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CLINICAL CHEMISTRY HIGHLIGHTS
IL MEGLIO DI CLINICAL CHEMISTRY
Diabete e medicina personalizzata
Noemi Malandrino, Robert J. Smith
Division of Endocrinology, Department of Medicine, Alpert Medical School of Brown University, and Hallett Center for Diabetes
and Endocrinology, Rhode Island Hospital, Providence, USA
Traduzione a cura di Andrea Mosca
ABSTRACT
Multiple genes that are associated with the risk of developing diabetes or the risk of diabetes complications have been
identified by candidate gene analysis and genomewide scanning. These molecular markers, together with clinical
data and findings from proteomics, metabolomics, pharmacogenetics, and other methods, lead to a consideration of
the extent to which personalized approaches can be applied to the treatment of diabetes mellitus. Known genes that
cause monogenic subtypes of diabetes are reviewed, and several examples are discussed in which the genotype of
an individual with diabetes can direct considerations of preferred choices for glycemic therapy. The extent of
characterization of polygenic determinants of type 1 and type 2 diabetes is summarized, and the potential for using
this information in personalized management of glycemia and complications in diabetes is discussed. The application
and current limitations of proteomic and metabolomic methods in elucidating diabetes heterogeneity is reviewed.
There is established heterogeneity in the determinants of diabetes and the risk of diabetes complications.
Understanding the basis of this heterogeneity provides an opportunity for personalizing prevention and treatment
strategies according to individual patient clinical and molecular characteristics. There is evidence-based support for
benefits from a personalized approach to diabetes care in patients with certain monogenic forms of diabetes. It is
anticipated that strategies for individualized treatment decisions in the more common forms of diabetes will emerge
with expanding knowledge of polygenic factors and other molecular determinants of disease.
INTRODUZIONE
Per medicina personalizzata nel diabete si intende
l’utilizzo di specifiche caratteristiche di un paziente al fine
di indirizzare le strategie diagnostiche o terapeutiche in
modo che siano il più efficaci possibili per quel paziente.
Lo spettro di informazioni che possono guidare decisioni
personalizzate nella cura del diabete include aspetti
individuali comportamentali e fenotipi clinici, dati di
laboratorio e sequenze geniche e altri marcatori
molecolari. Grazie al notevole progresso registrato negli
ultimi anni nella caratterizzazione delle sequenze
geniche umane e allo sviluppo di nuove tecnologie
molecolari, c’è ora un particolare interesse nel potenziale
utilizzo di biomarcatori molecolari individuali per
orientare alcune decisioni cliniche specifiche nella
gestione dei pazienti diabetici. Gli avanzamenti
tecnologici nella genetica, genomica, proteomica e
metabolomica rendono possibile l’analisi di migliaia di
geni, proteine e metaboliti, al fine di individuare nuove
opportunità per identificare fattori e prodotti genetici
associati a diversi sottotipi di patologie, quali il diabete
mellito (1). In aggiunta al miglioramento degli esiti clinici,
è possibile anticipare che una più approfondita
conoscenza di tali fattori genetici e proteici potrà fornire
spunti per elucidare nuovi meccanismi nella patogenesi
del diabete e poter quindi migliorare la predizione del
rischio, dello sviluppo, della progressione e del decorso
clinico di tale malattia. Inoltre, farmacogenetica e
farmacogenomica, che coinvolgono rispettivamente
analisi focalizzate su singoli geni e, in più ampia scala,
sull’intero genoma, potranno specificamente fornire
nuove informazioni sulle variazioni genetiche che
possono influire sull’efficacia degli interventi terapeutici e
sulla suscettibilità individuale a effetti collaterali dei
farmaci (2, 3).
Da molto tempo è noto che il diabete mellito è una
malattia complessa ed eterogenea, che rappresenta
quindi una patologia ideale per trarre beneficio da
approcci personalizzati al trattamento. Specialmente per
i pazienti con diabete di tipo 2 esiste una sostanziale
eterogeneità nei fattori genetici di rischio, che sono alla
base dei meccanismi patogenetici, e nei fenotipi clinici.
Ciononostante, i pazienti con diabete di tipo 2 sono
*Questo articolo è stato tradotto con il permesso dell’American Association for Clinical Chemistry (AACC). AACC non è responsabile
della correttezza della traduzione. Le opinioni presentate sono esclusivamente quelle degli Autori e non necessariamente quelle
dell’AACC o di Clinical Chemistry. Tradotto da Clin Chem 2011;57:231-40 su permesso dell’Editore.
Copyright originale © 2010 American Association for Clinical Chemistry, Inc. In caso di citazione dell’articolo, riferirsi alla pubblicazione
originale in Clinical Chemistry
biochimica clinica, 2012, vol. 36, n. 6
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IL MEGLIO DI CLINICAL CHEMISTRY
spesso trattati in modo simile, con scarsa attenzione alle
caratteristiche individuali che potrebbero influenzare
l’esito clinico e la risposta alle terapie (4). Questa
rassegna esaminerà le attuali conoscenze in materia di
eterogeneità nella malattia diabetica e prenderà in
considerazione i fatti e le potenzialità della medicina
personalizzate nella gestione del diabete.
ETEROGENEITÀ DEL DIABETE MELLITO
Il diabete mellito non è una singola patologia, ma un
gruppo di disordini metabolici che hanno in comune un
aumento della concentrazione di glucosio nel sangue a
digiuno e/o dopo un pasto (5). Tale aumento della
glicemia può essere dovuto sia a un deficit relativo o
assoluto della secrezione insulinica, sia a difetti
nell’azione insulinica, che a una combinazione di queste
due anomalie. Diversi meccanismi patogenetici sono
coinvolti nello sviluppo delle diverse forme di diabete, ivi
incluse le alterazioni su base genetica o ambientale
dell’azione dell’insulina, dello sviluppo e della
sopravvivenza delle cellule β insulari e della secrezione
insulinica (5). All’interno di questo spettro di aspetti
fisiopatologici e sottotipi di diabete, vi sono poi
consolidate differenze negli approcci al trattamento. Per
esempio, ci si aspetta che i pazienti con diabete di tipo 1,
diagnosticati sulla base del fenotipo clinico o per la
presenza di autoanticorpi tipici, richiedano un
trattamento precoce con insulina come conseguenza
della forte riduzione della loro capacità di secernere
l’ormone. Per contro, i pazienti con diabete di tipo 2
possono essere spesso trattati efficacemente con
modifiche dello stile di vita e/o con ipoglicemizzanti orali,
che risultano efficaci per la presenza di una quota
significativa di secrezione insulinica residua. Per quanto
riguarda poi il sottogruppo di pazienti diabetici di tipo 2
obesi a livello patologico la chirurgia bariatrica
rappresenta una specifica alternativa terapeutica che
può fornire risultati sorprendenti (6). Più di uno studio ha
infatti provato che ~80% dei pazienti diabetici obesi
appropriatamente selezionati può beneficiare talmente di
questo trattamento chirurgico da non aver più bisogno di
trattamenti con farmaci ipoglicemizzanti (7-12). Sebbene
il decorso nel lungo periodo e le conseguenze di questo
1Geni umani: GCK, glucokinase (hexokinase 4); HNF4A, hepatocyte
nuclear factor 4α; HNF1A, hepatocyte nuclear factor 1α; KCNJ11,
potassium inwardly rectifying channel, subfamily J, member 11; LMNA,
lamin A/C; TCF7L2, transcription factor 7-like 2 (T-cell–specific, HMG-box);
ABCC8, ATP-binding cassette, subfamily C (CFTR/MRP), member 8;
SLC22A1, solute carrier family 22 (organic cation transporter), member 1;
SLC22A2, solute carrier family 22 (organic cation transporter), member 2;
SLC47A1, solute carrier family 47, member 1; CYP2C9, cytochrome P450,
family 2, subfamily C, polypeptide 9; ACE, angiotensin I converting enzyme
(peptidyl-dipeptidase A) 1; PRKCB1, protein kinase C-β1; CFH,
complement factor H; ARMS2, age-related maculopathy susceptibility 2;
Human genes: PDX1, pancreatic and duodenal homeobox 1; HNF1B,
HNF1 homeobox B; NeuroD1, neurogenic differentiation 1; IDDM2, insulindependent diabetes mellitus 2; PTF1A, pancreas specific transcription
factor, 1a; FOXP3, forkhead box P3; EIF2AK3, eukaryotic translation
initiation factor 2-alpha kinase 3; WFS1, Wolfram syndrome 1 (wolframin);
CISD2, CDGSH iron sulfur domain 2; WRN, Werner syndrome, RecQ
helicase-like; FXN, frataxin; HFE, hemochromatosis; SLC19A2, solute
carrier family 19 (thiamine transporter), member 2; AGPAT2, 1acylglycerol-3-phosphate O-acyltransferase 2 (lysophosphatidic acid
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biochimica clinica, 2012, vol. 36, n. 6
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tipo di intervento di riduzione gastrica e bypass
intestinale richiedano ulteriori valutazioni, la chirurgia
bariatrica è ora largamente raccomandata nel caso di
pazienti diabetici con indice di massa corporea ≥35
kg/m2 oppure compreso tra 30 e 35 kg/m2 nel contesto di
un diabete mal controllato e in presenza di complicanze
(6). Queste differenze negli approcci terapeutici ai
pazienti con diabete di tipo 1 e di tipo 2, con o senza
concomitante obesità patologica, rappresentano un
passo avanti nella direzione della medicina
personalizzata. Tuttavia, i pazienti all’interno di ognuna
di queste ampie categorie di diabete hanno uno spettro
di eziologie e di aspetti fenotipici associati, che
rappresentano un grande potenziale per approcci
terapeutici più personalizzati.
SOTTOTIPI MONOGENICI DI DIABETE
A tutt’oggi sono stati descritti almeno 27 sottotipi di
diabete dovuti a mutazioni geniche singole, che si
manifestano clinicamente come diabete di tipo 1 o di tipo
2 (Tabella 1). Tra queste forme monogeniche di diabete,
specifiche anomalie genetiche determinano la
presentazione clinica e, per un crescente numero di
geni, possono influenzare le decisioni di trattamento (4,
13).
Questo è stato chiaramente dimostrato per diversi
geni responsabili della sindrome chiamata diabete
giovanile a insorgenza nell’adulto (“maturity-onset
diabetes of the young” [MODY]) (13). I pazienti con
MODY 2 hanno mutazioni nel gene della glucochinasi
(esochinasi 4) (GCK)1, che provocano una diminuita
affinità dell’enzima per il glucosio, modificando la
secrezione di insulina regolata in base alla glicemia a
valori iperglicemici. I soggetti affetti da questa sindrome
hanno una secrezione insulinica che è strettamente
modulata dalle concentrazioni di glicemia, ma su livelli
glicemici più alti rispetto ai sani. Ciò risulta in modesti
livelli di iperglicemia sia a digiuno che post-prandiale,
con valori di HbA1c generalmente compresi tra 42 e 53
mmol/mol. Nella maggioranza dei pazienti con MODY 2
il trattamento con ipoglicemizzanti orali o insulina non
porta a grandi miglioramenti nel controllo glicemico e il
grado di aumento della glicemia media è così modesto
acyltransferase, beta); BSCL2, Berardinelli-Seip congenital lipodystrophy
2 (seipin); CAV1, caveolin 1, caveolae protein, 22kDa; LMNB2, lamin B2;
ZMPSTE24, zinc metallopeptidase (STE24 homolog, S. cerevisiae);
PPARG, peroxisome proliferator–activated receptor gamma; AKT2, v-akt
murine thymoma viral oncogene homolog 2; INSR, insulin receptor;
SLC30A8, solute carrier family 30 (zinc transporter), member 8; HHEX,
hematopoietically expressed homeobox; CDKAL1, CDK5 regulatory
subunit associated protein 1-like 1; CDKN2A, cyclin-dependent kinase
inhibitor 2A (melanoma, p16, inhibits CDK4); CDKN2B, cyclin-dependent
kinase inhibitor 2B (p15, inhibits CDK4); IGF2BP2, insulin-like growth
factor 2 mRNA binding protein 2; FTO, fat mass and obesity associated;
JAZF1, JAZF zinc finger 1; CDC123, cell division cycle 123 homolog (S.
cerevisiae); CAMK1D, calcium/calmodulin-dependent protein kinase ID;
TSPAN8, tetraspanin 8; LGR5, leucine-rich repeat-containing G
protein–coupled receptor 5; THADA, thyroid adenoma associated;
ADAMTS9, ADAM metallopeptidase with thrombospondin type 1 motif, 9;
NOTCH2, notch 2; KCNQ1, potassium voltage-gated channel, KQT-like
subfamily, member 1; MTNR1B, melatonin receptor 1B; CAPN10, calpain
10; ENPP1, ectonucleotide pyrophosphatase/phosphodiesterase 1.
IL MEGLIO DI CLINICAL CHEMISTRY
CLINICAL CHEMISTRY HIGHLIGHTS
Tabella 1
Geni coinvolti nelle forme monogeniche di diabete. Modificata da riferimento 4
Patologia/gene coinvolto
Cromosoma
Funzione del gene/proteina
HNF4A
20q13.12
Fattore trascrizionale β-cellulare
HNF1A
12q24.31
Fattore trascrizionale β-cellulare
Difetti di secrezione insulinica
Diabete giovanile a insorgenza nell’adulto (MODY)
GCK
PDX1
HNF1B
NeuroD1
Diabete neonatale
7p15.3-p15.1
13q12.1
17q12
2q32
Sensore del glucosio
Fattore trascrizionale β-cellulare
Fattore trascrizionale β-cellulare
Fattore trascrizionale β-cellulare
KCNJ11
11p15.1
Chiusura del canale β-cellulare KATP
IDDM2
11p15.5
Produzione di insulina
ABCC8
PTF1A
FOXP3
Sindrome di Wolcott-Rallison
11p15.1
10p12.31
Xp11.23
Modulatore del canale β-cellulare KATP, risposta alla sulfanilurea
Sviluppo del pancreas
Controllo della risposta immune
EIF2AK3
2p12
Controllo dello stress del reticolo endoplasmico
WFS1
4p16.1
Omeostasi del Ca++ intracellulare
WRN
8p12
Attività DNA-elicasica
FXN
9q21.11
Trasporto del ferro nei mitocondri/catena respiratoria
HFE
6q21.3
Regolazione dell’assorbimento di ferro
SLC19A2
1q23.3
Proteina di trasporto della tiamina
AGPAT2
9q34.3
Biosintesi dei fosfolipidi
CAV1
7q31
Crescita/differenziamento cellulare
Sindrome di Wolfram
CISD2
Sindrome di Werner
Atassia di Friedreich
Emocromatosi
Anemia responsiva alla tiamina
4q24
Omeostasi del Ca++ intracellulare
Difetti di resistenza insulinica
Lipodistrofia generalizzata
BSCL2
Lipodistrofia parziale
11q13
Immagazzinamento dei grassi
LMNA
1q22
Stabilità nucleare, struttura della cromatina
ZMPSTE24
1p34
Processamento della lamina A/C
LMNB2
PPARG
AKT2
19p13.3
3p25
19q13.1-q13.2
Stabilità nucleare, struttura della cromatina
Segnali cellulari/differenziamento tessuto adiposo
Segnali cellulari
Insulino-resistenza di tipo A, sindrome di Rabson-Mendenhal, sindrome di Donohue
INSR
19p13.3-p13.2
Segnale insulinico
Per le abbreviazioni dei geni, vedere nota a piè pagina 426.
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IL MEGLIO DI CLINICAL CHEMISTRY
che, anche nei pazienti non trattati, lo sviluppo delle
complicanze diabetiche nel lungo periodo è infrequente.
Dati recenti indicano che questi pazienti, una volta fatta
una diagnosi corretta, possono spesso tranquillamente
non essere in alcun modo trattati (13). È stato pertanto
proposto che i pazienti con MODY 2 possano essere
seguiti senza alcun trattamento ipoglicemizzante, tranne
che in gravidanza, quando un periodo di trattamento con
insulina può essere necessario per prevenire
un’iperplasia insulare nei figli nati da donne con MODY
2 (14).
I pazienti con MODY 1 e MODY 3 presentano
mutazioni in uno dei seguenti fattori trascrizionali, il
fattore nucleare epatocitario 4α (HNF4A) e il fattore
nucleare epatocitario 1α (HFN1A), che si ritiene
controllino l’espressione di geni che modulano lo
sviluppo e la sopravvivenza delle β-cellule pancreatiche.
Questi soggetti possono presentare concentrazioni
glicemiche significativamente aumentate e possono
essere erroneamente diagnosticati come diabetici di tipo
1, anche per la frequente insorgenza della patologia
prima dei 25 anni di età. Tuttavia, i pazienti con diabete
MODY 1 e MODY 3, a differenza dei diabetici di tipo 1,
spesso rispondono molto bene al trattamento con
sulfaniluree, potendo in effetti essere trattati
efficacemente con questo tipo di farmaci. In essi può
essere possibile passare dall’insulina alle sulfaniluree
con un conseguente miglioramento del controllo
glicemico, anche dopo molti anni di trattamento con
insulina (15). Altre evidenze hanno indicato che i pazienti
con MODY 3 rispondono meglio alle sulfaniluree che alla
metformina (16). Alcune segnalazioni dimostrano che il
trattamento con inibitori della dipeptidil peptidasi IV può
ulteriormente migliorare il controllo glicemico quando
vengano utilizzati in combinazione alle sulfaniluree in
pazienti MODY 3 (17, 18). Ulteriori studi sono necessari
per confermare queste osservazioni e provare se il
trattamento con analoghi delle incretine possa portare a
effetti similari.
Mentre per una distinzione definitiva tra MODY 1, 2 e
3 e altri tipi di MODY o altre forme di diabete è richiesta
l’identificazione della specifica mutazione genica, il
fenotipo clinico può essere d’aiuto per selezionare i
pazienti da sottoporre allo screening genetico (19). Ad
esempio, soggetti in età giovanile che presentano una
modesta iperglicemia a digiuno (attorno a 100-150
mg/dL) e un moderato aumento della glicemia dopo un
carico orale di glucosio dovrebbero essere sottoposti a
screening per MODY 2. Candidati possibili per lo
screening genetico di MODY 1 e 3 potrebbero essere i
soggetti con esordio del diabete prima dei 25 anni di età,
poco responsivi a basse dosi di insulina, con aumento
persistente delle concentrazioni di C-peptide, senza
anticorpi diretti verso il frammento a 65 kDa della
decarbossilasi dell’acido glutammico (GAD-65) oppure
anti-isole pancreatiche o anti-insulina e con una storia
famigliare su più generazioni suggestiva per una
trasmissione di un carattere ereditario di tipo dominante
(trasmissione verticale). Sommati insieme, i pazienti con
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biochimica clinica, 2012, vol. 36, n. 6
CLINICAL CHEMISTRY HIGHLIGHTS
MODY 1, 2 e 3 rappresentano ~0,5%-1,0% dei diabetici
negli Stati Uniti e in Europa occidentale, quindi un
numero considerevole di individui nei quali una corretta
diagnosi del sottotipo di diabete può portare a decisioni
personalizzate di scelta terapeutica. Tuttavia, si ritiene
che non più del 20% dei pazienti con MODY vengano
attualmente identificati (20). La diagnosi e il trattamento
del MODY rappresentano quindi un’area potenziale di
gestione personalizzata del diabete, che necessita
essere più efficacemente gestita.
Le mutazioni nel gene del canale rettificante interno
del potassio, sottofamiglia J, membro 11 (KCNJ11)
rappresentano un altro esempio nel quale il genotipo
serve a identificare l’approccio a specifici trattamenti. Il
gene KCNJ11 codifica per la subunità Kir6.2 del canale
KATP delle β-cellule pancreatiche, che rappresenta un
bersaglio molecolare attraverso il quale le sulfaniluree
aumentano la secrezione insulinica (21). Circa la metà
dei pazienti che sviluppano diabete entro 6 mesi dalla
nascita risultano eterozigoti per mutazioni di KCNJ11,
rendendo questo sottogruppo di diabetici candidato per
lo screening genetico. Molti di questi pazienti con
diabete neonatale erano precedentemente trattati con
insulina, dal momento che l’esordio precoce veniva
interpretato come indicativo di diabete di tipo 1. Tuttavia,
è stato dimostrato che le concentrazioni glicemiche di
questi pazienti possono essere più adeguatamente
controllate con sulfaniluree che con insulina, con
conseguente riduzione dei livelli di HbA1c, anche dopo
molti anni di trattamento con insulina (22, 23).
Le informazioni disponibili sull’utilizzo di terapie
specifiche in altre forme monogeniche di diabete sono
ancora scarse, in parte perché l’opportunità di poter
studiare pazienti con queste rare forme è molto limitata.
Al fine di illustrare il tipo di dati che sono disponibili, un
caso clinico relativo a un paziente con diabete
lipoatrofico, secondario a una mutazione nel gene dalla
lamina A/C (LMNA), ha mostrato un significativo
miglioramento nel controllo glicemico dopo trattamento
con un tiazolidinedione (glitazone) al posto della
metformina (24). Questo risultato potrebbe essere
spiegato dall’effetto dei tiazolidinedioni sulla funzionalità
adipocitaria mediato dal recettore γ attivato dal
proliferatore dei perossisomi in un paziente con un deficit
negli adipociti. Sebbene il diabete nella maggior parte
dei casi non sia causato da una singola mutazione
genica, l’evidenza di un’aumentata efficacia delle terapie
specifiche di questi disordini di tipo monogenico fornisce
un modello di medicina personalizzata che, in ultima
analisi, può essere applicabile a pazienti con forme più
comuni di diabete definite sulla base di varianti
poligeniche diabete-correlate singole o in combinazione.
PERSONALIZZARE IL DIABETE DI TIPO 1 E DI
TIPO 2
Sia il diabete di tipo 1 che quello di tipo 2 sono ritenuti
malattie complesse che si sviluppano attraverso
un’interazione di molti geni di suscettibilità e a carattere
CLINICAL CHEMISTRY HIGHLIGHTS
protettivo, che possono agire in sinergia con effetti
ambientali sia positivi che negativi (25). Il diabete di tipo
1 è caratterizzato da una prominente perdita di β-cellule,
spesso mediata da un processo di tipo autoimmune,
cosicché praticamente tutti i soggetti con diabete di tipo
1 manifesto hanno bisogno di insulina. Ci sono molte
possibilità per la terapia sostitutiva con insulina, che
includono diverse preparazioni farmacologiche
dell’ormone, nonché la somministrazione attraverso
iniezioni a intervalli di tempo o pompe di infusione, ma
non ci sono alternative all’insulina che forniscano
un’opportunità per trattamenti individualizzati. La
prevenzione della progressione verso il diabete di tipo 1
in individui ad alto rischio, quali i soggetti con positività
anticorpale per GAD o con autoanticorpi nei confronti
delle isole pancreatiche nel contesto di una storia
famigliare di diabete di tipo 1, rappresenta invece
un’area di ricerca che potrebbe offrire spunti per un
trattamento personalizzato. Molti fattori genetici sono
stati associati al diabete di tipo 1 e tali marcatori genetici
possono alla fine essere utili nel definire strategie
individualizzate mirate alla prevenzione della distruzione
delle β-cellule. Sono stati finora individuati, tramite
l’approccio dei geni candidati e le tecniche di
associazione sull’intero genoma (GWA), oltre 40 loci
genici associati al diabete di tipo 1 (26, 27). Molti dei geni
identificati in questi loci sono associati all’autoimmunità,
mentre
altri
sembrerebbero
essere
correlati
funzionalmente alle capacità di sopravvivenza delle βcellule (28). Mentre la conoscenza di questi geni e loci
specifici non ha ancora pratica importanza nel
personalizzare la gestione del diabete di tipo 1, si può
ipotizzare che questi marcatori genetici possano essere
potenzialmente utili nel definire approcci personalizzati
alla prevenzione e al trattamento di diabete di tipo 1. Ad
esempio, alcuni dei geni noti includono varianti dei geni
del sistema HLA di classe II, che codificano per proteine
presentanti l’antigene altamente polimorfiche e che
rendono ragione di ~50% del rischio genetico di diabete
di tipo 1 (29). In aggiunta all’utilità di queste varianti
genetiche nel definire il rischio relativo globale di
sviluppare il diabete, gli alleli specifici HLA di classe II e
i relativi aplotipi sono stati associati a diversi quadri di
progressione clinica del diabete di tipo 1, dalla forma
fulminante a quella ad esordio acuto, a quella a sviluppo
lentamente progressivo (30). Appare pertanto
ragionevole ipotizzare che questi sottotipi del diabete di
tipo 1, insieme ai loro marcatori HLA associati, possano
alla fine identificare quei pazienti che richiedono
differenti
livelli
di
terapie
preventive
di
immunosoppressione o che possano differire tra loro nei
rispettivi fabbisogni di terapia immunosoppressiva per
proteggere le β-cellule o le cellule staminali trapiantate.
Il diabete di tipo 2 è tipicamente caratterizzato da una
combinazione di anormalità sia nella secrezione di
insulina che nella risposta a essa, che si sommano a una
più graduale e meno imponente perdita della capacità
IL MEGLIO DI CLINICAL CHEMISTRY
secretoria β-cellulare rispetto a quanto accade nel
diabete di tipo 1. Per questa ragione, le possibili terapie
nel diabete di tipo 2 comprendono non solo l’insulina
esogena, ma anche uno spettro di agenti farmacologici
che agiscono aumentando la sensibilità all’insulina,
stimolando la secrezione insulinica e rallentando
l’assorbimento intestinale di glucosio. Finora, attraverso
l’analisi dei geni candidati e le tecniche di GWA, sono
stati identificati almeno 23 geni con variazioni della
sequenza associate al diabete di tipo 2 (Tabella 2) (4,
25). Inoltre, molti altri geni sono stati associati al diabete
di tipo 2 in seguito a studi più piccoli su popolazioni
singole. Il contributo al rischio di sviluppare la malattia
per ognuno di questi fattori genetici è piccolo
(generalmente contribuisce ad aumentarlo di <1,5 volte).
Ciononostante, ognuna di queste varianti genetiche da
sola o in combinazione con altre ha il potenziale per
orientare decisioni individualizzate per la terapia del
diabete di tipo 2.
Tra i geni associati al diabete di tipo 2, i polimorfismi
nel gene del fattore trascrizionale 7–tipo 2 (specifico per
le cellule T, box HMG) (TCF7L2) correlano con un rischio
maggiore di ~1,4 volte di sviluppo del diabete di tipo 2
(31). La funzione della proteina codificata da questo
gene non è ancora nota, ma sembrerebbe, da
esperimenti su topi “knockout” per il gene e da
osservazioni su cellule in coltura, che essa possa avere
diverse potenziali funzioni, con effetti nelle β-cellule sulla
via del segnale del peptide 1 simile al glucagone (GLP1),
sulla proliferazione delle β-cellule medesime e sulla
secrezione insulinica. Un solo studio osservazionale ha
riportato un’associazione significativa tra polimorfismi in
TCF7L2 e insuccesso della terapia con sulfanilurea, ma
non con metformina (32). Come secondo esempio in cui
varianti di geni associati al diabete possono essere
collegate all’efficacia di specifici farmaci, un altro studio
ha mostrato una correlazione significativa dei
polimorfismi del gene della cassetta legante ATP,
sottofamiglia C (CFTR/MRP), membro 8 (ABCC8) con la
risposta alla sulfanilurea in diabetici di tipo 2 (33). Altre
mutazioni nel gene ABCC8, che codifica per il recettore
Sur1 della sulfanilurea nelle β-cellule, causano diabete
neonatale e, infatti, questo tipo di pazienti sono spesso
sensibili al trattamento con sulfanilurea. Sebbene le
differenze nella risposta alla sulfanilurea in presenza di
polimorfismi in TCF7L2 e ABCC8 siano modeste e
necessitino di conferma in altri gruppi di pazienti, questi
dati supportano l’importanza di ulteriori studi comparativi
sull’efficacia dei farmaci insulino-secretagoghi rispetto
agli insulino-sensibilizzanti in pazienti con specifici
polimorfismi associati al diabete di tipo 2, presenti sia
soli che in combinazione con altre varianti geniche di
rischio di diabete. Tali studi dovrebbero includere un
esame degli effetti degli agenti farmacologici specifici su
ogni paziente non solo nei riguardi del controllo
glicemico, ma anche rispetto alla progressione verso il
diabete di tipo 2.
biochimica clinica, 2012, vol. 36, n. 6
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CLINICAL CHEMISTRY HIGHLIGHTS
IL MEGLIO DI CLINICAL CHEMISTRY
Tabella 2
Loci identificati di suscettibilità per il diabete di tipo 2. Modificata da riferimenti 4 e 25
Regione/gene
Cromosoma
PPARG
3p25
TCF7L2
10q25.3
KCNJ11
SLC30A8
HHEX
CDKAL1
11p15.1
8q24.11
10q23.33
6p22.2
Grandezza approssimativa Meccanismo patogenetico
dell’effetto
1,19
Resistenza insulinica
1,45
Disfunzione β-cellulare
1,14
1,15
1,15
1,14
CDKN2A/CDKN2B
9p21
1,20
FTO
16q12.2
1,16
IGF2BP2
HNF1B
3q27.2
17q12
1,14
1,10
WFS1
4p16.1
1,11
JAZF1
7p15.2-p15.1
1,10
TSPAN8/LGR5
12q14.1-q21.1
1,09
CDC123/CAMK1D
THADA
ADAMTS9
NOTCH2
KCNQ1
MTNR1B
HNF4A
10p13
12q22-q23
1,11
Riduzione della massa β-cellulare
Disfunzione β-cellulare
Riduzione della massa β-cellulare
Riduzione della massa β-cellulare
Disfunzione β-cellulare
Alterazione dell’indice di massa corporea
Disfunzione β-cellulare
Riduzione della massa β-cellulare
Disfunzione β-cellulare
Riduzione della massa β-cellulare
Disfunzione β-cellulare
Disfunzione β-cellulare
Ignoto
1,15
Resistenza insulinica
1p13-p11
1,13
Riduzione della massa β-cellulare
3p14.1
11p15.5
11q21-q22
20q13.12
1,09
1,28
1,12
1,07
12q24.31
1,16
CAPN10
2q37.3
1,18
6q22-q23
1,08
Per le abbreviazioni dei geni, vedere nota a piè pagina 426.
FARMACOLOGIA PERSONALIZZATA NEL
CONTROLLO GLICEMICO
In aggiunta a varianti genetiche specifiche che
possono avere un ruolo causale nello sviluppo del
diabete, anche caratteristiche individuali dei singoli
pazienti, che influenzano la risposta a specifici farmaci,
rivestono un ruolo importante nella gestione
personalizzata del diabete. Accade frequentemente nella
pratica clinica che pazienti manifestino un’intolleranza a
farmaci specifici, con effetti collaterali e reazioni
allergiche. Rapidi avanzamenti nella conoscenza di
aspetti farmacologici specifici per i singoli pazienti si
stanno realizzando grazie alle applicazioni di nuove
tecnologie molecolari mirate su singoli geni
(farmacogenetica) e su analisi dell’intero genoma
(farmacogenomica).
Entrambi
questi
approcci
esaminano come variazioni nel “background” genetico
430
Disfunzione β-cellulare
2p21
HNF1A
ENPP1
Disfunzione β-cellulare
biochimica clinica, 2012, vol. 36, n. 6
Resistenza insulinica
Disfunzione β-cellulare
Disfunzione β-cellulare
Disfunzione β-cellulare,
Riduzione della massa β-cellulare
Disfunzione β-cellulare
Riduzione della massa β-cellulare
Resistenza insulinica, secrezione insulinica
Resistenza insulinica
individuale possano influire sull’efficacia e la sicurezza
dei farmaci (34). Nel diabete di tipo 2, polimorfisimi
associati a una alterata risposta alla metformina sono
stati identificati nei geni membro 1 (SLC22A1) e membro
2 (SLC22A2) della famiglia 22 dei trasportatori di soluti
(trasportatori di cationi organici), che codificano per le
proteine di trasporto 1 e 2 dei cationi organici (OCT1 e
OCT2), e nel gene membro 1 della famiglia 47 dei
trasportatori di soluti (SLC47A1), che codifica per la
proteina di estrusione 1 di multifarmaci e tossine
(MATE1). Si ritiene che tali varianti genetiche abbiano un
effetto sulla “clearance” della metformina e, quindi, sui
livelli di metformina effettivamente raggiungibili nel
sangue con una determinata dose del farmaco (35-38).
Analogamente, alcuni polimorfismi in un gene del
citocromo P450, famiglia 2, sottofamiglia C, polipeptide 9
(CYP2C9), che codifica per la proteina P450 C29,
sembrerebbero essere coinvolti nella sensibilità
CLINICAL CHEMISTRY HIGHLIGHTS
individuale alle sulfaniluree, influenzandone il
metabolismo a livello epatico (39). Sebbene siano
necessari ulteriori studi, è probabile che questi tipi di
marcatori genetici individuali potranno essere utilizzabili
per decidere l’efficacia relativa e il profilo di dosaggio
della metformina, delle sulfaniluree e di altri farmaci da
utilizzare individualmente nei pazienti con diabete tipo 2.
Studi di coorte più ampi, focalizzati su varianti genetiche
note, uniti a ulteriori applicazioni delle tecniche GWA per
scoprire ulteriori varianti genetiche influenzanti la
farmacologia di specifici farmaci, potranno fornire
sostanziali supporti per guidare la terapia personalizzata
del diabete.
PROTEOMICA E METABOLOMICA
Mutazioni genetiche e polimorfismi rappresentano
validi indicatori della variabilità individuale associata alla
malattia, ma i cambiamenti nelle sequenze della maggior
parte dei geni sono solo indirettamente correlati alla
funzione delle proteine che essi codificano o regolano
attraverso il controllo di altri geni strutturali. Cambiamenti
nell’espressione e nella funzione delle proteine in un
singolo individuo possono essere determinati non solo
dalla sequenza dei geni che codificano per la proteina,
ma anche dalle azioni di altri geni e di fattori ambientali
non genetici. Tutto ciò porta a una correlazione
imperfetta tra la variazione genetica e i livelli e le attività
delle proteine che in ultima analisi possono mediare le
caratteristiche patologicamente rilevanti dei singoli
pazienti. Ad esempio, nell’ambito di uno studio su 19
proteine di origine epatica, si è visto che la correlazione
tra i livelli di mRNA e le corrispondenti proteine era
piuttosto debole, con un coefficiente di correlazione di
solo 0,48 (40). Come approccio per valutare più
direttamente la quantità delle proteine o il loro stato
funzionale (ad es., lo stato di fosforilazione), le attuali
metodologie di proteomica rendono possibile la misura
simultanea di un grande numero di proteine presenti in
circolo, in altri liquidi corporei o in estratti tissutali (2, 41).
I dati che emergono sono complessi, con livelli di molte
proteine potenzialmente alterati anche da un singolo
cambiamento genetico; pertanto i dati ottenuti con la
proteomica non hanno finora portato ad applicazioni
pratiche per quanto concerne gli approcci personalizzati
di trattamento del diabete. Le applicazioni cliniche degli
approcci proteomici sono anche limitate dalla difficoltà di
ottenere campioni dei tessuti di interesse, quali quelli,
nel caso specifico del diabete, delle isole pancreatiche.
Tutto ciò contrasta con quanto si fa nello studio dei
marcatori genetici, che spesso possono essere misurati
in campioni di sangue periferico o da cellule della
mucosa buccale, che comunque forniscono informazioni
importanti riguardo alle caratteristiche di organi bersaglio
di difficile accesso. La proteomica ha un grande
potenziale nel fornire nuove informazioni per
comprendere la fisiopatologia del diabete e identificare
molecole bersaglio che possano essere studiate sia a
livello genetico che a livello proteico, ma è chiaro che la
IL MEGLIO DI CLINICAL CHEMISTRY
valutazione della sua applicazione su singoli pazienti per
guidare una scelta terapeutica personalizzata richiederà
ancora ulteriori importanti ricerche.
La metabolomica riguarda la misura di un’ampia
serie di metaboliti nei fluidi corporei o in estratti tissutali.
Per definizione, restano quindi esclusi enzimi, molecole
strutturali e materiale genetico. La metabolomica si
differenzia dalla proteomica in quanto essa comprende
anche la misura di carboidrati, lipidi e peptidi, oltre a
quella di alcune proteine. L’obiettivo è quello di definire
profili di metaboliti nello stato di malattia oppure,
potenzialmente, a livello individuale di sviluppare
avanzamenti di conoscenze sugli aspetti fisiopatologici o
su approcci specifici diretti al trattamento terapeutico
(42). Nel caso della biologia umana, si ritiene che il
metaboloma comprenda ~2500 metaboliti, in
contrapposizione a 25.000 geni e circa un milione di
differenti proteine. Come per la proteomica, l’obiettivo
della metabolomica è quello di fornire informazioni sulla
conoscenza dei meccanismi fisiopatologici delle malattie
e anche quello di identificare singoli metaboliti o profili di
metaboliti, che possano essere di utilità nel definire
nuove strategie per la cura delle malattie. Attualmente
non sono note applicazioni pratiche di questa
metodologia
nella
gestione
della
medicina
personalizzata per il diabete.
MEDICINA PERSONALIZZATA E
COMPLICANZE DIABETICHE
Gran parte della mortalità nel diabete di tipo 1 e di
tipo 2 deriva da complicanze microvascolari (nefropatia,
retinopatia e neuropatia diabetiche) e macrovascolari
(cardiopatia ischemica, vasculopatia periferica e ictus),
che si sviluppano nel lungo periodo. L’inizio e la
progressione delle complicanze diabetiche correlano
sostanzialmente col grado del controllo glicemico.
Pertanto, ciascuna delle strategie di approccio
personalizzato alla gestione del controllo glicemico
discusse in precedenza rappresenta una gestione
personalizzata non solo dei livelli glicemici, ma anche
delle complicanze diabetiche. Oltre che dalla glicemia, la
manifestazione e la progressione delle complicanze
diabetiche sono fortemente influenzate dalla presenza e
dal grado di ipertensione e dislipidemia (elevate
concentrazioni di colesterolo LDL, presenza di LDL
piccole e dense, bassi livelli di colesterolo HDL ed
elevate concentrazioni di trigliceridi). Gli obiettivi e le
strategie per diminuire questi fattori di rischio non
glicemici sono pertanto oggetto di attenta analisi nelle
attuali linee guida per la cura dei diabetici (43). Così
come si può pensare di personalizzare la scelta di
farmaci specifici per il trattamento dell’iperglicemia nei
soggetti diabetici, dovrebbe essere altrettanto possibile
individualizzare le decisioni sul trattamento e le scelte
dei farmaci per la gestione dei fattori di rischio non
glicemici delle complicanze sulla base di caratteristiche
individuali. Una trattazione completa degli approcci
personalizzati per il trattamento dei fattori di rischio non
biochimica clinica, 2012, vol. 36, n. 6
431
IL MEGLIO DI CLINICAL CHEMISTRY
glicemici va al di là dello scopo di questa rassegna, ma
tuttavia sarà discusso, come esempio paradigmatico, il
caso della nefropatia diabetica.
Il diabete, unitamente all’età, all’ipertensione e
all’aumento dell’indice di massa corporea, rappresenta
una delle cause principali di malattia renale cronica (44).
Il controllo glicemico influisce fortemente sullo sviluppo
della nefropatia diabetica (45) e, infatti, le strategie di
trattamento intensivo della glicemia, unitamente a una
terapia aggressiva per l’ipertensione e la dislipidemia,
hanno contribuito in maniera importante a una
significativa riduzione dell’incidenza della nefropatia
diabetica (46, 47). A dispetto di un buon controllo
glicemico e degli altri fattori di rischio, alcuni pazienti
sviluppano ugualmente albuminuria e una progressiva
perdita di funzionalità renale (48, 49). Si ritiene che ciò
sia dovuto a una serie di altri fattori di rischio genetici e
ambientali di tipo individuale. Un “cluster” familiare per la
nefropatia è stato osservato in numerosi studi (50-52),
cosa che suggerisce la presenza di altri fattori genetici
che devono essere ancora in gran parte individuati.
Recentemente, grazie all’approccio dei geni candidati e
alle tecniche GWA, sono stati identificati una serie di
polimorfismi genetici significativamente associati allo
sviluppo della nefropatia sia nei soggetti con diabete di
tipo 1 che in quelli con tipo 2, aprendo nuove prospettive
nella guida a scelte terapeutiche personalizzate (53).
Ad esempio, è stato identificato un polimorfismo
consistente nella presenza o nell’assenza di ~250
nucleotidi nella sequenza del gene dell’enzima 1
convertitore dell’angiotensina I (peptidil-dipeptidasi A)
(ACE) (54). Sebbene la sequenza polimorfica si trovi in
una regione intronica, non codificante, del gene, essa
sembrerebbe influire sull’espressione del gene ACE. Gli
individui omozigoti per l’inserzione (genotipo II)
mostrano livelli più bassi della proteina ACE, mentre gli
individui omozigoti per la delezione (genotipo DD)
manifestano concentrazioni di ACE più elevate e i
soggetti eterozigoti I/D mostrano livelli intermedi. Molti
studi supportano l’associazione del genotipo ACE II con
una minore incidenza di nefropatia diabetica e del
genotipo I/D o DD con un’incidenza maggiore della
stessa, indipendentemente dal grado di controllo
glicemico (55). Il genotipo II è stato anche associato a
una migliore risposta di riduzione della proteinuria in
seguito a terapia con inibitori dell’ACE rispetto ai genotipi
I/D o DD (55). Sebbene gli ACE inibitori sembra
manifestino un effetto globale benefico nei pazienti con
nefropatia diabetica avanzata, indipendentemente dal
genotipo e dovrebbero quindi fare parte della terapia
standard, i dati disponibili suggeriscono che i soggetti
con genotipo II possano trarre un beneficio maggiore
dalla terapia con ACE inibitori negli stadi più precoci
della nefropatia.
Quale ulteriore potenziale fattore nella nefropatia più
avanzata, varianti genetiche del gene della
proteinchinasi C-β1 (PRKCB1) sono state recentemente
associate a nefropatia terminale in diabetici di tipo 2 (56).
Ulteriori studi su altre popolazioni sono evidentemente
necessari, ma queste evidenze preliminari indicano la
432
biochimica clinica, 2012, vol. 36, n. 6
CLINICAL CHEMISTRY HIGHLIGHTS
possibilità che la genotipizzazione PRKCB1 possa
essere utile nell’identificare i pazienti che potrebbero
beneficiare di sforzi intensivi di trattamento per ridurre il
rischio di nefropatia diabetica (ad es., tramite un
controllo intensivo della glicemia, della pressione
arteriosa e della dislipidemia) o potrebbero essere
particolarmente responsivi a trattamenti con inibitori
della proteinchinasi C, ancora in fase di sviluppo. Si può
quindi anticipare che la conoscenza di determinanti
genetici per il rischio di nefropatia diabetica, associata a
evidenze derivate da analisi di proteomica e
metabolomica, potrà assumere un ruolo nelle decisioni
personalizzate in merito a quanto precocemente
intervenire e a quali trattamenti utilizzare per la
prevenzione e la gestione della nefropatia diabetica.
CONSIDERAZIONI FINALI
Il diabete mellito è chiaramente una malattia
multifattoriale, con una notevole eterogeneità e molti
sottotipi sia nel tipo 1, che nel tipo 2. Questa
eterogeneità porta con sé il riconoscimento a priori del
potenziale di una terapia personalizzata sul singolo
paziente. Grazie ai recenti avanzamenti nelle tecnologie
genetiche e molecolari, esiste un forte interesse verso
approcci più personalizzati alla gestione dei pazienti
diabetici. Il successo in questo campo richiederà sia
ipotesi basate su nuove conoscenze per individualizzare
le terapie, che strategie per mettere alla prova queste
ipotesi. In particolare, si sente il bisogno di approcci allo
sviluppo di nuovi farmaci che includano il confronto,
all’interno di studi clinici, di sottotipi diversi di diabetici
definiti sia da caratteristiche cliniche che da biomarcatori
molecolari. Questo comporterà cambiamenti nella
struttura dei “trial” farmacologici, molti dei quali sono
disegnati per includere al massimo gruppi di pazienti
potenzialmente eterogenei per dimostrare l’efficacia dei
farmaci nel più ampio contesto possibile di pazienti.
Questa rassegna ha enfatizzato le conoscenze
attuali ed emergenti sui biomarcatori molecolari utili a
definire i sottotipi individuali della malattia in base ad
aspetti fisiopatologici o alla risposta a terapie specifiche.
È importante rendersi conto che questi tipi di
biomarcatori molecolari della individualità della malattia
in ultima analisi possono influire sulle decisioni di
intervento riguardanti sia la scelta dei farmaci più
appropriati che modifiche nello stile di vita. Come
esempio non strettamente connesso al diabete, i
soggetti omozigoti sia per la variante Y402H del gene del
fattore H del complemento (CFH) che per la variante
A69S del gene 2 di suscettibilità alla maculopatia
correlata all’età (ARMS2) hanno un rischio 50 volte più
elevato di degenerazione maculare nell’adulto (57).
L’abitudine al fumo moltiplica questo rischio e, di
conseguenza, i soggetti col genotipo Y402H/A69S
dovrebbero essere specificamente candidati a modifiche
dello stile di vita e a interventi farmacologici mirati che
aiutino a smettere di fumare.
Contemporaneamente al fatto che l’avanzamento
delle conoscenze nelle caratteristiche individuali di
IL MEGLIO DI CLINICAL CHEMISTRY
CLINICAL CHEMISTRY HIGHLIGHTS
genetica, proteomica e metabolomica di soggetti col
diabete progredisce e fa sperare in approcci più
personalizzati per la gestione di questa malattia, si
manifestano critiche sui limiti di utilizzo di queste
tecnologie. Le analisi GWA, per essere valide,
richiedono un gran numero di individui per poter
dimostrare significativi effetti sul rischio. Questa
metodologia, infatti, ha il merito di poter identificare
fattori genetici che influiscono su più popolazioni e che
hanno un’ampia applicazione nella fisiopatologia e nel
trattamento della malattia diabetica. Tuttavia, è
importante sapere che la tecnologia GWA non è
concepita per identificare tratti genetici che possano
avere tra loro un effetto di grandezza uguale o anche
maggiore, ma solo per cercare un substrato genetico o
ambientale su una specifica popolazione. L’aumento
reale del rischio correlato a specifici marcatori associati
al diabete di tipo 2 identificati con la tecnica GWA è
dell’ordine di 1,3-1,5 volte e, messi tutti insieme, i fattori
identificati finora si ritiene contribuiscano a non più del
10% del rischio. Ciò ha sollevato dubbi che questi
avanzamenti nelle conoscenze genetiche siano in grado
di fornire informazioni sufficienti per influenzare il
trattamento del diabete, almeno fino a quando non si
arriverà a una comprensione totale dei meccanismi
patogenetici della malattia (58). L’applicazione dei
metodi della biologia dei sistemi a malattie complesse
come il diabete è esplorata come strategia per ampliare
le conoscenze sulle basi fisiopatologiche e nella
gestione della malattia, cercando di integrare in maniera
organica la quantità di dati molecolari in continua
crescita (59, 60).
Sebbene molta più ricerca sia necessaria, la larga
base di evidenze a sostegno di strategie terapeutiche
dirette per la maggior parte dei pazienti con MODY, ivi
inclusi l’abbandono dei trattamenti terapeutici diretti al
controllo della glicemia nei pazienti MODY 2 e la
valutazione specifica della risposta alle sulfaniluree nei
soggetti MODY 1 e MODY 3, fornisce un chiaro esempio
dell’utilità dell’applicazione della medicina molecolare
personalizzata nel diabete. D’altro canto, sebbene le
evidenze supportino alcune strade preferite di intervento
terapeutico, non tutti i pazienti MODY 2 possono essere
liberati dalla terapia per il controllo glicemico e non tutti i
pazienti MODY 1 e MODY 3 possono essere gestiti in
maniera efficace con le sulfaniluree. È probabile che la
medicina personalizzata nelle forme più comuni di
diabete possa fornire benefici sostanziali impiegando in
maniera simile caratteristiche individuali per definire una
sequenza tipo di opzioni nel trattamento più che una sola
specifica terapia.
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