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IL DONO DEI NORMANNI
Nel rispondere all’invito dell’Amministrazione Comunale abbiamo inteso, con il nostro contributo arricchire
e articolare un quadro storico sicuramente noto a tutti, soffermandoci in modo significativo su alcuni degli
interrogativi che hanno guidato il nostro lavoro:
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Quale era la lingua parlata dai Normanni?
Come è cambiata la lingua italiana in seguito alla dominazione normanna?
Quali testimonianze del loro passaggio oggi ancora rimangono nella nostra lingua nazionale e nel
nostro dialetto?
Esistono ancora nella nostra città discendenti dei normanni?
Le risposte che abbiamo trovato non sono certamente esaustive, ma siamo sicuri che possano diventare la
base di partenza per ulteriori approfondimenti.
COME PARLAVANO I NORMANNI?
la parola “Normanni” si riferisce ad un insieme di popolazioni provenienti dalla Scandinavia e dallo
Jutland che, a partire dall’VIII secolo, si diffusero per tutta l’Europa, raggiungendo i confini più lontani
del mondo fino ad allora conosciuto: dall’Islanda alle coste dell’Inghilterra, dal capo Nord al Mar
Bianco.
Le loro scorrerie nell’Europa occidentale si protrassero per tutto il IX secolo.
Un gruppo di questi Vichinghi risalì con imbarcazioni leggere (senza ponte né remi) la foce della
Senna, fermandosi nel X secolo nel territorio carolingio. Dal re di Francia Carlo il Semplice, il
normanno Rollone ottenne un ducato del cuore della Neustria che dal suo popolo prese il nome di
Normandia.
Da questo momento, fondendosi con la popolazione locale, i normanni diventarono francesi nei pensieri,
nel linguaggio,nei costumi, nei sistemi giuridico sociali: abbandonarono l’idolatria per convertirsi al
cristianesimo fondando abbazie e diventando gradualmente difensori della fede, ma soprattutto
abbandonarono la loro lingua, il norreno (usata dagli antichi abitanti della Scandinavia nell’era vichinga,
la lingua delle grandi saghe nordiche per intenderci) per adottare una lingua d’oil della Francia
settentrionale.
Ancora oggi la lingua normanna è una delle più importanti parlate della lingua d’oil, una lingua
romanza-galloromanza nata e sviluppatasi nel centro-nord della Francia, mentre al sud si parlava la
lingua d’oc: chi di noi non ricorda il ciclo arturiano e la Chanson de Roland?
Fu dopo l’insediamento in Normandia che essi, nell’XI secolo, partirono alla conquista dell’ Inghilterra e
nell’Italia meridionale. Sarebbe interessante ricostruire le varie fasi che portarono i Normanni a
costruire uno stato unitario nell’Italia del sud a partire dalla conquista di Aversa, concessa dal re di
Napoli a Rainulfo Drengot nel 1028 e primo stabile possedimento dei Normanni, fino alla fondazione
della Contea di Puglia con gli Altavilla e del regno di Sicilia nel 1130, ma questo ci porterebbe molto
lontano. Quello che è davvero interessante dire qui è che ciò che contraddistingueva i Normanni tanto
nell’Italia del sud quanto in Inghilterra era la lingua parlata, ossia il francese nella specie della lingua
d’oil. La lingua d’oil era la lingua ufficiale delle corti normanne e anche da noi si diffusero la chanson de
Roland e leggende di re Artù e dei cavalieri della tavola rotonda: come lo sappiamo? Ad esempio dal
fatto che la cattedrale di Brindisi , voluta dal Guiscardo, sull’originale pavimento a mosaico oggi andato
distrutto rappresentava alcuni episodi della chanson e che elementi del ciclo arturiano sono ancora
presenti sul pavimento a mosaico della cattedrale di Otranto. Dalla consultazione delle fonti e dei
documenti non emerge con chiarezza se anche nell’Italia del sud, come accadde in Inghilterra, i
normanni abbiano tentato di imporre la loro lingua, ma è molto probabile che, almeno inizialmente,
abbiano fatto senza successo questo tentativo : fu la loro lingua però che cominciò a subire mutamenti e
deformazioni attraverso l’acquisizione di vocaboli e strutture provenienti dai dialetti locali.
Per procedere nel discorso è opportuno a questo punto introdurre alcuni concetti mutuati dalla
linguistica: il concetto di sostrato e superstrato. In linguistica un superstrato ( o soprastrato) è la
controparte di un substrato ( o sostrato). Nella formazione di un superstrato abbiamo due fasi: se una
lingua tenta di imporsi su un’altra in un primo momento le due lingue coesistono, successivamente la
lingua più recente scompare, ma lascia la sua impronta sulla lingua indigena. Questo è quello che è
successo con la lingua dei Normanni .
QUALE ERA LA SITUAZIONE LINGUISTICA DI SOSTRATO ALL’ARRIVO DEI NORMANNI?
Molto più difficile è rispondere a questa seconda domanda.
Pensiamo che il riferimento alla situazione attuale sia un importante punto di partenza per ricostruire eventi
linguistici appartenenti al passato.
Oggi i dialetti della Puglia[1], intesi come dialetti storicamente parlati nell'attuale regione amministrativa,
non formano una compagine omogenea. Infatti possiamo distinguere il gruppo dei dialetti altomeridionali, il gruppo di transizione apulo-salentino e il gruppo dei dialetti meridionali estremi
Il dialetto salentino Appartiene, assieme al dialetto calabrese ed alla lingua siciliana, al gruppo meridionale
estremo è parlato nel Salento, ed in particolare nell'intera provincia di Lecce, nella provincia di Brindisi e
nella parte orientale della provincia di Taranto.
il Salentino si divide in tre zone linguistiche principali:
Dove è parlato il dialetto salentino
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il salentino settentrionale, parlato nella maggior parte della provincia di Brindisi (Brindisi, San Vito dei
Normanni, Mesagne, Oria, Latiano, Erchie, Torre Santa Susanna...) e nella parte salentina della provincia
di Taranto (Grottaglie, Pulsano, San Giorgio Ionico, Maruggio,Lizzano, Manduria, Sava, Avetrana...);
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il salentino centrale, parlato in gran parte della provincia di Lecce e nella parte meridionale della
provincia di Brindisi;
il salentino meridionale, diffuso dalla linea Gallipoli-Maglie-Otranto fino al capo di Santa Maria di
Leuca. A questo sistema appartiene anche il dialetto gallipolino.
Il dialetto salentino si presenta carico di influenze riconducibili alle dominazioni e ai popoli stabilitisi in
questi territori che si sono susseguite nei secoli: romani, longobardi, arabi, albanesi e slavi . In particolare
numerosi sono i prestiti dalle altre lingue romanze (spagnolo e francese), mentre importante è l'influsso
esercitato dai dialetti ellenofoni che dall’antichità a tutto il Medioevo furono altrettanto diffusi nella regione.
Tali parlate diedero vita per secoli ad una sorta di area bilingue, di cui oggi abbiamo ancora testimonianza
nell'area della Grecìa salentina. Per quanto riguarda il dialetto salentino si può dire che, se dal punto di vista
storico notiamo il susseguirsi di diverse dominazioni, da quello linguistico si evidenzia la permanenza di
forme antiche derivate, per i motivi che vedremo, principalmente dalla lingua greca.
Uno dei dibattiti più vivaci della prima metà del Novecento ha infatti riguardato la persistenza dei caratteri
della grecità nei dialetti del Salento, che, come quelli della Calabria meridionale e della provincia di
Messina, mostrano un fondo lessicale e tratti sintattici di chiara ascendenza ellenica.
Secondo Rohlfs, la grecità antica, profondamente radicata, non sarebbe mai scomparsa del tutto, nemmeno
durante i secoli della dominazione romana, e avrebbe poi costituito un fertile terreno per il greco-bizantino di
epoca medievale.
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Una prima fase di ellenizzazione si ebbe a partire dal X secolo. Stabilitisi in Puglia Dauni, Peuceti,
Japigi, Salentini e Messapi, seguirono percorsi di sviluppo culturale e politico indipendenti. A partire
dalla colonizzazione spartana dei territori tarantini cominciò a delinearsi un asse politico derivante dalle
mire espansionistiche di Taranto. Infatti, in seguito agli insuccessi militari contro i Messapi e gli Japigi
(stanziati rispettivamente nei pressi di Brindisi e Lecce), Taranto inglobò i territori della Daunia e della
terra di Bari; invece, i popoli salentini rimanenti si coalizzarono con Atene in funzione antitarantina.
Oltre ai rapporti politici si instaurò una rete commerciale all’interno della coalizione ateniese, che portò
innovazioni tecnologiche e influenze linguistiche. Testimonianze del contatto con i popoli ellenici sono
tracce presenti negli elementi lessicali e nel modo di concepire locuzioni e immagini. Tra quelli di tipo
morfologico vi è l’uso dell’infinito dopo il verbo “potere” e quello di due congiunzioni separate quando
la lingua italiana non ne ha una adeguata ( per esempio: “no vvogghiu cu llu senti”). Sempre di
derivazione greca è l’inesistenza del tempo futuro e l’impiego dell’imperfetto indicativo al posto del
condizionale( “vuleva=vorrei”). Per quanto riguarda gli aggettivi, “meglio” e “peggio” hanno sostituito
“migliore” e “peggiore”. Dopo i rapporti tra la lingua greca e quella locale, il verbo “volere” ha assunto
anche il significato di “amare”. Nel III secolo a.C. i Romani attuarono una rapida conquista dei territori
pugliesi che culminò nel 268-267 a.C. con la presa di Taranto. In questo periodo il popolo fu
romanizzato, tuttavia i Messapi attuarono diversi tentativi di rivolta sino al 90 a.C., quando venne
deposto l’ultimo re ribelle. Per questa ragione si creò una contrapposizione tra i dialetti romanzi Dauni e
quelli del Salento. Questa differenziazione linguistica fu causata dall’esclusione del Salento dal processo
evolutivo della lingua. Circa un secolo dopo nel territorio pugliese si formano anche comunità ebraiche a
causa della distruzione del tempio di Gerusalemme, che influenzarono svariati aspetti linguistici. La
prima testimonianza scritta del dialetto salentino che ci è pervenuta è costituita da 154 glosse in caratteri
ebraici. I termini utilizzati nelle glosse sono in bilico tra il latino e il volgare, con molti grecismi.
Una seconda fase di ellenizzazione si ebbe tra il IX e l’XI secolo
Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente il Salento fu teatro dell’avvicendarsi di svariati popoli, tra
cui Bizantini, Goti, Turchi e Longobardi. Essi si contesero la regione sino alla definitiva conquista normanna
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avvenuta nel 1071. Importantissimo fu l’influsso dei bizantini, già presenti sul territorio a partire dal VI sec.
d.C. in seguito alla vittoria di Giustiniano sugli ostrogoti.
Nel VII sec. i longobardi, già padroni dell’Italia centro-settentrionale, conquistarono anche buona parte di
quella meridionale (Puglia, Campania, Calabria del nord), sottraendola ai bizantini. Nella Puglia meridionale,
nella zona corrispondente all’attuale Salento, le minoranze Longobarde erano divise dai Bizantini dal
discusso confine detto “limitone dei greci”.
I Bizantini favorirono l'immigrazione dei Greci, in particolare nel sud del Salento, per ripopolare una zona
considerata strategica. Le tracce di quell'antica migrazione sopravvivono tutt'oggi nell'isola linguistica
della Grecìa salentina, dove si parla una lingua direttamente imparentata al greco. I territori salentini posti a
nord del Limitone confluirono invece nella Langobardia Minor. I Longobardi non furono però in grado di
fronteggiare gli attacchi e le devastazioni dei saraceni, ma solo alla fine del IX sec. Bisanzio poté inviare un
grosso esercito con cui riconquistare molte posizioni arabe e longobarde.
Tra il IX e l’XI secolo il Salento fu una vera regione greca nei costumi nella cultura e nella lingua, e
naturalmente anche nel diritto e nell'economia. Secondo alcuni storici, in questa fase potrebbe essere
cominciata una nuova grecizzazione di queste aree, che poi sarà costante nel Medioevo .
Quando i Normanni giunsero nelle nostre terre, l’Italia meridionale era un’area politicamente molto instabile
contrassegnata da continui conflitti tra longobardi e bizantini, da rivalità interne tra i ducati longobardi e
dalla minaccia costante dei musulmani che effettuavano numerose incursioni in questi territori partendo dalla
Sicilia che avevano conquistato . I popoli sottoposti al dominio normanno parlavano diverse lingue locali e i
nuovi conquistatori si resero conto che dovevano sostituire a queste lingue locali un’unica lingua, quella
normanna. Se i normanni tentarono inizialmente di imporre la loro lingua, si scontrarono però con le
resistenze delle popolazioni del sud: per questi popoli salvaguardare la propria lingua significava mantenere
la propria identità. Se, in seguito all’alleanza con la Chiesa, ne assecondarono l'opera di latinizzazione volta a
sottrarre all'ortodossia bizantina le diocesi greche dell'Italia meridionale, quest'operazione fu condotta con
prudenza, evitando di esasperare i rapporti con le popolazioni di tradizione greca. I normanni compresero
infatti che era più giusto e conveniente privilegiare gli interessi “nazionali” della nazione assoggettata
piuttosto che gli interessi “nazionali” della nazione da cui provenivano. Fu piuttosto, come dicevamo prima,
la loro lingua a cambiare. Il loro passaggio non fu però senza significato. Infatti, nel superstrato della lingua
italiana è possibile ritrovare numerose parole normanne così come le ritroviamo, ancora più numerose, nel
nostro dialetto.
PARLIAMO “NORMANNO”?
Con il termine gallicismo si intende una parola francese entrata abitualmente nel vocabolario della lingua
italiana. La parola può essere rimasta nella sua forma originaria e rappresentare così un prestito linguistico,
oppure può essersi piegata alle regole della lingua ricevente, diventando un calco linguistico. Fanno parte di
questi termini sia i cosiddetti oitanismi o francesismi, dall’antica lingua francese d’oil, sia i provenzalismi,
dalla lingua d’oc.
La nostra lingua ha accolto un patrimonio vastissimo di questi vocaboli, che abbiamo analizzato con cura,
circoscrivendo la nostra ricerca al periodo medievale.
Ci siamo subito accorti che il popolo normanno con le sue dominazioni nell’Italia meridionale ha lasciato
numerose tracce nel superstrato della lingua italiana. Questi francesismi che sono stati importati nel nostro
idioma, fanno riferimento a particolari campi semantici, quali le istituzioni feudali, la vita cavalleresca, le
armi e la guerra, i cavalli e le vesti e, di conseguenza, sono poco usati nella vita reale. Vediamone qualcuno:
ISTITUZIONI
FEUDALI
Vassallo (vassal)
VITA
ARMI E GUERRA
CAVALLERESCA
Giostra (jouste)
Guerra (guerre)
Scudiero (escuyer) Brando (bran)
Cavaliere
Freccia (flesche)
(chevalier)
CAVALLI
Corsiere (coursier)
Cavallo (cheval)
VESTI
Drappo (DRAP)
Le testimonianze più interessanti, però, le abbiamo riscontrate nel nostro dialetto, il quale ha subito
anch’esso l’influsso della conquista normanna. Come mai la maggior parte dei termini normanni riguarda il
nostro dialetto?
Ovviamente i motivi sono storico-geografici: il dialetto è usato in un’area più circoscritta rispetto alla lingua
ed è espressione dell’anima di un popolo, con tutte le sue vicissitudini in termini storici e politici. Con il
susseguirsi delle occupazioni, gli usi e i costumi del nostro territorio cambiarono, così come anche la lingua
del popolo, il dialetto, che ha assimilato dai Normanni un vasto quantitativo di vocaboli, conservandoli fino
ai nostri giorni
DIALETTO SANVITESE
acciu (sedano)
‘cattà (comprare)
truppicà(inciampare)
seggia (sedia)
armadiu (armadio)
‘puggià (appoggiare)
muntuvari (nominare)
atru (altro)
vuccieri (macellaio)
buatta (barattolo di latta)
‘saggià (assaggiare)
magazzinu (magazzino)
mustazzi(baffi)
cauzetti (calze)
raggia (rabbia)
racina (uva)
NORMANNO
ache (o dal latino accium)
Acater
Triper
Siege
Armoire
Appuyer
mentevoir
autre
bouchier
boite
essayer
magasin
moustache
chausettes
rage
raisin
E’ molto interessante considerare anche che, secondo le fonti, i conquistatori portarono con sé e ospitarono
nelle loro corti trovatori, poeti e giullari della tradizione provenzale. Il nostro dialetto quindi, oltre che la
lingua italiana, ha subito questa ulteriore influenza, di più evidente impatto in seguito alla successiva
dominazione di Federico II.
Di seguito riportiamo alcuni esempi:
ITALIANO
Maniera
Cambiare
Malvagio
DIALETTO
manera
Cancià
Malvaggiu
PROVENZALE
Maneira
Cambiar, camjar
Malvais
Questo è l’aspetto che vogliamo mettere in particolare risalto: per quanto le dominazioni straniere possano
essere state devastanti e distruttive per il sud Italia e la nostra regione in particolare, hanno rappresentato
un’occasione unica di scambio tra culture che, sebbene molto diverse, in qualche modo hanno contribuito
alla formazione della lingua italiana, del nostro dialetto, delle tradizioni della nostra città, di tutto ciò che
caratterizza oggi la nostra identità.
COGNOMI NORMANNI NELLA NOSTRA CITTA’
Tipico della civiltà etrusca e romana era il sistema dei tria nomina. Ogni nome era caratterizzato cioè da un
praenomen (l’odierno nome proprio), un nomen ( che indicava la gens) e un cognomen ( che indicava il
nucleo famigliare). In seguito al crollo dell’Impero Romano d’Occidente e alle invasioni barbariche si
afferma il sistema uninominale, ma ben presto, per distinguere abitanti di uno stesso territorio che finivano
col portare lo stesso nome, fu necessario ritornare all’uso del cognome. L’uso dei cognomi si afferma subito
dopo il Concilio di Trento(1545) per registrare i battesimi e istituire, quindi, un’anagrafe.
L’etimologia dei cognomi è legata alle caratteristiche fisiche dei capostipiti, all’attività da essi svolta o al
loro luogo di provenienza. Dal preziosissimo lavoro di L. Sylos , Normanni di Puglia, emerge che oggi molti
nostri concittadini hanno cognomi di origine normanna.
Riportiamo i seguenti esempi:
Altavilla: da Hauteville, piccolo centro della bassa Normandia possedimento di questa famiglia;
Conte: dal francesismo “comte”, che si è trasformato nel moderno Conte;
Parisi: da Paris, toponimo della città di Parigi, che si diffonde in Sicilia e in Puglia all’arrivo dei Normanni;
Ruggiero: di origine normanna si diffonde in seguito all’arrivo in Italia di Ruggiero d’Altavilla
Russo: gli studiosi avanzano due ipotesi: che il cognome sia di origine latina e faccia riferimento al colore
dei capelli o della carnagione del capostipite, oppure che sia di origine normanna e si sia diffuso dopo il
trasferimento della famiglia nelle nostre terre.
Abbiamo brevemente voluto dimostrare che l’idioma che noi utilizziamo tutt’oggi, costituisce una parte
fondamentale delle nostre radici, della storia del nostro territorio ed è stato stimolante e anche intrigante
riscoprirle e capire, dal punto di vista linguistico, cosa hanno lasciato i conquistatori normanni al nostro
paese, che oggi riporta il loro nome accanto a quello del nostro Santo Protettore. Come si può ben vedere, lo
scontro fra due realtà davvero diverse quali il popolo normanno e quello del nostro meridione ha prodotto un
rilevante arricchimento culturale e linguistico per entrambe le parti.
Classe V B
Liceo Scientifico Leo di san Vito dei Normanni
Bibliografia:
V. von Falkenhausen: La dominazione bizantina nell’Italia meridionale dal IX all’XI sec., trad. italiana di F.
Di Clemente e L Fesola, ed. Dedalo, Bari 1978
Ribezzo Francesco: “Lecce, Brindisi, Otranto nel ciclo creativo dell’epopea normanna e nella Chanson de
Roland”, books .google
G. Roholfs:Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti
V. Sivo: Lingua e cultura nella Puglia normanna, Atti del Convegno “Bitonto e la Puglia tra tardo-antico e
regno normanno”, books.google.
L. Sylos: Normanni di Puglia,emeroteca.provincia.brindisi