Avviso ai Naviganti N. 18 Luna di miele

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Avviso ai Naviganti N. 18 Luna di miele
Avviso ai Naviganti N. 18
Mendrisio, 27 febbraio 2012
Luna di miele
Cento giorni: è la convenzionale durata dello “stato di grazia”, la “luna di miele” di un
nuovo governo con l’elettorato, periodo oltre il quale, quasi sempre, gli entusiasmi si
spengono e il consenso si scioglie. Per un caso, non completamente fortuito, lo stesso
spazio temporale accomuna l’operare del Governo Monti alla bruciante ripresa dei
mercati finanziari internazionali. E ora? Finirà la luna di miele? Per i mercati forse si, per
Monti probabilmente no.
Esercizi di rabdomanzia
Anticipiamo, in pillole, i messaggi di questo “Avviso”, consapevoli che l’esercizio
della previsione finanziaria racchiude in se una buona dose di follia alla quale,
considerato mestiere e orgoglio, non ci vogliamo sottrarre.
 Mercati azionari: molta strada è stata percorsa in poco tempo, sembra
necessaria una pausa di consolidamento.
Sbagliato focalizzarsi solo sui
problemi europei: la linea è sempre dettata da “Wall Street” e “Main Street”, i
pesci pilota degli investitori internazionali. Determinanti quindi, la crescita
economia Usa e le presidenziali americane, più che i rantoli della Grecia.
 Dove vanno i “risk off trades” (bund tedeschi e treasury Usa)? Sono gli strumenti
perfetti per assicurarsi rendimenti reali negativi nel medio termine. Per ora
rimangono approssimativi e costosi veicoli per diversificare i rischi di portafoglio.
 Dove vanno i BTP? Non sono ancora a fine corsa e, assieme alle obbligazioni
corporate “investment grade”, sono tra i pochi strumenti obbligazionari che
offrono un rendimento decente.
 Dove va l’oro? Continuerà a salire, i fondamentali sono “irresistibili” anche se è
in bolla. E’ l’unico hedge contro inflazione e depressione, anche se non è
amato dai puristi della gestione.
 Petrolio: con le altre commodites rimane una componente fondamentale per
gli investitori di lungo termine. Un prezzo troppo alto, alla lunga, finisce però per
schiantare i mercati azionari perché accelera la strutturale erosione del potere
d’acquisto dei ceti medi nei paesi sviluppati.
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 Dove vanno le divise? Le big four (USD, Euro, Yen e Sterlina), probabilmente, da
nessuna parte, malgrado ci siano più che validi motivi perché il trio Euro, yen e
sterlina si deprezzi contro dollaro (ma solo se l’economia Usa mantiene un
elevato regime di giri). Diventa fondamentale poter investire sul renminbi cinese
che dovrà diventare una nuova moneta di riserva, sostituendo in parte il dollaro.
Il tempo vola
Sono passati meno di tre mesi da quella maledetta settimana di fine novembre
nella quale lo spread sul debito italiano con scadenza a tre mesi ha danzato
vicino a quota 1000 (tassi del 10%), riflettendo le cupe previsioni dei maggiori guru
sulla incombente fine dell’Euro. Disperante professione quella degli “esperti” di
materiale socio-economico, destinati, il più delle volte, ad essere smentiti da un
futuro, che rimane fondamentalmente incerto e imprevedibile. Anche noii non
siamo riusciti a evitare la spirale del pessimismo e, sia pure considerando il break
up dell’Euro come evento ancora poco probabile, ci siamo spesi in schematici,
quanto per ora velleitari “war games”. Esercizi da non buttare ancora nel cestino,
ma da chiudere, prudentemente, in un cassetto. Non si sa mai.
Ancora all’inizio del’anno la maggior parte degli “strategist”si immaginava un
primo trimestre ad altissimo rischio, zeppo di insormontabili ostacoli da superare,
soprattutto in Europa. Alcuni, pochi in verità, prevedevano, viceversa, un buon
avvio dei mercati, giustificato dal cronico pessimismo (i portafogli erano pieni solo
di liquidità), seguito da una successivo ridimensionamento.ii, Anche noi ci
eravamo, schierati su questo fronteiii. Ma i motori si sono riaccesi prima negli stati
Uniti che in Europa. Una volta di più sono state le notizie e i mercati americani a
dare il “la”, già da dicembre, al corale movimento di rialzo dei mercati, quando
ancora, in Europa, non si era percepita a pieno la determinante svolta della BCE iv
e la rilevanza della riforma del sistema pensionistico italiano.
Ancora una volta: Wall Street e Main Street!
In questi giorni i più significativi indici azionari sono tornati a lievitare nell’intorno dei
livelli raggiunti nel primo semestre del 2011; stessa dinamica ha evidenziato la
maggior parte dei “risk assets”v, sgretolando, per l’ennesima volta, il canonico
“muro del pianto”vi, che accompagna, inevitabilmente, tutte le “impreviste”
risalite che seguono i ribassi della storia. Come vedremo meglio in seguito, questo
movimento corale è stato alimentato da un progressivo, prudente, miglioramento
delle aspettative sul fronte dell’Eurozona. Ma, come già detto, è stato il
progressivo miglioramento degli indicatori di ciclo americano, ad avviare, in
dicembre, i motori del rialzo. Senza questa spinta ben difficilmente l’indice S&P 500
avrebbe potuto mettere a segno un“rally”di circa il 28% dai minimi di inizio ottobre,
riconquistando, primo tra tutti, i massimi del 2011 e del 2008. Ciò che più rileva,
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comunque, è la netta riduzione della volatilità giornaliera dell’indice (la riduzione
dell’ampiezza delle barre del grafico che segue) a partire dalla metà di
dicembre,
a
testimonianza
della
ritrovata
fiducia
degli
operatori,
progressivamente rafforzata dal susseguirsi di i dati congiunturali migliori delle
aspettative precedenti. La ripresa degli indici americani ha anticipato quella dei
“risk assets” più direttamente legati all’evoluzione delle problematiche
nell’Eurozona, quali l’indice dei titoli bancari europei e il livello dello spread BTPBund.
Figura 1 indice S&P 500
La questione chiave da enfatizzare, in prospettiva futura, è che il destino dei
mercati, sui vari orizzonti temporali, è determinato ancora prevalentemente da
quello che succede al di là dell’Atlantico e ciò, a maggior ragione, nel momento
in cui l’attenzione sulla crisi dell’area euro dovesse progressivamente ridursi, non
fosse altro che per sfinimento degli addetti ai lavori.
E allora? E’ credibile ipotizzare che da qui a fine anno il maggiore indice
americano possa lievitare fino alla rarefatta quota 1500? Ovviamente la risposta è
una scommessa, ma è una scommessa sostanzialmente sul tasso di crescita media
dell’economia Usa nell’anno in corso, che, tra parentesi, ha la rilevante
caratteristica di essere un anno elettorale. Se dovesse consolidarsi l’attuale trend e
la crescita del prodotto reale dovesse viaggiare in direzione del 3%, piuttosto che
limitarsi a traccheggiare in zona 1,5-2%, come ancora previsto oggi dai più, allora
la risposta sarebbe positiva.
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Figura 2 Crescita reale su base annua del GDP Usa
Diciamo che l’azione della Fed è spasmodicamente orientata a raggiungere
questo obiettivo ma le forze strutturali del ridimensionamento del debito associate
ad una politica fiscale che inevitabilmente sarà più restrittiva, tirano la corda nella
direzione opposta. Maggiore convinzione abbiamo in relazione ai rischi di ribasso
del mercato che, considerati gli inevitabili vuoti d’aria, anche imminenti,
considerata l’eccessiva compiacenza attuale, sembrano relativamente moderati
e contenuti in zona 1200-1250. Ciò perché, anche nel caso dovessero arrivare a
breve segnali meno positivi da occupazione e leading indicators, la Fed sarebbe
pronta ad intensificare ancora una volta i suoi interventi e ad avviare la terza
azione di “quantitative easing” riaccendendo così i motori della speculazione
rialzista.
Il fronte europeo – nella mani di Mario & Mario
Nello scorso mese di novembre, per qualche settimana, l’Italia era diventata
l’ombelico del mondo; la deriva del paese rischiava di far saltare definitivamente il
banco dell’ euro e della finanza globale. Banalizzando, ma non troppo,
affermiamo, senza pretesa di essere originali, che la coppia vincente dei due
Mario - Draghi e Monti - ha contribuito in modo determinante alla
“normalizzazione” della crisi europea e alla parallela rianimazione degli “animal
spirits” della finanza internazionale.vii Ai due, bisogna aggiungere la Cancelliera
tedesca Angela Merkel, la quale, pur non brillando per lungimiranza, ha
bruscamente interrotto la speculazione sul break up dell’euro (un suicidio per la
Germania) pretendendo e ottenendo che i paesi membri si impegnassero a
firmare un nuovo trattato intergovernativoviii finalizzato a blindare, con una
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inviolabile cintura di castità, la ricostituenda verginità fiscale dei singoli paesi
membri (remake del discreditato trattato di Maastricht e del successivo patto di
crescita e stabilità, violato in primis da Germania e Francia, senza pagare dazio,
nel 2003)ix.
Non è questa la sede per entrare nel merito delle intricatissime questioni tecniche
relative al fondo ESM e per dissertare sulla credibilità del piano di salvataggio della
Grecia. Ci limitiamo, di seguito, a fissare alcuni punti fermi sui risultati ottenuti, sui
rischi prospettici e su quanto, nel bene e nel male, sembrano aver scontato i
mercati europei.
 Grazie all’LTRO della BCE le banche europee sono state messe in sicurezza e
sono di nuovo in grado, con molta moderazione, di comprare debito
governativo europeo, ritirare parte del proprio indebitamento per migliorare la
gestione del passivo, ricapitalizzarsi quando serve e, residualmente, sostenere le
piccole medie imprese. 
 L’enorme ammontare di debito in scadenza nei primi tre mesi dell’anno, finora,
è stato assorbito con relativa facilità e tassi in calo. 
 Grazie alla Merkel la medicina propinata all’Europa, e, in particolare a quella
più debole, è quella sbagliata, perché largamente errata è la diagnosix. Il
problema strutturale dell’Eurozona e dell’Euro non è una sbornia di spesa
pubblica finanziata a debito (che pure in alcuni casi c’è stata), ma il gap di
competitività relativa all’interno dell’area. La terapia utilizzata ammazzerà
sicuramente il paziente Grecia e mette in ginocchio gli altri membri del club
Med, Francia inclusa. Questo è un prezzo che prima o poi i mercati dovranno
pagare. 
 Il peggior rischio a breve, che è quello dell’insostenibilità in termini politici xi della
brutale restrizione fiscale imposta ai “devianti”, con la possibilità che si
alimentino processi sociali dirompenti e disaggreganti, quando invece sarebbe
necessaria, in questa fase, una maggiore coesione sociale e politica. In
particolare preoccupa la drammatica deriva in Grecia, ma Portogallo, Spagna
e Italia non sono esenti da rischi di questo tipo. Incombono, infine diversi
appuntamenti elettorali, dei quali il più rilevante è quello delle presidenziali
francesi in maggio. 
 In positivo c’è la possibilità che alla fine del processo di approvazione nazionale
del trattato fiscale, la Germania, raggiunto l’obiettivo, accetti finalmente di
“socializzare” parte del debito dei singoli paesi con l’emissione di Eurobond (ma
molta acqua deve scorrere sotto i ponti…). 
 In Italia il Governo Monti è riuscito, per ora, a consolidare un discreto consenso
sociale, malgrado le bastonate che ha dovuto tirare. Eclatante la discontinuità
con il passato, non tanto in termini di politiche proposte (gli interventi e le
riforme da realizzare sono sempre state abbastanza ovvie) quanto in termini di
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“delivery”, cioè di effettiva implementazione. I partiti, dopo il primo mese di
schizofrenia, sembrano aver messo a tacere le armi e chiuso negli armadi gli
innumerevoli ayatollà della rissa demagogica. La credibilità di Monti, a livello
internazionale è visibilmente fuori discussione e alimentata dalla stampa
nazionale ed esteraxii. Forse oltre i grandi meriti, considerando i modesti risultati
sul fronte delle liberalizzazioni. Ma ora, a spada tratta, si affrontano i nodi del
mercato del lavoro e perfino la famosa delega fiscale, eterna promessa mai
mantenuta del precedente Ministro delle Finanze. 
Mercati azionari europei
Considerando questo quadro, in breve, la nostra sensazione è che i mercati
azionari europei abbiano largamente scontato le notizie positive mentre
rimangono esposti ai non indifferenti rischi derivanti da eventuali derive più
negative del previsto sul fronte economico e politico.
Più pericoloso il secondo del primo, in quanto l’attesa recessione in Europa
potrebbe essere meno profonda del previsto, soprattutto rispetto alle ultime
previsioni di OCSE e FMI, come sempre basate su statistiche un po’ datate e analisi
corpose e quindi difficili da aggiornare in tempo reale. Rimane il fatto che le
economie periferiche rimarranno molto deboli, la dinamica dei redditi personali
reali largamente negativa anche per una dinamica inflazionistica, che rimane
contenuta e calante solo nelle statistiche utilizzate ad arte dai policy makers.
Inoltre per i consumatori europei e le imprese controllate o regolamentate dal
settore pubblico c’è sempre la spada di damocle derivante dalle crescenti
necessità di rientro dei bilanci pubblici.
In definitiva non vediamo significative divergenze di tendenza rispetto al recente
passato, sia a livello geografico che settoriale. La dinamica degli indici europei
dovrebbe rimanere più debole di quella americana e asiatica; il DAX tedesco è
l’indice da preferire, i ciclici e i beni di consumo durevole esposti all’eurozona
rimangono da evitare, così come le utilities, mentre restano più interessanti le
multinazionali del consumo o dei beni capitali con forte esposizione ai mercati
asiatici.
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Figura 3 continua sovraperformance del DAX rispetto al MIB
Difficile pensare a una ripresa, in termini relativi rispetto al DAX, dei mercati
periferici, forse con una parziale eccezione italiana se i tassi continueranno a
ridursi. Infine, per quanto riguarda il settore finanziario, ulteriori spazi di risalita sono
a portata di mano (ma solo per i bassi livelli di valutazione di partenza, non certo
per le prospettive di mercato), ma associati a massicce dosi di volatilità.
Figura 4 indice dei bancari europei
Dove vanno i BTP
Dalla prima decade di novembre, i rendimenti dei titoli del tesoro italiano con
cadenza ad un anno sono passati da rendimenti superiori al 9%, a meno del 2%; i
decennali dal 7,5% al 5,3%, con lo spread che si è ridotto di oltre 200 punti e che,
in questi giorni, viaggia attorno ai 350 punti base.
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Figura 5 rendimento del BTP sett. 2021 4,75%
Ancora più significativa è stata la riduzione dello spread rispetto ai bonos spagnoli
che riflette più direttamente il miglioramento relativo della percezione del rischio
specifico italiano, depurato dalla generale maggiore o minore avversione al
rischio “sistemico” degli operatorixiii. L’andamento dello spread con la Spagna
conferma il positivo “effetto Monti”, prematuramente negato dai soliti, poco
avveduti, cantori del precedente status quo.
Figura 6 Cento giorni di spread (BTP-Bund) Fonte: www.lavoce.info
L’Italia non è più la zavorra che può affondare la barca europea e, almeno fine a
fine anno, la navigazione dell’ex “Titanic” sembrerebbe più tranquilla. I rischi per i
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titoli domestici tornano ad essere generati prevalentemente dall’esterno, e, in
particolare, dai fattori di rischio citati nel capitoli precedenti.
Ciò premesso sembra opportuno mantenere un atteggiamento equilibrato. Se è
vero, infatti, che a livello politico la via per il governo sembra relativamente
agevole, è altrettanto vero che il rischio politico in Italia rimane “vivo e in salute”,
con un possibile momento della verità in arrivo con le prossime elezioni
amministrative parziali.
Tutto ciò considerato, mentre sulla parte breve della curva la partita è chiusa, sulla
parte medio-lunga c’è ancora spazio, con un target di spread in zona 250 -300,
quindi con rendimenti tra il 4,7 e il 5%. Attenzione: questa è oggi anche la visione
di consensoxiv, siamo un po’ preoccupati per il fatto di condividerla. Certo di
acqua ne è passata sotto i ponti da quando Nouriel Roubini ha considerato quasi
inevitabile il default dell’Italiaxv. In definitiva la visione più equilibrata sembra quella
espressa da uno degli investitori più esperti degli ultimi decenni, George Soros:
“Attraversando un periodo di deflazione, un 6% sui titoli italiani a 10 anni
rappresenta un ottimo rendimento, che non rimarrà più a questi livelli una volta
che le cose si sistemeranno. Dunque credo che per speculare, siano un
investimento molto interessante … Ma si tratta comunque di un investimento
rischioso, perché se le cose dovessero andare male, i rendimenti potrebbero
balzare fino al 10%. Correresti il rischio di perdere gran parte del tuo denaro...
Dunque, al 6%-7% i bond italiani sono ottimi per speculare. Al 5%-4% sarebbero
invece una interessante possibilità di investimento di lungo periodo. È uno dei
paradossi che mostra come i mercati finanziari al momento non stanno
funzionando come dovrebbero”.xvi
Il concetto che vogliamo enfatizzare è che l’investimento in BTP va ancora
considerato di tipo “speculativo” e quindi, anche per i portafogli di investitori
italiani non può mai superare il 15-20% del portafoglio.
“Risk off trades”
Che dire di investimenti, come quelli sulle obbligazioni governative tedesche e
americane, che fino ai 5 anni di scadenza garantiscono rendimenti nominali di
poco superiori allo zero e che su durate decennali rendono meno del 2%?
Apparentemente sembra essere la strada più sicura per assicurarsi rendimenti reali
negativi. In pratica - in un ecosistema finanziario altamente instabile, nel quale il
rischio controparte, per lunghi periodi, diventa terrorizzante - il castello di carte
della finanza internazionale basato sul debito, largamente rifinanziato
quotidianamente sul mercato interbancario overnight o comunque a brevissimo
termine, rimane in piedi solo a fronte della disponibilità di “collaterale” offrire in
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garanzia a chi ti finanzia. E serve soprattutto il collaterale più sicuro, quello con
rating apparentemente indistruttibile, merce diventata sempre più raraxvii.
Figura 7: trend storico tassi US - fonte: Alphaville
Nel frattempo tedeschi e americani ringraziano, potendo rifinanziarsi a tassi
nettamente inferiori a quelli che sarebbero coerenti con lo stato delle loro
economie. Ad essere precisi, i Treasury Usa hanno in parte perso la “verginità”
della tripla A; poco male, gli Usa hanno sempre il signoraggio monetario a
“garantire” per il loro debito.
Figura 8 bund tedesco - prezzo
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Per un risparmiatore basato sull’Euro al posto dei bund meglio detenere liquidità in
Euro, mentre l’investimento sui Treasury brevi, magari attraverso un ETF, serve solo
per acquisire esposizione al dollaro.
Barile e lingotto
Per il risparmiatore “normale”, l’investimento sulle commodities, è, da tempo,
implementabile prevalentemente attraverso l’utilizzo di ETF o ETC che, spesso, non
replicano con efficacia gli indici pubblicati. Inoltre l’utilizzo di questi strumenti
aggiunge molto poco in termini di diversificazione del rischio, perché la
finanziarizzazione dei mercati futures delle merci ha assimilato questo tipo di
“investimento” ai tipici “risk on trades”, con la conseguenza che i replicanti
finanziari si muovono in sincrono con i mercati azionari, nel bene e nel male. Va
poi considerato che gli ETF del genere sono di norma denominati in euro e quindi
subiscono l’andamento del cambio dollaro/euro, di solito negativo in presenza di
un apprezzamento della materia prima. Ciò che interessa sottolineare in questa
sede, è l’aumento del rischio per i mercati azionari che si associa ad un
prolungato rialzo delle materie prime, in particolare del petrolio, derivante
dall’indiretto effetto negativo su redditi disponibili e capacità di spesa dei
consumatori, e sui costi e margini di una vasta filiera di imprese.
Figura 9 Prezzo del petrolio in euro e in dollari
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Oggi l’insostenibile “leggerezza” dei prezzi petroliferi è uno dei motivi che possono
di nuovo far deragliare la corse dei mercati azionari.
Anche l’oro segue, con molte
apparentemente insostenibile rialzo.
meno
oscillazioni,
una
traiettoria
di
Figura 10 Prezzo dell'oro in dollari
L’oro, però, a differenza del petrolio, ha un impatto nullo sulla dinamica
dell’economia reale , pur essendo acquistato anche per motivi commerciali. Ha il
vantaggio di essere (non sempre) maggiormente decorrelato dai “risk on trades”
e di fornire una sorta di assicurazione indiretta contro i potenziali esiti catastrofici
derivanti dalle politiche di monetizzazione in corso da parte di tutte le principali
banche centrali, sia in termini di potenziale avvio di una spirale inflazionistica, sia
nel caso opposto di cronica stagnazione economica. La condizione “sine qua
non” del suo successo, è la prosecuzione di politiche di “repressione finanziaria”
finalizzate a mantenere i tassi d’interesse reali negativi. Fenomeno, questo, di cui
non si vede, per ora, la fine.
Renminbi e dintorni
Il nuovo “game in town”, la nuova moda, nell’ambito dell’offerta di prodotti
finanziari è la proposizione di nuovi fondi obbligazionari che investono sul nascente
mercato obbligazionario off shore di emissioni denominate in renminbi, la divisa
cinese. E’ un mercato ancora embrionale, al quale partecipano già emittenti di
standing primario, ma che ha enormi possibilità di crescita. Le autorità cinesi
sembrano aver capito che il crescente potere economico internazionale del
paese, per consolidarsi ed accrescersi nel tempo, non può prescindere da una
parallela progressiva liberalizzazione finanziaria che preveda per la valuta cinese il
ruolo di nuova valuta di riserva internazionalexviii, da affiancare al dollaro e
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all’euro. In breve i cinesi saranno costretti a liberalizzare il mercato valutario e a
perseguire una politica monetaria favorevole ad un progressivo apprezzamento
del renminbi, funzionale a trasformarlo nella valuta di riserva dominante in Asia. Ci
sono delle evidenti motivazioni geopolitiche ed economiche che rendono
necessario questo pericoloso passaggio. Pericoloso perché, in prospettiva, agli
onori si affiancheranno gli oneri, legati ad una riduzione dei controlli ai movimenti
dei capitali e un notevole potenziale di rischio derivante dalla liberalizzazione dei
mercati finanziari. Primo fra tutti quello di perdere il controllo delle dinamiche dei
mercati interni.
Nell’ambito della diversificazione valutaria a livello globale, considerata la cronica
debolezza relativa delle “big four”, l’investimento in nuovi strumenti obbligazionari
in renminbi, malgrado il mediocre rendimento delle obbligazioni, offre un
potenziale interessante per il probabile moderato apprezzamento della divisa nel
medio termine.
i Cfr. Avviso ai Naviganti N. 16 “Endgame” del 30 novembre 2011.
ii Ridimensionamento giustificato dal secolare trend di “delevereging” in atto e dalle sue
conseguenze negative sulla crescita economica globale.
iii Cfr. Avviso ai Naviganti N 17 “Attimo fuggente”, del 13 gennaio 2012.
iv Il riferimento è alla decisione della BCE di aprire due finestre di finanziamento illimitato
triennale per le banche al tasso fisso dell’1%, il cosidetto LTRO (Long Term Refinancing
Operations).
v Da tempo con la locuzione di “risk assets” si identificano le attività finanziarie che, con livelli di
correlazione anormalmente elevati, grazie all’enorme liquidità sostanzialmente inutilizzata nel
sistema finanziario, si muovono all’unisono, in positivo, quando l’avversione al rischio degli
operatori si riduce, e, in negativo, nel caso opposto. Tipicamente rientrano in questa categoria gli
investimenti in azioni, commodities, obbligazioni speculative di vario genere (tra le quali
rientrano, ormai da tempo, anche quelle emesse dal governo italiano), ecc..
vi Dall’inglese “wall of warry”: tipicamente nelle fasi iniziali di un “bull market” il mercato deve
“scalare” un “muro di preoccupazioni”.
vii Sorprende l’evidente paradosso di come una classe dirigente che porta per intero la
responsabilità del declino del paese, possa avere espresso due “fuoriclasse” capaci di brillare, sia
pure in un gruppo di policy makers internazionali di caratura alquanto discutibile.
viii Il trattato intergovernativo è stato sottoscritto da 25 paesi; Regno Unito e Repubblica Ceca si
sono opposti.
ix Si veda ad esempio, il redazionale del LEX di Financial Times “Eurozone Compact” January,
31,2012.
x Cfr. “Eu Fiscal strategy is self defeating”, Financial Times, Jean Pisani Ferry, February 5, 2012.
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xi Cfr. “EU politics take central stage in crisis”, Financial Times, Tony Barber, February 21, 2012.
xii Cfr “Italy, game on for super Mario”, Lex , Financial Times, January, 18, 2012.
xiii Per un’analisi che dimostra come in generale gli spread siano più influenzati dalla maggiore o
minore avversione al rischio, piuttosto che dai “fondamentali” economici di un paese si veda lo
studio “Determinants of intra-euro area government bond spread during the financial crisis” di
Salvador Barrios e altri, Economics Papers 388, November 2009, European Commission.
xivSi veda il sondaggio al linkwww.corriere.it/economia/corriereconomia/12_febbraio_20/marvellisabella-mercati- sondaggi_09a8fffa-5bd3-11e1-9554-12046180c4ab.shtml.
xv Cfr. “Italy’s Debt must be restructured”, Nouriel Roubini, Financial Times, November, 29, 2011.
xvi www.wallstreetitalia.com/article/1311099/crisi-europa/ecco-perche-soros-consiglia-di-puntaresui-bond-italiani.aspx
xvii “A shrinking pool of super safe assets”, John Plender, Financial Times, January, 15,2012
xviii Cfr., ad esempio, “China outlines plan to loosen capital controls”, Simon Rabinovitch,
Financial Times, February, 23, 2012.
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