linguaggio poetico e narrativa
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linguaggio poetico e narrativa
ITALIANO V PROF. RAFFAELLA ARISTODEMO MODULO 2 LINGUAGGIO POETICO E NARRATIVA TRA XIX E XX SECOLO U.D. 1 IL DECADENTISMO. CONTESTO STORICO-SOCIALE E CULTURALE U.D. 2 GIOVANNI PASCOLI U.D. 3 ITALO SVEVO U.D. 4 LUIGI PIRANDELLO U.D. 1 IL DECADENTISMO. CONTESTO STORICO-SOCIALE E CULTURALE L’età del Decadentismo si colloca all’incirca tra gli anni ottanta e novanta del XIX secolo e la Prima Guerra Mondiale. La critica usò inizialmente il vocabolo DECADENTE in senso dispregiativo, per indicare sia il comportamento dissacratorio dei poeti, sia la crisi e il crollo dei valori di un’intera società. Il termine DECADENTE, infatti, che ebbe origine in Francia, deriva dalla parola francese “decadent”, che significa appunto “decadente”. I rappresentanti decadenti più autorevoli in Francia furono i “poeti maledetti” Arthur Rimbaud, Stefane Mallarmè, Paul Verlaine, Charles Baudelaire, mentre in Inghilterra si distingueva Oscar Wilde, autore di un inquietante romanzo dal titolo “Il ritratto di Dorian Grey”. I poeti maledetti erano così chiamati in quanto conducevano una vita dissoluta, sregolata, caratterizzata dall’uso di alcool e droghe. Il loro intento era anche quello di opporsi alla società borghese nella quale vivevano perché improntata sul perbenismo e su valori, norme e regole false e ipocrite. I loro componimenti poetici, intrisi di pessimismo, erano impostati su visioni e atmosfere allucinate, simboli, metafore e allegorie, in quanto compito del poeta decadente non era quello di descrivere la realtà così com’era, ma coglierne le impressioni più vaghe e indefinite, le emozioni che essa trasmetteva. I poeti decadenti inoltre erano attratti dallo studio delle epoche storiche in cui la civiltà era in decadenza, in declino. Interessati a capire ed esprimere le esperienze individuali di malessere fisico e psicologico, erano attratti dal mistero della morte e vedevano nella bellezza una ragione di vita. Gli autori con le loro opere non si occupavano di problemi sociali né di quelli storici, in quanto la loro attenzione era tutta volta all’analisi soggettiva di ciò che essi stessi pensavano, sentivano o facevano. Reale precursore del DECADENTISMO in Francia fu il SIMBOLISMO, cioè la tendenza a rappresentare la natura e la vita nella letteratura e nell’arte in genere, non attraverso persone ed oggetti reali e concreti ma, appunto, attraverso simboli, significati nascosti; con questo processo l’artista non alterava la realtà, ma ne coglieva gli aspetti più profondi, misteriosi e sfuggenti. L’iniziatore ed il maestro del Simbolismo e punto di riferimento del Decadentismo fu il poeta francese Charles Baudelaire (1821-1867), autore della raccolta poetica “I FIORI DEL MALE”. Nelle poesie di questa raccolta egli esaltava e descriveva le sensazioni che la natura gli procurava (profumi, colori, suoni colti attraverso i sensi e non attraverso le facoltà razionali), in quanto suo intento era scoprire i misteri dell’universo, e non comporre poesie di contenuto educativo, morale o civile. Profondamente critico nei confronti della società borghese e industriale nella quale viveva, anch’egli vi contrappose uno stile di vita all’insegna della sregolatezza, e dell’abuso di alcool e droghe. CONTESTO STORICO Gli anni del Decadentismo, da un punto di vista storico, furono quelli dell’Imperialismo e della Seconda Rivoluzione Industriale. Con la fase imperialistica, molti paesi europei, quelli più ricchi ed industrializzati, come la Francia, l’Inghilterra, la Germania, furono spinti alla conquista coloniale di territori in Africa e in Asia, ricchi di materie prime e capaci di fornire mano d’opera a basso prezzo.Tale impulso degenerò nel Nazionalismo e nel MITO DELLA RAZZA (la convinzione cioè che certe razze fossero superiori ad altre).Da parte delle grandi potenze si giunse a teorizzare come legittimo e necessario il trionfo dei forti sui deboli, e apparentemente tutto questo era visto come una missione educatrice e civilizzatrice dei popoli barbari e primitivi. In realtà si ambiva a sfruttare i popoli colonizzati, deboli e indifesi. Con la Seconda Rivoluzione Industriale, le nuove scoperte scientifiche e tecnologiche, e i cambiamenti nell’organizzazione del lavoro industriale, trasformarono la società in modo radicale. Ad esempio il petrolio prese il posto del carbone, nelle case si diffuse l’illuminazione elettrica, si produssero le prime automobili, la scienza medica progredì notevolmente, le fabbriche crebbero a dismisura. La grande industria, aveva ora bisogno non solo di grandi capitali, ma di una massiccia richiesta di manodopera, a cui corrispose una pesante emigrazione esterna ed interna (interna, cioè dalle campagne alle città, esterna verso le Americhe). Pessime diventarono nei centri di attività industriali le condizioni abitative dei ceti operai, costretti a vivere in luoghi sovraffollati, degradati e malsani. I lavoratori, soprattutto anziani, donne e bambini, venivano sfruttati e non adeguatamente tutelati. Da tale critica situazione sociale e lavorativa del proletariato, nacquero le prime questioni sociali , i sindacati, (associazioni per proteggere i lavoratori), e le lotte operaie. Gli operai continuavano a essere alla completa mercè dei loro datori di lavoro(grande borghesia, capitalisti, proprietari delle grandi fabbriche), completamente dimenticati da leggi che definissero l’età minima per il lavoro in fabbrica, la lunghezza della giornata lavorativa, il diritto al riposo settimanale. Le grandi rivoluzioni operaie – socialiste e comuniste- ebbero impulso anche dal pensiero del filosofo Karl Marx (1818/1833), autore del “Materialismo storico”, che scrisse l’opera IL CAPITALE, nella quale il filosofo tedesco analizzò criticamente la società borghese e capitalista. La società risulta composta da due classi in conflitto perenne: la borghesia, la classe dominante, che ha prodotto una classe subalterna, il proletariato, che si trova al grado più basso della scala sociale. Marx affermava che la storia di ogni società era sempre stata caratterizzata dalla lotta di classe (vedi ad esempio i patrizi e i plebei nell’antica Roma), e profetizzava che lo scontro tra borghesia e proletariato avrebbe visto la sconfitta della borghesia e il trionfo della classe operaia la quale, una volta posta alla guida della società, avrebbe eliminato le differenze e le ingiustizie tra le classi per una società giusta e ugualitaria. LA REAZIONE AL POSITIVISMO E AL NATURALISMO Il Decadentismo nacque anche in opposizione al Positivismo e al Naturalismo. Questi riconoscevano nella ragione l’unico e infallibile strumento di conoscenza, esaltavano il progresso scientifico e tecnologico che garantivano la felicità dell’uomo, vedevano la società in continuo miglioramento. Contro tale visione ottimistica della vita, il Decadentismo affermava che l’uomo, lontano dall’essere composto solo dalla razionalità, era anche e soprattutto passione, istinto e irrazionalità. Mentre il Naturalismo si era proposto, inoltre, di analizzare la realtà e i fenomeni sociali in maniera esatta, rigorosamente scientifica, il Decadentismo affermava che la realtà era indeterminata, impossibile a descriversi in termini rigorosamente scientifici. Nacquero così nuove filosofie spiritualistiche e irrazionalistiche che screditarono il Positivismo e la scienza in generale e che favorirono la ricerca spirituale e interiore. In psichiatria ci fu la nascita della Psicoanalisi del medico austriaco Sigmund Freud (1856-1939), il quale studiava le malattie mentali come le nevrosi, da curare con le sedute psicoanalitiche attraverso le quali il paziente ripercorre i traumi del passato. La psiche umana è suddivisa in tre parti, una struttura più antica e primitiva, l’ES, che contiene le pulsioni e gli istinti, l’EGO, una struttura prevalentemente razionale e legata alle azioni volontarie, formatasi nelle esperienze della vita, il SUPER-IO, fonte dei principi, dei divieti e delle norme morali, degli insegnamenti che fin dall’infanzia ci vengono impartiti. L’ES è anche quella parte dell’io dove risiedono gli istinti, le pulsioni, le paure e i traumi che la coscienza non ha accettato e ha censurato, rimosso.Il SUPER-IO controlla la nostra coscienza e svolge il compito di funzione repressiva. Il mancato equilibrio tra es e super-io genera la nevrosi. Compito dell’analista è studiare l’inconscio per liberare l’uomo dalla nevrosi. Una via d’accesso all’inconscio sono per F. i tic, i lapsus e il sogno. In filosofia spiccava la teoria nietzschiana del superuomo. Nietzsche, filosofo tedesco (-184-1900), fu colui il quale meglio di chiunque altro seppe interpretare la crisi della fiducia assoluta nella ragione. Egli affermava che nell’uomo, originariamente, erano presenti due spiriti: una parte razionale, detta apollinea, e una parte più vera, autentica, legata alle passioni e ai sensi, detta dionisiaca. Con il procedere dei tempi e degli eventi storici e sociali, con il sorgere delle prime comunità, delle società, delle regole, delle norme morali e religiose, e delle leggi che regolano il vivere tra gli individui, la parte istintiva dell’uomo finì, a poco a poco, con l’essere schiacciata da esse. Nietzsche affermava che era necessario distruggere tutto ciò, considerato come un insieme di false credenze, delle quali si doveva svelarne le illusioni e le mistificazioni. Il filosofo vedeva nella società del suo tempo una oppressiva rete di convenzioni che limitavano la libertà individuale cui ribellarsi per far riemergere la parte dionisiaca. Egli auspicava l’arrivo di un nuovo mondo, una nuova era o aurora, non consistente in un mondo perfetto e ordinato, ma al contrario basato sul caos, sul disordine, sulla disgregazione e sulla morte, concepiti come eventi liberatori da tutto ciò che era oppressivo e repressivo. Per il filosofo, in questo percorso di liberazione, esisteva un solo essere, che, dotato di straordinaria volontà di potenza, avrebbe infranto vecchi codici e norme morali per creare una nuova umanità. IL DECADENTISMO IN ITALIA In Italia le radici del Decadentismo furono costituite dalla SCAPIGLIATURA, fenomeno culturale che si manifestò negli anni tra il 1860 e il 1890, in Lombardia e in Piemonte, e che riguardò la letteratura, la pittura e la musica. Il termine “scapigliato” era la traduzione della parola francese “bohème” (zingaro), e con il quale si indicava uno stile di vita anticonformista. Il principale centro di diffusione della Scapigliatura fu la città di Milano, dove confluirono letterati, musicisti, pittori, insofferenti e ribelli nei confronti delle convenzioni sociali, le norma borghesi e amanti della vita disordinata, dedita all’alcool e all’assenzio. Componevano opere macabre, con un gusto per l’orrido e il patologico, ma anche per il sogno, il surreale, il fantastico, concepiti come vie di fuga dal mondo reale. In Italia i rappresentanti più autorevoli del Decadentismo furono gli scrittori Italo Svevo e Luigi Pirandello per la prosa, i poeti Giovanni Pascoli e Gabriele D’Annunzio per la poesia. I CARATTERI FONDANTI DEL DECADENTISMO La tendenza decadente in tutta Europa si manifesta con i seguenti caratteri: -I decadenti non hanno fiducia nella ragione che giudicano uno strumento inadeguato per cogliere l’anima più profonda della realtà che deve essere percepita con l’istinto e l’intuizione -i decadenti si isolano dalla società, perché non si riconoscono nel mondo in cui vivono in contrapposizione al Positivismo, filosofia ottimistica che affermava la fiducia nel progresso scientifico, tecnologico e nella ragione come i soli in grado di garantire la felicità dell’uomo. - i decadenti sono dominati dall’ansia di evadere dalla realtà sognando mondi lontani come quello dell’infanzia - danno molta importanza importanza al sogno, al surreale e al fantastico. I d. sono attratti dagli aspetti irrazionali e oscuri della psiche, come l’istinto, l’inconscio, gli stati morbosi, le alterazioni della mente provocate dalle malattie, - per i decadenti l’arte e la poesia sono fini a se stessi (poesia pura). Nel naturalismo invece arte e letteratura erano strumenti di denuncia sociale - i d. rifiutano le norme morali e sociali - i d. sono individualisti, cioè volti ad esaltare il proprio io - i d. adottano un linguaggio nuovo, soprattutto nella poesia, ricorrendo a simboli, analogie, creando ritmi e versi musicali per riprodurre le varie sensazioni della realtà naturale, e tengono lontani i nessi logici. La tecnica espressiva è quella della poesia pura, non contaminata da intenti etici o politici ma celebrativa solo di se stessa. Il linguaggio poetico non è di ordine logico né descrittivo, ma allusivo, ricco di metafore, di analogie, di simboli, la parola si fa più preziosa, pura e astratta, talora oscura e comprensibile solo per il poeta che la usa, è una poesia dal forte andamento musicale. - per i d.l’artista è un veggente, capace di evocare sensazioni e realtà segrete e di rivelare l’assoluto dell’universo -per i d.l’artista è un esteta, e il culto dell’arte lo colloca al di là di ogni vincolo morale o sociale, in un’assoluta libertà spirituale e materiale -per i d. la bellezza è un valore importantissimo e assoluto-per i d. lo scrittore o il poeta non deve essere impegnato in battaglie politiche o sociali U.D. 2 GIOVANNI PASCOLI LA VITA Il poeta nacque a San Mauro di Romagna il 31 dicembre 1855. ben quarto di dieci fratelli, trascorse un’infanzia lieta e spensierata, ma era ancora fanciullo quando, nel 1867, il padre, amministratore di una tenuta dei principi di Torlonia, venne ucciso con una fucilata mentre tornava a casa da una fiera a Cesena con un calesse. Il papà fu trascinato, morto, a casa, da una cavalla storna. Quest’episodio fu l’inizio di un periodo di lutti familiari: in pochi anni morirono la madre e altri fratelli e sorelle. Il trauma accompagnò la sua vita e segnò per sempre il suo carattere e la sua personalità. La precoce esperienza di dolore e di morte influì sulla sua visione, sfiduciata e malinconica, della vita e del mondo. Egli compì i primi studi a Urbino e nel 1873 si iscrisse alla facoltà di lettere all’università di Bologna, dove ebbe come insegnante il grande poeta Giosuè Carducci. Nel 1876 fu costretto a lasciare gli studi dopo che morì suo fratello Giacomo, e così Giovanni rimase il capo della famiglia, ridotta a 5 persone. Miseria e angoscia furono le caratteristiche di questo periodo. Iniziò anche a essere ribelle e a partecipare a lotte e manifestazioni di matrice socialista. Nel 1879 fu arrestato per due mesi per aver partecipato a una manifestazione socialista. Uscito assolto, fu prima sul punto di uccidersi, ma poi abbandonò la politica per dedicarsi con ancor maggior impegno agli studi. Si laureò nel 1882, insegnò in diversi licei, a Matera e a Livorno, dove riuscì a ricostruire il “nido familiare” con le due sorelle Ida, poi convolata a nozze, e Maria (verso le sorelle dimostrò un attaccamento morboso). Nel 1905 successe al Carducci all’università di Bologna. In questa città visse fino alla morte, sopravvenuta nel 1912. Durante l’ultima fase della sua vita andò spesso a vivere in un luogo di campagna da lui amatissimo perché gli ricordava l’infanzia, Castelvecchio di Barga, insieme alla devota sorella Maria. LE RACCOLTE POETICHE MYRICAE(1891-1903), la quale ebbe diverse edizioni I CANTI DI CASTELVECCHIO, anch’essa con diverse edizioni(1903,1907,1912) PRIMI POEMETTI (1904) NUOVI POEMETTI (1909) OPERE IN PROSA MYRICAE Essa è una raccolta di brevi poesie, pubblicata in successive edizioni ed è suddivisa in 15 sezioni. La raccolta Myricae prende il titolo da una parola latina “myricae”, “tamerici”, esse sono piccole pianticelle, che crescono lungo le coste. Il termine myricae era stato usato in precedenza da un altro poeta, Virgilio, il quale era un poeta latino vissuto nel I sec. a.c. In una sua opera, Virgilio paragonava le sue poesie, piccole e umili, alle tamerici, piccole pianticelle. Il Pascoli utilizza lo stesso paragone, ma le poesie, nonostante siano semplici, di breve lunghezza come le esili pianticelle, hanno pur sempre un grandissimo valore. La tematica principale di tali componimenti poetici è il mondo della natura, fatta di semplici gesti quotidiani, come il lavoro dei campi, e ne vengono evidenziati i particolari, come i colori, i suoni, i profumi…Le belle immagini della natura, tuttavia, sono legate ricordi dolorosi del periodo dell’infanzia. La campagna, che rievoca dunque il periodo dell’infanzia, che suscita nostalgia e malinconia, rappresenta per il Pascoli il NIDO FAMILIARE, che non c’è più. La campagna rappresenta anche un luogo di protezione, dove ci si nasconde per sfuggire all’esistenza carica di dolori e ingiustizie. Nelle poesie della raccolta spesso vengono rievocate le persone morte, legate alla sua infanzia. Ad esempio, nel componimento X AGOSTO, egli ricorda il padre, ucciso da sconosciuti il 10 agosto 1867 nel giorno della festa di San Lorenzo, nel quale si verifica il fenomeno delle stelle cadenti. L’intento del Pascoli è quello di ricondurre la poesia a un bisogno esistenziale di memoria, in quanto la poesia è “far rivivere ciò che fu”. I defunti appaiono sfuggenti, avvolti nel mistero, sono soprattutto irraggiungibili. Rievoca i morti, ricrea legami con loro, infatti, in un tentativo disperato e ossessivo di farli quasi rivivere o farli ritornare in vita. Tutto questo non è possibile e non poterli riportare in vita lo fa sprofondare in un rimpianto e in una nostalgia ancora più forti. Ciò che un tempo era stato non sarà mai più. IL FANCIULLINO(1897) E’ uno scritto in prosa in 20 capitoli, apparso sulla rivista “Il Marzocco” per la prima volta nel 1897 e poi ripubblicato in maniera più ampia nel volume “I miei pensieri di varia umanità”. Nello scritto è esposta la poetica del poeta, il quale spiega il perché la sua poesia presti molta attenzione al mondo dell’infanzia. Egli afferma che all’interno di ogni uomo vive un “fanciullino”, capace di vedere “tutto con meraviglia, come per la prima volta, e lo fa con occhi puri e ingenui”. Il poeta è colui che sa dar voce a questo fanciullino, il quale, è anche e soprattutto un veggente, poiché conosce l’universo e la natura non in maniera superficiale ma profonda. Il poeta-fanciullino va al di là dell’apparenza delle cose e scopre i segreti e i misteri dell’universo. Secondo la poetica pascoliana del fanciullino, la natura è dunque carica di valori simbolici e di misteri che soltanto il poeta sa cogliere e decifrare. La poesia assume una funzione conoscitiva, di indagine del mondo. La poesia ispirata dal fanciullino, inoltre, ha una funzione morale e sociale, perché spinge gli uomini, di tutte le classi sociali, alla fratellanza, alla solidarietà. Questo è l’unico sistema, per gli uomini, di sfuggire o sopravvivere al male e alla sofferenza del mondo e dell’esistenza(socialismo umanitario). Il poeta-fanciullo del Pascoli si oppone all’aggressività del superuomo dannunziano. LA POETICA Pascoli ha una visione pessimistica e dolorosa della vita. Il mondo è per lui un mistero, colmo di lati oscuri, che neanche la scienza, con i suoi metodi, riesce a svelare. Solo la poesia è l’unico strumento in grado di conoscere a fondo il mondo, poiché scopre gli aspetti sconosciuti delle cose. Il poeta si fa “veggente”, va oltre le apparenze poichè è dotato di una vista più penetrante di quella degli altri uomini. Gli uomini sono esseri infelici, fragili, vittime di un destino ineluttabile, che è soprattutto quello della morte, unica certezza esistenziale. E’ soltanto con la fraternità universale, è soltanto eliminando gli egoismi, è soltanto amandosi reciprocamente, che gli uomini potranno meglio sopportare il dolore della loro condizione umana. Compito della poesia è quello di invitare gli uomini a tale comportamento di amore reciproco. I temi più importanti della poesia pascoliana sono: LA NATURA, I CARI MORTI, IL MONDO DELL’INFANZIA, IL NIDO FAMILIARE. Per quanto riguarda la natura, molteplici sono le descrizioni sui paesaggi, sia autunnali che primaverili, sia luminosi e ridenti, sia malinconici e tetri. Spesso singoli elementi, quali un fiore, oppure una casa, o una rondine, richiamano alla memoria ricordi o figure dei defunti. Ad esempio, nella poesia X AGOSTO, la rondine richiama la figura del padre.Sono strettamente legati tra di loro, in particolar modo, quello del “nido familiare” e dell’”infanzia”, entrambi ispirati dai traumatici avvenimenti di quando il poeta era bambino, come l’improvvisa perdita del padre. Il nido e l’infanzia rappresentano dei rifugi per sfuggire alle violenze che vi sono nel mondo. IL LNGUAGGIO. Pascoli utilizza una lingua semplice ma nello stesso tempo tecnicamente precisa, soprattutto per citare particolari tipologie di fiori o, attrezzi o uccelli, elementi legati al mondo campestre. Il poeta utilizza anche un linguaggio FONOSIMBOLICO O ONOMATOPEICO, in quanto molti gesti dei contadini, ad esempio, oppure rumori prodotti da animali, sono rappresentati con verbi, nomi, aggettivi che ne riproducono il suono con la loro pronuncia. Ad esempio, nella poesia LAVANDARE, il suono dello sbattere dei panni lavati nell’acqua, è riprodotto con la parola “sciabordare”.Il poeta utilizza anche LE SIMILITUDINI e LE ANALOGIE tra oggetti o animali e persone. Ad esempio, nella poesia X AGOSTO, la rondine che viene uccisa e che portava il cibo ai rondinini nel nido, è paragonata al papà ucciso mentre portava bambole ai suoi figli. U.D. 3 ITALO SVEVO LA VITA Ettore Schmitz, (così si chiamava realmente Italo Svevo), nacque a Trieste il 19 dicembre 1861 da famiglia ebrea, di origine tedesca da parte del padre Francesco Schmitz (il nonno si era infatti stabilito a Trieste come impiegato dello Stato austriaco) e italiana da parte della madre. Visse una serena infanzia borghese, nella famiglia agiata e numerosa, nutrendo un grande affetto per la madre. Il padre, che era impegnato in proficue attività commerciali, lo fece educare insieme ai fratelli, per fargli intraprendere la sua stessa carriera commerciale, in un collegio tedesco, a Segnitz, in Baviera, dove Ettore studiò soprattutto il tedesco e varie materie utili per l’attività commerciale. Lì compì le prime importanti letture, soprattutto di classici tedeschi, che fecero nascere il suo interesse per la letteratura. Tornato a Trieste, si iscrisse all’Istituto Superiore Commerciale Revolterra, e molto presto cominciò ad interessarsi di problemi culturali e letterari, partecipando alla vita intellettuale triestina e seguendo spettacoli teatrali. Tra le sue numerose letture, una posizione di primo piano occupavano i grandi narratori francesi dell’Ottocento, e fortissimo era il suo interesse per la filosofia di Schopenhauer. Dopo varie ricerche di impiego, era stato assunto, nel settembre del 1880, presso la filiale triestina della banca Union di Vienna, come corrispondente per il tedesco e per il francese. Si accostava intanto anche alla narrativa, scrivendo le prime novelle e il romanzo UNA VITA, iniziato nell’88 e apparso, sotto il nome di Italo Svevo, nel ‘92, l’anno della morte del padre. Agli anni intorno al ‘92 risale anche il rapporto con una bella ragazza di estrazione popolare, Giuseppina Zergol, di cui rimase una traccia nel personaggio di Angiolina nel successivo romanzo SENILITA’, pubblicato nel ‘98. Ettore Schmitz continuava intanto la sua vita di impiegato di banca. Nel dicembre 1895 si fidanzò con Livia Veneziani, figlia di un industriale cattolico, che dirigeva una fiorente fabbrica di vernici ed il matrimonio avvenne nel luglio del ‘96. nel 1899 lasciò la banca ed entrò direttamente nella ditta del suocero, impegnandovisi attivamente e sospendendo quasi totalmente la sua attività letteraria. Nella nuova veste di uomo d’affari, Italo Svevo compie lunghi viaggi e soggiorni in Francia e in Inghilterra, senza però rinunciare alle sue curiosità culturali, e sviluppando anzi interessi di tipo scientifico. Nel 1905 avviene l’incontro con James Joyce che gli da lezioni di inglese e tra il 1908 e il 1910 egli viene a conoscenza delle teorie di Freud e della Psicoanalisi, anche in seguito al fatto che il cognato Bruno Veneziani aveva sostenuto a Vienna una cura psicoanalitica con lo stesso Freud. Dopo un viaggio d’affari in Germania, nell’estate del 1914 lo scoppio della Prima Guerra Mondiale riduce l’attività della fabbrica di famiglia, requisita dalle autorità austriache. Dopo la forzata inattività di quegli anni, lo scrittore approfondisce lo studio della Psicoanalisi e riprende la sua attività letteraria e di industriale. A partire dal 1919 torna con grande impegno alla scrittura lavorando al nuovo romanzo LA COSCIENZA DI ZENO, pubblicato nel ‘23. Dopo il disinteresse iniziale manifestatosi in Italia per questo romanzo, fu l’amico Joyce ad aprire la strada a un riconoscimento del suo valore da parte dei vari critici francesi, mentre in Italia la sua grandezza veniva affermata dal giovane Eugenio Montale, con cui strinse una grande amicizia. La valutazione positiva del nuovo romanzo riaccendeva l’attenzione della critica anche nei confronti dei due precedenti. Numerosi furono ancora i suoi viaggi, non più legati soltanto agli affari ma alla letteratura e alla promozione della sua opera. Ormai in condizioni di salute malferma, ebbe un incidente d’auto, in seguito al quale morì il 13 settembre 1928. UNA VITA Iniziato nel 1888, il primo romanzo di Svevo, il cui titolo originario era UN INETTO, venne pubblicato nel 1892, a spese dell’autore. Al centro della narrazione in prima persona c’è un personaggio di intellettuale fallito, Alfonso Nitti, venuto dalla campagna nella città di Trieste. Egli vive presso una famiglia di affittacamere e lavora come corrispondente per la banca Maller: la situazione e il personaggio hanno numerosi precedenti nella narrativa ottocentesca e si appoggiano anche su motivi autobiografici. La rappresentazione tende a concentrarsi tutta sul punto di vista del personaggio protagonista, sulle sue ambizioni intellettuali, sul senso fortissimo che egli ha di se, del proprio valore, delle proprie possibilità, su astratti ideali di vita che si muovono nella sua mente: ma tutte le velleità del personaggio sono continuamente smentite e avvilite dalla realtà del mondo degli affari con cui egli è in contatto, dai meccanismi della vita di relazione, dalla concretezza dei rapporti di forza e dei condizionamenti sociali, dalla sua insuperabile inferiorità verso il mondo borghese in cui egli pretende di inserirsi e che vorrebbe far suo e dominare. Preso dai suoi vaghi sogni intellettuali, egli non riesce mai a impadronirsi delle circostanze, ma viene sempre trascinato in situazioni a cui non riesce a partecipare pienamente, nei confronti delle quali resta sempre estraneo o assente. Nella sua condizione di subalterno, date le sue qualità intellettuali, egli viene ammesso a frequentare la casa borghese del signor Maller, il direttore della banca, e si trova quasi senza rendersene conto, a possedere Annetta, la giovane figlia piena di vaghi desideri di fuga e di velleità intellettuali, che progetta di scrivere un romanzo a quattro mani insieme con lui. Ma quando sembra porsi il problema di superare gli ostacoli sociali che si opporrebbero a un matrimonio con Annetta, Alfonso si trova quasi insensibilmente a rinunciare a questa possibilità di scalata sociale: si mette alla ricerca delle proprie origini e ritorna al paese natale, dove assiste alla morte della madre, si ammala e finisce per vendere ogni bene familiare. Tornato a Trieste, riprende la vita di impiegato, più umiliato ed emarginato del solito. Dopo un dissidio col signor Maller, dà le dimissioni dalla banca e invia ad Annetta una lettera, che viene vista dalla sua famiglia come un tentativo di ricatto. Sfidato a duello dal fratello di Annetta, egli rinuncia definitivamente alla lotta suicidandosi: ma anche nel suo suicidio non c’è nulla di eroico, c’è solo la conferma della sua condizione di subalternità e di inferiorità rispetto alla logica che governa il mondo reale. Nella vicenda di Alfonso Nitti il confronto con il mondo borghese, con la sua solita concretezza, svuota di ogni valore il personaggio intellettuale. Alfonso non può rappresentare nessun modello assoluto, non può proclamare nessun valore ideale o alternativo. Un astratto senso di superiorità sugli altri lo porta talvolta a elaborare possibili modelli di vita, lo spinge addirittura a porsi come educatore, soprattutto nei confronti delle donne, ma i suoi obiettivi non vengono mai perseguiti fino in fondo: egli non riesce mai a partecipare interamente a quello che fa, si sottrae a ogni comunicazione reale con gli altri. Il naufragio di Alfonso porta con sé una implicita critica dei modelli decadenti, delle varie sopravvalutazioni della figura intellettuale che proliferano nella cultura del tardo Ottocento. Eroe senza qualità, il personaggio sveviano è lontano da ogni compiacimento estetico, è immerso in una realtà quotidiana senza valore e senza colore –non a caso il grigio è il colore dominante del romanzo-. La prosa rifugge da ogni preziosismo e da ogni ricerca linguistica, si adegua ai caratteri della grigia realtà che vuole rappresentare, fino ad apparire in alcuni momenti addirittura aspra e scorretta. SENILITA’ Il romanzo, che in un primo momento doveva intitolarsi IL CARNEVALE DI EMILIO, venne elaborato a partire dal 1892, e concluso dopo il matrimonio, nel 1897. Fu del tutto ignorato dalla critica e venne riscoperto solo dopo l’uscita della COSCIENZA DI ZENO. Anche qui la narrazione in terza persona si concentra tutta sulle vicende e sul punto di vista di un personaggio inetto, i cui atteggiamenti sono complicati da un senso precoce di senilità, da una distanza dalle cose che somiglia a quella di una vecchiaia sterile e inerte. Emilio Brentani, intellettuale fallito di 35 anni, che in passato ha pubblicato un romanzo senza successo e ora conduce una inerte vita di impiegato, di modeste condizioni economiche, vive un rapporto con l’esuberante e inafferrabile popolana Angiolina, ma in ogni suo gesto sembra mancare di energia vitale. Egli è tutto rivolto a costruire se stesso, i propri rapporti umani, la propria vita sentimentale con un distacco che lo separa dalle cose e dalle persone, con una sopravvalutazione dei propri propositi, che non gli permette nessuna vera conoscenza della realtà, ma lo chiude soltanto in una spirale di autoinganni, di immagini illusorie. La sua esistenza pare essere sempre in attesa di occasioni che non si realizzano, in continuo ritardo rispetto a un presente che gli sfugge, non sa vivere il presente, si sente continuamente minacciato dall’errore, teme di finire nel ridicolo. Quella di Emilio Brentani è la condizione più generale dell’uomo moderno, la sua è la figura dell’”inetto” per eccellenza. Questi caratteri del protagonista vivono entro un intreccio che lo lega ad altri tre personaggi, con i quali esso forma un quartetto perfetto, costruito secondo sottili raccordi e simmetrie. Da una parte c’è l’amico scultore Stefano Balli, personaggio generoso, sicuro e spregiudicato, che per Emilio rappresenta una figura paterna, dall’altra le due opposte figure femminili, destinate a non incontrarsi mai, della sorella Amalia e di Angiolina. Triste e grigia figura di ragazza condannata all’inerzia sentimentale e alla moralità casalinga, riservata e votata alla rinunzia, Amalia è sconvolta fino alla follia e alla morte da un impossibile e silenzioso amore per il Balli. Emilio sente un bisogno di proteggerla, che si rivela controproducente, mentre in realtà, tutto preso dalla sua passione per Angiolina, egli la trascura, provando nei suoi confronti minacciosi sensi di colpa. La bionda Angiolina, donna del popolo, rappresenta invece la vitalità più libera e aperta, la salute e l’energia fisica, il piacere di guardare e di essere guardata. La donna copre il rapporto con Emilio con una rete di finzioni, di inganni che egli si ostina a non vedere, diventando subalterno a lei e alla propria passione. La situazione giunge al suo punto estremo quando Emilio incontra per l’ultima volta Angiolina, quasi contemporaneamente alla morte della sorella Amalia. Poi, quando il dolore più lacerante si è allontanato, Angiolina sembra trasfigurarsi in una lontananza simbolica, immagine di una giovinezza vista da un vecchio. LA COSCIENZA DI ZENO Pochi mesi dopo la fine della guerra, intorno al febbraio 1919, Svevo cominciò a lavorare al nuovo romanzo LA COSCIENZA DI ZENO che terminò, tra varie interruzioni, prima della fine del 1922. Anche questo nuovo romanzo fu accolto all’inizio da una quasi totale indifferenza; fu essenziale l’intervento di Joyce, che invitò Svevo a inviarne una copia ad alcuni critici e scrittori, come Thomas S. Eliot, mentre in Italia la scoperta di Svevo si era svolta per la curiosità e l’intelligenza del giovane Eugenio Montale. Sulla spinta di un articolo montaliano, la conoscenza dell’autore si diffuse presso la più intelligente e moderna cultura italiana del tempo. LA COSCIENZA DI ZENO, a differenza dei due romanzi precedenti, si svolge in prima persona, esso non si presenta come narrazione di una vicenda particolare, ma come un’autobiografia in cui non si segue un disegno organico, ma si aprono squarci su diverse situazioni e occasioni della vita del protagonista. Si tratta di un personaggio, Zeno Cosini, un ricco triestino che, per liberarsi da una nevrosi che si manifesta nei rapporti con se stesso e con gli altri, e che si riconosce innanzitutto nell’impossibilità di liberarsi dal vizio del fumo e nel continuo fallimento dei propositi di fumare l’ultima sigaretta, si è sottopoto, ormai in età avanzata, a una cura psicoanalitica e ha ricevuto dal dottor S. l’incarico di ripercorrere per iscritto il proprio passato, in funzione della cura. Ma questa ricostruzione del passato si compie per salti, in maniera non organica, senza un punto di vista risolutivo che riesca a spiegarlo e a interpretarlo. Essa si interrompe a un certo punto, come interrotta risulta la cura psicoanalitica, per l’insofferenza del paziente nei confronti del medico e del suo metodo. Svevo finge che l’iniziativa di pubblicare il romanzo si debba allo stesso dottor S., che intende così vendicarsi del tiro giocatogli dal malato, il quale, grazie a un’interpretazione adeguata di quelle memorie, avrebbe potuto avvicinarsi alla guarigione. Il testo si compone di 8 capitoli di diversa misura. Due brevissimi all’inizio, una Prefazione, in cui il dottore presenta la sua decisione di pubblicare quelle memorie, un Preambolo, in cui Zeno ritorna al periodo della sua infanzia e afferma l’impossibilità di recuperarla. Seguono poi due capitoli: IL FUMO, dedicato agli infiniti artifici e sotterfugi che il personaggio mette in atto per evitare di abbandonare le sigarette ecc,e LA MORTE DI MIO PADRE, che risale indietro alla sua giovinezza, alla difficoltà dei rapporti col padre e a un gesto di questi, in punto di morte, che viene visto come una punizione nei suoi confronti. Vengono poi capitoli molto ampi e significativi, che sono LA STORIA DEL MIO MATRIMONIO, incentrato sulle vicende che hanno portato Zeno a frequentare la famiglia Malfenti e le 4 sorelle Ada, Augusta, Alberta, Anna. Egli nutre amore per la bellissima Ada, dalla quale dirotta verso la più scialba di tutte Augusta, la meno affascinante. LA MOGLIE E L’AMANTE, è l’altro capitolo, in cui Zeno, marito felice, ripercorre le tappe del rapporto clandestino, segreto e tortuoso, che lo lega a Carla, una giovane donna di origine popolare, che aspira a divenire cantante. E’ questo un rapporto che egli vive con senso di colpa e nel continuo desiderio di troncarlo. STORIA DI UN’ASSOCIAZIONE COMMERCIALE, segue le difficoltà di Zeno nel mondo degli affari, e illumina il complicato rapporto che egli intrattiene con il marito di Ada, Guido Speier, la cui abilità e la cui apparente fortuna è come ribaltata da un fallimento che lo porta al suicidio. Più breve è l’ultimo capitolo, PSICO-ANALISI, in cui si abbandona la narrazione del passato –che riguardava grosso modo il mondo triestino degli anni novanta del secolo XIX-, dando spazio a una forma di scrittura diaristica, con tre brani datati tra il maggio 1915 e il marzo 1916. Qui il protagonista annuncia la sua decisione di abbandonare la cura, svolge varie critiche alla Psicoanalisi, parla della sua improvvisa scoperta della realtà della guerra, sostiene di essere guarito dalla malattia grazie a una serie di successi commerciali, ottenuti proprio per effetto della situazione bellica. Con questo diario finalmente il romanzo si conclude. IL PERSONAGGIO DI ZENO, L’IO, LA NEVROSI E LA PSICOANALISI LA COSCIENZA DI ZENO è il primo romanzo psicoanalitico della letteratura italiana. Esso e’ il resoconto di un viaggio nell’oscurità della psiche, nella quale si riflettono le zone d’ombra della società borghese dei primi del Novecento. Le sue ipocrisie, i suoi conformismi, l’inettitudine ad aderire alla vita, l’amore extraconiugale come evasione e trasgressione, il confine incerto tra solitudine e malattia divengono i temi centrali su cui si interroga Zeno Cosini. Tutto il discorso del protagonista si sviluppa in un’oscillazione continua tra malattia e salute, tra narrazione e riflessione, tra coscienza e inganno, tra bisogno degli altri e difficoltà di instaurare con loro un rapporto. Egli è alla ricerca di un equilibrio che gli sfugge continuamente e che egli stesso sa di non poter conquistare. E’ trascinato da una forza che lo costringe a compiere tortuosi percorsi, giungendo così al matrimonio con Augusta dopo aver cercato di conquistare Ada e Alberta; ha bisogno della moglie per amare l’amante e dell’amante per amare la moglie ecc…Eternamente irrisoluto, ha bisogno, per ogni azione e per ogni decisione, di riferimenti e di stimoli esterni, e in ciò somiglia ai due protagonisti dei due precedenti romanzi, da cui però lo allontana un distacco umoristico da se stesso e dalle proprie vicende, dallo stesso mondo che gli sta attorno. La sua è una psiche e una psicologia quanto mai varia, eterogenea, confusa e frantumata. Zeno ne segue tutte le pieghe, con una volontà di scavarla fino in fondo, ma nello stesso tempo è impegnato a sfuggirvi. Egli è del tutto immerso in un mondo borghese, con i suoi rituali, i suoi valori apparenti e formali, ma in quel mondo egli si sente a disagio, in uno stato di perpetua inferiorità. Nell’ottica di Zeno, i valori su cui si regge la vita borghese non sono altro che inganni e schemi che danno una vernice di rispettabilità e un’apparenza di equilibrio alle pulsioni e ai desideri più vari, allo squilibrio che è al fondo stesso dell’esistere dell’uomo, alla sua incorreggibile animalità. A ogni passo egli scopre l’imprevedibilità della vita, la sfasatura tra i programmi, l’idea che ciascuno ha di sé, e ciò che effettivamente accade (la vita non è né brutta né bella, ma è originale!). Tutto il vivere si risolve in un’enorme costruzione priva di scopo, in qualche cosa di bizzarro e strano, che fa concludere che forse l’uomo vi è stato messo dentro per errore e che non vi appartiene. Ma, a differenza di Alfonso Nitti e di Emilio Brentani, Zeno non è uno sconfitto, egli sa di non poter essere un personaggio serio, perché inciampa sulle cose e sulle persone come un personaggio comico, come un cown, uno Charlot, che rasenta quasi la caricatura, si abbandona all’imprevedibile. Conserva un impassibile sorriso perfino nella sofferenza e nelle situazioni più drammatiche, ma curiosamente cade sempre in piedi e le sue difficoltà si trasformano in successi, come i successi commerciali che gli toccano in coincidenza con i tragici eventi della guerra. Questa sua fragilità comica è vincente ed affascina; Zeno si afferma proprio mostrando i suoi limiti. Il protagonista rappresenta anche il malato moderno. La Psicoanalisi si rivela strumento essenziale per la costruzione di questo personaggio malato, per la rivelazione di questo squilibrio che costituisce l’io, l’irregolarità dei comportamenti sotto un’apparente normalità. Le memorie di Zeno vengono presentate come frutto di una cura psicoanalitica interrotta e divulgate da un medico. La presenza di Freud si sente particolarmente nella rappresentazione dei sogni del protagonista, nella sua abitudine ai motti di spirito, nel suo continuo incorrere in lapsus ed equivoci. Nei termini della Psicoanalisi, è la nevrosi la malattia che domina il mondo di Zeno, la sua è la condizione nevrotica dell’uomo contemporaneo. Nel suo sottrarsi alla cura, e nella critica ironica e sarcastica della psicoanalisi che egli compie nell’ultimo capitolo del romanzo, egli indica che la psicoanalisi vale per lui soprattutto come modo di conoscenza di se e del proprio passato, ma dalla malattia non si può giungere a una guarigione definitiva. Esistono solo equilibri provvisori, che nascono dalla coscienza dell’inevitabilità della malattia. IL MONOLOGO INTERIORE E IL FLUSSO DI COSCIENZA La malattia diventa insomma strumento fondamentale di conoscenza, e in questo essa si intreccia, fino a identificarvisi, con la scrittura. La narrazione di frammenti della propria esistenza, lo scavo del proprio io imposto dall’analista, si confrontano necessariamente con il tempo. LA COSCIENZA DI ZENO è anche un’opera sul tempo, una sottile indagine sul rapporto tra tempo della scrittura e della cura e tempo della vita, tra il flusso del presente e il flusso dell’esistenza trascorsa e perduta. È la stessa cura psicoanalitica a imporre un recupero del tempo, un ritorno all’infanzia, a situazioni e traumi originari, con una continua attenzione ai ricordi e ai sogni. La scrittura di Svevo non ha bisogno di una particolare cura stilistica, il suo italiano appare scorretto, lontano da ogni equilibrio formale, spesso va incontro a ripetizioni di parole e di frasi. Elementi caratteristi della sua prosa sono “il flusso di coscienza” e “il monologo interiore”, tecniche narrative in stretta relazione con il pensiero psicoanalitico e diffuse ampiamente nella narrativa del secondo ottocento. Con il monologo interiore nel testo narrativo viene riprodotto direttamente il flusso dei pensieri che si svolgono nella mente di un personaggio, che si abbandona al diretto movimento dei suoi pensieri. Meno comunicativo e più disgregato è il flusso di coscienza, che riproduce il carattere contraddittorio, variabile, tumultuoso, incontrollabile, fatto di infiniti residui e particolari marginali, non sempre organizzato, dei pensieri molteplici che passano nella mente umana.