I PROFILI SUCCESSORI DEL CONTRATTO PRELIMINARE 1

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I PROFILI SUCCESSORI DEL CONTRATTO PRELIMINARE 1
CAPITOLO X
I PROFILI SUCCESSORI
DEL CONTRATTO PRELIMINARE
di Paolo Tesauro Olivieri
SOMMARIO: 1. Premessa di metodo. − 2. Le fattispecie inter vivos che realizzano un
fenomeno successorio. − 2.1. La cessione del contratto preliminare. − 2.2. Il preliminare di vendita di cosa altrui: l’ipotesi dei c.d. “preliminari a catena di vendita”. − 2.3. Il contratto preliminare e l’azione surrogatoria. − 3. Le fattispecie
che realizzano la successione mortis causa. − 3.1. Il legato di posizione contrattuale e il legato di contratto preliminare. − 3.2. Esecuzione del preliminare in
forma specifica e accettazione beneficiata dell’eredità. − 3.3. Il preliminare di
vendita con riserva di usufrutto: il caso della morte del promittente alienante
prima della stipula del contratto definitivo. − 3.4. Il contratto preliminare di
vendita di quota ereditaria da parte di uno dei coeredi. Efficacia paralizzante e
prevalente dell’art. 732 c.c. sull’azione di cui all’art. 2932 c.c. − 3.5. L’electio amici testamentaria e la trasmissione testamentaria della facultas amicum eligendi. −
4. La trasmissibilità del patto di prelazione quale figura affine.
1. Premessa di metodo.
Il discorso che qui si apre mira a ricostruire dal punto di vista ermeneutico diverse fattispecie che sempre più insistentemente vengono connesse al discusso fenomeno della circolazione del
contratto preliminare. Circolazione che, senz’altro, deve intendersi limitata all’ambito soggettivo dello strumento negoziale qui
indagato e sulla quale dottrina e giurisprudenza si interrogano
da anni.
Ad oggi, la prassi affaristica, particolarmente frequente negli
studi notarili, impone la considerazione di una notevolissima
varietà di interessi sottesi alla determinazione negoziale degli operatori e, per suo tramite, l’affermazione di un’elasticità erme-
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neutica che consenta di superare determinati preconcetti formalistici e anacronistiche categorizzazioni.
Oggetto principale della nostra analisi saranno, quindi, gli
aspetti successori che possono interessare il negozio stesso, i quali, adoperando un certo pragmatismo concettuale, possono dirsi
espressivi delle dinamiche circolatorie intese in senso generale.
Non c’è dubbio, infatti, che la successione propriamente detta
sia tradizionalmente ancorata a fenomeni traslativi aventi luogo
in occasione della dipartita di un certo soggetto e che determinano il trasferimento dei rapporti facenti capo a quest’ultimo
nella titolarità dei suoi eredi o, eventualmente, dei suoi successori a titolo particolare (TRABUCCHI — TORRENTE E SCHLESINGER),
ma tuttavia, non si può non cogliere che il medesimo risultato
può realizzarsi anche in virtù della volontà del contraente che
non sia volta a produrre effetti successivamente alla sua morte,
bensì immediatamente.
Parte della dottrina, infatti, sull’assunto dell’interpretazione
costituzionalmente orientata, proclama l’applicabilità diretta delle disposizioni normative, e dunque dei principi fondamentali di
cui queste ultime sono espressione, anche a quelle situazioni letteralmente non considerate, ma affini dal punto di vista funzionale (PERLINGIERI). Occorre, dunque, una diretta analisi della
prassi quotidiana al fine di favorire l’individuazione da parte
dell’interprete del reale sostrato funzionale di ogni volontà negoziale.
Sarà proprio l’arricchimento del ruolo di tale interprete a determinare la formazione di categorie fondate sulle diverse funzionalità degli strumenti negoziali concretamente posti in essere
e ad orientare poi la sussunzione in una fattispecie astratta piuttosto che in un’altra con l’applicabilità tutt’altro che arbitraria
della disciplina posta dal relativo schema normativo. Pertanto, il
notaio, quale interprete principale degli interessi privati, nella
predisposizione degli strumenti negoziali, “dovrà rifuggire da un
ambiguo ed incerto modo di impostare le operazioni giuridiche
con conseguente complessivo disorientamento e svalutazione del
valore stesso della regola ordinante” (ALCARO).
Si è scelto, quindi, di impostare l’indagine su di una fondamentale bipartizione: si analizzeranno, in primo luogo, le ipotesi
che determinano una successione “inter vivos” in una delle due
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posizioni contrattuali scaturenti dalla stipula di un contratto
preliminare e, in secondo luogo, i casi nei quali è ravvisabile un
fenomeno successorio mortis causa o, se si vuole, tradizionale, ove
l’erede o il legatario subentra nella posizione contrattuale derivata al relativo de cuius dalla conclusione di un contratto preliminare.
2. Le fattispecie inter vivos che realizzano un fenomeno successorio.
Nelle dinamiche affaristiche quotidiane vanno sviluppandosi
svariati congegni idonei a realizzare l’intento di sostituire, in una
propria posizione contrattuale, un terzo.
Tale sostituzione può avere effetto tanto ex nunc quanto ex
tunc, ossia, in altri termini, può determinare una successione che
si consideri realizzata, nel primo caso, nel momento in cui la
convenzione sostitutiva produca i suoi effetti ai sensi di legge e,
nel secondo, a decorrere dal momento in cui era stato concluso
il contratto oggetto della successione indagata.
La dottrina (ALCARO; BOZZI; CUFFARO; GAZZONI; VISALLI),
come pure innanzi precisato, si interroga da anni circa
l’atteggiarsi di tale fenomeno relativamente al contratto preliminare e deve darsi qui atto che, prevalentemente, non si ravvisano
ostacoli all’inserimento in detto schema contrattuale di clausole
volte a perseguire l’intento successorio.
È possibile, infatti, che la struttura del contratto preliminare
si presti a realizzare lo scopo di devolvere gli effetti a favore di
una terza persona, ovvero di favorirne il subingresso in una delle
relative posizioni contrattuali con effetti retroagenti alla data della conclusione del contratto medesimo, ovvero ancora di consentire il medesimo subingresso ma con effetti prodotti alla data in
cui quest’ultimo viene convenuto.
Del pari, è possibile che un creditore si sostituisca al suo debitore, surrogandosi ad esso all’esito vittorioso della proposizione dell’azione ex art. 2900 c.c., nella conclusione di un contratto
definitivo cui quest’ultimo si fosse obbligato in virtù di un contratto preliminare.
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Peraltro, sempre più spesso, tale sostituzione è perseguita mediante l’apposizione della famigerata clausola “per sé o per persona da nominare”, rivelatasi assai ostica per l’interprete in
quanto, nonostante l’identica formulazione letterale, essa potrebbe consistere tanto in una riserva di nomina ex art. 1401 c.c.,
tanto nella predisposizione della devoluzione degli effetti a favore di un terzo ex art. 1411 c.c., il che, peraltro, non realizza un
fenomeno successorio, dal momento che il terzo non subentra
nella posizione di parte contrattuale, quanto ancora nella prestazione anticipata del consenso reciproco di entrambi i contraenti
all’eventualità che uno dei due convenga la cessione del contratto
ai sensi dell’art. 1406 c.c.
Giurisprudenza di legittimità ha, infatti, affermato che
in un contratto preliminare di compravendita immobiliare, la clausola che prevede che il promissario acquirente acquisti per sé o per persona da nominare può comportare la configurabilità sia della cessione
del contratto ai sensi dell’art. 1406 e ss. c.c., con il preventivo consenso
della cessione a norma dell’art. 1407, stesso codice, sia di un contratto
per persona da nominare di cui all’art. 1401 c.c., e ciò sia in ordine al
preliminare che con riferimento al contratto definitivo. Tale pluralità
di configurazioni giuridiche va pertanto riferito al contenuto effettivo
della volontà delle parti contraenti, che l’interprete deve ricercare in
concreto
(Cass. civ., 25.9.02, n. 13923, in Dir. e Giust., 2002, 39, 25).
È, dunque, la corretta indagine circa gli interessi al cui presidio è posta la clausola a guidare l’interprete alla configurazione
dello schema perfezionato tra quelli appena citati, dal momento
che le dinamiche che originano dalla configurazione di uno
piuttosto che un altro sono profondamente diverse e idonee a
compiacere interessi altrettanto differenti.
Tant’è che la medesima giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che
la ricerca del contenuto effettivo della volontà dei contraenti,
nell’ambito dell’operazione contrattuale programmata, deve avvenire in
correlazione alla funzione di impiegare il preliminare per la disciplina
intertemporale dei rapporti contrattuali delle parti al di fuori di una
coincidenza, che non sia meramente verbale, con gli schemi tipici ap-
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prontati dal legislatore, evidenziando le opportune distinzioni tra le
diverse figure richiamate per spiegare il funzionamento dello statuto
negoziale al quale viene apposta la clausola indagata
(Cass. civ., 13.2.81, n. 891, in Foro it., 1981, I, 1614).
Si cercherà in questa sede di analizzare l’ipotesi della cessione
del contratto preliminare, cercando di enuclearne le caratteristiche peculiari onde tracciarne i criteri distintivi dalle altre ipotesi
negoziali innanzi citate.
Del pari, si illustreranno le ipotesi in cui il creditore si surroghi al suo debitore, promittente venditore o promissario acquirente, nella conclusione del contratto definitivo e quelle in cui si
ponga in essere una sequenza di due contratti preliminari, dei
quali il secondo rivesta il carattere del contratto preliminare di
cosa altrui e sia concluso da un promittente venditore che abbia
assunto a sua volta la posizione di promissario acquirente in un
precedente contratto preliminare stipulato con l’attuale proprietario del bene oggetto della contrattazione.
In quest’ultimo caso, infatti, sempre più spesso, colui che è al
contempo promissario acquirente e promittente venditore di cosa altrui adempie al suo obbligo, da un lato, di pervenire alla stipulazione del definitivo e, dall’altro, di procurare l’acquisto al
suo promissario acquirente, favorendo la conclusione del contratto definitivo direttamente tra il proprietario del bene e tale
ultimo promissario acquirente, provocando, in tal modo, la successione di questi nella posizione contrattuale che si è assunto
all’atto della stipula del primo contratto preliminare.
2.1. La cessione del contratto preliminare.
L’istituto della cessione del contratto ai sensi degli artt. 1406
e ss. c.c. è tra quelli da più parti indicati come espressivi di dinamiche successorie del contratto preliminare, attraverso
l’apposizione della detta clausola “per sé o per persona da nominare”, intesa quale manifestazione anticipata del consenso alla
cessione, necessaria a termini dell’art. 1407, co. 1, c.c.
La fattispecie in esame realizza una successione inter vivos
nell’intera posizione contrattuale del cedente a favore di un ter-
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zo, c.d. cessionario. Formalmente, ha luogo il trasferimento a favore altrui del diritto a contrarre il negozio definitivo, situazione
soggettiva riassuntiva di ogni elemento, attivo e passivo, che caratterizza la posizione che viene assunta in virtù della stipulazione di un contratto preliminare. Non manca in dottrina chi ritiene che, invece, la cessione configuri la combinazione di una cessione di crediti e di un accollo di debiti, stigmatizzando atomisticamente la suddetta posizione contrattuale (CICALA).
Tale successione, a parere pacifico della dottrina (ALCARO;
FAVA), dispiega i suoi effetti ex nunc, ossia al momento in cui la
convenuta cessione si considera perfezionata, momento, peraltro,
oggetto di costante dibattito tra i fautori della teoria della bilateralità e quelli della teoria della trilateralità. Non può tacersi, infatti, delle incertezze relative al profilo strutturale dell’istituto in
esame, alimentate da una rigida contrapposizione che, stentando
a vincere i dogmi della volontà e della necessaria manifestazione
del consenso ai fini della produzione di effetti, trova opposte
due fondamentali impostazioni: da un lato, chi ritiene che la cessione abbia struttura trilaterale, e, pertanto, che la partecipazione
del ceduto abbia rilevanza costitutiva ai fini del perfezionamento
stesso della fattispecie (per tutti CARRESI) e, dall’altro, chi ritiene
che, invece, la cessione sia validamente conclusa con l’accordo
tra cedente e cessionario, subordinato, nella sua efficacia traslativa, al consenso del ceduto (per tutti ANELLI). Deve darsi, in questa sede, atto di un’ulteriore posizione, preferibile, la quale tenta
di conciliare la detta contrapposizione, proclamando la necessità
di una duttilità strutturale del contratto di cessione, in ragione
dei diversi momento e qualità dell’intervento del contraente ceduto (ALCARO; ZACCARIA).
La medesima dottrina, interrogandosi circa l’eventualità che il
consenso assuma le forme previste dal primo comma dell’art.
1407 c.c., si è espressa nel senso di una manifestazione unilaterale di volontà avente valore di autorizzazione preventiva, come tale irrevocabile, che, tuttavia, svuoterebbe la trilateralità strutturale del contratto (CLARIZIA; ZACCARIA).
Attenta giurisprudenza, prendendo il passo da tali ultimi rilievi, ha affermato che
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si rimette alla mancata notifica al ceduto l’inefficacia nei suoi confronti dell’intervenuto accordo tra cedente e cessionario che, tra questi
— di contro — non sarebbe né nullo, né irrilevante, né inefficace, bensì
pienamente valido ed efficace tra le parti
(Cass. civ., 9.8.90, n. 8098, in Mass. Giust. civ., 1990, 1502).
Peraltro, si discute, altresì, in merito all’annosa questione se si
tratti di fenomeno sostitutivo operante a livello di fonte o di
rapporto, ovvero a livello di contratto o di regolamento, nonostante esso si accrediti nelle situazioni giuridiche soggettive che
dal rapporto originano e, come detto, determini un subingresso
successivo nel contratto.
Secondo quanto disposto dall’art. 1406 c.c., poi, la cessione
soggiace a due ordini di limitazioni, in quanto, in primo luogo,
può cedersi soltanto un contratto a prestazioni corrispettive e, in
secondo luogo, a condizione che queste non abbiano ancora trovato esecuzione. Pertanto, a ragionare in termini puramente
formalistici, il contratto preliminare si presta eminentemente a
tali limiti, dal momento che riproduce tradizionalmente un contenuto obbligatorio, destinato per giunta a trovare reale esecuzione soltanto nel successivo momento della stipula del contratto definitivo cui è collegato.
Senonché, la prassi negoziale ci ha imposto un modello parzialmente difforme di preliminare, all’interno del quale si usa
convenire l’anticipazione di una delle prestazioni che saranno
poi all’oggetto del successivo accordo traslativo. In tal caso, come
è evidente, si poneva una certa difficoltà applicativa per la figura
di cui all’art. 1406 c.c. in ragione delle predette limitazioni.
Sul punto è intervenuta la Suprema Corte, che ha precisato
che
poiché, ai sensi dell’art. 1406 c.c., oggetto della cessione del contratto è la trasmissione del complesso unitario delle situazioni giuridiche
attive e passive che derivano per ciascuna delle parti dalla conclusione
del contratto, ai fini della sua configurazione occorre che le relative
prestazioni non siano state interamente eseguite, giacché, in tal caso,
non è possibile la successione di un soggetto ad un altro nel medesimo
rapporto che caratterizza la cessione del contratto. Ne consegue che,
nell’ipotesi in cui sia stata già eseguita alcune delle prestazioni incombenti alle parti, potrebbe semmai verificarsi la cessione del credito o del
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diritto alla controprestazione ovvero l’accollo del debito maturato in
ordine alla prestazione già eseguita dall’altra parte e non invece la cessione del contratto
(Cass. civ., 22.1.10, n. 1204, in Mass. Foro it., 2010).
Tuttavia, qualche anno prima, secondo la medesima Suprema
Corte, doveva essere
ritenuta ammissibile la cessione del contratto preliminare nel caso
in cui sia stata adempiuta la sola obbligazione di pagamento del corrispettivo
(Cass. civ., 16.3.07, n. 6157, in Obbligazioni e contratti, 2008, 109).
I medesimi problemi ricostruttivi erano stati, poi, posti anche
per i contratti unilaterali e per i contratti a titolo gratuito, sulla
scorta della considerazione che anche questi ultimi schemi negoziali non rientrassero nella limitazione a termini dell’art. 1406
c.c., in base ad una restrizione ermeneutica della locuzione «a
prestazioni corrispettive».
Le perplessità circa i c.d. contratti unilaterali sembrerebbero
essere cadute in ragione dell’individuazione, in essi, di un certo
sinallagma. Quanto, invece, ai contratti a titolo gratuito, permane una resistenza dottrinale ad ammetterne la cedibilità, che, in
questa sede, in ragione della fortissima considerazione dell’identità personale dei destinatari che in genere connota tali atti, sembra da condividere.
Ulteriore spunto di riflessione si coglie nell’ambito delle ripercussioni degli eventuali vizi del negozio di cessione sul contratto ceduto. In merito, autorevolissima dottrina sembra legittimare il cedente, nell’ipotesi in cui il cessionario si sia reso inadempiente al contratto di cessione di un preliminare di compravendita immobiliare, a chiederne la risoluzione al fine di ottenere la retrocessione dell’immobile, nonostante una certa difformità di tale soluzione dalla disciplina della cessione (GAZZONI). Tale riflessione promana dalla considerazione che, in occasione di
un’operazione negoziale di tal fatta, si pone in essere una sequenza di tre contratti, il preliminare, la sua cessione e il definitivo: pertanto i vizi che, in ipotesi, dovessero inficiare il contratto di cessione si ripercuoterebbero sulla validità del definitivo, in
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quanto idonei a minare la legittimazione a contrarre del cessionario che abbia, poi, partecipato alla conclusione dell’atto definitivo stesso.
Relativamente, poi, ai rapporti tra cedente e cessionario, l’art.
1410 c.c. impone al primo di garantire il secondo circa la validità
e, ove previsto, l’adempimento del contratto preliminare, fatto
salvo, in ogni caso, il patto contrario. Sul punto, dottrina condivisibile estende la parola “validità” a tutti i vizi genetici che affettino lo statuto negoziale ceduto, il quale, dunque, deve intendersi
garantito nel caso in cui sia nullo, annullabile oppure rescindibile (ALCARO). Incertezze rimangono circa la questione se la nullità si estenda automaticamente al contratto di cessione o configuri un’ipotesi di risoluzione per inadempimento.
In merito all’ipotesi di annullabilità del contratto ceduto la
dottrina discute circa la legittimazione attiva all’azione. Specularmente alla detta contrapposizione tra chi scandaglia atomisticamente la posizione contrattuale ceduta e chi, invece, la ritiene
un unicum, si registra una divergenza rispettivamente tra chi ritiene legittimato il cedente e chi, al contrario, ravvisa tale legittimazione in capo al cessionario. Sembra doversi aderire a quella
dottrina che ritiene il cessionario legittimato esclusivo all’azione
di annullamento, in base alla lucida considerazione che sembrerebbe a dir poco anomalo riconoscere come legittimato un soggetto che abbia già abbandonato quel regolamento di interessi
del cui annullamento si tratta e in capo al quale, peraltro, si ravviserebbe piuttosto una sostanziale carenza di interesse all’esperimento della suddetta azione (ZACCARIA).
In conclusione, l’assoluto silenzio del legislatore in ordine al
requisito formale del contratto di cessione ne consentirebbe la
conclusione in qualsiasi forma. Per quanto qui interessa, tuttavia,
l’art. 1351 c.c. impone al contratto preliminare il rispetto delle
prescrizioni che interessano il contratto alla cui stipulazione è
preordinato e, dunque, ci si è chiesti se tale imposizione debba
riguardare anche il negozio di cessione del preliminare.
La dottrina è orientata a riconoscere tale requisito, laddove
esso sia previsto per il contratto che deve essere ceduto (FAVA;
MESSINEO): dunque, ove il contratto obbligatorio sia chiamato
ad osservare la forma scritta, tale prescrizione si rifletterà sul
contratto con cui è convenuta la cessione.
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Del medesimo avviso la giurisprudenza di legittimità, la quale
ha affermato che
poiché la cessione del contratto realizza una modificazione soggettiva del rapporto, debbono essere osservate per il negozio di cessione le
stesse forme prescritte per il contratto che si trasferisce. Pertanto, se tale
contratto è un preliminare di vendita immobiliare, affinché il cessionario possa acquistare i relativi diritti, il consenso del contraente ceduto
deve risultare da atto scritto
(Cass. civ., 1.8.01, n. 10498, in Rep. Foro it., 2001, voce Obbligazioni in
genere, n. 31).
2.2. Il preliminare di vendita di cosa altrui: l’ipotesi dei
c.d. “preliminari a catena di vendita”.
Per quanto qui d’interesse, deve senz’altro analizzarsi l’ipotesi
in cui il promittente venditore di cosa altrui rivesta, in un precedente contratto preliminare ove si sia riservato la facoltà di electio
amici, la qualità di promissario acquirente dello stesso bene. In
questo caso, dunque, si pone in essere una sequenza di due preliminari, detti “preliminari a catena di vendita”, concepiti come
espressivi di un’unica e complessa operazione negoziale, nell’ambito della quale il promittente venditore di res aliena si impegna,
in sostanza, a procurare l’acquisto del bene ad un nuovo compratore direttamente dal proprietario.
In merito, deve riferirsi del dibattito dottrinale che tuttora
suscita talune incertezze ricostruttive. La questione attiene alle
modalità di adempimento del promittente venditore, o meglio la
possibilità per quest’ultimo di “detipizzare” il modo con il quale
è tenuto a procurare l’acquisto al suo promissario acquirente ai
sensi dell’art. 1478, co. 2, c.c.
La prassi è andata via via favorendo il meccanismo della contrattazione traslativa instaurata direttamente tra reale proprietario e promissario acquirente cosiddetto “a valle”, realizzando la
successione di quest’ultimo nella posizione contrattuale che il
suo promittente alienante aveva, a sua volta, acquisito in sede di
stipula del preliminare per persona da nominare con il reale
proprietario.
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Come può ben immaginarsi e come si auspicava in premessa,
il contratto preliminare ad oggi impone un ripensamento ermeneutico, che possa valorizzarne l’aspetto funzionale e sottolinearne il significato concreto nell’ambito delle operazioni negoziali
in cui è quotidianamente calato (ALCARO).
Nel caso in esame, infatti, appare lampante che, per il promittente venditore di cosa altrui, la contrattazione rappresenta
un espediente orientato ad un fine puramente speculativo e che,
per gli altri due soggetti, l’interesse fondamentale è, da un lato,
quello di alienare il bene negoziato e, dall’altro, quello di acquistarlo.
Onde non potrebbe più sostenersi la rigida necessità dell’intermedio acquisto della proprietà da parte del promittente alienante, il quale, in realtà, come è stato acutamente osservato in
dottrina, oltre ad un facere, ossia a prestare il consenso alla stipula del contratto definitivo, si obbliga in sostanza anche ad un dare, cioè a far conseguire al promissario acquirente il risultato pratico dell’acquisto della proprietà del bene, con una netta scissione del titulus, il contratto preliminare, dal modus adquirendi, il
definitivo (ALCARO). Il contratto definitivo, in altri termini, altro non sarebbe che un pagamento traslativo con funzione solutoria rispetto alla precedente obbligazione assunta con il preliminare (GAZZONI).
Tali ultime impostazioni dottrinali tracciano una strada particolarmente proficua per la fattispecie qui indagata, in quanto
tentano di salvaguardare il fondamentale interesse sotteso ad una
contrattazione di tal fatta. Al promissario acquirente, infatti,
perviene in ogni caso il bene negoziato, anche ottenendolo direttamente dal reale proprietario. Ecco quindi l’eco di quel ripensamento teleologico su indicato, secondo cui il contratto preliminare non può essere più soltanto un pactum de contrahendo,
bensì un negozio indirizzato a programmare e predisporre
l’intero assetto di interessi che, poi, troverà piena compiutezza
col contratto definitivo. Si mira, dunque, sempre più spesso, a
costruire solo un differimento tra la prestazione del consenso e il
momento traslativo, onde permettere di controllare l’operazione
negoziale già imbastita ed in aspettativa di conclusione (ALCARO).
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La stessa giurisprudenza di legittimità, a Sezioni Unite, da ultimo, ha confermato detta impostazione, ritenendo che
il contratto preliminare non è più visto come un semplice pactum
de contrahendo, ma come un negozio destinato già a realizzare un assetto di interessi prodromico a quello che sarà compiutamente attuato con
il definitivo, sicché il suo oggetto è non solo e non tanto un facere,
consistente nel manifestare successivamente una volontà rigidamente
predeterminata quanto alle parti e al contenuto, ma anche e soprattutto
un sia pure futuro dare: la trasmissione della proprietà, che costituisce
il risultato pratico avuto di mira dai contraenti. Se il bene già appartiene al promittente, i due aspetti coincidono, pur senza confondersi, ma
nel caso dell’altruità rimangono distinti, appunto perché lo scopo può
essere raggiunto anche mediante il trasferimento diretto della cosa dal
terzo al promissario, il quale ottiene comunque ciò che gli era dovuto,
indipendentemente dall’essere stato — o non — a conoscenza della non
appartenenza della cosa a chi si era obbligato ad alienargliela
(Cass. civ., s.u., 18.5.06, n. 11624, in Corr. Giur., 2006, 10, 1395).
Quanto appena esposto costituisce oggi l’indirizzo interpretativo maggioritario che legittima, dunque, due distinte e alternative modalità di adempimento dell’obbligazione del promittente
venditore di res aliena, ossia l’acquisto della proprietà con la ritrasmissione al promissario acquirente o l’induzione del terzo
alla vendita diretta a quest’ultimo.
Si tratta, tuttavia, dell’epilogo di un dibattito ermeneutico
piuttosto risalente che ha visto nel tempo varie pronunce della
Corte di legittimità, come, ad esempio, quella in cui affermò che
nell’ipotesi di promessa di vendita di cosa altrui, alla stipulazione
del contratto definitivo non solo è necessaria la partecipazione del terzo proprietario della res, ai fini del trasferimento della proprietà bensì
anche quella del promittente ai fini dell’adempimento della promessa,
che nella loro autonomia contrattuale convengano che il contratto definitivo sia stipulato esclusivamente tra il terzo proprietario ed il promissario
(Cass. civ., 17.6.80, n. 3846, in Foro it., 1980, I, 2457).
Oppure, ancora, quando, nel 2000, pose le basi dell’attuale orientamento maggioritario suddetto disponendo che
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il promittente deve essere in grado di far conseguire la proprietà alla
controparte, o per averla acquistata egli stesso nel frattempo o anche
inducendo il vero proprietario a prestare il proprio consenso al trasferimento
(Cass. civ., 6.10.00, n. 13330, in Contratti, 2001, 812).
Tale iter giurisprudenziale ha, comunque, risentito della fondamentale differenza che si riscontra, nella pratica, nei casi in cui
il promissario acquirente sia edotto dell’altruità della cosa o meno, come proprio la Suprema Corte ha sottolineato sul finire degli anni ‘90, quando decretò che occorre sempre distinguere
l’ipotesi in cui
il compratore o promissario sia consapevole sin dal momento della
conclusione del contratto che il bene vendutogli o promessogli non
apparteneva al venditore o promittente da quella in cui ne sia ignaro
(art. 1479 c.c.). Solo nel primo caso, infatti, può concepirsi una facoltà
del venditore o promittente di adempiere costringendo la controparte,
da sempre informata di quell’altruità, ad accettare il trasferimento del
bene direttamente dal terzo proprietario di esso in modo da evitare la
dispendiosità di un doppio passaggio, il che giustifica anche la fictio del
passaggio intermedio e, quindi, la tesi che il consenso fra terzo proprietario e promissario acquirente determina solo l’effetto traslativo della
proprietà e che venditore, come tale tenuto, ex art. 1476, n. 3, c.c., a garantire il compratore dall’evizione e dai vizi della cosa, salvo espresse
pattuizioni contrarie, resta pur sempre il promittente. Nel secondo caso, invece, quella facoltà deve escludersi, potendo il compratore o promissario, ai sensi del citato art. 1479 c.c., chiedere la risoluzione del
contratto, a meno che nel frattempo il venditore o promittente non
abbia acquistato la proprietà della cosa, in tal modo facendolo diventare automaticamente proprietario della stessa, se la vendita era definitiva,
o mettendosi in grado di trasferirgliela col futuro contratto se si trattava di preliminare
(Cass. civ., 10.3.99, n. 2091, in Corr. Giur., 2000, 83).
La dottrina, dal canto suo, è altrettanto favorevole a riconoscere all’ignaro compratore o promissario di cosa altrui ma dichiarata propria la facoltà di chiedere (se nel frattempo il venditore o promittente non gli ha fatto acquistare la proprietà della
cosa) la risoluzione del contratto ex art. 1479, co. 1, oltre al risarcimento del danno corrispondente all’interesse contrattuale
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negativo, alla restituzione del prezzo ed al rimborso delle spese ex
art. 1479, co. 2 e 3 (PERLINGIERI).
Tuttavia, si ritiene, sempre in tema di rimedi a favore del
promissario acquirente di buona fede, che questi, pur ignorando
la circostanza che il bene non fosse di proprietà di colui con il
quale ne aveva negoziato l’acquisto,
non può agire per la risoluzione prima della scadenza del termine
per la stipula del definitivo, perché il promittente venditore fino a tale
momento può adempiere all’obbligazione di fargli acquistare la proprietà del bene, o acquistandolo egli stesso dal terzo proprietario, o inducendo questo a trasferirglielo
(Cass. civ., 24.11.05, n. 24782, in Riv. not., 2005, 1362).
In definitiva, si argomenta che, quanto all’applicabilità del disposto di cui all’art. 1479 c.c., l’altruità
non incide sul sinallagma instaurato con il contratto preliminare, il
quale ha comunque efficacia soltanto obbligatoria, essendo quella reale
differita alla stipulazione del definitivo, sicché nessun nocumento, fino
alla scadenza del relativo termine, ne deriva per il promissario. Dall’art.
1479 c.c., pertanto, non può desumersi che egli sia abilitato ad agire per
la risoluzione — e quindi ad opporre l’exceptio inadimpleti contractus — se
l’altra parte, nel momento in cui vi è tenuta, è comunque in grado di
fargli ottenere l’acquisto direttamente dal proprietario. D’altra parte, il
ritenere esatta tale modalità di adempimento è in sintonia con l’essenza
e la funzione del contratto preliminare di vendita, quali sono state individuate nelle più recenti elaborazioni dottrinali, che hanno superato
la concezione tradizionale dell’istituto e che qualche riflesso hanno avuto anche in giurisprudenza
(Cass. civ., s.u., 18.5.06, n. 11624, cit.).
In ogni caso, non può trascurarsi che un contratto preliminare è stato concluso e che lo stesso vincola le parti a quanto in esso pattuito. Pertanto, potrebbe ravvisarsi un inadempimento del
promittente venditore di cosa altrui ove non vi fosse, nell’ipotesi
del trasferimento diretto dal proprietario al promissario acquirente, alcuna cooperazione da parte sua nel procurare l’acquisto
a quest’ultimo. La Corte ha, infatti, precisato che
I PROFILI SUCCESSORI DEL CONTRATTO PRELIMINARE
341
è sempre necessario che la vendita diretta abbia luogo in conseguenza di un’attività (materiale o giuridica) svolta dallo stesso venditore
nell’ambito dei suoi rapporti col terzo proprietario, e che quest’ultimo
manifesti in forma chiara ed inequivoca la propria volontà di vendere
il bene di sua proprietà al compratore: solo in tal modo si realizza, con
l’effetto traslativo del diritto, quel risultato che il compratore intendeva
conseguire e che il venditore si era obbligato a procurargli
(Cass. civ., 2.2.98, n. 984, in Giust. civ., 1998, I, 3193).
Per concludere, la Corte di legittimità ha sottolineato, proseguendo su questa linea, che
in tema di garanzia per l’evizione della cosa compravenduta, il
promittente venditore di una cosa che non gli appartiene può adempiere la propria obbligazione procurando l’acquisto del promissario direttamente dall’effettivo proprietario; affinché in tale ipotesi la garanzia
dall’evizione possa estendersi, in favore del promissario, al promittente
venditore medesimo, è necessario che costui abbia svolto un’attività diretta alla conclusione del contratto di vendita, qualora non vi sia intervenuto, tra il proprietario del bene e l’effettivo acquirente, sì che possa
affermarsi che non sia rimasto estraneo al trasferimento del bene
all’acquirente da parte dell’effettivo proprietario
(Cass. civ., 23.11.07, n. 24448, in Nuova giur. civ. comm., 2002, I, 599).
2.3. Il contratto preliminare e l’azione surrogatoria.
Tradizionalmente, si è assistito ad una certa riluttanza nell’ammettere l’esercizio dell’azione surrogatoria da parte del creditore nei diritti vantati dal suo debitore in virtù di un contratto
preliminare, sulla base della difficoltà della dottrina ad accogliere
la possibilità che altri si sostituisca nel diritto di stipulare un atto negoziale.
Se non fosse che del contratto definitivo, nell’evoluzione ermeneutica, si è voluta dare la natura di atto dovuto ovvero individuare una duplicità di cause, l’una variabile e l’altra quale adempimento del preliminare, decretando, dunque, la piena legittimità di una surroga nel diritto altrui di concludere l’atto negoziale stesso. Peraltro, nell’ipotesi indagata nel paragrafo che precede, possa o meno ottenersi l’esecuzione in forma specifica, sarà
342
CAPITOLO X
comunque nella facoltà del promissario acquirente, posta in ogni
caso la conclusione di un precedente contratto preliminare tra il
proprietario del bene e il promittente venditore di res aliena, sostituirsi a quest’ultimo, presentando domanda in via surrogatoria
di trasferimento coattivo del bene dal terzo proprietario ai sensi
del combinato disposto degli artt. 2900 e 2932 c.c. (ALCARO).
Tale ultimo meccanismo integra un’ipotesi di successione inter
vivos, nel caso di specie, del promissario acquirente di res aliena
nella posizione di promissario acquirente dal terzo proprietario,
posizione assunta dallo stesso promittente venditore di res aliena
in virtù del primo contratto preliminare, senza che la sfera giuridica soggettiva di costui venga in alcun modo coinvolta, purché
l’attore abbia dedotto il pregiudizio che gli derivava dall’inadempimento del contratto intercorso tra il convenuto ed il terzo, e
quest’ultimo sia stato parte del giudizio
(Cass. civ., 8.1.96, n. 51, in Riv. not., 1996, 1870).
In questo caso si realizza una sorta di surrogatoria satisfattiva
all’esito di doppia pronuncia costitutiva, una per ogni contratto
preliminare posto in essere nell’ambito della detta operazione
negoziale, solo successivamente alla quale si perfeziona il titolo
proprietario dell’attore (CIAN — TRABUCCHI).
La giurisprudenza di legittimità teorizza, dunque,
una funzione “elettivamente” satisfattiva dell’azione surrogatoria,
più marcatamente apprezzabile nei contratti concatenati ma di taglio
generale
(Cass. civ., 29.10.08, n. 25136, in Mass, 2008).
Attesa, dunque, l’idoneità a produrre la detta sostituzione
soggettiva, di cui peraltro soltanto una parte della dottrina sostiene il carattere satisfattorio (GAZZONI) mentre altra parte, più
recente, ritiene che la soddisfazione creditoria ne sia solo un effetto mediato (CARINGELLA), se ne rendono interessanti ed opportuni, ai fini della nostra trattazione, gli esposti cenni, per
quanto sintetici.
I PROFILI SUCCESSORI DEL CONTRATTO PRELIMINARE
343
3. Le fattispecie che realizzano la successione mortis
causa.
L’art. 1127 del codice civile del 1865 si dedicava alla sorte dei
rapporti contrattuali nel caso di morte di uno dei contraenti e ne
disponeva la caduta in successione, eccezion fatta per le ipotesi
nelle quali la trasmissibilità fosse impedita ora dalla natura del
contratto ora da un patto espresso delle parti.
Tale disposizione, tuttavia, non è stata riprodotta nel codice
civile del 1942, né la Relazione Ministeriale ha ritenuto di motivare siffatta scelta legislativa, presumibilmente per il fatto che il
principio della trasmissibilità agli eredi dei rapporti giuridici patrimoniali già facenti capo al defunto era oramai assurto a regola
immanente all’interno dello stesso sistema normativo.
Come autorevole dottrina, in tempi ormai risalenti, non
mancò, infatti, di osservare, era ed è opinione corrente che, sebbene manchi un’espressa disposizione che, in via generale, sancisca la trasmissibilità mortis causa del contratto, questa debba assumersi come regola di principio e debbano invece considerarsi
alla stregua di eccezioni tutte quelle ipotesi in cui la trasmissibilità vada negata (CACCAVALE)
Siffatta opinione risulta, peraltro, confermata da una serie di
norme, variamente collocate nell’ambito delle successioni e della
disciplina dei contratti, le quali regolano specificatamente le conseguenze che la morte di una delle parti determina sul vincolo
contrattuale, quasi che la trasmissione dei rapporti contrattuali
sia effetto connaturato al riconoscimento del fenomeno della
successione mortis causa quale successione nella generalità delle
situazioni soggettive facenti capo al defunto (PASCUCCI).
In ambito successorio, si richiamano le regole in ordine ai
poteri del chiamato all’eredità, ex art. 460 c.c., e agli effetti
dell’accettazione con beneficio di inventario, ex art. 490 c.c.,
mentre, con riferimento alla disciplina dei contratti, assumono
particolare rilevanza, ex multis, l’art. 1674 c.c., che esclude la caduta in successione del contratto nel caso di morte dell’appaltatore, e l’art. 1722 n. 4 c.c., che, nel caso di morte del mandante o del mandatario, mira ad escludere, almeno in parte, la
trasmissione, quasi a volere per ciò stesso riconoscere che il prin-
344
CAPITOLO X
cipio è di segno opposto (PADOVINI); quelle che riconoscono agli
eredi o al contraente superstite il potere di recedere dal contratto,
ex art. 1614 c.c., nel caso di morte del conduttore, ex art. 1627
c.c., in quello di morte dell’affittuario, ed ex art. 1811 c.c., nel
caso di decesso del comodatario; l’art. 1776 c.c., che disciplina le
conseguenze della successione, nel caso di alienazione della cosa
tenuta in custodia da parte dell’erede del depositario; quelle che
stabiliscono la ultrattività, in capo agli eredi, delle situazioni
soggettive attive o passive, di cui già era titolare il deceduto, come avviene, ex artt. 752-754 c.c., per la trasmissione e ripartizione dei debiti ereditari, ex art. 1146, co. 1, c.c., per la successione
nel possesso, ed ex art. 2909 c.c., per l’effetto della sentenza passata in giudicato, che fa stato anche fra gli eredi delle parti.
L’insieme di queste norme si pone a presidio del principio secondo cui la circolazione mortis causa dei rapporti giuridici costituisce una regola generalmente riconosciuta, comunemente condivisa, alla quale già la storia e la comparazione concorrono a
dare un solido fondamento, che, insomma, conferma la perdurante immanenza nel sistema del fenomeno in virtù del quale le
posizioni contrattuali si trasmettono in capo agli eredi con la
prosecuzione del rapporto già costituito dal defunto (PADOVINI).
Giurisprudenza di legittimità, parimenti, ha affermato che
di regola si trasmettono tutti i rapporti giuridici patrimoniali che
facevano capo all’autore della successione
(Cass. civ., 27.2.80, n. 1382, in Mass. Giust. civ., 1980, 1382).
Ma questa regola, pur se generale, incontra numerose deroghe
con riferimento ai rapporti cd. intuitus personae, nei quali assumono assoluta pregnanza, nella considerazione delle parti, le
qualità personali, anche morali, ovvero le particolari attitudini
oppure ancora le capacità tecniche di uno di essi (o di entrambi).
Tali rapporti hanno ricevuto in dottrina diversi tentativi tanto classificatori (ALPA; TORRENTE — SCHLESINGER) quanto definitori, a seconda che ne venissero in rilievo i diversi profili della
persona fisica, della persona in senso psicologico, delle qualità
del soggetto, del patrimonio di cui questo è titolare, della categoria cui un individuo appartiene, per poi delineare i caratteri e le
I PROFILI SUCCESSORI DEL CONTRATTO PRELIMINARE
345
peculiarità dei cosiddetti intuitus familiae e intuitus firmae (PADOVINI).
Si sottolinea, in questa sede, l’autorevole opzione ricostruttiva
che, definendo il rapporto giuridico come “relazione fra situazioni giuridiche soggettive” e la titolarità quale relazione fra soggetto e situazione giuridica soggettiva, distingue fra situazioni
giuridiche che hanno in un soggetto l’occasionale titolare e quelle “situazioni giuridiche che non hanno una fungibilità soggettiva, che cioè non possono che appartenere o spettare ad un soggetto ovvero a determinati soggetti o, comunque, ad una cerchia
limitata di soggetti”. La conseguenza è che quella situazione giuridica soggettiva è nata e deve morire come situazione di quel
soggetto (PERLINGIERI).
Appartengono alla prima categoria quelle situazioni giuridiche che ammettono un’appartenenza mutevole ed indeterminata,
nel senso di essere riferibili ad un qualsiasi soggetto, in ragione
della fungibilità di quest’ultimo. Alla seconda sono, invece, riferibili quelle situazioni giuridiche per la realizzazione delle quali
è necessario un determinato titolare.
La distinzione tra fungibilità e infungibilità del titolare ha valore quanto mai determinante proprio ai fini della circolazione
mortis causa delle situazioni giuridiche soggettive.
Infatti, le situazioni organicamente avvinte ad un determinato titolare (cd. situazioni intuitus personae) non possono formare
oggetto di vicenda successoria, in quanto, originandosi nell’interesse esclusivo di quel preciso soggetto, si estinguono al venir
meno dello stesso.
All’opposto, la trasmissione a causa di morte delle posizioni
contrattuali non intuitus personae, come detto, costituisce un fenomeno naturale e necessario, laddove si consideri che, in assenza di un meccanismo di subentro - ope legis o ope voluntatis dell’erede al defunto, i rapporti giuridici facenti capo a quest’ultimo sarebbero destinati a rimanere senza titolare, con inevitabili
incertezze sui traffici giuridici.
Una volta delineata la regola generale della trasmissibilità agli
eredi dei contratti già facenti capo al defunto, ferma la diversa
sorte dei rapporti intuitus personae, bisogna stabilire come il me-
346
CAPITOLO X
desimo principio si atteggia quando la vicenda successoria investa i rapporti preliminari.
La vicenda successoria si collega in questo caso pur sempre ad
un rapporto giuridico, tuttavia non considerato come rapporto
in atto, ma come rapporto in potenza, in divenire (FERRI).
Qualora la morte intervenga quando l’intesa ha cominciato a
coprire almeno gli elementi essenziali di un assetto negoziale, determinando, così, una situazione giuridica soggettiva prodromica
al rapporto giuridico, che sorgerà quando il soggetto titolare della situazione stessa l’avrà esercitata, allora il processo di formazione della fattispecie non rimane interrotto.
L’erede, in questo caso, subentra al de cuius nella titolarità del
rapporto preliminare alla quale costui già partecipava (RUBINO),
salvo, specularmente a quanto avviene per i rapporti in atto, il
caso in cui si tratti di una situazione strettamente inerente alla
persona di quest’ultimo.
È chiaro che l’erede non può subentrare in elementi di mero
fatto, ma può succedere in situazioni prodromiche o preliminari
rispetto alla costituzione di un rapporto.
I presupposti della successione mortis causa sono, in questo
caso, la esistenza di una situazione giuridica soggettiva preliminare, nella quale l’erede subentra; il requisito della patrimonialità
del rapporto, quale condizione essenziale affinché la successione
si verifichi (FERRI); e l’esclusione della natura strettamente personale della situazione giuridica stessa.
Pertanto, in definitiva, anche in assenza di una specifica disposizione testamentaria che realizzi il subingresso del beneficiario nella posizione contrattuale del testatore, la trasmissione iure
hereditario della stessa avrebbe luogo ugualmente a favore dei
suoi eredi, secondo le regole della successione legittima.
Infatti,
il successore a titolo universale, continuando la personalità del de
cuius, diviene parte del contratto concluso dallo stesso, per cui egli resta
vincolato al contenuto del contratto medesimo
(Cass. civ., 16.6.09, n. 13968, in Mass. Giust. civ., 2009, 6, 931).
I PROFILI SUCCESSORI DEL CONTRATTO PRELIMINARE
347
3.1. Il legato di posizione contrattuale e il legato di
contratto preliminare.
Partendo dall’analisi delle oscillazioni dottrinali circa la possibilità che il testamento contempli, oltre alle tradizionali disposizioni immediatamente patrimoniali, anche fattispecie di tipo
negoziale, si dà atto che l’opinione ormai prevalente ritiene il testamento idoneo a costituire la fonte di situazioni giuridiche,
consentendo, dunque, al de cuius di regolamentare e determinare
liberamente il contenuto del testamento stesso, per alcuni, applicando in via analogica il principio di autonomia privata di cui
all’art. 1322 c.c. (BIANCA; BIGLIAZZI — GERI), per altri, seguendo
il principio secondo cui il negozio mortis causa sarebbe sottratto
alla disciplina del contratto in generale e soggetto, dunque,
all’unico limite della liceità dei motivi (BONILINI).
Dunque, si sono sviluppati nella prassi testamentaria diverse
figure di legato, tra le quali meritano particolare considerazione,
ai fini della presente trattazione, il legato di contratto e il legato
di posizione contrattuale.
Il legato di contratto corrisponde a quella disposizione testamentaria con la quale si impone all’onerato di stipulare con un
determinato soggetto, il quale assume così la qualifica di legatario, un determinato contratto tipico o anche atipico. Sì predispone, così, un diritto di credito alla stipulazione di un dato
contratto, previa fissazione dei suoi elementi essenziali, la cui esecuzione viene garantita dall’ordinamento, tant’è che l’obbligo
di prestare il consenso al perfezionamento dell’accordo è esecutabile nei confronti dell’onerato da parte del beneficiario.
In giurisprudenza si è parimenti riconosciuto che
ben può formare oggetto di legato l’attribuzione del diritto di pretendere dall’onerato la stipulazione di un negozio
(Cass. civ., 5.11.55, n. 3597, in Foro it., 1955, c. 1609).
Tale figura di legato realizza l’interesse del testatore di procurare al beneficiario un effettivo vantaggio, evidentemente irrealizzabile durante la vita del medesimo disponente. Affinché un
contratto possa essere oggetto di legato, occorre che il testatore si
attenga alla disciplina normativa tanto del contratto in generale,
348
CAPITOLO X
prevedendo un oggetto lecito, possibile e determinato o determinabile, e una prestazione che sia fungibile, quanto dello specifico
schema negoziale che si voglia adottare, nella predisposizione
delle condizioni generali e degli elementi essenziali.
Tuttavia, l’ipotesi in esame, trasmettendo al beneficiario un
diritto di credito alla stipulazione di un futuro contratto, non è
idonea a realizzare un fenomeno successorio che abbia ad oggetto uno schema negoziale già posto in essere.
Al contrario, l’espressione legato di posizione contrattuale indica tradizionalmente quella disposizione avente ad oggetto il
complesso dei rapporti giuridici di cui è investita la parte di un
determinato rapporto contrattuale, purché, naturalmente, tali
rapporti siano trasmissibili, ossia non attengano a peculiari qualità della controparte o ne sia stata esclusa convenzionalmente la
trasmissibilità.
La differenza tra tali tipi di legato risiede nel rilievo che il
primo ha ad oggetto il diritto di pretendere la conclusione di un
contratto ex novo, mentre il secondo contempla l’attribuzione
dell’intera posizione contrattuale derivante da un contratto già
in precedenza concluso dal testatore.
Molte perplessità si sono succedute in dottrina in ragione della possibilità di legare gli obblighi che generalmente compongono una posizione contrattuale. C’è, infatti, chi ha negato
l’ammissibilità del legato di posizione contrattuale, sottolineando come, a rigore, potrebbero legarsi solo i singoli diritti o i singoli beni, ma giammai gli obblighi.
Pertanto, sarebbe configurabile solo un legato avente ad oggetto diritti e crediti derivanti dalla posizione de quo, con l’onere
a carico dello stesso legatario di adempiere a tutti gli obblighi
scaturenti dalla medesima, onere che, tuttavia, avrebbe valore puramente interno, potendo la controparte contrattuale del rapporto ceduto agire solo verso gli eredi, i quali, poi, potrebbero rivalersi nei confronti del legatario (MENGONI; PADOVINI).
Altri, invece, ritiene assolutamente ammissibile un legato di
tal fatta, escludendo al caso di specie l’applicabilità dell’art. 671
c.c., in virtù del fatto che oggetto del legato sarebbe qui un contratto e quindi un’entità unitaria, insuscettibile di scomposizione
in singoli rapporti attivi e passivi, ferma restando la libertà del
I PROFILI SUCCESSORI DEL CONTRATTO PRELIMINARE
349
legatario di determinarsi a rinunziare al medesimo legato (GRADASSI).
Quanto, poi, alla natura giuridica, la dottrina tende a ricondurre tale figura allo schema della cessione del contratto, incontrando, tuttavia, le perplessità, già esposte, in ordine alla struttura dell’istituto di cui all’art. 1406 c.c. Occorre, infatti, distinguere
a seconda che la cessione in parola si qualifichi come contratto a
struttura bilaterale o trilaterale. In particolare, ove se ne individuasse la trilateralità, non potrebbe ammettersi il legato in esame, in quanto occorrerebbe la prestazione del consenso da parte
della controparte e ciò urterebbe contro il principio della personalità del negozio testamentario. All’opposto, qualora si consideri la cessione come un contratto bilaterale, sarebbe possibile ricostruire il legato di posizione contrattuale come disposizione testamentaria subordinata alla condizione sospensiva potestativa
del consenso del contraente ceduto (BIANCA; CAPOZZI).
Altra parte della dottrina, sull’assunto che la morte di una
parte contrattuale determini necessariamente la trasmissione della posizione contrattuale all’erede, senza che la controparte possa
o debba fare alcunché per consentire od opporsi a tale trasmissione, reputa non sovrapponibile lo schema della cessione del
contratto, caratterizzato dalla eventualità e volontarietà del trasferimento, al legato in esame. Si tratterebbe, perciò, di un autonomo istituto di diritto ereditario, speculare all’automaticità di
trasmissione in capo agli eredi delle posizioni contrattuali assunte in vita dal de cuius, con la particolarità che, in questo caso,
come detto, gli eredi risponderebbero in uno con il legatario delle situazioni giuridiche passive scaturenti dal contratto oggetto di
legato (GRADASSI).
Nell’ambito di tale fattispecie, si colloca la possibilità che il
testatore leghi la posizione, attiva o passiva, derivante dalla conclusione di un contratto preliminare. In tal caso, si verifica la
successione nel preliminare, aspetto che interessa la presente indagine, ma mentre la trasmissione della posizione di promissario
acquirente non genera rilevanti incertezze, il caso della posizione
del promittente venditore suscita maggiori riflessioni.
Si è, infatti, osservato che il testatore promittente, che intenda
trasmettere la sua posizione, sarebbe tenuto a legare, in primis, il
350
CAPITOLO X
diritto di piena proprietà del bene oggetto di negoziazione e, in
secundis, la posizione contrattuale de quo. Tuttavia, in tal caso, si
manifesterebbe la necessità di scongiurare il pericolo che il legatario acquisti il diritto di proprietà per poi sottrarsi alla stipulazione del contratto definitivo rinunziando al secondo legato. Attenta dottrina ha suggerito, in tale ipotesi, di apporre al legato
del diritto di proprietà la condizione risolutiva della rinunzia al
legato di posizione contrattuale, avente ad oggetto il preliminare
(CAPOZZI; GENGHINI — CARBONE).
Va tenuto distinto dal legato di posizione contrattuale avente
ad oggetto le posizioni derivanti da un contratto preliminare già
concluso, l’istituto del c.d. legato di contratto preliminare, il
quale designa l’ipotesi in cui il testatore attribuisca al legatario il
diritto a pretendere dall’onerato la stipula di un contratto preliminare, obbligando così l’onerato alla stipula sia del contratto
preliminare previsto dalla disposizione mortis causa sia del contratto definitivo in adempimento del precedente preliminare.
Si realizza, con tale meccanismo, il medesimo assetto di interessi tipico della figura del c.d. contratto preliminare unilaterale,
in virtù del quale solo una delle parti si impegna nei confronti
dell’altra a concludere un futuro contratto definitivo.
In ragione della caratteristica trasmissione del diritto di credito alla stipula di un contratto che è futuro e quindi non preesistente all’apertura della successione, tale legato è ricondotto
nell’alveo dei legati di contratto descritti in apertura di paragrafo
e, non realizzando un fenomeno successorio nella peculiare fattispecie contrattuale indagata nel presente volume, non riscuote
immediato interesse ai fini della nostra trattazione.
3.2. Esecuzione del preliminare in forma specifica e
accettazione beneficiata dell’eredità.
A termini dell’art. 2932 c.c., ove si configuri l’inadempimento del preliminare da parte di uno dei contraenti, l’altro può
agire in giudizio affinché ne venga disposta l’esecuzione forzata
mediante una sentenza che tenga luogo del contratto definitivo
che si è mancato di stipulare.
I PROFILI SUCCESSORI DEL CONTRATTO PRELIMINARE
351
La detta azione
ha senz’altro natura personale e non reale, dal momento che il diritto cui è collegata e che si prefigge di far valere è un diritto obbligatorio che trova titolo nel precedente preliminare
(Cass. civ., 20.12.02, n. 18149, in Mass. Giust. civ., 2002, 2221).
Da tanto deriva che potrà convenirsi soltanto colui che ha
costituito in prima persona il rapporto obbligatorio in esame,
ovvero i suoi eredi.
Si ponga, adesso, l’attenzione al caso in cui l’erede di una delle parti contraenti un rapporto preliminare, che medio tempore
sia deceduto, accetti con beneficio d’inventario. La giurisprudenza ha sottolineato che
nel quadro della liquidazione dell’eredità accettata con beneficio
d’inventario devono, di massima, trovare sistemazione e definizione
tutti i rapporti di contenuto patrimoniale lasciati pendenti dal de cuius
all’atto della sua morte, essendo l’erede e l’eventuale curatore nominato
per gestire la procedura liquidatoria, in linea di principio, tenuti, nei
limiti delle disponibilità esistenti nell’asse ereditario, a far fronte ad
ogni ragione vantata verso l’eredità da tutti i soggetti nei confronti dei
quali il de cuius aveva in vita assunto obbligazioni. Alla stregua di tale
principio non può dubitarsi dell’azionabilità nei confronti dell’eredità
beneficiaria, nelle persone dell’erede e/o del curatore preposto alla relativa liquidazione, del diritto alla stipulazione di un contratto definitivo
scaturito da un contratto preliminare concluso, a suo tempo, dal de
cuius, non essendovi motivi validi per ravvisare esclusi dal novero degli
obblighi, che l’eredità beneficiaria è tenuta ad onorare, quelli aventi il
titolo nel negozio di cui agli artt. 1351 e 2932 c.c.
(Cass. civ., 30.1.95, n. 1087, in Mass. Giust. civ., 1995, 227).
Dunque, sull’assunto che l’erede beneficiato è tenuto alla definizione di tutti i rapporti patrimoniali pendenti al momento
dell’apertura della successione, nel caso del contratto preliminare
stipulato dal de cuius, si afferma la preminenza dell’interesse del
promissario rispetto alle posizioni di creditori e legatari, per cui
il bene promesso in vendita, ad esempio, non deve necessariamente essere incluso nella procedura di liquidazione, nonostante
questa sia retta dal principio per cui i creditori e legatari del de
352
CAPITOLO X
cuius devono essere soddisfatti in base al sistema della par condicio creditorum, secondo uno schema analogo a quello governante
la procedura fallimentare (SERRAO).
Anche quest’aspetto ha destato notevoli perplessità, quanto alla possibilità che fosse svilito il sistema di parità posto a garanzia
delle ragioni creditorie.
Acuta dottrina ha, tuttavia, evidenziato che al contratto preliminare è ricollegato un obbligo convenzionale di contrarre che
ne imporrebbe, in ogni caso, il regolare adempimento, e che dal
contratto preliminare trae origine una situazione più complessa e
poliedrica, non rappresentata da un “normale” debito di natura
pecuniaria, bensì posta su un piano differente quanto a valore ed
importanza giuridica rispetto ad un mero credito in denaro, il
che potrebbe supportare la giustificazione della sottrazione coattiva ex art. 2932 c.c. del bene negoziato in vita dal de cuius in via
preliminare (MONTECCHIARI).
Pertanto, sul piano interpretativo, riconoscere l’intrinseca diversità tra l’adempimento del contratto preliminare e la procedura di liquidazione quanto a natura, ad operatività e a funzione
impone di rifiutarne l’incompatibilità e di proclamarne, dunque,
la possibilità di coesistere, nel rispetto, tuttavia, dell’interesse “titolato” del promissario.
Nonostante non possano trascurarsi le incertezze che derivano dalla dubbia configurazione della legittimazione del curatore
dell’eredità beneficiata a prestare il consenso alla stipulazione del
definitivo (SERRAO), in giurisprudenza si è affermato, quanto al
litisconsorzio di cui garantire l’integrazione, che
a seguito del rilascio dei beni ereditari a favore dei creditori (…) qualora sia proposta domanda di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto in forza di una pattuizione pregressa all’entrata in
carica del curatore, ma destinata ad avere effetto nel corso della liquidazione, è indispensabile l’evocazione in giudizio del curatore
dell’eredità, affinché la pronunzia faccia stato anche nei suoi confronti
in relazione ai suoi poteri di assegnatario e di amministratore
dell’eredità medesima
(Cass. civ., 26.10.79, n. 5619, in Giust. civ., 1979).
I PROFILI SUCCESSORI DEL CONTRATTO PRELIMINARE
353
3.3. Il preliminare di vendita con riserva di usufrutto: il
caso della morte del promittente alienante prima
della stipula del contratto definitivo.
La giurisprudenza di legittimità, nel corso degli anni, ha avuto modo di affrontare il caso in cui, stipulato un contratto preliminare di vendita con riserva di usufrutto, il promittente alienante sia venuto a mancare prima della stipulazione del contratto definitivo. Gli orientamenti, tra i quali si cercherà di tracciare
un filo conduttore, riflettono la fondamentale distinzione dei
casi in cui tale evento letale si sia verificato prima o dopo la scadenza del termine di adempimento del detto contratto preliminare.
In un primo momento, la Suprema Corte aveva ritenuto che
la sopravvenuta morte del promittente alienante rendesse impossibile il trasferimento coattivo della nuda proprietà, in quanto
avrebbe comportato una sostanziale modifica dell’assetto di interessi pattuito.
Infatti
poiché la sentenza che, ai sensi dell’articolo 2932 c.c. produce gli effetti del contratto non concluso, non può prevedere condizioni diverse
da quelle contenute nel contratto preliminare, l’esecuzione di questo è
impossibile allorché si accerti che è mutato nella sostanza e non può
essere riprodotto nel definitivo il contenuto della controprestazione
pattuita per il trasferimento di un bene (…) occorrendo che, al momento della decisione del giudice dito, sussistano altresì tutte le condizioni
giuridiche, con i relativi presupposti di fatto, che consentano che la
sentenza costitutiva che tiene luogo del contratto non concluso rispecchi integralmente le previsioni delle parti in sede di preliminare
(Cass. civ., 20.1.76, n. 167, in Giust. civ., 1976, I, 917).
Dunque, pur volendo propendere per un trasferimento della
piena proprietà da parte degli eredi, si sarebbe registrato per questi un notevole aggravio di onerosità, in quanto costretti alla riscossione di un corrispettivo sensibilmente inferiore a quello tipicamente dedotto in controprestazione per il trasferimento della piena proprietà (PELLEGRINI).
354
CAPITOLO X
Successivamente, la Corte di legittimità ha deciso di mutare
prospettiva, adottando un approccio molto meno rigoroso.
A suo dire, infatti,
alla stregua anche della successiva evoluzione giurisprudenziale,
questa Corte ritiene che debba essere attenuato il rigore del principio
così come sopra enunciato nella richiamata sentenza n. 167/1976, essendo consentito al giudice, nella emanazione della sentenza ex art.
2932 c.c. non solo di apportare modifiche che non incidano sulle previsioni dei contraenti del preliminare, in ordine alla causa ed
all’oggetto, bensì anche di tener presenti i comportamenti inadempienti
delle parti successivi alla domanda, che siano in rapporto col mutarsi
della situazione prevista dai contraenti
(Cass. civ., 9.6.90, n. 5618, in Riv. dir. civ., 1993, II, 607).
Nel caso di specie che, sottoposto all’attenzione della Corte,
ha determinato la pronuncia qui da ultimo citata, gli eredi avevano opposto un rifiuto alla richiesta della controparte di addivenire alla stipula del definitivo, sostenendo che, al momento
della decisione, non sussistessero le condizioni giuridiche che
consentissero alla sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. di riprodurre fedelmente le previsioni delle parti in sede di preliminare e
deducendo, quindi, quell’impossibilità oggettiva che, ai sensi del
primo comma della citata disposizione codicistica, osterebbe
all’accoglimento delle ragioni esecutanti.
Tuttavia,
va osservato che la impossibilità prevista dal primo comma
dell’articolo 2932 c.c. deve essere riferita o alla impossibilità in relazione al soggetto (promessa dell’obbligazione o del fatto del terzo ai sensi
dell’articolo 1381 c.c.) o al titolo (contratti che presuppongono il requisito della spontaneità del soggetto ai sensi dell’articolo 769 c.c.) o ad
impedimenti di fatto o di diritto (sopravvenuta distruzione del bene o
alienazione dello stesso a terzi), ma non alla ipotesi sostenuta della non
perfetta corrispondenza del regolamento degli interessi recepito nella
sentenza costitutiva con quello previsto nel preliminare. Il problema,
dunque, riguardante la ricorrenza, al momento della emananda decisione sostitutiva dell’obbligo di concludere il contratto ex articolo 2932
c.c., delle condizioni oggettive e dei presupposti di fatto previsti dai
contraenti originari del preliminare, che non aveva formato oggetto del
doppio grado del giudizio di merito, ma che è stato sollevato per la
I PROFILI SUCCESSORI DEL CONTRATTO PRELIMINARE
355
prima volta in questa sede, non è rilevabile d’ufficio non potendo esso
inquadrarsi nella ipotesi di cui al primo comma del citato articolo 2932
c.c.
(Cass. civ., 9.6.90, n. 5618, cit.).
Deve, in ogni caso, avvisarsi che il caso di specie riguardava
un contratto preliminare ad effetti anticipati quanto al pagamento del prezzo, i quali
ponendosi, in sostanza, sulla via del perfezionamento del contratto
definitivo quanto alla esecuzione, necessitano di una adeguata più marcata tutela per colui che ha eseguito nei confronti dell’altro contraente,
anche ai fini propri della esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto definitivo, che costituisce uno strumento di attuazione
del previsto regolamento degli interessi, per assicurare il risultato al
creditore
(Cass. civ., 9.6.90, n. 5618, cit.).
Da tanto consegue che l’eccessiva onerosità lamentata
non sarebbe neppure fondata, sia perché il promissario acquirente
aveva pagato integralmente il prezzo d’acquisto, riservandosi per giunta
la facoltà di richiedere immediatamente e in qualsiasi momento la stipulazione del contratto definitivo, sia perché di fatto il promittente
venditore rimase - vita sua natura durante - nel godimento del bene immobile, oggetto del preliminare di vendita, sia perché l’evento letale,
verificatosi medio tempore prima della stipulazione del contratto definitivo, non aveva carattere di straordinarietà e imprevedibilità, sia, infine,
perché contestualmente alla citazione introduttiva del giudizio la vedova del promittente venditore e beneficiaria anch’essa dell’usufrutto fu
invitata a stipulare il contratto definitivo, per cui il successivo ritardo
deve imputarsi a colpa della stessa
(Cass. civ., 9.6.90, n. 5618, cit.).
Dunque, il rimedio della risoluzione per eccessiva onerosità
sopravvenuta sarebbe precluso al debitore in mora, in quanto tale sopravvenienza andrebbe accertata con riferimento alla data
della citazione e contestuale diffida a stipulare, rimanendo, successivamente, il relativo rischio in capo al debitore stesso.
Pertanto,
356
CAPITOLO X
alla stregua delle indicate peculiarità del caso, si evidenzia già che la
realizzazione del previsto assetto definitivo degli interessi nei confronti
del promittente venditore si era di fatto attuato a favore dello stesso,
che, rimasto insieme con la moglie nel godimento dell’appartamento
promesso in vendita, aveva ricevuto l’integrale pagamento del prezzo
pattuito, contestualmente alla conclusione del preliminare di vendita,
mentre, trattandosi di preliminare, il trasferimento del dominio
sull’appartamento al momento della stipula dell’atto pubblico sarebbe
potuto avvenire, secondo l’intervenuto accordo, in qualsiasi momento a
richiesta del compratore il che rendeva indifferente per il venditore tale
momento, rimesso solo alla scelta del compratore, a cui carico passava
il relativo rischio. Consegue, dai rilievi di cui innanzi in relazione al
caso di specie, che la morte del promittente venditore, intervenuta nelle
more della stipulazione dell’atto definitivo, né rende impossibile la stipulazione del contratto definitivo, in conformità alle pattuizioni e previsioni del preliminare, con l’automatica variante prevista della riunione dell’usufrutto e della proprietà nella stessa persona dell’acquirente
(ex articolo 1014 n. 2 c.c.), perché gli eredi succedono nella identica posizione creditoria e debitoria del loro dante causa, né rende applicabile
l’istituto della risoluzione per eccessiva onerosità sopraggiunta (art.
1467 c.c.)
(Cass. civ., 9.6.90, n. 5618, cit.).
Il medesimo orientamento ha, poi, trovato conferma anche
con riferimento alla pur diversa ipotesi della morte dell’usufruttuario sopravvenuta alla sentenza di primo grado con la quale era
stata accolta la domanda ai sensi dell’art. 2932 c.c.:
con riguardo ad un contratto preliminare di vendita, che abbia ad
oggetto la nuda proprietà di un immobile, con riserva dell’usufrutto al
promittente venditore, la morte di detto contraente intervenuta dopo la
pronuncia, in primo grado, di sentenza costitutiva a norma dell’art.
2932 c.c. non comporta ostacolo alla conferma della sentenza medesima nel giudizio di gravame e nei confronti degli eredi del promittente
venditore, in quanto non configura una situazione di sopravvenuta
impossibilità di adempimento del detto preliminare, ma comporta soltanto l’automatica variante del trasferimento della piena proprietà del
bene
(Cass. civ., 10.12.93, n. 12155, in Giur. It., 1994, I, 1, 1502).
Tutto sta, a quanto pare, a stabilire il momento in cui possa
considerarsi inadempiente il promittente venditore, onde stabili-
I PROFILI SUCCESSORI DEL CONTRATTO PRELIMINARE
357
re con esattezza in capo a chi incomba il rischio di eventuali sopravvenienze portatrici di un certo squilibrio nel sinallagma dello statuto negoziale posto in essere.
Pertanto, dal momento che, in mancanza di formale intimazione ad adempiere e dei presupposti dell’istituto della mora ex
re, occorre fare riferimento al momento di notificazione dell’atto
di citazione della domanda ex art. 2932 c.c., deve concludersi che
la medesima domanda di esecuzione in forma specifica non possa essere accolta ove il promittente sia venuto a mancare prima
della sua introduzione e/o di un precedente atto di messa in mora.
In tal caso, infatti, il promittente alienante risulterebbe ancora essere pieno proprietario. Dunque l’apertura della sua successione determinerebbe la devoluzione agli eredi del medesimo diritto di piena proprietà e nessun principio giuridico potrebbe, in
conclusione, costringere questi ultimi a concludere un contratto
di vendita con riserva, a favore loro e non del de cuius, del diritto
di usufrutto (NATALI).
3.4. Il contratto preliminare di vendita di quota ereditaria da parte di uno dei coeredi. Efficacia paralizzante e prevalente dell’art. 732 c.c. sull’azione di
cui all’art. 2932 c.c.
La disposizione di cui all’art. 732 c.c. propone un modello di
prelazione legale volto a realizzare l’intento di evitare l’ingresso
di terzi nella comunione ereditaria. Si tratta del c.d. retratto successorio, istituto che impone al coerede che voglia alienare ad un
estraneo la sua quota ereditaria, o parte di essa, di notificare la
proposta di alienazione agli altri coeredi, onde permettergli di
esercitare il diritto di prelazione e, dunque, di sostituirsi al compratore nel termine di due mesi dall’ultima delle notificazioni.
In mancanza di tale notificazione, si dice, «i coeredi hanno
diritto di riscattare la quota dall’acquirente e da ogni successivo
avente causa, finché dura lo stato di comunione ereditaria», ragione per cui la dottrina tradizionale riconosce da sempre carattere di realità all’istituto in discorso (CAPOZZI).
358
CAPITOLO X
Il legislatore ha, quindi, previsto questa garanzia a favore dei
partecipanti di una comunione ereditaria e l’ha strutturata, sostanzialmente, in due fasi: la prima attiene all’esercizio del diritto
di prelazione, ossia del diritto di credito ad ottenere notifica, dal
coerede interessato, della sua proposta di alienazione; la seconda
fase, invece, è collocata in un momento logicamente successivo
ed ha un valore essenzialmente eventuale, subordinato al caso in
cui la predetta notificazione sia mancata. In tale eventualità, il o
i coeredi lesi avranno il potere di riscattare la quota o la relativa
parte di cui si è disposto dall’acquirente e da ogni suo avente
causa, configurandosi in tal modo una sorta di diritto di sequela
da cui si è costruita la realità sostanziale del particolare diritto di
prelazione in esame.
Occorre, innanzitutto, interrogarsi circa l’individuazione di
tale estraneo. Sul punto, è condiviso l’orientamento secondo cui
estraneo è chiunque non sia coerede: dunque, chiunque non partecipi all’eredità di cui fa parte la quota ceduta, rientri o meno
nella famiglia del defunto, o, anche, chiunque non sia legato da
parentela con i coeredi del de cuius.
Ne consegue, da un lato, che è possibile che si verifichi il caso
in cui sussista su uno o più beni ereditari il diritto di proprietà,
derivante da diverso titolo, di un altro soggetto, il quale dovrà
essere considerato estraneo (CAPOZZI), e, dall’altro, che, potendo
rientrare nella comunione ereditaria un soggetto non legato al
defunto da vincoli di parentela, qualora vi sia chiamato da disposizioni di ultima volontà di quest’ultimo, la ratio della disposizione deve rinvenirsi nel favorire la concentrazione dei beni,
oggetto della detta comunione, nelle mani di pochi soggetti, al
fine di agevolare le operazioni divisorie, consentire un più razionale sfruttamento economico del patrimonio ereditario e scongiurare l’insorgere di liti tra i coeredi (D’ORAZI; FLAVONI).
Non si considera estraneo il coniuge del coerede acquirente
in regime di comunione legale, il quale abbia beneficiato dell’acquisto ex art. 177 lett. a) c.c., in ragione della conclamata natura
ex lege del suo acquisto.
Infatti, a parere della giurisprudenza,
I PROFILI SUCCESSORI DEL CONTRATTO PRELIMINARE
359
qualora due coniugi, in regime di comunione legale dei beni, abbiano acquistato quote indivise di eredità, deve escludersi che gli altri
coeredi abbiano il diritto di riscatto nei confronti della quota acquistata dal coniuge estraneo alla comunione. In una tale evenienza, infatti,
la qualità di partecipe della comunione ereditaria di uno dei coniugi
esclude il diritto di prelazione all’acquisto in favore degli altri coeredi,
che la disposizione dell’articolo 732 riconosce solo nell’ipotesi in cui
un coerede intenda alienare la sua quota o parte di essa a un estraneo,
ossia a chi non partecipi all’eredità di cui si tratta
(Cass. civ., 8.3.05, n. 9231, in Fam. pers. succ., 2006, 218).
Peraltro, un’altra pronuncia di legittimità, nel medesimo solco ermeneutico, ha stabilito che
deve negarsi qualità di estraneo al figlio ex filio del de cuius
(Cass. civ., 28.1.00, n. 981, in Nuova giur. comm., 2000, I, 682).
Proseguendo, bisogna sottolineare la corretta considerazione
che “alienazione di quota o parte di essa” deve intendersi nel
senso di cessione di una porzione frazionaria di beni ereditari nel
loro complesso, intesa come
porzione ideale dello universum ius defuncti
(Cass. civ., 7.12.99, n. 13704, in Riv. not., 2000, 1201).
Sembrerebbero esclusi, pertanto, i casi in cui si negozino singoli beni ereditari o singole quote degli stessi, se non fosse che in
tempi più recenti la Suprema Corte ha precisato che
l’alienazione di un singolo cespite determinato non ostacola
l’esercizio del diritto di prelazione, quando la fattispecie concreta evidenzi la volontà di considerare il bene in funzione rappresentativa o
come indice espressivo della quota o di parte di essa; quando, invece,
con l’alienazione di beni specifici e determinati, i contraenti non abbiano inteso sostituire il terzo nella posizione dell’erede o comunque
immetterlo nel patrimonio ereditario o in parte di esso, non sussiste la
condizione fondante l’azione di riscatto poiché la vendita ha per oggetto esclusivamente l’immobile determinato e specificato nel rogito e non
determina l’inserimento dell’acquirente nella comunione o nel patrimonio ereditario
(Cass. civ., 23.4.10, n. 9744, in Mass. Giust. civ., 2010, 4, 595).
360
CAPITOLO X
Analoghe conclusioni devono ripetersi anche per l’ipotesi in
cui il bene compravenduto costituisca l’intera massa ereditaria.
Tant’è che, in caso di alienazione di quota indivisa dell’unico cespite ereditario, sì è individuata una presunzione di alienazione
di quell’anzidetta porzione ideale dell’eredità, consentendo, di
conseguenza, l’applicabilità dell’istituto indagato.
In merito,
resta salva la prova del retrattato che, invece, la vendita ha ad oggetto un bene a sé stante: tale prova deve basarsi su elementi concreti della
fattispecie e intrinseci al contratto, con esclusione del comportamento
del retraente, estraneo al contratto medesimo
(Cass. civ., 28.10.10, n. 22086, in Mass. Giust. civ., 2010, 10, 10, 1380).
A lungo, poi, si è dibattuto circa le fattispecie negoziali che
sembrerebbero incluse nell’alveo del termine alienazione utilizzato dal legislatore. C’è chi ha voluto interpretare in senso molto
restrittivo la parola, in modo da ricomprendere soltanto i contratti di compravendita. Altri, invece, hanno voluto leggere nel
termine un’estensione ad ogni negozio concluso a titolo oneroso,
conferendo all’espressione prezzo il senso di valore di scambio
del bene negoziato.
Del pari, non è mancata un’opinione per così dire intermedia, assai condivisibile, secondo la quale detto retratto successorio sarebbe operativo ogni qualvolta si concluda un negozio che
a fronte del trasferimento della proprietà del bene preveda in
corrispettivo una prestazione perfettamente fungibile (FORCHIELLI — ANGELONI), come nel caso, innanzitutto, di ogni tipo
di vendita, inclusi i casi di vendita con patto di riscatto e riserva
di proprietà, per i quali dottrina autorevolissima ha formulato
acute osservazioni intese a consentire l’esercizio del diritto di
prelazione, nel primo caso, fino a quando non sia esercitato da
parte del coerede venditore il diritto di riscatto convenzionale e,
nel secondo, solo dal momento in cui, con il pagamento
dell’ultima rata, ha avuto luogo il trasferimento della proprietà
(CAPOZZI).
Altre ipotesi sono state incluse, come la permuta avente a
controprestazione cose generiche o la datio in solutum (nel solo
I PROFILI SUCCESSORI DEL CONTRATTO PRELIMINARE
361
caso in cui la prestazione originaria fosse fungibile) (CAPOZZI;
FORCHIELLI — ANGELONI).
In ogni caso, all’attenzione degli interpreti si è sempre imposto un tipo di negozio immediatamente produttivo dell’effetto
traslativo, tant’è che, per alcuni, nel contratto preliminare di
vendita di quota ereditaria, dove vi sono solo effetti obbligatori,
sembra non sussistere la prelazione, né l’obbligo di denuntiatio,
in quanto anche la volontà di alienare è soltanto in divenire, occorrendo un’ulteriore manifestazione di volontà per il prodursi
dell’effetto traslativo.
Tuttavia, mentre, da un lato, non può negarsi la fondatezza
del rilievo che il contratto preliminare sembrerebbe prima facie
essere escluso dal novero delle fattispecie negoziali coinvolte
dall’art. 732 c.c. nel meccanismo del retratto successorio, in
quanto la medesima disposizione si propone di paralizzare quelli
tra gli effetti che certamente sono più idonei a ledere gli interessi
dei coeredi, ossia effetti di tipo reale, dall’altro, come detto, assistiamo giorno dopo giorno ad un potenziamento del peso del
contratto preliminare nella predeterminazione dell’assetto di interessi negoziali e, oltretutto, non può nemmeno trascurarsi che
il coerede promittente alienante si obbliga, in virtù del contratto
preliminare, a prestare il consenso al trasferimento definitivo del
diritto di proprietà sulla quota ereditaria.
Pertanto, incomberà in capo al coerede promittente alienante
la notificazione agli altri coeredi della conclusione proprio del
contratto preliminare e non del successivo contratto cui il preliminare è preordinato, onde permettere ai coeredi di sostituirsi al
terzo nella posizione di promissari acquirenti, sebbene questi
siano impossibilitati ad esercitare fondatamente l’azione di riscatto prima della stipula del definitivo.
Sulla scorta di tali osservazioni, l’azione di riscatto, accordata
dalla disposizione analizzata, avrà sicura preminenza rispetto
all’esecuzione in forma specifica di cui all’art. 2932 c.c., e, anzi, si
è osservato che la stessa proponibilità dell’azione di riscatto configura un’ipotesi di impossibilità giuridica della detta domanda
di esecuzione in forma specifica, in quanto la sentenza emessa ai
sensi dell’art. 2932 c.c. non potrebbe precludere l’esercizio del
362
CAPITOLO X
c.d. retratto successorio ed i suoi effetti sarebbero, dunque, destinati ad essere rimossi (CAPOZZI).
La Suprema Corte si è interessata dell’argomento in discorso,
ammettendo implicitamente la conclusione prospettata e affermando, peraltro, che
l’assenso prestato dai coeredi in relazione ad un determinato preliminare non esclude che essi possano esercitare il retratto successorio
della quota, qualora essa sia stata alienata a persona diversa
dall’originario commissario acquirente
(Cass. civ., 27.11.06, n. 25041, in Giust. civ., 2007, I, 2763).
3.5. L’electio amici testamentaria e la trasmissione testamentaria della facultas amicum eligendi.
Si concentri, adesso, l’attenzione sulla questione se, una volta
qualificato l’atto negoziale come contratto preliminare per sé o
per persona da nominare, ex art. 1401 c.c., l’ereditando possa
sciogliere la riserva di nomina per mezzo di una clausola testamentaria, e se lo stesso potere di nomina possa, a sua volta, costituire oggetto di lascito testamentario.
Secondo autorevole dottrina, non sembra potersi dubitare che
“nel contratto stipulato con la clausola per sé o per persona da
nominare possa aversi successione (…) per atto mortis causa”
(CARRESI).
Tale affermazione potrebbe considerarsi la naturale conseguenza dell’accoglimento del principio, in precedenza descritto,
dell’automatico subingresso dell’erede, al momento di apertura
della successione, nelle posizioni contrattuali in atto, salva diversa incidenza che ha su di essi la morte del de cuius (MINUSSI).
La trasmissione testamentaria dei rapporti contrattuali non
intuitus personae, si è detto, costituisce un fenomeno naturale, al
contempo necessario, in quanto diversamente, in presenza di
rapporti privi di titolare, sarebbe pregiudicata fatalmente la certezza dei traffici giuridici. Le norme che presiedono alla successione mortis causa esprimono il favore “verso la continuazione di
tutti i rapporti patrimoniali appartenenti al de cuius, al fine di
I PROFILI SUCCESSORI DEL CONTRATTO PRELIMINARE
363
assicurarne la completa attuazione e, per l’effetto, di tutelare la
continuità dei diritti reali, o almeno di alcuni di essi, e dei rapporti obbligatori, oltre la vita dell’originario titolare, sì da proteggere l’interesse del successore, o quello dell’altra parte non deceduta del rapporto obbligatorio e, in ogni caso, l’interesse generale all’esecuzione dei contratti e all’adempimento delle obbligazioni” (TULLIO).
Alla stregua di ciò, in presenza di un contratto preliminare
per sé o per persona da nominare, non seguito da successiva stipula del definitivo al tempo della morte di una delle parti, il
successore subentra, a seconda dei casi, ora nella posizione del
promittente alienante ora in quella del promittente acquirente.
Pertanto, ragioni di coerenza logica suggerirebbero di ritenere
ammissibile anche la caduta in successione della electio amici.
Non sembrerebbero, secondo la già citata dottrina, sussistere ragioni che impediscono di riconoscere al de cuius il potere di disciplinare direttamente nel testamento, nei limiti di legge, la sorte dei contratti a parziale indeterminatezza soggettiva, nominando direttamente l’eletto nel testamento.
Ostacoli al riconoscimento di siffatte clausole testamentarie, a
contenuto non patrimoniale, potrebbero porsi qualora si accolga
quell’orientamento dottrinale che limita l’ammissibilità delle
clausole testamentarie a contenuto non patrimoniale alle sole ipotesi previste dal legislatore, sulla scorta di un’interpretazione
restrittiva dell’articolo 587 c.c. (MESSINEO; PUGLIATTI).
Tuttavia, si è osservato che il testamento è un involucro contenente una moltitudine di disposizioni, ciascuna delle quali è
un negozio a sé stante. Il testamento non sarebbe cioè un negozio unico, ma forma idonea a comprendere al suo interno una
pluralità di negozi a causa di morte (BETTI).
Il conferimento al soggetto del potere di disporre delle proprie sostanze mortis causa mediante il testamento e la conseguente assegnazione al negozio di una causa tipica rispondente alla
generica funzione che la legge gli riconosce, ossia quella di regolare gli interessi patrimoniali del disponente per il tempo successivo alla sua morte, rendono ultronea la configurazione di tante
cause autonome quante sono le singole disposizioni testamentarie. Delle due l’una: o si nega che è riconosciuto al soggetto il
364
CAPITOLO X
potere di disporre mortis causa delle sue sostanze a mezzo del testamento, ponendosi, tuttavia, contro l’espresso dettato normativo dell’art. 587 c.c. ovvero si ammette tale potere ed allora non
ha senso richiedere un’autonoma giustificazione causale per ognuna delle disposizioni testamentarie. Infatti, la giustificazione
causale è unica ed è identica per qualsiasi disposizione a titolo
universale o particolare contenuta nel testamento, in quanto questa presuppone il riconoscimento al disponente di un generale
potere di disposizione mortis causa (VISALLI).
Dalla lettura integrata dei due termini («dispone» nell’art.
587, 1º co. e «disposizioni» nell’art. 588), nelle ricostruzioni
maggiormente risalenti, si è affermata l’idea che il testamento si
connoti, nella sua essenza, come atto ad efficacia attributiva,
giungendo a qualificare l’alternativa posta dall’art. 588 come
“contenuto tipico” del testamento, proprio per sottolineare la
normale destinazione dell’atto rispetto all’eventuale diverso contenuto (anche non patrimoniale) che viene residualmente definito come «atipico» (BONILINI).
Sembra, tuttavia, preferibile,
per uniformità, conservare ai due termini il significato generale, a
seconda che il loro «contenuto» sia o meno espressamente previsto
(Cass. civ., 28.11.84, n. 6190, in Mass. Giur. it., 1984).
In realtà, una simile visione del contenuto del testamento
sconta, come altri istituti già richiamati, un eccessivo condizionamento ermeneutico del dato letterale della normativa in questione.
Ciò comporta, quale immediata conseguenza, la formazione
di una zona grigia per quelle clausole, non patrimoniali o patrimoniali non attributive, non coperte dalla disciplina di rinvio
del secondo comma dell’art. 587 c.c.
In verità le disposizioni testamentarie non previste dalla legge
possono essere validamente inserite nel testamento laddove si riconosca al de cuius una piena autonomia testamentaria, elevando,
come molti sostengono, la regula iuris dell’art. 1322 c.c. a principio generale dell’ordinamento giuridico non circoscrivibile ai soli contratti (GIAMPICCOLO; BIANCA; BIN).
I PROFILI SUCCESSORI DEL CONTRATTO PRELIMINARE
365
Così, la portata normativa dell’art. 587 c.c. diviene armonizzabile con la funzione propria del testamento di consentire al de
cuius di regolamentare i propri interessi per il tempo successivo
alla morte, considerandolo come atto di «regolamento» mortis
causa degli interessi del testatore (TRABUCCHI).
Il requisito della «patrimonialità» si allarga più genericamente
agli «interessi» facenti capo ad esso, ponendo in risalto la funzione programmatico-regolamentare del testamento, quale fonte
del regolamento della successione del suo autore.
Il testatore, in altri termini, al di là dei limiti imposti
dall’intangibilità della legittima, dal divieto dei patti successori e
del fedecommesso, e dalle norme imperative, può inserire nel testamento qualunque disposizione di ultima volontà meritevole
di tutela, in quanto conforme alla tavola valoriale dell’ordinamento giuridico, fino ad arrivare anche a clausole a contenuto
bizzarro o capriccioso, verso le quali l’ordinamento assumerebbe
un atteggiamento di piena indifferenza (RESCIGNO).
Chiarito ciò, l’ammissibilità della electio amici testamentaria
potrebbe anche giustificarsi alla luce della funzione, ancora più
meritevole di tutela e di considerazione, sussistente nel caso in
cui lo stipulante risulti essere legato al futuro eligendo da un contratto di mandato, e muoia senza avere effettuato la dichiarazione di nomina nei termini convenzionalmente stabiliti, mentre gli
eredi non intendano designare il mandante superstite.
In tal caso, l’electio amici testamentaria permetterebbe di arginare le conseguenze correlate alla morte del mandatario.
Infatti, in base al combinato disposto degli articoli 1722 e
1728 c.c., la sopravvivenza del contratto di mandato non opera
nel caso di morte del mandatario, tanto per l’eventualità
dell’inidoneità dei successori, in ragione della tutela degli interessi del mandante, tanto perché non può trasmettersi agli eredi
l’adempimento della prestazione, in quanto ad essi non risulta
essere imposto un determinato comportamento cui era tenuto il
mandatario (PADOVINI).
Tuttavia,
si trasmettono agli eredi le obbligazioni che in esito all’esecuzione
del mandato si siano consolidate a carico del mandatario prima della
366
CAPITOLO X
sua morte, e, quindi, prima dell’estinzione del mandato nei confronti
del mandante
(Cass. civ., 9.4.53, n. 924, in Foro it., 1953, I, 876).
In definitiva, gli eredi del mandatario devono soltanto, laddove abbiano conoscenza del mandato, avvertire prontamente il
mandante e prendere, intanto, nell’interesse di quest’ultimo, i
provvedimenti resi necessari dalle circostanze.
Per quanto riguarda, invece, la trasmissione mortis causa della
facultas amicum eligendi, il diritto comune non esitava a risolverla
negativamente, una volta assunta la dichiarazione come una qualità personale del disponente.
In realtà, giova osservare che una parte autorevole della dottrina perviene a conclusioni maggiormente permissive. Si è infatti osservato che il potere di nomina è certamente trasmissibile
per atto mortis causa, mentre, per quanto riguarda la trasmissione inter vivos, essa è concepibile solo mediante cessione del contratto, dal momento che, in realtà, la cessione del solo potere di
nomina si configurerebbe come una mera delega e gli effetti del
mancato esercizio ricadrebbero, in tal caso, senza dubbio alcuno,
nella sfera dello stipulante (CARRESI; GAZZONI).
Il diritto di scelta consisterebbe, infatti, nel riconoscimento
allo stipulante del potere di incidere sul profilo soggettivo del
rapporto giuridico con una manifestazione unilaterale di volontà,
senza che il promittente possa fare alcunché: la realizzazione
dell’interesse dello stipulante, infatti, si attua indipendentemente
dalla volontà di colui che deve subirne gli effetti. La facultas eligendi costituirebbe, quindi, secondo la ricostruzione appena riferita, un diritto potestativo, che, in quanto tale, non potrebbe
non considerarsi trasmissibile per atto mortis causa (GAZZONI).
In senso contrario, alla circolazione successoria del diritto di
scelta non potrebbe neppure addursi l’interesse del promittente a
non vedere modificato il profilo soggettivo del rapporto senza il
proprio consenso. Per il promittente sarebbe cioè indifferente
che la nomina venga direttamente effettuata dallo stipulante oppure, a sua volta, da un terzo, in quanto, in entrambi i casi,
l’eligendo ben potrà essere un terzo diverso dallo stipulante. In
altri termini, secondo l’orientamento in commento, il promit-
I PROFILI SUCCESSORI DEL CONTRATTO PRELIMINARE
367
tente, acconsentendo all’inserimento della clausola per sé o per
persona da nominare nel contratto, avrebbe pienamente rimesso
all’esclusiva ed unilaterale facultas dello stipulante il potere di
incidere sulla modificazione del profilo soggettivo del rapporto
giuridico.
Tuttavia, rispetto alla trasmissione del mero potere di nomina, si tende a contenere la libertà con cui si accoglie la successibilità nella detta facultas, ammettendola soltanto relativamente al
fenomeno successorio mortis causa, e ritenendo, al contrario, necessario, per la trasmissibilità inter vivos, il ricorso alla cessione
dell’intero contratto (GAZZONI; VISENTINI).
Si aggiunga, poi, il carattere di assoluta fungibilità della persona dell’electus, quale soggetto del rapporto che dovrà costituirsi
con il promittens, nonché il più ampio arbitrio che il promittens
stesso ha riconosciuto allo stipulans nel fare l’electio, e si vedrà
che il carattere impersonale della nomina non può essere messo
in dubbio (ENRIETTI).
Secondo parte della dottrina, se non sussistono preclusioni alla circolazione del potere di scelta per il tramite del veicolo testamentario, il problema riguarderebbe l’ipotesi in cui la scelta
non venga effettuata dal nuovo titolare. In particolare, in tale eventualità, occorrerebbe stabilire se costui acquisti i diritti e assuma gli obblighi nascenti dal contratto o se invece gli effetti
contrattuali si riversino in capo allo stipulante. Questa ultima
soluzione sembra preferibile, fatti salvi eventuali diversi accordi
fra lo stesso stipulante e il cessionario del diritto di scelta. In sostanza, l’orientamento dottrinario in commento, tenuto conto
del fatto che oggetto dell’eventuale legato sarebbe il mero diritto
potestativo di scelta, ritiene che gli effetti contrattuali dovrebbero consolidarsi nei confronti degli eredi, in veste di stipulante,
laddove il potere di nomina non venga esercitato dal legatario
(CARRESI).
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CAPITOLO X
4. La trasmissibilità del patto di prelazione quale figura affine.
Si analizzi, in conclusione, la figura del patto di prelazione,
accordo con il quale una parte assume l’impegno a preferire
l’altra parte nella conclusione di un contratto, ferma restando la
più ampia autonomia dell’obbligato nella determinazione di
contrattare o meno. Ciò vale a distinguere la fattispecie in esame
dal c.d. contratto preliminare unilaterale, in virtù del quale un
soggetto si impegna a prestare il consenso alla stipula di un contratto definitivo con un altro soggetto, ove questo, e solo questo,
decida di addivenirvi.
Da tempo, ormai, si discute circa la trasmissibilità tanto inter
vivos quanto mortis causa del patto di prelazione, sia nella posizione del beneficiario sia nella posizione del promittente.
Deve, innanzitutto, precisarsi che, a tendenziale parere della
dottrina (FAVA — RICCIUTO), le situazioni scaturenti dal patto in
discorso non risultano funzionalmente legate alle identità personali di coloro che ne sono titolari, dunque sembrerebbero riconducibili a posizioni assolutamente fungibili.
Pertanto, quanto alla trasmissibilità inter vivos del diritto del
prelazionario, mentre, da un lato, non può negarsene la cedibilità, dall’altro, non si può nemmeno tralasciare che il concedente
potrebbe avere interesse a non vedere sostituito colui che egli aveva originariamente elevato a beneficiario del diritto. Dunque,
sembra opportuno ricorrere allo schema predisposto dall’art.
1406 c.c., sull’assunto, come visto ancora dibattuto, che la cessione di contratto non possa validamente perfezionarsi senza il
consenso del contraente ceduto, sottolineando che il meccanismo
prospettato debba essere comunque escluso nel momento in cui
la posizione sia legata a caratteristiche o qualità peculiari
dell’originario prelazionario ovvero qualora le parti abbiano espressamente escluso che il diritto di prelazione possa andare a
vantaggio di soggetti diversi da questo (FAVA; VISALLI). Altri ancora ritiene che tale trasferimento debba essere altresì escluso
quando il contratto finale cui è collegato il patto non sia cedibile
e, in ogni caso, ove la prelazione sia stata concessa a titolo gratuito (SACCO), di talché la presenza di un corrispettivo, all’op-
I PROFILI SUCCESSORI DEL CONTRATTO PRELIMINARE
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posto, potrebbe essere utile nell’orientare l’interprete nel senso
della cedibilità (ROPPO).
Analoghi rilievi devono essere compiuti per la posizione del
promittente, reputata, ormai da più parti (per tutti BONILINI),
liberamente trasmissibile con atto inter vivos, in quanto mancante della stretta correlazione con la persona del titolare, e, pertanto, espressiva di una posizione tutt’altro che infungibile, salvo
che, si ripete, le parti abbiano manifestato espressamente la loro
volontà di evitare tale sostituzione.
Quanto alla trasmissibilità a causa di morte, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che
la tesi sulla intrasmissibilità, per successione mortis causa, dell’obbligo di preferire coeteris paribus e/o del diritto correlativo è giuridicamente infondata. Riguardo al primo profilo, è principio generale del
nostro ordinamento giuridico che l’obbligazione costituisca parte integrante del patrimonio dell’obbligato, di cui rappresenta un aspetto passivo, e che di conseguenza si trasferisce agli eredi, allorché l’intero centro economico, ovverosia beni, diritti, obbligazioni ed oneri, per la
perdita dell’originale titolare, passa al di lui successore. Fanno certamente eccezione le ipotesi in cui la prestazione, per legge, per sua natura o per espressa volontà delle parti, sia collegata indissolubilmente con
la persona dell’obbligato, come nelle obbligazioni personalissime e in
quelle dipendenti da un intuitus persone. Ora, l’obbligazione di preferire
inerente al patto di prelazione, pur avendo per suo contenuto un facere,
non può astrattamente ed in tesi generale considerarsi assunta intuitu
persone. Invero, non ogni obbligazione di fare ha carattere personale e
non è trasmissibile passivamente agli eredi, com’è dimostrato dalla trasmissione degli obblighi nascenti dal contratto preliminare agli eredi.
La verità è che bisogna distinguere se il facere sia o meno fungibile. La
trasmissione è esclusa solo quando ha come contenuto un fare infungibile cioè quando la prestazione sia collegata indissolubilmente con la
persona dell’obbligato. Nel patto di prelazione, tale collegamento, salvo
diversa volontà delle parti, non sussiste. Il presupposto per l’esercizio
della prelazione è, infatti, che l’obbligato manifesti la sua volontà di
vendere. Ma, posto che tale manifestazione promani da chi sia legittimato all’alienazione, è indifferente che a compierla sia, o meno,
l’obbligato originario. Anche dal lato attivo, il diritto di prelazione e
riscatto può essere raccolto, iure successionis, insieme a tutti gli altri diritti e poteri di natura patrimoniale inerenti alla eredità, dall’erede, o
dagli eredi, dell’oblato. L’opinione contraria contraddice manifesta-
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CAPITOLO X
mente il principio generalmente operante in materia di delazione ereditaria, secondo cui, di regola, i diritti di natura patrimoniale debbono
ritenersi trasmissibili mortis causa. Dal momento che, per comune ammissione, il diritto di prelazione e di riscatto ha contenuto patrimoniale, non è infatti possibile negare la sua trasmissibilità a favore dell’erede
del promissario defunto e ritenere invece che esso spetti esclusivamente
alla cerchia dei promissari originari. Del resto, questa Corte, in totale
adesione alla tesi assolutamente prevalente nella dottrina occupatasi
della trasmissibilità mortis causa del rapporto di prelazione, ha avuto
modo di affermare il principio secondo il quale l’obbligazione nascente
dal patto di prelazione è, salva diversa ed espressa volontà delle parti,
trasmissibile agli eredi sia del promittente che del promissario della prelazione, non trattandosi di una prestazione di fare collegata necessariamente ed indissolubilmente con la persona dell’obbligato
(Cass. civ., 22.2.01, n. 2613, in Mass. Giust. civ., 2001, 304).
Peraltro la giurisprudenza sembrerebbe aver ammesso implicitamente la medesima trasmissibilità anche con riferimento alle
prelazioni legali in una pronuncia ove si afferma che
in materia di alienazione di immobili di edilizia residenziale pubblica, poiché il diritto di prelazione a favore dell’ente assegnante, ex art.
28, l. n. 513 del 1977, permane fino alla prima cessione inter vivos a titolo particolare, gli eredi dell’assegnatario subentrano nella soggezione
alla prelazione cui era tenuto il de cuius
(Trib. Ferrara, 27.3.06, in Riv. not., 2006, 1525).
Dunque, con riferimento all’ipotesi della dipartita del concedente, non sussistono ostacoli alla configurazione della trasmissibilità ai suoi eredi dell’obbligo di preferire il soggetto prelazionario, nel rispetto dei tradizionali principi che regolano le successioni mortis causa, sempre che gli si trasmetta anche la legittimazione a porre in essere quel determinato contratto oggetto di
prelazione. Infatti, si ripete, non c’è motivo per ritenere l’obbligo
di preferire, obbligazione di puro facere, oggetto di una prestazione infungibile, e questo anche nel caso in cui l’erede del promittente abbia accettato l’eredità con beneficio d’inventario (GABRIELLI). Tuttavia, ove il trasferimento avesse luogo in virtù di
una disposizione mortis causa a titolo particolare, il legatario non
sarà tenuto a rispettare la prelazione, in quanto tale obbligo si
I PROFILI SUCCESSORI DEL CONTRATTO PRELIMINARE
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estinguerebbe, al momento stesso della successione a titolo particolare, per mancanza dell’essenziale elemento della parità di
condizioni, esclusa dalla natura di atto a titolo gratuito del legato (FAVA).
Ove, viceversa, venga a mancare il prelazionario, producendosi il subingresso dei suoi eredi nell’intera posizione giuridica attiva del defunto, non vi sarebbero ostacoli alla trasmissione,
nell’ambito di questa, della posizione nascente dal patto di prelazione. È, del pari, possibile che il prelazionario disponga del suo
diritto anche a titolo di legato, predisponendo, verosimilmente,
un legato di posizione contrattuale, ovvero un legato di credito.
In conclusione, è, ormai, opinione consolidata, in dottrina e
giurisprudenza, che entrambe le posizioni, attiva e passiva, in cui
si sostanziano gli effetti del patto di prelazione, siano liberamente trasmissibili, il che, tralasciando la differenza strutturale sopra
tracciata con riferimento al c.d. preliminare unilaterale, rende
particolarmente affini, sotto questo come altri aspetti, le fattispecie del contratto preliminare e del patto di prelazione.