linguaggio poetico e narrativa

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linguaggio poetico e narrativa
ITALIANO V
PROF. RAFFAELLA ARISTODEMO
MODULO 2
LINGUAGGIO POETICO E NARRATIVA TRA XIX E XX SECOLO
U.D. 1 IL DECADENTISMO. CONTESTO STORICO-SOCIALE E CULTURALE
U.D. 2 GIOVANNI PASCOLI
U.D. 3 ITALO SVEVO
U.D. 4 LUIGI PIRANDELLO
U.D. 1 IL DECADENTISMO. CONTESTO STORICO-SOCIALE E CULTURALE
L’età del Decadentismo si colloca all’incirca tra gli anni ottanta e novanta del XIX secolo e la
Prima Guerra Mondiale. La critica usò inizialmente il vocabolo DECADENTE in senso
dispregiativo, per indicare sia il comportamento dissacratorio dei poeti, sia la crisi e il crollo dei
valori di un’intera società. Il termine DECADENTE, infatti, che ebbe origine in Francia, deriva
dalla parola francese “decadent”, che significa appunto “decadente”. I rappresentanti decadenti più
autorevoli in Francia furono i “poeti maledetti” Arthur Rimbaud, Stefane Mallarmè, Paul Verlaine,
Charles Baudelaire, mentre in Inghilterra si distingueva Oscar Wilde, autore di un inquietante
romanzo dal titolo “Il ritratto di Dorian Grey”. I poeti maledetti erano così chiamati in quanto
conducevano una vita dissoluta, sregolata, caratterizzata dall’uso di alcool e droghe. Il loro intento
era anche quello di opporsi alla società borghese nella quale vivevano perché improntata sul
perbenismo e su valori, norme e regole false e ipocrite. I loro componimenti poetici, intrisi di
pessimismo, erano impostati su visioni e atmosfere allucinate, simboli, metafore e allegorie, in
quanto compito del poeta decadente non era quello di descrivere la realtà così com’era, ma
coglierne le impressioni più vaghe e indefinite, le emozioni che essa trasmetteva. I poeti decadenti
inoltre erano attratti dallo studio delle epoche storiche in cui la civiltà era in decadenza, in declino.
Interessati a capire ed esprimere le esperienze individuali di malessere fisico e psicologico, erano
attratti dal mistero della morte e vedevano nella bellezza una ragione di vita. Gli autori con le loro
opere non si occupavano di problemi sociali né di quelli storici, in quanto la loro attenzione era tutta
volta all’analisi soggettiva di ciò che essi stessi pensavano, sentivano o facevano.
Reale precursore del DECADENTISMO in Francia fu il SIMBOLISMO, cioè la tendenza a
rappresentare la natura e la vita nella letteratura e nell’arte in genere, non attraverso persone ed
oggetti reali e concreti ma, appunto, attraverso simboli, significati nascosti; con questo processo
l’artista non alterava la realtà, ma ne coglieva gli aspetti più profondi, misteriosi e sfuggenti.
L’iniziatore ed il maestro del Simbolismo e punto di riferimento del Decadentismo fu il poeta
francese Charles Baudelaire (1821-1867), autore della raccolta poetica “I FIORI DEL MALE”.
Nelle poesie di questa raccolta egli esaltava e descriveva le sensazioni che la natura gli procurava
(profumi, colori, suoni colti attraverso i sensi e non attraverso le facoltà razionali), in quanto suo
intento era scoprire i misteri dell’universo, e non comporre poesie di contenuto educativo, morale o
civile. Profondamente critico nei confronti della società borghese e industriale nella quale viveva,
anch’egli vi contrappose uno stile di vita all’insegna della sregolatezza, e dell’abuso di alcool e
droghe.
CONTESTO STORICO
Gli anni del Decadentismo, da un punto di vista storico, furono quelli dell’Imperialismo e della
Seconda Rivoluzione Industriale. Con la fase imperialistica, molti paesi europei, quelli più ricchi
ed industrializzati, come la Francia, l’Inghilterra, la Germania, furono spinti alla conquista coloniale
di territori in Africa e in Asia, ricchi di materie prime e capaci di fornire mano d’opera a basso
prezzo.Tale impulso degenerò nel Nazionalismo e nel MITO DELLA RAZZA (la convinzione cioè
che certe razze fossero superiori ad altre).Da parte delle grandi potenze si giunse a teorizzare come
legittimo e necessario il trionfo dei forti sui deboli, e apparentemente tutto questo era visto come
una missione educatrice e civilizzatrice dei popoli barbari e primitivi. In realtà si ambiva a sfruttare
i popoli colonizzati, deboli e indifesi. Con la Seconda Rivoluzione Industriale, le nuove scoperte
scientifiche e tecnologiche, e i cambiamenti nell’organizzazione del lavoro industriale,
trasformarono la società in modo radicale. Ad esempio il petrolio prese il posto del carbone, nelle
case si diffuse l’illuminazione elettrica, si produssero le prime automobili, la scienza medica
progredì notevolmente, le fabbriche crebbero a dismisura. La grande industria, aveva ora bisogno
non solo di grandi capitali, ma di una massiccia richiesta di manodopera, a cui corrispose una
pesante emigrazione esterna ed interna (interna, cioè dalle campagne alle città, esterna verso le
Americhe). Pessime diventarono nei centri di attività industriali le condizioni abitative dei ceti
operai, costretti a vivere in luoghi sovraffollati, degradati e malsani. I lavoratori, soprattutto anziani,
donne e bambini, venivano sfruttati e non adeguatamente tutelati. Da tale critica situazione sociale e
lavorativa del proletariato, nacquero le prime questioni sociali , i sindacati, (associazioni per
proteggere i lavoratori), e le lotte operaie. Gli operai continuavano a essere alla completa mercè dei
loro datori di lavoro(grande borghesia, capitalisti, proprietari delle grandi fabbriche),
completamente dimenticati da leggi che definissero l’età minima per il lavoro in fabbrica, la
lunghezza della giornata lavorativa, il diritto al riposo settimanale. Le grandi rivoluzioni operaie –
socialiste e comuniste- ebbero impulso anche dal pensiero del filosofo Karl Marx (1818/1833),
autore del “Materialismo storico”, che scrisse l’opera IL CAPITALE, nella quale il filosofo tedesco
analizzò criticamente la società borghese e capitalista. La società risulta composta da due classi in
conflitto perenne: la borghesia, la classe dominante, che ha prodotto una classe subalterna, il
proletariato, che si trova al grado più basso della scala sociale. Marx affermava che la storia di ogni
società era sempre stata caratterizzata dalla lotta di classe (vedi ad esempio i patrizi e i plebei
nell’antica Roma), e profetizzava che lo scontro tra borghesia e proletariato avrebbe visto la
sconfitta della borghesia e il trionfo della classe operaia la quale, una volta posta alla guida della
società, avrebbe eliminato le differenze e le ingiustizie tra le classi per una società giusta e
ugualitaria.
LA REAZIONE AL POSITIVISMO E AL NATURALISMO
Il Decadentismo nacque anche in opposizione al Positivismo e al Naturalismo. Questi
riconoscevano nella ragione l’unico e infallibile strumento di conoscenza, esaltavano il progresso
scientifico e tecnologico che garantivano la felicità dell’uomo, vedevano la società in continuo
miglioramento. Contro tale visione ottimistica della vita, il Decadentismo affermava che l’uomo,
lontano dall’essere composto solo dalla razionalità, era anche e soprattutto passione, istinto e
irrazionalità. Mentre il Naturalismo si era proposto, inoltre, di analizzare la realtà e i fenomeni
sociali in maniera esatta, rigorosamente scientifica, il Decadentismo affermava che la realtà era
indeterminata, impossibile a descriversi in termini rigorosamente scientifici. Nacquero così nuove
filosofie spiritualistiche e irrazionalistiche che screditarono il Positivismo e la scienza in generale e
che favorirono la ricerca spirituale e interiore. In psichiatria ci fu la nascita della Psicoanalisi del
medico austriaco Sigmund Freud (1856-1939), il quale studiava le malattie mentali come le
nevrosi, da curare con le sedute psicoanalitiche attraverso le quali il paziente ripercorre i traumi del
passato. La psiche umana è suddivisa in tre parti, una struttura più antica e primitiva, l’ES, che
contiene le pulsioni e gli istinti, l’EGO, una struttura prevalentemente razionale e legata alle azioni
volontarie, formatasi nelle esperienze della vita, il SUPER-IO, fonte dei principi, dei divieti e delle
norme morali, degli insegnamenti che fin dall’infanzia ci vengono impartiti. L’ES è anche quella
parte dell’io dove risiedono gli istinti, le pulsioni, le paure e i traumi che la coscienza non ha
accettato e ha censurato, rimosso.Il SUPER-IO controlla la nostra coscienza e svolge il compito di
funzione repressiva. Il mancato equilibrio tra es e super-io genera la nevrosi. Compito dell’analista
è studiare l’inconscio per liberare l’uomo dalla nevrosi. Una via d’accesso all’inconscio sono per F.
i tic, i lapsus e il sogno. In filosofia spiccava la teoria nietzschiana del superuomo. Nietzsche,
filosofo tedesco (-184-1900), fu colui il quale meglio di chiunque altro seppe interpretare la crisi
della fiducia assoluta nella ragione. Egli affermava che nell’uomo, originariamente, erano presenti
due spiriti: una parte razionale, detta apollinea, e una parte più vera, autentica, legata alle passioni e
ai sensi, detta dionisiaca. Con il procedere dei tempi e degli eventi storici e sociali, con il sorgere
delle prime comunità, delle società, delle regole, delle norme morali e religiose, e delle leggi che
regolano il vivere tra gli individui, la parte istintiva dell’uomo finì, a poco a poco, con l’essere
schiacciata da esse. Nietzsche affermava che era necessario distruggere tutto ciò, considerato come
un insieme di false credenze, delle quali si doveva svelarne le illusioni e le mistificazioni. Il
filosofo vedeva nella società del suo tempo una oppressiva rete di convenzioni che limitavano la
libertà individuale cui ribellarsi per far riemergere la parte dionisiaca. Egli auspicava l’arrivo di un
nuovo mondo, una nuova era o aurora, non consistente in un mondo perfetto e ordinato, ma al
contrario basato sul caos, sul disordine, sulla disgregazione e sulla morte, concepiti come eventi
liberatori da tutto ciò che era oppressivo e repressivo. Per il filosofo, in questo percorso di
liberazione, esisteva un solo essere, che, dotato di straordinaria volontà di potenza, avrebbe infranto
vecchi codici e norme morali per creare una nuova umanità.
IL DECADENTISMO IN ITALIA
In Italia le radici del Decadentismo furono costituite dalla SCAPIGLIATURA, fenomeno culturale
che si manifestò negli anni tra il 1860 e il 1890, in Lombardia e in Piemonte, e che riguardò la
letteratura, la pittura e la musica. Il termine “scapigliato” era la traduzione della parola francese
“bohème” (zingaro), e con il quale si indicava uno stile di vita anticonformista. Il principale centro
di diffusione della Scapigliatura fu la città di Milano, dove confluirono letterati, musicisti, pittori,
insofferenti e ribelli nei confronti delle convenzioni sociali, le norma borghesi e amanti della vita
disordinata, dedita all’alcool e all’assenzio. Componevano opere macabre, con un gusto per l’orrido
e il patologico, ma anche per il sogno, il surreale, il fantastico, concepiti come vie di fuga dal
mondo reale. In Italia i rappresentanti più autorevoli del Decadentismo furono gli scrittori Italo
Svevo e Luigi Pirandello per la prosa, i poeti Giovanni Pascoli e Gabriele D’Annunzio per la
poesia.
I CARATTERI FONDANTI DEL DECADENTISMO
La tendenza decadente in tutta Europa si manifesta con i seguenti caratteri:
-I decadenti non hanno fiducia nella ragione che giudicano uno strumento inadeguato per cogliere
l’anima più profonda della realtà che deve essere percepita con l’istinto e l’intuizione
-i decadenti si isolano dalla società, perché non si riconoscono nel mondo in cui vivono in
contrapposizione al Positivismo, filosofia ottimistica che affermava la fiducia nel progresso
scientifico, tecnologico e nella ragione come i soli in grado di garantire la felicità dell’uomo.
- i decadenti sono dominati dall’ansia di evadere dalla realtà sognando mondi lontani come quello
dell’infanzia
- danno molta importanza importanza al sogno, al surreale e al fantastico. I d. sono attratti dagli
aspetti irrazionali e oscuri della psiche, come l’istinto, l’inconscio, gli stati morbosi, le alterazioni
della mente provocate dalle malattie,
- per i decadenti l’arte e la poesia sono fini a se stessi (poesia pura). Nel naturalismo invece arte e
letteratura erano strumenti di denuncia sociale
- i d. rifiutano le norme morali e sociali
- i d. sono individualisti, cioè volti ad esaltare il proprio io
- i d. adottano un linguaggio nuovo, soprattutto nella poesia, ricorrendo a simboli, analogie, creando
ritmi e versi musicali per riprodurre le varie sensazioni della realtà naturale, e tengono lontani i
nessi logici. La tecnica espressiva è quella della poesia pura, non contaminata da intenti etici o
politici ma celebrativa solo di se stessa. Il linguaggio poetico non è di ordine logico né descrittivo,
ma allusivo, ricco di metafore, di analogie, di simboli, la parola si fa più preziosa, pura e astratta,
talora oscura e comprensibile solo per il poeta che la usa, è una poesia dal forte andamento
musicale.
- per i d.l’artista è un veggente, capace di evocare sensazioni e realtà segrete e di rivelare l’assoluto
dell’universo
-per i d.l’artista è un esteta, e il culto dell’arte lo colloca al di là di ogni vincolo morale o sociale, in
un’assoluta libertà spirituale e materiale
-per i d. la bellezza è un valore importantissimo e assoluto-per i d. lo scrittore o il poeta non deve
essere impegnato in battaglie politiche o sociali
U.D. 2 GIOVANNI PASCOLI
LA VITA
Il poeta nacque a San Mauro di Romagna il 31 dicembre 1855. ben quarto di dieci fratelli, trascorse
un’infanzia lieta e spensierata, ma era ancora fanciullo quando, nel 1867, il padre, amministratore di
una tenuta dei principi di Torlonia, venne ucciso con una fucilata mentre tornava a casa da una fiera
a Cesena con un calesse. Il papà fu trascinato, morto, a casa, da una cavalla storna. Quest’episodio
fu l’inizio di un periodo di lutti familiari: in pochi anni morirono la madre e altri fratelli e sorelle. Il
trauma accompagnò la sua vita e segnò per sempre il suo carattere e la sua personalità. La precoce
esperienza di dolore e di morte influì sulla sua visione, sfiduciata e malinconica, della vita e del
mondo. Egli compì i primi studi a Urbino e nel 1873 si iscrisse alla facoltà di lettere all’università di
Bologna, dove ebbe come insegnante il grande poeta Giosuè Carducci. Nel 1876 fu costretto a
lasciare gli studi dopo che morì suo fratello Giacomo, e così Giovanni rimase il capo della famiglia,
ridotta a 5 persone. Miseria e angoscia furono le caratteristiche di questo periodo. Iniziò anche a
essere ribelle e a partecipare a lotte e manifestazioni di matrice socialista. Nel 1879 fu arrestato per
due mesi per aver partecipato a una manifestazione socialista. Uscito assolto, fu prima sul punto di
uccidersi, ma poi abbandonò la politica per dedicarsi con ancor maggior impegno agli studi. Si
laureò nel 1882, insegnò in diversi licei, a Matera e a Livorno, dove riuscì a ricostruire il “nido
familiare” con le due sorelle Ida, poi convolata a nozze, e Maria (verso le sorelle dimostrò un
attaccamento morboso). Nel 1905 successe al Carducci all’università di Bologna. In questa città
visse fino alla morte, sopravvenuta nel 1912. Durante l’ultima fase della sua vita andò spesso a
vivere in un luogo di campagna da lui amatissimo perché gli ricordava l’infanzia, Castelvecchio di
Barga, insieme alla devota sorella Maria.
LE RACCOLTE POETICHE
MYRICAE(1891-1903), la quale ebbe diverse edizioni
I CANTI DI CASTELVECCHIO, anch’essa con diverse edizioni(1903,1907,1912)
PRIMI POEMETTI (1904)
NUOVI POEMETTI (1909)
OPERE IN PROSA
MYRICAE
Essa è una raccolta di brevi poesie, pubblicata in successive edizioni ed è suddivisa in 15 sezioni.
La raccolta Myricae prende il titolo da una parola latina “myricae”, “tamerici”, esse sono piccole
pianticelle, che crescono lungo le coste. Il termine myricae era stato usato in precedenza da un altro
poeta, Virgilio, il quale era un poeta latino vissuto nel I sec. a.c. In una sua opera, Virgilio
paragonava le sue poesie, piccole e umili, alle tamerici, piccole pianticelle. Il Pascoli utilizza lo
stesso paragone, ma le poesie, nonostante siano semplici, di breve lunghezza come le esili
pianticelle, hanno pur sempre un grandissimo valore. La tematica principale di tali componimenti
poetici è il mondo della natura, fatta di semplici gesti quotidiani, come il lavoro dei campi, e ne
vengono evidenziati i particolari, come i colori, i suoni, i profumi…Le belle immagini della natura,
tuttavia, sono legate ricordi dolorosi del periodo dell’infanzia. La campagna, che rievoca dunque il
periodo dell’infanzia, che suscita nostalgia e malinconia, rappresenta per il Pascoli il NIDO
FAMILIARE, che non c’è più. La campagna rappresenta anche un luogo di protezione, dove ci si
nasconde per sfuggire all’esistenza carica di dolori e ingiustizie. Nelle poesie della raccolta spesso
vengono rievocate le persone morte, legate alla sua infanzia. Ad esempio, nel componimento X
AGOSTO, egli ricorda il padre, ucciso da sconosciuti il 10 agosto 1867 nel giorno della festa di San
Lorenzo, nel quale si verifica il fenomeno delle stelle cadenti. L’intento del Pascoli è quello di
ricondurre la poesia a un bisogno esistenziale di memoria, in quanto la poesia è “far rivivere ciò che
fu”. I defunti appaiono sfuggenti, avvolti nel mistero, sono soprattutto irraggiungibili. Rievoca i
morti, ricrea legami con loro, infatti, in un tentativo disperato e ossessivo di farli quasi rivivere o
farli ritornare in vita. Tutto questo non è possibile e non poterli riportare in vita lo fa sprofondare in
un rimpianto e in una nostalgia ancora più forti. Ciò che un tempo era stato non sarà mai più.
IL FANCIULLINO(1897)
E’ uno scritto in prosa in 20 capitoli, apparso sulla rivista “Il Marzocco” per la prima volta nel 1897
e poi ripubblicato in maniera più ampia nel volume “I miei pensieri di varia umanità”. Nello scritto
è esposta la poetica del poeta, il quale spiega il perché la sua poesia presti molta attenzione al
mondo dell’infanzia. Egli afferma che all’interno di ogni uomo vive un “fanciullino”, capace di
vedere “tutto con meraviglia, come per la prima volta, e lo fa con occhi puri e ingenui”. Il poeta è
colui che sa dar voce a questo fanciullino, il quale, è anche e soprattutto un veggente, poiché
conosce l’universo e la natura non in maniera superficiale ma profonda. Il poeta-fanciullino va al di
là dell’apparenza delle cose e scopre i segreti e i misteri dell’universo. Secondo la poetica
pascoliana del fanciullino, la natura è dunque carica di valori simbolici e di misteri che soltanto il
poeta sa cogliere e decifrare. La poesia assume una funzione conoscitiva, di indagine del mondo. La
poesia ispirata dal fanciullino, inoltre, ha una funzione morale e sociale, perché spinge gli uomini,
di tutte le classi sociali, alla fratellanza, alla solidarietà. Questo è l’unico sistema, per gli uomini, di
sfuggire o sopravvivere al male e alla sofferenza del mondo e dell’esistenza(socialismo umanitario).
Il poeta-fanciullo del Pascoli si oppone all’aggressività del superuomo dannunziano.
LA POETICA
Pascoli ha una visione pessimistica e dolorosa della vita. Il mondo è per lui un mistero, colmo di lati
oscuri, che neanche la scienza, con i suoi metodi, riesce a svelare. Solo la poesia è l’unico
strumento in grado di conoscere a fondo il mondo, poiché scopre gli aspetti sconosciuti delle cose.
Il poeta si fa “veggente”, va oltre le apparenze poichè è dotato di una vista più penetrante di quella
degli altri uomini. Gli uomini sono esseri infelici, fragili, vittime di un destino ineluttabile, che è
soprattutto quello della morte, unica certezza esistenziale. E’ soltanto con la fraternità universale, è
soltanto eliminando gli egoismi, è soltanto amandosi reciprocamente, che gli uomini potranno
meglio sopportare il dolore della loro condizione umana. Compito della poesia è quello di invitare
gli uomini a tale comportamento di amore reciproco. I temi più importanti della poesia pascoliana
sono: LA NATURA, I CARI MORTI, IL MONDO DELL’INFANZIA, IL NIDO FAMILIARE.
Per quanto riguarda la natura, molteplici sono le descrizioni sui paesaggi, sia autunnali che
primaverili, sia luminosi e ridenti, sia malinconici e tetri. Spesso singoli elementi, quali un fiore,
oppure una casa, o una rondine, richiamano alla memoria ricordi o figure dei defunti. Ad esempio,
nella poesia X AGOSTO, la rondine richiama la figura del padre.Sono strettamente legati tra di
loro, in particolar modo, quello del “nido familiare” e dell’”infanzia”, entrambi ispirati dai
traumatici avvenimenti di quando il poeta era bambino, come l’improvvisa perdita del padre. Il nido
e l’infanzia rappresentano dei rifugi per sfuggire alle violenze che vi sono nel mondo.
IL LNGUAGGIO. Pascoli utilizza una lingua semplice ma nello stesso tempo tecnicamente precisa,
soprattutto per citare particolari tipologie di fiori o, attrezzi o uccelli, elementi legati al mondo
campestre. Il poeta utilizza anche un linguaggio FONOSIMBOLICO O ONOMATOPEICO, in
quanto molti gesti dei contadini, ad esempio, oppure rumori prodotti da animali, sono rappresentati
con verbi, nomi, aggettivi che ne riproducono il suono con la loro pronuncia. Ad esempio, nella
poesia LAVANDARE, il suono dello sbattere dei panni lavati nell’acqua, è riprodotto con la parola
“sciabordare”.Il poeta utilizza anche LE SIMILITUDINI e LE ANALOGIE tra oggetti o animali e
persone. Ad esempio, nella poesia X AGOSTO, la rondine che viene uccisa e che portava il cibo ai
rondinini nel nido, è paragonata al papà ucciso mentre portava bambole ai suoi figli.
U.D. 3 ITALO SVEVO
LA VITA
Ettore Schmitz, (così si chiamava realmente Italo Svevo), nacque a Trieste il 19 dicembre 1861 da
famiglia ebrea, di origine tedesca da parte del padre Francesco Schmitz (il nonno si era infatti
stabilito a Trieste come impiegato dello Stato austriaco) e italiana da parte della madre. Visse una
serena infanzia borghese, nella famiglia agiata e numerosa, nutrendo un grande affetto per la madre.
Il padre, che era impegnato in proficue attività commerciali, lo fece educare insieme ai fratelli, per
fargli intraprendere la sua stessa carriera commerciale, in un collegio tedesco, a Segnitz, in Baviera,
dove Ettore studiò soprattutto il tedesco e varie materie utili per l’attività commerciale. Lì compì le
prime importanti letture, soprattutto di classici tedeschi, che fecero nascere il suo interesse per la
letteratura. Tornato a Trieste, si iscrisse all’Istituto Superiore Commerciale Revolterra, e molto
presto cominciò ad interessarsi di problemi culturali e letterari, partecipando alla vita intellettuale
triestina e seguendo spettacoli teatrali. Tra le sue numerose letture, una posizione di primo piano
occupavano i grandi narratori francesi dell’Ottocento, e fortissimo era il suo interesse per la
filosofia di Schopenhauer. Dopo varie ricerche di impiego, era stato assunto, nel settembre del
1880, presso la filiale triestina della banca Union di Vienna, come corrispondente per il tedesco e
per il francese. Si accostava intanto anche alla narrativa, scrivendo le prime novelle e il romanzo
UNA VITA, iniziato nell’88 e apparso, sotto il nome di Italo Svevo, nel ‘92, l’anno della morte del
padre. Agli anni intorno al ‘92 risale anche il rapporto con una bella ragazza di estrazione popolare,
Giuseppina Zergol, di cui rimase una traccia nel personaggio di Angiolina nel successivo romanzo
SENILITA’, pubblicato nel ‘98. Ettore Schmitz continuava intanto la sua vita di impiegato di
banca. Nel dicembre 1895 si fidanzò con Livia Veneziani, figlia di un industriale cattolico, che
dirigeva una fiorente fabbrica di vernici ed il matrimonio avvenne nel luglio del ‘96. nel 1899 lasciò
la banca ed entrò direttamente nella ditta del suocero, impegnandovisi attivamente e sospendendo
quasi totalmente la sua attività letteraria. Nella nuova veste di uomo d’affari, Italo Svevo compie
lunghi viaggi e soggiorni in Francia e in Inghilterra, senza però rinunciare alle sue curiosità
culturali, e sviluppando anzi interessi di tipo scientifico. Nel 1905 avviene l’incontro con James
Joyce che gli da lezioni di inglese e tra il 1908 e il 1910 egli viene a conoscenza delle teorie di
Freud e della Psicoanalisi, anche in seguito al fatto che il cognato Bruno Veneziani aveva sostenuto
a Vienna una cura psicoanalitica con lo stesso Freud. Dopo un viaggio d’affari in Germania,
nell’estate del 1914 lo scoppio della Prima Guerra Mondiale riduce l’attività della fabbrica di
famiglia, requisita dalle autorità austriache. Dopo la forzata inattività di quegli anni, lo scrittore
approfondisce lo studio della Psicoanalisi e riprende la sua attività letteraria e di industriale. A
partire dal 1919 torna con grande impegno alla scrittura lavorando al nuovo romanzo LA
COSCIENZA DI ZENO, pubblicato nel ‘23.
Dopo il disinteresse iniziale manifestatosi in Italia per questo romanzo, fu l’amico Joyce ad aprire la
strada a un riconoscimento del suo valore da parte dei vari critici francesi, mentre in Italia la sua
grandezza veniva affermata dal giovane Eugenio Montale, con cui strinse una grande amicizia. La
valutazione positiva del nuovo romanzo riaccendeva l’attenzione della critica anche nei confronti
dei due precedenti. Numerosi furono ancora i suoi viaggi, non più legati soltanto agli affari ma alla
letteratura e alla promozione della sua opera. Ormai in condizioni di salute malferma, ebbe un
incidente d’auto, in seguito al quale morì il 13 settembre 1928.
UNA VITA
Iniziato nel 1888, il primo romanzo di Svevo, il cui titolo originario era UN INETTO, venne
pubblicato nel 1892, a spese dell’autore. Al centro della narrazione in prima persona c’è un
personaggio di intellettuale fallito, Alfonso Nitti, venuto dalla campagna nella città di Trieste. Egli
vive presso una famiglia di affittacamere e lavora come corrispondente per la banca Maller: la
situazione e il personaggio hanno numerosi precedenti nella narrativa ottocentesca e si appoggiano
anche su motivi autobiografici. La rappresentazione tende a concentrarsi tutta sul punto di vista del
personaggio protagonista, sulle sue ambizioni intellettuali, sul senso fortissimo che egli ha di se, del
proprio valore, delle proprie possibilità, su astratti ideali di vita che si muovono nella sua mente: ma
tutte le velleità del personaggio sono continuamente smentite e avvilite dalla realtà del mondo degli
affari con cui egli è in contatto, dai meccanismi della vita di relazione, dalla concretezza dei
rapporti di forza e dei condizionamenti sociali, dalla sua insuperabile inferiorità verso il mondo
borghese in cui egli pretende di inserirsi e che vorrebbe far suo e dominare. Preso dai suoi vaghi
sogni intellettuali, egli non riesce mai a impadronirsi delle circostanze, ma viene sempre trascinato
in situazioni a cui non riesce a partecipare pienamente, nei confronti delle quali resta sempre
estraneo o assente. Nella sua condizione di subalterno, date le sue qualità intellettuali, egli viene
ammesso a frequentare la casa borghese del signor Maller, il direttore della banca, e si trova quasi
senza rendersene conto, a possedere Annetta, la giovane figlia piena di vaghi desideri di fuga e di
velleità intellettuali, che progetta di scrivere un romanzo a quattro mani insieme con lui. Ma quando
sembra porsi il problema di superare gli ostacoli sociali che si opporrebbero a un matrimonio con
Annetta, Alfonso si trova quasi insensibilmente a rinunciare a questa possibilità di scalata sociale: si
mette alla ricerca delle proprie origini e ritorna al paese natale, dove assiste alla morte della madre,
si ammala e finisce per vendere ogni bene familiare. Tornato a Trieste, riprende la vita di impiegato,
più umiliato ed emarginato del solito. Dopo un dissidio col signor Maller, dà le dimissioni dalla
banca e invia ad Annetta una lettera, che viene vista dalla sua famiglia come un tentativo di ricatto.
Sfidato a duello dal fratello di Annetta, egli rinuncia definitivamente alla lotta suicidandosi: ma
anche nel suo suicidio non c’è nulla di eroico, c’è solo la conferma della sua condizione di
subalternità e di inferiorità rispetto alla logica che governa il mondo reale. Nella vicenda di Alfonso
Nitti il confronto con il mondo borghese, con la sua solita concretezza, svuota di ogni valore il
personaggio intellettuale. Alfonso non può rappresentare nessun modello assoluto, non può
proclamare nessun valore ideale o alternativo. Un astratto senso di superiorità sugli altri lo porta
talvolta a elaborare possibili modelli di vita, lo spinge addirittura a porsi come educatore,
soprattutto nei confronti delle donne, ma i suoi obiettivi non vengono mai perseguiti fino in fondo:
egli non riesce mai a partecipare interamente a quello che fa, si sottrae a ogni comunicazione reale
con gli altri. Il naufragio di Alfonso porta con sé una implicita critica dei modelli decadenti, delle
varie sopravvalutazioni della figura intellettuale che proliferano nella cultura del tardo Ottocento.
Eroe senza qualità, il personaggio sveviano è lontano da ogni compiacimento estetico, è immerso in
una realtà quotidiana senza valore e senza colore –non a caso il grigio è il colore dominante del
romanzo-. La prosa rifugge da ogni preziosismo e da ogni ricerca linguistica, si adegua ai caratteri
della grigia realtà che vuole rappresentare, fino ad apparire in alcuni momenti addirittura aspra e
scorretta.
SENILITA’
Il romanzo, che in un primo momento doveva intitolarsi IL CARNEVALE DI EMILIO, venne
elaborato a partire dal 1892, e concluso dopo il matrimonio, nel 1897. Fu del tutto ignorato dalla
critica e venne riscoperto solo dopo l’uscita della COSCIENZA DI ZENO. Anche qui la narrazione
in terza persona si concentra tutta sulle vicende e sul punto di vista di un personaggio inetto, i cui
atteggiamenti sono complicati da un senso precoce di senilità, da una distanza dalle cose che
somiglia a quella di una vecchiaia sterile e inerte. Emilio Brentani, intellettuale fallito di 35 anni,
che in passato ha pubblicato un romanzo senza successo e ora conduce una inerte vita di impiegato,
di modeste condizioni economiche, vive un rapporto con l’esuberante e inafferrabile popolana
Angiolina, ma in ogni suo gesto sembra mancare di energia vitale. Egli è tutto rivolto a costruire se
stesso, i propri rapporti umani, la propria vita sentimentale con un distacco che lo separa dalle cose
e dalle persone, con una sopravvalutazione dei propri propositi, che non gli permette nessuna vera
conoscenza della realtà, ma lo chiude soltanto in una spirale di autoinganni, di immagini illusorie.
La sua esistenza pare essere sempre in attesa di occasioni che non si realizzano, in continuo ritardo
rispetto a un presente che gli sfugge, non sa vivere il presente, si sente continuamente minacciato
dall’errore, teme di finire nel ridicolo. Quella di Emilio Brentani è la condizione più generale
dell’uomo moderno, la sua è la figura dell’”inetto” per eccellenza. Questi caratteri del protagonista
vivono entro un intreccio che lo lega ad altri tre personaggi, con i quali esso forma un quartetto
perfetto, costruito secondo sottili raccordi e simmetrie. Da una parte c’è l’amico scultore Stefano
Balli, personaggio generoso, sicuro e spregiudicato, che per Emilio rappresenta una figura paterna,
dall’altra le due opposte figure femminili, destinate a non incontrarsi mai, della sorella Amalia e di
Angiolina. Triste e grigia figura di ragazza condannata all’inerzia sentimentale e alla moralità
casalinga, riservata e votata alla rinunzia, Amalia è sconvolta fino alla follia e alla morte da un
impossibile e silenzioso amore per il Balli. Emilio sente un bisogno di proteggerla, che si rivela
controproducente, mentre in realtà, tutto preso dalla sua passione per Angiolina, egli la trascura,
provando nei suoi confronti minacciosi sensi di colpa. La bionda Angiolina, donna del popolo,
rappresenta invece la vitalità più libera e aperta, la salute e l’energia fisica, il piacere di guardare e
di essere guardata. La donna copre il rapporto con Emilio con una rete di finzioni, di inganni che
egli si ostina a non vedere, diventando subalterno a lei e alla propria passione. La situazione giunge
al suo punto estremo quando Emilio incontra per l’ultima volta Angiolina, quasi
contemporaneamente alla morte della sorella Amalia. Poi, quando il dolore più lacerante si è
allontanato, Angiolina sembra trasfigurarsi in una lontananza simbolica, immagine di una
giovinezza vista da un vecchio.
LA COSCIENZA DI ZENO
Pochi mesi dopo la fine della guerra, intorno al febbraio 1919, Svevo cominciò a lavorare al nuovo
romanzo LA COSCIENZA DI ZENO che terminò, tra varie interruzioni, prima della fine del 1922.
Anche questo nuovo romanzo fu accolto all’inizio da una quasi totale indifferenza; fu essenziale
l’intervento di Joyce, che invitò Svevo a inviarne una copia ad alcuni critici e scrittori, come
Thomas S. Eliot, mentre in Italia la scoperta di Svevo si era svolta per la curiosità e l’intelligenza
del giovane Eugenio Montale. Sulla spinta di un articolo montaliano, la conoscenza dell’autore si
diffuse presso la più intelligente e moderna cultura italiana del tempo. LA COSCIENZA DI ZENO,
a differenza dei due romanzi precedenti, si svolge in prima persona, esso non si presenta come
narrazione di una vicenda particolare, ma come un’autobiografia in cui non si segue un disegno
organico, ma si aprono squarci su diverse situazioni e occasioni della vita del protagonista. Si tratta
di un personaggio, Zeno Cosini, un ricco triestino che, per liberarsi da una nevrosi che si manifesta
nei rapporti con se stesso e con gli altri, e che si riconosce innanzitutto nell’impossibilità di liberarsi
dal vizio del fumo e nel continuo fallimento dei propositi di fumare l’ultima sigaretta, si è sottopoto,
ormai in età avanzata, a una cura psicoanalitica e ha ricevuto dal dottor S. l’incarico di ripercorrere
per iscritto il proprio passato, in funzione della cura. Ma questa ricostruzione del passato si compie
per salti, in maniera non organica, senza un punto di vista risolutivo che riesca a spiegarlo e a
interpretarlo. Essa si interrompe a un certo punto, come interrotta risulta la cura psicoanalitica, per
l’insofferenza del paziente nei confronti del medico e del suo metodo. Svevo finge che l’iniziativa
di pubblicare il romanzo si debba allo stesso dottor S., che intende così vendicarsi del tiro giocatogli
dal malato, il quale, grazie a un’interpretazione adeguata di quelle memorie, avrebbe potuto
avvicinarsi alla guarigione. Il testo si compone di 8 capitoli di diversa misura. Due brevissimi
all’inizio, una Prefazione, in cui il dottore presenta la sua decisione di pubblicare quelle memorie,
un Preambolo, in cui Zeno ritorna al periodo della sua infanzia e afferma l’impossibilità di
recuperarla. Seguono poi due capitoli: IL FUMO, dedicato agli infiniti artifici e sotterfugi che il
personaggio mette in atto per evitare di abbandonare le sigarette ecc,e LA MORTE DI MIO
PADRE, che risale indietro alla sua giovinezza, alla difficoltà dei rapporti col padre e a un gesto di
questi, in punto di morte, che viene visto come una punizione nei suoi confronti. Vengono poi
capitoli molto ampi e significativi, che sono LA STORIA DEL MIO MATRIMONIO, incentrato
sulle vicende che hanno portato Zeno a frequentare la famiglia Malfenti e le 4 sorelle Ada, Augusta,
Alberta, Anna. Egli nutre amore per la bellissima Ada, dalla quale dirotta verso la più scialba di
tutte Augusta, la meno affascinante. LA MOGLIE E L’AMANTE, è l’altro capitolo, in cui Zeno,
marito felice, ripercorre le tappe del rapporto clandestino, segreto e tortuoso, che lo lega a Carla,
una giovane donna di origine popolare, che aspira a divenire cantante. E’ questo un rapporto che
egli vive con senso di colpa e nel continuo desiderio di troncarlo. STORIA DI
UN’ASSOCIAZIONE COMMERCIALE, segue le difficoltà di Zeno nel mondo degli affari, e
illumina il complicato rapporto che egli intrattiene con il marito di Ada, Guido Speier, la cui abilità
e la cui apparente fortuna è come ribaltata da un fallimento che lo porta al suicidio. Più breve è
l’ultimo capitolo, PSICO-ANALISI, in cui si abbandona la narrazione del passato –che riguardava
grosso modo il mondo triestino degli anni novanta del secolo XIX-, dando spazio a una forma di
scrittura diaristica, con tre brani datati tra il maggio 1915 e il marzo 1916. Qui il protagonista
annuncia la sua decisione di abbandonare la cura, svolge varie critiche alla Psicoanalisi, parla della
sua improvvisa scoperta della realtà della guerra, sostiene di essere guarito dalla malattia grazie a
una serie di successi commerciali, ottenuti proprio per effetto della situazione bellica. Con questo
diario finalmente il romanzo si conclude.
IL PERSONAGGIO DI ZENO, L’IO, LA NEVROSI E LA PSICOANALISI
LA COSCIENZA DI ZENO è il primo romanzo psicoanalitico della letteratura italiana. Esso e’ il
resoconto di un viaggio nell’oscurità della psiche, nella quale si riflettono le zone d’ombra della
società borghese dei primi del Novecento. Le sue ipocrisie, i suoi conformismi, l’inettitudine ad
aderire alla vita, l’amore extraconiugale come evasione e trasgressione, il confine incerto tra
solitudine e malattia divengono i temi centrali su cui si interroga Zeno Cosini. Tutto il discorso del
protagonista si sviluppa in un’oscillazione continua tra malattia e salute, tra narrazione e riflessione,
tra coscienza e inganno, tra bisogno degli altri e difficoltà di instaurare con loro un rapporto. Egli è
alla ricerca di un equilibrio che gli sfugge continuamente e che egli stesso sa di non poter
conquistare. E’ trascinato da una forza che lo costringe a compiere tortuosi percorsi, giungendo così
al matrimonio con Augusta dopo aver cercato di conquistare Ada e Alberta; ha bisogno della moglie
per amare l’amante e dell’amante per amare la moglie ecc…Eternamente irrisoluto, ha bisogno, per
ogni azione e per ogni decisione, di riferimenti e di stimoli esterni, e in ciò somiglia ai due
protagonisti dei due precedenti romanzi, da cui però lo allontana un distacco umoristico da se stesso
e dalle proprie vicende, dallo stesso mondo che gli sta attorno. La sua è una psiche e una psicologia
quanto mai varia, eterogenea, confusa e frantumata. Zeno ne segue tutte le pieghe, con una volontà
di scavarla fino in fondo, ma nello stesso tempo è impegnato a sfuggirvi. Egli è del tutto immerso in
un mondo borghese, con i suoi rituali, i suoi valori apparenti e formali, ma in quel mondo egli si
sente a disagio, in uno stato di perpetua inferiorità. Nell’ottica di Zeno, i valori su cui si regge la
vita borghese non sono altro che inganni e schemi che danno una vernice di rispettabilità e
un’apparenza di equilibrio alle pulsioni e ai desideri più vari, allo squilibrio che è al fondo stesso
dell’esistere dell’uomo, alla sua incorreggibile animalità. A ogni passo egli scopre l’imprevedibilità
della vita, la sfasatura tra i programmi, l’idea che ciascuno ha di sé, e ciò che effettivamente accade
(la vita non è né brutta né bella, ma è originale!). Tutto il vivere si risolve in un’enorme costruzione
priva di scopo, in qualche cosa di bizzarro e strano, che fa concludere che forse l’uomo vi è stato
messo dentro per errore e che non vi appartiene. Ma, a differenza di Alfonso Nitti e di Emilio
Brentani, Zeno non è uno sconfitto, egli sa di non poter essere un personaggio serio, perché
inciampa sulle cose e sulle persone come un personaggio comico, come un cown, uno Charlot, che
rasenta quasi la caricatura, si abbandona all’imprevedibile. Conserva un impassibile sorriso perfino
nella sofferenza e nelle situazioni più drammatiche, ma curiosamente cade sempre in piedi e le sue
difficoltà si trasformano in successi, come i successi commerciali che gli toccano in coincidenza
con i tragici eventi della guerra. Questa sua fragilità comica è vincente ed affascina; Zeno si afferma
proprio mostrando i suoi limiti. Il protagonista rappresenta anche il malato moderno. La
Psicoanalisi si rivela strumento essenziale per la costruzione di questo personaggio malato, per la
rivelazione di questo squilibrio che costituisce l’io, l’irregolarità dei comportamenti sotto
un’apparente normalità. Le memorie di Zeno vengono presentate come frutto di una cura
psicoanalitica interrotta e divulgate da un medico. La presenza di Freud si sente particolarmente
nella rappresentazione dei sogni del protagonista, nella sua abitudine ai motti di spirito, nel suo
continuo incorrere in lapsus ed equivoci. Nei termini della Psicoanalisi, è la nevrosi la malattia che
domina il mondo di Zeno, la sua è la condizione nevrotica dell’uomo contemporaneo. Nel suo
sottrarsi alla cura, e nella critica ironica e sarcastica della psicoanalisi che egli compie nell’ultimo
capitolo del romanzo, egli indica che la psicoanalisi vale per lui soprattutto come modo di
conoscenza di se e del proprio passato, ma dalla malattia non si può giungere a una guarigione
definitiva. Esistono solo equilibri provvisori, che nascono dalla coscienza dell’inevitabilità della
malattia.
IL MONOLOGO INTERIORE E IL FLUSSO DI COSCIENZA
La malattia diventa insomma strumento fondamentale di conoscenza, e in questo essa si intreccia,
fino a identificarvisi, con la scrittura. La narrazione di frammenti della propria esistenza, lo scavo
del proprio io imposto dall’analista, si confrontano necessariamente con il tempo. LA COSCIENZA
DI ZENO è anche un’opera sul tempo, una sottile indagine sul rapporto tra tempo della scrittura e
della cura e tempo della vita, tra il flusso del presente e il flusso dell’esistenza trascorsa e perduta. È
la stessa cura psicoanalitica a imporre un recupero del tempo, un ritorno all’infanzia, a situazioni e
traumi originari, con una continua attenzione ai ricordi e ai sogni. La scrittura di Svevo non ha
bisogno di una particolare cura stilistica, il suo italiano appare scorretto, lontano da ogni equilibrio
formale, spesso va incontro a ripetizioni di parole e di frasi. Elementi caratteristi della sua prosa
sono “il flusso di coscienza” e “il monologo interiore”, tecniche narrative in stretta relazione con il
pensiero psicoanalitico e diffuse ampiamente nella narrativa del secondo ottocento. Con il
monologo interiore nel testo narrativo viene riprodotto direttamente il flusso dei pensieri che si
svolgono nella mente di un personaggio, che si abbandona al diretto movimento dei suoi pensieri.
Meno comunicativo e più disgregato è il flusso di coscienza, che riproduce il carattere
contraddittorio, variabile, tumultuoso, incontrollabile, fatto di infiniti residui e particolari marginali,
non sempre organizzato, dei pensieri molteplici che passano nella mente umana.