Verso una migliore governance economica nella zona euro

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Verso una migliore governance economica nella zona euro
Verso una migliore governance
economica nella zona euro:
preparativi per le prossime fasi
Nota analitica
Jean Claude Junker
in stretta collaborazione con
Donald Tusk,
Jeroen Dijsselbloem
e Mario Draghi
Consiglio europeo informale
12 febbraio 2015
Consiglio europeo informale, 12 febbraio 2015
Verso una migliore governance economica
nella zona euro:
preparativi per le prossime fasi
Nota analitica
Introduzione
Il Vertice euro del 24 ottobre 2014 ha concluso che “per assicurare il corretto funzionamento
dell’Unione economica e monetaria è essenziale un coordinamento più stretto delle politiche
economiche”, ha chiesto di proseguire i lavori intesi “a sviluppare meccanismi concreti per un
coordinamento, una convergenza e una solidarietà più solidi tra le politiche economiche” e ha invitato
il presidente della Commissione, in stretta collaborazione con il presidente del Vertice euro, il
presidente dell’Eurogruppo e il presidente della Banca centrale europea, “a predisporre le prossime
misure volte a migliorare la governance economica nella zona euro”.
Il Consiglio europeo del 18 dicembre 2014 ha confermato il mandato conferito ai quattro presidenti,
a cui è stato chiesto anzitutto di elaborare una nota analitica come base di discussione per il Consiglio
europeo informale del 12 febbraio 2015.
La presente nota analizza la situazione attuale dell’Unione economica e monetaria (UEM),
individuando le principali lacune del quadro UEM messe in evidenza dalla crisi, descrivendo le misure
adottate finora per porvi rimedio e preparando le discussioni sulle prossime fasi. Nessun elemento
della presente nota pregiudica il contenuto definitivo della relazione dei quattro presidenti, che sarà
redatta in funzione dell’esito delle discussioni del 12 febbraio tra i capi di Stato e di governo nonché
degli ulteriori lavori e delle consultazioni svolte in previsione del Consiglio europeo di giugno.
1. La natura dell’Unione economica e monetaria
L’euro è attualmente la moneta comune di 19 Stati membri dell’UE e di oltre 330 milioni di cittadini.
Nonostante la crisi, l’euro è la seconda moneta al mondo per importanza, con una quota del 24,4%
(18% nel 1999) delle riserve valutarie mondiali contro il 61,2% del dollaro statunitense. 59 paesi e
territori di tutto il mondo hanno vincolato, direttamente o indirettamente, la loro moneta all’euro.
L’euro non è solo una moneta, è anche un progetto politico. Gli Stati membri che aderiscono alla
nostra Unione monetaria devono abbandonare definitivamente la moneta nazionale e condividere
permanentemente la sovranità monetaria con gli altri paesi della zona euro. I 19 Stati membri la cui
moneta è l’euro condividono quindi un “destino comune” che richiede solidarietà nei periodi di crisi e
rispetto, da parte di tutti, delle regole stabilite di comune accordo.
La zona euro ha un assetto istituzionale specifico. Mentre la politica monetaria viene decisa di
comune accordo a livello europeo, le politiche economiche e di bilancio rimangono in larga misura di
competenza degli Stati membri. Questo significa che le vulnerabilità di uno Stato membro possono
estendersi all’intera zona euro. Il successo economico, quindi, è nell’interesse di tutti. Un’Unione
monetaria può avere successo solo se, col passare del tempo, procura maggiori vantaggi ai paesi che
vi aderiscono rispetto agli altri. Per questo motivo, tutti gli Stati membri devono partecipare
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pienamente, considerando le loro politiche economiche e di bilancio una questione di interesse
comune.
I trattati definiscono obiettivi chiari (crescita inclusiva e sostenibile, stabilità dei prezzi, posizioni di
bilancio solide e livelli di occupazione elevati) e il quadro dell’UEM contiene una serie di norme
comuni per coordinare al massimo queste politiche. La crisi ha dimostrato che, se il quadro presenta
lacune o non viene applicato in misura sufficiente, l’integrità dell’intera zona euro è a rischio e gli
obiettivi enunciati nei trattati non possono essere raggiunti. Per questo motivo negli ultimi anni ci si è
adoperati con il massimo impegno per cercare di garantire la piena compatibilità del quadro
dell’UEM con i requisiti associati alla condivisione di una moneta comune, ma l’obiettivo non è stato
ancora totalmente raggiunto.
2. Analisi retrospettiva: le molteplici cause della crisi
La crisi che ha colpito la zona euro nell’estate del 2007, e che ancora oggi incide sullo sviluppo
economico di diversi paesi che ne fanno parte, è dovuta a un gran numero di fattori, molti dei quali
sono comuni a tutti i paesi industrializzati, mentre altri caratterizzano più specificamente la zona
euro, dove hanno prolungato e accentuato gli effetti della crisi.
La crisi, che all’inizio era di natura prevalentemente finanziaria, è partita dal mercato statunitense
dei subprime per poi estendersi rapidamente al sistema finanziario interconnesso a livello mondiale,
comprese le banche e gli altri enti finanziari europei, in particolare nei paesi della zona euro, dove il
primo decennio d’oro dell’euro ha provocato bolle finanziarie e edilizie. La zona euro è stata
caratterizzata, in particolare, da un circolo vizioso tra banche e debito sovrano: poiché le banche che
erano diventate troppo sistemiche per fallire e che si trovavano in difficoltà finanziarie hanno chiesto
aiuto allo Stato, la stabilità del sistema bancario ha potuto essere garantita solo a scapito delle
finanze pubbliche dei paesi interessati e a prezzo di una maggiore frammentazione finanziaria (si
veda il grafico 1). In questi paesi, quindi, la crisi delle banche è diventata rapidamente una crisi delle
finanze pubbliche, con ripercussioni dirette sull’economia reale.
Grafico 1:
Tassi dei prestiti bancari
Rendimento dei titoli di Stato della zona euro
Prestiti alle imprese, percentuali annue
Rendimento a 10 anni (%, media mensile)
E
Fonte: BCE, Reuters, calcoli degli esperti della BCE
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La crisi si è poi trasformata in una crisi del debito sovrano. Il primo decennio di esistenza dell’euro
non ha determinato una riduzione duratura dei debiti e dei disavanzi pubblici al di sotto dei valori di
riferimento (3% e 60% del PIL) stabiliti dal trattato di Maastricht. Nel 2007 il debito pubblico nella
zona euro, che nel 1998 era pari al 72,8% del PIL, è sceso in media solo al 66,2% del PIL, nonostante
un contesto macroeconomico globalmente favorevole che avrebbe consentito un risanamento di
bilancio più pronunciato. Nel periodo 1999-2007 i disavanzi nella zona euro si sono attestati in media
all’1,9% del PIL, con un picco del 3,1% nel 2003. Non è stato possibile raggiungere l’obiettivo
strategico comune, cioè il pareggio o l’avanzo dei bilanci nazionali, in modo da ridurre i livelli del
debito pubblico. Spesso le norme di bilancio introdotte per contenere i disavanzi pubblici eccessivi (il
cosiddetto “patto di stabilità e crescita”) non sono state né rispettate né applicate.
Dal 1997 in poi, la maggior parte dei paesi della zona euro (tutti tranne l’Estonia e il Lussemburgo)
sono stati oggetto di una o più procedure per i disavanzi eccessivi. Nel 2003 le norme del patto sono
state in parte sospese da una maggioranza qualificata al Consiglio nel caso specifico delle procedure
per i disavanzi eccessivi nei confronti della Germania e della Francia. Nel 2005 il patto è stato oggetto
di una riforma che molti hanno visto come un indebolimento delle norme. Entrambe le iniziative
hanno intaccato la credibilità del patto. Quando gli effetti della crisi hanno cominciato a farsi sentire
nella zona euro, gli Stati membri sono intervenuti con consistenti pacchetti di incentivi e
conferimenti di fondi pubblici nei rispettivi sistemi bancari. Pur essendo necessarie per preservare la
stabilità finanziaria e attenuare l’impatto della crisi, in molti paesi queste misure hanno aumentato il
debito e il disavanzo pubblico portandoli a livelli nettamente superiori ai valori di riferimento di
Maastricht. Nel 2010 i disavanzi pubblici nella zona euro hanno raggiunto un picco del 6,2% del PIL
prima di essere riportati al 2,6% del PIL nel 2014. Il debito pubblico, che continua ad aumentare per
effetto delle misure adottate durante la crisi, ha raggiunto nel 2014 il 94,3% del PIL nella zona euro,
superando di gran lunga i livelli pre-crisi (si veda il grafico 2).
Grafico 2:
Debito e disavanzo della zona euro
1995-2013, % del PIL
Risanamento
recente
Debito
Crisi
Risanamento
pre-UEM
Primo decennio
dell'UEM
Disavanzo
Fonte: Commissione europea, BCE
La crisi che ha colpito la zona euro in seguito alle turbolenze finanziarie mondiali può essere definita
anche una crisi di competitività, scoppiata in un contesto che presentava già numerosi punti deboli.
Fino agli anni ‘90 si è registrato un progressivo avvicinamento ai livelli di produttività degli Stati Uniti,
ma poi il processo si è interrotto. In diversi paesi della zona euro il periodo del boom non è stato
utilizzato per ovviare alle rigidità esistenti nei mercati del lavoro e dei prodotti.
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In questo contesto, nel decennio successivo
all’introduzione dell’euro il costo del lavoro
(espresso come costo unitario del lavoro) è
notevolmente aumentato in diversi paesi della
zona euro, il che ha reso i loro prodotti più cari
determinando una perdita di competitività e
una bilancia dei pagamenti negativa rispetto
ad altri paesi della zona euro dove il costo del
lavoro era rimasto stabile o era addirittura
diminuito.
Variazione del tasso di disoccupazione (2009-2013)
Grafico 4: Variazioni del costo unitario del
lavoro (2001-2009) e del tasso di
disoccupazione
(2009-2013)
Variazione del CLUP (2001-2009)
Fonte: Eurostat
Nota: i dati riguardano i paesi della zona euro che hanno
aderito all’UEM prima del 2002; i dati utilizzati per il tasso di
disoccupazione sono quelli di settembre.
Grafico 3: Rigidità dei mercati del lavoro e dei
prodotti e variazioni del tasso di
disoccupazione
(2009-2013)
Variazione del tasso di disoccupazione (2009-2013)
Per contro, l’allineamento dell’offerta con la
domanda è risultato impossibile a causa di
vulnerabilità estremamente radicate. Le
notevoli rigidità nominali e reali hanno inoltre
impedito un’allocazione efficiente delle
risorse, ivi compreso tra i settori dei beni e dei
servizi scambiabili e non scambiabili,
ostacolando quindi il funzionamento del
canale della competitività (si veda il grafico 3).
Rigidità dei mercati del lavoro e dei prodotti (2008)
Fonte: Eurostat e OCSE
Nota: rigidità dei mercati del lavoro e dei prodotti misurate come
media degli indicatori OCSE relativi alla legislazione sulla tutela
dell’occupazione e all’autorità di regolamentazione del mercato.
Questo ha determinato un aumento dei tassi di
disoccupazione durante la crisi (si veda il
grafico 4). Nei primi anni di esistenza dell’euro,
inoltre,
le
condizioni
di
finanziamento
relativamente
favorevoli
hanno
causato
un’allocazione impropria delle risorse a favore di
forme di investimento meno produttive come i
beni immobili, una maggiore assunzione di rischi e
un aumento dell’indebitamento di molti soggetti
privati e pubblici. Nel momento in cui la crisi ha
colpito la zona euro e i mercati hanno rivalutato il
rischio e il potenziale di crescita dei singoli paesi,
la perdita di competitività è diventata palese e ha
provocato il deflusso di fonti di finanziamento
essenziali per gli investimenti, accentuando quindi
ulteriormente gli effetti della crisi in questi paesi.
Sebbene diverse parti interessate a livello europeo
avessero messo in guardia contro questi sviluppi,
all’epoca il quadro di governance non prevedeva
l’individuazione e la correzione sistematiche degli
squilibri e quindi non poteva impedirne
l’accumulo.
La crisi, infine, può essere considerata anche una crisi dei mercati se ci si riferisce alla loro capacità di
quantificare correttamente il rischio nazionale. Sebbene il trattato di Maastricht considerasse la
disciplina di mercato un elemento fondamentale per evitare divergenze nello sviluppo delle
economie della zona euro e delle posizioni di bilancio di questi paesi, evidenziate dall’aumento dei
tassi di interesse dei titoli di Stato, nel periodo 1999-2008 le cose sono andate diversamente nella
zona euro, che gli investitori hanno trattato come un tutto unico senza tener conto delle differenze
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esistenti in termini di rischi economici e finanziari. Queste divergenze sono diventate ancora più
palesi con la crisi e la conseguente rivalutazione dei rischi ha determinato un aumento dei tassi di
interesse dei titoli di certi paesi della zona euro portandoli ad un livello nettamente superiore a
quello di certi paesi in via di sviluppo (si veda il grafico 1).
Tutti questi sviluppi evidenziano un notevole divario tra gli obiettivi perseguiti e i risultati
effettivamente ottenuti dal quadro di governance pre-crisi dell’UEM, nonché la mancata osservanza
e attuazione delle politiche stabilite di comune accordo.
3. Misure adottate dal 2010 per rafforzare la resilienza dell’Unione
economica e monetaria
La crisi ha dimostrato che la presenza di notevoli debolezze e rigidità strutturali e l’esistenza di
politiche di bilancio ed economiche non sostenibili in alcuni Stati membri possono frenare lo sviluppo
economico dell’intera zona euro mettendo quindi a repentaglio i vantaggi associati all’appartenenza
all’UEM. La crisi ha inoltre evidenziato gravi lacune del quadro di governance, che non è stato in
grado di scongiurare questi sviluppi.
Per quanto riguarda la zona euro, dal 2010 sono state adottate importanti riforme per cercare di
ovviare a queste lacune:
 è stato creato il meccanismo europeo di stabilità (MES), grazie al quale per la prima volta è
disponibile un meccanismo permanente di risposta alle crisi;
 è stata istituita l’Unione bancaria, in cui la BCE ha assunto il ruolo del meccanismo di vigilanza
unico, esercitando una vigilanza diretta su tutte le banche principali della zona euro a partire
dal 1° novembre 2014. Grazie al meccanismo di risoluzione unico e alle nuove norme sul bail-in
della direttiva UE sul risanamento e sulla risoluzione nel settore bancario è attualmente
disponibile un quadro per la risoluzione ordinata delle crisi bancarie e la ripartizione degli oneri
tra azionisti e creditori. Combinate al Fondo di risoluzione unico, queste misure contribuiscono
in misura considerevole ad allentare il collegamento deleterio tra debito sovrano e banche e a
tutelare i depositanti integrando i sistemi nazionali armonizzati di garanzia dei depositi;
 la nuova procedura per gli squilibri macroeconomici permette di individuare tempestivamente
le vulnerabilità macroeconomiche e fornisce gli strumenti necessari per porvi rimedio;
 la riforma del “patto di stabilità e crescita” attuata nel 2011-2013 e l’accordo sul “patto di
bilancio” hanno potenziato il quadro di bilancio per evitare che in futuro si creino forti squilibri
di bilancio. Il monitoraggio dell’andamento della spesa è diventato più intenso nell’ambito del
braccio preventivo; le procedure sono state inoltre rafforzate sia per il braccio preventivo che
per quello correttivo, anche attraverso l’introduzione di nuove sanzioni, applicate a uno stadio
più precoce e aumentate in maniera progressiva. Uno dei principali insegnamenti tratti dalla crisi
è stata l’esigenza di fissare un parametro numerico del debito per garantire la convergenza
verso rapporti debito/PIL soddisfacenti, al di sotto del valore di riferimento del 60% del PIL.
L’introduzione del voto a maggioranza qualificata inversa in sede di Consiglio per le decisioni
adottate nel quadro della procedura per i disavanzi eccessivi mirava ad accentuare il carattere
quasi automatico delle procedure;
 i poteri di Eurostat sono stati rafforzati nel 2011 per quanto riguarda i dati statistici utilizzati
nell’ambito della procedura per i disavanzi eccessivi. Il regolamento modificato autorizza
Eurostat a esaminare i conti pubblici degli Stati membri e a svolgere indagini nello Stato membro
interessato.
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Se fossero state già in vigore dieci anni fa, queste misure importanti avrebbero probabilmente
migliorato in misura considerevole le prestazioni della zona euro, prima e durante la crisi. Per
risultare efficaci, tuttavia, queste nuove strutture devono essere realizzate pienamente a livello
dell’UE e degli Stati membri.
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4. Situazione attuale
Sebbene sia in corso un aggiustamento sostanziale degli squilibri economici e di bilancio, in
particolare nei paesi beneficiari dell’assistenza finanziaria dell’UE/FMI e in altri paesi vulnerabili della
zona euro, gli effetti deleteri degli squilibri accumulatisi sono ancora visibili: i tassi di disoccupazione
sono aumentati vertiginosamente e l’indebitamento del settore privato ha registrato un forte
aumento nel giro di pochi anni. Nella zona euro il tasso di disoccupazione si è attestato al di sopra
del 10% dal 2009 e nel 2014 è salito all’11,6%, contro il 7,5% nel 2007. Il tasso di disoccupazione
giovanile nella zona euro è addirittura del 23% (contro il 16,6% nel 2007).
Il potenziale di crescita dei paesi risente degli
elevati livelli di indebitamento e disoccupazione
e dei notevoli ostacoli che ancora incidono sulla
flessibilità dei mercati (si veda il grafico 5). A
parte il fatto che di norma un debito elevato
incide negativamente sulla crescita (si veda il
grafico 6), i paesi caratterizzati da una crescita
fiacca e da una bassa inflazione hanno difficoltà a
ridurre l’indebitamento per rafforzare la
resilienza e la sostenibilità. In questo contesto
potrebbe risultare particolarmente difficile, per
alcuni paesi della zona euro fortemente
indebitati e con bassi tassi di crescita del
prodotto potenziale, ridurre rapidamente il
livello del debito. Per aumentare la resilienza agli
shock e rafforzare la crescita del prodotto
potenziale occorrono ulteriori interventi in
termini di riforme strutturali nazionali.
Grafico 5: PIL reale pro capite (crescita media)
Stando agli indicatori internazionali relativi alla
flessibilità dei mercati del lavoro e dei prodotti, i
paesi della zona euro presentano ancora notevoli
rigidità a cui occorre ovviare. I governi nazionali
devono inoltre garantire un contesto favorevole
alla creazione di nuove imprese o all’espansione
di quelle esistenti. Secondo gli indicatori
internazionali vi è un notevole margine di
miglioramento nella zona euro: ora come ora,
nella classifica mondiale la zona euro è in una
posizione molto arretrata, in media, rispetto al
Regno Unito e agli Stati Uniti.
Grafico 6: Crescita potenziale media rispetto al
debito pubblico e privato
2005-2014
5.0
4.0
3.0
2.0
1.0
0.0
-1.0
-2.0
DE
EA
FR
IE
PT
ES
IT
GR
Fonte: Commissione europea
Crescita media del prodotto potenziale (2015-2019)
Secondo l’indice della Banca mondiale sulla
“facilità di fare impresa”, solo un paese della
zona euro, la Finlandia, figura tra i primi dieci
della classifica e molti altri non figurano neanche
tra i primi 50. L’adozione di misure volte a
migliorare la situazione non è solo nell’interesse
dei singoli Stati membri, a causa dei forti legami
esistenti tra le loro economie, ma anche
dell’intera zona euro.
1995-2004
6.0
Debito pubblico e privato in % del PIL
Fonte: Commissione europea, Eurostat
Nota: l’ultima osservazione si riferisce al giugno 2014 per il settore
pubblico e privato e al 2019 per il prodotto potenziale.
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5. Prospettive future: verso un’Unione economica e monetaria
autentica e approfondita
Visto il debole contesto economico attuale dell’intera zona euro e considerate le vulnerabilità e le
rigidità che ancora permangono in determinati paesi, occorre sviluppare progressivamente
“meccanismi concreti per un coordinamento, una convergenza e una solidarietà più solidi tra le
politiche economiche”. Questi meccanismi dovrebbero tener conto della reale situazione economica,
occupazionale e sociale degli Stati membri della zona euro, della natura della loro interdipendenza e
della loro capacità di convergere progressivamente.
A breve termine, sarà importante attuare una strategia coerente imperniata su un “triangolo
virtuoso” di riforme strutturali, investimenti e responsabilità di bilancio assumendo in questo
contesto impegni più efficaci in termini di riforme strutturali favorevoli alla crescita nella zona
euro. Gli impegni politici in termini di riforme strutturali favorevoli alla crescita assunti, a titolo
individuale o collettivo, dai paesi della zona euro non sono stati onorati in modo soddisfacente. I forti
impegni assunti nei periodi di crisi vengono spesso indeboliti quando il clima economico migliora. In
questo senso, l’effetto stabilizzatore della moneta unica risulta in qualche misura controproducente
per quanto riguarda la volontà dei governi nazionali di avviare e attuare con determinazione riforme
strutturali peraltro urgentemente necessarie. Serve un consenso rinnovato ai massimi livelli politici
per portare avanti queste riforme strutturali, che dovrebbero essere considerate prioritarie in tutta la
zona euro.
Occorre inoltre migliorare il funzionamento del mercato unico, specialmente nei settori che sono
indispensabili per rafforzare la capacità di aggiustamento delle economie della zona euro. A tal fine è
di fondamentale importanza incentivare la mobilità dei lavoratori. Per completare l’Unione bancaria
nonché diversificare e ampliare le fonti di finanziamento dell’economia europea, dobbiamo
rimuovere gli ostacoli rimanenti agli investimenti e alla libera circolazione dei capitali e considerare
l’integrazione dei mercati dei capitali una priorità politica, tenendo conto anche di aspetti quali la
fiscalità, l’insolvenza e il diritto societario. La realizzazione di un sistema finanziario integrato
attraverso l’Unione dei mercati dei capitali può rendere un’unione monetaria più resiliente agli
shock, introducendo un elemento di condivisione dei rischi da parte del settore privato, e più
efficiente in termini di occupazione, crescita e investimenti. Per migliorare le prospettive di crescita
sono indispensabili ulteriori iniziative volte a completare il mercato unico, ad esempio nei settori
dell’economia digitale e dell’energia.
Il conseguimento di progressi tangibili a questi due livelli - riforme strutturali favorevoli alla crescita e
approfondimento del mercato unico - contribuirà entro tempi brevi (nei prossimi 18 mesi) al buon
funzionamento dell’Unione economica e monetaria, purché vi sia un forte sostegno politico.
Tuttavia, come già auspicato nella relazione dei quattro presidenti del 2012 e nel piano della
Commissione, dovrà essere definita, nell’interesse dei cittadini e dei mercati, una prospettiva a
lungo termine per l’evoluzione del quadro dell’UEM, individuando gli aspetti per i quali esso
potrebbe essere considerato completo e quelli su cui si dovrà lavorare ulteriormente per rafforzare la
governance comune. Il fatto che la zona euro non si sia ripresa dalla crisi allo stesso modo degli Stati
Uniti potrebbe indicare che un’unione monetaria incompleta si adegua molto più lentamente di
un’unione dotata di un assetto istituzionale più completo (si veda il grafico 7).
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Grafico 7
PIL reale pro capite
Tasso di disoccupazione
2008q1= 100
Variazione da gennaio 2008 (punti percentuali)
zona euro
Stati Uniti
Stati Uniti
zona euro
Fonte: Eurostat
In questo contesto, la presente nota analitica intende avviare una discussione su cui i quattro
presidenti si baseranno per redigere, in stretta collaborazione con tutti gli Stati membri, una
relazione prospettica1 che potrebbe affrontare, in particolare, le seguenti questioni:

Come possiamo garantire posizioni economiche e di bilancio solide in tutti gli Stati membri
della zona euro?

In che modo si potrebbe garantire una migliore attuazione e applicazione del quadro di
governance economica e di bilancio?

Se applicato integralmente, l’attuale quadro di governance è sufficiente per rendere a lungo
termine la zona euro resiliente agli shock e prospera?

In che misura il quadro dell’UEM può basarsi prevalentemente su norme rigorose e in che
misura occorrono anche istituzioni comuni forti?

Quali strumenti sono necessari nel caso in cui, nonostante la sorveglianza esercitata
nell’ambito del quadro di governance, le politiche nazionali continuino a seguire una
direzione sbagliata e pericolosa?

Si è lavorato a sufficienza sul collegamento tra bilancio e settore finanziario per evitare la
creazione di un nuovo circolo vizioso fra banche e debito sovrano?

Come si potrebbe rafforzare la condivisione dei rischi da parte del settore privato sui mercati
finanziari della zona euro in modo da migliorare l’assorbimento degli shock asimmetrici?

In che misura l’attuale condivisione della sovranità permette di rispettare i requisiti del
quadro economico, finanziario e di bilancio associato alla moneta comune?

È veramente auspicabile una maggior ripartizione dei rischi a livello di bilancio? Quali
sarebbero i presupposti?
1
Il presidente della Commissione europea ha espresso l’intenzione di associare il presidente del Parlamento europeo alle sue riflessioni
durante la preparazione della relazione.
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
A quali condizioni e in che forma si potrebbe prendere in considerazione un rafforzamento
della governance comune applicato alle riforme strutturali? In che modo esso potrebbe
promuovere una convergenza effettiva?

Qual è il modo migliore per garantire responsabilità e legittimità in una struttura
multilaterale come l’UEM?
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