esprime un giudizio su un fatto o un personaggio.
Critico: giornalista specializzato in una disciplina artistica o spettacolare. In genere,
le discipline interessate sono: arte, cinema, teatro, lirica, letteratura e musica.
Cronaca: il resoconto giornalistico degli avvenimenti, come narrazione in ordine
cronologico dei fatti e, abitualmente, senza un impegno di analisi e di
interpretazione.
Cronaca Bianca: la parte di cronaca che si occupa dei problemi politico-sociali della
città.
Cronaca Nera: sezione della redazione di un giornale che si occupa di fatti delittuosi.
Cronaca Rosa: tipo di informazione, spesso a carattere scandalistico, che si occupa di
amori, matrimoni, divorzi e varie vicende personali di personaggi celebri.
Cronista: il giornalista che lavora nel servizio cronaca.
Dateline: indicazione in testa alla notizia d'agenzia con la provenienza, la data e l'ora
di trasmissione della notizia stessa.
DEA: archivio elettronico dell'Ansa, in cui sono conservate, in forma integrale o per
estratti, tutte le notizie trasmesse dall'1 gennaio 1975.
Desk: correzione definitiva delle bozze di stampa e degli impaginati.
Dichiarazione: opinione o parere trascritta tra virgolette di un personaggio pubblico
durante un intervista o un dibattito.
Dicitura: breve scritto esplicativo posto sotto un'illustrazione.
Didascalia (o Dida) Commento ad un’immagine.
Diffusione: il numero di copie che giunge al contatto con il lettore attraverso la
vendita, gli abbonamenti e anche omaggi. E' la differenza tra la tiratura e la resa.
Direttore responsabile: è la più alta carica gerarchica di un giornale e il responsabile
davanti alla legge di tutto ciò che viene pubblicato.
Dispaccio: notizia segnalata da un'agenzia di stampa.
Distico: breve articolo che introduce un nuovo collaboratore, una nuova rubrica o
una nuova serie di articoli.
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Distributore: agente o agenzia che si occupa della distribuzione del giornale nei
punti vendita.
Dossier: raccolta di documenti, fotografie, manoscritti, rapporti su un unico
argomento.
Ebdomadario: settimanale, pubblicazione periodica.
Echi di cronaca: breve notiziario della cronaca cittadina che informa di nascite,
morti, matrimoni, lauree, diplomi, inaugurazioni, ecc.
Editare: pubblicare, stampare.
Editing: parte integrante del lavoro redazionale, indicante il lavoro di revisione di
un testo scritto da altri.
Editore: colui che detiene la proprietà di un'impresa editoriale che pubblica giornali,
o che trasmette trasmissioni televisive o radiofoniche a carattere giornalistico e
informativo, che stampa in proprio o affidandoli ad altre imprese tipografiche.
Editoriale: articolo principale, in genere non firmato, pubblicato sulla prima pagina.
Esprime il parere della testata sul fatto politico, sociale, economico più rilevante del
giorno. E' generalmente attribuita al direttore.
Edizione: uscita di una testata o di una rubrica a carattere giornalistico.
Edizione straordinaria: edizione speciale che esce per informare su un avvenimento
eccezionale che non può attendere l'orario normale del giornale.
Elzeviro: articolo in bella scrittura, destinato alle pagine culturali.
Emeroteca: raccolta di quotidiani e periodici.
Errata corrige: scritta che compare su un giornale per segnalare e correggere un
errore compiuto nel numero precedente.
Esclusiva: informazione pubblicata da un giornale, attinta da una fonte che si è
impegnata a non passare la stessa a un'altra testata.
Estensore: redattore che sviluppa in un articolo le informazioni ricevute al telefono
dal cronista.
Esteri: il servizio del giornale che cura l'informazione proveniente dall'estero.
Estratto: riassunto molto sintetico di una notizia, spesso di archivio.
Fanzine: rivista giovanile.
Fascetta: indirizzo stampato per la spedizione dei giornali agli abbonati.
Fattaccio: notizia sensazionale di cronaca nera.
Fervorino: breve discorso all'interno di un articolo o pezzo giornalistico, con
esortazioni e ammonimenti.
Feuilleton: romanzo pubblicato a puntate su un quotidiano.
Finestra: testo incorniciato posto all'interno di un ampio articolo.
Finestrella: spazio pubblicitario limitato ma di grande impatto visivo, posto in prima
pagina di un quotidiano.
Flash: notizia breve trasmessa da un'agenzia stampa.
Fogliettone: articolo che tratta di un argomento curioso, insolito o frivolo che viene
utilizzato per alleggerire e rendere più piacevole la lettura.
Foliazione: numero di pagine che compongono il giornale.
Footer: parte inferiore della pagina. Contiene i riferimenti della testata, le
informazioni e i recapiti della redazione e l'informativa per il copyright.
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Fondo: commento autorevole ad un fatto di notevole importanza collocato quasi
sempre in prima pagina.
Fondino: articolo di fondo che compare in una prima pagina di settore. Rispetto al
fondo è più breve.
Fonte: origine dell'informazione di un articolo. Possono essere enti, aziende o
persone. In genere si distinguono "Fonti ufficiali", quelle autorizzate a diramare le
notizie sotto la propria responsabilità, e "Fonti ufficiose", che non comportano
responsabilità di sorta.
Formato: dimensioni di un giornale.
Fotocronaca: cronaca raccontata attraverso immagini fotografiche, fotoreportage.
Fotoreportage: Cronaca o servizio giornalistico composto da una serie di fotografie
corredate da didascalie.
Fotoreporter: il fotografo-giornalista che produce servizi fotografici per conto di una
testata.
Fotoromanzo: racconto o romanzo fotografico illustrato con didascalie e fumetti.
Fototesto: servizio fotografico corredato da un breve introduzione e da lunghe
didascalie.
Frattaglie: miscellanea di brevi notizie.
Freelance: il giornalista indipendente che vende articoli e servizi sia ai giornali che
alle agenzie, senza essere assunto da nessuna testata e senza avere contratti di
collaborazione in esclusiva.
Frigorifero: schedario fotografico e biografico dei personaggi d'attualità.
Gabbia: struttura della pagina che compone il menabò. Il reticolo in cui si divide il
giornale, formato in verticale dalle colonne e in orizzontale dai moduli.
Gazzettante: giornalista, compilatore di notizie politiche o di cronaca.
Gazzettino: serie di breve notizie senza titolo che chiudono la pagina.
Gerarchizzazione: l'importanza attribuita ad una notizia.
Gerenza: sezione in cui vengono indicati i nomi del direttore, della casa editrice,
dello stampatore, la tiratura, la concessionaria di pubblicità, il prezzo e la data di
registrazione presso il Tribunale.
Ghiacciaia: archivio di articoli già pronti, da pubblicare in caso di necessità.
Gialla: termine con cui si indica la cronaca giudiziaria.
Girata: la parte di articolo che continua in una pagina successiva da quella in cui
l'articolo è iniziato.
Giro di bianca: lo effettua quotidianamente il giornalista recandosi presso il
Municipio, la Prefettura, la Camera di Commercio, ecc.
Giro di nera: lo effettua quotidianamente il giornalista recandosi presso le Questure,
i Commissariati, le Caserme dei Vigili del Fuoco e gli ospedali.
Giustezza: larghezza della colonna variabile in base alla grafica del giornale.
Gobbo: dispositivo utilizzato per fornire suggerimenti al conduttore di un
telegiornale o di una trasmissione televisiva.
Gossip: pettegolezzi sulla vita di Vip e personalità.
Grotta: luogo in cui viene conservata la composizione di un coccodrillo già
composto e pronto per entrare in pagina all'occorrenza.
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Illustrazione: disegno utilizzato per accompagnare un testo.
Impaginazione: disposizione degli spazi sulla pagina. Ne esistono di diverse
tipologie: a blocchi, a incastro, o strillata. Quest'ultima privilegia grossi titoli e
grandi foto.
Inchiesta: indagine approfondita su un fatto o un ambiente particolare. Richiede
un'accurata raccolta di informazioni, dati, interviste e documenti. Ha lo scopo di
portare alla conoscenza dell’opinione pubblica fatti inediti o clamorosi.
Incipit: inizio o attacco dell'articolo.
Incorniciato: notizia posta tra due linee orizzontali o circondata da un filo
tipografico a cui si vuole dare maggiore risalto.
Indice: lista dei nomi in ordine alfabetico apparsi all'interno della pubblicazione
completa di relativo numero delle pagine.
Informatore: colui che fornisce notizie al giornalista, spesso dietro a un impegno di
riservatezza.
Iniziale: prima lettera di una parola stampata in carattere più grande o marcata
rispetto al testo.
Inquadratura: tutto ciò che rientra nel campo visivo di una telecamera o di una
macchina fotografica.
Inserto: gruppo di pagine che, pur essendo parte integrante di un giornale, svolgono
un ruolo del tutto autonomo e possono essere staccate e conservate.
Inserzione: messaggio pubblicitario che viene pubblicato a pagamento.
Instant book: libro che tratta temi di attualità, scritto e pubblicato in tempi molto
brevi per giungere al lettore quando è ancora elevato l'interesse dei media
sull'argomento.
Interni: servizio del giornale che si occupa della politica, della vita e degli atti delle
principali istituzioni, di eventi economici, cronaca interni al Paese d'origine.
Intervista: riproduzione scritta, (televisiva o radiofonica) rivista e corretta, di un
dialogo avvenuto tra il giornalista e l’intervistato. Si dice "togata", quando il
colloquio avviene con una persona nella sua veste ufficiale, e "volante" quando
riguarda un personaggio alla ribalta per un fatto del giorno.
Inviato: giornalista incaricato di seguire sul posto un avvenimento importante.
Lancio: invio di una notizia ai giornali da parte di un'agenzia stampa.
Lead: parte iniziale di un articolo che fornisce al lettore gli elementi sostanziali della
notizia.
Lenzuolo: formato di grandi dimensioni.
Lettera aperta: articolo sotto forma di lettera o lettera inviata al direttore di una
testata per la pubblicazione.
Lettere al direttore: rubrica in cui il direttore risponde ai suoi lettori.
Linea editoriale: parametri di lavoro (ideologia, norme, direttivo, ecc.) di un
giornale, scelti dal direttore o dall'editore.
Locandina: sorta di vetrina appesa all'esterno delle edicole che richiama l'attenzione
del lettore sugli argomenti più interessanti.
Long: giornale di borgo in cui vengono riportate sinteticamente le indicazioni delle
notizie che gli altri giornali non hanno riportato.
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Macchiata: impaginazione ricca di fotografie e di movimento.
Magazine: periodico, rivista. Spesso indica il supplemento settimanale di alcuni
quotidiani.
Manchette: riquadro della prima pagina che preannuncia un articolo nelle pagine
interne.
Mattinale: bollettino e insieme di comunicati che viene distribuito quotidianamente
da questure e commissariati.
Mazzetta: pacco di giornali concorrenti preparato per il direttore e i redattori.
Media event: notizie non vere o parzialmente vere, manipolate per influenzare
l'opinione pubblica.
Menabò: modello schematico della pubblicazione o del libro indicante la tipologia
della composizione, dell'impaginazione, ecc...
Menù: lista di argomenti, di notizie e di temi per la giornata compilato a metà
mattina dal redattore capo, o dal caposervizio del mattino.
Mitridatizzare: assuefazione alla notizia, che non viene più recepita dal lettore in
modo adeguato.
Modulo di arricchimento: brano di una notizia che segue il modulo elementare e la
ricchisce di particolari.
Modulo elementare: periodo di una notizia d'agenzia che segue il corpo.
Montare: mettere a posto una notizia nella pagina. Per "montare una notizia" si
intende, invece, promuovere una notiziola a fatto importante, dilatandola dalle
poche righe a qualche colonna.
Moscone: breve notizia a pagamento che annuncia una morte, una nascita, un
matrimonio.
Necrologio: articolo o annuncio commemorativo in ricordo di un defunto.
Negro: giornalista che lavora per un altro senza mai apparire.
Network: consorzio di televisioni o radio private con diffusione a livello nazionale.
News: notizia o lancio d'agenzia. In televisione indica il telegiornale.
Nota: articolo che informa sulle fasi più importanti della giornata politica. Per "nota
di commento" si intende, invece, un articolo di fondo ampliato all'attualità.
Notizia: pezzo di dimensioni ridotte che fornisce solo informazioni essenziali alla
comprensione del fatto. E' rappresentato da qualsiasi fatto che può assumere
interesse giornalistico; in particolar modo se è inusuale, se comporta conseguenze
per un elevato numero di persone, e se presenta risvolti tragici o delittuosi.
Notiziabilità: predisposizione di un fatto a diventare notizia.
Notizia in colonna: notiziola di scarso interesse. Esposizione sommaria di un fatto,
usata generalmente come riempitivo grafico.
Notizia spoletta: fatto che determinerà, dopo la sua pubblicazione, un'inchiesta
giornalistica.
Notiziario: serie di notizie o bollettino.
Numero doppio: edizione del giornale con il doppio delle pagine.
Numero unico: giornale pubblicato una sola volta in una speciale occasione.
Numero zero: copia di prova del giornale prima della sua pubblicazione.
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Occhiello: frase posta sopra il titolo che introduce l'articolo. Talvolta viene stampato
in negativo, ossia in lettere bianche su fondo nero.
Omnibus: giornale che mescola informazione di tipo alto e basso.
Opinionista: giornalisti o personalità che commentano le notizie, attraverso articoli
di fondo o rubriche fisse.
Orfana: riga singola di testo lasciata da sola in fondo a una colonna.
Ottavo: fascicolo formato da 8 facciate stampate sullo stesso foglio di carta, tagliato e
piegato.
Pagella: valutazioni sotto forma numerica della prestazione di un personaggio
pubblico, in genere sportivo.
Paginazione: indicazione progressiva del numero di pagina.
Paginone: le due pagine centrali di un quotidiano o di un periodico composte da un
unico foglio di carta.
Palchetto: testo disposto su una o due colonne, circondato da una cornice per
metterlo in evidenza.
Palinsesto: schema settimanale dei programmi di una rete televisiva o radiofonica.
Pallino: breve notizia senza titolo.
Pamphlet: libretto o articolo con spiccato accento polemico o satirico.
Panoramica: ampio movimento della telecamera per descrivere l'ambiente
circostante.
Paracadute: testo che riassume il contenuto di un servizio filmato.
Passare: in redazione significa lavorare uno scritto sino a renderlo pronto per la
pubblicazione. Con tale termine viene normalmente inteso il lavoro di cucina
redazionale e di impaginazione grafica.
Pastone: articolo ottenuto da un impasto di notizie, commenti e dichiarazioni su uno
stesso argomento o da una sola città. Per "Pastone romano" si intende invece
l'insieme di notizie politiche provenienti dalla capitale e curate dalla redazione
romana.
Periodico: pubblicazione non quotidiana, a cadenza regolare. Le forme più comuni
di periodico sono il settimanale e il mensile. Altre forme meno utilizzate sono invece
il quindicinale, il bimestrale e il trimestrale.
Perla: errore di particolare rilievo ortografico e distinto tradizionalmente in
"tipografico" o "redazionale".
Pesce: errore di composizione che consiste nel salto di alcune parole o di un'intera
riga.
Pezzo: indica genericamente ogni scritto pubblicato. Sinonimo di articolo.
Pezzo d'appoggio: articolo complementare con note informative o esplicative.
Pezzullo: notizia in colonna.
Piedino: annuncio pubblicitario o breve articolo pubblicato in fondo alla pagina.
Pié di pagina: posizione dell'articolo pubblicato a più colonne sul fondo della
pagina.
Plagio: falsa attribuzione di opere.
Pluralismo: panorama informativo in cui molte voci diverse hanno modo di
manifestare le loro opinioni su tutti i mezzi d'informazione disponibili.
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Polpettone: articolo confuso e disordinato.
Portavoce: colui ufficialmente incaricato di parlare a nome di un partito,
un'istituzione, un'azienda o un personaggio famoso.
Postilla: nota o citazione pubblicata a pié di articolo.
Praticante: colui che è stato assunto da una testata con contratto di praticantato di 18
mesi e risulta iscritto nell'apposito elenco dell'Ordine Nazionale dei Giornalisti della
propria regione di appartenenza.
Precotta: notizia non particolarmente di carattere attuale e preparata con largo
anticipo. Viene detta anche "Precucinata".
Prefabbricata: notizia prodotta all'esterno della redazione.
Press release: comunicato stampa redatto sotto forma di articolo redazionale.
Pseudonimo: nome inventato di un autore che vuol rimanere anonimo.
Pubblicista: categoria professionale di giornalisti iscritti all'albo omonimo
dell'Ordine Nazionale dei Giornalisti. In genere, i pubblicisti sono collaboratori dei
giornali, pur svolgendo una professione diversa.
Pubblicità: messaggi promozionali che vengono pubblicati o trasmessi a pagamento.
Pubbliredazionale: articolo pubblicitario redatto in stile giornalistico.
Quarta di copertina: ultima pagina di un periodico; quella che appare sul retro del
fascicolo principale.
Quartino: le quattro facciate stampate sullo stesso foglio di carta che, una volta
tagliate e piegate, daranno vita alla pubblicazione. Talvolta il quartino centrale viene
utilizzato a scopi pubblicitari o come inserto.
Quarto potere: romanzesca definizione di stampa.
Quotidiano: pubblicazione che esce ogni giorno, riportando notizie, commenti e
informazioni di vario tipo. Si possono distinguere: "Quotidiani d'informazione",
"Quotidiani economici", "Quotidiani sportivi", "Quotidiani di partito", "Quotidiani
della sera" e "Quotidiani locali".
Rassegna stampa: raccolta di articoli di diverse testate su uno stesso argomento.
Readership: il numero totale dei lettori di una testata. Grado di lettura, percentuale
di pubblico che ricorda di aver letto un annuncio pubblicato su un giornale o su una
rivista.
Reati a mezzo stampa: Tutti i reati che possono essere commessi con il mezzo della
stampa. I principali reati a mezzo stampa sono: la diffamazione (art. 595 c.p.),
l'apologia di reato, l'aggiotaggio e la pubblicazione di atti secretati.
Recensione: resoconto di uno spettacolo, o giudizio imparziale di un libro o di un
prodotto.
Recentissime: notizie giunte all'ultimo momento in redazione e pubblicate senza
particolare rilievo sull'ultima o sulla seconda pagina del giornale.
Redattore: giornalista che lavora all'interno di una redazione senza alcun compito
organizzativo. Per "Redattore Capo", invece, si intende il giornalista che
tecnicamente dirige il giornale dietro indicazione del direttore.
Redazionale: articolo pubblicitario redatto in stile giornalistico.
Redazione: luogo dove si svolge il lavoro di creazione e confezionamento della
testata. Insieme dei componenti dell'ufficio dove viene realizzata la testata.
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Refuso: errore di stampa o di battitura.
Registrazione: il deposito obbligatorio per legge di una testata presso la cancelleria
del tribunale territoriale.
Reportage: servizio realizzato con testo ed immagini che descrive in modo ampio
una realtà, un luogo o un ambiente.
Reporter: giornalista che lavora fuori dalla redazione.
Resa: le copie invendute restituite all'editore. Sono pari alla differenza tra copie
stampate ed effettivamente vendute.
Resoconto: riassume dibattiti, lavori congressuali, convegni, sedute parlamentari o le
fasi salienti di un processo.
Resocontista: giornalista incaricato di riferire su una manifestazione pubblica, su
delle discussioni parlamentari o su dibattiti e interrogatori avvenuti nelle aule
giudiziarie.
Rettifica: consiste nella pubblicazione di una dichiarazione scritta da chi si ritiene
danneggiato da notizie erronee pubblicate da un giornale.
Revisore: redattore addetto alle revisioni dei testi e delle bozze definitive.
Ribattuta: ricompilazione di un articolo già scritto e impaginato.
Richiami: segni convenzionali in margine al testo o alla bozza di stampa, in cui
vengono annotate le correzioni.
Riga: unità di misura utilizzata in tipografia. E' pari a 12 punti tipografici.
Rigone: catenaccio, sottotitolo composto in corpo più evidente del sommario, ma
meno del titolo.
Rinforzi: redattori che temporaneamente vengono dirottati a lavorare in altro
settore.
Riquadro: testo posto all'interno di una cornice. Generalmente ospita notizie a cui si
vuol dare rilievo.
Riscontro: controllo delle correzioni apportate sulla bozza.
Ristampa: tiratura supplementare che può essere eseguita quando tutte le copie già
stampate sono esaurite.
Risvolto: parte interna della copertina, di un fascicolo, di un libro o di un opuscolo.
Ritaglio: articolo, servizio, nota o notizia ritagliata dal giornale allo scopo di
documentazione.
Rivista: pubblicazione periodica di argomenti vari.
Rotocalco: tecnica di stampa. Tipo di giornalismo periodico che fa largo ricorso alle
fotografie a colori.
Rubrica: è un appuntamento fisso tenuto da un esperto o da un commentatore che
può riguardare settori del mondo politico, sociale, scientifico o dello spettacolo.
Sala stampa: spazio riservato al lavoro dei giornalisti e dotato di tutte le attrezzature
necessarie, come computer, telefono, fax.
Satira: forma giornalistica che usa l'ironia per denunciare i difetti delle istituzioni,
del potere o della collettività.
Scaletta: progetto di un articolo che il giornalista stende prima d’iniziare a scrivere,
al fine di pianificare al meglio l'ordine in cui disporre i diversi elementi della notizia.
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Scheda: schema in cui vengono raccolti dati e informazioni allegati alla notizia. E' un
pezzo di appoggio a un servizio, a un'inchiesta o reportage.
Scoop: notizia clamorosa pubblicata in esclusiva da una sola testata.
Seconda di copertina: prima pagina a sinistra, appena aperta una rivista.
Sedicesimo: fascicolo formato da 16 facciate che sono state stampate sullo stesso
foglio di carta, poi tagliato e piegato sino a raggiungere il formato previsto.
Segnatura: indicatura a stampa del numero progressivo delle pagine di un giornale
che vengono stampate su un solo foglio, che poi verrà tagliato.
Segreteria di redazione: fa capo ad un segretario di redazione, che è un giornalista
che si occupa di tutti i problemi di segreteria di un giornale, come smistare le
comunicazioni, preparare agende con gli appuntamenti, coordinare il lavoro dei
collaboratori esterni, ecc.
Sequenza: serie di inquadrature successive dello stesso filmato.
Serpente di mare: notizia tanto clamorosa quanto falsa.
Servizio: è un articolo lungo che prevede un approfondimento dei fatti, con corredo
di dati e testimonianze.
Share: percentuale di spettatori di una trasmissione sul totale degli ascoltatori.
Sigla: lettere iniziali di un gruppo di parole. Spesso indicanno le iniziali dell'autore
che possono sostituire la firma di un articolo.
Smentita: è una dissociazione dell’intervistato dalle dichiarazioni che una testata gli
attribuisce.
Soffietto: articolo scritto in modo troppo accondiscendente verso un personaggio o
un avvenimento di cronaca.
Sommario: lista degli articoli e dei redazionali contenuti nella pubblicazione
completa del relativo numero delle pagine. Nei quotidiani è una delle parti che
compongono la titolazione, cioè il testo collocato sotto il titolo vero e proprio.
Sondaggio: statistica effettuata su un campione rappresentativo della popolazione di
riferimento e quindi in grado di rilevare tendenze generali.
Soprattitolo: riga che è posta sopra il titolo e riassume il fatto descritto nel testo,
detto anche Occhiello.
Sottoclichê: testo, dicitura, didascalia posta sotto una fotografia.
Sottofascia: giornale spedito in abbonamento e avvolto da una fascia recante
l'indirizzo del destinatario.
Spalla: nei quotidiani è l'articolo collocato in prima pagina in alto a destra che in
genere ospita un articolo di rilievo.
Sottospalla: articolo che occupa le prime due colonne in alto a destra del foglio, con
un corsivo rovente.
Specimen: saggio di una pubblicazione stampata e fatta circolare per saggiare le
reazioni del pubblico e per raccogliere la pubblicità.
Spigolature: raccolta di brevi notizie eterogenee, divagazioni o aneddoti,
raggruppati sotto un unico titolo.
Spin doctor: colui che cura l'immagine di un personaggio politico.
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Stop press: spazio molto limitato che risulta ancora libero nell'impaginazione
definitiva di un quotidiano. In genere viene utilizzato per l'inserimento di flash
d'agenzia o materiale redazionale di riserva.
Strillo: riquadro contenente un titolo di effetto, in genere accompagnato da una foto
particolarmente incisiva.
Stroncatura: recensione negativa di un libro, uno spettacolo, un prodotto
discografico, un film.
Sviluppo di testata: impostazione della pagina verticalizzata al massimo, con titolo
di apertura o di spalla il più lungo possibile.
Tabloid: giornale di formato ridotto rispetto ai normali quotidiani.
Taglio: posizione degli articoli non collocati alla testata della pagina. "Taglio alto" è il
titolo impaginato sopra la metà della pagina, "taglio medio" è quello sulla metà e
"taglio basso" quello sotto la metà.
Take: è la notizia d’agenzia che tende a non superare le 24 righe comprese in una
schermata di computer.
Tamburino: spazio dedicato alla programmazione dei cinema e dei teatri.
Tamburo: tabella con i prezzi d'abbonamento del giornale. Breve composizone
evidenziata da un filetto.
Target: segmento di pubblico a cui si rivolge un certo giornale.
Tazebao: giornale murale.
Telefoto: immagine fotografica trasmessa a distanza attraverso i cavi telefonici.
Telegiornale: notiziario quotidiano televisivo.
Tenuta: pubblicare una notizia scontata, quindi già nota, con la speranza di sviluppi
nuovi.
Terza di copertina: penultima facciata di una rivista.
Terza pagina: la pagina dedicata ad argomenti culturali o scientifici.
Testata: titolo della pubblicazione, posto in alto in prima pagina.
Testatina: nome che viene dato alle singole pagine, in genere posto in alto a sinistra.
Timone: è il complesso, in forma schematica, delle pagine previste per il giornale.
Comprende anche gli spazi destinati alla pubblicità e ai redazionali.
Tiratura: numero di copie di una testata effettivamente stampate e distribuite.
Titolo: parte di testo, in caratteri più voluminosi, che sovrasta un articolo. All'interno
del titolo devono essere contenute le cinque W.
Titolista: giornalista addetto alla creazione e allo sviluppo dei titoli degli articoli.
Traccia: titolo proposto dall'autore e sottoposto all'approvazione del responsabile
della testata.
Trafiletto: notizia molto breve posta generalmente in fondo alla pagina.
Trentaduesimo: il fascicolo composto da 32 pagine che sono state stampate sui unico
foglio di carta, poi piegato e tagliato sino a raggiungere il formato previsto.
Trombettiere: chi ha il compito di dettare per telefono articoli, corrispondenze e
servizi agli stenografi.
Troupe: gruppo di lavoro necessario alla ripresa di un servizio giornalistico
televisivo all'esterno della redazione.
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Ufficio stampa: l'ufficio che per conto di un'azienda, di un'impresa, di
un'associazione o di ente pubblico è incaricato di gestire i rapporti con gli organi
d'informazione.
Ultimissima: ultima edizione in ordine dei tempi dei giornali della sera.
Urgente: notizia che viene diramata immediatamente dalla agenzia di stampa
appena ricevuta, senza aspettare l'ordine di precedenza.
Vacca sacra: prima copia stampata del giornale con le correzioni da apportare.
Vaticanista: giornalista specializzato in questioni riguardanti la Chiesa in generale e
la Città del vaticano in particolare.
Vedova: ultima linea di composizione di un paragrafo che appare come rima riga di
una colonna.
Velina: nota sulle notizie da diffondere e sulle modalità della loro impostazione.
Vendita: il numero delle copie effettivamente vendute e inviate in abbonamento.
Vespa: rubrica giornalistica polemicamente pungente.
Vice: redattore che sostituisce il critico titolare.
Vignetta: disegno che si propone, attraverso la satira, di mettere a nudo i difetti di
un personaggio, di un ambiente o di una consuetudine sociale.
Virgolettato: parte di un articolo racchiuso tra virgolette e contenente una
dichiarazione. Viene anche utilizzato per indicare un modo di dire, una parola che si
intende porre in risalto, o una parola straniera.
Vive: indicazione sulle bozze di correzioni o cancellature che devono essere
annullate.
Voice over: voce fuori campo.
Web content: responsabile dei contenuti di siti Internet.
Web editor: redattore multimediale che cura gli ipertesti di siti Internet.
Weblog: diario telematico in cui vengono annotati fatti, notizie e commenti da parte
dell'autore e dei visitatori. E' moderato dall'autore stesso
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