ISTITUTO COMPRENSIVO DI GATTATICO/CAMPEGINE Verbale

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ISTITUTO COMPRENSIVO DI GATTATICO/CAMPEGINE Verbale
ISTITUTO COMPRENSIVO DI GATTATICO/CAMPEGINE
Via Gramsci, 29 – 42043 GATTATICO (RE) - Tel. 0522/678282 – Fax 0522/900219
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Verbale della riunione del Gruppo di Lavoro per l'Inclusione dell'Istituto Comprensivo di Gattatico
Il giorno 07.04.2014 alle ore 17.00 nei locali della scuola secondaria di Gattatico si riunisce il
gruppo di Lavoro per l'Inclusione, costituito ai sensi del Direttiva Ministeriale del 27 dicembre 2012
(Strumenti d’intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per
l’inclusione scolastica) e della Circolare Ministeriale n. 8 del 6 marzo 2013 e la Legge 104/92 art.
15 comma 2.
Sono presenti:
Campanini Ate, ins. F.S. Alunni stranieri ed Educazione Interculturale,
Triani Marica, ins. F.S. Alunni con Disturbi Specifici di Apprendimento,
Grementieri Giuseppina, ins. F.S. Integrazione alunni con handicap-scuola primaria,
Gherardi Margherita, ins. F.S. Integrazione alunni con handicap scuola secondaria di primo grado,
Aimi Erminia, Ufficio Scuola del Comune di Gattatico.
O.d.G.:
1. Costituzione ed Elaborazione del Regolamento del gruppo di lavoro;
2. Calendario dei lavori ed elaborazione del Piano.
1. Viene data lettura di una bozza di regolamento elaborata dal D.S.; vengono apportate alcune
modifiche alla parte conclusiva, “Composizione del GLI”. Viene quindi approvato il regolamento
di seguito esposto:
REGOLAMENTO DEL GRUPPO DI LAVORO PER L’INCLUSIONE – I.C. GattaticoCampegine
a) Costituzione del G.L.I. - Gruppo di Lavoro per l’Inclusione
Ai sensi della Direttiva Ministeriale del 27 dicembre 2012 (Strumenti d’intervento per alunni con bisogni
educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica), la Circolare Ministeriale n. 8 del
6 marzo 2013 e la Legge 104/92 art. 15 comma 2, il Capo d’Istituto costituisce il G.L.I., un gruppo di lavoro
i cui componenti […] sono integrati da tutte le risorse specifiche presenti nella scuola […], in modo da
assicurare all’interno del corpo docente il trasferimento capillare delle azioni di miglioramento intraprese e
un’efficace capacità di intervento sulle criticità rilevate nel contesto [1]. Attraverso l’intesa fra i
rappresentanti della Scuola, delle Agenzie territoriali e del Servizio Sanitario Nazionale, il G.L.I. persegue la
finalità di attuare precoci interventi atti a prevenire il disadattamento e l’emarginazione, in un’ottica di piena
realizzazione del diritto allo studio.
A tale scopo, la citata Direttiva Ministeriale, delinea e precisa la strategia inclusiva … al fine di realizzare
appieno il diritto all’apprendimento per tutti gli alunni e gli studenti in situazione di difficoltà … estendendo
il campo d’intervento e di responsabilità a tutta la comunità educante all’intera area dei Bisogni Educativi
Speciali [2].
1 Circolare Ministeriale n. 8, 6 marzo 2013: Azioni a livello di singola istituzione scolastica.
2 Ib., Introduzione. Per Bisogni Educativi Speciali, si intendono: “svantaggio sociale e culturale, disturbi specifici di
apprendimento e/o disturbi evolutivi specifici, difficoltà derivanti dalla non conoscenza della cultura e della lingua
b) Competenze
L'azione del G.L.I. può essere riassunta in competenze di tipo organizzativo, progettuale, valutativo e
consultivo.
In particolare:
- costituisce l’interfaccia della rete dei C.T.S. (Centri Territoriali di Supporto), dei C.T.I. (Centri Territoriali
per l’Inclusione) e dei Servizi Sociali e Sanitari territoriali per l’implementazione di azioni di sistema
(formazione, tutoraggio, progetti di prevenzione, monitoraggio, ecc.);
- raccoglie e documenta gli interventi didattico-educativi posti in essere anche in funzione di azioni di
apprendimento organizzativo in rete tra scuole e/o in rapporto con azioni strategiche dell’Amministrazione;
- rileva i bisogni educativi speciali (B.E.S.) presenti nella scuola;
- organizza azioni di confronto sui casi;
- offre consulenza e supporto ai colleghi sulle strategie e sulle metodologie di gestione delle classi;
- rileva, monitora e valuta il livello di inclusività della scuola;
- raccoglie e coordina le proposte formulate dai singoli G.L.H. Operativi sulla base delle effettive esigenze,
ai sensi dell’art. 1, comma 605, lettera b, della Legge 296/2006, tradotte in sede di definizione del PEI, come
stabilito dall’art. 10, comma 5 della Legge 30 luglio 2010, n. 122;
- entro il mese di giugno, elabora la proposta di Piano Annuale per l’Inclusività riferito a tutti gli alunni
con bisogni educativi speciali, da redigere al termine di ogni anno scolastico. A tale scopo, il Gruppo di
Lavoro per l’Inclusione procederà ad un’analisi delle criticità e dei punti di forza degli interventi di
inclusione scolastica operati nell’anno appena trascorso e formulerà un’ipotesi globale di utilizzo funzionale
delle risorse specifiche per incrementare il livello di inclusività generale della scuola nell’anno successivo
[3];
- nel mese di settembre, in relazione alle risorse effettivamente assegnate alla scuola, comprendenti Risorse
per l'alfabetizzazione alunni stranieri (fonti: USR e Unione Val d'Enza) e, per l'a.s. 2014-15, risorse dal
Bando Anti-dispersione scolastica (progetto presentato dalla Rete istituti Comprensivi della Val d'Enza)
provvede all’adattamento del Piano Annuale per l’Inclusività, in base al quale il Dirigente Scolastico
procederà all’assegnazione definitiva delle risorse, sempre in termini ‘funzionali’.
c) convocazione del Gruppo di lavoro
Il G.L.I. si riunisce almeno due volte l’anno su convocazione del Dirigente Scolastico e le sedute sono
presiedute da quest’ultimo.
Le delibere sono assunte a maggioranza dai presenti e, di ciascuna seduta, deve essere redatto apposito
verbale.
d) composizione del G.L.I.
Il G.L.I. è composto da:
- il Dirigente Scolastico;
- la funzione strumentale per gli alunni stranieri;
- la funzione strumentale per l’integrazione scolastica alunni con disabilità;
italiana perché appartenenti a culture diverse”
3 Il Piano Annuale per l’Inclusività viene successivamente discusso e deliberato in Collegio dei Docenti ed inviato ai competenti
Uffici degli UUSSRR, nonché ai GLIP e al GLIR, per la richiesta di organico di sostegno, e alle altre istituzioni territoriali come
proposta di assegnazione delle risorse di competenza, considerando anche gli Accordi di Programma in vigore o altre specifiche
intese sull’integrazione scolastica sottoscritte con gli Enti Locali. A seguito di ciò, gli Uffici Scolastici regionali assegnano alle
singole scuole globalmente le risorse di sostegno secondo quanto stabilito dall’art. 19 comma 11 della Legge n. 111/2011.
- la funzione strumentale per i D.S.A.;
- la funzione strumentale per il Disagio;
- una rappresentanza dell’Unità di Neuropsichiatria Infantile territoriale;
- una rappresentanza del servizio di assistenza sociale;
- rappresentanti di Enti Territoriali, identificati nei responsabili dell'ufficio-scuola dei vari enti locali;
- 1 o 2 genitori rappresentanti del Consiglio d’Istituto;
- rappresentanti delle cooperative sociali che collaborano con l’Istituto (dott.ssa Catia Cavatorti per il
Comune di Gattatico, dott.ssa Chiara Panciroli per il Comune di Campegine).
- Viene presa in considerazione uno strumento utile per la stesura del Piano Annuale dell'Inclusività
dell'I.C.. Tale Piano prevede la compilazione di due pagine a giugno (p.1 e inizio p.2) da parte degli
insegnanti di tutte le classi, e un lavoro di sintesi e raccordo da operare successivamente.
- Sulla questione Bisogni Educativi Speciali il dirigente scolastico rende noto che non è prevista da
nessuna norma la Certificazione dei B.E.S.; l'individuazione degli stessi compete pienamente agli
insegnanti dei Consigli di Classe (nella scuola primaria Team Docenti o Equipe pedagogica).
Alle ore 18.45 termina la riunione
Verbalizza il D.S., dott. Lorenzo Lotti
Allegati:
1. Saggio redatto dal dott. Fogarolo: “I BES non si certificano”;
2. Circolare sui BES già diffusa nel ns. Istituto Comprensivo.
Allegato 1
“I BES non si certificano!”
di Flavio Fogarolo – Insegnante di scuola secondaria, referente per l'integrazione scolastica degli alunni con disabilità presso
l'Ufficio scolastico prov.le di Vicenza, collaboratore INDIRE e MIUR, autore di saggi pubblicati da Erickson ed. , TN.
Le recenti disposizioni ministeriali sugli alunni con Bisogni Educativi Speciali (BES) hanno suscitato, come è noto, un
vivace dibattito dentro e fuori la scuola, con molti pronunciamenti pienamente favorevoli ed altri critici o preoccupati.
Si evidenzia da molte parti soprattutto il rischio di medicalizzare dei semplici problemi educativi e di etichettare in
questo modo delle normali differenze individuali.
Il rischio è reale non deriva, a parer mio, dalla direttiva o circolare ministeriale e di sicuro il MIUR non ha “inventato” i
BES.
Da molti anni, prima con la disabilità poi con i DSA, domina nelle scuole, unico e praticamente incontrastato, un
modello di tipo clinico: i bisogni vanno “certificati”, ossia riconosciuti formalmente da un’autorità sanitaria esterna alla
scuola, e solo in seguito a questa procedura gli insegnanti si attivano personalizzando gli interventi.
Passare da una impostazione di questi tipo ad una pedagogico-didattica, come richiesto e previsto per i BES, non è per
nulla banale e non possiamo stupirci se questa innovazione sia fonte di difficoltà, non tanto di resistenze, nelle scuole.
Si registra infatti spesso, in questi primi mesi di applicazione delle nuove disposizioni, la propensione ad applicare
anche ai BES il modello clinico, con la scuola che tende ad assumere il ruolo degli specialisti e individuare i BES in
base a misurazioni oggettive, o presunte tali, una volta definita la soglia critica. In alcune scuole, ad esempio, si
sottopongono tutti gli alunni a delle prove standardizzate di lettura e vengono considerati come BES tutti gli alunni che
riportano punteggi inferiori ad un certo livello. È una forzatura che non è certo imputabile alla Circolare Ministeriale
(CM 8/13) che anzi afferma chiaramente che l’individuazione va fatta in base a “ben fondate considerazioni
psicopedagogiche e didattiche”.
Ma cosa vuol dire, in pratica, applicare un modello pedagogico e non un modello clinico?
In estrema sintesi, significa considerare l’efficacia e la convenienza degli interventi proposti, non la sola entità dei
bisogni e, tanto meno, il loro riconoscimento nominale.
I BES non si certificano! Non possono farlo i servizi sanitari, né in modo diretto o esplicito («il bambino/ragazzo XY è
un alunno con Bisogni Educativi Speciali», fortunatamente pochi ma arrivano alle scuole anche certificati di questo
tipo), né indiretto, e questa è una pratica invece molto diffusa: dopo avere indicati disturbi o difficoltà si conclude
dicendo che per questo alunno la scuola deve applicare le tutele previste dalla CM n. 8 del 2013. Inserire in una
diagnosi clinica una dichiarazione di questo tipo è un’inaccettabile invasione di campo: l’applicazione della circolare n.
8, ossia di fatto l’individuazione dell’alunno come BES, rientra nell’ambito della didattica, non della clinica, ed è
pertanto una prerogativa esclusiva della scuola. Una prerogativa che non si basa certamente sull’arbitrio (“A scuola
facciamo quello che vogliamo”) ma su quella assunzione di responsabilità che è strettamente connessa all’autonomia
scolastica e educativa. A fronte di un bisogno clinicamente accertato e documentato la scuola deve organizzarsi e dare
una risposta ma è “responsabilmente” autonoma nel decidere cosa fare e come farlo, attenta cioè a verificare l’efficacia
degli interventi attivati e a rivedere le scelte se necessario.
La certificazione di disabilità o di DSA si basa su considerazioni il più possibile oggettive ma nel momento in cui la
scuola identifica un alunno con Bisogni Educativi Speciali deve considerare, e valutare, non solo i bisogni ma anche il
contesto e la convenienza dell’intervento di personalizzazione proposto.
Vale la pena ricordare cosa dice al riguardo la Circolare Ministeriale n. 8 del marzo 2013: «… è compito doveroso dei
Consigli di classe o dei teams dei docenti nelle scuole primarie indicare in quali altri casi sia opportuna e necessaria
l’adozione di una personalizzazione della didattica …».
La scuola quindi non dichiara gli alunni BES, né tanto meno li certifica, ma a individua quelli per i quali è “opportuna e
necessaria” una personalizzazione formalizzata, ossia un PDP.
Pertanto il PDP non è una conseguenza di questo riconoscimento come per la disabilità e i DSA (“Questo alunno è BES
quindi la scuola deve predisporre un PDP”) ma parte integrante dell’identificazione della situazione di bisogno (“Questo
alunno è BES perché secondo la scuola ha bisogno di un PDP”).
Certamente non tutti gli alunni che hanno qualche difficoltà rientrano tra i BES e non per tutti quelli che hanno bisogno
di una qualche forma di personalizzazione deve essere predisposto un PDP.
La scuola ha tanti modi, strumenti e procedure per adattare la didattica ai bisogni individuali, molti dei quali assai più
semplici e informali ma in certi casi ugualmente efficaci, se non di più.
Identificare un alunno come BES significa riconoscere per lui la necessità non solo di un percorso didattico diverso da
quello dei compagni ma anche di una sua ufficializzazione, come assunzione formale di impegni e responsabilità da
parte della scuola e, se possibile, anche della famiglia. Ossia di un PDP, appunto.
La scuola è chiamata pertanto a decidere sull’opportunità di questa scelta, che di sicuro non dipende solo dall’entità del
bisogno ma si basa sulla valutazione dell’effettiva convenienza della strategia didattica personalizzata che si intende
attuare.
Dobbiamo cioè rispondere a domande di questo tipo: per questo alunno, in questa scuola, in questo momento, è
veramente necessario, utile, opportuno… stendere un PDP?
La valutazione di convenienza deve considerare gli aspetti positivi e negativi dell’intervento e prevedere, con
ragionevole certezza, che i vantaggi saranno prevalenti.
Perché, certamente, scelte di questo tipo non hanno solo aspetti positivi! Sappiamo benissimo che la scelta di
differenziare formalmente il percorso didattico di un alunno rispetto a quello dei compagni comporta spesso ricadute
anche gravi nel campo dell’autostima, dell’accettazione, del rapporto con i compagni, delle tensioni familiari e altro.
Sono rischi che vanno previsti, valutati, analizzati (prevedendo e attivando eventuali azioni correttive) e confrontati con
i benefici previsti o attesi; ma si va avanti solo se il bilancio è nettamente positivo, almeno nelle previsioni e
potenzialità.
Questo modo di procedere nell’individuazione dei BES, basato sulla stima tra vantaggi e svantaggi, comporta almeno
due importanti conseguenze:
- la prima è che questa valutazione è fortemente condizionata dal contesto e quindi uno stesso alunno può essere
considerato BES in una realtà scolastica e non in un’altra. È una situazione ovviamente inconcepibile per la disabilità e i
DSA: un alunno dislessico, ad esempio, rimane tale anche se cambia scuola, su questo non ci sono dubbi. Ma per gli
alunni con BES individuati dalla scuola non è così: un alunno può aver necessità di una personalizzazione formalizzata
in una scuola mentre in un’altra può non essercene bisogno. O viceversa. Pensiamo ad esempio ad una classe a tempo
pieno della scuola primaria gestita da una coppia di insegnanti che lavora assieme da molti anni, condividendo fino al
minimo dettaglio quotidiano il metodo di insegnamento; di fronte ai bisogni di un bambino in difficoltà per loro a volte
un dialogo davanti alla macchina del caffé risulta efficace quanto una dettagliata personalizzazione scritta redatta in altri
contesti, se non di più. Ma se l’alunno dovesse cambiare scuola, e passare ad esempio alle medie con tanti insegnanti
che si incontrano solo nel consiglio di classe, può essere necessaria una personalizzazione più strutturata, forse anche
attraverso un PDP.
- la seconda conseguenza è che, almeno a grandi linee, quando identifica l’alunno come BES la scuola deve aver già
chiaro il tipo di intervento che intende attuare con quello specifico alunno, a supporto delle sue difficoltà, perché solo in
questo modo è possibile una consapevole valutazione di convenienza. Paradossalmente possiamo dire che gli alunni nei
confronti dei quali ci si sente impotenti perché non si sa cosa fare per loro, per quanto evidenti e gravi siano i loro
bisogni educativi, non possono essere considerati BES finché non si sarà grado di dire come si intende effettivamente
personalizzare il loro percorso per poter valutare se esso sarà opportuno e conveniente.
Andranno certamente considerate anche le esigenze di personalizzazione collegate alla definizione dei livelli minimi di
competenze nonché alle forme e criteri di valutazione, ma sempre considerando criteri di opportunità e convenienza. Le
esigenze connesse alla valutazione, ad esempio, saranno molto più sensibili quando si avvicinano gli esami, o nel
secondo ciclo di istruzione; in altri casi la valutazione ha comunque per tutti un ruolo prevalentemente educativo e
alcune personalizzazioni possono essere introdotte anche senza bisogno di un adempimento formale (ossia del PDP). In
ogni caso esse derivano sempre da delle scelte e dal confronto tra vantaggi e svantaggi.
In questa fase è purtroppo elevato il rischio di considerare le attenzioni agli alunni con bisogni educativi speciali come
un adempimento burocratico in più, oneroso, se non vessatorio, per le scuole e, purtroppo, certe puntigliose
interpretazioni delle disposizioni ministeriali (piano educativo individualizzato, piano annuale dell’inclusione,
autovalutazione dell’inclusione, rilevazione dei bisogni) rafforzano questa impressione. Per questo occorre
assolutamente riaffermare il valore educativo di ogni procedura.
La riscoperta attenzione verso gli alunni con Bisogni Educativi Speciali va vissuta realmente, non solo a parole, come
un’opportunità per le scuole, ossia come la “possibilità”, non l’obbligo, di fare alcune cose che prima sembravano
impossibili, o quantomeno di dubbia legittimità, come formalizzare un percorso diverso anche per chi non ha portato a
scuola documenti o certificati particolari. Adesso sappiamo ufficialmente che possiamo fare molto anche per loro, per i
nostri “sans papiers” che , almeno a scuola, non devono necessariamente essere considerati cittadini di serie B. Un atto
di giustizia ma anche un altro passo avanti per un’effettiva responsabilità e autonomia delle scuole.
Allegato 2
Circolare: bisogni educativi speciali e indicazioni attività educativa dei docenti.
Prot. n. 1158/C312 del 16.04.2013
1. Bisogni Educativi Speciali – Sono state diffuse dal MIUR la Direttiva "Strumenti di intervento per gli alunni
con bisogni educativi speciali e Organizzazione territoriale per l'inlcusione scolastica" (27.12.2012) e la
Circolare di Indicazioni operative (C.M. n.8 del 06.03.2013) relative ai bisogni educativi speciali degli alunni.
Nei B.E.S. rientra la disabilità ma anche i disturbi specifici di apprendimento e lo svantaggio socio-economico e
culturale. L’intento dei provvedimenti è dichiaratamente anti-burocratico: l’individualizzazione dei percorsi didattici
(già prevista dalla Legge 53.2003 e successivo D.Lgs 59.2004) non è né deve essere una questione cartacea, di
certificazioni e documenti e timbri da aggiungere a quelli eventualmente già presenti: davanti all’evidenza pedagogica,
al bisogno educativo dell’alunno, manifesto o inferibile dai comportamenti, il consiglio di classe dovrà avviare percorsi
personalizzati. Il baricentro si sposta sul piano educativo e il processo di inclusione diventa qualcosa che riguarda tutta
la comunità educante. La Direttiva ricorda che “ogni alunno può manifestare Bisogni Educativi Speciali, per motivi
fisici, biologici, fisiologici o anche per motivi psicologici, sociali, rispetto ai quali è necessario che le scuole offrano
adeguata e personalizzata risposta”. I BES dovranno essere individuati sulla base di elementi oggettivi o di
considerazioni psicopedagogiche e didattiche elaborate congiuntamente dai docenti dei team-docenti e dei consigli di
classe. E’ compito dei Consigli di classe/teams-docenti indicare in quali altri casi sia opportuna e necessaria l'adozione
di una personalizzazione della didattica ed eventualmente di misure compensative o dispensative, nella prospettiva di
una presa in carico globale ed inclusiva di tutti gli alunni.
In relazione al percorso individualizzato e personalizzato, viene redatto in un Piano Didattico Personalizzato (PDP),
che ha lo scopo di definire, monitorare e documentare le strategie di intervento più idonee e i criteri di valutazione degli
apprendimenti.
1.1 Il Gruppo di lavoro per l’integrazione scolastica assume la denominazione di Gruppo di lavoro per l’inclusione (in
sigla G.L.I.) e svolge le seguenti funzioni: rilevazione dei BES presenti nella scuola; raccolta e documentazione degli
interventi didattico-educativi posti in essere; focus/confronto sui casi, consulenza e supporto sulle strategie e
metodologie di gestione delle classi.
Direttiva ministeriale e relativa Circolare sono presenti, in copia, in ciascun plesso. Gli insegnanti sono invitati alla
lettura dei due documenti, che hanno valore normativo.
2. Bisogni educativi ordinari - Posto che la scuola è il luogo, l’ambiente di crescita in cui gli alunni/le alunne, in un
clima normalmente sereno, imparano a regolarsi nei rapporti umani con i compagni e le compagne (relazioni
simmetriche) e con gli insegnanti (relazioni asimmetriche), in cui sviluppano gradualmente la loro autonomia (= fare da
soli), in cui apprendono a parlare, pensare, ascoltare, conoscere, simbolizzare, organizzare, pianificare, collocarsi nel
mondo, in cui sviluppano un quadro organico di conoscenze e abilità operative, è compito di tutti gli insegnanti, senza
distinzione per disciplina insegnata o per numero di ore trascorse in una data classe, operare costruttivamente affinché il
progetto educativo-culturale si realizzi. A questo proposito si riporta, di seguito, un breve pro-memoria:
2.1 La gestione educativa della classe comporta la corresponsabilità di tutti gli insegnanti che in essa operano.
Questo significa, in concreto, che ogni docente è responsabile del fatto che in una certa classe si sia giunti o meno a
una condivisioni di valori e di regole di comportamento scolastico: le regole non si danno né si impartiscono, ma si
condividono, si assumono come impegno comune.
L’insegnante, ciascun insegnante, responsabilizza gli alunni, che devono essere condotti a operare per costruire un clima di partecipazione, di collaborazione, improntato all’aiuto reciproco, all’accettazione, all’ascolto. Il fatto che, nella
scuola secondaria di primo grado, venga nominato un coordinatore del Consiglio di classe o che, nella scuola primaria,
venga nominato un docente a presiedere le operazioni di scrutinio per il Dirigente scolastico non significa che ad essi o
al coordinatore di sede venga delegata la gestione educativa della classe, che rimane competenza di ciascun docente.
[rif. D. Lgs. 59/2004: “il perseguimento delle finalità di cui all'articolo 9 è affidato, anche attraverso la personalizzatone
dei piani di studio, ai docenti responsabili degli insegnamenti e delle attività educative e didattiche.”]. Sono destituiti di ogni fondamento i comportamenti di delega a terzi quando vi siano momenti di crisi in classe: “Quando arriva la
maestra XXX te la vedrai con lei” o “Quando arriva la professoressa YYY …” o “… l’insegnante di lettere” o “… la
coordinatrice del c. di classe” o “Adesso ti mando dal preside!” o “Adesso ti mando dalla vice-preside!” o “……. dalla
psicologa”.
Con i colleghi ci si raccorda, con la psicologa ci si consulta, con il preside si comunica ma l’azione educativa non è delegabile ad altri.
Gli strumenti a disposizione di ciascun insegnante sono quelli della propria professionalità, adeguatamente curata e
conltivata, anno dopo anno. E’ inoltre attivo presso il ns. istituto il servizio di consulenza psicologica nell’ambito del
progetto “Giovane come te”.
2.2 Compete agli insegnanti la gestione della comunicazione in classe, sia nello sviluppo del progetto educativo ordinario (triennale o quinquennale) sia in occasione di eventi particolari nella vita di una classe, quali ad esempio,
l’arrivo di un nuovo compagno, la partenza di qualcuno già appartenente al gruppo-classe, il dissidio anche violento
fra alunni membri della comunità scolastica, i momenti di crisi nella relazione con gli insegnanti.
Dal D.P.R.249/1998: “La scuola è una comunità di dialogo”; “La comunità scolastica fonda il suo progetto e la sua
azione educativa sulla qualità delle relazioni insegnante-studente, contribuisce allo sviluppo della personalità dei
giovani, anche attraverso l'educazione alla consapevolezza e alla valorizzazione dell'identità di genere, del loro senso di
responsabilità e della loro autonomia individuale”
Parlare agli alunni, spiegare, raccontare, ma anche e soprattutto ascoltare, suscitare interessi e interventi, condurre
le conversazioni e regolare i turni di parola, controllare la coerenza degli interventi: sono alcuni dei verbi che contraddistinguono l’azione educativa quotidiana. Non è compito della comunità scolastica “dare segnali” poiché ogni “segnale” è caratterizzato da una fondamentale ambiguità interpretativa. La parola detta e spiegata riduce molto tale ambiguità. E’ compito degli insegnanti -tutti- intervenire prevedendo anche la predisposizione di momenti assembleari: circle
time – la classe come gruppo di relazione – assemblea o “collettivo” di classe. A questo scopo gli insegnanti possono
avvalersi di strumenti culturali e tecnici che, unitamente al training quotidiano, vengono a far parte della professionalità
docente. Fonti normative: Decreto Ministeriale 31.07.2012 - “Particolare cura è necessario dedicare alla formazione
della classe come gruppo, alla promozione dei legami cooperativi fra i suoi componenti, alla gestione degli inevitabili
conflitti indotti dalla socializzazione. La scuola si deve costruire come luogo accogliente, coinvolgendo in questo compito gli studenti stessi.”.
2.3 La gestione del percorso formativo di ciascun alunno riguarda TUTTO il percorso, non solo l’anno corrente.
La prospettiva degli insegnanti membri dei consigli di classe deve abbracciare tutto il percorso, dalla prima elementare
alla terza media, tenendo adeguatamente conto degli avvenimenti che hanno contraddistinto il percorso: trasferimenti da
una scuola all’altra, da un paese all’altro, bocciature, abbandoni scolastici recuperati, ospitalizzazioni prolungate, crisi
delle famiglie. L’analisi degli insegnanti, di cui deve rimanere traccia nei verbali dei consigli di classe, non può e non
deve limitarsi solo e unicamente alle performances riscontrate in occasione delle prove di verifiche standardizzate o delle interrogazioni ma deve comprendere un’accurata ricostruzione della storia personale-scolastica di ciascun alunno
[fonti normative: D.Lgs.59/2004 e D.M. 31.07.2007].
2.4 La progettazione del futuro, in prospettiva scolastica, acquista una particolare rilevanza nella scuola secondaria di primo grado.
In particolare, per gli alunni in uscita dalla scuola media, quando non vi sia alle spalle dell’alunno una famiglia solida,
funzionale ai bisogni dell’alunno, capace di collaborare all’elaborazione di un progetto di vita e scolastico, è necessario
dedicare tempo ed energie alla costruzione di un progetto riguardante il futuro scolastico. Fonti normative: D.M.
31.07.2007 – “Sin dai primi anni di scolarizzazione è importante che i docenti definiscano le loro proposte in una
relazione costante con i bisogni fondamentali e i desideri dei bambini e degli adolescenti. È altrettanto importante valorizzare i momenti di passaggio, che segnano le tappe principali di apprendimento e di crescita di ogni studente.” Dal D.P.R.249/1998: “La scuola si impegna a porre progressivamente in essere le condizioni per assicurare: iniziative concrete per il recupero di situazioni di ritardo e di svantaggio nonché per la prevenzione e il recupero della dispersione scolastica”.
2.5 Alleanza educativa e dialogo scuola-famiglia. Nel rispetto dei ruoli, che non devono mai confondersi, spetta all’insegnante mantenere aperta la comunicazione con la famiglia, coinvolgendo la stessa nel progetto di crescita definito
nel P.O.F. Fonti normative: D.M. 31.07.2012 – “La scuola perseguirà costantemente l’obiettivo di costruire un’alleanza educativa con i genitori. Non si tratta di rapporti da stringere solo in momenti critici, ma di relazioni costanti
che riconoscano i reciproci ruoli e che si supportino vicendevolmente nelle comuni finalità educative. … Insegnare le
regole del vivere e del convivere è per la scuola un compito oggi ancora più ineludibile rispetto al passato, perché sono
molti i casi nei quali le famiglie incontrano difficoltà più o meno grandi nello svolgere il loro ruolo educativo”.
2.6 Insuccesso scolastico e abbandono sono spesso l’una causa dell’altro.
E’ necessario massimizzare le possibilità di successo, anche parziale, anche minimo, di ciascun alunno. Lo scotto pagato in caso di insuccesso, scotto pagato dagli alunni, consiste troppo spesso nell’abbandono scolastico. Tale abbandono non è particolarmente frequente nel ns. istituto, anche perché si tratta del primo ciclo di istruzione, ma le forme prodromiche dell’abbandono sono sotto gli occhi degli insegnanti: il distanziamento, o presa di distanza dalla scuola sotto
il profilo dell’adesione al progetto educativo, può iniziare già alla scuola primaria. E’ compito e responsabilità del personale del ns. Istituto adoperarsi affinché non si verifichino forme di distanziamento e abbandono scolastico già nel primo ciclo di istruzione. Fonti normative: la Costituzione, art. 3.
2.7 Valutazione alunni – l’identità professionale dell’insegnante è, in nuce, “costruire percorsi, non sanzionare i
risultati”. Dal punto di vista normativo (D.Lgs.249/1998 e DPR 122/2009) la valutazione deve essere tempestiva (nei
tempi) e trasparente (nei criteri e nella comunicazione ad alunni) nonché facilmente accessibile alle famiglie
(L.241/1990). La valutazione assolve a una preminente funzione formativa, riferita al percorso di crescita di ciascun
alunno (O.M.236/1990). La valutazione formativa deve avere una consistenza adeguata ai percorsi di lavoro. “Agli
insegnanti – recita il D.M. del 31/07/2007 e successiva Direttiva n. 68 del 03/08/2007 – compete la responsabilità della
valutazione ……. La valutazione precede, accompagna e segue i percorsi curricolari. Attiva le azioni da intraprendere,
regola quelle avviate, promuove il bilancio critico su quelle condotte a termine. Assume una preminente funzione
formativa, di accompagnamento dei processi di apprendimento”.
Allegato: “Scuola della prevenzione dei disagi e del recupero degli svantaggi”. [dal D.M. 2007]
Per gli alunni che hanno un retroterra sociale e culturale svantaggiato, la Scuola Secondaria di 1° grado programma i
propri interventi mirando a rimuovere gli effetti negativi dei condizionamenti sociali, in maniera tale da superare le
situazioni di svantaggio culturale e da favorire il massimo sviluppo di ciascuno e di tutti.
Scuola della relazione educativa. La relazione educativa, pur nella naturale asimmetria dei ruoli e delle funzioni tra
docente ed allievo, implica l’accettazione incondizionata l’uno dell’altro, così come si è, per chi si è, al di là di ciò che
si possiede o del ruolo che si svolge. Nella relazione educativa ci si prende cura l’uno dell’altro come persone: l’altro ci
sta a cuore, e si sente che il suo bene è, in fondo, anche la realizzazione del nostro. Quando si entra in questo clima, gli
studenti apprendono meglio. La Scuola Secondaria di 1° grado, perciò è chiamata a considerare in maniera adeguata
l’importanza delle relazioni educative interpersonali che si sviluppano nei gruppi, nella classe e nella scuola, e ciò
soprattutto in presenza di ragazzi in situazione di handicap. Avere attenzione alla persona; valorizzare, senza mai
omologare o peggio deprimere; rispettare gli stili individuali di apprendimento; incoraggiare e orientare; creare
confidenza; correggere con autorevolezza quando è necessario; sostenere; condividere: sono solo alcune delle
dimensioni da considerare per promuovere apprendimenti significativi e davvero personalizzati per tutti.
Gattatico, il 16.04.2013
Il dirigente scolastico, dott. Lorenzo Lotti