Bozza di articolazione della tesi

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Bozza di articolazione della tesi
PREFAZIONE
Lo studio presente, Giudei e cristiani nei Sermoni di san Pietro Crisologo, è stato
presentato come Tesi di Dottorato in Teologia e Scienze Patristiche all’Institutum
Patristicum Augustinianum, presso la Pontificia Università Lateranense, e qui
difeso il 26 Ottobre 2000.
L’interesse per la figura di Pietro Crisologo, vescovo e dottore della Chiesa, mi
è nato circa dieci anni fa da un consiglio dell’Arcivescovo di Bologna, il Card.
Giacomo Biffi. Esso mi ha portato alla Tesi di Licenza, diretta dal Rev. P. Basil
Studer e intitolata L’esegesi di san Pietro Crisologo sui Salmi (Roma 1992).
Negli stessi anni, grazie alla benevolenza dello stesso Arcivescovo, ho
collaborato all’edizione dell’opera omnia del Pastore di Ravenna, pubblicata in tre
volumi (Milano, Biblioteca Ambrosiana - Roma, Città Nuova Editrice, 1996-1997)
e presentata al pubblico italiano all’interno delle celebrazioni del XXIII
Congresso Eucaristico Nazionale (Bologna, Settembre 1997).
Il desiderio di studiare la questione del rapporto tra i cristiani e i giudei nei
Sermoni di Pietro è nato dalla constatazione della frequenza e dell’intensità con la
quale Crisologo si esprime al riguardo mentre commenta ai suoi fedeli le pagine
della Bibbia, spiega le grandi verità della fede, presenta l’esempio dei santi ed esorta
a vivere con coerenza il messaggio evangelico.
Tale desiderio di approfondimento è anche collegato all’interesse per l’esegesi
biblica e per l’apporto che ad essa può ancora venire dall’esegesi patristica. Infine, lo
studio intende offrire un contributo anche per lo sviluppo di un dialogo,
corretto e serio, tra i cristiani e gli ebrei.
La novità e la delicatezza dell’argomento trattato susciterà nel lettore la
comprensione benevola per le inesattezze, più o meno gravi, per le lacune, e per
ogni altra probabile incompletezza.
Ringrazio vivamente il direttore della ricerca, prof. Paolo Siniscalco, per la
cortesia, la premura e la competenza con le quali mi ha accompagnato nella stesura
del testo. Ringrazio i correlatori, il prof. P. Vittorino Grossi e il prof. Mauro Perani,
per i preziosi suggerimenti offerti durante il lavoro di ricerca e in sede di discussione
della tesi.
Grazie a tutti, professori dell’Augustinianum, compagni di studio, amici,
confratelli, familiari, fratelli e sorelle delle Famiglie della Visitazione.
Bologna, 30 Luglio 2003,
Memoria di s. Pietro Crisologo, vescovo e dottore della Chiesa
CAPITOLO I
G. SCIMÈ
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STATUS DEGLI STUDI
1. Il contenuto del libro
Lo studio che qui presentiamo si occupa di come Pietro Crisologo si sia posto,
in qualità di vescovo cristiano, nei confronti dei giudei. L'oggetto di questa ricerca
di teologia patristica è perciò, secondo noi, di estrema attua-lità. L’argomento
generale sotteso alla nostra ricerca – il rapporto tra cristiani ed ebrei –
rappresenta infatti uno dei punti focali attraverso i quali è passata la storia della
Chiesa e dell’umanità nel XX secolo. Basti pensare al dramma della Shoà e alla
dichiarazione conciliare Nostra aetate (28.X.1965), fatti di enorme spessore
culturale e religioso che hanno segnato indele-bilmente le coscienze dei cristiani e
degli ebrei negli ultimi decenni.
Per quanto riguarda in particolare la svolta epocale rappresentata dal concilio
ecumenico Vaticano II nella storia dei travagliati rapporti tra cristianesimo ed
ebraismo, vorrei cogliere l’occasione di questa presentazio-ne per ricordare ai
lettori quello che i bolognesi sanno da don Giuseppe Dossetti: la frase "Scrutando
a fondo il mistero della Chiesa, questo sacro sinodo ricorda il vincolo con cui il
popolo del Nuovo Testamento è spiritualmente congiunto con la stirpe di
Abramo"1 - frase che determinò in modo decisivo il nuovo clima di apertura e di
dialogo caratteristico del concilio promosso da papa Giovanni XXIII - fu voluta
esclusivamente dal card. Giacomo Lercaro, allora arcivescovo di Bologna, ma già
arcivescovo di Ravenna (1947-1952), la città di Pietro Crisologo2.
Il clima nuovo degli ultimi decenni, di dialogo e di amicizia, ha portato
Giovanni Paolo II a visitare la Sinagoga di Roma, il Muro del pianto e lo YadVashem, e a promuovere il colloquio intra ecclesiale Radici dell'antigiudaismo in
ambiente cristiano3. La vastità di tali implicazioni è qui presupposta.
Nei 184 discorsi rivolti al popolo durante la liturgia Pietro, vescovo di
Ravenna dal 431 al 452, si rivolge principalmente ai suoi fedeli per ammaestrarli nelle verità di fede, ma non perde di vista gli interlocutori naturali dei
padri: gli eretici, i pagani e i giudei. Quasi in ogni discorso egli parla dei giudei e
spesso parla ai giudei. L'oggetto della nostra ricerca è la rilevazione di questo
1 Declaratio de Ecclesiae habitudine ad religiones non-christianas Nostra aetate 4, in
Conciliorum Oecumenicorum Decreta [= CoeD], a cura di G. Alberigo, G.L. Dossetti, P.-P.
Joannou, C. Leonardi, P. Prodi, consulenza di H. Jedin, ed. bilingue, Bologna 1991, p. 970.
La traduzione della frase è nostra.
2 Cfr. G. Dossetti, Alcune linee dinamiche del contributo del Cardinale G. Lercaro al
concilio ecumenico Vaticano II, in L'eredità pastorale di Giacomo Lercaro, Studi e testimonianze,
[Lettere e scritti di pastori], Bologna 1992, p. 123.
3 Cfr. Radici dell'antigiudaismo in ambiente cristiano. Colloquio Intra-Ecclesiale. Atti
del Simposio Teologico-storico, Città del Vaticano, 30 Ott. - 1 Nov. 1997. Grande
Giubileo dell'Anno 2000, [Atti e Documenti 8], Città del Vaticano 2000.
STATUS DEGLI STUDI
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dato di fatto, l'analisi di tutti i testi del Crisologo, la ricerca delle fonti delle sue
più importanti intuizioni e l'individuazione di alcune linee portanti della sua
impostazione teologica.
Il libro è articolato in sette capitoli. Nel primo, dopo le presenti osservazioni
sul contenuto del libro e sul metodo di lavoro, si presenta lo stato attuale della
ricerca su Pietro Crisologo con un'ampia panoramica degli argomenti che,
soprattutto nel secolo XX, hanno attirato le atten-zioni degli studiosi nei
diversi campi di interesse. Nel secondo capitolo si trova un’introduzione vera e
propria con i tradizionali elementi sul tempo in cui è vissuto l’Autore, sulla sua
vita, sulle sue opere, sul pubblico destinatario dei suoi Sermoni, e un excursus
sulla presenza degli ebrei nell’impero e a Ravenna tra il IV e il V secolo. Nel
terzo capitolo si rileva l’uso di una particolare categoria teologica – quella di
giudeo/cristiano - presente nel sermonario e se ne incomincia a vedere
l’applicazione al tema studiato in generale. Nel quarto capitolo si approfondisce
la categoria studiandone l’applicazione particolare nel caso del rapporto tra la
Sinagoga e la Chiesa. Nei due capitoli successivi si fa emergere lo sguardo
problematico e sostanzialmente positivo di Pietro nei confronti della realtà del
popolo ebraico prima considerato nel suo rapporto con Dio (cap. quinto) e poi
con gli altri popoli (cap. sesto). Ne viene un quadro molto nitido sulla identità
peculiare attribuita da Pietro al popolo eletto. Infine, nel capitolo settimo,
troviamo le conclusioni del nostro studio. In esso si traggono tre conclusioni
finali. Nella terza considera-zione conclusiva, la più importante, si ragiona
distintamente sul metodo e sul contenuto dei testi studiati e si presentano
quattro possibili prospettive di soluzione alla complessa questione del rapporto
tra il cristianesimo e il giudaismo, nei termini nei quali essa viene posta da
Pietro Crisologo.
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2. Il metodo di lavoro
Il metodo di studio che ha portato alla pubblicazione del presente libro è
connesso alla storia della pubblicazione dell'Opera omnia da parte della
Biblioteca Ambrosiana e di Città Nuova. La revisione della traduzione, ultima
opera del compianto prof. Banterle, il commento (introduzione e note), ma
specialmente l'elaborazione di un indice analitico (60 pagine del III volume) mi
hanno costretto a leggere più volte i sermoni, a risolvere difficoltà di
traduzione, a catalogare nomi, figure retoriche, espressioni, temi biblici,
argomenti patristici e a ripresentare in forma ragionata e ordinata tutto
l'insegnamento crisologhiano.
Le fasi del lavoro, durato alcuni anni, sono state:
- raccolta della bibliografia;
- lettura e traduzione di tutti i sermoni;
- risoluzione di problemi d'interpretazione legati alla traduzione preesistente (alcune migliaia di emendamenti corretti con G. Biffi);
- indicizzazione di tutto il materiale;
- lettura degli studi moderni sulla figura e sulle opere del Crisologo;
- lettura degli studi moderni più importanti relativi al rapporto tra ebraismo
e cristianesimo;
- analisi dei testi specifici del Crisologo sul nodo giudaismo-cristia-nesimo;
- catalogazione dei testi specifici per argomento;
- ricerca delle fonti delle interpretazioni esegetiche di Pietro riguardo alla
questione studiata;
- selezione del materiale catalogato e ripresentazione ragionata secon-do una
griglia che costituisce la struttura attuale del libro;
- enucleazione di alcune tesi della teologia cristiana dell'ebraismo presentata dal pastore ravennate.
Lo studio presente, come detto, si occupa di come Pietro Crisologo si pone, in
qualità di vescovo cristiano, nei confronti dei giudei, e non di altro.
La ricerca è stata condotta sulle fonti antiche, principalmente sui Sermoni
pronunciati da Pietro durante il suo episcopato a Ravenna. Da queste fonti
primarie si è risalito, quando è stato ritenuto utile e neces-sario, ad altri
documenti dell'antichità relativi alle tematiche più importan-ti direttamente
affrontate dal Crisologo nei suoi discorsi al popolo.
Il metodo di lavoro è consistito in attente e ripetute letture delle omelie di
Pietro, al fine di raccogliere e riordinare logicamente testi significativi sulla
questione da studiare.
La raccolta e il riordino del materiale prende spunto da un lavoro più ampio,
già pubblicato dallo scrivente.
3. Stato attuale della ricerca
La ricerca su Pietro Crisologo si è svolta quasi esclusivamente nel secolo
XX e ha sviluppato prevalentemente tre indirizzi - storico, teologico, letterario
STATUS DEGLI STUDI
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- sia con contributi diretti e sistematici, sia con osservazioni riguardanti solo di
passaggio gli scritti del nostro autore4.
3.1. Indirizzo storico
3.1.1. Storiografia
Gli studi storici nascono al principio del secolo e arrivano sino ai nostri
giorni soprattutto per l'interesse di ecclesiastici della regione Romagna:
Lanzoni5 e Lucchesi6 di Faenza, Baldisserri7 e Bedeschi8 di Imola, Baldassarri9
di Ravenna.
Tutti questi studi hanno il merito di avere risvegliato l'attenzione sul nostro
autore e il limite evidente di una ricerca sempre più concentrata sul problema
piuttosto intricato della collocazione geografica della nascita e della morte del
Crisologo, ricerca resa talvolta un po' angusta da interessi campanilistici10.
4 Cfr. A. Olivar, Clavis sancti Petri Chrysologi, in Sacris erudiri 6 (1954) 327-342. Id.,
Reseña de las publicaciones recientes referentes a San Pedro Crisólogo, in Didaskalia 7 (1977)
131-151. G. Lucchesi, Stato attuale degli studi sui santi dell'antica provincia ravennate, in Atti
dei Convegni di Cesena e di Ravenna (1966-1967) I, Cesena 1969, pp. 51-80. A. Solignac,
Pierre Chrysologue, in Dictionnaire de spiritualité ascétique et mystique XII, Paris 1986, pp.
1541-1546.
5 F. Lanzoni, I Sermoni 107 e 130 di San Pier Crisologo, Rivista di scienze storiche 6
(1909) 944-962. Id., I Sermoni di San Pier Crisologo, in Ibid., 7/1 (1910) 121-136; 161-186;
241-260; 331-361; 7/2 (1910) 1-22; 183-216.
6 G. Lucchesi, Note agiografiche sui primi vescovi di Ravenna, Faenza 1941. Id., Nuove
note agiografiche ravennati. Santi e riti del Sacramentario Leoniano a Ravenna, Faenza 1943.
Id., Note intorno a San Pier Crisologo, in Studi romagnoli 3 (1952) 97-104. Id., Pietro
Crisologo, in Enciclopedia cattolica IX, Città del Vaticano 1952, pp. 1433-1435. Id.,
Cornelio, in Bibliotheca sanctorum IV, Roma 1964, pp. 192-193. Id., I santi celebrati
dall'arcivescovo Agnello, in Agnello arcivescovo di Ravenna, Faenza 1971, pp. 61-78.
7 L. Baldisserri, San Pier Crisologo Arcivescovo di Ravenna. (Studio critico), Imola 1920.
8 P. Bedeschi, I Santi imolesi, Imola 21964. Presso lo stesso editore imolese, Galeati:
[R. Fiorentini], S. Pier Crisologo vescovo e dottore della Chiesa, Imola 1966. Ancora imolesi
gli autori di: S. Pietro da Imola il Crisologo, Dottore della Chiesa. [Articolo firmato da] Il
gruppo di studi su S. Pier Crisologo presso il "Centro di Cultura Maria Immacolata", di
Imola, in Il Nuovo Diario 17 (Imola 25 Novembre 1961) p. 3.
9 S. Baldassarri, Canone e mosaici di Ravenna. Verso una "teologia" dei monumenti
ravennati, in L'Avvenire d'Italia 73 (Bologna 13 Marzo 1968) p. 3. Salvatore Baldassarri,
originario di Faenza, docente di storia ecclesiastica, fu arcivescovo di Ravenna (19561975).
10 Un esempio per tutti. «È mai possibile, vorremmo inoltre obiettare ai vari
negatori, antichi e moderni, della cittadinanza imolese del celebre Dottore, che Ravenna
avesse così presto dimenticato il suo più illustre vescovo e santo, dopo S. Apollinare, al
punto da non sapere più, quattro secoli dopo la sua morte, di quale patria egli fosse? Se è
vero che Agnello indugia alquanto in particolari leggendari ed è autore non certo del
tutto attendibile, non si comprende però, se non ammettendo la sua più assoluta certezza
al riguardo, perché egli dica senz'altro il Crisologo cittadino d'Imola piuttosto che di
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Da circa trent'anni questi sforzi sono stati raccolti dal Centro studi e
ricerche sulla antica provincia ecclesiastica ravennate che dalla Badia di S.Maria
del Monte di Cesena organizza convegni e ne pubblica gli Atti nella collana
"Ravennatensia"11.
L'interesse suscitato anche in campo internazionale intorno a Pietro di
Ravenna è registrabile nelle presentazioni storico-teologiche dei manuali di
storia della Chiesa12, di patrologia13, di storia della letteratura latina14, nei
dizionari15 e nei repertori16.
Sempre a quest'ambito storiografico appartengono singoli contributi su
aspetti specifici del periodo storico17, della vita18 e del ministero19
Ravenna, in ispecie se si considera che, da buon ravennate, egli aveva tutto l'interesse a
dire il contrario»: P. Bedeschi, Op. cit. I, p. 30. Inutile ricordare che Bedeschi è imolese.
11 G. Lucchesi, Stato attuale degli studi sui santi dell'antica provincia ravennate, in Atti dei
Convegni op. cit., pp. 51-80. Id., La missione petrina di S.Apollinare ovvero il conflitto delle
metropoli, in Ibid., pp. 371-389. M. Mazzotti, L'autocefalia della Chiesa di Ravenna (excursus
storico), in Ibid., pp. 391-401. G. Lucchesi, Ancora sulla questione crisologhiana, in Atti del
convegno di Comacchio (1981) XI, Cesena 1986, pp. 97-107. R. Benericetti, Il Pontificale di
Ravenna. Studio critico, [Biblioteca Cardinale Gaetano Cicognani], Faenza 1994. Id.,
Correzioni al testo del Liber Pontificalis di Ravenna, in Ravenna Studi e Ricerche IV/2 (1997)
39-50.
12 G. Bardy, Il "latrocinio" efesino e il concilio di Calcedonia, in Storia della Chiesa dalle
origini ai giorni nostri cominciata da A. Fliche e V. Martin, IV: Dalla morte di Teodosio
all'avvento di S.Gregorio Magno (395-590), Torino 31972, pp. 265-300. A. Ferrua,
L'attività letteraria della Chiesa in Italia, in Ibid., pp. 753-775.
13 B. Studer, Pietro Crisologo, in J. Quasten, Patrologia III, pp. 544-545.
14 U. Moricca, Storia della letteratura latina cristiana III, Torino 1932, pp. 1011-1023.
15 G. Bardy, Pierre Chrysologue, in Dictionnaire de théologie catholique XII/2, Paris
1935, pp. 1916-1918. L. Berra, S.Pietro Crisologo, in Dizionario ecclesiastico III, Torino
1958, pp. 201-202. A. Olivar, Petrus Chrysologus, in Lexikon für Theologie und Kirche VIII,
Freiburg Br. 1963, p. 356. J. Van Paassen, Peter Chrysologus, in New catholic encyclopedia
XI, New York 1968, p. 214. B. Studer, Pietro Crisologo, in DPAC II, Casale Monferrato
1984, pp. 2792-2793. B. Studer, Pierre Chrysologue, in Dictionnaire encyclopédique du
Christianisme ancien II, Sous la direction de A. Di Berardino. Adaptation Francaise sous la
direction de F. Vial, Tournai 1990, pp. 2037-2038. P.T. Camelot, Pierre Chrysologue, in
Catholicisme hier aujourd'hui demain XI, Paris 1988, pp. 353-354.
16 A. Olivar, Pietro Crisologo, in Bibliotheca Sanctorum X, Roma 1968, pp. 685-691.
17 N. Tamassia, I sermoni di Pietro Crisologo. Note per la storia delle condizioni giuridiche
e sociali nel secolo quinto, in Studi Senesi. Scritti giuridici e di scienze economiche pubblicati
in onore di Luigi Moriani nel XXXV anno del suo insegnamento I, Torino 1906, pp. 4366. Id., I sermoni di Pietro Crisologo, in Scritti di storia giuridica I, Padova 1964, pp. 283299 [seconda ed. del contributo del 1906]. M. Spinelli, L'eco delle invasioni barbariche nelle
omelie di Pietro Crisologo, in Vetera christianorum 16 (1979) 87-93.
18 A. Benelli, Note sulla vita e l'episcopato di Pietro Crisologo, in In verbis verum amare,
Firenze 1980, pp. 63-79. S. Cassiano. S. Pier Crisologo. Monografie per la scuola a cura di
L. Zambrini, R. Spadoni, N. Varignana, Imola 1991.
19 A. Olivar, La consagración del obispo Marcelino de Voghenza, in Rivista di storia della
Chiesa in Italia 22 (1968) 87-93.
STATUS DEGLI STUDI
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dell'arcivescovo di Ravenna.
3.1.2. Liturgia
Diversi testi liturgici antichi sono stati talvolta attribuiti a Pietro Crisologo
e hanno perciò attratto l'attenzione degli studiosi di storia della liturgia.
Abbiamo dunque analisi storico-critiche che discutono la paternità
crisologhiana dei testi natalizi del Rotolo di Ravenna20, del rito di consacrazione
dell'acqua battesimale21 e di un indice delle letture delle lettere di san Paolo22.
Queste ricerche hanno aperto la strada ad una migliore comprensione del
patrimonio liturgico della Chiesa di Ravenna23 e del suo rapporto con quello
delle grandi sedi episcopali di Roma, Milano ed Aquileia24.
L'uso liturgico, attestato nell'opera crisologhiana, di termini come
commercium e hodie è stato osservato in ricerche più vaste di carattere
teologico25.
3.1.3. Pastorale
Anche dal punto di vista della storia della cura pastorale i Sermoni sono stati
presi in esame sin dall'inizio del secolo: studiosi stranieri hanno insistito sul
carattere letterario e retorico delle prediche di Pietro26. È l'ambito nel quale il p.
Olivar ha dato il maggior numero di contributi sottolineando di volta in volta
20 F. Cabrol, Autour de la liturgie de Ravenne. Saint Pierre Chrysologue et le Rotulus, in
Revue Bénédictine 23 (1906) 489-500. K. Gamber, Die Orationen des Rotulus von Ravenna.
Eine Feier des Adventus schon zur Zeit des heiligen Petrus Chrysologus?, in Archiv für
Liturgiewissenschaft 5 (1958) 354-361. S. Benz, Der Rotulus von Ravenna. Nach seiner
Herkunft und seiner Bedeutung für die Liturgiegeschichte kritisch untersucht, Münster in W.
1967. A. Olivar, Abermals der Rotulus von Ravenna, in Archiv für Liturgiewissenschaft 11
(1969) 40-58.
21 F. Lanzoni, La "Benedictio fontis" e i sermoni di san Pier Crisologo, in Rassegna
gregoriana 7 (1908) 425-429. A. Olivar, San Pedro Crisólogo autor del texto de la bendición
de las fuentes bautismales?, in Ephemerides liturgicae 71 (1957) 280-292. Id., Vom Ursprung
der römischen Taufwasserweihe, in Archiv für Liturgiewissenschaft 6 (1959) 62-78.
22 K. Gamber, Eine alt-ravennatische Epistel-Liste aus der Zeit des heiligen Petrus
Chrysologus, in Liturgisches Jahrbuch 8 (1958) 73-96. A. Olivar, Sobre el "capitulare
lectionum" del codice Vatic.Regin.Lat.9, in Ephemerides liturgicae 74 (1960) 393-408. G.C.
Willis, St. Augustine's lectionary, London 1962.
23 F. Sottocornola, L'anno liturgico nei sermoni di Pietro Crisologo. Ricerca storico-critica
sulla liturgia di Ravenna antica, Cesena 1973.
24 J. Lemarié, La liturgie de Ravenne au temps de Pierre Chrysologue et l'ancienne liturgie
d'Aquilée, in Antichità Altoadriatiche 13 (1978) 355-373.
25 M. Herz, Sacrum commercium. Eine begriffsgeschichtliche Studie zur Theologie der
römischen Liturgiesprache, München 1958, pp. 11-122. J. Pinell, L' "hodie" festivo negli
antifonari latini, in Rivista liturgica 61 (1974) 579-592.
26 F.J. Peters, Petrus Chrysologus als Homilet. Ein Beitrag zur Geschichte der Predigt im
Abendland, Köln 1918. G. Böhmer, Petrus Chrysologus, Erzbischof von Ravenna, als Prediger.
Ein Beitrag zur Geschichte der altchristlichen Predigt, Paderborn 1919.
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singoli aspetti della predicazione del Crisologo27.
Nello stesso senso vanno altri studi sull'omiletica28 e sull'iniziazione
cristiana29, temi entrambi ripresi e sviluppati in un esame storico più completo
sulla Chiesa di Ravenna del V secolo, così come emerge dai numerosissimi dati
ricavabili dai Sermoni30.
3.2. Indirizzo teologico
Non ci sono in quest'ambito studi sistematici ed esaustivi ma analisi su
dimensioni particolari del pensiero teologico di Pietro: il rilievo cristo-logico e
soprattutto il valore soteriologico della incarnazione31, le idee mariologiche e
iosefologiche32, l'insegnamento sul Padre nostro33, la dottrina della risurrezione
27 A. Olivar - A.M. Argemì, La eucaristia en la predicación de san Pedro Crisólogo, in La
Ciencia Tomista 86 (1959) 605-628. A. Olivar, La duración de la predicación antigua, in
Liturgica 3 (1966) 143-184. Id., Preparación e improvisación en la predicación patristica, in
Kyriakon. Festschrift Johannes Quasten II, Münster W. 1970, pp. 736-767. Id., Über das
Schweigen und die Rucksichtsnahme auf die schwache Stimme des Redners in der alt-christlichen
Predigt, in Augustinianum 20 (1980) 267-274. Id., Sobre las ovaciones tributadas a los
antiguos predicadores cristianos, in Didaskalia 12 (1982) 113-44. Id., Les réactions
émotionnelles des fidèles pendant la lecture solennelle de l'Ecriture, dans l'église des pères, in Mens
concordet voci. Pour Mgr. A.G. Martimort à l'occasion de ses 40 années d'enseignement,
Paris 1983, pp. 452-457. Id., Els predicadors antics i llurs anditoris, in Revista catalana de
teologia 8 (1983) 45-80. Id., La predicación cristiana antigua, Barcelona 1991, pp. 296-304.
28 F. Scorza Barcellona, La celebrazione dei santi Innocenti nell'omiletica latina dei secoli
IV-VI, in Studi medievali [III serie] XV/2 (1974) 705-767. C. Truzzi, Linguaggio
catechetico e proposta di vita cristiana nei sermoni De Sanctis di Pietro Crisologo, in Liturgia ed
evangelizzazione nell’epoca dei Padri e nella Chiesa del Vaticano II. Studi in onore di Enzo
Lodi a cura di E. Manicardi e F. Ruggiero, Bologna 1996, pp. 279-290.
29 R. Ladino, La iniciación cristiana en san Pedro Crisólogo de Ravena, Roma 1969.
30 E. Paganotto, L'apporto dei Sermoni di san Pier Crisologo alla storia della cura
pastorale a Ravenna nel secolo V, Roma 1969.
31 C. Jenkins, Aspects of the theology of saint Peter Chrysologus, in The Church Quarterly
review 103 (1927) 233-259. G. Sessa, La dottrina cristologica di san Pier Crisologo, Pozzuoli
1944. R.H. Mc Glynn, The Incarnation in the Sermons of Saint Peter Chrysologus,
Mundelein (Illinois) 1956. J.P. Jossua, Le salut, incarnation ou mystère pascal chez les Pères
de l'Eglise de saint Irénée à saint Léon le Grand, Paris 1968. P. Re, La "Historia salutis" nei
sermones di Pietro Crisologo di Ravenna, [scritto inedito riassunto] in La Scuola cattolica
102 (1974) 212-213. A. Grillmeier, Le Christ dans la tradition chrétienne de l'age apostolique
à Chalcèdoine (451), Paris 1978, p. 529. M. Spinelli, Sangue, martirio e redenzione in Pier
Crisologo, in Atti della settimana Sangue e antropologia biblica nella patristica I, Roma 1982,
pp. 529-546. A. Olivar, Sobre la cristología de san Pedro Crisólogo, in La cristologia nei Padri
della Chiesa, Roma 1985, pp. 95-106. R. Benericetti, Il Cristo nei Sermoni di S. Pier
Crisologo, [Studia Ravennatensia 6], Cesena 1995.
32 J.P. Barrios, La naturaleza del vinculo matrimonial entre Maria y José segun san Pedro
Crisólogo, in Ephemerides Mariologicae 16 (1966) 322-335. G.M. Bertrand, Saint Joseph
dans les écrits des Pères. De saint Justin à saint Pierre Chrysologue: analyse des textes et synthèse
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dei morti34 e della preghiera per i defunti35, l'aspetto morale36, la spiritualità
della penitenza e del digiuno37, l'ecclesio-logia38 e specialmente l'idea del papa
come successore dell'apostolo Pietro39.
3.3. Indirizzo letterario
3.3.1. Verso l'edizione critica dei Sermoni
Il costante interesse letterario per i Sermoni della Collectio Feliciana40, - cioè
della prima raccolta dei Sermoni di Pietro curata dall’arcivescovo ravennate
Felice (708-724) - il dibattito sulla paternità di alcuni testi appartenenti alla
collezione e di altri ad essa estranei, la falsa attribuzione soprattutto a Severiano
di Gabala, hanno coinvolto tra tutti il benedettino catalano p. A. Olivar41 che ha
doctrinale, in Cahiers de Joséphologie 14 (1966) 10-198. F. Sottocornola, Il contenuto
mariano dei sermoni di Pietro Crisologo, in Atti del convegno di Forlì (1977), [Ravennatensia
8], Cesena 1983, pp. 13-42. B. Kochaniewicz, La Vergine Maria nei Sermoni di san Pietro
Crisologo, Roma 1998; quest'ultimo autore propone nuove ipotesi circa l'origine orientale
(ambienti alessandrino e cappadoce) delle fonti della teologia mariana crisologhiana.
33 A. Klaas, Peter Chrysologus on the Our Father, in Cross and crown 5 (1953) 141-153.
V. La Rosa, Il commento al Pater noster nei sermoni di s.Pier Crisologo, Roma 1965. J.
Carmignac, Recherches sur le "Notre Père", Paris 1969, pp. 97; 148-149; 253.
34 J. Speigl, Petrus Chrysologus über die Auferstehung der Toten, in Jahrbuch für Antike
und Christentum 9 (1982) 140-153.
35 J. Ntedika, L'évocation de l'audelà dans la prière pour les morts. Etude de patristique et
de liturgie latines (IVe-VIIIe s.), Lowen-Paris 1971.
36 F. Michalcik, Doctrina moralis Sancti Petri Chrysologi, Romae 1969.
37 F.J. Dölger, «Militiae sacramenta» bei Petrus Chrysologus, in Antike und Christentum 5
(1936) 150-151. A. Fitzgerald, The theology and the spirituality of penance: a study of the
Italian church in the fourth and fifth centuries, Paris 1976. M. Spinelli, Il ruolo sociale del
digiuno in Pier Crisologo, in Vetera christianorum 18 (1981) 143-156.
38 M. Spinelli, La simbologia ecclesiologica di Pier Crisologo, in Atti della settimana
Sangue op. cit. I, pp. 547-562. W.B. Palardy, The Church and the Synagogue in the Sermons
of Saint Peter Chrysologus, Washington 1992 [Dissertazione dattiloscritta per il dottorato
in filosofia presso The Catholic University of America].
39 E. Schiltz, Un trésor oublié: saint Pierre Chrysologue comme théologien, in Nouvelle
revue théologique 55 (1928) 265-276.
40 J.H. Baxter, The Homilies of St.Peter Chrysologus, in The Journal of theological studies
22 (1921) 250-258. D. De Bruyne, Nouveaux sermons de st.Pierre Chrysologue, in The
Journal of theological studies 29 (1928) 362-368. G. Del Ton, De sancti Petri Chrysologi
eloquentia, in Latinitas 6 (1958) 177-189. L. Bieler, Some remarks on the text of St.Peter
Chrysologus, in Oikumene. Studi paleocristiani pubblicati in onore del Concilio Ecumenico
Vaticano II, Catania 1964, pp. 175-179. PLS III,153-183. PLS V,397-398. Hesychius de
Jérusalem - Basile de Séleucie - Jean de Béryte - Pseudo-Chrysostome, Léonce de
Constantinople, Homélies pascales (cinq homélies inédites). Introduction, texte critique,
traduction, commentaire et index de M. Aubineau, [SCh 187], Paris 1972. Chromatii
Aquileiensis Opera cura et studio R. Etaix et J. Lemarié, [CCL 9A], Turnholt 1974, pp.
128-131.
41 A. Olivar, Deux sermons restitués à saint Pierre Chrysologue, in Revue Bénédictine 59
16
G. SCIMÈ
lavorato a lungo sul piano della tradizione e della critica dei testi arrivando a
produrre uno studio fondamentale sull'argomento42. Di qui la pubblicazione
dell'edizione critica43.
In Italia i Sermoni sono stati tradotti nella collana "I classici cristiani" delle
edizioni Cantagalli44.
Un'antologia contenente poco più di una trentina di omelie è stata
pubblicata nella collana di testi patristici di Città nuova45.
Infine, la Biblioteca Ambrosiana e la stessa casa editrice Città Nuova hanno
raccolto l'invito dell'episcopato dell'Emilia Romagna e in occasione del XXIII
Congresso Eucaristico Nazionale hanno pubblicato l'edizione bilingue di tutte le
opere di Pietro Crisologo46.
3.3.2. L'esegesi biblica dei Sermoni
È l'ambito di ricerca maggiormente trascurato. A parte qualche accen-no più
o meno sporadico47, abbiamo due interventi di rilievo48.
(1949) 114-136. Id., San Pedro Crisólogo y la solemnidad "In medio Pentecostes", (un sermon
restituido al Crisólogo), in Ephemerides liturgicae 63 (1949) 389-399. Id., Der heilige Petrus
Chrysologus als Verfasser der pseudo-augustinischen Predigten Mai 30, 31 und 99 (§ 2-3), in
Colligere fragmenta. Festschrift Alban Dold, Beuron 1952, pp. 113-123. Id., Sobre un
sermon de Epifania y un fragmento de sermon de Navidad atribuidos erroneamente a san Pedro
Crisólogo, in Ephemerides liturgicae 67 (1953) 129-137. Id., San Pedro Crisólogo autor de la
"Expositio Symboli" de Cividale, in Sacris erudiri 12 (1961) 294-312. Id., L'image du soleil
non souillé dans la littérature patristique, in Didaskalia 5 (1975) 3-20. Id., San Pedro
Crisólogo, in L. De Echevarría, Año cristiano IV, Madrid 1959, pp. 535-538.
42 A. Olivar, Los sermones de san Pedro Crisólogo. Estudio critico, Montserrat 1962.
43 Vedi cap. II § 4.
44 S. Pier Crisologo, I CLXXVII sermoni. A cura di mons. A. Pasini, Siena 1953.
45 Pier Crisologo, Omelie per la vita quotidiana. Trad. intr. e note a cura di M. Spinelli,
Roma 21990.
46 San Pietro Crisologo, Sermoni, a cura di G. Banterle, R. Benericetti, G. Biffi, G.
Scimè, C. Truzzi, Milano - Roma, Vol. I: 1996. [Scrittori dell’area santambrosiana. Opere
di san Pietro Crisologo 1]. Sermoni [1-62 bis]; Vol. II: 1997. [Scrittori dell’area
santambrosiana. Opere di san Pietro Crisologo 2]. Sermoni [63-124]; Vol. III: 1997.
[Scrittori dell’area santambrosiana. Opere di san Pietro Crisologo 3]. Sermoni [125-179] e
Lettera a Eutiche. Nel corso del presente lavoro utilizzo tale edizione. Nel corpo del testo,
nelle citazioni, riporto normalmente la suddetta traduzione italiana, accompagnandola,
dove ritengo necessario e opportuno, con rilievi e, talvolta, con la ripresa di parole o
espressioni del testo latino particolarmente significative. Nelle note riporto per intero
anche il relativo testo latino citato nel corpo in italiano, per comodità del lettore. Dopo la
sigla Serm. (= Sermone) il primo numero si riferisce al numero del Sermone, il secondo al
numero del paragrafo, i successivi numeri al numero delle linee del testo latino. Segue la
sigla PC (= Petrus Chrysologus) per indicare d’ora in poi abbreviatamente l’edizione
bilingue, col numero del vol. e della pagina del testo latino citato.
47 J. Feliers, L'exégèse de la péricope des porcs de Gérase dans la patristique latine, in
Studia patristica X, Berlin 1970, pp. 225-229. F.G. Cremer, Zum Problem der verschiedenen
Sprecher im Fastenstreitgesprach (Mk 2,18 parr). Ein Blick in die Kommentare der Patristik
STATUS DEGLI STUDI
17
L'articolo di Olivar, sebbene datato, è ancora valido per la quantità di dati
ricavati dall'intero sermonario e per la grandissima competenza dell'autore.
Olivar insiste sul carattere pastorale dell'esegesi di Pietro: nella sua
predicazione i fatti dell'Antico Testamento diventano figure della redenzione
realizzata da Gesù Cristo, redenzione testimoniata nel Nuovo Testamento e
offerta alla Chiesa che cammina nella storia fino alla consumazione del tempo.
Tutta la Scrittura, in definitiva, parla della nostra vita cristiana nella quale si
possono compiere i misteri rivelati per la nostra salvezza49.
La posizione del Crisologo è dichiarata sostanzialmente interna ai canoni
tradizionali dell'esegesi biblica dei Padri50.
B. De Margerie ha dedicato a Pietro Crisologo un intero capitolo della sua
opera di storia dell'esegesi.
L'autore, basandosi su qualche sermone, ha sviluppato alcuni aspetti
dell'insegnamento di Pietro sull'incarnazione, sul mistero pasquale e sul Pater,
ma non ha dichiaratamente aggiunto nulla ai risultati dell'analisi di Olivar51.
und Scholastik, in Kyriakon. Festschrift Johannes Quasten in two volumes edited by P.
Granfield and J.A. Jungmann I, Münster W. 1970, pp. 162-181 [170: cita serm. 31 di
Pietro e lo ritiene fonte di un passo di Pascasio Radberto, Expositio in Evangelium
Matthaei 5, in PL 120,376B]. H. Crouzel, L'Eglise primitive face au divorce. Du premier au
cinquième siècle, Paris 1971, p. 81.
48 A. Olivar, Els principis exegetics de sant Pere Crisoleg, in Miscellanea biblica B. Ubach,
Montserrat 1953, pp. 413-437. B. De Margerie, Introduction a l'histoire de l'exégèse IV,
Paris 1990: L'occident latin de Léon le Grand a Bernard de Clairvaux.
49 Cfr. A. Olivar, Els principis op. cit., pp. 427-428.
50 Cfr. Id., Ibid., pp. 436-437.
51 Cfr. B. De Margerie, Op. cit., p. 108.
CAPITOLO II
PIETRO CRISOLOGO E IL SUO TEMPO
1. La situazione storica al tempo di Pietro Crisologo
Il contesto storico in cui si situa la vicenda di Pietro è estremamente
complesso da interpretare e valutare dal punto di vista culturale, ma
sufficientemente chiaro da ricostruire a grandi linee52.
Alla morte di Teodosio I, nel 395, l'impero viene di fatto diviso tra i suoi due
figli maschi: il diciottenne Arcadio in oriente e l'undicenne Onorio in occidente.
Il semibarbaro Stilicone, appositamente incaricato da Teodosio, dovrebbe
garantire formalmente l'unità dell'impero ma alle opposizioni personali e
autonomistiche di Arcadio si aggiungono le difficoltà create dalla grande novità
del nuovo secolo: le invasioni barbariche.
In Italia scendono per primi i Goti di Alarico nel 401 e poi, nel 405, gli
Ostrogoti di Radagaiso. Alla fine dell'anno successivo (31 Dicembre 406) Suebi
(Alamanni), Alani, Vandali e Burgundi cominciano a premere minac-ciosamente i
confini della pars occidentis dell'impero dalla prefettura della Gallia. A queste
pericolose presenze Onorio reagì riparando a Ravenna, ritenendola più sicura per
la sua strategica posizione geografica53. Inoltre Stilicone vinse i Goti a Pollenzo e
a Verona (402) e gli Ostrogoti a Fiesole (406). Poiché già Teodosio aveva
stipulato un foedus con Alarico dopo la sua ribellione, anche Stilicone pensò di
utilizzare il più possibile le forze barbariche federate. Per questo non volle
distruggere le forze di Alarico e addirittura propose che questi divenisse magister
52 Per questo rapidissimo riepilogo dei principali avvenimenti della storia imperiale cfr.:
M. Cary - H.H. Scullard, Storia di Roma III, Bologna 1988: Il principato e la crisi dell'impero, pp.
315-318; S. Mazzarino, L'impero romano II, Roma - Bari 1988, pp. 794-807; P. Siniscalco, Il
cammino di Cristo nell’Impero romano, [Collezione storica], Roma – Bari 1983, pp. 227-287.
Utili notizie sintetiche si trovano anche in DPAC alle voci: Teodosio I im-peratore; Arcadio;
Onorio (Flavius Honorius); Stilicone; Valentiniano III; Teodosio II imperatore; Galla Placidia. Per
quest'ultima vedi anche L. Storoni Mazzolani, Galla Placidia, in Storia illustrata di Ravenna I,
Milano 1989: Dall'antichità al Medioevo, pp. 177-192.
53 Onorio decise con Stilicone il trasferimento provvisorio della capitale dell'impero da
Milano a Ravenna (6.XII.402) non per lo smarrimento prodotto dalla presenza minacciosa
di Alarico in Italia ma perché comunque Ravenna si presentava più sicura e inaccessibile
per via di terra. Il significato politico di questa svolta (Mi-lano fu per tutto il IV secolo
residenza abituale dell'imperatore) è evidente: almeno ora Ravenna non è, come Milano,
alternativa a Roma ma le è complementare. Cfr. V. Neri, Come Ravenna divenne capitale, in
Storia illustrata op. cit., pp. 162-164.
158
INDICI
utriusque militiae per Illyricum. Tale mossa provocò però l'opposizione di Onorio e
l'inizio del declino di Stilicone. Da un lato si trovarono perciò Onorio e i suoi
potenti consiglieri milanesi; dall'altro Stilicone che appoggiava Alarico. I circoli
milanesi aveva-no truppe romane e a Pavia uccisero, sotto gli occhi di Onorio,
tutti i funzionari stiliconiani. Stilicone e Alarico potevano contare su truppe
gentiles di stanza a Bologna. A questo punto scattò da parte di Onorio l'ordine di
arresto ai danni del suo vecchio collaboratore: Stilicone, che nel frattempo si era
rifugiato in una chiesa a Ravenna, dove aveva chiesto asilo, fu consegnato e ucciso
(22 Agosto 408). Il famoso sacco di Roma da parte di Alarico nel 410 fu la prima
immediata e gravissima conseguenza di queste terribili vicende che segnano il
progressivo sgretolamento dell'impero romano d'occidente.
Galla Placidia, sorella di Onorio e Arcadio, che già aveva tramato ai danni di
Stilicone, viene prima imprigionata dal vincitore Alarico e poi sposata dal
successore di lui, Ataulfo. Alla morte di costui essa sposa un generale romano,
Flavio Costanzo, che Onorio associa al trono. Da questo matrimonio nasce
Valentiniano III che alla morte dello zio Onorio, nel 423, gli succede,
naturalmente sotto la tutela della madre e con l'appoggio del cugino, Teodosio
II, successore di Arcadio. Teodosio stesso, infine, prima lo libera dall'usurpatore
Giovanni, poi lo riconosce come augusto (425), e infine gli dà in sposa la figlia
Eudossia (437).
Nel volgere di pochi anni in Italia assistiamo alla discesa degli Unni di Attila e al
loro famoso arresto da parte di papa Leone Magno (440-461) a Milano: siamo nel
452, ma ormai dalla corte e dalla metropolia di Ravenna54 sono scomparsi i
maggiori protagonisti della prima metà di questo secolo: Galla Placidia (450) e lo
stesso Pietro Crisologo.
2. La situazione ecclesiale
Per quanto riguarda il contesto teologico, l'attività episcopale di Pietro è
54 I Sermoni di Pietro Crisologo sono la prima fonte documentaria scritta per la
ricostruzione storica della nascita del cristianesimo a Ravenna. Cfr. R. Budriesi, Il
cristianesimo a Ravenna, in Storia illustrata op. cit., pp. 145-160. Crisologo fu il primo vescovo
di Ravenna a ricevere intorno al 431 «decreto beati Petri» il titolo di metropolita, a scapito
di Milano. Sul dissidio tra Ravenna e Milano cfr. G. Lucchesi, La missione petrina di
S.Apollinare ovvero il conflitto delle metropoli, in Atti dei Convegni op. cit., pp. 371-389. La sede
vescovile di Ravenna, nonostante possibili instabilità delle afferenze amministrative, non fu
mai dipendente se non dalla metropoli romana. A sua volta la Chiesa ravennate assunse la
funzione di metropoli nei confronti di un crescente numero di sedi dello spazio emilianoromagnolo. Cfr. A.M. Orselli, L'autonomia della Chiesa ravennate, in Storia illustrata op. cit.,
pp. 257-272. Sulle impreviste e nefaste conseguenze dell'erezione di Ravenna a metropoli
cfr. M. Mazzotti, L'autocefalia della Chiesa di Ravenna (excursus storico), in Atti dei Convegni
op. cit., pp. 391-401. Agnello non comprese il vero significato del titolo «antistes» ma lo
lasciò giustamente attribuito a Pietro I - che però per lui non era il Crisologo: cfr. L.
Baldisserri, Op. cit., p. 15; G. Lucchesi, Ancora sulla questione crisologhiana, in Atti del convegno
op. cit., p. 103.
INDICI
159
significativamente racchiusa in un periodo ricco di scambi e di tensioni, segnata
all'inizio e alla fine da due grandi eventi ecclesiali e politici: il concilio di Efeso
(431) e quello di Calcedonia (451)55.
La polemica cristologica infuria soprattutto in oriente contrapponendo due
scuole teologiche e contemporaneamente due sedi episcopali, rappresentate
prima da Cirillo e Nestorio, poi da Dioscoro e Flaviano56. Tra l'antica
Alessandria e la "nuova Roma", Costantinopoli, il papa Leone si schiera
decisamente contro Eutiche, archimandrita di un monastero di Costantinopoli e
zelante antinestoriano, la cui dottrina monofisita, nonostante il brigantaggio di
Efeso organizzato con l'appoggio di Dioscoro di Alessandria e dello stesso
imperatore Teodosio II, viene duramente condannata.
Per avere un'idea dell'importanza della sede episcopale di Ravenna e del
rilievo del suo vescovo sarebbe sufficiente la considerazione del fatto che lo
stesso Eutiche tentò di coinvolgere e di sensibilizzare alla sua causa i
rappresentanti più autorevoli dell'oriente e dell'occidente cristiano e perciò si
rivolse per iscritto ai vescovi di Alessandria, Gerusalemme, Tessalonica, Roma,
Milano, Aquileia e, appunto, Ravenna.
3. Notizie biografiche
Le circostanze della vita di san Pietro Crisologo sono piuttosto incerte. Gli
studiosi hanno lungamente discusso persino i dati biografici più elementari: data
e luogo di nascita, durata dell'episcopato, anno e luogo della morte.
I contributi degli ultimi decenni57 hanno chiarito che molte di queste
55 Per questo sguardo sintetico sulle dispute cristologiche cfr.: Storia della Chiesa
diretta da H. Jedin II: K. Baus - E. Ewig, L'epoca dei concili. La formazione del dogma. Il
monachesimo. Diffusione missionaria e cristianizzazione dell'impero (IV-V sec.) (Die
Reichskirche nach Konstantin dem Grossen. Die Kirche von Nikaia bis Chalkedon, 1971), trad.
dal ted. di C. Saletti, [Già e non ancora 28], Milano 1988, pp. 27-41.
56 Emblematico del travaglio che attraversò ogni comunità orientale è il caso di Edessa
durante gli anni dell'episcopato di Pietro a Ravenna. In proposito cfr. P. Bettiolo,
Lineamenti di patrologia siriaca, in Complementi interdisciplinari di patrologia a cura di A.
Quacquarelli, Roma 1989, pp. 517-519; R. Lavenant, Edessa, in DPAC I, Casale Monferrato
1983, pp. 1064-1067; J.M. Sauget, Ibas, in DPAC II, pp. 1735-1736; J.M. Sauget, Rabbula di
Edessa, in Ibid., pp. 2967-2968; M. Simonetti, Tre capitoli (questione dei), in Ibid., pp. 35073508. Rabbula, vescovo dal 412 al 435, avversò Teodoro di Mopsuestia sposando le tesi
cirilliane, mentre al contrario il suo successore, Ibas, appoggiò Qiiore, direttore della scuola
dei Persiani, promuovendo le prime traduzioni in siriaco degli scritti del medesimo
Teodoro! Ibas si era del resto già fatto conoscere con la lettera cristologica inviata a Mari,
vescovo di Rewardasir. Questo documento assicurò un futuro post mortem (457) al vescovo
di Edessa, già condannato in vita e allontanato per due anni dalla sua sede: la sua condanna
accanto al prediletto Teodoro di Mopsuestia e a Teodoreto di Ciro da parte dell'imperatore
Giustiniano al concilio di Costantinopoli (553) - la questione dei tre capitoli - suscitò
scalpore e vibrate proteste persino in ambiente latino: cfr. L. Fatica, La "Defensio" di
Facondo di Ermiane tra storia e teologia, in Asprenas 38 (1991) 359-374.
57 Cfr. G. Lucchesi, Stato attuale degli studi sui santi dell'antica provincia ravennate, in
160
INDICI
incertezze risalgono alla confusione generata dai dati biografici offerti dal Liber
Pontificalis Ecclesiae Ravennatis di Agnello58 che, riprendendo nel secolo IX un
errore affermatosi forse per ragioni di politica religiosa da almeno due secoli, ha
scambiato due vescovi con lo stesso nome: Pietro successore di Giovanni,
contemporaneo di Teodorico, detto Pietro II e Pietro Antistite predecessore di
Neone, contemporaneo degli imperatori Galla Placidia e Valentiniano III, detto
Pietro I di Ravenna ovvero colui che diverrà noto col prestigioso appellativo di
Crisologo59.
Uno studio recente sull'argomento60 - una rilettura critica delle osservazioni
di Testi-Rasponi sull'opera di Agnello61 - formula nuove ipotesi riportando da
Imola a Ravenna nascita, attività e morte di Pietro Crisologo. Egli sarebbe
dunque nato intorno al 380 probabilmente a Classe, avrebbe iniziato il suo
ministero episcopale a Ravenna intorno e non oltre il 431 e qui sarebbe infine
morto il 31 luglio 451 o meglio - secondo i dati di un'ultima ricerca - un 31
luglio tra il 452 ed il 45762.
4. Le opere e l’uditorio di Pietro Crisologo
Le opere di Pietro Crisologo sono la Lettera a Eutiche e i Sermoni.
La risposta a Eutiche63 è "una lettera mite e conciliativa"64: Pietro si rivolge
Atti dei Convegni op. cit., pp. 69;78-80.
58 Agnelli qui et Andreas Liber Pontificalis Ecclesiae Ravennatis ed. O. Holder-Egger, in
Monumenta Germaniae historica. Inde ab anno Christi quingentesimo usque ad annum
millesimum et quingentesimum. Edidit societas aperiendis fontibus rerum
Germanicarum medii aevi. Scriptores rerum Langobardicarum et Italicarum saec. VI-IX,
Hannoverae 1964, pp. 265-391.
59 Tale confusione fu già notata. Cfr. L. Baldisserri, Op. Cit., p. 3; Vies des saints et des
bienheureux selon l'ordre du calendrier avec l'historique des fetes par les RR. PP. Bénédictins de
Paris et RR. PP. Bandot et Chaussin XII, Paris 1956, p. 132; G. Lucchesi, Pietro Crisologo,
in Enciclopedia cattolica IX, Città del Vaticano 1952, p. 1434; J. Van Paassen, Peter
Chrysologus, in New Catholic Encyclopedia XI, New York 1968, p. 214.
60 A. Benelli, Note sulla vita e l'episcopato di Pietro Crisologo, in In verbis verum amare,
Firenze 1980, pp. 63-79.
61 Codex Pontificalis Ecclesiae Ravennatis. A cura di A. Testi-Rasponi, in Rerum
Italicarum Scriptores. Raccolta degli storici italiani dal cinquecento al millecinque-cento
ordinata da L.A. Muratori. Nuova edizione riveduta ampliata e corretta con la direzione
di G. Carducci e V. Fiorini. Tomo II, Parte III, Vol. I, Bologna 1924 [arriva fino
all'inizio del § 104 del Liber Pontificalis (De sancto Johane XXXI), corrispondente a
p.345 dell'ed.MGH].
62 G. Lucchesi, Ancora op. cit., p. 102.
63 Risale al febbraio 449 e fu fatta introdurre dal papa Leone nei documenti preparati
per il concilio di Calcedonia. Se ne trova perciò un'edizione critica in Acta conciliorum
oecumenicorum iussu atque mandato Societatis scientiarum Argento-ratensis edidit E.
Schwartz. Testo latino: Concilium universale Chalcedonense, Tomus alter, Volumen
tertium, Pars prima, Berolini et Lypsiae 1935, 6 (forma lunga) - 7 (forma breve). Testo
greco: Concilium universale Chalcedonense, Tomus alter, Volumen primum, Pars prima,
INDICI
161
al presbitero della Chiesa di Costantinopoli chiamandolo "figlio"65 e "fratello"66
e manifestandogli apertamente la tristezza per "il fraterno dissenso"67 che ha
turbato la pace ecclesiale.
Da una parte Crisologo prende le distanze dalle posizioni più pericolose
della teologia alessandrina e antiochena68, dall'altra rifiuta di entrare nel merito
delle questioni sollevate dal vecchio monaco sia perché ammette di non
conoscerle esattamente69 - e si sentirebbe un mediatore ingiusto in quanto
parziale70 - sia perché su di esse ha già scritto il papa71.
Non stupisce il rilievo normalmente dato a quest'ultimo elemento72; ma
sembra quanto meno parziale ridurre esclusivamente a questo il significato della
lettera, giudicarla una risposta "piuttosto vaga"73 e addirittura "sorprendersi" di
trovare tali parole "in bocca ad un vescovo"74.
Certo, chi scrive non è Ambrogio né Agostino: ma la sua posizione è nitida e
personale.
Alle particolarità filologiche caratteristiche dello stile di Pietro75 non
mancheremo di aggiungere un argomentare tipicamente patristico che insieme
ai testimonia biblici76 riafferma la fede tradizionale della Chiesa. Pietro legge la
Bibbia nella fede della Chiesa, una fede che non sembra lasciare spazio a
"dispute temerarie", "questioni tristi", "indagini colpevoli":
Berolini et Lipsiae 1933, 45-46. A. Olivar ha studiato alcuni aspetti della redazione latina
della lettera - A. Olivar, Los sermones op. cit., pp. 87-94 - offrendone anche una nuova
edizione critica che qui utilizziamo.
64 L. Berra, S.Pietro Crisologo op. cit., p. 201.
65 Epistola Petri episcopi Ravennensis ad Eutychem presbyterum scripta, in A. Olivar, Los
sermones op. cit., p. 90,3 [d'ora in poi: Ep. Eut.]: «Dilectissimo et merito honorabili filio».
Ep. Eut., 91,36: «Carissime et honorantissime fili».
66 Ep. Eut., 90,19: «Frater carissime». Ep. Eut., 90,23: «Frater». Ep. Eut., 90,29-30:
«Frater honorabilis».
67 Ep. Eut., 90,7-8: «Nos affligit et deicit fraterna dissensio».
68 Ep. Eut., 90,11-13: «Quid Origenes principiorum scrutator incurrerit, quomodo
Nestorius lapsus sit disputans de naturis, non latet prudentiam tuam».
69 Ep. Eut., 90,26-28: «Nos quomodo de his indicare poterimus, quos neque vidimus
propter absentiam, et quid intellexerunt, eorum taciturnitate nescimus».
70 Ep. Eut., 90,28-29: «Iustus mediator non est, qui sic unam partem audit, ut nihil
alteri parti reservet».
71 Ep. Eut., 90,29-32: «In omnibus autem hortamur te, frater honorabilis, ut his quae a
beatissimo papa Romanae civitatis scripta sunt, oboedienter adtendas, quo-niam beatus
Petrus, qui in propia sede et vivit et praesidet, praestat quaerentibus fidei veritatem».
72 Un esempio per tutti: E. Schiltz, Un trésor op. cit. L'autore sviluppa il luogo "de
Romano Pontifice" al punto da farne un argomento per difendere l'autenticità della lettera a
Eutiche e un criterio per rileggere e rivalutare l'intero sermonario.
73 G. Bardy, Il "latrocinio" op. cit., p. 273.
74 A. Ferrua, L'attività op. cit., p. 759.
75
Cursus, allitterazioni, assonanze, espressioni caratteristiche, ridondanze,
giustapposizioni: cfr. A. Olivar, Los sermones op. cit., p. 94.
76 Is. 53,8; Lc. 2,14; Phil. 2,10; 2 Cor. 5,16.
162
INDICI
"Noi, fratello carissimo, insieme con l'Apostolo diciamo: 'Anche se abbiamo
conosciuto Gesù secondo la carne, ora però non lo conosciamo più così' (2 Cor.
5,16). E non possiamo - noi che siamo tenuti a rendere onore e timore continuare a ricercare (perscrutari) su verità che ci arrecherebbero danno. La
nostra professione di fede è in un giudice da attendere e non da ricercare
(perscrutandum)"77.
Oltre a questa lettera ci sono rimasti molti discorsi che attestano la
principale attività di Pietro Crisologo, quella liturgica.
L’edizione critica del sermonario crisologhiano contiene attualmente
centottantaquattro Discorsi autentici, quasi tutti dedicati a commenti dei
Vangeli78.
Pietro dedica solo sei Discorsi a commentare testi dell’Antico Testamento79.
All’Antico Testamento Pietro ricorre frequentemente, ma sempre di passaggio,
citandolo soprattutto come repertorio di esempi edificanti per i suoi uditori,
specialmente per il valore del digiuno, della preghiera e della elemosina. Sembra
quasi che nella sua predicazione il Pastore di Ravenna tema un confronto
diretto con i suoi uditori su testi discussi o discutibili, e che preferisca tenere
ben fermo l’impianto neote-stamentario e i pilastri della fede cattolica, che
ribadisce specialmente nei commenti del Pater80 e del Simbolo81. L’uso
77 Ep. Eut., 90,19-22. Traducendo «continuare a ricercare su verità che ci arreche-rebbero
danno» supponiamo la lezione di Schwartz «nec possumus iniuriosa perscru-tari»: Acta
conciliorum op. cit., p. 6. Olivar stesso ha accolto su questo punto le obiezioni di Bieler (cfr. L.
Bieler, Some remarks op. cit., pp. 175-179) rinunciando all'avverbio «iniuriose» a favore
dell'accusativo «iniuriosa»: cfr. A. Olivar, Reseña op. cit., p. 136.
78 Le prediche del vescovo di Ravenna sono state raccolte insieme forse in parte da lui
stesso, interessato come altri pastori del suo tempo a una loro pubblicazione, sia pure
parziale, e a una loro prima diffusione, e ci sono giunte attraverso due principali tradizioni
manoscritte, dette prefeliciana o severiana e feliciana. Dobbiamo a p. A. Olivar, il grande
merito di avere studiato a fondo tutto questo materiale, di avere offerto moltissimi
contributi specifici sull’argomento (cfr. Bibliografia) e, infine, di avere pubblicato l’edizione
critica delle opere di san Pietro Crisologo in tre successivi volumi del Corpus Christianorum
Latinorum: Sancti Petri Chrysologi Collectio sermonum a Felice episcopo parata sermonibus
extravagantibus adiectis cura et studio Alexandri Olivar, Turnholti, Vol. I: 1975. [CCL 24].
Sermones 1-62 bis. Vol. II: 1981. [CCL 24a]. Sermones 63-124. Vol. III: 1982. [CCL 24b].
Sermones 125-179. Il curatore ha pubblicato in tutto centonovantuno Sermoni: di questi,
sette sono spuri e quindici sono i cosiddetti sermones extravagantes, discorsi cioè che non
appartenevano alla originaria raccolta e che Olivar ha individuato e aggiunto nella sua
edizione numerandoli come bis e ter accanto a quelli in cui Pietro trattava dello stesso
argomento oppure con numerazione normale alla fine degli altri. Nel presente studio, non
terremo ovviamente conto dei discorsi spuri, mentre valuteremo gli extravagantes come gli
altri.
79 Si tratta del commento ai Salmi 1, 6, 28, 40, 94 e 99 spiegati rispettivamente nei
serm. 44, 45, 10, 14, 46 e 6.
80 I sei discorsi sull’Orazione del Signore vanno dal serm. 67 al serm. 72. Per il valore
dell’oratio dominica nel contesto dell’iniziazione cristiana nell’antichità vedi Tertulliano –
Cipriano – Agostino. Il Padre Nostro. Per un rinnovamento della catechesi sulla preghiera, a
INDICI
163
dell’Antico Testamento è perciò funzionale alla lettura del Nuovo Testamento,
e in questo contesto non è rara un’interpretazione nettamente cristologica, in
senso stretto.
In senso ampio l’impalcatura teologica di Pietro è molto solida, e sovente
assistiamo a rapidi sguardi di grande sintesi tra i due testamenti. Al centro della
visione del Vescovo sta la sublimità dell’incarnazione del Verbo, che viene
continuamente vista come una nuova creazione.
I commenti a s. Paolo sono magnifiche panoramiche di raccordo tra Antico
Testamento e Nuovo Testamento, tra Adamo e Cristo82. Della Pasqua di Gesù
si sottolinea soprattutto l’aspetto trionfale: Cristo con la risurrezione ha vinto la
morte83. Degli insegnamenti del Nazareno si dà particolare rilievo a quelli sulle
virtù tradizionali del cristiano, chiamato alla penitenza quaresimale e alla
coerenza evangelica anche in campo sociale. Le parabole sono ampiamente
sfruttate in senso allegorico, per presentare il mistero del rapporto di Cristo su
due versanti: la Sinagoga e la Chiesa.
Sono poche le occasioni nelle quali la predicazione del Pastore non è
essenzialmente un commento biblico: sia ricordando i martiri84, sia nella
circostanza di consacrazioni episcopali da parte del Metropolita ravennate85,
troviamo riferimenti biblici che forse possono sorprendere la nostra sensibilità
moderna e contemporanea e che tuttavia il più delle volte sono illuminanti.
Il rapido schizzo appena offerto dà l’idea di un panorama sostanzialmente
equilibrato e tradizionale. Pietro non è autore spericolato né geniale, e i suoi
interlocutori non sembrano rendergli la vita particolarmente difficile.
La cornice della Collectio Feliciana ha raccolto e aggiustato un materiale
vasto, trasmettendoci un quadro completo e abbastanza ordinato della
predicazione del Vescovo della capitale di un impero, sia pure in crisi e al
cura di V. Grossi, trad. di L. Vicario, Roma 1980, pp. 14-19.
81 I nove Sermoni sul Simbolo della fede vanno dal serm. 55 al serm. 62 bis. Vedi V.
Grossi – A. Di Berardino, La Chiesa antica: ecclesiologia e istituzioni, [Cultura cristiana
antica. Studi], Roma 1984, p. 65: «La spiegazione del simbolo, cioè della formula di fede
che fondava l’identità della fisionomia religiosa del cristiano, il quid credendum,
considerato come sintesi di tutta la Scrittura, rappresentava il culmine della formazione
dottrinale. ».
82 I dodici discorsi sull’Apostolo sono compresi dal serm. 108 al serm. 120 (dove il
serm. 119 non vale perché spurio secondo Olivar).
83 Abbiamo ben dodici discorsi (serm. 73-84) sulla risurrezione di Gesù e tre discorsi
(serm. 63-65) sulla risurrezione di Lazzaro.
84 Il martire per eccellenza è Giovanni Battista, al quale Pietro si riferisce
continuamente, sia in forma indiretta, dedicando sette discorsi (86-92) al padre Zaccaria,
sia in forma diretta in almeno sei Sermoni (127, 137, 167, 173, 174, 179). Altri martiri dei
quali Crisologo parla più o meno diffusamente sono Eufemia (97), Andrea (122 e 133),
Apollinare (128), Felicita (134), Stefano (154).
85 Troviamo quattro Sermoni recitati in occasione di ordinazioni episcopali, due di
ignoti (130 e 130 bis) e due di noti: Proietto, vescovo di Imola (165) e Marcellino,
vescovo di Voghenza (175).
164
INDICI
tramonto. Sono evidenti le tracce di un ordinamento tematico dei Sermoni.
Pietro svolge fondamentalmente, di volta in volta, un tema biblico,
frequentemente riprendendolo nell’incontro successivo, magari secondo un
testo parallelo o sinottico.
Anche un approccio tematico al materiale del sermonario consente di vedere
confermata la prima impressione generale: Crisologo partendo da un testo
biblico parla con semplicità ad un uditorio attento e reattivo, utilizzando
materiali e tecniche assolutamente normali per il suo tempo.
Nel contesto di una predicazione brillante ma, per così dire, scontata, non
può non colpire la presenza di un interlocutore rilevante: tra un pubblico di
cristiani, più o meno ortodossi, si immagina volentieri qualche pagano, magari
attratto dalla facondia di un oratore di grido, ma si resta sorpresi di notare
qualche giudeo86.
Basti pensare che le ricorrenze del termine giudeo superano le duecento –
una media superiore all’unità per ogni discorso – per avere una prima idea della
consistenza della presenza, almeno letteraria, del tema in questione nel
sermonario crisologhiano87.
Mentre la polemica coi pagani occupa tutto sommato brevi tratti della
predicazione crisologhiana, quella con i giudei è continua e costante88. L’uso di
86 Diversamente da quanto sostiene C. Truzzi, secondo il quale «la presenza dei
giudei a Ravenna non rivestiva particolare importanza» (PC I,33, n. 65), il nostro lavoro
metterà in luce, quasi in sovraesposizione, tale presenza. In generale, la presenza di un
ebreo durante la predicazione, anche liturgica, e durante la Messa non era affatto proibita
né impossibile. Anzi, da un punto di vista meramente giuridico, è molto interessante
ricordare qui il can. 16 degli Statuta Ecclesiae Antiquae, un documento probabilmente
collezionato nel sud della Gallia nella seconda metà del V secolo: «Ut episcopus nullum
prohibeat ingredi ecclesiam et audire verbum Dei, sive gentilem, sive haereticum, sive iudaeum,
usque ad missam cathecumenorum». Tale canone, proibendo al vescovo di vietare l’ingresso
in chiesa per ascoltare la parola di Dio al gentile, all’eretico e al giudeo, fino al momento
dell’uscita dei catecumeni, attesta l’esistenza storica di un fenomeno evidentemente
diffuso: la partecipazione volontaria di non cristiani o di cristiani eterodossi o di ebrei
alla liturgia cristiana e, nello stesso tempo, la tendenza di alcuni vescovi, tendenza
condannata dalla Chiesa, ad evitare questa partecipazione con divieti. Cfr. A.M. Rabello,
Giustiniano, Ebrei e Samaritani alla luce delle fonti storico-letterarie, ecclesiastiche e giuridiche
II, [Monografie del Vocabolario di Giustiniano 2], Milano 1988, pp. 543-551.
87 Volendo precisare, Pietro usa 146 volte Iudaeus e 51 volte Iudaicus. Israel è usato 13
volte, Israeliticus 6 volte. Infine, troviamo due volte sia hebraice sia Hebraeus, e una sola
volta Hebraicus. Il parere del Blumenkranz (cfr. B. Blumenkranz, Les auteurs Chrétiens
Latins du Moyen Age sur les Juifs et le Judaïsme, [Études Juives 4], Paris – La Haye 1963,
p. 26), secondo cui Crisologo usa quasi esclusivamente il termine Iudaei, va dunque
lievemente corretto. È più vero, come egli osserva, che l’espres-sione Israeliticus populus è
estremamente rara. Anche qui, volendo precisare, troviamo nel sermonario 6 ricorrenze
di questa espressione: Serm. 12,4,65, PC I,120; Serm. 27,3,53, PC I,210; Serm. 50,1,7, PC
I,344; Serm. 100,2,30, PC II,272.
88 Ci sembrerebbe perciò di poter dissentire su questo punto dal parere di C. Truzzi,
per il quale «ai giudei e ai pagani della zona era riservata nelle prediche la consueta
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165
espressioni e di tutto un linguaggio ricco di richiami, denuncie, accuse, e
addirittura di epiteti ingiuriosi non può minimamente fare pensare ad una
polemica solo indiretta coi giudei89. D’altra parte si deve cogliere lo spirito
positivo, ammonitorio e profondamente esortativo, che muove dall’interno la
polemica del Vescovo ravennate coi giudei: egli è fondamentalmente
preoccupato della loro fede e della loro salvezza, personale e comunitaria90.
Del resto, aggiungiamo subito che il nostro autore utilizza una volta, nel
serm. 172, il triste e indubitabilmente duro appellativo di “deicidi” per parlare dei
giudei, anche se si affretta all’istante a giustificare e ad ammorbidire la sua
affermazione91.
5. Gli ebrei nell’Impero e a Ravenna nel IV e V secolo
Vale la pena, dato il taglio particolare del presente lavoro, offrire qui, a
completamento del quadro introduttivo del presente capitolo, un brevis-simo
polemica teologica» (PC I,33). La polemica di Pietro con i pagani e con i giudei non pare
quella consueta e in sé stessa risulta profondamente differente con gli uni e con gli altri
sia quantitativamente sia, soprattutto, qualitativamente. Recentemente B. Kochaniewicz
ha sostenuto che la polemica antigiudaica di Pietro Crisologo sia in realtà rivolta ad
alcune dottrine - la considerazione di Cristo solo uomo, la negazione del carattere
verginale del concepimento e del parto di Maria - già sostenute da Fotino, vescovo di
Sirmio (343-351), e dai suoi seguaci. Lo stesso studioso distingue, tra i passi della
polemica antigiudaica, quelli nei quali Crisologo si rivolge ai giudei dei tempi di Gesù e
quelli di critica verso gli ebrei, suoi contemporanei, abitanti a Ravenna, ma esclude
categoricamente - sulla scorta del parere di C. Truzzi da noi già citato - sia la presenza di
una consistente comunità giudaica a Ravenna sia la partecipazione di giudei durante le
celebrazioni liturgiche in cattedrale. Cfr. B. Kochaniewicz, Op. cit., pp. 282-289.
89 B. Blumenkranz, che diversamente da molti studiosi dell’antichità ha avuto il
grande merito di accorgersi che anche Pietro Crisologo ha almeno un posto nella serie
degli autori cristiani latini interessati ai giudei, sostiene che la sua polemica coi giudei è
solo indiretta: cfr. B. Blumenkranz, Les auteurs op. cit., p. 24. Anche in altri studi il
Blumenkranz ha dedicato la sua attenzione al Crisologo: Id., La parabole de l’Enfant
prodigue chez saint Augustin et saint Cesaire d’Arles, in Vigiliae Christianae 2 (1948) 102-105
[cita alla n. 10 di p. 105 il serm. 5]. Id., Juifs et Chrétiens dans le monde Occidental (4301096), Paris 1960 [cita Crisologo alle pp. 47*, 89, 228, 242]. È dello stesso autore, a
proposito del grande tema del quale ci occupiamo nel nostro lavoro, l’opera Juifs et
Chrétiens. Patristique et Moyen Age, London 1977.
90 Ci parrebbe di non essere quindi in completo accordo con C. Truzzi, secondo il
quale «non risulta nessuna organizzazione né di dialogo, né di propaganda» (PC I,33).
Naturalmente, occorre intendersi sul dialogo e sulla propaganda di Crisologo verso i
giudei. Su questo aspetto cfr. le considerazioni conclusive nel cap. VII, specialmente §
3.2.
91 Cfr. Serm. 172,3,27-38, PC III,290-292. Circa l’appellativo usato da Pietro, riteniamo
opportuno segnalarlo in partenza al nostro lavoro di ricerca per tenerlo ben presente
nella valutazione della complessa questione del rapporto tra cristiani, in particolare
predicatori cristiani, ed ebrei. Diversamente, W.B. Palardy, Op. cit., sembra citare il
termine solo alla terz’ultima pagina del suo lavoro (p. 491).
166
INDICI
excursus storico riguardante gli ebrei e la loro presenza a Ravenna ai tempi del
Crisologo.
Ferma restando la capitale distinzione tra giudaismo in terra di Israele e
giudaismo della diaspora, soprattutto dopo la distruzione del tempio di
Gerusalemme nel 70 d. C., ricordiamo che “in realtà le iscrizioni e i papiri
dimostrano l’esistenza di sinagoghe nella diaspora fin dalla seconda metà del III
secolo a. C.”92.
La popolazione ebraica, diffusa in epoca neotestamentaria in Siria, Asia
Minore, Grecia, Creta, Cipro, Egitto, Cirenaica e Italia, è stimata in circa il 1015% della popolazione complessiva dell’impero, perciò in 5-6 milioni93. Nella
sola Roma si parla di alcune decine di migliaia di ebrei, organizzati in undici
comunità o sinagoghe94.
Lo studioso ebreo A.M. Rabello dà un giudizio sostanzialmente positivo,
nonostante tutto – comprese persecuzioni e guerre – della vita degli ebrei sotto
gli imperatori romani dal I al III secolo: essi furono esentati dal servizio
militare, potevano giudicare le proprie cause secondo il diritto ebraico, costruire
sinagoghe95, osservare il sabato, praticare la circoncisione, e addirittura, a
partire da Claudio, furono esonerati dal culto dell’imperatore. Questa
fondamentale tranquillità favorì lo stanziamento di comunità ebraiche in varie
zone d’Italia, specialmente nelle città portuali sia nel centro-sud e in Sicilia, sia
nei centri maggiori del nord come Milano, Bologna, Ravenna e Aquileia96.
Lo stesso Rabello, esperto di diritto romano, afferma categoricamente che è
stato l’avvento del cristianesimo a portare un peggioramento notevole nelle
condizioni degli ebrei, specialmente dall’inizio del IV secolo quando prende
piede e cresce rapidamente il ruolo guida della Chiesa nei rapporti tra Stato ed
ebrei97.
92 E.W. Stegemann – W. Stegemann, Storia sociale del cristianesimo primitivo. Gli inizi
nel giudaismo e le comunità cristiane nel mondo mediterraneo (Urchristliche Sozialgeschichte.
Die Anfänge im Judentum und die Christusgemeinden in der mediterranen Welt, Stuttgart –
Berlin – Köln 1995), trad. dal ted. di R. Fabbri, [Collana di studi religiosi], Bologna
1998, p. 429.
93 Cfr. Ibid., p. 429. Cfr. anche A.M. Rabello, Giustiniano, Ebrei e Samaritani alla luce
delle fonti storico-letterarie, ecclesiastiche e giuridiche I, [Monografie del Vocabolario di
Giustiniano 1], Milano 1987, pp. 45-46.
94 Cfr. Ibid., p. 48. Cfr. anche G. Bardy, La conversione al cristianesimo nei primi secoli
(La conversion au christianisme durant les premiers siècles, Paris 1947), trad. dal franc. di G.
Ruggieri, [Già e non ancora 2], Milano 1988, pp. 98-99.
95 Si tratta del diritto sia di costruire materialmente edifici per il culto sia di
organizzare economicamente e amministrativamente la comunità legata ad ogni singola
sinagoga. Accanto alla sinagoga non va dimenticata l’importanza della scuola rabbinica,
fondata sullo studio dei testi sacri: cfr. H.I. Marrou, Storia dell’educazione nell’antichità
(Histoire de l’éducation dans l’antiquité, Paris 61964), trad. dal franc. di U. Massi, [La
cultura 15], Roma 21984, pp. 414-415.
96 Cfr. A.M. Rabello, Giustiniano op. cit. I, pp. 49-53.
97 Cfr. Ibid., p. 53.
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167
In questo contesto si registrano numerosi episodi di intolleranza tra ebrei e
cristiani: le distruzioni di chiese e di sinagoghe – tra cui quella di Callinico nel
388 è soltanto la più famosa a motivo dell’intervento di Ambrogio contro
l’imperatore Teodosio I98 e per la verità la più lontana da noi: occorrerebbe
ricordare le più vicine sinagoghe di Roma e di Aquileia che furono incendiate –
le distruzioni, dico, sono accompagnate da tutta un’attività legislativa che porta
a colpire i privilegi acquisiti col tempo dagli ebrei99.
All’inizio del V secolo agli ebrei viene vietato di accedere a determinate
cariche e alla carriera militare, e soprattutto è proibito di restaurare le
sinagoghe e di costruirne di nuove. Questi divieti risalgono a Onorio,
Valentiniano III e Teodosio II.
Chiudiamo questo rapido cenno all’attività legislativa degli imperatori
romani a riguardo degli ebrei richiamando il favore dei re goti che, essendo
ariani, si mostrarono più indipendenti dall’influenza della Chiesa e perciò più
tolleranti verso gli ebrei. È celebre il ruolo positivo e favorevole di Teodorico100
che nel 511 a Roma e nel 519 a Ravenna ordinò ai cittadini, che avevano
98 Dal punto di vista storico, le posizioni di Ambrogio circa la distruzione della
sinagoga di Callinico e il massacro allo stadio di Tessalonica rappresentano due momenti
importanti per la fondazione di un certo modello di rapporto tra la Chiesa e lo Stato, nel
senso cioè di una limitazione dell’autorità statuale in fatti riguardanti la vita interna della
Chiesa (fede e morale). Nel caso specifico di Callinico, tuttavia, Ambrogio non ebbe
ragione: cfr. in proposito il parere, non troppo esplicito ma chiaro, di K. Baus in K. Baus E. Ewig, L'epoca op. cit., pp. 95-96. Cfr. anche il giudizio, decisamente più netto, di A.M.
Rabello, Giustiniano op. cit. I, pp. 53-55. Dal punto di vista del presente lavoro, la
posizione di Ambrogio circa i giudei risulta particolarmente favorevole e positiva in un
altro episodio, molto meno noto e importante, quello del ritrovamento delle spoglie
mortali dei martiri Vitale e Agricola nel cimitero ebraico di Bologna. Nel raccontare la
traslazione solenne delle loro reliquie (4 Novembre 393), Ambrogio parla poeticamente
ed affettuosamente della partecipazione degli ebrei durante la liturgia cristiana: «I giudei
vedendo i martiri dicevano: “Si sono visti fiori sulla terra”. I cristiani dicevano: “È tempo
di mietitura. Ormai chi miete riceve la sua ricompensa. Altri hanno seminato e noi
raccogliamo i frutti dei martiri”. Di nuovo i giudei, udendo le voci della Chiesa plaudente,
dicevano tra di loro: “La voce della tortora si è udita nella nostra terra”». Cfr. G. Biffi,
Ambrogio vescovo. Attualità di un maestro, [Vita quotidiana, vita cristiana 24], Cinisello
Balsamo 1997, pp. 75-79. Cfr. anche A.M. Rabello, Giustiniano op. cit. I, pp. 53-54, n. 18.
Secondo un altro studioso ebreo l’atteggiamento di Ambrogio verso i giudei di Callinico
e di Bologna è contraddittorio: cfr. A. Milano, Storia degli ebrei in Italia, [Saggi 318],
Torino 1963, p. 42.
99 Cfr. P.F. Fumagalli, Antichità e Medio Evo: cristiani di fronte all'antigiudaismo, in
Radici op. cit., pp. 233-234; 238-240.
100 Teodorico (o Teoderico) (ca. 453-526), re degli Ostrogoti, della famiglia degli
Amali, vissuto a Costantinopoli come ostaggio, vinse e uccise a tradimento Odoacre.
Come re d’Italia, riconosciuto poi anche da Costantinopoli, dominò su Goti ariani e
Romani cattolici, rispettando le tradizioni romane e operando un illuminato sincretismo.
Fu sepolto a Ravenna nel mausoleo da lui fatto preparare. Cfr. E. Malaspina, Teodorico (o
Teoderico) in DPAC II, pp. 3374-3375.
168
INDICI
distrutte le sinagoghe, di ricostruirle101.
Per quanto riguarda lo status sociale degli ebrei italiani nei secoli IV e V, L.
Cracco Ruggini ritiene indimostrabile che in generale essi “fossero dediti in
prevalenza al commercio e al prestito del denaro, come tanto spesso si suole
ripetere. Dall'analisi dei documenti rimasti, costoro appaiono piuttosto in
prevalenza distribuiti fra i grandi e medi proprietari agricoli, i coltivatori e
affittuari, gli schiavi e gli artigiani nell’Italia peninsulare e insulare; i funzionari,
gli avvocati, i membri del clero, i soldati, i caupones e i pantapolae (cioè i
trafficanti al minuto di vini e di altre merci orientali) nell’Italia Annonaria.”102
Diversamente dall’interpretazione di A.M. Rabello sopra riportata, L.
Cracco Ruggini alleggerisce il peso negativo del condizionamento del
cristianesimo sul giudaismo e dice, riguardo alla presenza ebraica a Ravenna,
che “la scomparsa delle sinagoghe, l’aumento delle conversioni e la progressiva
diminuzione delle testimonianze si spiegano soprattutto con il declino
dell’artigianato e del commercio dei generi di lusso in diretto contatto con
l’Oriente, allorché l’incalzare degli eventi bellici e politici fece gravitare attorno
alla nuova sede ravennate tutto l’“entourage” imperiale degli alti funzionari e
procurò il lento abbandono delle ricchissime ville, che nel IV secolo ancora si
moltiplicavano lungo la costa dell’alto Adriatico.”103.
Classe e Ravenna sono povere di testimonianze epigrafiche sugli abitanti
ebrei della fine del IV e l’inizio del V secolo104. Si suppone che essi fossero o
impiegati nei quadri della burocrazia di Stato o milites classiarii oppure
artigiani105. La loro presenza era comunque notevole e influente se una legge
101 Cfr. A.M. Rabello, Giustiniano op. cit. I, pp. 55-56. Sui rescritti imperiali di
Teodosio II e Teodorico cfr. A. Milano, Storia op. cit., pp. 42-43.
102 L. Cracco Ruggini, Ebrei e orientali nell’Italia settentrionale fra il IV e il VI secolo D. Cr., in
Studia et Documenta Historiae et Juris 25 (1959) 231-233. L’Italia Annonaria comprende cinque
province: Aemilia et Liguria, Alpes Cottiae, Raetia, Venetia et Histria, Flaminia et Picenum
Annonarium. Cfr. ibid., 190 e n. 11. Cfr. anche M. Dukan, C. Sirat, M. Zerdoun, Une inscription
Hébraïque sur amphore trouvée à Ravenne, in Revue des Études Juives 143 (1984) 289.
103 Cracco Ruggini, Ebrei, pp. 227-228.
104 Vedi Cracco Ruggini, Ebrei, pp. 252-254: «A Ravenna la situazione presenta un aspetto
del tutto particolare: tre soltanto sono le iscrizioni greche (o miste di greco e latino), e
all’incirca sedici quelle latine più o meno tarde, ma quasi tutte relative a classiari nativi di Siria,
di Tracia, di Bitinia, di Cilicia, d’Armenia, Parthia e Grecia, di cui spesso vengono specificate
addirittura le città di origine, siano esse Rodi, Alessandria, Antiochia, !Arado" (nella Syria
Phoenice), oppure Nicopoli in Epiro.». A questo proposito M. Dukan, C. Sirat e M. Zerdoun
hanno presentato un’iscrizione scoperta recentemente a Ravenna su un’anfora. L’iscrizione è
databile al V o al VI secolo, e interessa perché l’anfora conteneva probabilmente vino o olio
kasher (puro e perciò fruibile da ebrei osservanti), proveniente dalla Siria o dalla Palestina. I tre
studiosi ipotizzano che le tre lettere dell’iscrizione – da cui il termine Shalom (pace, salute) –
non indichino il nome del proprietario dell’anfora, nome raro anche se attestato, ma siano il
simbolo dell’origine giudaica del contenuto dell’anfora. Cfr. Dukan et al., Une inscription, pp.
287-303.
105 Cfr. Cracco Ruggini, Ebrei, pp. 271-272.275. Non va tuttavia dimenticata l’esistenza
INDICI
169
emanata a Ravenna nel 415 d. C. era indirizzata al rabbino (didascalus) Annas e
ai maggiorenti ebrei (maiores Iudaeorum). Essa affrontava la spinosa questione
del commercio degli schiavi praticato dagli ebrei e stabiliva che i padroni ebrei
rispettassero la fede degli schiavi cristiani106. Solo un anno dopo, nel 416 d. C.,
un’altra legge della corte ravennate affrontava il problema delle conversioni di
ebrei che aderivano alla fede per motivi politici, per esempio per sfuggire a una
condanna grazie all’asylum ecclesiastico107.
La presenza ebraica a Ravenna si rafforzò se l’Anonimo Valesiano ci parla
dei gravissimi incidenti tra cristiani ed ebrei, con tumulti e distruzioni di
sinagoghe, che vi si verificarono, come s’accennava poco sopra, durante il regno
di Teodorico108.
In conclusione, non sembra in definitiva completamente fuori di luogo,
seppur datata, l’opinione di G. Böhmer secondo cui Ravenna potè essere per
Crisologo “un campo d’azione di lotta spossante contro i numerosi giudei,
pagani ed eretici”109.
di un’attività fortemente redditizia legata alla flotta militare. Alcuni ricchi ebrei erano
infatti grandi armatori di navi per le forniture annonarie dell’Impero, e si sottoponevano
alla functio navicularia, secondo una legge di Teodosio I del 390 , in cambio di privilegi. Cfr.
L. Cracco Ruggini, Tolleranza ed intolleranza nella società tardoantica: il caso degli Ebrei, in
Ricerche di Storia sociale e religiosa 23 (1983) 41.
106 La questione si trascinò se il papa Gregorio Magno dovette occuparsene: cfr. Rabello,
Giustiniano, I, p. 57.
107 Cfr. Cracco Ruggini, Tolleranza, p. 37.
108 Cfr. Cracco Ruggini, Ebrei, p. 204 n. 41, dove è riportato il testo dell’Anonimo Valesiano
(Anon. Vales. 2, 81-82, MGH, AA Chron. Min. 9, Berlin 1891, ed. Th. Mommsen 326): «Post haec
Theodorico Verona consistente propter metum gentium facta est lis inter Christianos et Iudaeos Ravennates.
Quare Iudaei baptizatos nolentes dum ludunt frequenter oblatam in aquam fluminis iactaverunt. Dehinc
accensus est populus non observantes neque regi neque Eutharico aut Petro, qui tunc episcopus erat,
consurgentes ad synagogas, mox eas incenderunt. Quod et in Roma in re eadem similiter contigit. Mox
Iudaei currentes Veronam, ubi rex erat, …favens Iudaeis… Qui (scil. Theodoricus) mox iussit propter
praesumptionem incendii, ut omnis populus Romanus Ravennatis synagogas, quas incendio
concremaverunt, data pecunia restaurarent.». Cfr. anche Cracco Ruggini, Tolleranza, p. 37, dove il
contenuto del testo dell’Anonimo Valesiano è riassunto. Alla fine del V secolo anche Giovanni
Antiocheno aveva parlato delle numerose sinagoghe di Ravenna al tempo di Teodorico,
ricordando come questi aveva fatto seppellire il corpo di Odoacre in un’arca di pietra, presso i
luoghi di riunione giudaici (493 d. Cr). Cfr. Cracco Ruggini, Ebrei, p. 228 n. 103. Cfr. anche M.
Dukan, C. Sirat, M. Zerdoun, Une inscription, p. 289.
109 Böhmer, Petrus Chrysologus, p. 4. Sulla presenza ebraica a Ravenna siamo meglio informati
dal XIV secolo. Dalla metà di questo secolo, infatti, ebrei prestatori di denaro giunsero nell’area
dell’odierna Emilia-Romagna, provenendo inizialmente, e nella grande maggioranza, dal sud (e
cioè da Roma, dall’Umbria, dalle Marche e dalla Toscana) e insediandosi a Bertinoro, Faenza,
Ferrara, Imola, San Marino e, probabilmente, a Ravenna: cfr. M. Luzzati, Banchi e insediamenti
ebraici nell’Italia centro-settentrionale fra tardo Medioevo e inizi dell’Età moderna, in Gli Ebrei in Italia.
A cura di C. Vivanti, [Storia d’Italia. Annali 11], Torino 1997, I, Dall’alto Medioevo all’età dei
ghetti, pp. 200-201. Cfr. anche M.G. Muzzarelli, Introduzione: Verso l’epilogo di una convivenza. Gli
Ebrei a Bologna nel XVI secolo. A cura di M. G. Muzzarelli, Firenze 1996, p. 7. V. Meneghin
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INDICI
CAPITOLO III
GIUDEI E CRISTIANI
1. Una categoria teologica
Rivolgendosi ai suoi fedeli, il vescovo Pietro di Ravenna parla anche a giudei
e parla dei giudei. Fermiamoci per il momento soprattutto, anche se non
esclusivamente, su questo secondo aspetto e analizziamo alcune serie di testi
dalle quali emerge un impiego tutt’altro che casuale dell’argo-mento giudaico
nella predicazione del Crisologo. Al contrario, la lettura attenta e ripetuta dei
Sermoni mostra che Pietro utilizza sistematicamente, riferendosi costantemente
ai giudei, uno schema o categoria più o meno fissa, una sorta di chiave teologica,
una specie di password ermeneutica sempre valida. Si può addirittura rilevare
che, anche in passaggi esegetici difficili, quando vengono meno spiegazioni
chiare e convincenti, Pietro vi ricorre quasi come ad un’ancora di sicura
salvezza.
2. Due popoli
La Collectio Feliciana si apre con un primo significativo esempio di
tematizzazione del giudeo e quindi si presta ad una primissima rilevazione per
l’individuazione della categoria teologica che Pietro utilizza.
Nei primi cinque Sermoni il Pastore commenta la pagina lucana del padre
dei due figli, il cosiddetto racconto del figlio prodigo110, e vi vede nettamente, da
dedica le pp. 345-356 di un suo studio per descrivere la predicazione del beato Bernardino da
Feltre a Ravenna (1487), la sua proposta di fondare anche in questa città, come già a Mantova,
Assisi, Parma, Firenze, Orvieto, L’Aquila, Padova etc, il Monte di Pietà, la reazione degli ebrei
che gestivano il mercato dell’usura ed infine l’erezione del Monte: cfr. V. Meneghin, Bernardino
da Feltre e i Monti di Pietà. Presentazione di G. Barbieri, Vicenza 1974. Qualche altra scarna
notizia, riguardante il secolo successivo, è reperibile in R. Segre, La Controriforma: espulsioni,
conversioni, isolamento, in Gli Ebrei, I, p. 726.
110 P. Siniscalco, Mito e storia della salvezza. Ricerche sulle più antiche interpretazioni di
alcune parabole evangeliche, [Filologia classica e glottologia 5], Torino 1971, ha studiato la
storia delle interpretazioni delle tre parabole della misericordia di Lc. 15 (pecora smarrita,
dramma smarrita, figliol prodigo), passando in rassegna gli autori più importanti che se ne
sono occupati nei primi tre secoli: dagli gnostici (Simone, Valentino, Marco, il Vangelo
secondo Tommaso) a Ireneo, da Clemente a Origene e Tertulliano. Dalla ricerca sulla
parabola del figlio prodigo appare una lenta deci-frazione delle figure evangeliche: il padre
come Dio si incomincia a intravedere in Ireneo (cfr. p. 86) e diventa chiaro con Clemente
INDICI
171
subito111, una parabola del tormentato rapporto tra la gens Iudaica e il populus
Christianus112:
“Oggi il Signore ha chiamato per noi e ci ha presentato un padre con due figli,
per rivelare attraverso una felice immagine una straordinaria prova della sua
pietà, la crudele invidia del popolo ebreo, il ritorno supplichevole del popolo
cristiano.”113
La visione dei giudei da parte di Crisologo è tutt’altro che irenica; “la crudele
invidia” viene teorizzata senza mezzi termini, fino al punto da consentire al
Pastore – in uno dei suoi tipici excursus di sapore edificante verso il gregge dei
fedeli tentato di cadere nel gravissimo peccato dell’invidia - di ricostruire tutta
una drammatica storia, dalle origini primordiali a Cristo:
(cfr. p. 116); il figlio minore come figura del cristiano peccatore che ritorna a casa (=
Chiesa) è una novità di Clemente (cfr. pp. 116-118); i due figli come rappresentanti dei due
popoli è una novità attestata da Tertulliano montanista (De pudicitia 8,3), che riporta questa
interpre-tazione come cattolica (cfr. pp. 127-129). In un’altra opera, (De paenitentia 8,7ss.)
Tertulliano dà quest’interpretazione per nota (cfr. p. 132). In particolare, Tertulliano
riporta come cattolica l’interpretazione del figlio maggiore come figura del giudeo invidioso
della riconciliazione fra Dio e il figlio minore (= cristiano) (cfr. p. 128), mentre l’idea del
figlio minore come immagine del pagano è di Tertulliano montanista nella controversia
penitenziale (cfr. pp. 144.153).
111 Secondo il Blumenkranz soltanto il quinto discorso della serie dei Sermoni
crisologhiani dedicati alla spiegazione della parabola del figlio prodigo sarebbe utilizzata
per la controversia con i giudei: cfr. B. Blumenkranz, Les auteurs, p. 24. Tale giudizio ci
sembra da sfumare, o per lo meno da interpretare. Siamo d’accordo se con questo si vuole
assegnare un posto limitato ai testi controversistici rispetto a quelli esegetici e di annuncio.
Siamo contrari se invece si sottintende l’assenza, nei primi quattro Sermoni sul figlio
prodigo, della problematica di cui stiamo incomin-ciando a trattare nel presente lavoro. Sin
dall’inizio del suo parlare, come dimostra anche il passo citato di seguito nel corpo del testo,
Pietro ha in mente la spiegazione di fondo che infatti anticipa subito. Nei discorsi successivi
condurrà l’uditorio ad una comprensione graduale dei diversi personaggi presentati dalla
pagina lucana, fino a passare definitivamente, nel quinto discorso, dall’interpretazione
letterale del testo biblico al livello profondo o mistico o spirituale. Così nel serm. 1 Pietro
parla dell’ab-bandono della casa paterna da parte del figlio minore, nel serm. 2 del suo
ritorno e pentimento, nel serm. 3 del padre che gli va incontro, nel serm. 4 dell’invidia del
figlio maggiore; nel serm. 5 Crisologo riprende tutti i temi trattati svelando la verità
nascosta sotto la lettera del testo evangelico.
112 Nel testo seguente Crisologo usa gens e populus, legando il primo ai giudei e il
secondo ai cristiani (= etnici). È un uso rovesciato rispetto a quello paolino, dove gentes
sono i pagani e populus è Israele. Cfr. P. Siniscalco, Universalità e nazioni in scrittori
cristiani antichi. Qualche osservazione a partire dai termini Laos e Ethne in Paolo, in Atti del I
Simposio di Tarso su s. Paolo apostolo, a cura di L. Padovese, [Turchia: la Chiesa e la sua
storia 5], Roma 1993, pp. 31-45.
113 Serm. 1,1,3-6, PC I,48: Hodie nobis dominus patrem cum filiis duobus uocauit et
produxit in medium, ut inmensum suae pietatis indicium scaeuam Iudaicae gentis inuidiam,
reditum supplicem populi Christiani, pulchram panderet per figuram.
172
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“L’invidia è un male di vecchia data, il primo flagello, un antico filtro mortale, il
veleno dei secoli, la causa della fine. Questa in principio cacciò lo stesso angelo e lo
fece precipitare dal cielo (cfr. Is. 14,12; Apoc. 12,9); questa escluse dal paradiso
terrestre l’uomo capostipite della nostra generazione; sempre questa tenne lontano
dalla casa paterna il fratello maggiore. Questa armò la progenie di Abramo, quel
popolo santo, per l’uccisione del proprio Autore, per la morte del proprio
Salvatore.”114
Nello stesso tempo, Pietro dichiara la santità della progenies di Abramo,
populus sanctitatis, e chiama Cristo il Salvator di questo popolo.
Quando finalmente Pietro rompe gli indugi e passa, dopo lunga attesa, dal
livello di un’interpretazione letterale del racconto lucano a quello mistico115,
non esita a confermare la lettura anticipata fin dalla prima battu-ta del serm. 1,
completamente allegorica:
“Aveva due figli, cioè due popoli: il popolo giudaico e quello pagano; ma con la
saggezza della Legge rese maggiore il popolo giudaico, mentre rese minore
quello pagano con la stoltezza del paganesimo, perché, come la sapienza rende
anziani, così l’insipienza elimina ogni qualità propria dell’uomo. Dunque i suoi
costumi, non la sua età, resero più giovane questo popolo; invece, non i tempi
trascorsi, ma i sentimenti fecero l'altro più anziano.”116
Imboccata la strada, Pietro svela l’enigma dell’eredità suddivisa, ipotizzando
un rapporto tra le cinque doti di natura assegnate al figlio più giovane e i cinque
libri della Legge affidati al più grande, e affermando che entrambe le leggi
possono condurre alla conoscenza del Padre e al culto dell’unico Creatore117.
La dissipazione del popolo cristiano è plasticamente rappresentata
dall’idolatria dei pagani; non mancano riferimenti pungenti alle scuole filosofiche - specialmente a “Epicuro, maestro di disperazione e di piacere”118 -- che non
riescono, coi loro sforzi faticosi, a trovare la verità e il paese lontano del figlio
prodigo diventa senz’altro la regione dei demoni e dello stesso diavolo119. La fame
provvidenziale che induce il figlio a ritornare alla casa paterna è soddisfatta
114 Serm. 4,1,19-26, PC I,66: Inuidia malum uetustum, prima labes, antiquum uirus,
saeculorum uenenum, causa finis. Haec in principio ipsum angelum eiecit et deiecit e caelo (cfr. Is.
14,12; Apoc. 12,9); haec de paradiso hominem principem nostrae generationis exclusit; ipsa hunc
seniorem fratrem paterna seclusit domo. Haec Abrahae progeniem, populum sanctitatis illum, ad
auctoris sui caedem, ad mortem sui saluatoris armauit.
115 Cfr. serm. 4,5,90-92, PC I,70; serm. 5,1,3-5, PC I,72.
116 Serm. 5,2,19-25, PC I,72: Duos filios habuit, duos scilicet populos: Iudaicum
gentilemque; sed Iudaeum seniorem prudentia legis fecit, gentilem paganitatis stultitia reddidit
iuniorem; quia sicut sapientia dat canos, ita quidquid uiri est tollit insipientia. Hunc ergo
iuniorem mores praestitere, non aetates; seniorem illum non tempora fecerunt esse, sed sensus.
117 Cfr. serm. 5,3,26-40, PC I,72-74.
118 Serm. 5,5,72-73, PC I,76: Epicureo se tradunt ultimo disperationis et uoluptatis auctori.
119 Cfr. serm. 5,4-5,41-48, PC I,74-76.
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173
soltanto dal vitello grasso, nel quale Pietro vede un riferimento all’eucaristia
quotidiana120.
L’invidia del populus legalis è particolarmente straziante. Pietro la rappresenta al vivo, dando la netta impressione di mettersi a descrivere una scena
consueta ai suoi tempi, in quegli ambienti, non volendo e non potendo negare
quanto è evidentemente sotto gli occhi di tutti:
“Ma il fratello maggiore, ma il figlio maggiore, venendo dal campo (cfr. Lc.
15,25) – popolo legale, la messe è molta, ma i mietitori sono pochi (Lc. 10,2) – ode la
musica nella casa paterna, ode le danze, e non vuole entrare. Vediamo questo
ogni giorno con i nostri occhi: infatti il Giudeo è venuto alla casa paterna, cioè
alla Chiesa; se ne sta fuori per gelosia, ascolta l’arpa davidica suonare, ascolta la
musica proveniente dal gruppo dei profeti, ascolta le danze dalla varia assemblea
dei popoli, e non vuole entrare per gelosia. Standosene fuori, mentre secondo i
costumi d’un tempo giudica il fratello pagano e ne prova orrore, si priva egli
stesso dei beni paterni, egli stesso si esclude dalle gioie del padre.”121
La denuncia di invidia, subito amplificata, è immediatamente dopo
accompagnata da un nuovo grande elogio della santità della Iudaica generatio122,
un modo di procedere, questo, assai frequente in Pietro:
“Quanto alle sue parole: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un
tuo comando, e non mi hai dato mai un capretto (Lc. 15,29), abbiamo detto già che
conviene tacere piuttosto che parlare, perché il Giudeo parla, e sono parole non
di uno che opera, ma che è gonfio di superbia. Il padre esce e dice al figlio: Figlio,
tu sei sempre con me (Lc. 15,31). In che modo? Attraverso Abele, Enoc, Sem, Noè,
Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè e tutti i santi, attraverso i quali deriva la
generazione giudaica, di cui abbiamo letto nel Vangelo, quando dice: Abramo
generò Isacco, Isacco generò Giacobbe (Mt. 1,2). E tutti i miei beni sono tuoi (Lc. 15,31).
In che modo? Perché per te è la Legge, per te è la profezia, per te il tempio, per te
il sacerdozio, per te i sacrifici, per te il regno, per te – e questo vale più di tutto –
è nato Cristo. Ma poiché tu per gelosia vuoi lasciare alla perdizione tuo fratello,
non sei degno di avere i banchetti paterni, le gioie paterne.”123
Cfr. serm. 5,6,85-117, PC I,76-78.
Serm. 5,7,118-127, PC I,78: Sed frater senior, sed senior filius ueniens ex agro (cfr. Lc.
15,25), populus legalis, messis quidem multa, operarii autem pauci (Lc. 10,2), audit in domo
patris symphoniam, audit choros, et introire non uult. Hoc cotidie oculis nostris intuemur; nam
uenit Iudaeus ad domum patris, id est, ad ecclesiam; stat foris per inuidiam, audit Dauiticam
citharam personare, audit ex conuentu prophetico symphoniam, ex populorum uario conuentu
choros audit, et introire non uult, per inuidiam. Stans foris, dum gentilem fratrem pristinis
iudicat et horret ex moribus, ipse se paternis bonis eximit, ipse se paternis excludit gaudiis.
122 Non si possono, dunque, estrapolare i testi crisologhiani senza leggerli nel loro
esatto contesto. Anche un autore sensibile, come il Blumenkranz, deduce dal nostro passo
un punto di non conciliazione – tra giudei e cristiani – che opporrebbe Crisologo ad
Agostino: cfr. Blumenkranz, Les auteurs, p. 25.
123 Serm. 5,7,127-141, PC I,78: Quod autem dixit: «Ecce tot annis seruio tibi, et numquam
mandatum tuum praeteriui, et numquam dedisti mihi haedum» (Lc. 15,29), tacendum, potius
120
121
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Prima di lasciare la serie dei Sermoni 1-5, occorre notare che lo schema dei
due popoli potrebbe sembrare, ad una lettura troppo affrettata e superficiale,
insufficiente a rendere la ricchezza della posizione di Pietro sia perché di fatto si
tratta in questi discorsi della vocatio gentium124 - e quindi si prospetta la chiamata
universale alla fede per tutti i popoli che compongono l’umanità intera - sia
perché il popolo cristiano nella situazione di dissipazione è identificato con il
popolo dei pagani. In effetti, pensiamo che qui non convenga introdurre uno
schema con tre popoli: giudei – cristiani – pagani. In realtà, si deve ammettere
che mentre ebrei si nasce, cristiani si diventa: i popoli pagani idolatri sono
potenzialmente visti come cristiani, come del resto i cristiani sono avvertiti
istintivamente come non ebrei. Pietro si muove dentro ad una mentalità
fondamentalmente biblica, dentro ad uno schema con due poli125.
In conclusione, non si può non rilevare da questo incipit del sermo-nario
crisologhiano una certa insistenza del nostro autore sulla tematizza-zione
giudei – cristiani. Dobbiamo ora tentare di verificare in che misura e spessore
tale categoria teologica sia impiegata nel resto del materiale a nostra
disposizione.
3. Un solo gregge
Nel contesto di una delle sue numerose esortazioni quaresimali al digiuno,
Pietro, che abitualmente si riferisce ai personaggi dell’Antico Testamento per
elogiarne le virtù a edificazione dei suoi fedeli126, ricorda i Salmi di Davide, e
quam loquendum esse iam diximus; quia Iudaeus loquitur, et non facientis uerba sunt, sed
tumentis. Pater egreditur, et dicit filio: «Fili, tu semper mecum es» (Lc. 15,31). Quomodo? Per
Abel, per Enoch, per Sem, per Noe, per Abraham, per Isaac, per Iacob, per Moysen, per omnes
sanctos, per quos Iudaica generatio in euangeliis lecta diriuatur, cum dicit: «Abraham genuit
Isaac, Isaac genuit Iacob« (Mt. 1,2). «Et omnia mea tua sunt» (Lc. 15,31). Quemadmodum?
Quia tibi lex, tibi prophetia, tibi templum, tibi sacerdotium, tibi sacrificia, tibi regnum, tibi - quod
supra omnia - natus est Christus. Sed quia tu per inuidiam perdere uis fratrem, paternas epulas,
patris gaudia, dignus es non habere.
124 Tale tema fa da raccordo tra la sezione dei primi cinque Sermoni e il sesto, nel
quale Pietro si sposta da Lc. 16 al Ps. 99: cfr. soprattutto serm. 6,1-2,3-59, PC I,80-82.
125 È la posizione di E. Peterson che già alcuni decenni fa argomentava con l’interpretazione crisologhiana sostenendo in definitiva che la Chiesa si autodefinisce, e deve
autodefinirsi, come Chiesa degli ebrei e dei gentili non solo per una ragione storica, ma
per la sua stessa natura teologica. Cfr. E. Peterson, Il mistero degli ebrei e dei gentili nella
Chiesa (Le mystère des Juifs et des Gentiles dans l’Église, Paris 1935), pref. di J. Maritain,
trad. dal franc. di A. Miggiano, [Humana civilitas 6], Milano 21960, pp. 68-71.
126 Questo approccio positivo, pacifico e spontaneo ai personaggi veterotesta-mentari
si trova già in Clemente di Roma nella Prima Lettera ai Corinzi. Cfr. F. Manns, L’Israele
di Dio. Sinagoga e Chiesa alle origine cristiane (L’Israel de Dieu. Essais sur le christianisme
primitif, Jerusalem 1996), trad. dal franc. di G. Zaccherini, [Studi biblici 32], Bologna
1998, pp. 100-101.
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175
come introduzione al commento del Ps. 28 amplifica l’operato dell’antico re
d’Israele:
“Così noi, fratelli, uniamo al digiuno della Quaresima canti divini, affinché la
celeste melodia mitighi e allevii il peso dell’astinenza, spingendoci a questo il
beato Davide, che, mentre con la zampogna blandiva e dilettava il caro gregge ai
pascoli, imparò a vincere col canto la durezza delle guerre, col canto meritò di
condurre i popoli alla salvezza, col canto riuscì a chiamare i gentili, a ricondurre i
Giudei, a mettere in fuga i demoni, a convocare i figli di Dio per rendere
l’ossequio al Padre celeste, come bene cantò il suo canto d’invito.”127
Il progetto politico di Davide viene riassunto nel vocare gentes, reducere
Iudaeos, Dei filios ad superni Patris obsequium convocare, quindi in una
convocazione universale dei figli di Dio provenienti dalle genti e dai giudei per
il culto dell’unico Padre.
Pietro affronta poi la questione se sia possibile che il Creatore di tutti
richieda vittime giudaiche, sacrifici cruenti128, e per spiegare l’espressione del
Ps. 28,1 – Recate al Signore figli di arieti - porta il nobile esempio di Abramo,
chiamato a sacrificare Isacco:
“Quale ariete Abramo, anziano rispetto all’innocenza, invecchiato nella fede,
perfetto quale vittima, pronto al sacrificio, recava il figlio di un ariete: il proprio
figlio, anzi sacrificava se stesso nel figlio. Santificava il proprio animo, allietava la
propria fede, così da essere ad un tempo vittima e pontefice, sacerdote e
sacrificio.”129
L’applicazione pastorale del Vescovo ravennate non si fa attendere:
“Abbiamo chiamato Abramo ariete, per dimostrare che Isacco era figlio di un
ariete e perché fosse chiaro così quali figli degli arieti il profeta vuole che noi
offriamo al Signore. Recate al Signore figli di arieti (Ps. 28,1). Il cristiano viene ora
esortato a recare i figli dei padri, dei patriarchi, dei profeti, degli apostoli, dei
martiri, dei confessori, poiché il gregge del Signore è lasciato andare al pascolo
della fede, poiché il pastore celeste vuole che i suoi agnelli siano condotti all’ovile
127 Serm. 10,1,10-18, PC I,106: Sic nos, fratres, Quadragesimae ieiunio cantica diuina
iungamus, ut abstinentiae pondus caelestis temperet et subleuet symphonia, prouocante nos ad haec
Dauid beato, qui dum fistula pecus carum mulcet et oblectat in pascuis, cantu dura didicit
superare bellorum cantu meruit ductare populos ad salutem; cantu ualuit uocare gentes, reducere
Iudaeos, fugare daemones, dei filios ad superni patris obsequium conuocare, sicut bene inuitans
eius cecinit melodia.
128 Cfr. serm. 10,3,35-62, PC I,106-108.
129 Serm. 10,3,48-53, PC I,108: Aries Abraham maturus ad innocentiam, grandaeuus ad
fidem, perfectus ad hostiam, paratus ad holocaustum, afferebat arietis filium; filium suum, immo
se immolabat in filio; sanctificabat mentem suam, laetificabat fidem suam, ut esset idem uictima et
pontifex, sacerdos et sacrificium.
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del Signore, affinché, dispersi sugli incolti terreni dei pagani, non siano divorati
dagli assalti dei lupi.”130
Chiarita in termini così forti la continuità tra giudei e cristiani, grex
dominicus, convergenti nell’unico ovile del Signore, ovile dominicum, Pietro
chiude il discorso con un’esortazione calorosa e incalzante a portare tutti al
battesimo, sia quelli che vogliono sia quelli che non vogliono131; e cita di nuovo
Abramo, al quale aggiunge gli esempi di Lot e di s. Pietro, per dimostrare
l’urgenza di affrettarsi ad abbracciare la fede cristiana:
“Trascinate quelli che non vogliono. Nessuno dica: “Non vuole”, perché anche
Abramo legò il figlio per farne offerta (cfr. Gen. 22,9); anche gli angeli, per
sottrarre Lot alle fiamme, lo condussero fuori sollevandolo con le loro mani (cfr.
Gen. 19,10.16); anche il Signore cinse Pietro con la potenza del suo aiuto perché
andasse al martirio, dove non voleva andare, dicendo: Un altro ti cingerà e ti
condurrà dove non vuoi (Io. 21,18). E anche il Padre celeste non solo accoglie quelli
che vogliono, ma attira anche quelli che non vogliono, come dice il Figlio:
Nessuno viene a me, se non colui che mio Padre attira (Io. 6,44).”132
In conclusione, per Crisologo c’è una sorprendente unità tra giudei e pagani
convertiti dall’idolatria nell’unico ovile, nel gregge del Signore. L’unico popolo,
il popolo cristiano, che si va costituendo mediante il battesimo, abbraccia padri,
patriarchi, profeti, apostoli, martiri, confessori, tutti, volenti o nolenti, attirati
130 Serm. 10,4,63-70, PC I,108: Abraham diximus arietem, ut Isaac arietis filium
probaremus, ac sic luceret quos arietum filios propheta uult domino nos deferre. «Afferte domino
filios arietum» (Ps. 28,1). Filios patrum, patriarcharum, prophetarum, apostolorum, martyrum,
confessorum Christianus modo ut afferat admonetur, quando grex dominicus fidei laxatur in
pastum, quando agnos suos caelestis pastor ad ouile dominicum uult deferri, ne dispersi per inculta
gentium luporum deuorentur incursibus.
131 Cfr. serm. 10,5-6,72-106, PC I,108-110. Il passo, per certi aspetti, può richiamare
alla mente le veementi esortazioni rivolte da Giovanni Crisostomo ai fedeli di Antiochia
perché in ogni modo si impegnino a ricuperare i loro fratelli giudaizzanti. Vedi in
particolare Io.Chrys., Adv.Iud. I,8, PG 48,856: «Non siate dunque negligenti, ma le donne
diano la caccia alle donne, gli uomini agli uomini, i servi ai servi, i liberi ai liberi, i
bambini ai bambini, e tutti semplicemente con ogni premura diano la caccia a quelli che
patiscono tale malattia [= giudaizzare]; in questo modo prenderete parte alla prossima
riunione liturgica e riceverete lode da parte nostra, e oltre i nostri complimenti
riceverete da parte di Dio una ricompensa grande e ineffabile, e le fatiche di coloro che
avranno ricondotto altri sulla retta via saranno di gran lunga ripagate». In proposito
vedi G. Scimè, Edificare la comunità: cristiani, giudaizzanti e Giudei nell’Adversus Iudaeos
di Giovanni Crisostomo, in Rivista di Teologia dell’Evangelizzazione 5 (2001) 371-388.
132 Serm. 10,5,88-95, PC I,110: Adtrahite nolentes. Nemo dicat: non uult, quia et Abraham,
ut offerret, filium colligauit (cfr. Gen. 22,9); et Loth angeli, ut subtraherent flammis, extractum
manibus sustulerunt (cfr. Gen. 19,10.16); et Petrum dominus, ut iret ad martyrium quo nolebat,
auxilii sui uirtute praecinxit dicens: «Praecinget te alius, et deducet te quo non uis» (Io. 21,18).
Et pater caelestis non solum uolentes suscipit, sed adtrahit et nolentes dicente filio: «Nemo uenit
ad me, nisi quem pater meus adtraxerit» (Io. 6,44).
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dal Padre.
4. Il costruttore cristiano
Commentando l’episodio del servo ammalato del centurione di Cafarnao133 –
centurione anonimo secondo la memoria lucana – Pietro pone subito in grande
rilievo lo spessore simbolico della figura di un uomo che, essendo romano e
perciò pagano, e trovandosi a contatto con i giudei, perviene, mediante
l’incontro indiretto con la persona di Gesù, alla fede cristiana:
“Questo centurione era romano, ma egli stesso era cristiano per più del cento per
cento ed era al servizio di Dio piuttosto che a quello del mondo e, coraggioso
nelle guerre umane, era più coraggioso sempre nel custodire la pace divina.”134
Il Pastore ravennate sottolinea il valore eccezionale della ambasceria
giudaica che il centurione invia a Cristo e la interpreta senz’altro come un segno
– da parte dei gentili già convertiti al cristianesimo - della chiamata e
dell’accompagnamento fino all’incontro con Cristo nei confronti dei giudei non
133 Il passo del centurione di Cafarnao e in particolare l’elogio della fede che ne fa
Gesù (Lc. 7,9: vi dico che neppure in Israele ho trovato una fede così grande) è utilizzato
soprattutto in contesto polemico da Tertulliano (De idolatria 19,3; Adver-sus Marcionem
4,18,1; Adversus Valentinianos 28,1; De corona 11,4), Ireneo (Adversus haereses 1,7,4), e
Origene. Quest’ultimo, nella polemica antigiudaica e antignostica, usa Lc. 7,9 per dire
che è da rifiutare un’interpretazione «secondo il senso corporale» di questo detto del
Signore. Altro testo citato da Origene è Mt. 15,24 (Non sono stato mandato che alle
pecore perdute della casa di Israele). Cfr. Origenes, In Io.20,8,37, Origenes Werke. Vierter
Band der Johanneskommentar. Hrsg. E. Preuschen, [GCS 10], Leipzig 1903, p. 333. Più
tardi Lc. 7,9 è utilizzato da Epifanio per confutare le tesi di Marcione in due passi del
Panarion (42,11,6; 42,11,17). È interessante soprattutto il secondo, che dopo la citazione
del testo lucano riporta la confutazione di Epifanio: «Se neppure in Israele ha trovato
una fede così grande come quella trovata nel centurione proveniente dai gentili, allora
non biasima la fede di Israele. Se infatti si trattasse di un dio estraneo e non di lui e di
suo Padre, non avrebbe fatto l’elogio di questa fede.». Vedi Epiphanius, Panarion
42,11,17, Epiphanius, Ancoratus und Panarion. Hrsg. Von K. Holl. Zweiter Band.
Panarion Haer. 34-64, [GCS 31,2], Leipzig 1922, pp. 126-127. Infine, secondo
Ambrosiaster l’ambasceria dei giudei da parte del centurione indica la presenza in Giudea
di molti Romani che, essendo incirconcisi, osservavano però la Legge data ai circoncisi.
Altro esempio portato dallo stesso autore è Agrippa che, secondo quanto Paolo gli dice
durante l’interrogatorio di Cesarea, crede nei Profeti (cfr. Act. 26,27). Cfr. Ambrosiaster,
Ad Galatas 5,3,: Ambrosiastri qui dicitur Commentarius in epistulas Paulinas. Pars tertia. In
epistulas ad Galatas, ad Efesios, ad Filippenses, ad Colossenses, ad Thessalonicenses, ad
Timotheum, ad Titum, ad Filemonem. Rec. H.I. Vogels, [CSEL 81,3], Vindobonae 1969,
pp. 54-55.
134 Serm. 102,2,13-16, PC II,284: Centurio hic Romanus erat, sed plus erat hic ipse fructu
centesimo christianus, et deo magis militabat iste quam saeculo, et in humano bello fortis fortior in
diuinae pacis custodia permanebat.
178
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ancora divenuti credenti:
“Dunque mandò da lui alcuni anziani dei Giudei (Lc. 7,3). Un pagano manda
Giudei da Cristo. Dunque anche per noi, perché è venuto prima l’annuncio della
fede (cfr. Rom. 10,17), la vita del corpo viene dopo. Mandò da lui alcuni anziani dei
Giudei (Lc. 7,3), e così lui, che era estraneo alla Legge, mostra l’Autore della
Legge a coloro che stavano nella Legge. Nessuno, dunque, si stupisca se un
pagano, cioè un cristiano, o chiama o accompagna un Giudeo o lo conduce a
Cristo. Mandò da lui alcuni anziani dei Giudei, per chiedere che venisse e guarisse il suo
servo (Lc. 7,3).”135
Non è difficile intravedere, nell’invito a non stupirsi rivolto dal Vescovo ai
suoi fedeli, un probabile riferimento ad un comportamento o per lo meno a
singoli episodi di proselitismo cristiano verso gli ebrei: si può immaginare
abbastanza chiaramente che atteggiamenti di questo genere creassero qualche
evidente disagio anche tra i cristiani.
Se Pietro valorizza la legazione giudaica inviata a Cristo dal centurione
romano al fine di mostrarlo un vero cristiano136, non perde neppure l’oc-casione
per rilevare, in senso rovesciato ed esattamente reciproco, il posi-tivo impegno
dei giudei verso i pagani. Naturalmente, il riferimento criso-loghiano è anche
polemico, finalizzato a contrapporre la fede cristiana all’incredulità giudaica, ma,
come si può vedere nel testo seguente, le osservazioni critiche e persino,
diremmo oggi, aggressive, hanno il senso di scuotere l’interlocutore e di
convincerlo sulla via della conversione:
“E quelli, una volta venuti, lo pregavano dicendo: “Merita che tu gli conceda questa
grazia. Ama, infatti, il nostro popolo e ci ha costruito la sinagoga” (Lc. 7,4-5). Pregano
per un pagano i Giudei, che non pregano per se stessi; e si danno molto da fare
per la salvezza di un servo straniero, mentre non si preoccupano per la salvezza
dei loro figli. Dicono: Merita che tu gli conceda questa grazia. Se lo merita colui che
ascolta, crede, manda da Cristo, come si dimostra immeritevole chi va da Cristo,
vede e non crede! Ama, infatti, il nostro popolo. Egli ama il vostro popolo, che
rende così supplice a Cristo; ma voi lo odiate, perché lo fate così caparbio verso
Cristo. O in che modo può non amare il vostro popolo un cristiano che, mentre
professa Cristo, proveniente dal vostro popolo, eleva e innalza alla gloria celeste
tutto ciò che appartiene al vostro popolo?”137
135 Serm. 102,3,26-33, PC II,284: Ergo «misit ad eum seniores Iudaeorum» (Lc. 7,3).
Gentilis Iudaeos ad Christum mittit. Ergo et nobis, quia fidei praecessit auditus (cfr. Rom.
10,17), uita corporis mox sequitur. «Misit ad eum seniores Iudaeorum» (Lc. 7,3), et in lege
positis, qui sine lege erat, legis demonstrat auctorem. Nemo ergo miretur, si gentilis, hoc est,
christianus Iudaeum aut uocat, aut ducit, aut perducit ad Christum. «Misit ad eum seniores
Iudaeorum, rogans ut ueniret et sanaret seruum eius» (Lc. 7,3).
136 Altrove Pietro afferma che il vero cristiano conduce a Cristo anche le pecore
annose e vecchie: cfr. serm. 10,5,95-96, PC I,110.
137 Serm. 102,4,34-45, PC II,286: «At illi, cum uenissent, rogabant eum dicentes: Dignus
est, ut hoc illi praestes. Diligit enim gentem nostram, et synagogam ipse aedificauit nobis» (Lc.
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Si noti, in chiusura di citazione, il passaggio del nostro autore dalla terza alla
seconda persona plurale: sembra di assistere ad un dialogo accorato tra il
Vescovo e i giudei. Pietro tenta di mostrare ai giudei - che forse lo stanno
ascoltando in chiesa o che comunque risultano tra i suoi interlocutori ideali - il
vantaggio oggettivo che potrebbero ricavare anche solo riconoscendo che il
fatto stesso di partecipare, in quella famosa circostanza di Cafarnao, ad
un’ambasceria inviata a pregare Cristo per un pagano, era già un segno di
amore, un’apertura positiva, di un cristiano verso di loro.
La conclusione del commento del Crisologo diventa una magnifica lode
cristiana verso la straordinaria dignità del popolo ebraico, dal quale proviene
Cristo:
“O in che modo può non amare il vostro popolo un cristiano che, mentre professa
Cristo, proveniente dal vostro popolo, eleva e innalza alla gloria celeste tutto ciò
che appartiene al vostro popolo?”138
In questo testo vistosamente importante risulta evidente che il riferimento
concreto alla edificazione della sinagoga di Cafarnao da parte del centurione
romano viene sovraccaricato di spessore simbolico139: con quel gesto generoso,
secondo il Pastore ravennate, si vuole indicare il ruolo dei cristiani verso gli
ebrei, il compito attuale della Chiesa nei confronti della Sinagoga: riconoscendo
la preziosità del patrimonio giudaico – quicquid uestrae gentis est caelestem - il
cristiano lo tollit et extollit ad gloriam. E infatti si legge di seguito:
“Ama, infatti, il nostro popolo e ci ha costruito la sinagoga (Lc. 7,5). Avete udito che la
sinagoga giace sempre diroccata: offre solo pietre grezze e non si eleva in
costruzione celeste, se il costruttore cristiano non la inserisce nella architettura
della Chiesa.”140
7,4-5). Iudaei rogant pro gentili, qui pro se non rogant; et agunt satis pro salute alieni serui, qui
pro salute suorum nil agunt filiorum. Aiunt: «Dignus est, ut hoc illi praestes». Si dignus est qui
audit, credit, mittit ad Christum, ad Christum qui uenit, uidet, non credit, quam probatur
indignus! «Diligit enim gentem nostram». Ille diligit gentem uestram, quam sic Christo
supplicem facit; sed uos odistis eam, quam sic Christo redditis contumacem. Aut quomodo
christianus non diligit gentem uestram, qui dum Christum fatetur ex gente, quicquid uestrae
gentis est caelestem tollit et extollit ad gloriam?.
138 Serm. 102,4,42-45, PC II,286: Aut quomodo christianus non diligit gentem uestram, qui
dum Christum fatetur ex gente, quicquid uestrae gentis est caelestem tollit et extollit ad gloriam?.
139 G. Bardy vede nel gesto del centurione di Cafarnao un segno della sua appartenenza
a quei pagani che si avvicinavano alla religione giudaica, assumendone anche qualche
usanza e rito, senza poi aderirvi pienamente, e che nell’antichità venivano denominati
“tementi Dio”. Cfr. Bardy, La conversione, pp. 103ss.
140 Serm. 102,4,45-48, PC II,286: «Diligit enim gentem nostram, et synagogam ipse edificauit nobis» (Lc. 7,5). Audistis quia semper diruta est synagoga, et iacet iugiter in caementis, nec
caelestem surgit in fabricam, nisi eam in ecclesiae culmen christianus fabricator instruxerit.
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Le sorti della Sinagoga, in tale visione, sono strettamente congiunte a quelle
della Chiesa: se il christianus fabricator non innalza la Sinagoga in ecclesiae culmen,
essa rimane un mucchio di rovine: in poche righe Criso-logo è riuscito a dirci
che, senza la Chiesa, la Sinagoga non può neppure aspirare ad alzarsi in caelestem
fabricam.
5. Nemici e amici
Stiamo rilevando la connessione essenziale tra giudei e cristiani nei
commenti biblici del Crisologo. Questa connessione essenziale assume di volta
in volta, di discorso in discorso e addirittura all’interno dello stesso sermone,
connotazioni nuove e sempre più profonde. Troviamo nello stes-so contesto
dell’esegesi all’episodio del centurione di Cafarnao secondo Lc. 7 l’impiego della
terminologia di Rom. 11, dove i giudei sono chiamati da s. Paolo nemici a
vantaggio dei cristiani.
Pietro nota dapprima che Cristo è in posizione centrale tra i giudei e i gentili
e afferma nel contempo che l’allontanamento dei primi comporta in Cristo un
avvicinamento ai secondi:
“Gesù, dice, andava con loro (Lc. 7,6), ma quelli non andavano con Gesù, con il
quale non andavano con l’animo; né erano con lui quelli che, separati nel cuore,
col corpo sembravano uniti. E ormai non essendo lontano (Lc. 7,6). Da chi? Dal
pagano. Quanto i Giudei si separavano da Cristo, tanto Cristo si univa ai
pagani.”141
In secondo luogo il Crisologo spiega la differenza tra gli inviati del
centurione:
“E quando ormai non era lontano, il centurione gli mandò degli amici (Lc. 7,6). Colui che
prima aveva mandato dei Giudei, ora manda degli amici, per indicare, chiamando
amici quelli, i nemici, come dimostra l’Apostolo quando dice: Nemici per vostro
vantaggio (Rom. 11,28). I Giudei, mentre erano invidiosi che i pagani avessero
creduto, perdettero tutto ciò che riguardava la Legge e la grazia. Gli mandò degli
amici (Lc. 7,6). Quali amici? Ascolta il Signore che dice agli apostoli: Ormai non vi
chiamerò più servi (Io. 15,15), ma amici. Come la fede promuove i servi ad amici, così
l’incredulità riduce i figli alla pena della schiavitù.”142
141 Serm. 102,5,49-53, PC II,286: «Iesus», inquit, «ibat cum illis» (Lc. 7,6), sed illi non
ibant cum Iesu, cum quo mente non ibant; nec cum illo erant, qui seiuncti corde corpore uidebantur
adiuncti. «Et cum iam non longe esset» (Lc. 7,6). A quo? A gentili. Quantum Iudaei
seiungebantur Christo, Christus tantum gentibus iungebatur.
142 Serm. 102,5,53-60, PC II,286: «Et cum non longe esset, misit ad eum centurio amicos»
(Lc. 7,6). Qui ante miserat Iudaeos, nunc amicos mittit, ut illos dicendo amicos indicet inimicos,
probante hoc apostolo cum dicit: Inimici propter uos (Rom. 11,28). Iudaei dum credidisse gentes
inuident, quidquid erat et legis et gratiae perdiderunt. «Misit ad eum amicos» (Lc. 7,6). Quos
«amicos»? Audi ad apostolos dominum dicentem: «Iam non dicam uos seruos» (Io. 15,15), sed
amicos. Sicut fides seruos promouet in amicos, ita perfidia filios in poenalem redigit seruitutem.
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È notevole il fatto che la categoria paolina amici – nemici, utilizzata
dall’Apostolo per designare gli ebrei prima e dopo l’avvento di Cristo sia invece
applicata dal nostro autore per indicare le due categorie ben distinte dei giudei e
dei cristiani, cristiani che nel suo commento diventano poi gli apostoli. Per lui i
giudei divengono nemici di Cristo a vantaggio dei cristiani che al contrario gli
sono amici. Crisologo sembra pensare, e interpretare la Bibbia, sempre con la
stessa chiave: ebrei e cristiani, nemici e amici, invidia e libertà, Legge e grazia,
incredulità e fede, schiavitù e confidenza.
Nel seguito del suo commento al brano del centurione Pietro continua a
insistere sul tema a lui caro:
“Mandò da lui degli amici, dicendo: “Signore, non disturbarti” (Lc. 7,6). Perché? “Perché
non sono degno che tu entri sotto il mio tetto” (Lc. 7,6). Voi vedete che Cristo conduceva i
Giudei più che essere condotto da essi, perché udissero che presso il centurione c’era
la reverenza per la Divinità, presso un pagano il culto della Legge, presso un soldato
lo stipendio della grazia, presso un romano la dottrina della fede, nel gelo pagano il
calore cristiano, in un petto terreno il segreto del Cielo e la perfetta conoscenza della
signoria superna nella completa servitù del mondo.”143
Ma soprattutto il Crisologo riesce, con un’interpretazione sorprendente e
forse un po’ curiosa, a ricuperare la complessità della problematica ebrei – pagani
– cristiani in termini assolutamente semplicissimi:
“Fratelli, questo centurione dicendo: Non sono degno che tu entri sotto il mio tetto (Lc.
7,6), riproduce la figura del popolo cristiano, che giudica di non meritare la presenza
corporea di Cristo, ma dalla sola parola, dal solo annuncio, soltanto dall’orecchio della
fede ascolta, crede e accoglie tutti i miracoli del Signore per la sua salute. Infatti,
quanto a quello che dice: Dico a uno: “Va”, ed egli va; e ad un altro: “Vieni”, ed egli viene; e
al mio servo: “Fa’ questo”, ed egli lo fa (Lc. 7,8), dimostra così il rifiuto dei Giudei, la
chiamata dei pagani, l’obbedienza del popolo cristiano. Dico a uno, cioè al Giudeo, che
non crede: “Va’”, ed egli va; e ad un altro, cioè al pagano che ha creduto: “Vieni”, ed egli
viene; e al mio servo, cioè a chi è già cristiano: “Fa questo”, ed egli lo fa. Preghiamo,
fratelli, per meritare di essere cristiani non soltanto di nome, ma di fede; e per non
limitarci solo ad ascoltare soltanto ciò che ci viene comandato, ma per fare ciò che
abbiamo ascoltato. Poiché, come è proprio del servo devoto eseguire gli ordini, così è
arroganza non eseguirli. Di’ dunque, una parola, e il mio servo sarà guarito (Lc. 7,7). Udite
queste parole, dice, Gesù ne fu ammirato (Lc. 7,9). Il Creatore delle meraviglie rimane
ammirato. Il Creatore degli orecchi, come se non conoscesse ciò che non ha udito, si
meraviglia così delle parole udite. Ma mentre rimane ammirato che un pagano abbia
creduto a tal punto, rimprovera l’incredulità dei Giudei. Perciò parla alle turbe che lo
seguivano (Lc. 7,9), anzi rimprovera così i Giudei che rimanevano al loro posto: Non ho
mai trovato una fede così grande in Israele (Lc. 7,9)! È vero, fratelli, la sola fede vive e
143 Serm. 102,6,61-68, PC II,286: «Misit ad eum amicos dicens: Domine, noli te uexare» (Lc.
7,6). Quare? «Quia non sum dignus, ut intres sub tectum meum» (Lc. 7,6). Uidetis quia Christus
ducebat magis Iudaeos, quam duceretur a Iudaeis, ut audirent esse penes centurionem diuinam
reuerentiam, penes gentilem legis cultum, penes militem stipendium gratiae, penes Romanum fidei
doctrinam, in frigore pagano christianum calorem, in terreno pectore caeleste secretum, et notitiam
totam dominationis supernae in tota saeculi seruitute.
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prospera tra i pagani, i miracoli e i prodigi stancano e non giovano a nulla ai
Giudei.”144
In conclusione si può dire che Crisologo tende a vedere sistemati-camente
rappresentata, nei diversi personaggi del Vangelo, la dinamica dell’evento
salvifico di Cristo come rifiuto dei giudei, chiamata dei pagani e obbedienza dei
cristiani. L’accoglienza di Cristo è la fede, elemento discri-minante tra ebrei e
cristiani, giudizio per i primi e salvezza per i secondi, che però, ovviamente,
devono meritare christiani non nomine tantum esse, sed fide.
CAPITOLO IV
SINAGOGA E CHIESA
1. I dodici anni della figlia di Giairo e dell’emorroissa
Abbiamo già esplicitamente toccato l’argomento del rapporto tra la
Sinagoga e la Chiesa nel paragrafo intitolato “Il costruttore cristiano”145. Del
resto è quasi impossibile parlare di giudaismo e cristianesimo, in Crisolo-go,
senza fare riferimento agli edifici simbolici che li rappresentano146. D’altra parte
non è questa la sede per stilare un trattato sulla sinagoga o un manuale di
ecclesiologia: nel presente studio non intendiamo presen-tare una dottrina ma
verificare l’uso ed eventualmente la validità di una categoria di pensiero che il
144 Serm. 102,9-10,105-125, PC II,288-290: Fratres, centurio iste dicendo: «Non sum
dignus, ut intres sub tectum meum» (Lc. 7,6), Christiani populi gerit figuram, qui Christi
praesentiam corporalem se iudicat non mereri, sed solo uerbo, nuntio, auditu fidei tantum, totas
domini audit, credit, recipit in sua sanitate uirtutes. Nam quod dicit: «Dico huic: uade, et uadit; et
alii: ueni, et uenit; et seruo meo: fac hoc, et facit» (Lc. 7,8). Iudaeorum repulsam, uocationem
gentium, christiani populi oboedientiam sic demonstrat. «Dico huic», hoc est, Iudaeo, qui non
credit: «uade, et uadit; et alii», hoc est, gentili, qui credidit: «ueni, et uenit; et seruo meo», hoc est,
iam christiano: «fac hoc, et facit». Oremus, fratres, ut mereamur christiani non nomine tantum
esse, sed fide, et ut quae iubentur non audiamus tantum, sed faciamus audita. Quia sicut deuoti
serui est fecisse iussa, ita iussa contumacis est non fecisse. «Dic ergo uerbo, et sanabitur puer
meus» (Lc. 7,7). «Quo audito», inquit, «Iesus miratus est» (Lc. 7,9). Creator mirabilium
miratur. Aurium conditor, quasi qui non audita nesciat, sic stupet audita. Sed dum gentilem sic
credidisse miratur, incredulitatem corripit Iudaeorum. Denique «sequentibus se turbis dicit» (Lc.
7,9), immo remanentes arguit sic Iudaeos: «Numquam in Israel tantam fidem inueni» (Lc. 7,9)!
Uerum est, fratres, fides sola uiuit et uiget in gentibus, signa et uirtutes lassant et nil proficiunt in
Iudaeos.
145 Cfr. cap. III § 4.
146 È stato giustamente osservato che in Crisologo i termini «Synagoga e Ecclesia si
sostituiscono per designare giudei e cristiani». Vedi Blumenkranz, Les auteurs, p. 27.
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Vescovo di Ravenna mostra di impiegare sistematicamente quando parla. Ci
limitiamo anche qui a rilevare alcuni dati minimi su come Pietro elabora, nei
suoi discorsi al popolo, il tema del difficile rapporto tra la Sinagoga e la
Chiesa147. Articoliamo l’esposizione in alcune sezioni.
Prendiamo le mosse da un brano, lungo ma significativo, del serm. 36
dedicato, come i tre Sermoni precedenti, al commento della seconda parte del
cap. 5 del Vangelo di Marco, al racconto cioè della guarigione – risurrezione
della figlia ammalata – morta di Giairo, capo della sinagoga, racconto
intrecciato, come è noto, con quello della guarigione di una donna emorroissa:
“Siccome la narrazione storica deve essere sempre elevata ad un senso superiore e
mediante le prefigurazioni presenti devono essere conosciuti i misteri futuri, ora
mediante un discorso allegorico bisogna spiegare quale mistero celino sotto
l’apparenza di tali personaggi il capo della sinagoga o sua figlia oppure la donna
sofferente del flusso di sangue (cfr. Mc. 5,22-43). La figlia del capo della sinagoga,
da cui si reca Cristo – va e si affretta e cammina con passo umano, egli che come
Dio non può muoversi da un luogo all’altro – senza dubbio è la Sinagoga, come dice
il Signore: Non sono stato mandato se non alle pecore della casa d’Israele, che erano
perdute (Mt. 15,24). Ma mentre Cristo si reca da lei, la Chiesa che è posta presso
tutti i popoli, dopo aver perduto il bene di natura, distruggeva e spargeva il sangue
del genere umano; e l’abilità umana, mentre tentava di curarla, non faceva che
accrescerne la debolezza. Infatti, la critica della fragilità umana e la riprensione del
modo di vivere mondano hanno sempre versato il sangue dei popoli, e tuttavia non
sono riusciti né ad eliminare i nemici né a frenare le guerre tra cittadini né a
cancellare completamente la pazzia dei delitti. Questa dunque, trafitta da tali
preoccupazioni, quando vide che tutto ciò che aveva appartenuto e apparte-neva
alla propria sostanza era stato consumato (cioè animo, mente, intelletto, indole,
abilità, ragione: facoltà che certamente mettiamo a disposizione di chi ci governa,
come se si trattasse di medici capaci di avvantaggiarci), quando avvertì la presenza
di Cristo che passava, accostandoglisi alle spalle – perché non meritava di vederlo,
macchiata di sangue com’era – gli si accosta alle spalle, cioè segue l’ascolto della
fede. E tocca le estremità di Cristo, rappre-sentate dalla frangia, lei che non è
onorata nei patriarchi, non è santificata nella Legge, non si vanta nei profeti, non è
onorata nello stesso corpo del Signore, ed è estranea alla genealogia di Cristo (cfr.
Mt. 1,1-17; Lc. 3,23-38). “Dietro le spalle”, cioè segue Cristo all’ultimo momento, e
viene guarita dal nascosto mistero della fede. E toccò veramente la veste che trovò
nel sepolcro (cfr. Io. 20,6-7), per mezzo della quale credette e annunziò la vittoria
del Signore risorto. Ma mentre Cristo di questa si occupa con i suoi miracoli, nella
147 Si deve comunque tenere presente che lo schema Sinagoga/Chiesa resta uno
schema. Il suo utilizzo, in Crisologo e in noi stessi, non deve per esempio lasciare pensare
che la Sinagoga sia presente e operante solo nell’Antico Testamento e che la Chiesa sia
relegata esclusivamente al Nuovo Testamento. Anche per Crisologo, come per altri
padri, la Chiesa è prefigurata nell’Antico Testamento, specialmente dalle figure femminili
come la sterile Sara (cfr. serm. 99,4,61-73, PC II,262-264) e la regina del sud (cfr. serm.
37,5,80-102, PC I,270). Al contrario, W.B. Palardy, Op. cit., p. 484 ritiene che in
Crisologo non ci siano donne dell’Antico Testamento prima sterili e poi feconde come
tipi della Chiesa.
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figlia dell’arcisinagogo viene meno e muore la Sinagoga, perché anch’essa possa
ritornare alla vita mediante la fede, mentre per colpa della Legge era morta ed era
perita per colpa della natura. Frattanto viene gente dalla casa dell’arcisinagogo e
dicono: “Non disturbare il Maestro, la fanciulla è morta” (cfr. Mc. 5,35). Anche oggi
i Giudei non vogliono disturbare Cristo, che desiderano non venga, e annunciano la
morte, poiché, per la loro infedeltà, hanno perduta la speranza della risurrezione.
Ma quanto si accorda con questa nostra affermazione anche la circostanza citata,
che la figlia dell’arcisinagogo aveva trascorso dodici anni di vita (cfr. Mc. 5,42); e il
fatto ricordato che la donna per dodici anni era stata costantemente ammalata (cfr.
Mc. 5,25). Mentre ad entrambe nel tempo ultimissimo e compiuto sia stata
restituita la salute (cfr. 1 Ptr. 1,5) e la vita. Infatti, conchiude il tempo della vita
umana questo numero che, per formare l’anno, si divide e si conta in dodici mesi.
Perciò anche il profeta insegna che Cristo è venuto quale gradito anno del Signore
(cfr. Is. 61,2; Lc. 4,19); e l’Apostolo afferma che Cristo è venuto nella pienezza del
tempo, dicendo: Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò suo Figlio (Gal. 4,4).
Pregate, fratelli, perché, come la Sinagoga è morta a se stessa e alla Legge, per
vivere a Cristo, così anche noi moriamo al peccato (cfr. Rom. 6,11; 1 Ptr. 2,24) e alla
carne, perché possiamo vivere in Cristo.”148
148 Serm. 36,3-4,71-120, PC I,262-264: Uerum quia historica relatio ad altiorem semper
est intelligentiam sublimanda, et figuris praesentibus futura sunt noscenda mysteria,
archisynagogus uel eius filia siue mulier in fluxu sanguinis (cfr. Mc. 5,22-43) constituta quid sub
harum specie personarum teneant sacramenti allegorico nunc sermone pandendum est.
Archisynagogi filia, ad quam uenit Christus - uadit et properat, et humano gradu iter facit, qui
diuinitus loco non potest promoueri - sine dubio synagoga est, dicente domino: «Non sum missus
nisi ad oues quae perierunt domus Israel» (Mt. 15,24). Sed dum ad illam Christus tendit, ecclesia,
quae in cunctis gentibus posita amisso naturae bono perdebat, et profundebat sanguinem generis
humani, cuius languorem peritia humana dum curare nititur, ipsa cumulabat. Nam censura
fragilitatis humanae ac mundanae districtio disciplinae et populorum semper sanguinem fudit, et
tamen nec hostes abolere, nec ciuium bella compescere, nec criminum potuit dementiam perdelere.
Haec ergo talibus confossa curis, ubi quicquid suae fuerat et erat substantiae uidit esse
consumptum id est, animum, mentem, sensum, ingenium, laborem, industriam, rationem, quae
utique rectoribus ad profectum uelut medicantibus commodamus, ubi Christi praetereuntis sensit
praesentiam, retro accedens, quia non eum uidere sanguine polluta merebatur, accedit retro, hoc
est, fidei sequitur auditum; et extrema Christi uelut ipsam tangit fimbriam, dum non honoratur in
patribus, non sanctificatur in lege, non se iactitat in prophetis, non dominico ipso honoratur in
corpore, dum ab illo generationum Christi (cfr. Mt. 1,1-17; Lc. 3,23-38) ordine habetur
extranea. Postergum, hoc est, nouissimo tempore Christum sequitur, et sanatur occulto fidei
sacramento. Et uere tetigit uestimentum, quod in sepulchro repperit (cfr. Io. 20,6-7), per quod
resurgentis domini credidit et praedicauit insignia. Sed dum circa hanc Christus suis uirtutibus
occupatur, in archisynagogi filia deficit et moritur synagoga, ut et ipsa ad uitam per fidem redeat,
quae per legem mortua fuerat, et perierat per naturam. Inter haec ueniunt de domo archisynagogi,
et dicunt: Noli uexare magistrum, mortua est puella (cfr. Mc. 5,35). Hodieque Iudaei nolunt
uexari Christum, quem cupiunt non uenire, et mortem pronuntiant, qui spem resurrectionis
infideliter perdiderunt. Sed et illud huic adsertioni nostrae quam conuenit, quod archisynagogi
filia duodecim annos (cfr. Mc. 5,42) egisse refertur in uita, et haec duodecim annos perseuerasse
memoratur in uulnere (cfr. Mc. 5,25), cum utrisque nouissimo et expleto tempore salus (cfr. 1 Ptr.
1,5) redderetur et uita. Nam iste numerus tempus humanae uitae concludit qui ut annum faciat,
duodecim distinguitur et numeratur in mensibus. Unde et propheta annum domini acceptum
INDICI
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In questo punto di un commento biblico distribuito in diversi discorsi,
Pietro sta passando dal piano letterale del racconto a quello spirituale o
allegorico. I personaggi del Vangelo divengono portatori di un significato
ulteriore, mistico o misterioso: la figlia di Giairo è la Sinagoga, l’emorroissa è la
Chiesa ex gentibus.
Stiamo vedendo, e lo riscontreremo ancora, come per Crisologo il pas-saggio
da un piano all'altro, che comporta, con l'approfondimento del significato del
testo biblico, la necessaria decifrazione di alcuni codici simbolici, spinga
naturalmente la sua esegesi nella direzione di un conti-nuo confronto dialettico
tra la Sinagoga e la Chiesa, tra i discendenti di Abramo secondo la carne e
quanti, provenendo dalla gentilità, divengono discendenti di Abramo secondo la
fede. Questo particolare e caratteristico modo di procedere mette in evidenza
una costante del pensiero di Pietro circa la centralità del rapporto tra ebraismo
e cristianesimo. Si tratta per lui di un unico nucleo o nodo teologico: sembra che
il Pastore ravennate non riesca a concepire e a definire separatamente le realtà
della Sinagoga e della Chiesa.
Nel testo appena citato Pietro indugia sulla descrizione penosa della ecclesia,
quae in cunctis gentibus posita amisso naturae bono perdebat et profun-debat sanguinem
generis humani, per accentuare l’inferiorità, dal punto di vista di una
considerazione prettamente naturale, della Chiesa rispetto alla Sinagoga: non
honoratur in patribus, non sanctificatur in lege, non se iactitat in prophetis, non
dominico ipso honoratur in corpore, dum ab illo generationum Christi ordine habetur
extranea.
La fede -- che per Pietro nasce sempre ex auditu -- rende la Chiesa testimone
di vita e di risurrezione, mentre i giudei “annunciano la morte, poiché, per la
loro infedeltà, hanno perduta la speranza della risur-rezione”. La Chiesa vive, la
Sinagoga muore.
Come la Chiesa, così anche la Sinagoga può ritornare alla vita me-diante la
fede. Ma nel frattempo “anche oggi (hodieque) i Giudei non vogliono disturbare
Cristo, che desiderano non venga”. In questo accenno possiamo di nuovo
rilevare un riferimento, difficilmente casuale, ad una situazione del vissuto
quotidiano del vescovo di Ravenna, dove, evidentemente, dovevano non essere
infrequenti scambi tra membri della comunità cristiana ed ebrei.
Molto interessante, infine, la raccomandazione conclusiva del Pastore. La
morte della Sinagoga a se stessa e alla Legge è un appello attuale di conversione
per la Chiesa: tutti dobbiamo morire ai peccati e alla carne, per vivere in Cristo.
Come si vede, il grado di elaborazione del discorso crisologhiano a proposito
del rapporto tra ebrei e cristiani è notevolmente avanzato. Tro-viamo in altri
testi ulteriori significativi avanzamenti nella stessa direzione.
Christum indicat aduenisse (cfr. Is. 61,2; Lc. 4,19); et apostolus temporis plenitudine Christum
uenisse adprobat dicens: «Post quam uenit temporis plenitudo, misit deus filium suum» (Gal. 4,4).
Orate, fratres, ut sicut sibi et legi, ut Christo uiueret, defuncta est synagoga, ita et nos peccatis
moriamur (cfr. Rom. 6,11; 1 Ptr. 2,24) et carni, ut uiuere possimus in Christo.
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2. Il fariseo e la peccatrice
Un'altra coppia di figure che attira l’attenzione del Crisologo e che lo
conduce direttamente ad una forte elaborazione del tema del rapporto tra la
Sinagoga e la Chiesa è rappresentata dal fariseo e dalla peccatrice: si tratta del
fariseo Simone di Lc. 7 che invita a pranzo il Signore, pranzo interrotto
dall’arrivo della donna peccatrice e dal conseguente giudizio di Gesù.
Pietro dedica i Sermoni 93, 94 e 95 all’imbarazzante episodio, fermandosi
soprattutto a descrivere la situazione miserevole della peccatrice e istituen-do
espressamente un collegamento tra questa donna e lo stato pietoso
dell’emorroissa di cui abbiamo appena parlato149.
Il nostro autore parte con la classica difesa del comportamento di Gesù –
abituale per un autore, come lui, costantemente preoccupato di salva-guardare e di
mettere in sovraesposizione la divinità della figura di Cristo con evidente funzione
antiariana – e dissipa istantaneamente gli eventuali dubbi che in proposito
sorgessero in qualche suo ascoltatore:
“Cristo entrò nella casa del fariseo non per accettare i cibi giudaici, ma per
elargire la misericordia divina.”150
Conformemente al sistema esegetico, per lui pure consueto, di avvicinamento lento e progressivo al significato mistico dei testi biblici, e di
introduzione graduale dell’uditorio al livello più importante della rivela-zione
biblica, il Pastore chiede al popolo che lo segue di pregare, lo coinvolge e lo
prepara, di discorso in discorso, a passare dal senso letterale del passo
evangelico al suo senso principale, intimo e misterioso151.
Quando finalmente Pietro si sente sufficientemente illuminato dallo Spirito
Santo, inizia la spiegazione spirituale del Vangelo152 e anzitutto presenta i
personaggi, mostrandone la vera identità.
In primo luogo tocca al fariseo:
“Un fariseo, dice, invitò il Signore a mangiare da lui (Lc. 7,36). È chiamato fariseo,
fratelli, il cattolico dei Giudei, perché crede nella risurrezione e dissente dal
sadduceo, che la nega (cfr. Mc. 12,18 e parall.; Act. 23,8). Ecco perché invita
Cristo, cioè l’Autore della risurrezione, a mangiare da lui, perché chi è convitato
di Cristo non può morire, e chi non può morire, senza dubbio vive sempre.”153
Cfr. serm. 94,2,8-26, PC II,230.
Serm. 93,1,4-6, PC II,224-228: Pharisaei domum Christus intrauit non accepturus
Iudaicos cibos, sed diuinam misericordiam largiturus.
151 Cfr. serm. 93,7,94-100, PC II,228; 94,1,3-7.897-105, PC II,230.234; 95,1,3-8, PC
II,236.
152 Cfr. serm. 95,1,3-8, PC II,236.
153 Serm. 95,2,9-14, PC II,236: «Rogauit», inquit, «dominum quidam pharisaeus, ut manducaret cum illo» (Lc. 7,36). Pharisaeus, fratres, catholicus dicitur Iudaeorum, nam resurrectionem credit, et a sadducaeo resurrectionem negante (cfr. Mc. 12,18 et parall.; Act. 23,8)
149
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Notiamo la presentazione positiva della figura del fariseo, corrispon-dente al
cattolico, e quindi ben distinta dal sadduceo, corrispondente proba-bilmente ai
giudei increduli oppure agli eretici. L’invito a pranzo diventa per il generoso
ospite una promessa di risurrezione e di vita eterna.
Segue, immancabile, la presa di distanza da parte del nostro autore, che si
rivolge direttamente, secondo il suo stile oratorio, al personaggio del Vangelo
che quasi rivive ai suoi occhi:
“Fariseo, lo inviti per mangiare con lui: credi, diventa cristiano e mangi di lui.”154
Pietro si rivolge allora al cristiano:
“Cristiano, Colui che qui ti si è dato da mangiare, che cosa di ciò che è suo potrà
rifiutarti in futuro?”155
In secondo luogo troviamo l’interpretazione che stiamo riscontrando essere
tipica dell'esegesi crisologhiana:
“Invitava, dice, il Signore a mangiare da lui. Ed entrato nella casa del fariseo (Lc.
7,36). In quale casa? Certamente la Sinagoga. Ed entrato, si pose a tavola (Lc. 7,36).
Quando si pose a tavola? Quando si distese. Nella Sinagoga, fratelli, allora Cristo
si pose a tavola, quando si distese; ma fece passare il suo corpo alla mensa della
Chiesa, perché i pagani, che avrebbero mangiato, avessero la carne divina per la
salvezza. Se non mangerete la carne del Figlio dell’uomo e non berrete il suo sangue,
non avrete in voi la vita (Io. 6,54). Ma come si mangi la carne di Cristo, come si
beva anche il suo sangue, lo sanno quelli che sono stati istruiti nei misteri celesti.
Ed ecco una donna, dice, peccatrice di quella città (Lc. 7,37). Quale donna? Senza
dubbio la Chiesa. Peccatrice di quella città. Di quale città? Di quella di cui il profeta
aveva detto: Come mai Sion, la città fedele, è diventata una meretrice (Is. 1,21)? E in
un altro passo: Ho visto nella città iniquità e contese e nel suo interno iniquità,
travaglio e ingiustizia, e non cessano nelle sue piazze usura e inganno (Ps. 54,1012).”156
dissentit. Hinc est quod rogat Christum, id est, resurrectionis auctorem, ut manducet cum illo,
quia qui conuiuit Christo mori nescit, et qui mori nescit utique uiuit semper.
154 Serm. 95,2,15-16, PC II,236: Rogas, pharisaee, ut manduces cum illo: crede, esto
christianus, et manducas ex illo.
155 Serm. 95,2,22-23, PC II,236: Christiane, qui se tibi hic manducandum dedit, quid suum
tibi denegare poterit in futurum?
156 Serm. 95,3-4,31-46, PC II,236-238: «Rogabat», inquit, «dominum, ut manducaret cum
illo. Et ingressus domum pharisaei» (Lc. 7,36). Quam domum? Nempe synagogam. «Et
ingressus accubuit» (Lc. 7,36). Quando accubuit? Quando occubuit. In synagoga, fratres, tunc
accubuit, quando occubuit Christus; sed corpus suum ecclesiae transmisit ad mensam, ut esset
caelestis caro manducaturis gentibus ad salutem. «Nisi manducaueritis carnem filii hominis, et
biberitis sanguinem eius, non habebitis uitam in uobis» (Io. 6,54). Quemadmodum autem
manducetur caro Christi, quomodo bibatur et sanguis eius, norunt illi, qui sunt sacramentis
caelestibus instituti. «Et ecce», inquit, «mulier, quae erat in ciuitate peccatrix» (Lc. 7,37). Quae
mulier? Ecclesia sine dubio. «In ciuitate peccatrix». Ciuitate qua? Illa, de qua dixerat propheta:
«Quomodo facta est meretrix ciuitas fidelis Sion» (Is. 1,21). Et alibi: «Vidi iniquitatem et
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Il fariseo e la peccatrice sono divenuti simultaneamente i simboli della
Sinagoga e della Chiesa. Cristo accetta l’invito a pranzo della Sinagoga ma
nutre la Chiesa: troviamo qui significativi riferimenti al battesimo e
all’eucaristia.
In terzo luogo, Pietro sviluppa la figura della Chiesa, che come Sion era
fedele ed è divenuta meretrice. In tale stato di degrado la peccatrice si reca al
pranzo di Simone:
“Seppe dunque che Cristo era venuto nella casa del fariseo (cfr. Lc. 7,37), cioè
nella Sinagoga, e lì, cioè alla Pasqua dei Giudei, aveva insegnato il mistero della
sua passione; seppe che aveva rivelato il sacramento del suo corpo e del suo
sangue e aveva manifestato l’evento misterioso della nostra redenzione.”157
È nella Sinagoga che la Chiesa trova “che Cristo, tradito tra le vivande
dell’amore e le dolci coppe, giaceva per opera della frode giudaica”158, sicché le
sorti di entrambe risultano indissolubilmente e reciprocamente legate, mediante
Cristo.
Infine, Crisologo conclude la sua spiegazione di Lc. 7 con una magnifica
pagina sul rapporto nuziale tra la Chiesa e Cristo: partendo dalla constatazione
che “la Chiesa ogni giorno sente che Cristo nella casa del fariseo, cioè nella
Sinagoga, è stato assoggettato ad ogni inganno, ad ogni specie di frode, ha
patito, è stato crocifisso e sepolto”159, l’Autore esalta la fervida fede dell'attesa
ecclesiale di Cristo “non in un luogo, ma nel tempo”160, fino a “quando [Cristo]
verrà nella maestà di suo Padre (cfr. Mt. 25,31)”161, e la Chiesa si sentirà dire
definitivamente: “Ti sono rimessi molti peccati, perché hai molto amato (cfr. Lc.
7,47)”162.
3. Il fico nella vigna: coltello legale e vomere apostolico
Sulla linea dell’elaborazione costante di una vera e propria categoria
teologica, che diviene principio fondamentale di esegesi biblica e quindi chiave
ermeneutica alla quale il nostro autore mostra di ricorrere natural-mente e
contradictionem in ciuitate, et iniquitas et labor in medio eius et iniustitia, et non defecit de plateis
eius usura et dolus» (Ps. 54,10-12).
157 Serm. 95,4,52-54, PC II,238: Sed ubi audiuit uenisse Christum ad domum pharisaei
(cfr. Lc. 7,37), id est, ad synagogam, ibi, hoc est, ad Iudaicum pascha, passionis suae mysterium
tradidisse, aperuisse sui corporis et sanguinis sacramentum, manifestasse nostrae redemptionis
archanum.
158 Serm. 95,4,60-61, PC II,238: Christum, inter amoris epulas et dulcia pocula traditum,
Iudaicam obcubuisse per fraudem.
159 Serm. 95,5,67-69, PC II,238: Ecclesia cotidie audit Christum in domo pharisaei, id est,
synagoga, omni dolo, tota fraude addictum, passum, crucifixum et sepultum.
160 Serm. 95,5,72, PC II,238: Non loco, sed tempore.
161 Serm. 95,6,82-83, PC II,240: Quando uenerit in maiestate patris sui (cfr. Mt. 25,31).
162 Serm. 95,6,90-91, PC II,240: Tunc dicit ad ecclesiam: Dimittuntur tibi peccata multa,
quia dilexisti multum (cfr. Lc. 7,47).
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abitualmente, troviamo la spiegazione di un’altra pagina del Vangelo di Luca: si
tratta della parabola del fico sterile di Lc. 13, che Pietro commenta nel serm.
106.
Dopo una prima interpretazione letterale del testo evangelico, il quale,
attraverso l’immagine del fico sterile che occupa ingiustamente il terreno della
vigna, mostra “senza dubbio l’uomo che spreca e impiega in sterili e misere
attività i doni della natura, le doti dell’anima, il beneficio della ragione, la
superiorità dell’intelletto, il giudizio della mente, l’abilità dell’arte, il bene
dell’educazione, affossa il frutto per chi ne è l’autore e rifiuta il favore a chi lo
coltiva”163, Pietro va ad analizzare il passo biblico ad un livello più profondo e
dice che “a ragione, dunque, dal Signore la Sinagoga viene paragonata a un
albero di fico, perché, riscaldata dal tepore della Legge, per un certo tempo fiorì
in prefigurazione dei frutti della Chiesa.”164
Nello stesso tempo Crisologo dà un’interpretazione positiva e limitata della
Sinagoga: positiva perché, contrariamente a quanto in senso proprio dice il testo
della parabola lucana, l’albero di fico non è stato affatto sterile ma anzi è fiorito;
limitata, perché in effetti la fecondità è stata temporaliter e in figura, cioè tutta ed
esclusivamente funzionale alla Chiesa.
In tale contesto Pietro non esita ad affermare che i santi del popolo eletto
sapevano di potere solo sperare il frutto “e si consolavano del presente in vista
del futuro, vedendo che ormai stavano per subentrare le realtà eterne a quelle
mortali, le perpetue a quelle caduche, la grazia alla Legge, la Chiesa alla
Sinagoga, le realtà celesti a quelle terrene, le divine a quelle umane, a tutte le
realtà Cristo, che con gioia fedele si rallegrarono fosse venuto, perché ne
attendevano la venuta con diuturna pazienza.”165
Sotto questo particolare profilo, il Pastore arriva così a presentare i termini
del complesso rapporto tra la Sinagoga e la Chiesa distendendoli nell’arco
dell’intera rivelazione biblica e ad affermare perciò una succes-sione temporale,
e quindi di fatto una sostituzione della Sinagoga il cui posto viene ora occupato
dalla Chiesa.
Nonostante la santità di alcuni, tra i quali è ricordato il vecchio Simeone al
tempio166, l’intera Sinagoga “era tutta oscurata dagli inganni dell’incredulità”167,
sicché Cristo, che venne non solo per cercarvi frutto ma anche per rivestire la
163 Serm. 106,2,22-26, PC II,310: Sic homo utique, qui naturae donum, munus animae,
rationis beneficium, excellentiam sensus, iudicium mentis, artis industriam, culturae bonum in
steriles atque inopes actus euertit, occupat, mergit auctori fructum, cultori gratiam negat.
164 Serm. 106,3,37-39, PC II,312: Merito ergo a domino synagoga fici arbori comparatur,
quae calefacta tepore legali temporaliter ecclesiastici fructus floruit in figura.
165 Serm. 106,3,44-49, PC II,312: Et solabantur praesentia de futuris, uidentes iamiamque
succedere aeterna mortalibus, perpetua caducis, legi gratiam, ecclesiam synagogae, caelestia
terrenis, humanis diuina, omnibus Christum, quem, quia uenturum longa patientia sustinebant,
uenisse fideli gaudio sunt gauisi.
166 Cfr. serm. 106,3,49-52, PC II,312.
167 Serm. 106,5,67-68, PC II,312: Tota dolis erat inumbrata perfidiae.
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nudità di Adamo, “non trovò alcun frutto di fede”168.
Infine, Pietro si ferma a considerare il significato dei tre anni di ricerca del
frutto e del taglio della pianta prorogato per un anno: “I tre anni sono i tre
periodi, nel corso dei quali Cristo va alla Sinagoga a chiedere il frutto, cioè
mediante la Legge, mediante i profeti, mediante la sua stessa presenza fisica”169,
mentre la dilazione indica “un anno del tempo evangelico, del quale Isaia dice:
Predicate un gradito anno del Signore e il giorno della ricompensa (Lc. 4,19. Cfr. Is.
61,2). Perché? Finché io gli zappi attorno (Lc. 13,8). Lo vuole zappare col vomere
apostolico, perché non è stato in grado di reagire alla coltivazione del coltello
legale.”170
Come si vede, sul punto del rapporto tra Israele e le genti Pietro mostra di
avere più di un’intuizione: assistiamo ad una visione imponente, assai elaborata,
che porta il Pastore a ripercorrere le grandi tappe dell'unica storia della
salvezza, da Adamo a Cristo, a guardare con favore ai segni di santità presenti
nelle vicende del popolo eletto, a valutare positivamente il ruolo della Legge e
dei profeti, a giudicare con attenzione e realismo il dramma dell’incredulità
giudaica nei confronti di Cristo, e nello stesso tempo a sperare un ritorno, un
frutto di fede. In questo panorama, complesso e completo, la Chiesa per un certo
aspetto continua la fedeltà e la santità degli ebrei che hanno vissuto nella fede e
nella speranza, per altro rappresenta una cesura netta, una soluzione di
continuità al punto da occupare di fatto, attualmente, il posto della Sinagoga. La
storia della salvezza è tuttavia ancora in evoluzione, dura tuttora l’anno del
tempo evangelico, nel quale il vignaiuolo – che “è l’angelo che presiede alla
Sinagoga”171 – col vomere apostolico, e non più col coltello legale, vuole zappare
perché “possa ritornare a dar frutto, mentre con così grande e preziosa
ricchezza aveva rinunciato a dar frutto.”172.
4. La famiglia divisa: continuità e discontinuità
Stiamo constatando come il Crisologo utilizzi sistematicamente la chiave
ermeneutica giudaismo/cristianesimo durante le sue prediche al popolo. Non
possiamo ora trascurare il fatto che tale attitudine esegetica del nostro autore si
rivela particolarmente apprezzabile nel caso di testi biblici di difficile
Serm. 106,5,67, PC II,312: Fructum fidei repperit nullum.
Serm. 106,6,82-84, PC II,314: Tres anni tria sunt tempora, per quae Christus ad
synagogam fructum quaesiturus aduenit, id est, per legem, per prophetas, per ipsam sui
praesentiam corporalem.
170 Serm. 106,7,89-92, PC II,314: Euangelici temporis precatur annum, de quo Esaias dicit:
«Praedicate annum domini acceptum et diem retributionis» (Lc. 4,19. Cfr. Is. 61,2). Ut quid?
«Usque dum fodiam circa illam» (Lc. 13,8). Uult eam apostolico uomere perfodere, quia legalis
cultri non ualuit sentire culturam.
171 Serm. 106,6,79-80, PC II,314: Est praesul synagogae angelus.
172 Serm. 106,7,96-97, PC II,314: Redeat ad fructum, quae tanto et pretioso ubere decessit a
fructu.
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interpretazione o, per lo meno, di non immediata comprensione.
È il caso dell’enigmatico discorso di Gesù riportato in Lc. 12 sul fuoco
gettato sulla terra e sulla divisione dei cinque abitanti della casa, una parola del
Signore che subito Pietro dichiara “contraria agli inesperti”173.
Anzitutto il Vescovo applica l’inizio del discorso di Gesù, che dice di essere
venuto a portare il fuoco sulla terra, al solito argomento:
“Dunque, quando il terreno giudaico, indebolito fino all’esaurimento dal continuo
aratro della Legge e dall’ininterrotta coltivazione, non rispose al seme, non alla
fatica, ma diede loglio al posto di grano (cfr. Mt. 13,24-30), produsse spine al
posto di viti (cfr. Mt. 7,16), Cristo rivolse l’operosità del culto divino alle
seminagioni dei pagani.”174
In secondo luogo Pietro istituisce un parallelo veterotestamentario,
ricordando l’episodio del roveto ardente di Ex. 3 e interpretandolo già come una
prefigurazione del “popolo pieno degli spini della malvagità ed ingrato per la
coltivazione della Legge”175, e quindi come un segno della futura missione degli
apostoli inviati nel mondo intero a coltivare le regioni dei pagani con la potenza
del fuoco dello Spirito Santo ricevuto a Pentecoste176.
In terzo luogo, il nostro autore affronta lo spinoso problema interpre-tativo
della divisione degli abitanti della casa. Il testo crisologhiano è un ottimo
esempio di quanto l’esegesi spirituale possa diventare, in certi casi estremi,
estremamente “complessa e lambiccata”177.
Ciò nonostante, il percorso finora compiuto nello studio dell’argomenta-re di
Pietro a proposito del rapporto giudaismo/cristianesimo ci consente di riassumere
ormai chiaramente la difficile interpretazione del Vescovo di Ravenna.
Pietro parte affermando che gli abitanti di quella casa sono in realtà cinque
familiari e non sei, a motivo dell’identità di persona tra suocera e nuora178.
Quindi afferma che al centro dei rapporti interpersonali di quella famiglia sta
l’unione di Cristo con la Chiesa. Questa unione, che sopraggiunge ad un certo
punto, anche se viene fortemente ostacolata sia dai giudei sia dagli eretici – dove
ognuno dei due distinti gruppi forma una sinagoga divisa – resta indefettibile
come dimostrazione di un amore che con la morte di Cristo, anziché diminuire o
venire meno, cresce179.
Il cuore del commento del Crisologo sta nello svelamento della vera identità
Serm. 164,1,4, PC III,246: Dominicus sermo contrarius inperitis.
Serm. 164,3,31-34, PC III,246: Ergo ubi Iudaicus caespes continuo aratro legis et iugi
cultu effetatus ad inopiam, non respondit germini, non labori, sed pro tritico lolium reddidit (cfr.
Mt. 13,24-30), protulit pro uitibus spinas (cfr. Mt. 7,16), Christus ad sata gentium diuini cultus
conuertit industriam.
175 Serm. 164,4,46-47, PC III,248: Aculis malitiae plenum et ingratum culturae legis
populum praefigurans.
176 Cfr. serm. 164,4,47-54, PC III,248.
177 Così Benericetti in PC III,251, n. 4.
178 Cfr. serm. 164,8,75-81, PC III,250.
179 Cfr. serm. 164,8,82-103, PC III,250.
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dei personaggi in gioco, dopo aver introdotto la coppia degli sposi, che per la
verità rimane sotto intesa nel testo lucano.
Il padre si divide contro il figlio in quanto “il popolo giudaico, che per la
generazione carnale di Cristo ha avuto in sorte il nome di padre, è separato da
Cristo, suo figlio, per l’invidia.”180
La madre, a sua volta, si divide contro la figlia e – il che è lo stesso – la
suocera si divide contro la nuora perché la “Sinagoga madre, quando vide che
era venuta dalle genti la Chiesa, sua nuora, uccise scelleratamente il Figlio (cfr.
Mt. 21,37-38), per non vedere l’unione della Chiesa con Cristo. Uccise Cristo
per vedere se, almeno così, furibonda, riuscisse a spegnere l’amore della nuora.
Ma Cristo risorse da morte per unirsi perfettamente alla Chiesa, per dimostrare
che la carità non veniva divisa dalla morte (cfr. Rom. 8,35), ma aumentava.”181
La conseguenza più interessante e importante di questa impostazione, molto
articolata perché cerca di rendere conto di un legame tormentato e in continua
evoluzione, sta nella dialettica del rapporto tra la Chiesa e la Sinagoga. Si deve
infatti notare che tanto il padre quanto la madre (= la suocera) in questione
vengono a rappresentare la Sinagoga in rapporto alla Chiesa: ognuno dei
genitori passa da un ruolo innegabilmente positivo, di generazione, di paternità
e di maternità, in una parola di affetto, ad un ruolo imprevedibilmente negativo,
di invidia, di rifiuto, di odio furioso e alla fine omicida. Nella descrizione delle
dinamiche interne a questa famiglia formidabilmente divisa a motivo della
presenza di Cristo, Pietro calca le parole specialmente trattando i termini al
femminile. Si vede bene, invero, che il padre soprattutto paga le conseguenze
della propria invidia subendo pena e dolore per la separazione, sia pure
colpevole, dal figlio Cristo. Invece è la madre a reagire con violenza alla
situazione: la Sinagoga madre diviene rivale, matrigna, suocera gelosa e
furibonda contro la nuora, al punto da tentare, mediante l’uccisione di Cristo, di
spegnere l’amore della Chiesa sposa per Cristo sposo182.
È chiaro che il ragionamento del Crisologo non tiene fino in fondo e desta
numerose perplessità. Anche da un punto di vista meramente logico, ne
verrebbe che Cristo e la Chiesa sono degli sposi un po’ sui generis essendo figli
degli stessi genitori e perciò tra di loro fratello e sorella! Altra incongruenza, se
si vuole, è che peraltro il padre di Cristo non sembra essere, contestualmente, il
padre della Chiesa, né, del resto, pare che la Sinagoga, madre della Chiesa, sia
anche madre di Cristo. Ancora: la Sinagoga diviene, in senso stretto, madre
180 Serm. 164,8,89-91, PC III,250: Iudaicus populus, qui per carnalem Christi
generationem paternum sortitus est nomen, a Christo filio per inuidiam separatur.
181 Serm. 164,8,98-103, PC III,250: Synagoga mater, ubi ecclesiam nurum uidit ex
gentibus aduenisse, occidit scelesta filium (cfr. Mt. 21,37-38), nurus consortium ne uideret.
Occidit Christum, si uel sic amorem nurus furibunda ualeret extinguere. Sed ex morte totum
resurrexit in ecclesiae coniugium Christus, ut probaret caritatem non separari morte (cfr. Rom.
8,35), sed crescere.
182 Cfr. serm. 164,8, PC III,250.
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della Chiesa “per mezzo di Pietro e degli altri apostoli”183, mentre, da un punto
di vista cronologico, le nozze tra Cristo e la Chiesa sopraggiungono in un
secondo tempo. Infine: la Chiesa, che Cristo va a sposare, è senz’altro ed
esclusivamente ex gentibus184: ci si poteva legittimamente aspettare, alla fine di
tanto speculare, una conclusione diversa, almeno un po’ più dinamica.
Ma le conseguenze più gravi sono ad altro livello. Non può sfuggire, infatti,
che, in questo modo di procedere, Pietro dà una versione assai unilaterale delle
difficili relazioni tra Chiesa e Sinagoga. In modo eviden-tissimo, tutte le colpe
sono nettamente dalla parte dei giudei. Questo limite lampante getta anche
un’ombra nella pur difficile esegesi del passo lucano: perché Pietro non tenta
neppure di spiegare il significato delle divisioni non guardate soltanto dall’alto
in basso – padre contro figlio, madre contro figlia, suocera contro nuora – ma
anche viste nella loro visuale speculare – figlio contro padre, figlia contro
madre, nuora contro suocera?
In sostanza si rilevano, da tratti come questi, elementi che pongono il
rapporto tra la Chiesa e la Sinagoga in termini di continuità e disconti-nuità: la
Chiesa è figlia rifiutata, la Sinagoga è madre omicida. Cristo è al centro di un
dramma di amore e di odio.
Conclusivamente, troviamo in questa drammatica pagina crisologhiana una
conferma incontestabile del tipo di approccio di Pietro alla Bibbia, dove la
categoria giudaismo/cristianesimo – qui, ancora una volta codifi-cata attraverso
le immagini della Sinagoga e della Chiesa – assurge a schema chiave.
I limiti evidenti di un’esegesi impostata in questo modo vengono,
nonostante tutto, a confermare viepiù la centralità della categoria in questione
nel pensiero del Vescovo. Egli sembra utilizzarla istintivamente e
sistematicamente nei suoi discorsi al popolo, senza stare a calcolare esattamente le conseguenze logiche, le incongruenze, i difetti interpretativi della
posizione teologica alla quale approda.
Nello stesso tempo, persino in una pagina così aggressivamente
antigiudaica, troviamo il riconoscimento chiaramente espresso del primato del
popolo eletto. In questo senso non può non colpire l’unica citazione esplicita
portata da Pietro nell’argomentazione omiletica:
“Di qui i padri e da essi secondo la carne Cristo, che è benedetto nei secoli (Rom.
9,5).”185
5. «Nunc uidemus in speculo»
Il racconto marciano del cieco di Betsàida guarito gradualmente dal Signore
offre a Pietro l’opportunità di un commento significativo e illuminan-te nel nostro
itinerario di studio del rapporto tra la Sinagoga e la Chiesa.
Serm. 164,8,95, PC III,250: Per Petrum et ceteros apostolos.
Serm. 164,8,99, PC III,250.
185 Serm. 164,8,93-94, PC III,250: «Unde patres, et ex quibus Christus secundum carnem,
qui est benedictus in saecula» (Rom. 9,5).
183
184
194
INDICI
Pietro si muove come al solito a due livelli, letterale o storico e mistico o
spirituale.
Mantenendo fissa, nei due distinti ambiti di esegesi, la spiegazione di
Betsàida come casa della infedeltà o perfidia o incredulità quasi si trattasse della
reale etimologia del nome della cittadina di Mc. 8, egli insiste, nella prima parte
del suo commento, sulla guarigione come nuova creazione186 e come
risurrezione dai morti187.
Quando poi passa al secondo livello, quello della spiritalis intellegentia188, non
esita ad affermare che “questo cieco è il Giudeo, che nella Sinagoga, cioè nella
casa dell’incredulità, e nel villaggio, cioè in una congrega di maligni (cfr. Ps.
21,17), era prigioniero e sedeva oppresso dall’ignoranza e dalla cecità.”189
Tutta la successiva esegesi spirituale sviluppa questa intuizione,
sottolineando l’iniziativa di Cristo che si muove verso il cieco e lo prende per
mano al fine di togliergli il vanto della Legge. Crisologo viene così ad opporre
le tenebre dell’incredulità che si trovano nella Sinagoga alla luce della fede che
splende nella Chiesa.
La guarigione graduale si snoda in due momenti.
Nel primo momento Gesù “gli impone la mano, perché veda passare l’ombra
(cfr. Col. 2,17) della Legge, perché veda passare i sacerdoti, gli scribi, i farisei e
tutta l’immagine dell’osservanza giudaica come alberi che, come nascono, si
coprono di fronde, fioriscono, fruttificano a suo tempo, così col tempo
invecchiano, periscono, svaniscono.”190
Nel secondo momento “gli impone nuovamente le mani, affinché,
risorgendo, non veda più realtà caduche, ma eterne.”191
Il commento si chiude con l’esempio di Paolo (cfr. Act. 9,3-4), “che cadde
fuori del villaggio e lungo la via, cadde Giudeo per levarsi cristiano; e fu
accecato nella Legge, per vedere nella grazia, come si insegna: Ora vediamo in
uno specchio, in enigma, allora vedremo a faccia a faccia (1 Cor. 13,12). Allora,
quando ciò che è stato sepolto nella morte risorgerà nella vita e tutto ciò che è
stato intrecciato nell’offesa risorgerà nella gloria (cfr. 1 Cor. 15,43).”192
Cfr. serm. 176,5-6,47-72, PC III,312.
Cfr. serm. 176,4,37-46, PC III,312.
188 Serm. 176,7,73, PC III,312.
189 Serm. 176,8,80-82, PC III,314: Caecus iste est Iudaeus, qui in synagoga, hoc est, in
perfidiae domo, et in uico, hoc est, in conuentu malignantium (cfr. Ps. 21,17), ignorantia,
caecitate tenebatur, et sedebat oppressus.
190 Serm. 176,8,88-92, PC III,314: Inponit ei primum manum, ut uideat transire umbram
(cfr. Col. 2,17) legis, ut sacerdotes, scribas, pharisaeos et figuram totam Iudaicae obseruationis
uideat uelut arbores praeterire, quae ut nascuntur, uirescunt, florescunt, fructiferant in tempore, sic
cum tempore senescunt, pereunt, euanescunt.
191 Serm. 176,8,92-93, PC III,314: Iterum inponit ei manus, ut resurgens non iam caduca
uideat, sed aeterna.
192 Serm. 176,8,95-100, PC III,314: Paulus (cfr. Act. 9,3-4), qui extra uicum et in uia
Iudaeus cecidit, cecidit ut surgeret christianus; et caecatus est in lege, ut uideret in gratia, sicut
perhibetur: «Nunc uidemus in speculo, in aenigmate, tunc autem uidebimus facie ad faciem» (1
186
187
INDICI
195
Si deve rilevare la forza simbolica del richiamo crisologhiano alla
conversione di s. Paolo: attraverso la vicenda di lui qui extra vicum et in via
Iudaeus cecidit, cecidit ut surgeret christianus comprendiamo che Pietro pensa qui al
cristianesimo non in sostituzione del giudaismo ma come un suo naturale
sviluppo che si compirà definitivamente solo nella risurrezione finale.
In questo senso, il nunc e il tunc di 1 Cor. 13,12 sembrano indicare, per il
nostro autore, i due momenti della guarigione del cieco di Betsàida.
“Adesso” viviamo nel primo momento: passa l’ombra della Legge, quando “il
grande Paolo” – come viene chiamato - cade fuori del villaggio e lungo la via. In
questo primo momento la visione è parziale e confusa, vediamo gli uomini come
alberi che camminano, in uno specchio, in enigma. È il tempo della storia.
“Allora” vivremo nel secondo momento: viene la luce della grazia, quando il
giudeo Paolo si rialza cristiano. In quel secondo momento la visione sarà
completa e perfetta, vedremo chiaramente ogni cosa, a faccia a faccia. Sarà il
tempo della gloria.
Si deve notare, conclusivamente, che con questo importante rimando
escatologico la drammaticità del rapporto Sinagoga/Chiesa - che ha nella morte
di Cristo in croce, come abbiamo appena visto193, il punto di massima
opposizione e contraddizione – viene a distendersi più pacifi-camente nei secoli,
fino alla soluzione finale. In questa grandiosa visione di san Pietro Crisologo la
Chiesa ci appare in una ricchezza dinamica e relativa: essa non risulta né una
realtà che possa staccarsi minimamente dalla Sinagoga perché ne rappresenta la
continuazione, né una realtà in sé già compiuta, perché attende ancora il suo
compimento definitivo da Cristo.
CAPITOLO V
ISRAELE DI FRONTE A DIO
1. I giudei nel sermonario
Dopo avere rilevato, nella Collectio Feliciana, lo schema giudaismo/cristianesimo194 e averne osservato con maggiore attenzione una particolare
applicazione mediante lo sviluppo dei termini Sinagoga/Chiesa195, passiamo ora
a valutare la consistenza della presenza dei giudei nei Sermoni di san Pietro
Cor. 13,12). «Tunc», quando quod sepultum est in morte, surget in uita, et quicquid sertum in
contumelia, surget in gloria (cfr. 1 Cor. 15,43).
193 Cfr. cap. IV § 4.
194 Cfr. cap. III.
195 Cfr. cap. IV.
196
INDICI
Crisologo. Nel chiederci quando e come il nostro autore parla dei giudei o si
rivolge direttamente a loro, terremo ovviamente viva, sullo sfondo della nostra
analisi, l’interessante domanda circa la effettiva presenza di qualche giudeo tra i
fedeli ai quali Pietro si rivolgeva e di una comunità giudaica a Ravenna durante
il ministero episcopale del Crisologo.
Non è naturalmente possibile dar conto di tutti i testi nei quali il Pastore
ravennate parla dei giudei, vi accenna o vi allude. La vastità dell’argomento ci
porterebbe ad una sterile e fredda presentazione di dati, poco utili e significativi
per la nostra ricerca.
Non è neppure questa la sede per presentare nel dettaglio il quadro generale
nel quale Pietro inserisce le sue citazioni, i suoi riferimenti e le sue allusioni ai
giudei, mentre si rivolge principalmente, come è ovvio per un pastore che sta
parlando in chiesa, al popolo dei suoi fedeli, ai cristiani.
È sufficiente segnalare qui che i numerosissimi casi nei quali, in modo più o
meno vistoso, Pietro si riferisce ai giudei, sono pervasivamente diffusi nei suoi
discorsi.
Si potrebbe, e forse si dovrebbe, volendo ricostruire un quadro vera-mente
completo, esaustivo, riscrivere, deducendola dai testi crisologhiani, una storia
dell’umanità, dai primordi ai giorni nei quali Pietro parla al popolo. Nei suoi
discorsi leggiamo oggi pagine intere dedicate alla creazione del mondo e
soprattutto al dramma della caduta di Adamo ed Eva: i temi della liberalità e
della bontà amorevole e paterna di Dio verso l’uomo, creatura fragile e ferita,
sono tra i punti più forti di contatto tra il Crisologo e s. Agostino196.
Pietro ha ampiamente riletto tutta la storia dell’umanità attraverso la
vicenda particolare del popolo eletto, mettendo in luce la ricchezza e la povertà
dell’uomo, il suo straordinario privilegio di creatura di Dio e il suo abissale
bisogno di redenzione da parte del suo Figlio incarnato. L’incar-nazione di
Cristo, vero punto forte della ricostruzione e della reinterpre-tazione
crisologhiana della storia della rivelazione biblica e della salvezza, illumina
Israele e la Chiesa, il popolo dell’antica alleanza e le genti: tutti senza
esclusione, ebrei e gentili, sono chiamati a entrare, mediante la fede e il
battesimo, nell'alleanza nuova e definitiva siglata dal sangue di Cristo. A tutti i
popoli è ormai estesa la paternità provvidente e misteriosa del Dio d’Israele,
attraverso l’accettazione del messaggio della salvezza cristiana portato dagli
Apostoli fino ai confini della terra.
È in questo quadro maestoso e profondamente unitario che cerchiamo ora di
196 Sul contatto tra Pietro e Agostino e sulla dipendenza del primo dal secondo si
discute. Per quanto attiene al tema che a noi qui preme, quello del rapporto con i giudei,
Blumenkranz prende le distanze da Koch che già molti anni fa - cfr. H. Koch, Petrus
Chrysologus, in Paulys Realencyclopädie der klassischen Altertumswissenschaft. Neue
Bearbeitung begonnen von G. Wissowa herausgegeben von W. Kroll, 19,2 (Stuttgart
1938), p. 1370 - segnalò il problema e dichiarò la dipendenza del Criso-logo da Agostino.
Secondo il Blumenkranz la dipendenza del Crisologo da Agosti-no è soltanto esteriore:
cfr. B. Blumenkranz, Les auteurs, pp. 24-25.
INDICI
197
cogliere i frammenti sparsi del discorso sul giudaismo, che, come abbiamo già
rilevato nei capitoli precedenti del nostro lavoro, non va mai visto isolatamente
rispetto al cristianesimo.
Cominciamo il nostro percorso tra i Sermoni mettendo anzitutto in luce
come risulta essere la natura, l’identità profonda del popolo dell’an-tica alleanza,
di Israele, di fronte a Dio. In seguito197 rileveremo come Crisologo avverta il
popolo eletto rispetto agli altri popoli.
2. La santità del popolo giudaico
Prendiamo le mosse da una considerazione preliminare molto templi-ce:
Pietro parla senza esitazione ai suoi fedeli della santità del popolo eletto, di
Israele, e della salvezza di questo popolo. La santità e la salvezza del popolo
dell’antica alleanza non solo non sono esclusi, ignorati, passati sotto silenzio, o
dati per scontati senza alcuna spiegazione, ma vengono trattati dal nostro
autore come dati ormai permanenti all’interno della sua predicazione del
vangelo cristiano.
Tale sottolineatura del tono positivo della predicazione crisologhiana su
questo punto costituisce la cornice nella quale tenere inquadrato tutto il
discorso che cercheremo di portare avanti nel nostro tragitto. Diciamo dunque
subito che certe puntate critiche nei confronti dei giudei, in qualche modo
inevitabili per un retore cristiano, ovvero certi angoli più spigolosi e urtanti,
certi toni persino duri e violenti – per la nostra odierna sensibilità religiosa –
della predicazione del Pastore ravennate, che lo por-tano a polemizzare, a
contraddire, a denunciare e ad accusare con estrema severità i giudei, vanno, a
nostro avviso, mantenuti, e perciò ammorbiditi e bilanciati, all’interno di una
visione globalmente positiva, e, anzi, di grande valutazione e apprezzamento nei
confronti del giudaismo e, soprat-tutto, della sua permanente e preziosa,
insostituibile, eredità.
Abbiamo già visto l’importanza data dal Pastore ravennate al commen-to
della parabola lucana del figlio prodigo, se non altro perché Pietro vi indugia
per cinque discorsi consecutivi198. Si è già notata la spiegazione crisologhiana
che identifica nei due figli, il maggiore e il minore, rispetti-vamente Israele e le
genti, il popolo eletto e la Chiesa. Parlando del fratello maggiore e
sottolineando l’invidia e la superbia che non gli per-mettono di entrare a
prendere parte alla festa per il ritorno del fratello più piccolo, il Crisologo si
ferma a commentare le frasi pietose del padre che esce di casa per supplicare il
figlio:
“Il padre esce e dice al figlio: Figlio, tu sei sempre con me (Lc. 15,31). In che modo?
Attraverso Abele, Enoc, Sem, Noè, Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè e tutti i
santi, attraverso i quali deriva la generazione giudaica, di cui abbiamo letto nel
Vangelo, quando dice: Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe (Mt. 1,2). E tutti
197
198
Cfr. cap. VI.
Cfr. cap. III § 2.
198
INDICI
i miei beni sono tuoi (Lc. 15,31). In che modo? Perché per te è la Legge, per te è la
profezia, per te il tempio, per te il sacerdozio, per te i sacrifici, per te il regno, per
te – e questo vale più di tutto – è nato Cristo.”199
In questo breve e denso tratto, troviamo elencate le figure e le isti-tuzioni
più importanti di tutta la rivelazione biblica. Pietro parte dai primordi
dell’umanità, passa da Abramo e Mosè e giunge a Cristo. I personaggi biblici
sono ricordati con i doni irrevocabili, permanenti, di Dio al suo popolo: al primo
posto la Legge, poi, di seguito, la profezia che prepara l’avvento di Cristo,
quindi il tempio, con il sacerdozio e i sacrifici, e infine il regno, l’incarnazione
visibile della regalità di Dio sul suo popolo peculiare.
Rimandiamo ad altro momento un approfondimento sul primato della Legge
assegnato dalla lista crisologhiana dei doni divini per il popolo giudaico200, e
rileviamo qui come attraverso il culto sia anche altrove affermata una via
particolare di santificazione da parte di Dio201.
In un altro discorso, commentando l’espressione iniziale del Ps. 28,1
("Recate al Signore, figli di Dio, recate al Signore figli di arieti"), Pietro si
sofferma sul valore simbolico dei sacrifici di animali nell’antica alleanza e tesse
un grande elogio del sacrificio di Isacco da parte di Abramo:
“Quale ariete Abramo, anziano rispetto all’innocenza, invecchiato nella fede,
perfetto quale vittima, pronto al sacrificio, recava il figlio di un ariete: il proprio
figlio, anzi sacrificava se stesso nel figlio. Santificava il proprio animo, allietava la
propria fede, così da essere ad un tempo vittima e pontefice, sacerdote e
sacrificio.”202
Il valore santificante dei sacrifici è permanente e continua anche nel popolo
cristiano. È precisamente in questo stesso contesto edificante che il Pastore
199 Serm. 5,7,131-139, PC I,78: Pater egreditur, et dicit filio: «Fili, tu semper mecum es»
(Lc. 15,31). Quomodo? Per Abel, per Enoch, per Sem, per Noe, per Abraham, per Isaac, per
Iacob, per Moysen, per omnes sanctos, per quos Iudaica generatio in euangeliis lecta diriuatur,
cum dicit: «Abraham genuit Isaac, Isaac genuit Iacob» (Mt. 1,2). «Et omnia mea tua sunt» (Lc.
15,31). Quemadmodum? Quia tibi lex, tibi prophetia, tibi templum, tibi sacerdotium, tibi
sacrificia, tibi regnum, tibi - quod supra omnia - natus est Christus.
200 Cfr. cap. VI § 1 e 2.
201 L’osservanza della Legge resta comunque per Crisologo una via fondamentale di
santificazione del popolo eletto. A questo proposito è interessante la seguente
osservazione di P.M. Pasquet: «Quando san Giovanni dice che la Legge è stata data per
mezzo di Mosè e la Grazia e la Verità per mezzo di Cristo (cfr. Io. 1,17), non vuol dire
certamente che gli Ebrei non potevano ricevere la grazia santificante prima di Cristo. I
Padri della Chiesa e san Tommaso affermano che poteva essere data agli uomini prima
della venuta di Cristo (cfr. S. Tommaso, I-II,107,1, ad 2)». Vedi P.M. Pasquet, Legge
antica e Legge nuova, in Sacra doctrina 44 (1999), p. 5.
202 Serm. 10,3,48-53, PC I,108: Aries Abraham maturus ad innocentiam, grandaeuus ad
fidem, perfectus ad hostiam, paratus ad holocaustum, afferebat arietis filium; filium suum, immo
se immolabat in filio; sanctificabat mentem suam, laetificabat fidem suam, ut esset idem uictima et
pontifex, sacerdos et sacrificium.
INDICI
199
ravennate indica ai suoi fedeli nella presentazione dei candidati al battesimo il
nuovo modo di offrire sacrifici:
“Abbiamo chiamato Abramo ariete, per dimostrare che Isacco era figlio di un
ariete e perché fosse chiaro così quali figli degli arieti il profeta vuole che noi
offriamo al Signore. Recate al Signore figli di arieti (Ps. 28,1). Il cristiano viene ora
esortato a recare i figli dei padri, dei patriarchi, dei profeti, degli apostoli, dei
martiri, dei confessori, poiché il gregge del Signore è lasciato andare al pascolo
della fede, poiché il pastore celeste vuole che i suoi agnelli siano condotti all’ovile
del Signore, affinché, dispersi sugli incolti terreni dei pagani, non siano divorati
dagli assalti dei lupi. Ma ormai diciamo più chiaramente che cosa insegni la voce
divina. Recate al Signore figli di arieti (Ps. 28,1). Recate al Signore quelli che
devono essere battezzati; recate quelli che concepisce la fede, non la carne; recate
quelli che sono generati dalla grazia di Dio, non dalla natura umana; recate quelli
che l’innocenza dimostra agnelli, non quelli che sono dominati dall’ottusità del
bestiame.”203
Pietro, inoltre, guarda con particolare simpatia e sincera ammirazione
all’istituto del sacerdozio veterotestamentario, come luogo privilegiato della
presenza santificante di Dio in mezzo a Israele e come espressione altissima,
anche se non assoluta, della fede e della santità da parte del popolo giudaico. Lo
si vede chiaramente dall’attenzione prestata alla figura del sacerdote Zaccaria204,
padre di Giovanni Battista, e dalle parole lusinghiere con cui accompagna la
descrizione degli effetti benefici, anche a livello sociale e politico, di un
sacerdozio santo:
“Al tempo di Erode, re di Giudea, dice, c’era un sacerdote di nome Zaccaria (Lc. 1,5).
Sotto questo re, se uno è sacerdote, le sventure sono mitigate; nel dolore c’è
sempre un sollievo; né manca il consolatore per quello su cui sovrasta il
persecutore. Al tempo di Erode, re di Giudea, c’era un sacerdote di nome Zaccaria.
Fino ad Erode la santità sacerdotale, la prudenza degli anziani, la pietà dei padri
governavano il popolo giudaico; il diritto era costituito dalla legge divina, non
c’era ambizione, temerità, la spregiudica-tezza non aveva alcun potere, perché
tutto era fatto secondo l’ordine stabilito da Dio, non dagli uomini. Ma Erode, che
proveniva da una famiglia straniera, s’impadronì del regno, violò il sacerdozio,
sconvolse gli ordinamenti, mutò i costumi, disprezzò gli anziani, corruppe i
giovani, mescolò le tribù, distrusse la continuità nobiliare, snervò la stirpe, abolì
203 Serm. 10,4-5,63-75, PC I,108: Abraham diximus arietem, ut Isaac arietis filium
probaremus, ac sic luceret quos arietum filios propheta uult domino nos deferre. «Afferte domino
filios arietum» (Ps. 28,1). Filios patrum, patriarcharum, prophetarum, apostolorum, martyrum,
confessorum Christianus modo ut afferat admonetur, quando grex dominicus fidei laxatur in
pastum, quando agnos suos caelestis pastor ad ouile dominicum uult deferri, ne dispersi per inculta
gentium luporum deuorentur incursibus. Sed quid admoneat uox diuina planius iam loquamur.
«Afferte domino filios arietum» (Ps. 28,1). Afferte domino baptizan-dos; afferte quos fides
concipiat, non caro: afferte quos dei gratia generet, non mundana natura; afferte quos agnos
praestet innocentia, non habeat pecoris hebetudo.
204 Sull’attenzione prestata a Zaccaria da altri Padri, per es. Ireneo, cfr. Siniscalco,
Mito, pp. 85-86.
200
INDICI
completamente tutto ciò che apparteneva alla legge divina ed umana. Ma tutto
questo successe dopo il santo Zaccaria. E perché non si credesse avvenuto tale
stravolgimento anche nello stesso Zaccaria, l’evangelista è costretto a dare
queste notizie: Al tempo di Erode, re di Giudea, c’era un sacerdote di nome Zaccaria
della classe di Abia (Lc. 1,5). Poiché fino a lui, trasmessa dai lontani antenati, dagli
avi, dai padri, era sopravvissuta la stirpe sacerdotale, furono osservati i tempi
legali e ogni norma per il sacrificio, in quanto il merito e la vita del sacerdote
erano stati più forti dell’empietà del re, dell’iniquità del tempo, della rabbia
dell’ambizione, del furore della temerità.”205
Se alla santità di Zaccaria fa da contrappunto il peccato di Erode, usurpatore
del regno e del sacerdozio, al tramonto giudaico fa eco l’alba cristiana. Anche
qui, come si è appena notato per il commento al Ps. 28,1 e in altri casi, il culto
giudaico viene di fatto sostituito da quello cristiano:
“Accadde che mentre, entrato nel tempio, bruciava l’incenso, tutta la moltitudine pregava
all’esterno nell’ora dell’incenso (cfr. Lc. 1,8.9-10). Nell’ora dell’incenso, fratelli, il sole
già tramontava nel tempio giudaico, per sorgere al mattino nella Chiesa; ed era
prossima la sera della dottrina giudaica, perché era imminente l’aurora del
Vangelo; e si oscurava il giorno per la Legge, per risorgere interamente nella
grazia. Ecco perché Zaccaria nell’ora dell’incenso, cioè nell’ultimo tempo delle
cerimonie legali, con spirito profetico offre l’incenso, innalza preghiere, esprime
desideri, avvalora voti, richiama alla mente il tempo, chiede il mantenimento
delle promesse, domanda Cristo. E tutta la moltitudine pregava all’esterno. Prega
dunque che tutto il popolo, che stava fuori, fosse fatto entrare, perché la grazia
introduce nel tempio quelli che la Legge conduce alla porta.”206
205 Serm. 86,3-4,43-62, PC II,180: «Fuit», inquit, «in diebus Herodis regis Iudeae sacerdos
quidam nomine Zacharias» (Lc. 1,5). Sub quo rege qui sacerdos sit, temperantur mala; adest
semper in maerore solatium; nec consolator deest, cui inminet persecutor. «Fuit in diebus Herodis
regis Iudeae sacerdos quidam nomine Zacharias». Vsque ad Herodem Iudaicae genti sacerdotalis
sanctitas, senum grauitas, patrum pietas praesidebat; ius erat lex diuina, ambitio nil ibi, nil
temeritas, praesumptio nil ualebat, quia gerebatur totum diuino ordine, non humano. Sed Herodes
ueniens ex gente aliena inuasit regnum, uiolauit sacerdotium, confudit ordinem, mutauit mores,
spreuit senes, infecit iuuenes, tribus miscuit, deleuit stegmata, corrupit genus, tulit quicquid erat et
diuinae et humanae funditus disciplinae. Sed hoc, post Zachariam sanctum; ne quid ergo tale et in
ipso Zacharia crederetur admissum, euangelista cogitur sic referre: «Fuit in diebus Herodis regis
Iudeae sacerdos quidam nomine Zacharias de uice Abia» (Lc. 1,5). Quia usque ad ipsum ab
atauis, auis, patribus transfusum genus mansit sacerdotii, tempus legis, sacrificii omnis seruata est
disciplina, eo quod impietatem regis, iniquitatem temporis, ambitionis rabiem, temeritatis
furorem, sacerdotis et meritum superauit et uita.
206 Serm. 86,5,64-75, PC II,180: «Factum est ut incensum poneret, et ingressus in templum
omnis multitudo orabat foris in hora incensi» (cfr. Lc. 1,8.9-10). «In hora incensi», fratres, iam
sol Iudaico occubebat in templo, ut in ecclesia matutinus exsurgeret; et Iudaicae doctrinae instabat
uesper, quia euangelii inminebat aurora; et legi obscurabatur dies, ut totus reluceret in gratia.
Hinc est quod Zacharias «in hora incensi», hoc est, in extremo tempore legalium cerimoniarum
prophetali spiritu incensum infert, offert preces, desideria ingerit, uota commendat, tempus
admonet, promissa repetit, exigit Christum. «Et omnis multitudo orabat foris». Ut ergo populus,
qui stabat foris, intromitteretur, exorat, quia quos lex adducit ad ianuam, gratia intromittit in
INDICI
201
Chiudiamo, infine, il quadro relativo alla santità del popolo eletto ricor-dando
che, come si è accennato, nel commento alla pagina di Lc. 13 sul fico piantato nella
vigna, Pietro si sofferma ad elogiare i santi dell’Antico Testa-mento e soprattutto la
loro attesa fedele, perseverante, del Messia:
“A ragione, dunque, dal Signore la Sinagoga viene paragonata a un albero di fico,
perché, riscaldata dal tepore della Legge, per un certo tempo fiorì in
prefigurazione dei frutti della Chiesa. Infatti, saldamente fondata sulla radice dei
patriarchi, esaltata dall’autorità sacerdotale, diffusa nei rami pro-fetici, riempita
dei fichi non maturi dell’osservanza giudaica, fioriva allora per la sola speranza,
in attesa di dare frutto per mezzo di Cristo, anzi di dare lo stesso Cristo dopo il
frutto, come dice il Salmista: Il frutto delle tue viscere io porrò sul tuo trono (Ps.
131,11). Perciò i santi, sapendo questo, dal fiore ricavavano speranza di frutto e si
consolavano del presente in vista del futuro, vedendo che ormai stavano per
subentrare le realtà eterne a quelle mortali, le perpetue a quelle caduche, la
grazia alla Legge, la Chiesa alla Sinagoga, le realtà celesti a quelle terrene, le
divine a quelle umane, a tutte le realtà Cristo, che con gioia fedele si rallegrarono
fosse venuto, perché ne attendevano la venuta con diuturna pazienza. Tra questi
c’era quel Simeo-ne che, avendo ricevuto la promessa che non avrebbe visto la
morte, finché non avesse visto il Cristo del Signore (Lc. 2,26), proruppe in queste
parole: Ora lascia andare in pace il tuo servo, Signore, secondo la tua parola, perché i
miei occhi hanno veduto la tua salvezza (Lc. 2,29-30).”207
In conclusione, il nostro autore non esita a riconoscere la santità effettiva del
popolo giudaico. Essa deriva dalla presenza, in esso e nella sua tor-mentata storia,
del Dio santo e si esprime specialmente attraverso la fede dei suoi personaggi illustri
e il culto dei suoi autentici sacerdoti. Tutta la vicenda del cammino del popolo eletto
è orientata all’attesa del suo frutto più bello e vero, il Cristo. Dalla sua venuta è la
Chiesa a raccogliere l’eredità di santità della Sinagoga.
3. La salvezza del popolo giudaico
Il tema della salvezza del popolo ebraico è, nei Sermoni di Pietro Crisologo,
connesso da un lato con la figura di Gesù Cristo, il Figlio di Dio incarnato e
templum.
207 Serm. 106,3,37-52, PC II,312: Merito ergo a domino synagoga fici arbori comparatur,
quae calefacta tepore legali temporaliter ecclesiastici fructus floruit in figura. Patriarcharum
namque radice solidata, sacerdotali exaltata culmine, propheticis dilatata ramis, Iudaicae
obseruationis repleta grossis, florebat tunc spe sola fructum datura per Christum, immo ipsum
Christum datura post fructum dicente psalmista: «De fructu uentris tui ponam super sedem tuam»
(Ps. 131,11). Unde sancti haec scientes spem fructus ex flore capiebant, et solabantur praesentia de
futuris, uidentes iamiamque succedere aeterna mortalibus, perpetua caducis, legi gratiam,
ecclesiam synagogae, caelestia terrenis, humanis diuina, omnibus Christum, quem, quia uenturum
longa patientia sustinebant, uenisse fideli gaudio sunt gauisi. Ex istis erat Simeon ille, cui
<cum> promissum erat, «ut non uideret mortem, donec uideret Christum domini» (Lc. 2,26), tali
prorupit in uoce: «Nunc dimittis seruum tuum domine secundum uerbum tuum in pace, quia
uiderunt oculi mei salutare tuum» (Lc. 2,29-30).
202
INDICI
risorto per la salvezza di tutti i popoli, dall’altro con la storia di Israele, dalla
sua costituzione alla sua redenzione, storia formata e contrassegnata da continui
episodi salvifici, e quindi vera e propria storia della salvezza.
Gesù Cristo, il Salvatore Messia, come frequentemente ama ripetere il
Pastore, soprattutto quando spiega ai catecumeni le grandi verità della fede
cristiana contenute nel Simbolo, promuove e accompagna gli eventi
fondamentali della storia del popolo giudaico, che divengono per questo eventi
salvifici, avvenimenti nei quali si manifesta la volontà salvifica del Dio d’Israele
nei confronti del popolo che si è scelto per sempre.
Pietro Crisologo mostra di avere uno sguardo di attenzione particolare, una
sensibilità spiccata, per il popolo ebraico e specialmente per il tema della sua
salvezza. Vediamo ad esempio un tratto del suo commento alla pericope della
guarigione della suocera dell’apostolo Pietro:
“Essendo entrato nella casa di Pietro, vide la suocera che giaceva a letto febbricitante
(Mt. 8,14). Vide la Sinagoga che giaceva nelle tenebre della sua incredulità,
coricata sotto il peso dei propri peccati, febbricitante per i vizi fino al delirio; e
perciò prese la sua mano (Mt. 8,15), perché non solo con la parola, ma anche con le
mani opera la salvezza del popolo giudaico. Ascolta il profeta: Ma Dio, nostro re
dai secoli passati, operò la salvezza nel mezzo della terra (Ps. 73,12). Prese la sua mano
(Mt. 8,15), affinché la sua mano fosse mondata dal sangue dei profeti, prima di
assumere il sacramento del ministero ec-clesiale. E si levò e lo serviva (Mt. 8,15).
Da ciò deriva il fatto che si levò quella che giaceva, e serviva Cristo, mentre, cioè,
adesso santifica nelle opere buone le proprie mani, che prima contaminava con
opere malvagie.”208
Si noti, oltre agli elementi già rilevati altrove – confronto Sinagoga e Chiesa,
incredulità e fede, culto antico e nuovo – la concretezza del gesto di Cristo
sottolineata dal Crisologo per affermare, con plasticità e realismo, che la
salvezza della Iudaica gens non è una speranza futura o un’elaborazione teorica,
ma un fatto già avvenuto: et manibus Iudaicae gentis operatur salutem.
Nella stessa linea di concretezza e realismo, si può dire che Pietro rileg-ga la
storia del popolo ebraico con lo sguardo di chi ammira, con fede, la potenza
salvifica realizzata da Dio per mezzo di Cristo in occasione dei momenti più
importanti della vita di Israele. La storia e la salvezza del popolo ebraico –
anche quando si parla della promessa della vocazione e della salvezza di tutti i
popoli – non è né dimenticata né superata né relativizzata.
208 Serm. 18,7,66-77, PC I,156: «Cum uenisset in domum Petri, uidit socrum eius iacentem
et febricitantem» (Mt. 8,14). Vidit synagogam iacentem in perfidiae suae tenebris, decumbentem
sub suorum sarcina peccatorum, uitiis usque ad frenesem febrientem; et ideo tenuit manum eius
(Mt. 8,15), quia non tantum uerbo, sed et manibus Iudaicae gentis operatur salutem. Audi
prophetam: «Deus autem rex noster ante saecula operatus est salutem in medio terrae» (Ps.
73,12). «Tenuit manum eius» (Mt. 8,15), ut ante manus eius prophe-tarum sanguine
mundaretur, quam administrationis ecclesiasticae sumeret sacramentum. «Et surrexit et
ministrauit ei» (Mt. 8,15). Hinc est quod erecta est quae iacebat, et ministrabat Christo, dum
sanctificat manus suas modo in operibus bonis, quas ante malis operibus polluebat.
INDICI
203
Commentando, per esempio, il passo marciano della donna sirofenicia, Pietro
si ferma su Mc. 7,24 ("Partito di là, Gesù andò dalle parti di Tiro e Sidone, ed
entrato in una casa volle che nessuno lo sapesse, ma non poté rimanere
nascosto") e commenta le espressioni "volle" e "non poté":
“Ma esaminiamo in modo più evidente che cosa significhi volle (Mc. 7,24) e che
cosa significhi non poté (Mc. 7,24). Memore della sua promessa, Cristo era venuto
anzitutto per la salvezza del popolo d’Israele, per attuare fedelmente con Davide
(cfr. Ps. 88,36-37; Ps. 131,12) e i suoi discendenti ciò che aveva promesso ad
Abramo e alla sua stirpe (cfr. Lc. 1,55). Ma poiché si mostrarono indegni per la
loro incredulità, la fede delle genti ottenne, rapì, strappò quello che l’infedeltà dei
Giudei aveva disprezzato e perduto (cfr. Act. 13,46). Ascolta le sue stesse parole:
Non sono stato mandato se non per le pecore smarrite della casa d’Israele (Mt. 15,24).
Ma le pecore, già invasate dalla rabbia per il contagio dei lupi e più feroci delle
stesse belve per la propria crudeltà, vollero sempre dilaniare ed offendere il loro
pastore, e perciò Cristo non poteva attuare il suo volere, non per una sua impossibilità, ma per la malvagità degli uomini perduti; ed era costretto a con-ferire ad
altri ciò che ad altri aveva tolto, secondo le sue parole: Il regno dei cieli patisce
violenza, e i violenti se ne impadroniscono (Mt. 11,12). La fede delle genti pagane
fece violenza per strappare l’eredità del Padre e metterla tutta a ruba, come con
grande evidenza ha mostrato con la presente lettura.”209
La storia d’Israele è abbracciata da Abramo a Cristo, passando attraverso
Davide e la sua discendenza. Si noti che qui la promessa fatta ad Abramo è
presentata compiuta per Davide e la sua posterità. È uno sguar-do unitario e
profondamente positivo quello che si leva sulla storia del popolo ebraico. La
venuta di Cristo avviene nella memoria di una precisa promessa divina e quindi
con un privilegio assegnato a Israele: Promissionis suae memor Christus Israelitici
populi primum venerat ad salutem.
Dopo Abramo, è a Mosè che il Crisologo presta la sua attenzione per
affermare che nella vicenda della liberazione dall’Egitto, nel passaggio del mare
Rosso, nel cammino del deserto e nell’insediamento nella terra di Canaan si è
progressivamente ma realmente compiuta la salvezza del popolo giudaico. Anzi,
si deve dire di più: è Cristo stesso, il Salvatore, che salva il suo popolo, è lui
l’Autore del passaggio del mare Rosso da parte del popolo. Troviamo questa
209 Serm. 100,2,29-43, PC II,272-274: Sed quid sit «uoluit» (Mc. 7,24), et quid sit «non
potuit» (Mc. 7,24), euidentius inquiramus. Promissionis suae memor Christus Israelitici populi
primum uenerat ad salutem, ut quod Abrahae promiserat et semini eius (cfr. Lc. 1,55), Dauid
(cfr. Ps. 88,36-37; Ps. 131,12) eiusque posteris fidele redderet persolutum. Sed quia indignos se
sua perfidia praestiterunt, obtinuit, rapuit, traxit fides gentium, quod infidelitas spreuit et
perdidit Iudaeorum (cfr. Act. 13,46). Audi ipsum dicentem: «Non sum missus nisi ad oues
perditas domus Israel» (Mt. 15,24). Sed oues luporum contagione iam rabidae, et ipsis bestiis
propria feritate saeuiores, laniare et uiolare suum semper uoluere pastorem; atque ideo uelle suum
Christus inplere non poterat, non inpossibilitate sua, sed nequitia perditorum; et quod aliis
detulerat, aliis conferre cogebatur, dicente ipso: «Regnum caelorum uim patitur, et qui uim faciunt
diripiunt illud» (Mt. 11,12). Uim fecit fides gentium, ut raperet haereditatem patris, ipsam
haereditatem totam diriperet, sicut euidentius praesenti lectione monstrauit.
204
INDICI
suggestiva affermazione all’inizio del Sermone 50, quando Pietro si appresta a
commentare un viaggio di attraversamento del lago di Tiberiade da parte di
Gesù:
“La lettura odierna ha mostrato che Cristo compì i misteri divini nelle azioni
umane e nelle cose visibili esercitò un’attività invisibile (cfr. Hbr. 11,3). Salì, dice,
sulla barca e attraversò il mare e giunse nella sua città (Mt. 9,1). Non è lui che,
messi in fuga i flutti, scoprì le profondità del mare, affinché il popolo d’Israele
passasse a piedi asciutti, tra le onde stupefatte (cfr. Ex. 14,22), come in una valle
montana?”210
Subito dopo, il nostro autore parla di Pietro che cammina sulle acque ed
esalta la condiscendenza divina per la quale il Figlio di Dio è venuto a
condividere le fragilità, le debolezze e le povertà della natura umana: è sempre
attraverso le vicende umane che Cristo compie i misteri divini.
Fermiamoci ora su un altro attraversamento di Gesù, questa volta a Gerico,
per incontrare Zaccheo. Anche qui Crisologo istituisce un fortis-simo parallelo
tra Cristo e Mosè, aggiunge la figura di Giosuè, e parla del ruolo salvifico svolto
da Cristo a vantaggio del popolo ebraico:
“Ed entrato in Gerico, dice, Gesù, attraversava la città (Lc. 19,1). Perché attraversava
e non “camminava”? Perché Cristo attraversava i luoghi su cui aveva camminato
Mosè; e Gesù conduce alla tranquillità della sosta promes-sa il popolo che Mosè
aveva immesso nel cammino. Attraversava Gerico. Gerico è la stessa città che
Giosuè aveva fatto crollare con lo squillo settem-plice delle trombe (cfr. Ios.
6,20). Ma poiché Cristo era venuto a salvare ciò che era perduto, Gesù entra in
Gerico per risollevare col suono della pia predicazione ciò che la Legge aveva
abbattuto con un terribile clamore.”211
In questo testo si vede bene la rilettura cristiana della storia della salvezza
del popolo giudaico. Cristo, entrando in Gerico ed attraversando la città, ritorna
effettivamente sui passi di Mosè ed è Lui, il nuovo Gesù – non più Gesù figlio di
Nave – a introdurre il popolo nella terra promessa. Anche qui, come altrove, il
confronto tra Legge e “pia predicazione”, cioè Vangelo, è schiacciante nel senso
che serve ad esaltare la superiorità della Chiesa rispetto alla Sinagoga. Ma si
noti la continuità dell’azione salvifica di Cristo verso Israele: è venuto a salvare
210 Serm. 50,1,3-9, PC I,344: Christum in humanis actibus diuina gessisse mysteria, et in
rebus uisibilibus inuisibilia (cfr. Hbr. 11,3) exercuisse negotia, lectio hodierna monstrauit.
«Ascendit», inquit, «in nauicula, et transfretauit, et uenit in ciuitatem suam» (Mt. 9,1). Nonne
ipse est, qui fugatis fluctibus maris profunda nudauit, ut Israeliticus populus inter stupentes undas
(cfr. Ex. 14,22) sicco uestigio uelut montium concaua transiret?
211 Serm. 54,1,6-14, PC I,364: «Et ingressus», inquit, Iesus «perambulabat Hiericho» (Lc.
19,1). Quare «perambulabat» et non ambulabat? Quia quod Moyses ambulauerat, perambu-labat
Christus; et populum, quem Moyses inducit in uiam, Iesus ad quietem promissae mansionis
adducit. «Perambulabat Hiericho». Hiericho ciuitas ipsa est, quam Iesus Naue septeno tubarum
clangore subuertit (cfr. Ios. 6,20). Sed quia Christus uenit saluare quod perierat, ingreditur
Hiericho, ut quod lex terribili uociferatione deiecerat, Iesus clamore piae praedicationis attollat.
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205
ciò che era perduto212.
Per chiudere l’argomento della salvezza del popolo ebraico, dobbiamo fare
riferimento ad un ultimo testo particolarmente significativo, perché colloca il
tema del quale stiamo trattando in relazione a quello della salvezza di tutti i
popoli. Nella serie dei commenti a s. Paolo, Pietro si sofferma ad illustrare il
rapporto tra giudei e greci, cioè tra il popolo eletto e gli altri popoli:
“Il beato Apostolo per la salvezza dei primi e degli ultimi, dei Giudei e dei Greci,
innalza sempre l’unico e singolare vessillo della fede; e chi non meriterà di averlo
e di tenerlo, non potrà possedere la gloria dei trionfi celesti. È il solo, fratelli, che
ai combattenti contro l’incredulità allinea lo schieramento, indica il re, riunisce
gli alleati, atterrisce l’empio nemico col solo apparire. Così, infatti, oggi ha
cominciato: E non è stato scritto per Abramo che gli fu accreditato a giustizia, ma per
noi, che crediamo in lui, che ha risuscitato Gesù, nostro Signore, dai morti (Rom. 4,2324). Vedete, fratelli, che mentre i primi credono nelle cose future e gli ultimi nelle
cose passate, gli uni e gli altri per la stessa strada della fede giungono alla
salvezza. Quelli credono in Cristo venturo, noi crediamo in Cristo già venuto;
quelli credono con meraviglia che, secondo la sorte dell’uomo, scenderà sino alla
morte, noi ci gloriamo di affermare che è morto ed è risorto. E che altro
aggiungere, fratelli? Per questo tale salvezza è stata negata agli occhi sia dei
predecessori, sia dei successori, affinché fosse tutta riposta nella fede.”213
Si noti il fascino e la bellezza dell’espressione uno itinere fidei utique perveniunt
ad salutem. Giudei e Greci stanno camminando insieme, chi guardando al
passato, chi al futuro, nella stessa direzione. La salvezza è pronta per tutti, in
fide.
4. Cristo e il popolo giudaico
Dopo avere preliminarmente osservato l’atteggiamento fondamentalmente
positivo di Pietro nei confronti del popolo giudaico, ed avere messo in luce i
grandi temi della santità e della salvezza di Israele, possiamo andare ora ad
approfondire ciò che già sta emergendo con grande forza e chiarezza, cioè la
212 Lampante, in questo richiamo crisologhiano, il riferimento alle parole che Gesù
rivolgerà a Zaccheo subito dopo il suo atto di pentimento: Venit enim Filius hominis
quaerere et salvum facere quod perierat (Lc. 19,10).
213 Serm. 110,1-2,3-18, PC II,332: Beatus apostolus primis et nouissimis, et Iudaeis et
Graecis, uexillum fidei unicum semper et singulare erigit ad salutem; quod quisquis habere non
meruerit et tenere, caelestium possidere non poterit gloriam triumphorum. Solum est, fratres, quod
contra perfidiam dimicantibus aciem dirigit, regem indicat, conectit socios, inpiumque hostem sola
sui uisione terrificat. Sic enim hodie coepit: «Non est autem scriptum propter Abraham, quod
reputatum est illi ad iustitiam, sed propter nos, credentes in eum, qui suscitauit Iesum dominum
nostrum a mortuis» (Rom. 4,23-24). Videtis, fratres, quia dum priores futura, dum praeterita
credunt posteri, sic uno itinere fidei utique perueniunt ad salutem, dum illi uenturum Christum,
nos iam uenisse profitemur; illi usque ad mortem more hominis discensurum mirantur et credunt,
nos esse mortuum et resurrexisse gloriamur. Et quid plura, fratres? Ideo salus haec tam
antecedentium quam sequentium oculis est negata, ut tota esset in fide.
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natura profonda di questo popolo visto dal punto di vista di Dio.
Per fare questo passo, dobbiamo riferirci soprattutto a testi crisolo-ghiani
nei quali risulta preponderante, rispetto alle figure di Dio Padre e dello Spirito
Santo, la figura di Cristo e la sua molteplice attività, in parole e opere, verso il
popolo al quale lui stesso appartiene.
A questo proposito, come si è già incominciato a vedere per il rapporto tra la
figura di Cristo e quella di Mosè, si deve anzitutto notare che la lettura che
Pietro fa dell’Antico Testamento è una lettura cristiana ed essenzialmente
cristologica.
In questa ottica, il primo elemento da notare è il ruolo centrale,
protagonista, svolto da Cristo nell’autorivelazione di Dio al suo popolo. Cristo,
in quanto Dio, viene presentato dal Pastore ravennate come l’autore della
rivelazione della parola di Dio a Mosè. Commentando una battuta del
drammatico dialogo tra il ricco Epulone e il padre Abramo, il nostro autore si
esprime così:
“Rispose il ricco: No, padre Abramo, ma se uno risusciterà dai morti, gli crede-ranno
(Lc. 16,30). Abramo gli rispose: Se non credono a Mosè e a Elia, nemmeno se uno
risuscitasse dai morti, gli crederanno (Lc. 16,31). Nulla è così vero, fratelli: chi non
ha voluto credere a chi parlava dal cielo mediante la Legge, a chi veniva dal cielo
nella persona di Cristo, ormai non meriterà di credere a uno che ritornasse dagli
inferi. Lo stesso Cristo, fratelli, Dio e Signore nostro, parlò dal cielo a Mosè, egli
stesso in terra parlò in un corpo terreno, egli stesso con un corpo terreno ritornò
dagli inferi, e tuttavia i fratelli di quel ricco, che si identificano nel popolo
giudaico, con assoluta ostinazione non vollero credere a lui che riferiva quali beni
si trovano in cielo, quali mali presso l’inferno.”214
Si vede molto chiaramente il confronto essenziale tra Mosè e Cristo, tra la
rivelazione di Dio sul Sinai e l’incarnazione di Cristo. Il confronto è raf-forzato
dalla citazione di Elia, che rende evidente il dramma dell’incre-dulità dei giudei:
come essi non credettero a Mosè, che “parlava dal cielo”, così non prestarono
fede a Elia, che “veniva dal cielo”. Come potranno credere “a uno che ritornasse
dagli inferi”? Ma la punta di questo passo crisologhiano è l’attribuzione a Cristo
stesso della rivelazione sinaitica: Ipse Christus, fratres, deus et dominus noster, ad
Moysen est locutus de caelo. Lo stesso Cristo, insiste Pietro, che parlò in un corpo
terreno e che con un corpo terreno tornò dagli inferi.
Cristo è dunque presente nei momenti più importanti della storia del popolo
giudaico, siano essi costitutivi della sua identità di popolo peculiare – la
214 Serm. 123,12,146-156, PC II,420: Respondit diues: «Non, pater Abraham, sed si quis ex
mortuis resurrexerit, credunt ei» (Lc. 16,30). Cui respondit Abraham: «Si Moysi et Heliae non
credunt, neque si quis ex mortuis resurrexerit, credunt ei» (Lc. 16,31). Nihil tam uerum, fratres:
qui de caelo loquenti per legem, de caelo uenienti per Christum credere noluit, iam non merebitur
credere ab inferis reuertenti. Ipse Christus, fratres, deus et dominus noster, ad Moysen est locutus
de caelo, ipse in terra terreno est locutus in corpore, ipse cum terreno corpore ab inferis est
reuersus, et tamen referenti quae bona in caelis, quae sint apud inferos mala, fratres diuitis illius,
qui Iudaicis intelleguntur in populis, credere tota obstinatione noluerunt.
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rivelazione sinaitica - siano essi propriamente salvifici, come la liberazione
dall’Egitto, il cammino nel deserto, l’ingresso nella terra promessa, secondo
quanto già si vedeva215.
Si avverte, in tratti come questi, la forza di una lettura unitaria dei due
testamenti, fatta alla luce dell’evento centrale della salvezza cristiana, la pasqua
del Figlio di Dio. Nella presentazione del mistero cristiano, però, Pietro non
distacca mai l’attenzione dal suo interesse di fondo, il dialogo col popolo
dell’antica alleanza. Lo continuiamo a vedere. È commentando passaggi
neotestamentari che il nostro autore risale all’Antico Testamento e rilegge,
cristianamente e cristologicamente, la rivelazione veterotestamentaria.
Citiamo qui un ulteriore esempio della tendenza, esegetica e teologica, di
Pietro che stiamo rilevando. Commentando il passo di Mt. 2 sulla fuga della
sacra famiglia in Egitto, Crisologo si sofferma a ponderare le ragioni di questo
trasferimento, suscettibile di essere spiegato come un atto di indolenza o peggio
di paura di Cristo di fronte alla morte, e alla fine lo spiega all’interno di una
rilettura globale dei due testamenti: Cristo non fuggì la morte ma, al contrario,
la preannunciò in tutte le Scritture, dalla Legge – come abbiamo appena veduto
– ai profeti. Pietro dice:
“Cristo aveva promesso per mezzo della Legge e dei profeti che sarebbe venuto
nella carne, sarebbe cresciuto attraverso le successive età, avrebbe annunciato la
gloria del regno celeste, avrebbe predicato la dottrina della fede e col solo
comando della voce avrebbe cacciato i demoni, avrebbe dato la vista ai ciechi, la
capacità di correre agli zoppi, la parola ai muti, l’udito ai sordi, ai peccatori il
perdono, ai morti la vita. Per tale motivo, Cristo non fuggì la morte, che avrebbe
incontrata da uomo maturo, ma la differì da bambino.”216
La consegna della Legge a Mosè, come stiamo riscontrando, diviene un
momento particolarmente significativo della rivelazione di Cristo al popolo
ebraico. Ma tutta la Scrittura ebraica, Legge e Profeti, contiene la promessa
divina della venuta di Cristo. È intorno alla venuta del Messia che si concentra
l’attesa e perciò si esprime la fede dei giudei. Ed è per loro, per i giudei, che il
Messia, nella persona di Gesù Cristo, è venuto.
Pietro ritorna spesso su questi temi. Prendiamo ancora un tratto di un altro
discorso tenuto sul passo matteano della fuga del Signore in Egitto. La
particolare concezione del Crisologo, che sottolinea sempre la divinità, la
grandezza, il senso del mistero e della maestà della persona di Cristo, lo
sollecita a rifiutare una spiegazione troppo umana, pericolosa e sbagliata, di
questo momento difficile della vita di Gesù bambino. Dopo una lunga difesa
della necessità della fuga di Cristo davanti all’infuriare della morte, Pietro
Cfr. cap. V § 3.
Serm. 150,10,86-92, PC III,170: Christus se in carne uenturum, ascensurum per aetatum
gradus, adnuntiaturum gloriam caelestis regni, praedicaturum fidei doctrinam, et imperio uerbi
solo fugaturum daemones, daturum caecis uisum, clodis cursum, mutis uerbum, auditum surdis,
peccatoribus remissionem, mortuis uitam, per legem promiserat et prophetas. Vnde hoc Christus
impleturus uir, infans mortem distulit, non fugit.
215
216
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riscrive le grandi ragioni della venuta di Cristo su questa terra, della sua
mirabile incarnazione per la salvezza del mondo, e dice:
“Era venuto per infondere nel mondo con i miracoli la conoscenza della sua
divinità e togliere le ignoranze all’ignoranza del genere umano. Era venuto per
eccitare alla fede con le sue virtù i pigri cuori dei mortali. Era venuto per
sconfiggere il diavolo in aperto scontro, affinché gli uomini lo vincessero
mediante il comando divino e lo abbattessero mediante l’esem-pio umano. Era
venuto per mantenere le promesse della sua presenza, per concedere di vederlo a
quelli cui aveva promesso di conoscerlo. Era venuto per allontanare il Giudeo
dalla trasgressione della Legge. Era venuto per avviare alla fede i pagani. Era
venuto per scegliere gli apostoli, maestri del mondo, e riempirli delle dottrine
celesti, munirli delle virtù, armarli dei miracoli, affinché con i miracoli domassero
gli uomini feroci, risanassero con i prodigi gli infermi, istruissero nelle verità i
riottosi. E infine era venuto a uccidere la morte morendo, a distruggere gli inferi
scendendo in essi, a schiudere i sepolcri risorgendo, a donare i terrestri ai celesti
salendo al cielo. Tutte queste cose sarebbero state certamente perdute per noi, se
Cristo, quand’era nella culla, non fosse fuggito.”217
L’incarnazione di Cristo ha dunque la doppia funzione di allontanare i giudei
dalla trasgressione verso la Legge e di avvicinare i pagani alla fede. C’è un
primato di destinazione del Messia al popolo preparato per accoglierlo. Solo
successivamente – per ragioni che si vedranno meglio in seguito218 – c’è
un’estensione della fede agli altri popoli mediante la testimonianza apostolica.
Anche altrove il nostro autore ritorna sul primato di destinazione del Cristo
al popolo d’Israele. Abbiamo già ricordato i Sermoni 1 – 5 che trat-tano della
parabola del figlio prodigo. Il figlio maggiore, il primogenito, ovviamente è
Israele, mentre il minore, il secondogenito che abbandona la casa paterna con la
sua parte d’eredità, rappresenta gli altri popoli. In questo contesto, il Pastore
ravennate, commentando una battuta del dialogo tra il padre e il figlio
primogenito che rifiuta di entrare in casa per festeggiare il fratello ritornato,
dice, come già si vedeva219:
217 Serm. 151,4,43-57, PC III,174: Venerat signis mundo notitiam suae deitatis infundere,
et humani generis ignorantiae ignorationes auferre. Venerat pigra mortalium corda ad fidem
uirtutibus excitare. Venerat diabolum publico superare conflictu, ut ab hominibus et diuino
uinceretur iussu, et humano prosterneretur exemplo. Venerat praesentiae suae promissa persoluere,
ut quibus scire se dederat, concederet se uidere. Vt ueniret Iudaeus uenerat de contemptu legis.
Venerat introducere ad fidem gentes. Venerat adlegere apostolos doctores orbis, eosque caelestibus
implere doctrinis, munire uirtutibus, armare signis, ut signis edomarent feros, sanarent uirtutibus
infirmos, doctrinis indociles edocerent. Et ad summam uenerat mortem perdere moriendo,
penetrando inferna dissoluere, resurgendo sepulchra reserare, ascendendo ad caelos caelestibus
donare terrenos. Omnia haec utique perissent nobis, si Christus, cum esset in cunabulis, non
fugisset.
218 Cfr. cap. V § 5.
219 Cfr. cap. V § 2.
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209
“E tutti i miei beni sono tuoi (Lc. 15,31). In che modo? Perché per te è la Legge, per
te è la profezia, per te il tempio, per te il sacerdozio, per te i sacrifici, per te il
regno, per te – e questo vale più di tutto – è nato Cristo.”220
Cristo è il dono supra omnia, in sequenza con la Legge, la profezia, il tempio,
il sacerdozio, i sacrifici, il regno. Ed è per te.
Se Cristo è destinato anzitutto a Israele, questi è d’altro canto il popolo che
lo attende. Si è già vista, in proposito, la tradizione di santità che questa attesa
ha prodotto nelle generazioni ebraiche prima dell’avvento di Cristo. Ricordiamo
il bel passo crisologhiano sull’albero di fico di Lc. 13:
“A ragione, dunque, dal Signore la Sinagoga viene paragonata a un albero di fico,
perché, riscaldata dal tepore della Legge, per un certo tempo fiorì in
prefigurazione dei frutti della Chiesa. Infatti, saldamente fondata sulla radice dei
patriarchi, esaltata dall’autorità sacerdotale, diffusa nei rami profetici, riempita
dei fichi non maturi dell’osservanza giudaica, fioriva allora per la sola speranza,
in attesa di dare frutto per mezzo di Cristo, anzi di dare lo stesso Cristo dopo il
frutto, come dice il Salmista: Il frutto delle tue viscere io porrò sul tuo trono (Ps.
131,11). Perciò i santi, sapendo questo, dal fiore ricavavano speranza di frutto e si
consolavano del presente in vista del futuro, vedendo che ormai stavano per
subentrare le realtà eterne a quelle mortali, le perpetue a quelle caduche, la
grazia alla Legge, la Chiesa alla Sinagoga, le realtà celesti a quelle terrene, le
divine a quelle umane, a tutte le realtà Cristo, che con gioia fedele si rallegrarono
fosse venuto, perché ne attendevano la venuta con diuturna pazienza. Tra questi
c’era quel Simeone che, avendo ricevuto la promessa che non avrebbe visto la morte,
finché non avesse visto il Cristo del Signore (Lc. 2,26), proruppe in queste parole: Ora
lascia andare in pace il tuo servo, Signore, secondo la tua parola, perché i miei occhi
hanno veduto la tua salvezza (Lc. 2,29-30).”221
La longa patientia dei santi ebrei si trasforma in fideli gaudio al momento del
compimento delle promesse divine. La speranza delle generazioni giudaiche
appoggiava sulla certezza di fede che il frutto nasceva dal fiore: Cristo
appartiene naturalmente ai figli di Israele, come un frutto all’albero dal quale
220 Serm. 5,7,136-139, PC I,78: «Et omnia mea tua sunt» (Lc. 15,31). Quemadmodum?
Quia tibi lex, tibi prophetia, tibi templum, tibi sacerdotium, tibi sacrificia, tibi regnum, tibi - quod
supra omnia - natus est Christus.
221 Serm. 106,3,37-52, PC II,312: Merito ergo a domino synagoga fici arbori comparatur,
quae calefacta tepore legali temporaliter ecclesiastici fructus floruit in figura. Patriarcharum
namque radice solidata, sacerdotali exaltata culmine, propheticis dilatata ramis, Iudaicae
obseruationis repleta grossis, florebat tunc spe sola fructum datura per Christum, immo ipsum
Christum datura post fructum dicente psalmista: «De fructu uentris tui ponam super sedem tuam»
(Ps. 131,11). Vnde sancti haec scientes spem fructus ex flore capiebant, et solabantur praesentia de
futuris, uidentes iamiamque succedere aeterna mortalibus, perpetua caducis, legi gratiam,
ecclesiam synagogae, caelestia terrenis, humanis diuina, omnibus Christum, quem, quia uenturum
longa patientia sustinebant, uenisse fideli gaudio sunt gauisi. Ex istis erat Simeon ille, cui
<cum> promissum erat, «ut non uideret mortem, donec uideret Christum domini» (Lc. 2,26), tali
prorupit in uoce: «Nunc dimittis seruum tuum domine secundum uerbum tuum in pace, quia
uiderunt oculi mei salutare tuum» (Lc. 2,29-30).
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pende. La citazione del Ps. 131,11 ("Il frutto delle tue viscere io porrò sul tuo
trono") esprime tutta la convinzione, e il giusto orgoglio, di un popolo che sa di
essere stato eletto per ricevere il Re Messia.
Troviamo la stessa attenzione crisologhiana circa il rapporto privilegiato tra
Cristo e il suo popolo a proposito di Maria Vergine, una delle figure che hanno
maggiormente reso famoso il Crisologo222. In uno dei tanti Sermoni dedicati dal
Pastore di Ravenna all’esaltazione della nascita del Signore e quindi all’elogio di
Maria, Vergine e madre, leggiamo così:
“Ciò che si compie, fratelli, è divino, non umano. Non è mai nuda la verginità, che
è adorna del velo eterno del suo pudore. L’angelo, in funzione di misuratore, è
venuto al domicilio della castità per preparare la reggia al Re, il tempio a Dio, il
talamo allo sposo celeste. Dalla nascita del Signore, infatti, non è stata tolta, ma
consacrata la verginità che appunto ha generato lo sposo, il custode del suo
pudore. Maria offre un servizio fedele; puerpera, ma vergine; vergine, ma madre:
perse infatti la sterilità, non il pudore. Sono presenti la santità, la sincerità, la
pudicizia, la castità, l’integrità, la fede, ed insieme si trovano in lei tutte le virtù,
così da portare, serva intrepida, nel suo utero il Creatore, e dovendo partorire la
Potenza del cielo, vincitrice del suo sesso, ignorò il dolore e il pianto. Beata la
fecondità che ottenne l’onore della maternità e non perdette il privilegio della
castità. Dunque non sdegna di abitare ciò che si è degnato di foggiare; né si
sdegna di prendere in sé quale carne ciò che con la sua mano divina aveva prima
maneggiato nella polvere (cfr. Gen. 2,7). Assunse il tuo aspetto, uomo, perché tu
non avresti potuto raggiungere il suo; e Colui che era invisibile, divenne visibile
per la tua redenzione. Invocato dai tuoi padri venne. Ascolta la voce di chi grida:
Mostra il tuo volto, e saremo salvi (Ps. 79,4).”223
Alla fine di questo brano, un vero elogio poetico del fiore più bello del
popolo ebraico, Crisologo, come sovente capita, passa a rivolgersi diretta-mente
e personalmente all’uomo che lo ascolta. Forse è l’uomo in generale, ma forse è
222 Cfr. in particolare lo studio del Kochaniewicz, dove la centralità del dogma mariano
all'interno della predicazione crisologhiana è giustamente posta in rapporto al posto
decisivo occupato, nella riflessione teologica e cristologica del vescovo di Ravenna, dal
mistero dell'incarnazione di Cristo.
223 Serm. 140ter,2,19-37, PC III,98-100: Diuinum est, fratres, quod geritur, non
humanum. Num quam est nuda uirginitas, quae aeterno pudoris sui uelamine decoratur. Ad
domicilium castitatis angelus metator aduenit, ut regi aulam, deo templum, et caelesti sponso
thalamum praepararet. Nascente enim domino non est ablata, sed consecrata uirgini-tas, quae
ipsa sponsum sui genuit pudoris, ipsa custodem. Praebet Maria fidele seruitium; feta, sed uirgo;
uirgo, sed mater; sterelitate enim caruit, non pudore. Adstat sanctitas, sinceritas, pudicitia,
castitas, integritas, fides, et omnes simul adfuere uirtutes, ut intrepida famula suo utero portaret
auctorem, et caelestem paritura uirtutem, sexus sui uictrix, dolorem gemitumque nesciret. Beata
fecunditas, quae et honorem adquisiuit maternum, et castitatis praemium non amisit. Non ergo
dedignatur inhabitare, quod est figurare dignatus; nec indignatur in se carnem contingere, quod
caelesti manu ante contrectauit in puluere (cfr. Gen. 2,7). Venit ad faciem tuam, o homo, quia tu
ad eius faciem peruenire non poteras; et qui erat inuisibilis, factus est pro tua redemptione
uisibilis. Uenit a tuis patribus postulatus. Audi uocem clamantis: «Ostende faciem tuam, et salui
erimus» (Ps. 79,4).
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il giudeo. In ogni caso, il nostro autore dice: “Invocato dai tuoi padri venne”. E
riporta l’invocazione, la supplica tratta dal Ps. 79,4: "Mostra il tuo volto, e
saremo salvi", supplica interpretata, naturalmente, in stretto senso cristologico.
In conclusione, nella visione crisologhiana Cristo ha un rapporto
privilegiato con Israele. Ed è precisamente questo privilegio che rende Israele
diverso dagli altri popoli. La santità e la salvezza di questo popolo sono in
relazione alla sua preparazione e attesa del Messia, che ancora è Gesù Cristo. La
venuta di Cristo è il compimento delle promesse contenute nella Legge e nei
profeti, e si è realizzata per la disponibilità di Maria, una donna ebrea. Gesù
Cristo è il dono più bello che Dio poteva e doveva fare al suo popolo, è il dono
supra omnia, superiore alla Legge, alla profezia, al tempio, al sacerdozio, ai
sacrifici, al regno224.
Non può sfuggire l’importanza delle conclusioni appena registrate, e in
particolare di quest’ultima: la superiorità di Cristo rispetto alle istituzioni più
sante del popolo eletto, compresa la Legge di Mosè, cioè la Legge data da Dio
con la mediazione di Mosè. È questa superiorità che sta alla base del privilegio
dato da Cristo a Israele, e perciò della diversità di Israele rispetto agli altri
popoli.
In sostanza, veniamo a riconoscere che, secondo l’impostazione data da
Pietro Crisologo alla questione del rapporto tra cristianesimo e giudaismo,
Israele è il popolo eletto a motivo dell’elezione di Cristo, e non viceversa. La
superiorità di Gesù Cristo rispetto alla Legge e la sua diversità – in quanto
soprattutto Figlio di Dio, secondo la prospettiva cristologica del Pastore di
Ravenna - rispetto ai discendenti di Abramo secondo la carne fanno la verità e
la permanenza dell’elezione del popolo giudaico. Israele non è eletto per se
stesso, ma per Cristo, cioè in ragione dell’attesa del compimento delle promesse
divine che si realizzano in Gesù Cristo. È Cristo stesso che perciò elegge il suo
proprio popolo, e non viceversa. Volendo usare e forzare un’immagine
crisologhiana, dovremmo dire che in questo caso è il frutto a scegliere l’albero
dal quale pendere e a giustificare così il privilegio straordinario, unico e
irripetibile di quell’albero.
Si intravede in questo panorama una caratteristica rilevante del pensiero di
Pietro: nella sua visione profondamente cristiana Cristo viene a prendere il
posto e il ruolo che, nel pensiero e nella tradizione giudaica, aveva la Legge. Per
un ebreo osservante, anche oggi225, è infatti la Legge a costituire il nucleo
essenziale della vera identità di Israele davanti a Dio e a definire perciò la
diversità assoluta di Israele davanti agli altri popoli. Per Crisologo, cristiano e
vescovo, diventa invece centrale e, in questo senso, assoluto, l’evento di Gesù
Cristo, evento che ovviamente non distrugge ma relativizza il privilegio dato a
Cfr. serm. 5,7,137-139, PC I,78.
Anche la figura e la vita di Gesù sono rivalutate oggi da qualche pensatore
ebraico per la fedeltà del Nazareno alla Legge ebraica e per la sua prossimità alla
corrente farisaica. Cfr. G. De Rosa, Gesù di Nazaret e l'ebraismo di ieri e di oggi. Dal rifiuto
all'appropriazione esclusiva, in La Civiltà Cattolica 151 II (2000), pp. 535-548.
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Israele ed estende a tutti i popoli l’elezione del popolo eletto.
5. Il popolo giudaico e Cristo
Siamo giunti ad un momento letteralmente cruciale della nostra ricerca.
Dobbiamo infatti voltare la medaglia del rapporto Cristo/Israele e vedere l’altro
lato, il meno piacevole, il più duro e problematico. Se Cristo è realmente il dono
più bello fatto da Dio a Israele, e perciò il compimento delle promesse divine e
la realizzazione piena e definitiva della santità e della salvezza per il popolo che
lo attendeva con ansia e fede, speranza e consolazione, qual è stata l’accoglienza
effettiva di questo dono? Come ha reagito Israele al piano provvidenziale del
suo Dio? Qual è stata la risposta, e quindi qual è l'attuale posizione di Israele
rispetto al Cristo? Su questo punto Pietro è estremamente netto e non risparmia
denuncie, accuse, giudizi, condanne, rimproveri e anatemi, insieme, come
abbiamo ampiamente attestato, a sinceri apprezzamenti e a grandi elogi.
Partiamo dal Sermone 55, dove il Pastore ravennate – che si accinge a
commentare il Simbolo della fede cristiana – si ferma preliminarmente a
spiegare l’insegnamento lucano di Gesù sulla preghiera, articolato sui tre
esempi della richiesta del pane, del pesce e dell’uovo.
A proposito del primo esempio addotto da Gesù, il nostro autore dice:
“Se uno di voi, dice, chiede al padre del pane, forse gli darà una pietra (Lc. 11,11)?
Avrebbe potuto dire: forse gli darà gramigna, forse loglio, che per la vicinanza di
natura e la somiglianza ha l’apparenza di pane, ma produce disturbi. Ma poiché
Cristo era venuto per i figli, – cioè per i Giudei, che si lamentava di aver generato
con tale grido: Ho generato figli e li ho esaltati, ma essi mi hanno disprezzato (Is. 1,2)
– era venuto, dunque, per i figli, era venuto quale pane del cielo, egli che aveva
detto: Io sono il pane disceso dal cielo (Io. 6,41.51), ma per i Giudei si mutò in sasso
d’inciampo e in pietra di scanda-lo, come dice il Signore: Ecco, pongo in Sion un
sasso d’inciampo e una pietra di scandalo (Rom. 9,33). Perché una pietra? Perché
erano smaniosi di mordere la pietra, non di chiedere il pane al Padre. Mi hanno
circondato, dice, cani in gran numero (Ps. 21,17). Perciò, dopoché fu chiaro che essi
si erano mutati da uomini in cani, il pane celeste per loro si mutò in pietra, non
per la colpa di chi lo dava, ma per la malvagità di chi lo riceveva, in modo da non
nutrirli, bensì da ucciderli; e, posta nella fondazione, non da innalzarli fino alla
vetta, ma da abbandonare nell’abisso e travolgere nella rovina quelli che
aspiravano ad uccidere il proprio padre.”226
226 Serm. 55,4,53-69, PC I,374: «Quis», inquit, «ex uobis patrem petit panem, numquid
lapidem dabit illi» (Lc. 11,11)? Potuit dicere: numquid zizania, numquid lolium, quod ex
uicinitate et similitudine mentitur panem, sed generat angustias. Sed quia Christus uenerat filiis,
id est, Iudaeis, quos genuisse tali clamore querebatur: «Filios genui et exaltaui, ipsi autem me
spreuerunt» (Is. 1,2) -, uenerat ergo filiis, uenerat panis de caelo, qui dixit: «Ego sum panis qui
de caelo discendi» (Io. 6,41.51), sed Iudaeis conuersus est in lapidem offensionis et petram
scandali, dicente domino: «Ecce pono in Syon lapidem offensionis et petram scandali» (Rom.
9,33). Quare petram? Quia mordere petram, non panem a patre petere gestiebant «Circumdederunt me», inquit, «canes multi» (Ps. 21,17) -. Denique postea quam illi ex
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L’affermazione positiva di Pietro sui giudei – Cristo è venuto quale pane
celeste per i figli – è qui accompagnata dalla sicurezza di un giudizio
estremamente negativo sul modo col quale essi hanno ricevuto il dono di Dio,
stravolgendolo al punto da trasformare il pane in sasso d’inciampo e pietra di
scandalo. Lo stravolgimento del dono divino porta con sé un certo disordine
naturale e la mutazione profonda del proprio essere: si noti la durezza delle
parole ex hominibus in canis! Nei successivi esempi sulla preghiera il Pastore
ribadisce con forza le stesse idee:
“Aggiunse un’altra similitudine: O forse al posto di un pesce gli darà un serpente (Lc.
11,11)? Cristo era anche un pesce sollevato dall’alveo del Giordano (cfr. Mt. 3,1317; Mc. 1,9-11; Lc. 3,21-22; 4,1; Io. 1,28-34), che, posto sui carboni delle
sofferenze, dopo la risurrezione offrì allora ai suoi, cioè ai discepoli, il cibo che dà
la vita (cfr. Io. 21,1-14). Ma per i Giudei questo pesce si trasforma in serpente,
come dice il Signore: Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia
innalzato il Figlio dell’uomo (Io. 3,14). Il Giudeo nel serpente vedeva Cristo,
perché un occhio empio non può vedere Dio, non può vedere l’affetto paterno.
Disse anche una terza similitudine: Forse, se chiederà un uovo, gli darà uno scorpione
(Lc. 11,12)? È sempre un uso consueto che i bambini chiedano un uovo e che i
genitori, quando lo chiedono, non lo rifiutino loro. Ma siccome Cristo era venuto
per radunare, come una gallina, i suoi pulcini (cfr. Mt. 23,37), offrì l’uovo della
parola, mediante il quale fossero nutriti i santi germogli della Chiesa. Ma poiché
il Giudeo per invidia lo voleva versare più che mangiare, trovò in esso uno
scorpione, affinché, secondo l’Apostolo, il comando, che essi avevano per la vita,
diventasse per loro causa di morte (cfr. Rom. 7,10).”227
In questi tre esempi, appena citati, si vede chiaramente, se avessimo voluto
aggiungere ulteriori testi, il modo di ragionare del Crisologo e lo spessore
teologico ed esegetico dato allo schema giudaismo/cristianesimo. Ma
soprattutto qui importa sottolineare la gravità del giudizio emesso senza
hominibus in canes probantur esse conuersi caelestis illis in petram conuersus est panis, non dantis
uitio, sed accipientis nequitia, qui illos non reficeret, sed necaret; nec in fundamento posita
promoueret ad culmen, sed eos, qui sui tendebant patris ad caedem, in profunda daret et euolueret
in ruinam.
227 Serm. 55,5-6,70-87, PC I,374-376: Adiecit aliam similitudinem: «Aut numquid pro pisce
serpentem dabit illi» (Lc. 11,11)? Erat et piscis Christus Iordanis leuatus ex alueo (cfr. Mt. 3,13-17;
Mc. 1,9-11; Lc. 3,21-22; 4,1; Io. 1,28-34), qui carbonibus positus passionum post resurrectionem
suis, id est, discipulis, escam praebuit tunc uitalem (cfr. Io. 21,1-14). Sed Iudaeis in serpentem piscis
iste mutatur, dicente domino: «Sicut Moyses exaltauit serpentem in deserto, ita exaltari oportet
filium hominis» (Io. 3,14). Iudaeus in serpente uidebat Christum, quia impius oculus deum non
potest uidere, non potest uidere pietatem. Dixit et tertiam similitudinem: «Numquid si petierit ouum,
porriget illi scorpionem» (Lc. 11,12)? Consuetum est et solemne semper paruulos ouum petere, et
parentes ouum pusillis petentibus non negare. Sed quia Christus uenerat congregare sicut gallina
pullos suos (cfr. Mt. 23,37), ouum protulit uerbi, per quod ecclesiae germina sancta nutrirentur. Sed
quia Iudaeus per inuidiam effundere magis quam sumere eum uolebat, repperit ibidem scorpionem,
ut, iuxta apostolum, «mandatum, quod erat» illis «in uitam, hoc» illis esset «ad mortem» (Rom.
7,10).
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remissione nei confronti del rifiuto giudaico del Messia. Dal pane al sasso, dal
pesce al serpente, dall’uovo allo scorpione cresce l’accusa di impietas e invidia.
Pietro rappresenta con drammaticità il rifiuto giudaico del Messia,
sottolineando che è l’incredulità il primo dei guai, dei mali del popolo eletto di
fronte alla venuta di Cristo. Nel sermone 131 leggiamo un testo nel quale, a
partire dal rifiuto a credere, il giudeo è presentato in una sequenza incalzante di
peccati:
“Se Dio è veduto tante volte dagli uomini in figura d’uomo, perché mai il Giudeo
or ora, vedendo Cristo in aspetto d’uomo, lo irrita in tal modo, a meno che, per
caso, la figura, l’onore, la verità, siano ritenute offese? L’evangelista ha riferito
oggi che Cristo ha detto: Se uno osserverà le mie parole, non vedrà la morte in eterno
(Io. 8,51). A questa affermazione replicarono i Giudei: Ora conosciamo che hai un
demonio. Abramo, nostro padre, è morto e così i profeti, e tu dici: “Se uno osserverà le
mie parole, non vedrà la morte in eterno”. Forse tu sei più grande del padre nostro
Abramo e dei profeti? Chi pretendi di essere (Io. 8,52-53)? In qual modo l’incredulità
investe tutti! O in qual modo il livore chiude gli occhi! Come la malvagità
preconcetta sconvolge il giudizio del cuore! Con quanta durezza la caparbietà
tronca la ragione! L’intelletto umano pervertito non può ascoltare ciò che una
volta ha deciso di odiare. Ai malvagi la bontà è odiosa, la giustizia è nemica degli
ingiusti. Ecco perché gli uomini in mezzo alla menzogna non possono conoscere
prima la verità. L’animo, che giudica, non può trovare il vero tra le affermazioni
della falsità. Chi ha deciso di sbagliare, ascolta sempre ciò che vuole, non ciò che
ode. Cristo aveva detto: Se uno osserverà le mie parole, non vedrà la morte in eterno
(Io. 8,51). Il Giudeo non discute ciò che ha udito, non cerca di comprendere ciò
che gli viene detto: ciò che egli giudica impossibile, chiede che lo dimostri chi lo
promette. Ma tosto, per concepimento della sua mente egli partorisce bestemmie,
genera ingiurie, diffonde calunnie e si sforza di svuotare con le offese l’autorità di
chi parla, in modo che non si creda che ai mortali possa concedere una sorte
eterna Colui che si vede così soggetto alle condizioni umane.”228
228 Serm. 131,4-6,36-60, PC III,48: Si totiens deus ab hominibus in figura hominis uidetur,
quid est quod Iudaeus modo in hominem uidens sic exasperat Christum, nisi forte figura, honor,
ueritas putatur iniuria? Retulit euangelista hodie Christum dixisse: «Si quis sermonem meum
seruauerit, non uidebit mortem in aeternum» (Io. 8,51). Ad quod uerbum responderunt Iudaei:
«Nunc cognouimus quia daemonium habes. Abraham» pater noster «mortuus est et prophetae, et
tu dicis: Si quis sermonem meum seruauerit, non uidebit mortem in aeternum. Numquid tu maior
es patre nostro Abraham et prophetis? Quem teipsum facis» (Io. 8,52-53)? Omnes perfidia
qualiter excipit! O qualiter oculos claudit liuor! Quantum iudicium cordis nequitia praeiudicata
confundit! O quam dure amputat obstinatio rationem! Sensus humanus peruersus audire non
potest quod semel statuit odisse. Malis bonitas exosa, iustitia iniustis inimica. Hinc est quod
homines mendacium inter praecognoscere nequeunt ueritatem. Iudex animus inuenire uerum non
potest inter nuntia falsitatum. Quod uult, non quod est, audit semper qui decreuit errare. Dixerat
Christus: «Si quis sermonem meum seruauerit, mortem non uidebit in aeternum» (Io. 8,51).
Iudaeus non discutit audita, interpretari sibi dicta non quaerit; quod ipse inpossibile existimat,
exigit ut ille adstruat, qui promittit. Sed mox de conceptu mentis blasphemia parturit, gignit
iniurias, maledicta diffundit, et auctoritatem dicentis ita contumeliis uacuare nititur, ut et aeterna
dare posse mortalibus non credatur, qui sic humanis uidetur subiacere.
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Perfidia, liuor, nequitia, obstinatio, blasphemia, iniuria, maledicta, contumelia: il
vocabolario del Crisologo a proposito del rinnegamento della fede da parte dei
giudei non lascia evidentemente spazio ad alcuna forma di irenismo.
La mancanza di fede al momento della venuta di Cristo porta i giudei a
snaturare persino il loro rapporto con la Legge, che era invece stata data come
pedagogo a Cristo. Commentando la parabola lucana del fico sterile, Pietro dice:
“Ma per ignoranza, mentre pongono la loro fiducia nell’intera Legge e non si
preoccupano dell’attesa di Cristo, non meritarono né di accogliere né di
riconoscere Cristo; e così furono ingannati dai cavilli legali, come il fico con i suoi
frutti, che non maturano, inganna gli inesperti. Ecco perché il Signore rimanda al
fico quelli che desiderano sapere il tempo della sua venuta, dicendo: Quando vedete
che il fico mette fuori i suoi frutti intempestivi, dite che è vicina l’estate. Anche voi,
quando vedrete ciò che dico, sappiate che il regno di Dio è vicino (cfr. Lc. 21,29-31).
Vedete che il fico non indica gli avvenimenti presenti, ma quelli futuri. Ma ormai
seguiamo secondo l’ordine la parabola proposta.”229
In questo importante tratto del suo commento, il Pastore ravennate, mentre
loda la fiducia nella Legge da parte dei giudei, ne indica allo stesso tempo il
limite, riscontrabile nella misura in cui essa non li porta ad attendere il Messia.
L’accusa qui rivolta diviene quella di ignorantia.
L’ignorantia non consente ai giudei di cogliere, dietro l’umanità del
Nazareno, la divinità del Figlio. Commentando la parabola lucana della dramma
perduta, Pietro identifica l’antica moneta con Cristo e la donna che la cerca
senza trovarla con la Sinagoga,230 la quale è perciò accusata di averla smarrita:
Serm. 106,4,53-61, PC II,312: Ignari uero, dum fiduciam gerunt in lege tota, neque sunt
de Christi expectatione solliciti, neque suscipere Christum neque agnoscere meruerunt; et ita sunt
legalibus decepti flosculis, sicut nescios grossis suis decipit ficus. Hinc est quod dominus aduentus
sui tempora scire cupientes mittit ad ficum dicens: «Cum uideritis quia ficus producit grossos suos,
dicitis quia prope est aestas. Et uos cum uideritis haec quae dico, scitote quia prope est regnum
dei» (cfr. Lc. 21,29-31). Videtis quia ficus non signat praesentia, sed indicat sic futura. Sed iam
per ordinem propositum prosequamur exemplum.
230 In pratica la donna viene ad acquisire una sorta di doppia personalità: quando perde la
dramma e la cerca senza ritrovarla è la Sinagoga, quando invece finalmente la ritrova diviene
la Chiesa! In realtà la storia dell’interpretazione patristica di Lc. 15,8-10 è abbastanza lunga e
articolata. Alcune idee crisologhiane affondano le radici molto lontano. Già Tertulliano dice
che la casa è la Chiesa, la luce della lucerna è la Parola di Dio, e che la dramma perduta
rappresenta il pagano ancora nel mondo e la dramma ritrovata il cristiano oramai illuminato
dalla luce di Dio (cfr. Tertullianus, De pudicitia 7,10-23, Tertulliani, Opera. Pars secunda.
Opera Montanistica, [CCL 2], Turnohlt 1954, pp. 1293,44–1294,99). Molto più importante è
un passo del commento di Origene ai Romani, dove troviamo l’identificazione crisologhiana
dramma = Cristo e soprattutto l’idea dell’impossibilità per i giudei di trovare Cristo: sapientia
est, quae drachmam perditam quaesivit et quaerens invenit. Iudaei autem usque adhuc quaerunt de
Christo et interrogant scripturas de eo et non inveniunt, quia crux eius Iudaeis est scandalum (vedi
Origenes, Commentarii in epistulam ad Romanos 8,6, Origenes, Commentarii in Epistulam ad
Romanos. Liber septimus, liber octavus. Römerbriefkommentar siebtes und achtes Buch. Übersetzt und
eingeleitet von T. Heither, [Fontes Christiani 2/4], Freiburg etc. 1994, p. 238). Il riferimento
229
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“Cristo è la moneta piena di divinità, Cristo è la dramma della nostra redenzione
e del nostro riscatto, Cristo è Colui che stava nel decalogo della Legge e
rimaneva nascosto, Cristo è quello che la Sinagoga possedeva e non vedeva per
l’ostacolo delle tenebre. Abbiamo chiamato dieci dramme le dieci parole della
Legge, una delle quali la Sinagoga aveva perduta. Una quale? Quella che nella
Chiesa per primo aveva trovato Giovanni, perché egli era una lampada ardente,
come dice il Signore: Egli era la lampada (Io. 5,35). E infatti l’evangelista afferma:
In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio (Io. 1,1).”231
crisologhiano al decalogo, le dieci parole della Legge, si trova in un testo attribuito a Cipriano,
compilato probabilmente in Africa nel IV secolo (cfr. H. Koch, Die pseudo-cyprianische Schrift
“De centesima” in ihrer Abhängigkeit von Cyprian, in Zeitschrift für die neutestamentliche
Wissenschaft 31 [1932], pp. 248-272). L’operetta, che P.F. Beatrice fa risalire tra la fine del II
secolo e l’inizio del III (Beatrice, Martirio ed ascesi nel sermone pseudo-ciprianeo “De centesima,
sexagesima, tricesima”, in Paradoxos politeia. Studi patristici in onore di Giuseppe Lazzati a cura
di R. Cantalamessa e L.F. Pizzolato, [Studia Patristica Mediolanensia 10], Milano 1979, pp.
3-24), è stata scoperta e pubblicata da R. Reitzenstein. Nel contesto di un discorso centrato sul
tema del martirio l’autore parla delle dieci parole della Legge scritte nel cuore, cita la parabola
di Lc. 15,8-10 e presenta Cristo stesso come colui che compie il decalogo (cfr. R. Reitzenstein,
Eine frühchristliche Schrift von den dreierlei Früchten des christlichen Lebens, in Zeitschrift für die
neutestamentliche Wissenschaft 15 (1914), pp. 60-90. Il brano che a noi interessa si trova da p. 77
linea 101 a p. 78 linea 119). I cappadoci ci offrono interpretazioni suggestive della parabola
lucana. Per Gregorio Nazianzeno la lucerna è la carne di Cristo e l’accensione sembra essere la
sua incarnazione; la dramma è “l’immagine regale confusa per le passioni” (cfr. Gregorius
Nazianzenus, Orationes 45,26, PG 36,660,A4-7. Passo identico in Gregorius Nazianzenus,
Orationes 38,14, Grégoire de Nazianze, Discours 38-41. Introduction, texte critique et notes
par C. Moreschini, traduction par P. Gallay, [SCh 358], Paris 1990, p. 136,12-15). Per il
Nisseno la lucerna è il Logos (sposo) e la dramma è l’anima (sposa) (cfr. Gregorius Nyssenus,
Commentarius in Canticum Canticorum 12, Gregorii Nysseni, In Canticum Canticorum, edidit H.
Langerbeck, [Gregorii Nysseni Opera 6], Leiden 1960, p. 364, 10-14). Infine, per Ambrogio,
che come i padri cappadoci utilizza moltissime volte Lc. 15,8-10, la dramma indica la fede, la
grazia, la redenzione dell’anima (cfr. Ambrosius, Epistula 1,2, Sancti Ambrosii, Opera. Pars X.
Epistulae et Acta. Tom. I. Epistularum libri I-VI. Recensuit O. Faller, [CSEL 82,1], Vindobonae
1968, pp. 3,9-4,21). Su Pietro Crisologo possono aver influito due passi del commento al
Vangelo di Luca: nel primo Ambrogio istituisce un parallelo tra la dramma e la mina. A
proposito della mina che ha fatto dieci mine (Lc. 19,16) dice: «E qui possiamo intendere per
dieci mine le dieci parole, cioè la dottrina della Legge» (Ambrosius, Expositio Evangelii
secundum Lucam 8,92, Sancti Ambrosii Mediolanensis, Opera. Pars IV. Expositio Evangelii
secundum Lucam. Fragmenta in Esaiam, [CCL 14], Turnholt 1967, p. 332,1084-1085). Nel
secondo passo, commentando Lc. 11,33 (Nessuno accende la lucerna e la pone in un luogo
nascosto né sotto il moggio, ma sopra il candelabro) e parlando del rapporto Chiesa-Sinagoga,
dice: «Nessuno dunque collochi la fede sotto la Legge; la Legge è infatti dentro la misura, la
grazia è oltre la misura: la Legge adombra, la grazia chiarifica. E perciò nessuno chiuda la sua
fede dentro la misura della Legge, ma la porti alla Chiesa, dove brilla la grazia dello Spirito
settiforme.» (Id., Expositio Evangelii secundum Lucam 7,98, ibid., p. 247,1025-1029).
231 Serm. 169,4,48-56, PC III,274: Christus est plenum deitatis nomisma, Christus est
dragma nostrae redemptionis et pretii, Christus est qui erat in legis decalogo et latebat, Christus
est quem habebat synagoga, et tenebris inpugnantibus non uidebat. Decem dragmas decem legis
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La presenza nascosta di Cristo nel codice della Legge da un lato lo mette a
disposizione della Sinagoga, dall’altro non consente ad essa un accesso completo
al mistero del Messia: la Sinagoga possiede Cristo ma è incapace di vederlo,
tenebris impugnantibus.
La cecità giudaica è il motivo più forte del rifiuto a cogliere, per fede, la
natura divina del Messia. Tutto il sermone 48, nel quale Pietro commen-ta il
testo evangelico della visita di Cristo alla sinagoga di Nazaret, è una lunga
invettiva alla invidia dei giudei, ai quali il Pastore ravennate sembra rivolgersi
direttamente e personalmente con frequentissimi accorati appel-li. Il nostro
autore riscrive in questa luce polemica tutta la storia dell’umanità e compone
una drammatica storia dell’invidia, dall’orgoglio primordiale di Lucifero
all’esaltazione di Adamo, cacciato dall’Eden, dall’omicidio di Abele da parte di
Caino alle ingiurie di Aronne verso Mosè. Tale storia raggiunge il suo culmine
al momento dell’avvento di Cristo:
“L’invidia fece precipitare dal cielo l’angelo (cfr. Is. 14,12; Apoc. 12,9), escluse
l’uomo dal paradiso terrestre (cfr. Gen. 3,5.23-24); essa per la prima volta
contaminò la terra col sangue fraterno (cfr. Gen. 4,5.8), fu essa che indusse i
fratelli a vendere il fratello (cfr. Gen. 37,11.28), fu essa che fece fuggire Mosè (cfr.
Ex. 2,15), che spinse Aronne a offendere il fratello (cfr. Num. 12,1ss.), che
macchiò Maria col livore verso il fratello (cfr. Num. 12,9); e, per dirla in breve –
cosa che la mente paventa, che la vista teme, che l’udito non vuole ascoltare –
mirò e arrivò persino al sangue di Cristo.”232
Anche su questo punto, dell’uccisione di Cristo, la predicazione del
Crisologo spicca per nettezza. Per lui non sussistono dubbi circa le
responsabilità effettive, materiali e morali, dei giudei nell’uccisione di Cristo.
Ecco un testo nel quale Pietro accorpa insieme quanti non rendono culto a Dio
secondo il paolino rationabile obsequium:
“Il vostro, dice, ragionevole ossequio (Rom. 12,1). L’ossequio secondo ragione è un
entusiasmo pieno d’ardore, mentre è una pazzia quello che non è governato dalla
ragione. Per questo motivo il popolo giudaico (cfr. Ex. 32), mentre si cerca un
Dio oltre i limiti della ragione, perdette il Dio cui serviva secondo ragione. Per
questo i figli di Aronne (cfr. Lev. 10), immemori della ragione, osando accostare
fuochi terreni ai fuochi divini, trasformarono a proprio danno la fiamma del
sacrificio della salvezza in un incendio di pena. Per questo Saul (cfr. 1 Sam. 15),
diximus uerba, ex quibus uerbum perdiderat synagoga unum. Quod unum? lllud quod in ecclesia
primus, quia lucerna ardens erat, Iohannes inuenit, dicente domino: «Ille erat lucerna» (Io. 5,35)
- dicens euangelista: «In principio erat uerbum, et uerbum erat apud deum, et deus erat uerbum»
(Io. 1,1).
232 Serm. 48,5,83-89, PC I,336: Inuidia de caelo deiecit angelum (cfr. Is. 14,12; Apoc. 12,9),
de paradiso exclusit hominem (cfr. Gen. 3,5.23-24), ipsa primum contaminauit terras germano
sanguine (cfr. Gen. 4,5.8), ipsa germanos compulit uenundare germanum (cfr. Gen. 37,11.28),
ipsa Moysen fugauit (cfr. Ex. 2,15), Aaron in fratris excitauit iniuriam (cfr. Num. 12,1ss.),
Mariam maculauit liuore germani (cfr. Num. 12,9); ac ne multis, quod pauet mens, quod uisus
tremit, quod auditus non capit: ipsum Christi tetendit et peruenit ad sanguinem.
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insuperbito dalla dignità regale, mentre ritiene che gli sia lecito qualche compito
sacerdotale, quale profanatore dell’altare perdette il regno che aveva ricevuto.
Per questo il Giudeo, mentre osserva la Legge senza la ragione della Legge,
uccise l’Autore della Legge. Per questo il pagano, mentre, ignorando la ragione,
con processioni di dèi e mostri di dee esercita il culto, non meritò di giungere alla
servitù del Dio che è vero e unico. Per questo Ario crede di onorare il Padre
bestemmiando il Figlio e, mentre segna un inizio per il Figlio, miserevolmente
pone fine al Padre. Per questo Fotino, mentre nega che il Figlio sia coeterno al
Padre, si sforza di provare che il Padre non è stato sempre padre. Per questo
tutte le eresie, mentre si lasciano andare ad offendere la Divinità, mentre con
parole menzognere fingono di riconoscere la Trinità, la fanno oggetto delle loro
bestemmie.”233
Sebbene inserita in un contesto polemico assai ampio, -- Crisologo bersaglia
insieme, secondo un genere letterario ormai ben collaudato, i tradizionali nemici
esterni e interni alla compagine della grande Chiesa, giudei, pagani e cristiani
eretici --, non può sfuggire la gravità dell’accusa crisologhiana rivolta ai giudei:
Hinc Iudaeus, dum legem sine legis ratione excolit, legis interemit auctorem.
L’invidia giudaica viene dunque identificata come la causa prossima
dell'uccisione di Cristo. Commentando la parabola del figlio prodigo leggiamo
in proposito:
“L’invidia è un male di vecchia data, il primo flagello, un antico filtro mor-tale, il
veleno dei secoli, la causa della fine. Questa in principio cacciò lo stesso angelo e
lo fece precipitare dal cielo (cfr. Is. 14,12; Apoc. 12,9); questa escluse dal paradiso
terrestre l’uomo capostipite della nostra generazione; sempre questa tenne
lontano dalla casa paterna il fratello maggiore. Questa armò la progenie di
Abramo, quel popolo santo, per l’uccisione del proprio Autore, per la morte del
proprio Salvatore.”234
233 Serm. 109,4,62-78, PC II,328-330: «Rationabile», inquit, «obsequium uestrum» (Rom.
12,1). Obsequium ratione calens feruor est, furor est quod ratione non frenatur. Hinc Iudaicus
populus (cfr. Ex. 32), dum deum sibi praeter rationem quaerit, deum, cui cum ratione seruiebat,
amisit. Hinc filii Aaron (cfr. Lev. 10) rationis immemores, dum praesu-munt terrenos ignes
diuinis ignibus admouere, flammam sacrificii salutaris in poenale sibi incendium conmutarunt.
Hinc Saul (cfr. 1 Sam. 15) tumens regali uertice, dum putat sibi de sacerdotio quid licere, regnum
quod acceperat altaris temerator amisit. Hinc Iudaeus, dum legem sine legis ratione excolit, legis
interemit auctorem. Hinc gentilis, dum deorum pompis et dearum monstris nescius rationis
obsequitur, ad dei, qui unus et uerus est, peruenire non meruit seruitutem. Hinc Arrius patri se
putat obsequi filium blasphemando, et dum filio dat initium, patri finem miserandus inponit.
Hinc Fotinus, dum coaeternum patri filium negat, pater ut pater non semper fuerit elaborat. Hinc
omnes haereses, dum feruntur in deitatis iniuriam, dum trinitatem mentiuntur uocabulis,
blasphemiis obsecuntur.
234 Serm. 4,1,19-26, PC I,66: Inuidia malum uetustum, prima labes, antiquum uirus,
saeculorum uenenum, causa finis. Haec in principio ipsum angelum eiecit et deiecit e caelo (cfr. Is.
14,12; Apoc. 12,9); haec de paradiso hominem principem nostrae generationis exclusit; ipsa hunc
seniorem fratrem paterna seclusit domo. Haec Abrahae progeniem, populum sanctitatis illum, ad
auctoris sui caedem, ad mortem sui saluatoris armauit.
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Ma il testo più duro rimane, a proposito dell’invidia che porta all’ucci-sione
violenta di Cristo, quello del sermone 172, dove Pietro commenta l’invettiva di
Gesù contro i dottori della Legge (Lc. 11,52: "Guai a voi, dottori della Legge, che
togliete le chiavi della scienza, voi non vi siete entrati e avete impedito ad altri
di entrarvi"):
“L’invidia devasta i popoli: infatti fece che fossero deicidi - se questo si può dire,
se la parola lo consente - i Giudei. Abbiamo detto deicidi, non per il risultato che
il delitto raggiunse, ma per quello cui mirava. Infatti, in Cristo i Giudei
tentarono di estinguere non soltanto l’uomo, ma Dio, il Figlio di Dio, di
ucciderne le virtù, quando dicono: Questo è l’erede, venite, uccidiamolo e la sua eredità
sarà nostra (Mc. 12,7).”235
Avviandoci alla conclusione di questa triste rassegna di testi crisolo-ghiani
dal tono fortemente e indubitabilmente antigiudaico, segnaliamo che in più
punti il nostro autore mostra una coscienza molto limpida circa la drammaticità,
il dolore delle conseguenze dell’uccisione di Cristo da parte di coloro che, ai suoi
occhi, ne sono gli effettivi assassini. L’uccisione del Messia si ritorce
ferocemente sulla Sinagoga, e il circolo di cieca violenza si richiude così
all’interno del popolo giudaico. Vediamo su questo aspetto un paio di esempi.
Commentando l’epiteto di progenies uiperarum adoperato da Giovanni Battista,
Crisologo scrive:
“I Giudei, invece, razza di vipere, morte della loro madre, assassinio del loro padre,
mentre uccidevano Cristo, squarciavano il grembo della Sinagoga, loro madre.
Veramente, come sta scritto, progenie di vipere (Mt. 3,7), abbassavano il capo,
adulavano con la lingua, ferivano con gli inganni, diffondevano veleni con le
calunnie; e, come se non fosse sufficiente per l’odio del disprezzo, per l’offesa
dell’indagine, così perseguivano Cristo con le insidie, lo mettevano alla prova con
gli inganni, lo molestavano con le domande, lo assalivano con le contumelie, lo
circondavano bramosi con ogni forma di simulazione; gli adducevano contro quelli
che chiedevano di essere guariti di sabato: affinché, se non li avesse guariti, ne
derivasse il disprezzo attribuito all’incapacità, mentre, se li avesse guariti,
sussisteva l’accusa giustificata dalla Legge (cfr. Mt. 12,10; Mc. 3,2; Lc. 6,7). Gli
domandavano con quale potere (Mt. 21,23; Mc. 11,28; Lc. 20,2) facesse miracoli a suo
arbitrio: affinché, se avesse detto per volere della Divinità, potessero suscitargli
contro l’inimicizia; se avesse taciuto, potessero rivolgergli l’accusa di magia.
Dicevano, infatti: Nel nome di Beelzebul, principe dei demoni, scaccia i demoni (Lc.
11,15). E, come oggi si è letto, per i discepoli inventavano l’accusa al maestro
famigerato per il banchetto dei pubblicani; con il maestro accusavano i discepoli di
non digiunare, di essere dediti agli stravizi. Ma con livore cercavano di diffondere
Serm. 172,3,27.32-38, PC III,290-292: Inuidia … uastat populos, namque Iudaeos haec si dici fas est, si capit sermo - fecit esse deicidas. Deicidas diximus, non quo peruenit, sed quo
facinus hoc tetendit; in Christo enim Iudaei non hominem tantum, sed deum, filium dei, conati
sunt opprimere, necare uirtutes, cum dicunt: «Hic est haeres, uenite, occidamus eum, et nostra erit
haereditas eius» (Mc. 12,7).
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cause di odio e semi di discordia nei discepoli sul conto del maestro, nel maestro sul
conto dei discepoli.”236
Il secondo esempio lo traiamo dal commento di Pietro al celebre episodio
matteano del soffocamento della notizia della risurrezione di Cristo da parte
delle autorità giudaiche che comperano con denaro le guardie del sepolcro.
Leggiamo nel Sermone 76:
“Frattanto i Giudei o comprano in malo modo le loro colpe o vendono peggio
ancora quelle degli altri, mentre fissano un prezzo per i peccati, mentre col
denaro valutano e compensano i delitti, mentre sperperano nelle scelleratezze
quanto avevano accumulato con ogni scelleratezza. Così si procacciano in Giuda
(cfr. Mt. 26,15 e parall.) un traditore del suo Signore e assegnano un prezzo al
sangue del Redentore del mondo; così tentano di chiudere con una piccola borsa
la fede suscitata da un sepolcro spalancato, in modo da mercanteggiare il crimine
di negare la risurrezione con i soldi provenienti dai loro crimini. Diedero, dice,
una grossa somma ai soldati, dicendo: ‘Dite, i suoi discepoli sono venuti di notte e l’hanno
rubato mentre noi dormivamo. E se il governatore ne sarà informato, noi lo
persuaderemo e vi garantiremo l’impunità’. E quelli, preso il denaro, fecero come era
stato loro insegnato, e questa diceria si è diffusa presso i Giudei fino ad oggi (Mt. 28,1215). Presso i Giudei: non forse presso i cristiani? Giudeo, quella verità che tu in
Giudea nascondevi con l’oro, con la fede è apparsa chiara e ha brillato in tutto il
mondo. I discepoli accolsero, non rubarono Cristo; tu ti sei procu-rato la slealtà,
ma non sei riuscito a sottrarre la verità. Giudeo, Cristo è risorto, tu hai perduto il
tuo denaro. Il suo sangue sopra di noi e sopra i nostri figli (Mt. 27,25). Giudeo, Cristo
vive, tu hai ucciso te stesso e i tuoi discendenti.”237
236 Serm. 31,1,11-29, PC I,232: Iudaei uero, uiperinum germen, genetricis mors, genitoris
occisio, dum perimunt Christum, synagogae matris uterum disruperunt. Vere, sicut scriptum est,
«progenies uiperarum» (Mt. 3,7), summittebant capita, adulabant lingua, uulnerabant dolis,
blasphemiis uenena fundebant; et quasi non sufficeret ad odium contemptus, dispectus ad iniuriam,
sic Christum sequebantur insidiis, temptabant dolis, interrogatione pulsabant, adpetebant
contumeliis, et tota cupidi simulatione uallabant; obiciebant curandos sabbato, ut si non curasset,
fieret de inpossibilitate contemptus; de lege maneret calumnia, si curasset (cfr. Mt. 12,10; Mc. 3,2;
Lc. 6,7). Interrogabant «in qua potestate» (Mt. 21,23; Mc. 11,28; Lc. 20,2) faceret sua iussione
uirtutes, ut si dixisset deitatis, inuidiam commouerent; si tacuisset, artis magicae crimen inferrent.
Dicebat enim: «In Behelzebub, principem daemoniorum, eiicit daemonia» (Lc. 11,15). Et, sicut
hodie lectum est, apud discipulos magistrum notum de publicanorum conuiuio componebant; apud
magistrum discipulos ieiunii nescios, gulae deditos accusabant. Sed discipulis de magistro,
magistro de discipulis odiorum causas, discordiae semina, liuore iactabant.
237 Serm. 76,4,80-97, PC II,114: Inter haec Iudaei crimina aut male emunt sua, aut
distrahunt peius aliena, dum peccata taxant pretio, dum pecunia pensant et conpensant delicta,
dum in sceleribus suffundunt quod toto scelere congregauerunt. Sic Iudam (cfr. Mt. 26,15 et
parall.) comparant traditorem domini sui, et pretio redemptoris mundi sanguinem pensant; sic
aperti sepulchri fidem claudunt sacculo, ut negandae resurrectionis crimen nummis criminum
mercarentur. «Pecuniam», inquit, «copiosam dederunt militibus dicentes: Dicite quia discipuli
eius uenerunt nocte, et furati sunt eum nobis dormientibus. Et si praeses audierit, nos suadebimus
ei, et securos uos faciemus. At illi accepta pecunia fecerunt sicut erant docti, et diffamatum est
uerbum istud apud Iudaeos usque in hodiernum diem» (Mt. 28,12-15). «Apud Iudaeos»:
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È interessante notare anzitutto in questo brano, dopo la citazione mat-teana,
la domanda posta dal Crisologo - "Non forse presso i cristiani?" - che sembra
un'attualizzazione dell'espressione evangelica "Presso i Giudei". Essa può
indicare da un lato, da un punto di vista metodologico, il solito uso
crisologhiano della categoria giudei/cristiani; d'altro lato, guardando al
contenuto, la domanda risulta un espediente pastorale: il vescovo rivolge ai suoi
fedeli un quesito provocatorio sottintendendo, forse ironicamente, che l'antica
diceria giudaica non è poi così remota ed estranea, ancora oggi, alla comunità
dei credenti cristiani e quindi sottolineando la secolare fatica ad affermarsi da
parte della verità dell'annuncio cristiano della risurrezione di Cristo.
Inoltre, il commento crisologhiano sulla menzognera diceria di origine
giudaica circa la risurrezione di Cristo diventa sulle labbra del nostro autore,
come più volte abbiamo riscontrato nel sermonario, una sorta di dialogo diretto
e personale tra il vescovo cristiano e l'interlocutore giudeo, un interlocutore
presente fisicamente o almeno idealmente, comunque un destinatario, sia pure
indiretto, del discorso al popolo.
Infine, il secondo esempio portato, come del resto il primo, conferma l'esito
drammatico della morte di Cristo che, per Crisologo, è imputabile ai giudei. La
potenza di violenza e di sangue, sprigionate da quell'evento di morte, ricade
senza remissione sui figli d'Israele, di generazione in generazione.
Chiudiamo questa imbarazzante pagina del nostro studio che non ha potuto
evitare, anzi ha dovuto registrare ed ha voluto porre in rilievo anche l’aspetto
innegabilmente antigiudaico di alcuni tratti della predica-zione crisologhiana,
con una nota circa l’effetto positivo che il rifiuto e l’indurimento di Israele – per
esprimerci con linguaggio e idee paoline – porta agli altri popoli. È anche
questo un elemento, l’ultimo, da tenere presente a proposito di come è trattata,
nel sermonario, la complessa questione del rapporto tra i giudei e Cristo.
Citiamo in questo senso un bel passo del commento del nostro autore al passo
lucano del centurione di Cafarnao che invia le ambascerie a Gesù per la
guarigione del suo servo in fin di vita:
“Gesù, dice, andava con loro (Lc. 7,6), ma quelli non andavano con Gesù, con il
quale non andavano con l’animo; né erano con lui quelli che, separati nel cuore,
col corpo sembravano uniti. E ormai non essendo lontano (Lc. 7,6). Da chi? Dal
pagano. Quanto i Giudei si separavano da Cristo, tanto Cristo si univa ai pagani.
E quando ormai non era lontano, il centurione gli mandò degli amici (Lc. 7,6). Colui
che prima aveva mandato dei Giudei, ora manda degli amici, per indicare,
chiamando amici quelli, i nemici, come dimostra l’Apostolo quando dice: Nemici
per vostro vantaggio (Rom. 11,28). I Giudei, mentre erano invidiosi che i pagani
avessero creduto, perdettero tutto ciò che riguardava la Legge e la grazia. Gli
mandò degli amici (Lc. 7,6). Quali amici? Ascolta il Signore che dice agli apostoli:
numquid apud christianos? Iudaee, quod tu in Iudaea obscurabas auro, fide toto claruit et eluxit
in mundo. Discipuli receperunt, non furati sunt Christum; tu perfidiam comparasti, sed non
furatus es ueritatem. Iudaee, resurrexit Christus, tu pecuniam perdidisti. «Sanguis eius super nos
et super filios nostros» (Mt. 27,25). Iudaee, Christus uiuit, tu te et tuos posteros occidisti.
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Ormai non vi chiamerò più servi (Io. 15,15), ma amici. Come la fede promuove i
servi ad amici, così l’incredulità riduce i figli alla pena della schiavitù.”238
Si evince da questo passo l’esistenza, nell’approccio di Crisologo al problema
del rapporto tra i giudei e Cristo, di una teologia molto vicina a quella di s.
Paolo. Il rifiuto dei giudei a credere diviene opportunità per la fede dei gentili.
Non solo. Si può dire che per il nostro autore esiste un rapporto direttamente
proporzionale tra l’incredulità dei giudei e la fede dei pagani: Quantum Iudaei
seiungebantur Christo, Christus tantum gentibus iungebantur.
Siamo così giunti, dall’esame di numerosi testi sulla santità e la salvezza del
popolo eletto, a fare emergere dalla predicazione crisologhiana la concezione
che Pietro mostra di avere della natura profonda di Israele, sia nel rapporto tra
Cristo e il popolo giudaico, sia, in termini estremamente problematici, nel
doloroso rifiuto dei giudei nei confronti di Cristo. Abbiamo ottenuto una
descrizione abbastanza completa su come Crisologo intenda la natura del
popolo eletto di fronte a Dio. Passiamo ora, sulla scorta delle pagine precedenti,
a descrivere come il nostro autore immagina il rapporto del popolo - eletto alla
santità e alla salvezza di Cristo - con gli altri popoli, e quindi con il resto
dell’umanità.
CAPITOLO VI
ISRAELE DI FRONTE AGLI ALTRI POPOLI
1. Cristo e la Legge: due peculiarità
Dopo l’esame dei più importanti testi crisologhiani che ci descrivono la
natura profonda, l’identità del popolo giudaico così come viene definita di fronte
a Dio, cioè a partire dal punto di vista di Dio, di Gesù Cristo, dello Spirito
Santo, e soprattutto dalla storia di santità e di salvezza che Dio stesso ha voluto
costruire con il suo popolo, ci volgiamo ora a considerare quei testi di Pietro nei
238 Serm. 102,5,49-60, PC II,286: «Iesus», inquit, «ibat cum illis» (Lc. 7,6), sed illi non
ibant cum Iesu, cum quo mente non ibant; nec cum illo erant, qui seiuncti corde corpore,
uidebantur adiuncti. «Et cum iam non longe esset» (Lc. 7,6). A quo? A gentili. Quantum Iudaei
seiungebantur Christo, Christus tantum gentibus iungebatur. «Et cum non longe esset, misit ad
eum centurio amicos» (Lc. 7,6). Qui ante miserat Iudaeos, nunc amicos mittit, ut illos dicendo
amicos indicet inimicos, probante hoc apostolo cum dicit: Inimici propter uos (Rom. 11,28). Iudaei
dum credidisse gentes inuident, quidquid erat et legis et gratiae perdiderunt. «Misit ad eum
amicos» (Lc. 7,6). Quos «amicos»? Audi ad apostolos dominum dicentem: «Iam non dicam uos
seruos» (Io. 15,15), sed amicos. Sicut fides seruos promouet in amicos, ita perfidia filios in
poenalem redigit seruitutem.
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quali vengono enucleate le conseguenze, gli effetti che la storia speciale degli
ebrei con il Dio d’Israele comporta al momento dell’inevitabile impatto del
popolo eletto con gli altri popoli, globalmente con coloro che, a motivo della
stessa natura speciale del popolo giudaico, vengono da Israele implacabilmente
percepiti come altri.
Per fare questo nuovo passo della nostra ricerca, dobbiamo da un lato tenere
ben presente quanto si è notato circa quella che, secondo il nostro autore, un
vescovo cristiano del V secolo, è la vera origine, la motivazione radicale della
diversità del popolo giudaico: Israele è diverso a motivo del rapporto che Cristo,
il Figlio di Dio, ha instaurato con lui sia nella storia delle origini, al momento
della creazione di Adamo e Eva, sia nello svol-gersi, a volte apparentemente
imprevisto e tormentato, della storia della salvezza, soprattutto attraverso
Abramo, Mosè e gli altri profeti, sia nella pienezza dei tempi, mediante gli
eventi misteriosi dell’incarnazione e della risurrezione dai morti. Su questo
punto, come si è ampiamente rilevato, Crisologo mostra tutta la forza e la
naturalezza di una riflessione teologica veramente cristiana sul mistero
d’Israele, sul posto unico e irripetibile che il popolo giudaico viene ad assumere
all’interno del disegno provvi-denziale di Dio, anche se possono non mancare –
e le abbiamo notate – variazioni significative della predicazione crisologhiana
sul tema dell’ele-zione degli ebrei, e perciò flessioni, segnali vistosi di una
elaborazione complicata, direi dolorosamente tormentata, del rapporto dei
giudei con Gesù di Nazaret.
D’altro lato, per procedere nel nostro studio, occorre premettere all’analisi
dei Sermoni crisologhiani dai quali emergono elementi signifi-cativi del
rapporto dei giudei con gli altri, coi non giudei, un’esplorazione ulteriormente
chiarificatrice sul motivo della diversità del popolo di Israele rispetto a tutti gli
altri popoli. È soltanto a motivo di Cristo che, secondo Crisologo, i giudei sono
essenzialmente diversi dagli altri, in particolare dai pagani e dai cristiani?
Nel trattare quest’importante domanda, ci ritroviamo inevitabilmente di
fronte alla grande e grave questione della Legge, e di come i giudei si pongono
rispetto alla Legge. Anticipiamo subito che, secondo Pietro, i giudei non sono
diversi solo in ragione di Cristo. L’incarnazione del Figlio di Dio nella storia del
popolo eletto, nella stirpe di Israele, non abolisce il privilegio dell’elezione, la
primogenitura, per usare un’espressione biblica particolarmente significativa,
ma, al contrario, la conferma. La diversità degli ebrei, in sé e rispetto a tutti,
diversità che trova in Cristo, a livello teologico, la sua reale ragione d’essere,
nasce, a livello storico, sul Sinai, col dono supremo e insuperabile della Legge.
Analizziamo perciò, all’inizio di questo nuovo capitolo del nostro lavoro, in
che senso, secondo Crisologo, Israele è diverso dagli altri non soltanto in
ragione del dono di Gesù Cristo, ragione valida a livello teologico, ma
soprattutto a motivo del dono della Legge di Mosè, Legge storicamente
intervenuta prima della venuta del Messia.
2. Il popolo della Legge
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Prendiamo le mosse ancora una volta da un tratto del commento di Pietro alla
parabola lucana del figlio prodigo, alla quale, come si è già detto, il nostro autore
attribuisce un’importanza particolare, impegnandovisi per almeno cinque volte,
proprio all’inizio dell’attuale Collectio Feliciana.
I due figli, il maggiore e il minore, come si ricorderà, rappresentano
rispettivamente i giudei e i pagani, cioè il popolo eletto e tutti gli altri popoli.
Tale distinzione – in realtà una vera e propria separazione, per non dire una
radicale opposizione – si ritrova anche al momento di decifrare il significato
della divisione ereditaria tra i due figli:
“Dammi la parte del patrimonio che mi spetta (Lc. 15,12). E qual è questa parte?
Qual è? L’aspetto, la parola, la conoscenza, la ragione, il giudizio, doti che, a
preferenza di tutti gli altri esseri viventi, spettano all’uomo nella dimora terrena.
Questa è, secondo l’Apostolo, una legge di natura (cfr. Rom. 2,14-15). E perciò
divise tra loro la sostanza (Lc. 15,12), dando al più giovane queste cinque doti di
natura, che abbiamo detto, al più vecchio i cinque libri della Legge da scrivere
per ispirazione divina, mediante i quali la sostanza, disuguale nel merito, fosse
uguale nel numero, l’una seguisse un ordinamento umano, l’altra sussistesse per
disposizione divina; ed entrambe le leggi, tuttavia, conducessero entrambi i figli
alla conoscenza del Padre, li mantenessero nel rispetto del loro Creatore.”239
Troviamo qui l’idea di una necessaria distinzione tra legge naturale e Legge
mosaica240. La prima legge è la lex naturae: essa è costituita da cinque doti o
beneficia naturae (habitus, sermo, scientia, ratio, iudicium) ed è data in sorte ai
pagani. La seconda legge è la Legge mosaica: anch'essa è costituita da cinque
elementi, è formata cioè dai primi cinque libri della Bibbia, libri scritti divinitus,
ma, diversamente dalla prima, è assegnata ai giudei. Le due leggi, che hanno due
ordini differenti, il primo umano e il secondo divino, non sono tuttavia in
opposizione tra di loro: entrambe portano alla conoscenza e al rispetto
dell’unico Padre.
La caratteristica peculiare di Israele, rappresentato qui dal figlio maggiore, è
dunque l’eredità della Torah, i primi cinque libri di Mosè ai quali gli ebrei di
tutti i tempi attribuiscono un valore soprannaturale e assolutamente normativo,
anche all’interno del canone veterotestamen-tario. Secondo Pietro i libri del
Pentateuco sono divinitus inscribendi: con quest’espressione singolare si può
239 Serm. 5,3,31-40, PC I,74: «Da mihi portionem substantiae quae me contingit» (Lc.
15,12). Et quae est ista portio? Quae est? Habitus, sermo, scientia, ratio, iudicium, quae hominem
prae ceteris animantibus in terrena habitatione contingunt. Haec est, iuxta apostolum, lex naturae
(cfr. Rom. 2,14-15). Et ideo «diuisit illis substantiam» (Lc. 15,12), dando iuniori quinque ista
quae diximus beneficia naturae; seniori quinque legis libros diuinitus inscribendos, per quos
substantia inpar merito, numero par esset; humanum teneret ista ordinem, diuino illa subsisteret
instituto; utraque tamen lex filios utrosque ad notitiam patris duceret, ad reuerentiam sui seruaret
auctoris.
240 Ci discostiamo in proposito da quanto affermato da C. Truzzi in PC II,343, n. 3.
Per una storia del concetto di legge naturale e per una buona riflessione sintetica attuale
vedi A. Vendemiati, Legge naturale, in Rivista di teologia morale 31 (1999), pp. 295-301.
INDICI
225
intendere che sia Dio ad affidare tali libri al suo popolo o a Mosè, il mediatore,
perché li metta per iscritto, una compilazione fortemente condizionata – non si
può qui precisare ulterior-mente la natura e la misura del condizionamento –
dall’origine divina del mandato.
Nello stesso discorso, il nostro autore si dilunga a descrivere il dramma del
figlio primogenito che al ritorno dalla campagna trova già in svolgi-mento i
festeggiamenti per il fratello fuggito e ritornato:
“Ma il fratello maggiore, ma il figlio maggiore, venendo dal campo (cfr. Lc.
15,25) – popolo legale, la messe è molta, ma i mietitori sono pochi (Lc. 10,2) – ode la
musica nella casa paterna, ode le danze, e non vuole entrare. Vediamo questo
ogni giorno con i nostri occhi: infatti il Giudeo è venuto alla casa paterna, cioè
alla Chiesa; se ne sta fuori per gelosia, ascolta l’arpa davidica suonare, ascolta la
musica proveniente dal gruppo dei profeti, ascolta le danze dalla varia assemblea
dei popoli, e non vuole entrare per gelosia. Standosene fuori, mentre secondo i
costumi d’un tempo giudica il fratello pagano e ne prova orrore, si priva egli
stesso dei beni paterni, egli stesso si esclude dalle gioie del padre.”241
L’eredità della Legge diviene a tal punto la caratteristica speciale del popolo
di Israele che esso viene ad essere chiamato dal Crisologo populus legalis, "il
popolo della Legge". Sullo sfondo, ovviamente, si sente la teolo-gia paolina con
la nota opposizione tra chi ha ricevuto il privilegio straor-dinario del dono della
Legge e chi, invece, non lo ha ricevuto e perciò non lo conosce242.
3. Gli impegni e gli errori di Israele verso la Legge
Anche sul punto del rapporto instaurato dal popolo eletto rispetto alla
Legge, sarebbe possibile ricostruire, collegando i dati offerti disparata-mente
241 Serm. 5,7,118-127, PC I,78: Sed frater senior, sed senior filius ueniens ex agro (cfr. Lc.
15,25), populus legalis, «messis quidem multa, operarii autem pauci» (Lc. 10,2), audit in domo
patris symphoniam, audit choros, et introire non uult. Hoc cotidie oculis nostris intuemur; nam uenit
Iudaeus ad domum patris, id est, ad ecclesiam; stat foris per inuidiam, audit Dauiticam citharam
personare, audit ex conuentu prophetico symphoniam, ex populorum uario conuentu choros audit, et
introire non uult, per inuidiam. Stans foris, dum gentilem fratrem pristinis iudicat et horret ex
moribus, ipse se paternis bonis eximit, ipse se paternis excludit gaudiis.
242 Sull’importanza della Legge per gli ebrei e sulla problematicità della posizione
paolina riguardo ad essa è interessante, anche se estremamente dura, l’intr. di D. Flusser
allo studio di C. Thoma, Teologia cristiana dell’ebraismo (Christliche Theologie des Judentums,
Aschaffenburg 1978), trad. dal ted. di V. Danna. Intr. di D. Flusser, [Radici 3], Casale
Monferrato 1983. Sostanzialmente D. Flusser sostiene che i cristiani non hanno mai capito,
fino agli odierni tentativi di teologia cristiana dell’ebraismo, il valore decisivo che per gli
ebrei hanno la Legge e le sue osservanze, perché implacabilmente deviati, su questo punto,
dalla relativizzazione cristologica negativa che ne ha fatto Paolo nel Nuovo Testamento
(cfr. particolarmente le pp. XVIII-XX). Sulla questione del rapporto di Gesù con la Legge
cfr. J. Ratzinger, La Chiesa, Israele e le religioni del mondo, Alba 2000, pp. 14-23. Sulla
posizione di Paolo verso la Legge cfr. L. Ballarini, Paolo e il dialogo Chiesa - Israele. Proposta
di un cammino esegetico, Bologna 1997, pp. 69-71.
226
INDICI
nel sermonario, una vera e propria storia dell’umanità, segnata in una prima fase
dall’elezione di Israele e in una seconda dall’estensione, mediante il mistero di
Cristo, di tale elezione a tutti i popoli.
Ci limitiamo qui, mentre riflettiamo sulla diversità acquisita da Israele
davanti a tutti i popoli a motivo della Legge, ad una rapida rassegna delle
conseguenze impegnative e perciò anche degli errori o almeno dei rischi che il
dono della Legge produce nell’identità del popolo eletto.
La Legge è un’eredità preziosa, come abbiamo appena rilevato, un dono
impegnativo, totalmente assegnato alle gravi responsabilità umane dei giudei.
Nel pensiero di Crisologo, assolutamente biblico, troviamo in proposito
un’immagine chiarissima, quella del debito. Ogni eventuale dubbio circa il fatto
che la gratuità del dono divino della Legge non preveda impegni e interessi
dev’essere perciò dissolto. Nel commento della difficile pagina lucana
sull’amministratore disonesto, accusato di sperperare le sostanze del padrone, il
Pastore si sofferma lungamente sugli accordi e sulle frodi messe in atto
dall’impiegato per non cadere in un fallimento completo. E naturalmente,
giunto a spiegare la vera identità dei personaggi e della posta in gioco, dice che
l’amministratore è il cristiano convertito dal paganesimo, i debitori sono i giudei
e che il debito contrat-to è la Legge. Andando poi a precisare, mostra che Dio è
il creditore e i giudei sono i debitori; la Legge è la garanzia, la cauzione, il
documento scritto del contratto, dell’alleanza. Leggiamo il testo:
“Si reca dunque l’amministratore, un tempo pagano e ormai cristiano, dal primo
debitore del suo padrone. Chi è il debitore? Il Giudeo. E l’ammi-nistratore lo
interroga. Chiede che cosa debba e per quale somma, come se non sapesse la
misura del debito. L’esattore della garanzia la conosceva già mediante il Vangelo,
ma con tale domanda cercava il riconoscimento del debito. Alla fine il debitore
riconosce la qualità e la quantità del debito, dicendo: Cento barili d’olio (Lc. 16,6).
Perché non una libbra d’argento e d’oro? Perché non centodieci o novanta, ma
cento? Perché e dal debito e dal numero appaia chiaro il mistero celeste. Il
Giudeo doveva l’olio che, mediante la garanzia della Legge, aveva ricevuto quale
prefigurazione del crisma cristiano, per ungere i re, i profeti, i sacerdoti, in attesa
di giungere allo stesso principe dei re, dei profeti e dei sacerdoti, cui doveva
essere resa e riversata tutta la centenaria pienezza del crisma. Ma poiché il
debitore, contro l’attestazione della garanzia, aveva empiamente ucciso il
creditore per non restituire il debito, la stessa garanzia legale, cioè la Legge,
passò ai pagani, affinché il Giudeo, convenuto mediante il pagano - poiché aveva
mutato il debito in delitto - pagasse l’interesse del pentimento.”243
243 Serm. 126,7,81-97, PC III,22: Pergit ergo uillicus, gentilis quondam, iam christianus,
ad primum debitorem domini sui. Quem? Iudaeum. Interrogat debitorem. Quid quantumque
interrogat, quasi nesciat modum debiti. Portitor cautionis nouerat iam per euangelium, sed
interrogando taliter confessionem perquirebat. Denique et qualitatem et quantitatem debitor
confitetur dicens: «Centum cados olei» (Lc. 16,6). Quare non argenti uel auri pondus? Quare non
centum decem, aut nonaginta, sed centum? Vt et de debito et de numero caeleste luceat
sacramentum. Debebat Iudaeus oleum, quod per chirographum legis ad unguendos reges,
prophetas et sacerdotes christiani chrismatis acceperat in figuram, donec ad ipsum regum et
INDICI
227
Importa notare qui la dinamica del passaggio della Legge ai pagani,
passaggio avvenuto non come richiesto logicamente attraverso il paga-mento
del debito contratto ma mediante l’uccisione del creditore: i giudei hanno ucciso
il datore della Legge. Questa è passata alle genti, mentre a Israele è rimasto da
pagare l’interesse accumulato col debito.
Anche nel resto del suo commento, Pietro procede nella stessa interpretazione. Il debito del primo debitore giudeo è ridotto a cinquanta244, per
indicare la misericordia di Cristo:
“Il numero cinquanta indica la misericordia, mentre la Legge prescrive che il
cinquantesimo anno, cioè il Giubileo, annulli e sciolga i vincoli di tutti i debiti e
di tutti i contratti (cfr. Lev. 25,8-55). Dunque questo amministratore fa sì che
mediante la misericordia di Cristo sia meritevole il Giudeo, che in seguito alla
ricevuta della Legge era tenuto trafitto da debiti impagabili.”245
Il debito del secondo debitore giudeo è ridotto a ottanta, per indicare la
pienezza della grazia cristiana:
“Il numero ottanta è prefigurazione di tutta la fede e di tutta la grazia. Questo è il
numero che il lettore abbastanza esperto della Legge, abba-stanza studioso del
Vangelo comprende essere il decalogo della Legge e l’ogdoade della grazia.
Pertanto l’amministratore, quando parla, convince a saldare per mezzo della
grazia, scrivendo ottanta, il debito che non poteva restituire per mezzo della
natura. Giustamente, dunque, questo ammi-nistratore merita l’elogio del suo
padrone, perché nelle ricevute ha predisposto non una frode, ma la salvezza.”246
In questi testi emerge continuamente il valore della Legge come
“prefigurazione del crisma cristiano”, insieme agli inevitabili impegni che il
giudeo -- sostanzialmente diverso dai gentili proprio per il fatto di avere
ricevuto la Legge – deve assumersi verso di essa.
Il rapporto con la Legge non è solo impegnativo ma anche insidioso, irto di
prophetarum et sacerdotum principem perueniret, cui tota reddenda et infundenda erat centenaria
chrismatis plenitudo. Sed quia contra cautionis fidem debitor, ne debitum redderet, occidit inpius
creditorem, legalis ipsa cautio peruenit ad gentes, hoc est, lex, ut Iudaeus conuentus per gentilem,
quia debitum conuertit in crimen, poenitentiae soluat usuram.
244 Per il valore che i Padri della Chiesa assegnavano ai numeri durante l’esegesi
biblica cfr. A. Quacquarelli, Retorica patristica e sue istituzioni interdisciplinari, Roma 1995,
pp. 93-112.
245 Serm. 126,8,104-108, PC III,22: Quinquagesimus numerus patefacit misericordiam,
dum quinquagesimum annum, qui est iubileus, lex debitorum omnium, omnium contractuum
delere et soluere ligamenta perscribit (cfr. Lev. 25,8-55). Villicus ergo agit iste, ut per
misericordiam Christi idoneus sit Iudaeus, qui per cautionem legis insolubilibus confossus debitis
tenebatur.
246 Serm. 126,9,120-127, PC III,24: Numerus … octogesimus totam fidem praefigurat et
gratiam. Hic est numerus, quam decalogum legis esse et ogdoaden gratiae satis gnarus legis, satis
studiosus euangelii lector intellegit. Itaque uillicus suadet, cum dicit, ut scribendo debitum
octoginta per gratiam soluat, quod reddere non poterat per naturam. Bene ergo iste uillicus
meretur laudem domini sui, qui in chirographis non fraudem molitus est, sed salutem.
228
INDICI
difficoltà, pieno di rischi e non estraneo all’esperienza drammatica dell’errore,
addirittura del peccato. Il nostro autore non esita per questo ad equiparare un
certo approccio negativo con la Legge agli errori della filosofia pagana e delle
dottrine degli eretici247. Commentando per esempio l’inizio del Salterio,
Crisologo dice:
“E non si è seduto sulla cattedra dell’errore (Ps. 1,1). Approva l’empietà chi la
commette; chi la commette, la ama; chi l’ama, non può non insegnarla. Ecco
perché i maestri di empietà siedono sulla cattedra dell’errore, e con un discorso
dolce come il miele l’empietà sparge così negli ascoltatori il veleno di una
dottrina apportatrice di morte. Rese cattedra di errore la filosofia, che insegnò o
l’esistenza di molti dei o insegnò che Colui che esiste o non esiste o non può
essere trovato; che alla stessa natura creata diede la possibilità di negare l’Autore
della natura. Propose una cattedra dell’errore il fariseo che, anteponendo gli
insegnamenti umani (cfr. Mt. 15,3ss.; Mc. 7,6ss.) ai decreti celesti, diffuse una
vasta luce nel popolo dei Giudei. Siede sulla cattedra dell’errore l’eretico che,
sotto apparenza di fede, spezza, rompe, lacera l’unità della fede.”248
In questo passaggio, fortemente apologetico, Pietro denuncia il rischio,
tipicamente giudaico, e in special modo farisaico, di anteporre le tradi-zioni
umane ai decreti celesti (traditiones humanas decretis caelestibus). Anche Gesù non
esitava a lanciare tale accusa ai farisei e agli scribi che lo ascoltavano249. Nello
stesso tempo Crisologo non tace il valore innegabilmente illuminante del
patrimonio tradizionale dei farisei.
Altro rischio dei giudei nel loro rapporto con la Legge è una certa fiducia
che, diventando eccessiva, fa perdere di vista il senso dell’attesa del Messia e
soffoca, mediante cavilli legali, la possibilità della conoscenza di Cristo. Pietro
ne parla a proposito del fico che inganna producendo anzitempo i suoi frutti:
“Ma per ignoranza, mentre pongono la loro fiducia nell’intera Legge e non si
preoccupano dell’attesa di Cristo, non meritarono né di accogliere né di
riconoscere Cristo; e così furono ingannati dai cavilli legali, come il fico con i suoi
frutti, che non maturano, inganna gli inesperti. Ecco perché il Signore rimanda al
fico quelli che desiderano sapere il tempo della sua venuta, dicendo: Quando vedete
che il fico mette fuori i suoi frutti intempestivi, dite che è vicina l’estate. Anche voi,
247 Stiamo notando alcuni punti di contatto nella polemica crisologhiana verso i
giudei, verso gli eretici e verso i pagani. Secondo B. Blumenkranz Crisologo mette sullo
stesso piano giudei ed eretici: cfr. Blumenkranz, Les auteurs, p. 27.
248 Serm. 44,6,99-110, PC I,312: «Et in cathedra pestilentiae non sedit» (Ps. 1,1).
Impietatem probat qui facit; qui facit, amat; qui amat, non potest non docere. Hinc est quod
docentes impietatem, pestilentiae resident in cathedra, et sermone mellito uirus doctrinae letalis
audientibus sic defundit. Pestilentiae cathedram philosophiam posuit, quae docuit aut deos multos,
aut eum qui est uel non esse uel non posse docuit inueniri; quae ipsi creaturae naturae dedit ut
naturae negaret auctorem. Cathedram pestilentiae proposuit pharisaeus, qui traditiones humanas
(cfr. Mt. 15,3ss.; Mc. 7,6ss.) decretis caelestibus anteponens uastam lucem fudit populo Iudaeorum.
Cathedram pestilentiae haereticus sedet, qui, sub specie fidei, fidei scindit, rumpit, abstrahit
unitatem.
249 Cfr. Mc. 7,1.7-13.
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229
quando vedrete ciò che dico, sappiate che il regno di Dio è vicino (cfr. Lc. 21,29-31).
Vedete che il fico non indica gli avvenimenti presenti, ma quelli futuri.”250
Il giudeo è assimilato al pagano e all’eretico anche per il comune pericolo di
incorrere in varie forme di superbia. Commentando un cele-bre passo della
Lettera di s. Paolo ai Romani, Crisologo scrive:
“Giustificati, dunque, per la fede, abbiamo pace con Dio (Rom. 5,1). Ciò equivale a
dire: venga meno, venga meno la madre delle discordie, la nemica della
tranquillità, la contesa, avversaria della pace! Il Giudeo non si vanti per la Legge,
il pagano non monti in superbia per la natura, il filosofo lasci sbollire le sue
spumeggianti e vane opinioni. Nessuno si vanti dei propri meriti, nessuno delle
proprie opere, perché la pace divina ci ha comple-tamente restituito quella vita
che l’antica prevaricazione aveva eliminato e una folle contesa aveva allontanato
da noi. Dunque, abbiamo pace con Dio. La terra non si ribelli contro i cieli, la carne
non si sollevi contro lo spirito, ma umilmente si unisca alla gloria perenne della
pace superna.”251
Il vanto della Legge, che come nell’epistolario paolino diviene vanto dei
meriti e delle opere della Legge, dice tutta la seducente bellezza di un dono
divino stravolto dall’uomo: di qui l’appello del Crisologo alla ricerca di Dio
nell’umiltà e nella pace.
Per Pietro è al momento dell’incarnazione del Figlio di Dio che si rivela
massimamente la contraddittorietà della posizione del giudeo di fronte alla
Legge e scatta l’apertura definitiva della rivelazione di Dio ai gentili. Si prenda,
per esempio, la seguente sintetica formulazione, che si trova im-mersa in una
lunga sequenza di motivi addotti dal Pastore ravennate per giustificare la fuga
di Gesù Bambino davanti al pericolo di morte a causa della crudele persecuzione
di Erode:“Era venuto per allontanare il Giudeo dalla trasgressione della Legge.
250 Serm. 106,4,53-60, PC II,312: Ignari uero, dum fiduciam gerunt in lege tota, neque sunt
de Christi expectatione solliciti, neque suscipere Christum neque agnoscere meruerunt; et ita sunt
legalibus decepti flosculis, sicut nescios grossis suis decipit ficus. Hinc est quod dominus aduentus
sui tempora scire cupientes mittit ad ficum dicens: «Cum uideritis quia ficus producit grossos suos,
dicitis quia prope est aestas. Et uos cum uideritis haec quae dico, scitote quia prope est regnum
dei» (cfr. Lc. 21,29-31). Videtis quia ficus non signat praesentia, sed indicat sic futura.
251 Serm. 110,5,39-48, PC II,334: «Iustificati igitur ex fide, pacem habeamus ad deum»
(Rom. 5,1). Hoc est dicere: desinat, desinat mater dissensionum, hostis quietis, pacis inimica
contentio! Non extollatur Iudaeus per legem, gentilis non superbiat per naturam, philosophus ab
opinionibus suis spumosis et inanibus detumescat. Nemo de meritis, nemo de operibus glorietur,
quia uitam, quam praeuaricatio prima substulerat, et elongauerat a nobis furiosa contentio,
restituit et reddidit pax diuina. «Pacem» ergo «habeamus ad deum». Terra non rebellet in
caelos, caro non insurgat in spiritum, sed supernae pacis humilis perpetem iungatur ad gloriam.
Riguardo all’ultima espressione di questo testo crisologhiano, che può essere intesa come
un’accusa di carnalità rivolta al giudeo oltre che al pagano, si veda soprattutto la ricerca
di P.C. Bori che studia il ruolo svolto nella polemica cristiana antigiudaica dal concetto
carne/spirito: P.C. Bori, Il vitello d’oro. Le radici della controversia antigiudaica, [Ricerche
italiane], Torino 1983, special-mente il cap. 2 (Carnalità ebraica), pp. 33-54.
230
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Era venuto per avviare alla fede i pagani.”252
Ma è specialmente nella morte di Cristo che si rende evidente il rapporto
sbagliato di Israele verso la Legge: gli errori e i peccati del popolo della Legge
convergono nella direzione della morte violenta del Figlio di Dio, nella sua
uccisione. Crisologo lo spiega chiaramente nel commento del passo lucano della
donna che ha perduto la dramma. Dopo aver detto che Cristo stesso è la
dramma perduta dalla Sinagoga e ritrovata dalla Chiesa253, denuncia i peccati di
Israele verso la Legge, passando in rassegna alcuni comandamenti del
Decalogo:
“Sia ora chiaro che questa verità si trovava già nel Decalogo: Ascolta questo, dice, o
Israele: il Signore Dio tuo è un Dio solo (Dt. 6,4; Mc. 12,29). La Sinagoga, mentre
non vede nel Figlio questa verità, la perde nel Padre; mentre non crede in Cristo,
crocifigge Cristo e lo fa morire; ben a ragione a questa affermazione segue
conseguentemente nel Decalogo: Non ucciderai (Ex. 20,13; Dt. 5,17). Perciò,
mentre il Giudeo tronca dal capo la serie stessa dei comandamenti, risultò
omicida della Legge prima di esserlo di Cristo. Perciò ritorse su Cristo anche
tutto il corpo: Non ucciderai, non commettere atti impuri (Ex. 20,13-14; Dt. 5,17-18).
È stata condannata la Sinagoga che, insieme agli dei dei pagani, respinge Cristo,
il quale, messo da parte il potere sovrano, era disceso verso di lei con affetto di
sposo. Non ruberai (Ex. 20,15; Dt. 5,19). Rubò la risurrezione del Signore, in
quanto diede una somma ai soldati (cfr. Mt. 28,12-15), perché seppellissero e
occultassero la verità della risurrezione. Non dirai falsa testimonianza (cfr. Ex.
20,16; Dt. 5,20). Essa è quella che si procurò falsi testimoni (cfr. Mt. 26,60 e
parall.) per adempiere la profezia: Sorgendo testimoni iniqui, mi chiedevano ciò che
ignoravo (Ps. 34,11). E in realtà in altro modo non avrebbe potuto far arrestare
l’Autore della verità, perché la sola falsità combatte sempre la verità.”254
Si noti che per Crisologo la Sinagoga “risultò omicida della Legge prima di
esserlo di Cristo”. La ribellione verso Cristo – che assimila, ancora una volta, i
giudei ai pagani – è prima di tutto ribellione verso la Legge. A nulla vale
252 Serm. 151,4,49-50, PC III,174: Vt ueniret Iudaeus uenerat de contemptu legis. Venerat
introducere ad fidem gentes.
253 Cfr. serm. 169,4,48-56, PC III,274.
254 Serm. 169,5,57-72, PC III,274: Hoc fuisse in decalogo iam patescat. «Audi», inquit,
«istud, Israel: dominus deus tuus deus unus est» (Dt. 6,4; Mc. 12,29). Hoc synagoga dum non
uidet in filio, amittit in patre; dum non credit in Christo, Christum letaliter crucifigit; cui merito
per decalogum consequenter sequitur: «Non occides» (Ex. 20,13; Dt. 5,17). Siquidem dum
Iudaeus ipsam mandatorum seriem capite detruncat, antequam Christi, legis extitit homicida.
Vnde et totum corpus retorsit in Christum. «Non occides, non moechaberis» (Ex. 20,13-14; Dt.
5,17-18). Damnata est synagoga, quae iuncta diis gentium reppulit Christum, qui seposita
potestate dominantis, coniugis ad eam descendit affectu. «Non furtum facies» (Ex. 20,15; Dt.
5,19). Furata est dominicam resurrectionem, quae pretium militibus (cfr. Mt. 28,12-15) dedit, ut
resurrectionis infoderet et occuleret ueritatem. «Non falsum testimonium dices» (cfr. Ex. 20,16;
Dt. 5,20). Haec est quae conquisiuit falsos testes (cfr. Mt. 26,60 et parall.), ut impleret illud:
«Exurgentes testes iniqui, quae ignorabam interrogabant me» (Ps. 34,11). Et reuera aliter
tradere non poterat ueritatis auctorem, quia semper sola inpugnat falsitas ueritatem.
INDICI
231
l’affetto del Cristo sposo e la sua risurrezione, soffocata nella menzogna.
Conclusivamente, si può ritenere che per il nostro autore l’errore più grave del
popolo della Legge non è stato soltanto il rifiuto di credere a Cristo – e perciò la
sua uccisione – ma anche, ed in certo senso principal-mente, la ribellione verso la
Legge, il cui vero senso era ed è di preparare l’attesa e la venuta del Messia, di
predisporre il popolo all'incontro con lui. Israele non ha sopportato la diversità
che il rapporto con la Legge e il rapporto con Cristo gli assegnavano tra tutti i
popoli, non ha retto l’elezione di Dio che lo voleva sua speciale proprietà. Il
dramma del popolo eletto è stato il rifiuto delle conseguenze della sua stessa
elezione.
4. Israele di fronte agli altri popoli
Sulla identità del popolo eletto di fronte agli altri popoli255 uno dei passi
crisologhiani in definitiva più chiari ed espliciti si trova nel lungo commento di
Pietro alla già citata parabola del figlio prodigo:
“Aveva due figli, cioè due popoli: il popolo giudaico e quello pagano; ma con la
saggezza della Legge rese maggiore il popolo giudaico, mentre rese minore
quello pagano con la stoltezza del paganesimo, perché, come la sapienza rende
anziani, così l’insipienza elimina ogni qualità propria dell’uomo. Dunque i suoi
costumi, non la sua età, resero più giovane questo popolo; invece, non i tempi
trascorsi, ma i sentimenti fecero l'altro più anziano.”256
Da questo testo, come da altri, si evince con nettezza che la Legge data al
popolo giudaico non produce soltanto la diversità dei giudei rispetto ai gentili,
ma anche la loro superiorità, espressa qui non tanto e non solo dall’età del
fratello maggiore, ma dalla diversità dei costumi (mores) e, soprattutto, dalla
sapientia, dalla prudentia legis. Si deve inoltre notare, in queste parole del Pastore
ravennate, una certa opposizione tra sapientia e insipientia, tra prudentia legis e
stultitia paganitatis, insomma tra il popolo giudaico e il popolo gentile. Crisologo
non perde infine l’occasione per sottolineare che la superiorità della Legge è
schiacciante perché la stoltez-za porta alla disumanità, come la drammatica
storia di perdizione del figlio prodigo dimostra senza mezzi termini,
255 Il tema è squisitamente biblico. «Nel momento stesso in cui Dio sceglie un popolo
come suo prediletto, gli altri popoli sono esclusi dall’elezione. Il popolo di Dio appare così
di fronte agli altri popoli. Del rapporto del popolo eletto con gli altri popoli la prima cosa
da cogliere è il suo impegno ad isolarsi, a non contaminarsi con i popoli pagani. L’idea di
separazione è particolarmente sottolineata dalla tradizione elohista.»: M. Cimosa,
Popolo/popoli, in Nuovo Dizionario di teologia biblica, a cura di P. Rossano, G. Ravasi, A.
Ghirlanda, (Cinisello Balsamo 1988), p. 1194.
256 Serm. 5,2,19-25, PC I,72: Duos filios habuit, duos scilicet populos: Iudaicum gentilemque,
sed Iudaeum seniorem prudentia legis fecit, gentilem paganitatis stultitia reddidit iuniorem; quia
sicut sapientia dat canos, ita quidquid uiri est tollit insipientia. Hunc ergo iuniorem mores
praestitere, non aetates; seniorem illum non tempora fecerunt esse, sed sensus.
232
INDICI
descrivendolo inferiore ai porci257.
Ci sono dei casi nei quali la diversità e la superiorità di Israele nei confronti
degli altri popoli emerge in modo più impellente e si impone con forza. Un
esempio molto significativo è, in proposito, quello degli egiziani, anche per
evidenti ragioni di tipo storico e teologico: Israele ha di fatto acquisito la
coscienza di essere un popolo di persone libere, anzi il popolo di Dio, mediante
la liberazione dalla schiavitù egiziana. Il nostro autore, commentando la fuga
della sacra famiglia di Nazaret in Egitto, si esprime così:
“Prendi il bambino e sua madre e fuggi in Egitto (Mt. 2,13). Fuggi in Egitto, dai tuoi
presso stranieri, dai santi presso sacrileghi, dal tuo tempio ai santuari dei demoni,
alla patria degli idoli dal paese dei santi. Non basta l’ampiezza della Giudea, è
troppo angusta perfino la vastità del mondo, il penetrale del tempio non è in
grado di contenervi, la folla dei sacerdoti è insufficiente a proteggervi, non può
nascondervi la pur numerosa parentela; perciò l’empio Egitto è assunto quale
nascondiglio della Divinità. La situazione è urgente a tal punto che non c’è il
tempo di considerare la verecondia della Vergine, la fatica della madre, il pudore
del sesso, il pericolo di Giuseppe, l’angoscia per la grande distanza, la rovina di
tutta la casa e, cosa più dura di tutte, il fatto che dei Giudei avrebbero
soggiornato tra i pagani, con i quali non esiste per loro comunanza, anzi una
profonda divisione per la trasgressione della Legge.”258
In questo importante passo del Sermone 151 Pietro porta una serie di
motivazioni che, dal punto di vista meramente umano, potrebbero
eventualmente rappresentare, agli occhi dei genitori di Gesù, delle validissime
obiezioni alla decisione della partenza per l’Egitto. Si deve prendere atto che
Pietro, nella sequenza delle ragioni umane adducibili, dà particolare rilievo a
quella che, appositamente, cita per ultima, introducendola con un rilievo tutto
speciale (et quod his durius): il problema maggiore che il trasferimento in Egitto
comporta è l’inevitabile convivenza degli ebrei Gesù, Giuseppe e Maria con i
pagani. È chiaro che il senso globale dell’esegesi del Crisologo è mostrare lo
stupore della nuova incarnazione del Figlio di Dio che non disdegna, anzi
sceglie, per la provvidenza misteriosa del Padre, di andare ad abitare presso gli
egiziani che sono indubitabilmente stranieri, sacrileghi, demoniaci, idolatri,
257 In Pietro sarebbe da analizzare a fondo il rapporto tra Legge e Vangelo, tema
ignorato da W.B. Palardy, nel suo lavoro. In realtà, a nostro modesto avviso, alla
superiorità della Legge nei confronti della cultura pagana, sembra corrispondere la
superiorità del Vangelo nei confronti della Legge.
258 Serm. 151,2,14-25, PC III,172: «Accipe puerum et matrem eius, et fuge in Aegyptum»
(Mt. 2,13). In Aegyptum fuge, a tuis ad extraneos, ad sacrilegos a sanctis, a templo tuo ad
daemonum fana, ad idolorum patriam a regione sanctorum. Sic Iudaeae non sufficit latitudo, sic
angustatur saeculi diffusa possessio, non capit secretum templi, sacerdotalis turba non sufficit, non
abscondit numerositas inuestigabilis cognatorum, ut ad deitatis latebras profana Aegyptus
conducatur. Sic res urget, sic non uacat intueri uerecundiam uirginis, laborem matris, sexus
pudorem, periculum Ioseph, longinquitatis angorem, exitium totius domus, et quod his durius,
Iudaeos peregrinaturos in gentibus, quibus nec ipsis est communio, immo est profundum legis
transgressione naufragium.
INDICI
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profa-ni. Ma in particolare non può sfuggire la coscienza che il nostro autore
mostra di avere della identità di una famiglia giudaica che per ragioni politiche
fugge all’estero259. Tale identità, tutta fondata sul valore assoluto assegnato alla
Legge (est profundum legis transgressione naufragium), è pericolosamente posta in
discussione dall’ambiente straniero.
Nel seguito dello stesso discorso, il Pastore ravennate passa anche in
rassegna le reali ragioni che giustificano la fuga del Signore in Egitto. Per noi è
importante raccogliere l'ultima, con la quale si chiude l’omelia:
“E il fatto che sia fuggito in Egitto, risale a un’altra causa; fuggì in Egitto per
punire l’incredulità dei Giudei con la fede dei pagani; infatti l’Egitto accolse con
riguardo il suo Signore che la Giudea aveva fatto fuggire, per mostrare nella
propria immagine che la Chiesa doveva essere anteposta alla Sinagoga, i pagani
ai Giudei.”260
Questo testo, insieme ad altri già citati nel corso del presente lavoro, ci fa
vedere come per Pietro l’avvento di Cristo, che richiede di essere accolto, diventi il
momento principale nel quale, nascendo il rifiuto definitivo da parte giudaica, ha
origine l’apertura dei gentili alla fede. Il commento crisologhiano rileva qui un
elemento paradossale, che dovrebbe scuotere violentemente la coscienza del
giudeo che vi prestasse attenzione: è proprio l’Egitto, l’empio e idolatrico Egitto
che teneva schiavo Israele, ad accogliere Cristo che il popolo giudaico ha fatto
fuggire!
Ritroviamo analoghe considerazioni in altre riflessioni di Crisologo, ancora
su un episodio dei Vangeli dell’infanzia. Si tratta del caso emble-matico dei
Magi, al quale il nostro autore dedica diversi discorsi. Leggiamo in proposito un
testo altamente significativo, che conferma e sviluppa quanto appena rilevato:
“Ecco dei Magi vennero dall’Oriente (Mt. 2,1). I Magi vengono dall’Oriente
all’Oriente, perché Colui che aveva ordinato loro di venire potesse accoglierli alla
loro venuta. Quando, infatti, un mago cercherebbe Dio se non per ordine di Dio?
Quando un astrologo avrebbe trovato il Re del cielo se non per rivelazione
divina? Quando senza l’intervento divino adorerebbe l’unico Dio sulla terra il
Caldeo, che serviva in cielo a tanti dei quante sono le stelle? Il segno celeste
riguarda i Magi piuttosto che la stella, perché il mago conosce il Re della Giudea,
259 Si noti anche nel seguente testo (serm. 50,3,34-41, PC I,344-346) come Pietro
presenta il mistero dell’incarnazione, insistendo sull’umanità della patria e sulla
assunzione della cittadinanza giudaica: «Ascendit», inquit, «in nauiculam, et trans-fretauit, et
uenit in ciuitatem suam» (Mt. 9,1). Creator rerum, orbis dominus, postea quam se propter nos
nostra angustauit in carne, coepit habere humanam patriam, coepit ciuitatis Iudaicae esse ciuis,
parentes habere coepit parentum omnium ipse parens, ut inuitaret amor, adtraheret caritas,
uinciret affectio, suaderet humanitas, quos fugarat dominatio, metus disperserat, fecerat uis
potestatis extorres.
260 Serm. 151,8,85-89, PC III,176: Et quod ad Aegyptum fugit, aliam procedit ad causam:
fugit ad Aegyptum, ut perfidiam Iudaeorum per fidem gentium castigaret, nam dominum suum,
quem Iudaea fugarat, Aegyptus obsequenter excepit, ut ecclesiam synagogae, Iudaeis gentes
anteponendas in fide suam panderet in figuram.
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INDICI
l’Autore della Legge, mentre il Giudeo li ignora; la Caldea li onora, mentre non li
onora la Giudea; Gerusalemme li avversa e li fugge, mentre la Siria li segue e li
adora.”261
I Magi, astrologi orientali che per Pietro sono originari della Caldea o della
Siria, vengono in questo passo descritti come idolatri e politeisti al pari degli
egiziani, dei quali abbiamo appena parlato. Questi misteriosi e affascinanti
personaggi, ai quali il nostro autore dedica molte pagine dei suoi commenti per
esaltarne soprattutto la fede adorante, sono guidati dalla stella a fare ciò che i
giudei rifiutano di fare. Il loro esempio di obbe-dienza all’ordine di Dio, di
docilità alla guida della stella, di disponibilità alla ricerca del Re della Giudea, di
conoscenza dell’Autore della Legge, di onore, sequela e adorazione viene a
costituire il giudizio del giudeo che, al contrario, ignora, non onora, anzi
avversa e fugge invece di essere favore-vole e venire ad adorare. Troviamo in
questa antica memoria della visita dei Magi non tanto una lode indiretta –
insolita, per non dire sostan-zialmente assente, nelle prediche del Crisologo –
della sapienza umana quanto piuttosto un’esaltazione ammirata dell’iniziativa
misteriosa di Dio, vero e provvidente regista delle ricerche e dei viaggi di coloro
che si lasciano illuminare dalla sua luce divina: è Dio che ordina il viaggio dei
Magi, è lui che comanda loro di cercare, è lui che si rivela, è ancora lui che rende
possibile l’adorazione da parte di politeisti idolatri, è finalmente lui stesso,
l’Oriente, ad accogliere al loro arrivo gli orientali.
Conclusivamente, si può ritenere che le condizioni di diversità e di
superiorità del popolo giudaico rispetto a tutti gli altri popoli, condizioni legate
storicamente al primato assoluto assegnato alla Legge, sono venute meno
quanto alla loro funzione teologica di preparazione dell’appunta-mento del
popolo eletto col Messia. Nella concezione di Pietro questo appuntamento è
rimasto regolarmente fissato ed è avvenuto: i giudei sono stati sostituiti dai
gentili, che nonostante la loro origine pagana - nel senso di appartenenza a
religioni mondane, politeistiche e idolatriche – hanno avuto accesso a Cristo
mediante la fede. Il rifiuto dell’appuntamento da parte dei giudei non è però solo
la conseguenza di un errore umano e fatale. Per Crisologo si tratta invece di un
fatto legato al piano stesso di Dio, che rivendica a sé il diritto di convocare tutti
i popoli all’adorazione del suo Figlio.
5. Israele insieme agli altri popoli
Chiudiamo il nostro sguardo su quanto il nostro autore dice riguardo
261 Serm. 156,6,62-70, PC III,198-200: «Ecce magi ab oriente uenerunt» (Mt. 2,1). Ab
oriente ad orientem ueniunt magi, ut susciperet uenientes ipse qui iusserat ut uenirent. Quando
enim deum magus nisi deo iubente perquireret? Quando regem caeli nisi reuelante deo astrologus
inuenisset? Quando unum deum sine deo Chaldeus adoraret in terra, qui in caelis diis tantis
quantis sideribus seruiebat? Plus caeleste de magis quam de stella signum est, quod Iudaeae
regem, quod legis auctorem magus scit, nescit Iudaeus, Chaldea defert, non defert Iudaea,
Hierosolima auersatur, refugit, Syria sequitur et adorat.
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all’identità del popolo eletto di fronte agli altri popoli, tentando ora di rilevare e
valutare una prospettiva felicemente universalistica che il sermo-nario
crisologhiano ci attesta in più punti. Israele non è solo di fronte agli altri
diverso e superiore, né soltanto ha perduto il posto avendo mancato
all’appuntamento col Messia. I gentili non sono esclusivamente politeisti e
idolatri né hanno semplicemente sostituito i giudei occupando il loro posto.
Nella visione del Crisologo c’è, al contrario di quanto queste affer-mazioni, pur
vere, possono indurre a pensare, tutto un dinamismo e un intreccio di parti e di
ruoli, c'è un movimento cosmico che coinvolge realmente l’umanità intera di
tutti i tempi. Nella sua prospettiva, anche su questo punto profondamente
biblica262, i giudei e i pagani, che talvolta non si comprendono e addirittura si
ostacolano, hanno invece il compito di incontrarsi e favorirsi reciprocamente,
cooperando in modo suggestivo gli uni alla fede e alla salvezza degli altri.
Dobbiamo ammettere di trovarci qui in uno snodo altamente significativo del
pensiero crisologhiano, che, rianimando nella direzione della speranza, viene a
controbilanciare le pagine imbarazzanti e tetre dove leggiamo violenti
anatematismi all’in-dirizzo dei giudei.
Abbiamo già rilevato numerosissimi passaggi delle prediche crisologhia-ne in
cui sono visti insieme, e dialetticamente, i giudei e i pagani. Richia-miamo il più
noto, tratto dal commento di Pietro alla parabola del figlio prodigo, che
rappresenta le genti, mentre il fratello maggiore rappresenta i giudei:
“Ma il fratello maggiore, ma il figlio maggiore, venendo dal campo (cfr. Lc.
15,25) – popolo legale, la messe è molta, ma i mietitori sono pochi (Lc. 10,2)– ode la
musica nella casa paterna, ode le danze, e non vuole entrare. Vediamo questo
ogni giorno con i nostri occhi: infatti il Giudeo è venuto alla casa paterna, cioè
alla Chiesa; se ne sta fuori per gelosia, ascolta l’arpa davidica suonare, ascolta la
musica proveniente dal gruppo dei profeti, ascolta le danze dalla varia assemblea
dei popoli, e non vuole entrare per gelosia. Standosene fuori, mentre secondo i
costumi d’un tempo giudica il fratello pagano e ne prova orrore, si priva egli
stesso dei beni paterni, egli stesso si esclude dalle gioie del padre. Quanto alle sue
parole: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e non
mi hai dato mai un capretto (Lc. 15,29), abbiamo detto già che conviene tacere
piuttosto che parlare, perché il Giudeo parla, e sono parole non di uno che opera,
ma che è gonfio di superbia. Il padre esce e dice al figlio: Figlio, tu sei sempre con
me (Lc. 15,31). In che modo? Attraverso Abele, Enoc, Sem, Noè, Abramo, Isacco,
Giacobbe, Mosè e tutti i santi, attraverso i quali deriva la generazione giudaica,
di cui abbiamo letto nel Vangelo, quando dice: Abramo generò Isacco, Isacco generò
262 Nella Bibbia «appare anche la coscienza che Israele ha sempre avuto di essere
stato creato a favore degli altri popoli. Lo strato più antico del Pentateuco è dovuto allo
Jahwista, che si può definire “il teologo della salvezza universale”. Esso vuole dimostrare
che la storia di Israele è una storia di salvezza per tutta l’umanità… Se si guarda alla
rivelazione biblica nel suo insieme ci si accorge che questa è stata sempre la pedagogia di
Dio: scegliere un popolo per portare la salvezza a tutti gli uomini. L’elezione di Israele
non è tanto un privilegio di alcuni quanto un com-pito a favore di tutti.»: M. Cimosa, op.
cit., pp. 1194-1195.
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Giacobbe (Mt. 1,2). E tutti i miei beni sono tuoi (Lc. 15,31). In che modo? Perché per
te è la Legge, per te è la profezia, per te il tempio, per te il sacerdozio, per te i
sacrifici, per te il regno, per te – e questo vale più di tutto – è nato Cristo. Ma
poiché tu per gelosia vuoi lasciare alla perdizione tuo fratello, non sei degno di
avere i banchetti paterni, le gioie paterne.”263
Lo spettacolo triste e quotidiano (cotidie) che il Pastore non esita a
sottoporre all’attenzione dei fedeli che lo ascoltano, rappresentato plasticamente dalla terribile scena evangelica, su questo aspetto particolarmente
amplificata dal commentatore, serve a denunciare l’ostacolo principale
all’ingresso dei giudei nella comunità cristiana: l’invidia.
Abbiamo visto che su questo punto Pietro non risparmia critiche anche
severe ai suoi interlocutori ebrei. L’intento, tuttavia, non è meramente
accusatorio. Si può facilmente vedere in questi testi sia il desiderio di
giustificarsi, da parte cattolica, circa la mancata conversione dei giudei al
cristianesimo264, sia l’invito rinnovato a non chiudere per sempre la possibilità
di un cambiamento di rapporti. Inoltre, in più di un caso si può rilevare che le
denuncie e le accuse rivolte dal Crisologo ai giudei vanno effettivamente intese
all’indirizzo stesso dei fedeli che stanno ascoltando la predica del loro vescovo.
Non è infatti da dimenticare l’intento pastorale dei Sermoni crisologhiani.
263 Serm. 5,7,118-141, PC I,78: Sed frater senior, sed senior filius ueniens ex agro (cfr. Lc.
15,25), populus legalis, «messis quidem multa, operarii autem pauci» (Lc. 10,2), audit in domo
patris symphoniam, audit choros, et introire non uult. Hoc cotidie oculis nostris intuemur; nam
uenit Iudaeus ad domum patris, id est, ad ecclesiam; stat foris per inuidiam, audit Dauiticam
citharam personare, audit ex conuentu prophetico symphoniam, ex populorum uario conuentu
choros audit, et introire non uult, per inuidiam. Stans foris, dum gentilem fratrem pristinis
iudicat et horret ex moribus, ipse se paternis bonis eximit, ipse se paternis excludit gaudiis. Quod
autem dixit: «Ecce tot annis seruio tibi, et numquam mandatum tuum praeteriui, et numquam
dedisti mihi haedum» (Lc. 15,29), tacendum potius quam loquendum esse iam diximus; quia
Iudaeus loquitur, et non facientis uerba sunt, sed tumentis. Pater egreditur, et dicit filio: «Fili, tu
semper mecum es» (Lc. 15,31). Quomodo? Per Abel, per Enoch, per Sem, per Noe, per Abraham,
per Isaac, per Iacob, per Moysen, per omnes sanctos, per quos Iudaica generatio in euangeliis lecta
diriuatur, cum dicit: «Abraham genuit Isaac, Isaac genuit Iacob» (Mt. 1,2). «Et omnia mea tua
sunt» (Lc. 15,31). Quemadmodum? Quia tibi lex, tibi prophetia, tibi templum, tibi sacerdotium,
tibi sacrificia, tibi regnum, tibi — quod supra omnia — natus est Christus. Sed quia tu per
inuidiam perdere uis fratrem, paternas epulas, patris gaudia, dignus es non habere.
264 È stato osservato che nei secoli IV e V ad una grande attività evangelizzatrice
verso i pagani non è corrisposto un analogo impegno ecclesiale verso i giudei. Le
conversioni dal giudaismo al cristianesimo sono stati fatti per lo più isolati e quasi
sempre di singole persone, legati ad avvenimenti pubblici straordinari, come l’esempio
dell’imperatore Costantino, la scoperta della reliquia della croce, il fallimento del
tentativo della ricostruzione del tempio di Gerusalemme da parte di Giuliano l’Apostata.
Tra i Padri, Ambrogio ha mostrato particolare interesse per una più intensa opera di
cristianizzazione dei giudei. Contestualmente altri scrittori cristiani, come Gregorio di
Elvira, Agostino, Leone I e Cesario di Arles hanno incominciato a presentare
l’interpretazione teologica dell’inconvertibilità di Israele. Cfr. K. Baus - E. Ewig, L'epoca,
pp. 240-244.
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In questo senso possiamo vedere, per esempio, come Pietro commenta
l’insegnamento di Gesù sulla toppa di stoffa e sul vino da versare non in otri
vecchi ma in otri nuovi:
“Il Signore aggiunse queste parole: Nessuno mette una toppa di stoffa greggia su un
vestito vecchio (Mt. 9,16). Intende dire che il corredo dell’antica Legge era
logorato dalle attenzioni giudaiche, corrotto nei sentimenti, diviso in partiti,
sordido per azioni impure. Chiama stoffa greggia la veste del Vangelo. Ma
ascolta di che stoffa si tratta: non è la parte di uno strappo, ma l’inizio della
tessitura. Allora, infatti, per la prima volta veniva tessuta la tela della veste
regale con la lana di Cristo, con la lana che dava l’agnello, l’agnello di Dio che
toglie i peccati del mondo (Io. 1,29). Era tessuta la veste regale che il sangue della
passione avrebbe tinto con lo splendore della porpora. Giustamente, dunque,
Cristo vietava d’inserire questa stoffa greggia nella vecchiaia giudaica, perché lo
strappo non diventasse più grande, se la novità cristiana avesse lacerato la
vecchiaia giudaica. E raddoppia l’esempio dicendo: Non si può mettere vino nuovo in
otri vecchi, altrimenti gli otri si rompono e il vino si versa e gli otri andranno perduti.
Ma mettono il vino nuovo in otri nuovi, ed entrambi si conservano (Mt. 9,17). Chiama
otri vecchi i Giudei, otri nuovi i cristiani; perché, come gli otri sono ripuliti da
ogni sporcizia delle pelli e sono spalmati con pigmenti profumati, perché possano
conservare intatto il sapore del vino, così i corpi umani mediante i digiuni sono
purificati da ogni sporcizia delle colpe carnali e diventano otri predisposti per i
torchi divini, per ricevere dal torchio della croce il vino nuovo, conservandone
incorrotta la novità. Ma come i cristiani lo ricevono, così, se non saranno
diventati cristiani, non lo avranno i Giudei che, corrotti dai vizi e invecchiati nei
mali, nel caso che abbiano ricevuto il vino nuovo, che è la parola del Vangelo, si
rompono e lo versano. Bisogna riconoscere, dunque, che Cristo, attraverso questi
esempi, non volle che i suoi discepoli non digiunassero, ma volle che non
mescolassero al digiuno vero quello fraudolento.”265
265 Serm. 31,4-5,65-93, PC I,234-236: Adiecit dominus dicens: «Nemo immittit commissuram panni rudis in uestimentum uetus» (Mt. 9,16). Antiquae legis suppellectilem dicit Iudaicis
studiis adtritam, corruptam sensibus, sectis scissam, inpuris actibus obsoletam; pannum rudem
euangelii nuncupat indumentum. Sed audis pannum: non scissurae partem, sed principium
texturae. Tunc enim primum regalis indumenti tela de Christi uellere texebatur, de uellere quod
dabat agnus, «agnus dei qui tollit peccata mundi» (Io. 1,29). Texebatur autem regium
uestimentum, quod in purpureum fulgorem cruor tingeret passionis. Merito ergo Christus hunc
pannum rudem Iudaicae uetustati prohibebat immitti, ne peior scissura fieret, si Iudaicam
uetustatem nouitas scinderet christiana. Et geminat exemplum dicens: «Non potest uinum nouum
mitti in utres ueteres, alioquin rumpuntur utres, et uinum funditur, et utres peribunt. Sed uinum
nouum mittunt in utres nouos, et ambo conseruantur» (Mt. 9,17). Vtres ueteres Iudaeos uocat,
nouos utres nuncupat christianos; quia sicut utres pellium ab omni squalore purgantur, et
pigmentis liniuntur odoratis, ut saporem uini possint inuiolabilem custodire, ita ieiuniis corpora
humana ab omni carnalium delictorum squalore purgantur, et fiunt utres diuinis torcularibus
apparati, ut de prelo crucis accipiant uinum nouum, et incorruptam nouitatem conseruent. Sed hoc
sicut accipiunt christiani, ita Iudaei nisi christiani fuerint, non habebunt, qui corrupti uitiis et
inueterati malis uinum nouum, quod est euangelii uerbum, si acceperint, et rumpuntur et fundunt.
Agnoscendum est ergo quia Christus per exempla haec non discipulos suos noluit ieiunare, sed
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Da questo testo, che termina con un evidentissimo appello alla con-versione
rivolto dal Pastore ai suoi fedeli perché digiunino con spirito autenticamente
cristiano, possiamo ricavare sia l’affermazione di una certa incompatibilità di
vecchiezza e novità, di giudaismo e cristianesimo, sia l’invito, rivolto ai giudei, a
divenire cristiani.
Stiamo continuando a vedere che gli interlocutori principali delle pre-diche
del Vescovo ravennate sono sì i fedeli cristiani, ma non da soli. Pietro si rivolge
insieme ad essi ai giudei, dei quali spera la conversione alla fede in Cristo e,
conseguentemente, l’ingresso effettivo nella comunità cristiana, nella Chiesa.
Questa doppia attenzione del Crisologo lo porta, durante la predicazione, ad
applicare agli uni ciò che è detto agli altri. Un altro bell’esempio lo troviamo a
proposito del commento al Salmo 94:
“Se oggi ascolterete la sua voce, non indurite i vostri cuori, come nell’esasperazione, nel
giorno della tentazione nel deserto, quando mi tentarono i vostri padri: mi misero alla
prova e videro le mie opere. Per quaranta anni fui vicino a questa generazione e dissi:
“Sbagliano sempre in cuor loro questi, ai quali giurai nel mio sdegno: non entreranno nel
luogo del mio riposo” (Ps. 94,8-11). Quando dice oggi, ti convoca, parla a te,
chiunque tu sia che ascolti, affinché, dopo aver udito la sua voce, tu non
commetta il reato di indifferenza e la colpa di pervicacia, poiché non sei stato
corretto né dai comandi né dall’esempio. Infatti, per questo motivo ha illustrato
in un lungo discorso la durezza dei Giudei, per mettere in guardia te, cristiano,
con il quale Dio vive e coabita non solamente da quarant’anni, ma si manifesta e
combatte per la salvezza durante la vita intera.”266
I giudei, però, non sono soltanto, coi loro vizi come l’invidia, l’incre-dulità, la
durezza l’occasione pastorale per rivolgere ai cristiani un ammo-nimento più
incisivo ed efficace alla conversione dei costumi. Sarebbe troppo poco, e per niente
onorevole, sfruttare il cattivo esempio dei giudei per spingere i cristiani ai buoni
esempi! C’è, evidentemente, molto di diverso e di più importante. Crisologo ci
attesta, in testi veramente sorpren-denti, i vantaggi reciproci del rapporto tra
giudei e cristiani quando viene meno una certa dialettica sterile e gratuita e si
verifica un’apertura simul-tanea, appunto in totale reciprocità, al progetto unitario
di Dio.
Quando viene meno la dimensione dialettica nel rapporto giudaismo/cristianesimo, si hanno, secondo Crisologo, due esiti, entrambi positi-vi: o la
noluit ieiunium uerum fraudulento miscere ieiunio.
266 Serm. 46,8,91-102, PC I,324: «Hodie si uocem eius audieritis, nolite obdurare corda
uestra, sicut in irritatione secundum diem temptationis in deserto, ubi temptauerunt me patres
uestri: probauerunt et uiderunt opera mea. Quadraginta annis proximus fui generationi huic, et
dixi: Semper isti errant corde, quibus iuraui in ira mea, si introibunt in requiem meam» (Ps.
94,8-11). Cum dicit: «hodie», te conuenit, ad te loquitur, quicumque homo auditor, ne audita uoce
eius contemptus reatum, contumaciae crimen incurras, quem non praecepta, quem non correxit
exemplum. Nam ob hoc Iudaicam duritiam longo sermone narrauit, ut te, christiane, faceret
cautiorem, cui non quadraginta annis tantum conuersatur et cohabitat deus, sed toto uitae tempore
paret et militat ad salutem.
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239
sostituzione completa del primo elemento a vantaggio del secondo oppure la
simultanea coesistenza, nella reciprocità, dei due elementi.
Sulla sostituzione degli elementi, troviamo spesso, nelle prediche crisologhiane, l’utilizzazione dei termini Sinagoga e Chiesa: la Chiesa prende
direttamente il posto e la funzione della Sinagoga. Ai testi già citati su que-sto
argomento, aggiungiamo ora la conclusione del Sermone 169, dedicato dal
Pastore a commentare la pagina lucana della donna che ha smarrito la dramma.
Dopo aver spiegato che la donna è la Sinagoga che ha perduto la decima moneta
che è il Cristo, Pietro dice:
“Così precipita, così cade di gradino in gradino colui che scivola e precipita dalle
scale dei precetti. Infatti, se avesse creduto che il Signore è l’unico Dio, non
sarebbe caduto in questo baratro di rovine. Ma noi ora seguiamo la lampada della
madre Chiesa e, camminando nella luce del volto del Signore (cfr. Ps. 88,16),
giungiamo alla dramma che è Cristo e convochiamo le amiche e le vicine, cioè le
Chiese dei pagani, affinché non ignorino che la nostra madre ha trovato la sua
dramma, e diciamo col profeta: Ho preparato la lampada per il mio Cristo (Ps.
131,17). E ascoltiamo quale vantaggio abbia recato la lampada: Ecco, abbiamo
sentito che era in Efrata, l’abbiamo trovata nei campi selvosi. Entreremo nella sua tenda,
ci prostreremo nel luogo dove posarono i suoi piedi (Ps. 131,6-7). Ecco troviamo nel
Signore alla luce di questa lucerna della madre ciò che cercavamo fra i popoli
sparsi e le boscaglie diffuse. Di questo si allieti anche il cielo, poiché in un solo
peccatore che si pentiva (cfr. Lc. 15,7.10) si è manifestata luminosa la pienezza di
tutto il popolo cristiano e tutta l’immagine della divinità di Cristo ha brillato
nella nostra dramma.”267
La Sinagoga convertita, la quale ha ritrovato la dramma perduta che è
Cristo, è divenuta ovviamente la Chiesa. La sostituzione è diretta e com-pleta.
La Chiesa viene qui ad assumere anche la funzione che un tempo assolveva la
Sinagoga: una certa provocazione, un certo proselitismo nei confronti dei
pagani, degli altri, perché anch’essi incontrino Cristo.
Sull’integrazione dei due elementi, quello giudaico e quello cristiano,
continuando ad intendere con quest’ultimo, naturalmente, l’elemento non
giudaico cioè gentile o pagano, troviamo delle pagine del sermonario di una
bellezza e di una suggestione veramente esemplari.
Citiamo anzitutto il commento di Crisologo alla vocazione del pubbli-cano
267 Serm. 169,6,73-87, PC III,274-276: Sic ruit, sic per gradus cadit, qui de scalis labitur et
corruit praeceptorum. Nam si dominum deum credidisset unum, ad hoc ruinarum barathrum non
uenisset. Sed nos lucernam matris ecclesiae iam sequamur, et ambulantes in lumine dominici
uultus (cfr. Ps. 88,16) Christi perueniamus ad dragmam, atque amicas et uicinas, id est, ecclesias
gentium conuocemus, ne matrem nostram dragmam suam nesciant inuenisse, et dicamus cum
propheta: «Paraui lucernam Christo meo» (Ps. 131,17). Et quid lucerna profuerit, audiamus:
«Ecce audiuimus eam in Eufrata, inuenimus eam in campis siluae. Introibimus in tabernaculum
eius, adorabimus in loco, ubi steterunt pedes eius» (Ps. 131,6-7). Ecce quod per distensos et
nemora diffusa quaerebamus, in domino hanc matris inueniamus ad lucernam. Super hoc laetetur
et caelum, quia in uno peccatore poenitentiam agente (cfr. Lc. 15,7.10) totius christiani populi
claruit plenitudo, et tota deitatis forma Christi nostram refulsit in dragmam.
240
INDICI
Matteo. Nel terzo dei suoi discorsi sul racconto della vocazione apostolica del
pubblicano, il nostro autore istituisce un parallelo con l’uomo paralitico al quale
Gesù rimette i peccati e restituisce la salute. E dice:
“Ma uno può dire: perché il pubblicano, che appare maggiore nella colpa, è
giudicato degno di un dono maggiore? Infatti, tosto l’apostolo [Matteo],
investito di una dignità sicura, non solo ricevette egli stesso, ma anche concede
ad altri il perdono dei peccati e illumina tutto il mondo con lo splendore della
predicazione evangelica, mentre il paralitico è ritenuto degno a stento del solo
perdono. Vuoi sapere perché il pubblicano ha ottenuto di più? Perché, secondo
l’Apostolo: Dove abbondò il peccato, sovrab-bondò anche la grazia (Rom. 5,20). Nello
stesso tempo il pubblicano potrebbe riprodurre l’immagine delle genti; il
paralitico potrebbe essere la figura del popolo giudaico, il quale anche oggi è
costretto a letto per una cattiva salute, così che, se non sarà portato dalla fede dei
pagani, offerto a Cristo dalla compassione dei santi, salvato dalla fede del popolo
cristiano, non potrà giungere alla casa della fede, alla casa della patria.”268
Osserviamo in primo luogo che, nel confronto tra il pubblicano che
rappresenta il popolo dei gentili e il paralitico che rappresenta il popolo
giudaico, Pietro dice che è più peccatore il primo. E per questo può ap-plicare ai
pagani il testo paolino che parla della sovrabbondanza della grazia in
corrispondenza dell’abbondanza del peccato.
In secondo luogo notiamo l’attualità con cui viene presentata la vicenda dei
giudei: hodieque malae valetudinis tenetur in lecto.
In terzo luogo riscontriamo l’evoluzione estremamente positiva del rapporto
di reciprocità istituito tra i due popoli: la fede delle genti porta i giudei, la loro
compassione di santi li offre a Cristo; la capacità di credere del popolo cristiano
salva i giudei, e li fa arrivare alla casa della fede e alla patria celeste.
Se nel testo appena citato sono i cristiani a soccorrere i giudei e a condurli
alla fede e alla salvezza, nel passo seguente le parti si rovesciano, e sono dei
giudei a pregare per un pagano. Troviamo questa affascinante corrispondenza di
ruoli nel commento di Crisologo al brano evangelico del centurione il cui servo
era ammalato e stava per morire. Il nostro auto-re si ferma a considerare la
preghiera di intercessione rivolta a Cristo dall’ambasceria di giudei:
“E quelli, una volta venuti, lo pregavano dicendo: “Merita che tu gli conceda questa
grazia. Ama, infatti, il nostro popolo e ci ha costruito la sinagoga” (Lc. 7,4-5). Pregano
per un pagano i Giudei, che non pregano per se stessi; e si danno molto da fare
268 Serm. 30,2,33-45, PC I,226-228: Sed dicit aliquis: quare publicanus, qui maior uidetur
in crimine, maior habetur in munere? Nam mox apostolus, certa praeditus dignitate, non solum
ipse accepit, sed aliis indulgentiam tribuit peccatorum, totum orbem splendore euangelicae
praedicationis irradiat; et paralyticus sola dignus uenia uix habetur. Vis nosse quare plus
consecutus sit publicanus? Quia iuxta apostolum: «Vbi abundauit peccatum, superabundauit et
gratia» (Rom. 5,20). Simul et publicanus gentilis populi typum teneat; paralyticus Iudaici populi
sit figura, qui hodieque malae ualetudinis tenetur in lecto, ut nisi portatus fuerit fide gentium,
oblatus Christo miseratione sanctorum, christiani populi credulitate saluatus, ad domum fidei, ad
domum patriae non potest peruenire.
INDICI
241
per la salvezza di un servo straniero, mentre non si preoccupano per la salvezza
dei loro figli. Dicono: Merita che tu gli conceda questa grazia. Se lo merita colui che
ascolta, crede, manda da Cristo, come si dimostra immeritevole chi va da Cristo,
vede e non crede! Ama, infatti, il nostro popolo. Egli ama il vostro popolo, che
rende così supplice a Cristo; ma voi lo odiate, perché lo fate così caparbio verso
Cristo. O in che modo può non amare il vostro popolo un cristiano che, mentre
professa Cristo, proveniente dal vostro popolo, eleva e innalza alla gloria celeste
tutto ciò che appartiene al vostro popolo? Ama, infatti, il nostro popolo e ci ha
costruito la sinagoga. Avete udito che la sinagoga giace sempre diroccata: offre
solo pietre grezze e non si eleva in costruzione celeste, se il costruttore cristiano
non la inserisce nella architettura della Chiesa.”269
I giudei pregano per la salvezza del servo di un centurione straniero.
Crisologo, che ovviamente non perde l’occasione per rimproverare i giu-dei per
la loro incredulità e caparbietà verso Cristo, non riesce tuttavia a trattenere un
elogio accorato e affettuoso, che nascendo dalla considera-zione ammirata del
generoso gesto del centurione che ha finanziato la costruzione della sinagoga,
diventa appello attuale nei confronti dei suoi fedeli. Pietro sembra rivolgere
questo appello, però, ai giudei stessi, in un dialogo immaginifico col quale
parafrasa e amplifica il testo evangelico che sta commentando:
“O in che modo può non amare il vostro popolo un cristiano che, mentre professa
Cristo, proveniente dal vostro popolo, eleva e innalza alla gloria celeste tutto ciò
che appartiene al vostro popolo?”
Rileviamo in questo punto uno sguardo non solo di simpatia, ma di reale
partecipazione: Pietro sta esaltando la dignità delle istituzioni del popolo dal
quale proviene Cristo stesso!
Nello stesso Sermone 102 possiamo rilevare altri passaggi dai quali si evince
chiaramente la bellezza della reciprocità di un ritrovato rapporto tra i giudei e i
pagani. Presentando la legazione giudaica inviata a Cristo da parte del
centurione, Crisologo dice:
“Avendo sentito, dice, parlare di Gesù (Lc. 7,3). Avendo sentito parlare di Gesù. Se non ci
fosse stato prima l’annuncio della fede (cfr. Rom. 10,17), non sarebbe venuta la
guarigione del corpo. Dunque mandò da lui alcuni anziani dei Giudei (Lc. 7,3). Un
pagano manda Giudei da Cristo. Dunque anche per noi, perché è venuto prima
269 Serm. 102,4,34-48, PC II,286: «At illi, cum uenissent, rogabant eum dicentes: Dignus
est, ut hoc illi praestes. Diligit enim gentem nostram, et synagogam ipse aedificauit nobis» (Lc.
7,4-5). Iudaei rogant pro gentili, qui pro se non rogant; et agunt satis pro salute alieni serui, qui
pro salute suorum nil agunt filiorum. Aiunt: «Dignus est, ut hoc illi praestes». Si dignus est qui
audit, credit, mittit ad Christum, ad Christum qui uenit, uidet, non credit, quam probatur
indignus! «Diligit enim gentem nostram». Ille diligit gentem uestram, quam sic Christo
supplicem facit; sed uos odistis eam, quam sic Christo redditis contumacem. Aut quomodo
christianus non diligit gentem uestram, qui dum Christum fatetur ex gente, quicquid uestrae
gentis est caelestem tollit et extollit ad gloriam. «Diligit enim gentem nostram, et synagogam ipse
aedificauit nobis». Audistis quia semper diruta est synagoga, et iacet iugiter in caementis, nec
caelestem surgit in fabricam, nisi eam in ecclesiae culmen christianus fabricator instruxerit.
242
INDICI
l’annuncio della fede (cfr. Rom. 10,17), la vita del corpo viene dopo. Mandò da lui
alcuni anziani dei Giudei (Lc. 7,3), e così lui, che era estraneo alla Legge, mostra
l’Autore della Legge a coloro che stavano nella Legge. Nessuno, dunque, si stupisca
se un pagano, cioè un cristiano, o chiama o accompagna un Giudeo o lo conduce a
Cristo. Mandò da lui alcuni anziani dei Giudei, per chiedere che venisse e guarisse il suo
servo (Lc. 7,3).”270
In questo testo il nostro autore passa con naturalezza tutta pastorale dal
commento del brano evangelico alla rievocazione di avvenimenti che
evidentemente non dovevano essere rari al suo tempo, nella sua comunità. Le
parole “Nessuno, dunque, si stupisca se un pagano, cioè un cristiano, o chiama o
accompagna un Giudeo o lo conduce a Cristo” non lasciano dubbi circa
l’esistenza di episodi di conversione dal giudaismo al cristianesimo nella
comunità cristiana di Ravenna al tempo del Crisologo.
L’integrazione difficile ma non impossibile tra i giudei e gli altri cioè i
pagani e i pagani convertiti al cristianesimo diventa, in chiusura del com-mento
crisologhiano alla figura del centurione, la chiave di lettura definitiva del
dialogo indiretto tra questi e Gesù. Pietro vi ricorre, offrendo una spiegazione
originale delle battute del discorso col quale il centurione manda a spiegare al
Signore la sua concezione dell’autorità:
“Fratelli, questo centurione dicendo: Non sono degno che tu entri sotto il mio tetto
(Lc. 7,6), riproduce la figura del popolo cristiano, che giudica di non meritare la
presenza corporea di Cristo, ma dalla sola parola, dal solo annuncio, soltanto
dall’orecchio della fede ascolta, crede e accoglie tutti i miracoli del Signore per la
sua salute. Infatti, quanto a quello che dice: Dico a uno: “Va”, ed egli va; e ad un
altro: “Vieni”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo”, ed egli lo fa (Lc. 7,8), dimostra
così il rifiuto dei Giudei, la chiamata dei pagani, l’obbedienza del popolo cristiano.
Dico a uno, cioè al Giudeo, che non crede: “Va’”, ed egli va; e ad un altro, cioè al
pagano che ha creduto: “Vieni”, ed egli viene; e al mio servo, cioè a chi è già
cristiano: “Fa’ questo”, ed egli lo fa. Preghiamo, fratelli, per meritare di essere
cristiani non soltanto di nome, ma di fede; e per non limitarci solo ad ascoltare
soltanto ciò che ci viene comandato, ma per fare ciò che abbiamo ascoltato.
270 Serm. 102,3,25-33, PC II,284: «Cum audisset», inquit, «de Iesu» (Lc. 7,3). «Cum
audisset de Iesu». Nisi praecessisset auditus fidei (cfr. Rom. 10,17), salus corporis non uenisset.
Ergo «misit ad eum seniores Iudaeorum» (Lc. 7,3). Gentilis Iudaeos ad Christum mittit. Ergo et
nobis, quia fidei praecessit auditus (cfr. Rom. 10,17), uita corporis mox sequitur. «Misit ad eum
seniores Iudaeorum» (Lc. 7,3), et in lege positis, qui sine lege erat, legis demonstrat auctorem.
Nemo ergo miretur, si gentilis, hoc est, christianus Iudaeum aut uocat, aut ducit, aut perducit ad
Christum. «Misit ad eum seniores Iudaeorum, rogans ut ueniret et sanaret seruum eius» (Lc. 7,3).
INDICI
243
Poiché, come è proprio del servo devoto eseguire gli ordini, così è arroganza non
eseguirli. Di’ dunque, una parola, e il mio servo sarà guarito (Lc. 7,7).”271
In questo testo abbiamo un’ulteriore importante conferma del modo tipico
col quale il Pastore di Ravenna tende ad interpretare la Scrittura: qui gli
interlocutori del suo discorso sono idealmente tre, i giudei, i pagani e i pagani
convertiti al cristianesimo, cioè i cristiani. Ad ognuno di essi è rivolta la
chiamata divina, rifiutata dai primi, accettata dai secondi, vissuta con autenticità
dai terzi. La conversione dal paganesimo al cristianesimo è piena e vera solo se
all’ascolto segue la fede obbediente ossia la fede che porta a eseguire quanto è
stato precedentemente ascoltato. È questa la fede di cui Gesù stesso resta
ammirato. Ecco la conclusione del discorso del Crisologo:
“Udite queste parole, dice, Gesù ne fu ammirato (Lc. 7,9). Il Creatore delle meraviglie rimane ammirato. Il Creatore degli orecchi, come se non conoscesse ciò che
non ha udito, si meraviglia così delle parole udite. Ma mentre rimane ammirato
che un pagano abbia creduto a tal punto, rimprovera l’incredulità dei Giudei.
Perciò parla alle turbe che lo seguivano (Lc. 7,9), anzi rimprovera così i Giudei che
rimanevano al loro posto: Non ho mai trovato una fede così grande in Israele (Lc.
7,9)! È vero, fratelli, la sola fede vive e prospera tra i pagani, i miracoli e i prodigi
stancano e non giovano a nulla ai Giudei.”272
Se la fede dei cristiani porta immancabilmente il nostro autore a rivolgere ai
giudei frequenti denuncie di incredulità insieme ad appelli incalzanti alla fede,
non dobbiamo perdere di vista che per lui la fede, foriera di salvezza, non è mai,
in definitiva, completamente assente all’in-terno del popolo giudaico. Portiamo
in proposito un’ultima testimo-nianza, tratta da un commento alla lettera di s.
Paolo ai Romani.
“Il beato Apostolo per la salvezza dei primi e degli ultimi, dei Giudei e dei Greci,
innalza sempre l’unico e singolare vessillo della fede; e chi non meri-terà di
averlo e di tenerlo, non potrà possedere la gloria dei trionfi celesti. È il solo,
271 Serm.102,9,105-118, PC II,288: Fratres, centurio iste dicendo: «Non sum dignus, ut
intres sub tectum meum» (Lc. 7,6), Christiani populi gerit figuram, qui Christi praesentiam
corporalem se iudicat non mereri, sed solo uerbo, nuntio, auditu fidei tantum, totas domini audit,
credit, recipit in sua sanitate uirtutes. Nam quod dicit: «Dico huic: uade, et uadit; et alii: ueni, et
uenit; et seruo meo: fac hoc, et facit» (Lc. 7,8). Iudaeorum repulsam, uocationem gentium,
christiani populi oboedientiam sic demonstrat. «Dico huic», hoc est, Iudaeo, qui non credit: «uade,
et uadit; et alii», hoc est, gentili, qui credidit: «ueni, et uenit; et seruo meo», hoc est, iam christiano:
«fac hoc, et facit». Oremus, fratres, ut mereamur christiani non nomine tantum esse, sed fide, et ut
quae iubentur non audiamus tantum, sed faciamus audita. Quia sicut deuoti serui est fecisse iussa,
ita iussa contumacis est non fecisse. «Dic ergo uerbo, et sanabitur puer meus» (Lc. 7,7).
272 Serm. 102,10,119-125, PC II,290: «Quo audito», inquit, «Iesus miratus est» (Lc. 7,9).
Creator mirabilium miratur. Aurium conditor, quasi qui non audita nesciat, sic stupet audita.
Sed dum gentilem sic credidisse miratur, incredulitatem corripit Iudaeorum. Denique
«sequentibus se turbis dicit» (Lc. 7,9), immo remanentes arguit sic Iudaeos: «Numquam in Israel
tantam fidem inueni» (Lc. 7,9)! Verum est, fratres, fides sola uiuit et uiget in gentibus, signa et
uirtutes lassant et nil proficiunt in Iudaeos.
244
INDICI
fratelli, che ai combattenti contro l’incredulità allinea lo schiera-mento, indica il
re, riunisce gli alleati, atterrisce l’empio nemico col solo apparire. Così, infatti,
oggi ha cominciato: E non è stato scritto per Abramo che gli fu accreditato a giustizia,
ma per noi, che crediamo in lui, che ha risuscitato Gesù, nostro Signore, dai morti (Rom.
4,23-24). Vedete, fratelli, che mentre i primi credono nelle cose future e gli ultimi
nelle cose passate, gli uni e gli altri per la stessa strada della fede giungono alla
salvezza. Quelli credono in Cristo venturo, noi crediamo in Cristo già venuto;
quelli credono con meraviglia che, secondo la sorte dell’uomo, scenderà sino alla
morte, noi ci gloriamo di affermare che è morto ed è risorto. E che altro
aggiungere, fratelli? Per questo tale salvezza è stata negata agli occhi sia dei
predeces-sori, sia dei successori, affinché fosse tutta riposta nella fede.”273
Troviamo in questo commento crisologhiano a Rom. 4,23-24 una grande
esaltazione del dono della fede che accomuna i giudei e i cristiani prove-nienti
dalle genti, tutti considerati come figli di Abramo. La posizione di Pietro è
estremamente interessante e suggestiva, perché coglie giudei e cristiani sotto
l’unica angolatura del loro essere credenti. Il Pastore raven-nate invita i suoi
fedeli ad osservare la bellezza di un’unica strada, quella della fede, percorsa in
comune verso un’unica meta, la salvezza. I vian-danti, giudei e pagani, credenti
di diversa provenienza, la percorrono insieme:
“Vedete, fratelli, che mentre i primi credono nelle cose future e gli ultimi nelle
cose passate, gli uni e gli altri per la stessa strada della fede giungono alla
salvezza.”
In conclusione possiamo ritenere che per Pietro esiste sia a livello storico sia
a livello teologico un dinamismo che porta giudei e cristiani ad un incessante e
inevitabile confronto. Tale confronto può essere dialettico e costruttivo. Quando
è dialettico, prevale un senso di insanabile discon-tinuità. Quando invece il
confronto tra giudaismo e cristianesimo è co-struttivo, si danno di fatto due
distinte possibilità. Nella prima il confronto costruttivo tra giudaismo e
cristianesimo può portare l’elemento giudaico ad essere completamente
assorbito da quello cristiano: è la sostituzione della Chiesa alla Sinagoga, ovvero
la conversione, segnata da un passaggio effettivo dei giudei alla comunione
ecclesiale. Nella seconda possibilità il confronto costruttivo tra giudei e cristiani
può portarli a forme, variabili nell'intensità e nella forza, di integrazione
273 Serm. 110,1-2,3-18, PC II,332: Beatus apostolus primis et nouissimis, et Iudaeis et
Graecis, uexillum fidei unicum semper et singulare erigit ad salutem; quod quisquis habere non
meruerit et tenere, caelestium possidere non poterit gloriam triumphorum. Solum est, fratres, quod
contra perfidiam dimicantibus aciem dirigit, regem indicat, conectit socios, inpiumque hostem sola
sui uisione terrificat. Sic enim hodie coepit: «Non est autem scriptum propter Abraham, quod
reputatum est illi ad iustitiam, sed propter nos, credentes in eum, qui suscitauit Iesum dominum
nostrum a mortuis» (Rom. 4,23-24). Videtis, fratres, quia dum priores futura, dum praeterita
credunt posteri, sic uno itinere fidei utique perueniunt ad salutem, dum illi uenturum Christum,
nos iam uenisse profitemur; illi usque ad mortem more hominis discensurum mirantur et credunt,
nos esse mortuum et resurrexisse gloriamur. Et quid plura, fratres? Ideo salus haec tam
antecedentium quam sequentium oculis est negata, ut tota esset in fide.
INDICI
245
reciproca, dove si riscontrano comunque importanti segni – per esempio la
preghiera, la collaborazione fattiva, l’esempio di santità - di reciproco aiuto
sull’unica via della fede verso la salvezza.
CAPITOLO VII
CONCLUSIONI
La presente ricerca rappresenta il tentativo di una lettura interpretativa dei
Sermoni di san Pietro Crisologo, vescovo a Ravenna tra i Concili di Efeso e di
Calcedonia, quando questa città era capitale dell’Impero roma-no d’occidente.
È ovvio che si tratta di una lettura: in quanto tale essa si pone accanto ad
altre possibili letture.
Si tratta però di una lettura nuova perché ha la pretesa di fare emergere dai
testi crisologhiani aspetti che perfino uno studio specifico sull’argomento ha
sostanzialmente ignorato274.
1. Prima conclusione: il dialogo coi giudei
La presente ricerca ha preso le mosse dalla elementare constatazione, per noi
apparsa evidente, che Pietro nel corso della sua predicazione al popolo, in chiesa
durante la liturgia, si rivolgeva sia direttamente sia indi-rettamente ai giudei.
La prima conclusione riguarda dunque molto semplicemente la constatazione del fatto che per questo vescovo cristiano latino del V secolo - la cui
statura risulta in definitiva senza ombra di dubbio inferiore, per mole e per
qualità degli scritti a noi pervenuti, a quella di un Ambrogio e di un Agostino, i
grandi vescovi e autori occidentali a lui più vicini sia storica-mente sia
geograficamente sia teologicamente -, il dialogo con i giudei è assolutamente
naturale e intrinseco alla predicazione al popolo, all'annun-cio del Vangelo, alla
spiegazione delle grandi verità della fede cristiana e alla conseguente proposta
di vita conforme, sul piano morale, alle verità predicate.
L’uso frequentissimo, praticamente continuo, del binomio giudeo-cristiano
ha rappresentato l’inizio di un’intuizione che, in anni di ricerca, ci è stata
senz’altro confermata. Pietro utilizza una categoria teologica, interna alla
Scrittura stessa, attestata soprattutto da s. Paolo. La scoperta di questa
categoria teologica, che distingue Pietro dagli altri Padri che pure ne hanno
fatto uso, ci ha messo a contatto e fatto vedere meglio di quanto non avremmo
potuto fare senza questo rilievo, di natura esegetica ed ermeneutica, la
complessità e la ricchezza che all’interno di un autore come il nostro il dialogo
274
Cfr. W.B. Palardy, op. cit..
246
INDICI
tra cristianesimo e giudaismo può venire ad assumere275.
2. Seconda conclusione: complessità e variabili
La seconda conclusione consiste nel confermare gli studi recenti che tentano
di mostrare come la questione del rapporto cristianesimo-giuda-ismo, e
viceversa, di fatto muti profondamente, per forma e contenuti, geograficamente
e storicamente: di secolo in secolo e di luogo in luogo il nodo di questo rapporto
si pone in termini estremamente variegati276. Il nostro contributo specifico è
stato rilevare tutti i testi e tutti gli accenti con cui questo nodo si pone in
Crisologo. Ne viene un’immagine inedita di come si possono configurare,
nell’epoca dei Padri, i rapporti tra cristiani ed ebrei. Inoltre risulta evidente che
la ricchezza e la complessità della questione, persino all’interno degli scritti di
uno stesso autore, comporta idee e riferimenti non sempre chiaramente
armonizzabili.
3. Terza conclusione: un autore favorevole ai giudei
La terza conclusione è la più importante delle tre alle quali siamo approdati
nel nostro studio. Essa si può a questo punto ricavare dalla considerazione del
metodo teologico applicato da Pietro quando inter-preta la Scrittura e dal
contenuto stesso dell'esegesi biblica attestata dalla predicazione crisologhiana.
Il metodo teologico e il contenuto esegetico dei Sermoni del Crisologo
rappresentano i due ambiti, teoricamente di-stinguibili ma di fatto strettamente
interconnessi nello svolgimento della predicazione, nei quali abbiamo trovato da
un lato l'uso del binomio giudeo-cristiano e dall'altro abbiamo osservato quali
siano i presupposti e gli esiti - sul piano dei contenuti e quindi delle prospettive
- dell'applica-zione costante dello stesso binomio.
275 Sotto questo primo aspetto, in definitiva il nostro studio viene a confermare
ampiamente la necessità, sempre più affermata nell'attuale clima ecclesiale, di com-piere il
massimo degli sforzi possibili per affermare comunque il primato del valore di un dialogo
tra Chiesa e Israele. Cfr. in proposito J. Ratzinger, op. cit., pp. 73-74; L. Ballarini, op. cit., pp.
105-108.
276 Un bell’esempio in questa direzione in F. Manns, op. cit., pp. 97-112. L'assolutà
necessità di sfuggire ormai a sguardi deboli e generici, sul piano storico e teologico, verso il
nodo del rapporto giudaismo-cristianesimo è emersa con forza anche al recente Colloquio
Intra-Ecclesiale tenuto in Vaticano. Vedi su questo punto in particolare l'im-portante
distinzione tra antigiudaismo di differenziazione (piano dottrinale) e antigiu-daismo di
installazione (piano storico) e l'attenzione a ricercare come, su ognuno dei due piani, si sia
potuto sviluppare, di volta in volta e di luogo in luogo, in ambiente cristiano, un terreno
ideologico favorevole al sorgere di pregiudizi e di conseguenti comportamenti antigiudaici.
Cfr. M. Dubois, Status quaestionis della problematica, in Radici dell'antigiudaismo, op. cit., pp. 2627; 35.
INDICI
247
3.1. Il metodo teologico: tre serie di commenti biblici
Nell’approccio ai testi del Primo e del Secondo Testamento Pietro utilizza
costantemente una categoria teologica che si presenta per lo più nella forma di
una figura retorica: si tratta di un parallelismo antitetico o semplicemente di
una antitesi, dove i termini di riferimento sono l’ebreo e il cristiano.
Sinteticamente, possiamo ora dire che i testi biblici sui quali il nostro autore
edifica la sua costruzione teologica sono almeno una tren-tina. Si possono
catalogare, in conclusione alla nostra ricerca, in tre serie, denominate
rispettivamente serie delle "coppie", serie dei "singoli" e serie delle "riletture".
Questa catalogazione, al termine del nostro lavoro, ci aiuta a cogliere
rapidamente e conclusivamente sia il modo col quale il nostro autore lavora sia
il contenuto della sua esegesi relativamente alla questione giudaismocristianesimo.
Per quanto attiene al modo di lavorare di Crisologo, cioè di accostare la
Scrittura durante la predicazione al popolo, le osservazioni conclusive alle quali
siamo approdati sono le seguenti.
La prima serie di passaggi crisologhiani è costituita da testi biblici che
presentano una coppia di personaggi o di cose e offrono a Pietro lo spunto per
applicare la sua categoria. Tra questi si possono ulteriormente distingue-re e
riconoscere quei testi dove un ulteriore indizio biblico oggettivo può instradare
Pietro nella sua interpretazione. Sono dunque più importanti, per il nostro
interesse, quei passaggi biblici dove, essendoci una coppia di personaggi, nulla può
a prima vista spingere il lettore ad una certa interpretazione.
La seconda serie di passi del sermonario pone in rilievo "singoli" personaggi o "singole" cose tratte dal testo biblico, anche qui con diversa misura di
aderenza al testo stesso, nei quali Pietro vede rappresentato al vivo il rapporto
dinamico tra giudaismo e cristianesimo.
Abbiamo infine una terza serie di passaggi crisologhiani nei quali il Vescovo
rilegge brani o intere sezioni veterotestamentarie e applica la sua categoria.
3.1.1. La serie delle "coppie" di personaggi o cose bibliche
Nella prima serie di testi troviamo anzitutto "coppie" di personaggi o di cose
collegate dallo stesso testo biblico che offre espressamente un ul-teriore
oggettivo indizio. Troviamo qui il centurione romano di Cafarnao con le sue
ambascerie (Lc. 7,1-10 e Mt. 8,5-13), la peccatrice perdonata in casa del fariseo
Simone (Lc. 7,36-50), l’emorroissa e la figlia del capo della sinagoga (Mt. 9,1826; Mc. 5,21-43; Lc. 8,40-56), i greci e i giudei di s. Paolo ai Romani (Rom. 4,2324). In queste occasioni è lo stesso testo biblico a suggerire a Pietro la strada
della decodificazione di un codice, dove il primo personaggio della coppia è
sempre cristiano – intendendo con questo il credente in Cristo proveniente dal
paganesimo, cioè l’etnico cristiano – e il secondo è giudeo. Il centurione è infatti
presentato dal testo biblico come pagano, e la sua prima ambasceria è
248
INDICI
oggettivamente di giudei. L’invito a pranzo rivolto al Signore proviene da
Simone che è un giudeo particolarmente osservante, letteralmente un fariseo. La
ragazza dodicenne che viene risuscitata è la figlia di Giairo, il capo della
sinagoga. La successiva elaborazione paolina è già un’applicazione, interna al
Nuovo Testamento, della categoria teologica che stiamo studiando in Crisologo.
In altre occasioni Pietro si trova di fronte a testi biblici dove le "coppie" di
personaggi o di cose, almeno a prima vista, non gli danno alcun indizio
oggettivo: in questi casi la lettera del testo biblico non soccorre né indirizza
l'interpretazione teologica dell'esegeta. È proprio qui che diventa allora
particolarmente interessante l’attitudine di Crisologo ad applicare la sua chiave
ermeneutica per sciogliere i codici simbolici della Scrittura.
Così abbiamo visto l’importanza annessa ai due figli della parabola di Lc.
15,11-32, dove il fratello minore, il cosiddetto figliol prodigo, viene a
rappresentare le genti e il fratello maggiore è Israele che rifiuta di entrare a far
festa. La divisione dell’eredità paterna consiste nell’assegnazione al pagano della
legge naturale e al giudeo della Legge di Mosè. Nello stesso senso Pietro si
impegna nella difficile interpretazione del brano evangelico sulla famiglia divisa
(Lc. 12,52-53): il padre, la madre e la suocera di quella disgraziata famiglia
rappresentano il popolo giudaico, cioè la sinagoga, mentre la figlia e la nuora
sono la Chiesa. Il figlio è Cristo che sposa la Chiesa ex gentibus per suscitare la
gelosia del popolo giudaico. Anche nel caso dell’amministratore infedele (Lc.
16,1-8) ci troviamo nella serie delle "coppie" dove manca un indizio esplicito al
livello del testo biblico, eppure Pietro dice che l’amministratore stesso è un
cristiano convertito dal paga-nesimo, i debitori sono giudei e il debito è la
Legge; inoltre, nel commen-to alla coda della pericope lucana, il nostro autore
spiega che i figli di questo mondo sono i pagani mentre i figli della luce sono i
giudei.
Altri significativi esempi di "coppie", questa volta di cose, poste dal testo
biblico ma senza un indizio ulteriore che possa spingere Pietro all’applicazione
della sua categoria sono la toppa nuova sul vestito vecchio e il vino nuovo negli
otri vecchi (Mt. 9,16-17): Pietro non ha dubbi nell’identificare la toppa nuova
nel Vangelo e il vestito vecchio nel corredo dell’antica Legge, così come del
resto gli otri nuovi sono i cristiani mentre gli otri vecchi sono i giudei277; il vino
nuovo è quello spremuto dal torchio della croce. Ultime "coppie" di cose
bibliche senza indizio testuale sono il pane e il pesce nel detto di Gesù
sull’insistenza della preghiera (Lc. 11,11): il pane del cielo e il pesce del
Giordano sono Gesù stesso, respinto dai giudei e offerto ai discepoli. Per i primi
il pane diventa pietra e il pesce serpente.
Per chiudere la prima serie, che abbiamo denominata delle "coppie",
ricordiamo di avere analizzato anche casi nei quali non è il testo biblico a porre
una coppia di personaggi o di cose e neppure ad aggiungere un eventuale
277 Quest’ultima interpretazione (otri vecchi = giudei, otri nuovi = pagani) è già di
Barsabba di Gerusalemme nel Discorso sul nostro Salvatore Gesù Cristo, sulle Chiese e sui capi
dei sacerdoti. Cfr. F. Manns, Op. cit., p. 105.
INDICI
249
prezioso indizio che possa spingere l’esegeta in una certa inter-pretazione; si
tratta invece di casi nei quali è il nostro stesso autore a creare da se stesso un
collegamento tra due cose o personaggi, stringendo relazioni – che a noi
naturalmente oggi possono apparire assolutamente arbitrarie – funzionali
all’applicazione del binomio giudeo-cristiano. È il caso, per esempio, della scena
del roveto ardente (Ex. 3) che diviene una prefigurazione del “popolo pieno
degli spini della malvagità ed ingrato per la coltivazione della Legge”, e perciò
porta il segno della futura missione degli apostoli inviati nel mondo intero a
coltivare le regioni dei pagani con la potenza del fuoco dello Spirito Santo
ricevuto a Pentecoste (Act. 2). Oppure è il caso della vocazione dell’evangelista
Matteo (Mt. 9,9) che Crisologo legge sistematicamente in parallelo con la
guarigione del paralitico (Mt. 9,1-8278): in quanto è pubblicano Matteo
rappresenta le genti, mentre il paralitico è figura dei giudei.
Per quanto attiene al metodo teologico applicato in tutti i testi biblici della
prima serie che abbiamo chiamata delle "coppie", si può notare conclusivamente che talvolta Pietro è favorito dai testi biblici che commenta perché
essi stessi gli possono offrire delle spie, degli indizi significativi, e lo possono
indurre a sciogliere certe "coppie" di personaggi o cose dando a ciascuno il
nome di giudeo e di cristiano. Talvolta, invece, - e questo evidentemente per noi
è altamente significativo – Pietro di fronte ad una coppia dà la sua
interpretazione e applica la sua categoria. Infine, abbiamo visto casi nei quali è
Pietro stesso a creare delle "coppie" per poi scioglierle secondo la sua chiave
ermeneutica.
3.1.2. La serie dei "singoli" personaggi o cose bibliche
Se ora passiamo alla seconda serie di testi biblici ai quali il nostro autore
applica il famoso binomio, troviamo, in conclusione alla nostra ricerca,
un’ulteriore sorpresa. In realtà il Vescovo di Ravenna mostra, nella serie che
chiamiamo dei "singoli" personaggi o cose, una speciale attitu-dine ad applicare
sempre il suo metodo esegetico, ma trovandosi davanti ad un personaggio o ad
una cosa singola, la deve sdoppiare. In questo sdoppiamento Pietro dà quasi
sempre l’idea di un passaggio da una situazione di infermità e di anzianità ad
una situazione di sanità e di novità. Vediamo il suo procedimento, raccogliendo
rapidamente i dati sparsi nei capitoli del nostro lavoro.
Anche nella serie dei "singoli", possiamo pensare che ci siano dei casi nei
quali Pietro è avviato o stimolato alla sua interpretazione dal testo stesso.
Prendiamo per esempio il caso di Zaccaria, al quale Crisologo dedica molti
Sermoni. È un giudeo, è sacerdote, sta esercitando il suo ministero nel tempio di
Gerusalemme. Il nostro autore – che tra l’altro istituisce un simpatico parallelo
personale e autobiografico tra il mutismo del padre di Giovanni Battista e un
278 Si può pensare che in questo caso specifico il collegamento sia posto dal testo
stesso in quanto la pericope del racconto della vocazione di Matteo segue
immediatamente, nella tradizione sinottica, quella dell’incontro di Gesù col paralitico.
250
INDICI
episodio nel quale, durante un suo discorso al popolo di Ravenna, ha perso
improvvisamente la voce – si trova di fronte un singolo personaggio nell’atto
più solenne del culto giudaico, l’offerta nell’ora dell’incenso (Lc. 1,8-10). Per
Crisologo l’ora tarda e l’anzianità di Zaccaria divengono l’indizio del tramonto
dell’antica Legge e dell’immi-nente aurora del Vangelo. Le istituzioni
veterotestamentarie giudaiche - che, come abbiamo notato, sono
particolarmente apprezzate dal nostro autore – passano e lasciano il posto alle
novità cristiane.
Anche l'immagine del fico sterile (Lc. 13,6-9) è una singola cosa biblica, una
cifra simbolica che, ad un lettore della Scrittura attento e partico-larmente
sensibile come un Padre della Chiesa, suggerisce di per sé l’iden-tificazione col
giudaismo. E infatti Pietro dice che il fico rappresenta la sinagoga la quale,
“riscaldata dal tepore della Legge, per un certo tempo fiorì in prefigurazione dei
frutti della Chiesa.” I tre anni di sterilità della pianta che sfrutta inutilmente il
terreno - secondo il ragionamento esi-gente del proprietario terriero - sono i tre
periodi, nel corso dei quali Cristo va alla Sinagoga a chiedere il frutto, cioè
mediante la Legge, mediante i profeti, mediante la sua stessa presenza fisica, e
l’anno di dilazione offerto alla pianta per riprendersi e fare frutto indica il tempo
fecondo dell'annuncio del Vangelo da parte degli apostoli, quando, secon-do il
linguaggio crisologhiano, il vomere apostolico sostituisce il coltello legale.
È da collocare in questa serie dei "singoli" il delicato momento nel quale
Pietro, parlando dei vignaioli omicidi, dice che si tratta dei giudei deicidi: anche
qui si può in definitiva pensare che ci sia una sollecitazione dal testo biblico
all’esegeta attraverso la celebre immagine, del tutto consueta per un giudeo,
della vigna che rappresenta il popolo eletto.
In coda, e quasi per controbilanciare l’imbarazzante citazione appena
rilevata, ricordiamo il commento crisologhiano all’episodio della donna
sirofenicia. La sua determinazione, accostata da Pietro a quella dell’emor-roissa,
gli suggeriscono di intendere il detto di Gesù sui violenti che si impadroniscono
del regno dei cieli in maniera positiva:
“Il regno dei cieli patisce violenza, e i violenti se ne impadroniscono (Mt. 11,12). La fede
delle genti pagane fece violenza per strappare l’eredità del Padre e metterla tutta
a ruba, come con grande evidenza ha mostrato con la presente lettura.”279
Alla violenza negativa dei vignaioli giudei fa dunque riscontro quella
positiva dei pagani che vengono alla fede.
Ma anche nella serie dei "singoli" sono stati naturalmente per noi molto più
significativi e importanti i passaggi dei Sermoni nei quali non esiste alcun
indizio da parte del testo biblico che il Pastore sta spiegando durante la sua
omelia. Nei passi seguenti, infatti, si vede meglio e più chiaramente che
l’applicazione della chiave ermeneutica di cui stiamo parlando è quasi istintiva
279 Serm. 102,2,40-43, PC II,284: «Regnum caelorum uim patitur, et qui uim faciunt
diripiunt illud» (Mt. 11,12). Vim fecit fides gentium, ut raperet haereditatem patris, ipsam
haereditatem totam diriperet, sicut euidentius praesenti lectione monstrauit.
INDICI
251
da parte del Crisologo.
La guarigione del cieco di Betsaida (Mc. 8,22-26) avviene gradualmente per
mostrare il passaggio dell’ombra della Legge con tutte le sue venerande
istituzioni e la sostituzione di realtà caduche con realtà eterne. La conversione
di s. Paolo (Act. 9,3-4) è presentata emblematicamente, nel contesto
dell’illuminazione definitiva e piena del cieco, come un reale sdoppiamento di
personalità: “cadde giudeo per levarsi cristiano”. Altri casi celebri di
sdoppiamenti di personalità funzionali all’applicazione della categoria giudeocristiano sono quelli di due donne del Vangelo: la suocera di Pietro (Mt. 8,1415) e la donna che perde e ritrova la dramma (Lc. 15,8-10). La suocera
dell’apostolo Pietro, infatti, quando è a letto febbricitante rappresenta la
sinagoga incredula e quando è rialzata dal Signore e si mette a servire è simbolo
della Chiesa nell’esercizio del suo mi-nistero. La donna quando perde la dramma
(= Cristo, nascosto nel Deca-logo della Legge) è la sinagoga e naturalmente,
quando la ritrova, è la Chiesa!
Conclusivamente, la serie dei "singoli" conferma vieppiù quanto già
dimostrato nella serie delle "coppie": Pietro applica distesamente il suo principio
ermeneutico. Dal punto di vista metodologico, in questa seconda serie di
commenti a testi biblici il nostro autore appare decisamente più esposto ad
interpretazioni allegoriche e spirituali di quanto non sia ap-parso nella prima
serie di testi, e questo non gli risparmia rischi e talvolta incongruenze. È già al
livello dell’analisi metodologica, infine, la consta-tazione che una possibile
impostazione del rapporto giudaismo-cristiane-simo sta per Crisologo nella
sostituzione del primo elemento col secondo.
3.1.3. La serie delle "riletture" bibliche
Passiamo ora alla terza serie di testi biblici, che abbiamo chiamata delle
"riletture". Qui il nostro autore si esibisce in "riletture" di passi veterotestamentari. Naturalmente, queste "riletture" avvengono in prospettiva cristologica, nel senso che, praticamente sempre, il Pastore sta commentando in
effetti passi neotestamentari e, partendo da questi, ritorna all’Antico
Testamento quasi non potendo spiegare il Nuovo Testamento senza l’Antico
Testamento; ritorna alle promesse e alle profezie per indicarne definitivamente
il compimento.
Le conclusioni che, sul piano metodologico, si possono trarre dalla serie
delle "riletture" sono due. La prima è che le "riletture" s’appoggiano su una
grandissima stima e rispetto, anzi ammirazione, per la storia della salvezza e
della santità realizzate da Dio con il suo popolo. La seconda è che, tornando
all’Antico Testamento, ancora una volta Pietro applica il binomio giudeocristiano.
Per quanto riguarda le "riletture" cristologiche dell’Antico Testamento
abbiamo visto soprattutto che Pietro presenta Cristo come il vero autore del
passaggio del Mare Rosso da parte degli ebrei liberati, della rivelazione e del
dono della Legge sul Sinai, della guida del cammino del popolo nel deserto, del
252
INDICI
suo ingresso attraverso il Giordano nella terra promessa e nella città di Gerico.
Per quanto riguarda invece l’applicazione specifica del binomio che a noi
interessa abbiamo visto soprattutto l’interpretazione di Ps. 28,1 (= i cristiani
offrono in sacrificio insieme i figli dei padri ebrei e degli apostoli), quella di
Giona, figura di Cristo280, dei Niniviti, figura dei pagani281, e infine della regina
del sud, figura della Chiesa.
La serie delle "riletture", sul piano metodologico, ci conferma definitivamente sulla centralità della categoria teologica utilizzata dal Crisologo. Il
suo schema di giudaismo-cristianesimo è come un nucleo sempre attivo nella
sua esegesi biblica, sia del Nuovo che dell’Antico Testamento.
3.2. Il contenuto dell’esegesi su giudei e cristiani
Dopo avere ricavato dalla nostra catalogazione dei passaggi del sermo-nario
le precedenti osservazioni conclusive circa il metodo esegetico del nostro
autore, passiamo ora a qualche conclusione riguardante il conte-nuto
dell’esegesi crisologhiana, relativamente al nodo che a noi ha interes-sato, cioè
alla questione del rapporto tra cristiani ed ebrei. È propriamente a questo
livello, dei contenuti esegetici della predicazione attestata dal sermonario, che
abbiamo potuto apprezzare la ricchezza, la complessità e la profondità della
sensibilità di Pietro e della sua teologia cristiana degli ebrei.
La nostra terza conclusione è che, sebbene Pietro non risparmi giudizi
estremamente duri nei confronti dei giudei, sia completamente da smen-tire, a
suo riguardo, l’accusa di antisemitismo che viene correntemente, assai
superficialmente e genericamente, rivolta agli scritti patristici282. Sotto questo
280 Cfr. serm. 37, PC I,266-270. Il libro di Giona fu interpretato da molti Padri in
senso cristologico. Cfr. A. Quacquarelli, op. cit., p. 115. Cfr. anche F. Manns, op. cit., p.
137.
281 Non sembra perciò vero che in Crisologo sono assenti profezie dell’Antico
Testamento della chiamata dei gentili, come sostiene W.B. Palardy, op. cit., p. 484.
282 Su questo problema particolare c’è naturalmente tutta una letteratura (cfr.
Bibliografia 2.2.1). Uno degli studi più recenti, sintetici e significativi al riguardo è G.G.
Stroumsa, Dall’antigiudaismo all’antisemitismo nel cristianesimo primitivo?, in Cristianesimo
nella storia 17 (1996) 13-46. L’ipotesi dello studioso ebreo è che le radici cristiane del
moderno antisemitismo razziale stiano nella rivoluzione religiosa del IV secolo. Attraverso
passaggi successivi, per la verità discutibili, l’autore perviene alla seguente conclusione,
anch’essa tutt’altro che dimostrata: «L’antigiudaismo teolo-gico non è identico né alla
discriminazione legale né alla diffamazione popolare, ma è difficile evitare la conclusione
ch’esso abbia preparato entrambe. (…) Nel nostro caso i Padri della Chiesa sembrano essere
stati coloro che hanno contribuito ad ‘aggravare’ la situazione, più degli esponenti di
sentimenti antigiudaici; grazie alla loro retorica aggressiva essi contribuirono a trasformare
l’argomentazione teologica antigiudaica in quello che possiamo chiamare un pregiudizio
antisemita.» (p. 38). Altro studio interessante è D. Rokeah, The Church Fathers and the Jews
in Writings designed for Internal and External Use, in Antisemitism through the Ages, edited by
S. Almog, Oxford etc. 1988, pp. 39-69. L’autore discute la tesi di Frend (W.H.C. Frend,
Martyrdom and Persecution in the Early Church, Oxford 1965, pp. 168.288.334) che sostiene la
INDICI
253
aspetto, e nell’ambito dell’analisi del contenuto dell’esegesi e della predicazione
crisologhiane dobbiamo affermare nettamente che Pietro è, semmai, un autore
favorevole ai giudei piuttosto che antisemita! Questo nostro giudizio conclusivo
non significa naturalmente che siano da ravvisare nel Crisologo una sorta di
semplicismo, o di facile irenismo, o, peggio ancora, una specie di mancanza di
coscienza dei problemi reali, di natura storica e teologica, che comunque sono
posti dal rapporto tra cristianesimo e giudaismo; il nostro giudizio non significa
neppure che nel complesso la posizione del Pastore di Ravenna comporti di fatto
una forma di svilimento dell'identità cristiana di fronte ad una identità culturale
e religiosa più marcata e incisiva. Al contrario, rilevando ampiamente e diffusamente modi e contenuti dell’identità del popolo giudaico così come emerge
dal sermonario crisologhiano, ricaviamo dalla testimonianza del Vescovo
ravennate una straordinaria ripresentazione della vera identità cristiana, tutta
appoggiata su quella ebraica e da essa avvalorata. Sotto questo profilo Pietro ci
è apparso un vero vescovo cristiano, appartenente fino in fondo alla grande
Chiesa.
Crisologo fu quindi favorevole ai giudei. Ovviamente dobbiamo inten-derci
su questo punto rilevante. Non fu favorevole ai giudei nel senso di un cristiano
giudaizzante e neppure nel senso di un giudeo-cristiano che conserva certe
abitudini, regole e osservanze ricevute dalla propria prece-dente, e non passata,
appartenenza religiosa. Si può e si deve anzi dire, per intendersi fino in fondo,
che troviamo nei Sermoni, e le abbiamo ampia-mente attestate, pagine di
fortissima polemica antigiudaica.
Non stiamo dicendo, dunque, che Crisologo è allo stesso tempo filogiudaico
o simpatizzante dei giudei e antigiudaico, ma che le inevitabili puntate di
polemica antigiudaica non cancellano né dovrebbero inganna-re circa la reale
attitudine - fondamentalmente e sostanzialmente positiva - di Pietro nei
confronti del giudaismo.
I giudei, infatti, contro i quali il Pastore si scaglia, secondo uno stile retorico
assolutamente canonizzato nella cultura di un antico retore283, sono
principalmente una categoria teologica, come i giudei del Vangelo di
Giovanni284, e sostanzialmente sono la cifra simbolica per esprimere l’increpartecipazione attiva e materiale dei giudei alle persecuzioni dei pagani contro i cristiani dal
II sec. alla prima metà del III sec. (pp. 51-53) e giunge ad affermare che i Padri furono
sostanzialmente forzati ad assumere posizioni polemiche verso i giudei per rendere il
giudaismo indesiderabile e ostico sia ai cristiani (uso interno) sia ai pagani (uso esterno). La
causa fondamentale degli attacchi dei Padri verso i giudei fu dunque, secondo Rokeah, la
difesa del cristianesimo e della Chiesa (cfr. pp. 63-64). Sull’attualità della questione nel
dibattito religioso e culturale dei nostri anni vedi l’editoriale della Civiltà Cattolica in
occasione delle reazioni alla pubblicazione del documento vaticano sulla shoah: Apriamo,
cristiani ed ebrei, un periodo nuovo di fraternità, in La Civiltà Cattolica 149 II (1998) 3-14.
283 Concordiamo in questo con le conclusioni dello studio di W.B. Palardy, op. cit., pp.
490-491, secondo le quali le invettive crisologhiane contro i giudei sono strumenti
retorici.
284 Cfr. F. Manns, op. cit., p. 98. Anche i farisei, nel Vangelo di Giovanni, “sono
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INDICI
dulità, il rifiuto a credere che Gesù, morto e risuscitato, sia il Messia.
Quest’ultima affermazione, peraltro, non significa che i giudei siano per Pietro
solo un ideale o siano soltanto i giudei contemporanei di Gesù di cui ci parla il
Nuovo Testamento: abbiamo visto che la frequenza e il modo col quale il
Pastore parla di loro e si rivolge, sia indirettamente sia diretta-mente, a loro fa
supporre o perlomeno non può minimamente fare esclu-dere una loro presenza
addirittura durante lo svolgimento della predi-cazione del Vescovo in Chiesa285.
La nostra terza conclusione è perciò di grande rilievo. Pietro incarna, è
testimone vivo di una certa interpretazione dei rapporti tra giudaismo e
cristianesimo. Essi, in conclusione al nostro lavoro di ricerca, si possono
configurare in quattro possibilità o prospettive che chiamiamo della sostituzione, della comunione, della reciprocità, dell’accompagnamento286.
3.2.1. Prima prospettiva: la sostituzione
Sul piano dei contenuti della predicazione cristiana circa il nodo giudaismocristianesimo il nostro autore mostra anzitutto di pensare al secondo in
continuità e sostituzione al primo287. In pratica, come abbiamo visto, la Chiesa
prende il posto e le funzioni della Sinagoga. Questa sosti-tuzione avviene di
seguito ad un’altra sostituzione: Cristo prende il posto e le funzioni della Legge.
Queste sostituzioni, evidentemente collegate, non significano però parità di
valore degli elementi in gioco. Pietro afferma chiaramente che la Chiesa è
superiore alla Sinagoga, sia nella sua identità sia nell’esercizio delle sue
funzioni, come del resto dice chiaramente che Cristo è superiore alla Legge
divenuti maggiormente [rispetto ai sinottici] il simbolo di un potere sfavorevole a Gesù
e soprattutto i rappresentanti dell’uomo che non sa decidersi a prendere posizione in suo
favore”: G. Ghiberti, I farisei nel Vangelo di Giovanni, in Ricerche storico bibliche 11 (1999)
170. Sul significato della categoria teologica "giudei" nel quarto Vangelo vedi anche: M.
Dubois, op. cit., p. 28; L.E. Frizzell, "The Jews" in the Fourth Gospel, in Radici, pp. 127-146.
285 W.B. Palardy, op. cit., p. 481 esclude, al contrario, qualunque contatto tra
Crisologo e gli ebrei del suo tempo: i suoi avversari sono esclusivamente i rappresentanti
del giudaismo presenti nel Nuovo Testamento.
286 Anche nell’ambito dell’attuale ricerca teologica sul dialogo interreligioso, si cerca
di capire e di schematizzare il posto e il ruolo di Israele. A. Russo, per esempio, parla per
il passato dei seguenti modelli tradizionali: della sostituzione, tipologico (Israele =
prefigurazione della Chiesa), illustrazionista (Israele = immagine in negativo della
Chiesa perché rifiuta di convertirsi al Vangelo). E presenta per oggi nuovi modelli:
complementare (accanto alla Chiesa anche Israele ha un ruolo specifico e insostituibile
all’interno dell’unica economia di salvezza); messianico (valorizza le attese degli ebrei,
fermo restando il loro compimento anticipato per la Chiesa); della dipendenza
cristologica (l’idea paolina: dopo i pagani tutto Israele sarà salvato). Cfr. A. Russo, La
funzione d’Israele e la legittimità delle altre religioni, in Rassegna di teologia 40 (1999) 95118. Altri schemi interpretativi, per la verità tutti da discutere, si trovano nelle ultime
pagine dedicate alle prospettive nel lavoro di C. Thoma, op. cit., pp. 204-207.
287 Assunse una posizione analoga nel II secolo in Palestina Giustino nel Dialogo con
Trifone. Cfr. F. Manns, op. cit., pp. 133-152.
INDICI
255
mosaica, sia nella sua identità di Figlio di Dio sia nelle sue funzioni di capo e
guida del popolo di Dio.
Le parti più interessanti del nostro studio hanno mostrato come in effetti
Pietro sia cosciente del valore e della peculiarità di Israele, della sua identità di
fronte a Dio e di fronte agli altri, della sua diversità e della sua superiorità
rispetto a tutti i popoli. La diversità e la superiorità del popolo eletto rispetto a
tutti i popoli della terra sono per Crisologo da individuare in Cristo e nella
Legge: l’evento di Cristo, a livello teologico, e il dono della Legge al Sinai, a
livello storico, costituiscono l’originalità insostituibile del popolo giudaico.
La centralità e la unicità irripetibile dell’evento di Gesù Cristo non
cancellano la profonda stima e ammirazione che Pietro mostra di avere per le
istituzioni veterotestamentarie: la Legge, la profezia, il culto, i sacrifici, il
sacerdozio, il regno, la storia dei santi ebrei di cui la Bibbia ci parla dall’Antico
Testamento al Nuovo Testamento, compresi Zaccaria, Giovanni Battista, Maria
Vergine, Simeone. Crisologo, come abbiamo visto, mostra di credere al valore
santificante e salvifico della Legge e del culto giudaico, e persino di stimare le
tradizioni farisaiche.
In che senso, allora, Crisologo può dire che la Chiesa sostituisce la
Sinagoga? Nel senso che, in occasione dell’incarnazione e della morte di Cristo
in croce, il rifiuto a credere da parte dei giudei viene a costituire l’inizio della
possibilità di credere per tutte le genti. Mediante la fede in Cristo la Chiesa ex
gentibus viene ad ereditare il patrimonio permanente del popolo giudaico.
Tra i passaggi crisologhiani più significativi possiamo ricordare qui: il
commento al Ps. 28,1 (il nuovo sacrificio del cristiano); il commento a Lc. 1,8-10
(Zaccaria nell’ora dell’incenso); il commento alla guarigione della suocera di
Pietro (Mt. 8,14-15); il commento alla parabola della donna che perde e ritrova
la dramma (Lc. 15,8-10).
3.2.2. Seconda prospettiva: la comunione
La seconda prospettiva che la lettura delle prediche crisologhiane apre
relativamente al nodo del rapporto tra cristiani ed ebrei ci porta decisa-mente
oltre alla prima, appena esaminata. Si tratta ora di una comunione dove i due
interlocutori sono sullo stesso piano e camminano nella stessa direzione. Si noti:
due interlocutori, distinti e uniti, sullo stesso piano di parità e di dignità,
entrambi preziosi e insostituibili.
Il testo di riferimento più importante è qui probabilmente il commento
crisologhiano ad un passaggio della Lettera ai Romani:
“Il beato Apostolo per la salvezza dei primi e degli ultimi, dei Giudei e dei
Greci, innalza sempre l’unico e singolare vessillo della fede; e chi non meriterà di
averlo e di tenerlo, non potrà possedere la gloria dei trionfi celesti. È il solo,
fratelli, che ai combattenti contro l’incredulità allinea lo schieramento, indica il
re, riunisce gli alleati, atterrisce l’empio nemico col solo apparire. Così, infatti,
oggi ha cominciato: E non è stato scritto per Abramo che gli fu accreditato a giustizia,
ma per noi, che crediamo in lui, che ha risuscitato Gesù, nostro Signore, dai morti (Rom.
4,23-24). Vedete, fratelli, che mentre i primi credono nelle cose future e gli ultimi
256
INDICI
nelle cose passate, gli uni e gli altri per la stessa strada della fede giungono alla
salvezza. Quelli credono in Cristo venturo, noi crediamo in Cristo già venuto;
quelli credono con meraviglia che, secondo la sorte dell’uomo, scenderà sino alla
morte, noi ci gloriamo di affermare che è morto ed è risorto. E che altro
aggiungere, fratelli? Per questo tale salvezza è stata negata agli occhi sia dei
predecessori, sia dei successori, affinché fosse tutta riposta nella fede.”288
In questo testo straordinario troviamo esplicitato quello che unisce i
cristiani e gli ebrei, il contenuto della loro comunione. Giudei e greci credono in
Cristo. La fede in Cristo costituisce l’oggetto della loro comunione, il tramite
del loro legame. Cristo è il patrimonio comune. Il fatto di credere e ciò in cui
credono sono il principio della comunione tra gli ebrei e i cristiani.
Naturalmente, Crisologo precisa che i giudei credono nel Cristo venturo e
che i cristiani credono nel Cristo già venuto. Ma non si pensi che il nostro
autore stia dicendo che i cristiani credono che il Messia è Gesù di Nazaret,
mentre i giudei non ci credono. Si noti invece che Pietro sta proprio parlando di
Cristo, il Figlio di Dio incarnato, e sta dicendo che i giudei credono in lui solo
fino ad un certo punto. I giudei mirantur et credunt fino alla discesa di Gesù nella
morte. I giudei, cioè, arrivano a credere usque ad mortem, fino al punto in cui
Cristo, come ogni altro uomo (more hominis) scende nella morte. I cristiani,
invece, continuano a credere anche al seguito, la risurrezione di Cristo. E anche
qui, non manca una certa qual punta di fierezza per l’appartenenza alla fede
piena dei cristiani: gloriamur!
Oltre le precisazioni, che restano, dobbiamo apprezzare il fascino e la
bellezza dell’espressione uno itinere fidei utique perueniunt ad salutem. Giudei e
Greci stanno camminando insieme, chi guardando al passato, chi al futuro, nella
stessa direzione. La salvezza è preparata per tutti, in fide.
3.2.3. Terza prospettiva: la reciprocità
La terza possibilità di sbocco che Pietro dà alle relazioni tra cristiani ed
ebrei è quella di una reale e concreta esperienza di reciprocità.
Il cristiano e il giudeo non si limitano a camminare sulla stessa strada con la
stessa meta, come abbiamo appena visto, magari a rispettarsi senza guardarsi o
sostanzialmente ignorandosi, ma hanno qualcosa da scambiar-si lungo il
288 Serm. 110,1-2,3-18, PC II,332: Beatus apostolus primis et nouissimis, et Iudaeis et Graecis,
uexillum fidei unicum semper et singulare erigit ad salutem, quod quisquis habere non meruerit et
tenere, caelestium possidere non poterit gloriam triumphorum. Solum est, fratres, quod contra perfidiam
dimicantibus aciem dirigit, regem indicat, conectit socios, inpiumque hostem sola sui uisione terrificat.
Sic enim hodie coepit: «Non est autem scriptum propter Abraham, quod reputatum est illi ad iustitiam,
sed propter nos, credentes in eum, qui suscitauit Iesum dominum nostrum a mortuis» (Rom. 4,23-24).
Videtis, fratres, quia dum priores futura, dum praeterita credunt posteri, sic uno itinere fidei utique
perueniunt ad salutem, dum illi uenturum Christum, nos iam uenisse profitemur; illi usque ad mortem
more hominis discensurum mirantur et credunt, nos esse mortuum et resurrexisse gloriamur. Et quid
plura, fratres? Ideo salus haec tam antecedentium quam sequentium oculis est negata, ut tota esset in
fide.
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cammino, qualcosa di bello, di utile e di necessario per ognuno dei due.
Partiamo dai giudei. Il testo più importante che abbiamo studiato è
probabilmente quello dell’ambasceria giudaica mandata a Gesù dal centurione
romano: Pietro sottolinea il fatto, ed insiste sul suo significato. I giudei pregano
per un pagano e agiscono molto per la salvezza di un servo straniero.
Da parte cristiana si può e si deve fare di più. I passi più significativi sono al
riguardo i commenti alla chiamata del pubblicano Matteo e, ancora, il caso
dell’ambasceria giudaica del centurione romano.
Il racconto della vocazione del pubblicano Matteo è letta, come abbiamo
visto, in parallelo all’episodio della guarigione del paralitico: nel primo
Crisologo vede le genti, più peccatrici e quindi più graziate rispetto al popolo
giudaico. Quest’ultimo “anche oggi è costretto a letto per una cattiva salute, così
che, se non sarà portato dalla fede dei pagani, offerto a Cristo dalla compassione
dei santi, salvato dalla fede del popolo cristiano, non potrà giungere alla casa
della fede, alla casa della patria.”289
Ai cristiani Pietro assegna dunque compiti ben precisi nei confronti degli
ebrei: partendo dalla propria fede portarli, riconoscendo la propria condizione di
persone santificate averne compassione e offrirli a Cristo, mantenendo la
volontà di credere del popolo cristiano salvarli. Solo così gli ebrei potranno
giungere alla casa della fede, alla casa della patria.
Il caso dell’ambasceria giudaica spedita a Gesù da parte del centurione
romano per la guarigione del servo ammalato offre al nostro autore, come
abbiamo notato, l’occasione per tessere un elogio accorato e affettuoso verso i
giudei:
“O in che modo può non amare il vostro popolo un cristiano che, mentre professa
Cristo, proveniente dal vostro popolo, eleva e innalza alla gloria celeste tutto ciò
che appartiene al vostro popolo? Ama, infatti, il nostro popolo e ci ha costruito la
sinagoga (Lc. 7,5). Avete udito che la sinagoga giace sempre diroccata: offre solo
pietre grezze e non si eleva in costruzione celeste, se il costruttore cristiano non
la inserisce nella architettura della Chiesa.”290
Anche qui il Pastore ravennate dà indicazioni concrete: un cristiano non può
non amare il popolo dal quale proviene Cristo stesso; da costruttore deve
inserire le pietre grezze della sinagoga diroccata in Ecclesiae culmen.
Nella terza prospettiva della quale stiamo parlando, quella della reci-procità,
esiste perciò lo spazio per uno scambio bello, utile e necessario: gli ebrei
pregano e agiscono molto per la salvezza dei cristiani; i cristiani, dal canto loro,
289 Serm. 30,2,41-45, PC I,228: Hodieque malae ualetudinis tenetur in lecto, ut nisi portatus fuerit fide gentium, oblatus Christo miseratione sanctorum, christiani populi credulitate
saluatus, ad domum fidei, ad domum patriae non potest peruenire.
290 Serm. 102,4,42-48, PC II,286: Aut quomodo christianus non diligit gentem uestram, qui dum
Christum fatetur ex gente, quicquid uestrae gentis est caelestem tollit et extollit ad gloriam. «Diligit
enim gentem nostram, et synagogam ipse aedificauit nobis» (Lc. 7,5). Audistis quia semper diruta est
synagoga, et iacet iugiter in caementis, nec caelestem surgit in fabricam, nisi eam in ecclesiae culmen
christianus fabricator instruxerit.
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amano gli ebrei e, se sono fedeli alla propria identità, li portano, ne hanno
misericordia, li offrono a Cristo, li salvano, li fanno pervenire alla casa della
fede, li inseriscono nella Chiesa.
La salvezza, che nella seconda prospettiva, quella della comunione, è tutta
riposta nella fede, in questa terza prospettiva è condivisa dagli uni e dagli altri e
partecipata dagli uni agli altri in perfetta reciprocità.
3.2.4. Quarta prospettiva: l’accompagnamento
La quarta ed ultima prospettiva alla quale la predicazione crisologhiana apre
il rapporto tra cristiani ed ebrei è la più delicata: si tratta di una certa azione che
i cristiani non possono non compiere nei confronti degli ebrei.
Il passo più esplicito al riguardo lo abbiamo trovato ancora una volta nel
Sermone 102, dedicato al commento della guarigione del servo del centurione:
“Avendo sentito, dice, parlare di Gesù (Lc. 7,3). Avendo sentito parlare di Gesù. Se non ci
fosse stato prima l’annuncio della fede (cfr. Rom. 10,17), non sarebbe venuta la
guarigione del corpo. Dunque mandò da lui alcuni anziani dei Giudei (Lc. 7,3). Un
pagano manda Giudei da Cristo. Dunque anche per noi, perché è venuto prima
l’annuncio della fede (cfr. Rom. 10,17), la vita del corpo viene dopo. Mandò da lui
alcuni anziani dei Giudei (Lc. 7,3), e così lui, che era estraneo alla Legge, mostra
l’Autore della Legge a coloro che stavano nella Legge. Nessuno, dunque, si stupisca
se un pagano, cioè un cristiano, o chiama o accompagna un Giudeo o lo conduce a
Cristo. Mandò da lui alcuni anziani dei Giudei, per chiedere che venisse e guarisse il suo
servo (Lc. 7,3).”291
La posizione del Pastore ravennate è chiara ed esplicita. Il cristiano, che
essendo pagano è, paolinamente parlando, sine lege, mostra ai giudei, che sono
posti in lege, l’Autore della Legge: presenta cioè al giudeo Cristo indicandolo
come l’Autore di quella Legge che lui, giudeo, ha ricevuto e osserva (si noti
ancora una volta l’individuazione precisa da parte del Crisologo del vero
privilegio del popolo eletto da Dio). Il modo molto concreto col quale il
centurione romano compie questa dimostrazione di Cristo quale Autore della
Legge è di inviare materialmente dei giudei a Cristo, per domandare la
guarigione del suo servo ammalato.
Come abbiamo notato, il nostro autore prende spunto da quest’annotazione
esegetica per fare un’applicazione di carattere pastorale, e per rivolgere
un’esortazione ai suoi fedeli. Non ci si deve meravigliare delle conversioni dal
giudaismo al cristianesimo. È normale che un cristiano inviti, accompagni e guidi un
giudeo ad incontrare Cristo.
291 Serm. 102,3,25-33, PC II,284: «Cum audisset», inquit, «de Iesu (Lc. 7,3). Cum audisset de
Iesu». Nisi praecessisset auditus fidei (cfr. Rom. 10,17), salus corporis non uenisset. Ergo «misit ad eum
seniores Iudaeorum» (Lc. 7,3). Gentilis Iudaeos ad Christum mittit. Ergo et nobis, quia fidei praecessit
auditus (cfr. Rom. 10,17), uita corporis mox sequitur. «Misit ad eum seniores Iudaeorum» (Lc. 7,3), et in
lege positis, qui sine lege erat, legis demonstrat auctorem. Nemo ergo miretur, si gentilis, hoc est, christianus
Iudaeum aut uocat, aut ducit, aut perducit ad Christum. «Misit ad eum seniores Iudaeorum, rogans ut
ueniret et sanaret seruum eius» (Lc. 7,3).
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Demonstrare Cristo come l’Autore della Legge e vocare, ducere et perducere un
giudeo a Cristo sono azioni necessarie perché interne all'identità profonda del
cristiano, uno che segue Cristo e che quindi non può non portare tutti, soprattutto i
giudei, verso Cristo.
Crisologo non precisa ulteriormente forme e modalità di questo accompagnamento da parte dei cristiani. Non dobbiamo tuttavia nasconderci che si tratta,
da parte cristiana, di un’azione non solo impegnativa ma decisamente forte, una vera
guida. Il testo crisologhiano più significativo al riguardo è probabilmente nel
Sermone 10, dedicato al commento del Ps. 28. Come abbiamo osservato nel corso
della nostra ricerca, Pietro interpreta il v. 1 ("Recate al Signore figli di arieti") nel
senso che il cristiano offre come vittime coloro dai quali è stato preceduto sulla via
della fede, dai padri ebrei ai confessori cristiani. Anche in quest’occasione, Pietro non
fa mancare la sua applicazione pastorale, insistendo su un aspetto che, alla nostra
sensibilità odierna, desta ovviamente numerose perplessità di diversa natura. Il
Vescovo ravennate insiste molto, infatti, sulla necessità di portare al battesimo
veramente tutti, persino quelli che non vogliono. E cita come argomenti probanti
celebri esempi di vittime involontarie: Isacco, Lot, l’apostolo Pietro. Leggiamo, in
conclusione al nostro studio, come san Pietro Crisologo chiude il Sermone 10:
“E anche il Padre celeste non solo accoglie quelli che vogliono, ma attira anche quelli
che non vogliono, come dice il Figlio: Nessuno viene a me, se non colui che mio Padre
attira (Io. 6,44). Come può credersi cristiano chi non conduce a Cristo ciò che è annoso
e vecchio? O come può giudicare ovile di Dio la sua casa, se in essa il germoglio
pasquale, gregge di Dio, non fa risuonare il suo belato? Vi prego e vi scongiuro,
fratelli carissimi, per il nostro Signore, di essere tutti vigilanti in questo, affinché in
questi giorni nessuno sia lasciato privo della grazia di Dio, nessuno della generazione
divina, perché ciò che Dio sta per conferire agli altri mediante la sua grazia, cresca e
sovrabbondi in vostra gioia. Siamo uomini che vivono nell’incertezza e non sappiamo
che cosa rechi il giorno che verrà (Prov. 27,1). Facciamo dunque in modo, dilettissimi, che
i servi, i figli, gli sposi, i genitori, prevenuti dalla morte, non siano privi della vita
presente e non giungano a quella futura.”292
292 Serm. 10,5-6,92-106, PC I,110: Et pater caelestis non solum uolentes suscipit, sed adtrahit et
nolentes dicente filio: «Nemo uenit ad me, nisi quem pater meus adtraxerit» (Io. 6,44). Quomodo se
Christianum credit, qui non Christo annuosa et uetera ducit? Aut quomodo domum suam iudicat ouile dei,
ubi non pascuale germen, dei pecus dat balatum? Obsecro et obtestor, fratres carissimi, per dominum
nostrum, ut in hoc uigiletis omnes, quatinus in his diebus nullus a dei gratia, nullus a generatione diuina
relinquatur extorris, quatenus quod aliis deus est per suam gratiam collaturus, uestrum crescat et redundet
in gaudium. Homines sumus sub incerto uiuentes, et nescimus «quid pariat superuentura dies» (Prov.
27,1). Agamus ergo, dilectissimi, ne serui, ne filii, ne coniuges, ne parentes praeuenti morte et praesenti uita
careant, et non ueniant ad futuram.
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2.2.2. Studi sull’esegesi biblica dei Padri della Chiesa
La Bibbia nei Padri della Chiesa. L’Antico Testamento, a cura di M. Naldini, [Letture
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La Bibbia nell’antichità cristiana I: Da Gesù a Origene, a cura di E. Norelli, [La Bibbia nella
storia 15], Bologna 1993.
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Di Berardino, A., Alcuni orientamenti negli studi patristici, oggi, in Seminarium 3 (1990)
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272
INDICI
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Tertulliano – Cipriano – Agostino. Il Padre Nostro. Per un rinnovamento della catechesi
sulla preghiera, a cura di V. Grossi, traduzione di L. Vicario, Roma 1980.
Ticonio, Sette regole per la Scrittura, a cura di L. e D. Leoni, [Epifania della Parola 4],
Bologna 1997.
2.2.3. Studi sulla storia antica
Archi, G.G., Interferenze tra cristianesimo e impero romano, in I diritti fondamentali della
persona umana e la libertà religiosa. Atti del V Colloquio giuridico (8-10 Marzo 1984).
A cura di F. Biffi, [“Utrumque ius”. Collectio Pontificiae Universitatis Lateranensis
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Bardy, G., Il "latrocinio" efesino e il concilio di Calcedonia, in Storia della chiesa dalle origini
ai giorni nostri cominciata da A. Fliche e V. Martin IV: Dalla morte di Teodosio
all'avvento di S. Gregorio Magno (395-590), Torino 31972, pp. 265-300.
Brown, P., Il mondo tardo antico. Da Marco Aurelio a Maometto (The World of Late
Antiquity. From Marcus Aurelius to Muhammad, London 1971), [Piccola Biblioteca
Einaudi 228], Torino 1974.
Il cristianesimo nelle leggi di Roma imperiale, a cura di A. Barzanò, [Letture cristiane del
primo millennio 24], Milano 1996.
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Marrou, H.–I., Decadenza romana o tarda antichità? III-VI secolo (Décadence romaine ou
antiquité tardive? III-VI siècle, Paris 1977), traduzione dal francese di P. Vismara, [Di
fronte e attraverso pocket 39], Milano 1979.
Mazzarino, S., La fine del mondo antico, Milano 1959.
Neri, V., I marginali nell’Occidente tardoantico. Poveri, ‘infames’ e criminali nella nascente
società cristiana, [Munera. Studi storici sulla Tarda Antichità 12], Bari 1998.
Picotti, G.B., Osservazioni su alcuni punti della politica religiosa di Teoderico, in I Goti in
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Storoni Mazzolani, L., Galla Placidia: Storia illustrata di Ravenna a cura di P. P. D'Attorre
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ideata e diretta da E. Sellino], I: Dall'antichità al Medioevo a cura di C. Giovannini,
Milano 1989, pp. 177-192.
2.2.4. Altri studi
Bardy, G., La conversione al cristianesimo nei primi secoli (La conversion au christianisme
durant les premiers siècles, Paris 1947), traduzione dal francese di G. Ruggieri, [Già e
non ancora 2], Milano 1988.
Biffi, G., Ambrogio vescovo. Attualità di un maestro, [Vita quotidiana, vita cristiana 24],
273
INDICI
Cinisello Balsamo 1997.
Blumenkranz, B., La parabole de l’Enfant prodigue chez saint Augustin et saint Cesaire
d’Arles, in Vigiliae Christianae 2 (1948) 102-105.
Dossetti, G., Alcune linee dinamiche del contributo del Cardinale G. Lercaro al concilio
ecumenico Vaticano II, in L'eredità pastorale di Giacomo Lercaro, Studi e testimonianze,
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Simonetti, M., La crisi ariana nel IV secolo, [Studia Ephemeridis Augustinianum 11],
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Vendemiati, A., Legge naturale, in Rivista di teologia morale 31 (1999) 295-301.
INDICI
INDICE BIBLICO
Vetus Testamentum
Gen. 2,7: 81; 82
Gen. 3,5.23-24: 89
158
Gen. 4,5.8: 89
INDICI
Num. 12,9: 89; 90
Gen. 19,10.16: 42
Gen. 22,9: 42
Dt. 5,17: 105; 106
Gen. 37,11.28: 89
Dt. 5,17-18: 105; 106
Dt. 5,19: 105; 106
Ex. 2,15: 89
Dt. 5,20: 105; 106
Ex. 3: 58; 127
Dt. 6,4: 105; 106
Ex. 14,22: 74
Ex. 20,13: 105; 106
Ios. 6,20: 75
Ex. 20,13-14: 105; 106
Ex. 20,15: 105; 106
1 Sam. 15: 90
Ex. 20,16: 105; 106
Ex. 32: 90
Ps. 1: 25
Ps. 1,1: 103
Lev. 10: 90
Ps. 6: 25
Lev. 25,8-55: 102
Ps. 21,17: 62; 84
Ps. 28: 25; 40; 139
Num. 12,1ss.: 89; 90
Ps. 28,1: 41; 68; 69; 70;
159
INDICI
130; 135; 139
Is. 1,2: 84
Ps. 34,11: 106
Is. 1,21: 54; 55
Ps. 40: 25
Is. 14,12: 37; 89; 91
Ps. 54,10-12: 54; 55
Is. 53,8: 24
Ps. 73,12: 72
Is. 61,2: 50; 51; 57
Ps. 79,4: 81; 82
Ps. 88,16: 115; 116
Novum Testamentum
Ps. 88,36-37: 73
Ps. 94: 25; 114
Mt. 1,1-17: 50; 51
Ps. 94,8-11: 114; 115
Mt. 1,2: 39; 67; 112
Ps. 99: 25; 39
Mt. 2: 78
Ps. 131,6-7: 116
Mt. 2,1: 109
Ps. 131,11: 71; 80; 81
Mt. 2,13: 107; 108
Ps. 131,12: 73
Mt. 3,7: 92
Ps. 131,17: 115; 116
Mt. 3,13-17: 84; 85
Mt. 7,16: 58
Prov. 27,1: 139
Mt. 8,5-13: 126
Mt. 8,14: 72
160
INDICI
Mt. 8,14-15: 129; 135
Mt. 26,15: 93
Mt. 8,15: 72
Mt. 26,60: 105; 106
Mt. 9,1: 74; 108
Mt. 27,25: 93
Mt. 9,1-8: 127
Mt. 28,12-15: 93; 105;
Mt. 9,9: 127
106
Mt. 9,16: 113; 114
Mt. 9,16-17: 127
Mt. 9,17: 113; 114
Mt. 9,18-26: 126
Mt. 11,12: 73; 74; 129
Mt. 12,10: 92
Mt. 13,24-30: 58
Mt. 15,3ss.: 103
Mt. 15,24: 43; 50; 51; 73
Mt. 21,23: 92
Mt. 21,37-38: 59; 60
Mt. 23,37: 85
Mt. 25,31: 56
Mc. 1,9-11: 84; 85
Mc. 3,2: 92
Mc. 5,21-43: 126
Mc. 5,22-43: 50; 51
Mc. 5,25: 50; 51
Mc. 5,35: 50; 51
Mc. 5,42: 50; 51
Mc. 7,1.7-13: 103
Mc. 7,6ss.: 103
Mc. 7,24: 73
Mc. 8: 62
Mc. 8,22-26: 129
161
INDICI
Mc. 11,28: 92
Lc. 7,1-10: 126
Mc. 12,7: 91
Lc. 7,3: 43; 44; 118;
Mc. 12,18: 53; 54
Mc. 12,29: 105; 106
119; 138
Lc. 7,4-5: 44; 117; 118
Lc. 7,5: 45; 46; 137
Lc. 1,5: 69; 70
Lc. 1,8.9-10: 70
Lc. 1,8-10: 128; 135
Lc. 1,55: 73
Lc. 2,14: 24
Lc. 2,26: 71; 80; 81
Lc. 2,29-30: 71; 80; 81
Lc. 3,21-22: 84; 85
Lc. 3,23-38: 50; 51
Lc. 4,1: 84; 85
Lc. 7,6: 46; 47; 48; 94;
95; 119; 120
Lc. 7,7: 48; 120
Lc. 7,8: 48; 119; 120
Lc. 7,9: 42; 48; 120
Lc. 7,36: 53; 54; 55
Lc. 7,37: 54; 55
Lc. 7,47: 56
Lc. 8,40-56: 126
Lc. 10,2: 38; 99; 100;
111; 112
Lc. 4,19: 50; 51; 57
Lc. 11,11: 84; 85; 127
Lc. 6,7: 92
Lc. 11,12: 85
Lc. 7: 46; 53; 55
Lc. 11,15: 92
162
INDICI
Lc. 11,33: 88
Lc. 16,6: 101
Lc. 12: 58
Lc. 16,30: 77
Lc. 12,52-53: 126
Lc. 16,31: 77
Lc. 13: 56; 71; 80
Lc. 19,1: 75
Lc. 13,6-9: 128
Lc. 19,10: 75
Lc. 13,8: 57
Lc. 19,16: 88
Lc. 15: 35
Lc. 20,2: 92
Lc. 15,7.10: 116
Lc. 21,29-31: 87; 104
Lc. 15,8-10: 87; 88; 129;
135
Lc. 15,11-32: 126
Lc. 15,12: 98; 99
Lc. 15,25: 38; 99; 100;
111; 112
Lc. 15,29: 39; 112
Lc. 15,31: 39; 67; 80;
112
Io. 1,1: 89
Io. 1,17: 68
Io. 1,28-34: 84; 85
Io. 1,29: 113; 114
Io. 3,14: 85
Io. 5,35: 89
Io. 6,41.51: 84
Lc. 16: 39
Io. 6,44: 42; 139
Lc. 16,1-8: 126
Io. 6,54: 54; 55
163
INDICI
Io. 8,51: 86
Rom. 6,11: 51
Io. 8,52-53: 86
Rom. 7,10: 85
Io. 15,15: 47; 94; 95
Rom. 8,35: 60
Io. 20,6-7: 50; 51
Rom. 9,5: 61
Io. 21,1-14: 85
Rom. 9,33: 84
Io. 21,18: 42
Rom.
10,17:
43;
44;
118; 119; 138
Act. 2: 127
Act. 9,3-4: 62; 63; 129
Act. 13,46: 73
Rom. 11: 46
Rom. 11,28: 46; 47; 94;
95
Rom. 12,1: 90
Act. 23,8: 53; 54
Act. 26,27: 43
1 Cor. 13,12: 62; 63
1 Cor. 15,43: 63
Rom. 2,14-15: 98; 99
Rom. 4,23-24: 75; 76;
121; 126; 135
2 Cor. 5,16: 24
Rom. 5,1: 104
Rom. 5,20: 116; 117
Gal. 4,4: 51
164
INDICI
Phil. 2,10: 24
1 Ptr. 2,24: 51
Col. 2,17: 62
Hbr. 11,3: 74
1 Ptr. 1,5: 50; 51
Apoc. 12,9: 37; 89; 91
165
INDICI
INDICE ONOMASTICO
Abele: 39; 67; 89; 112
Annas: 32
Abramo: 7; 37; 39; 41;
Anonimo Valesiano: 32;
42; 52; 67; 68; 69; 73;
74; 75; 76; 77; 82; 86;
91; 97; 112; 121; 135
Adamo: 26; 57; 65; 89;
97
33
Apollinare: 11; 20; 26
Arcadio: 19; 20
Argemì, A.M.: 13
Agnello: 10; 11; 21; 22
Ario: 90
Agostino: 24; 25; 28; 39;
Aronne: 89; 90
66; 113; 123
Ataulfo: 20
Agricola martire: 30
Attila: 20
Agrippa: 43
Aubineau, M.: 15
Alarico: 19; 20
Alberigo, G.: 7
Baldassarri, S.: 10
Almog, S.: 132
Baldisserri, L.: 10; 21; 22
Ambrogio: 24; 30; 88;
Ballarini, L.: 100; 124
113; 123
Ambrosiaster: 43
Andrea ap.: 26
Banterle, G.: 9; 16
Barbieri, G.: 33
166
INDICI
Bardy, G.: 11; 24; 29; 45
Bettiolo, P.: 21
Barrios, J.P.: 14
Bieler, L.: 15; 24
Barsabba
di
Gerusalemme: 127
Biffi, G.: 5; 9; 16; 30
Blumenkranz, B.: 27; 28;
Basilio di Seleucia: 15
38; 49; 66; 103
Baus, K.: 21; 30; 113
Böhmer, G.: 13; 33
Baxter, J.H.: 15
Bori, P.C.: 105
Beatrice, P.F.: 88
Budriesi, R.: 20
Bedeschi, P.: 10; 11
Beelzebul: 92
Cabrol, F.: 12
Benelli, A.: 12; 22
Caino: 89
Benericetti, R.: 11; 14;
Camelot, P.T.: 12
16; 59
Benz, S.: 12
Bernardino da Feltre: 33
Bernardo di Chiaravalle:
17
Berra, L.: 11; 23
Bertrand, G.M.: 14
Cantalamessa, R.: 88
Carducci, G.: 23
Carmignac, J.: 14
Cary, M.: 19
Cassiano: 12
Cesario: 28; 113
167
INDICI
Cicognani, G.: 11
De Echevarría, L.: 16
Cimosa, M.: 106; 111
De Margerie, B.: 17
Cipriano: 25; 88
De Rosa, G.: 83
Cirillo d’Alessandria: 21
Del Ton, G.: 15
Claudio imp.: 29
Di Berardino, A.: 11; 25
Clemente
Dioscoro: 21
Alessandrino:
35
Clemente Romano: 40
Cornelio: 10
Costantino: 21; 113
Cracco Ruggini, L.: 31;
32; 33
Cremer, F.G.: 16
Dold, A.: 15
Dölger, F.J.: 15
Dossetti, G.: 7
Dossetti, G.L.: 7
Dubois, M.: 124; 133
Dukan, M.: 31; 32; 33
Cromazio: 15
Crouzel, H.: 17
Elia: 77
Enoch: 39; 67; 112
Danna, V.: 100
Davide: 40; 73; 74
De Bruyne, D.: 15
Epicuro: 38
Epifanio: 43
Epulone: 77
168
INDICI
Erode: 69; 70; 105
Filemone: 43
Esichio: 15
Fiorentini, R.: 10
Etaix, R.: 15
Fiorini, V.: 23
Eudossia: 20
Fitzgerald, A.: 15
Eufemia: 26
Flaviano: 21
Eutarico: 33
Flavio Costanzo: 20
Eutiche: 16; 21; 22; 23;
Fliche, A.: 11
24
Eva: 65; 97
Ewig, E.: 21; 30; 113
Flusser, D.: 100
Fotino: 28; 90
Frend, W.H.C.: 132
Fabbri, R.: 29
Frizzell, L.E.: 133
Facondo di Ermiane: 21
Fumagalli, P.F.: 31
Faller, O.: 88
Fatica, L.: 21
Felice: 15; 25
Felicita: 26
Feliers, J.: 16
Ferrua, A.: 11; 24
Galla
Placidia:
19;
20;
21; 22
Gallay, P.: 88
Gamber, K.: 12
Gesù Cristo: 14; 17; 19;
24; 26; 28; 37; 39; 42;
169
INDICI
43; 44; 45; 46; 47; 48;
50; 51; 52; 53; 54; 55;
56; 57; 58; 59; 60; 61;
62; 63; 66; 67; 68; 70;
71; 72; 73; 74; 75; 76;
77; 78; 79; 80; 81; 82;
83; 84; 85; 86; 87; 88;
89; 90; 91; 92; 93; 94;
95; 97; 98; 100; 102;
104; 105; 106; 108;
109; 110; 112; 113;
114; 115; 116; 117;
118; 119; 120; 121;
126; 127; 128; 129;
130; 131; 133; 134;
135; 136; 137; 138;
139
Ghiberti, G.: 133
Ghirlanda, A.: 106
Giacobbe: 39; 67; 112
Giairo: 49; 52; 126
Giona: 131
Giosuè: 74; 75
Giovanni Antiocheno: 33
Giovanni
Battista:
26;
69; 89; 92; 128; 134
Giovanni Crisostomo: 41;
42
Giovanni
Crisostomo-
Pseudo: 15
Giovanni di Berito: 15
Giovanni ev.: 68; 133
Giovanni Paolo II papa: 7
Giovanni
usurpatore
di
Valentiniano III: 20
Giovanni vesc.: 23
Giovanni XXIII papa: 7
Giuda: 93
Giuliano l’Apostata: 113
Giuseppe sposo: 14; 108
Giustiniano: 21; 27; 29;
30; 31; 32
Giustino: 14; 134
170
INDICI
Granfield, P.: 16
Gregorio Magno: 11; 32
Jedin, H.: 7; 21
Gregorio Nazianzeno: 88
Jenkins, C.: 14
Gregorio Nisseno: 88
Joannou, P.-P.: 7
Greogorio di Elvira: 113
Jossua, J.P.: 14
Grillmeier, A.: 14
Jungmann, J.A.: 16
Grossi, V.: 5; 25
Klaas, A.: 14
Heither, T.: 88
Koch, H.: 66; 88
Herz, M.: 13
Kochaniewicz, B.: 14; 28;
Holder-Egger O.: 22
Holl, K.: 43
Ibas: 21
Ireneo: 14; 35; 42; 69
Isacco: 39; 41; 67; 68;
69; 112; 139
Isaia: 57; 88
81
Kroll, W.: 66
La Rosa, V.: 14
Ladino, R.: 14
Langerbeck, H.: 88
Lanzoni, F.: 10; 12
Lavenant, R.: 21
171
INDICI
Manns, F.: 40; 124; 127;
Lazzaro: 26
131; 133; 134
Lazzati, G.: 88
Marcellino di Voghenza:
Lemarié, J.: 13; 15
12; 26
Leonardi, C.: 7
Leone
Magno:
Marcione: 42
14;
17;
20; 21; 23; 113
Leonzio di Costantinopoli:
15
Lercaro, G.: 7
Lodi, E.: 13
Lot: 42; 139
Luca ev.: 56; 88
Lucchesi, G.: 10; 11; 20;
22; 23
Lucifero: 89
Luzzati, M.: 33
Marco ev.: 49
Marco gnostico: 35
Mari di Rewardasir: 21
Maria sorella di Mosè e
Aronne: 89; 90
Maria verg.: 14; 28; 81;
82; 108; 134
Maritain, J.: 40
Marrou, H.I.: 29
Martimort, A.G.: 13
Martin, V.: 11
Massi, U.: 29
Malaspina, E.: 31
Manicardi, E.: 13
Matteo
ev.:
116;
136
Mazzarino, S.: 19
127;
172
INDICI
Mazzotti, M.: 11; 21
Nestorio: 21; 23
Mc Glynn, R.H.: 14
Noè: 39; 67; 112
Meneghin, V.: 33
Ntedika, J.: 14
Michalcik, F.: 15
Miggiano, A.: 40
Odoacre: 31; 33
Milano, A.: 30; 31
Olivar, A.: 10; 11; 12;
Mommsen, Th.: 33
Moreschini, C.: 88
Moriani, L.: 12
Moricca, U.: 11
13; 14; 15; 16; 17; 23;
24; 25; 26
Onorio: 19; 20; 31
Origene: 23; 35; 42; 87
Orselli, A.M.: 20
Mosè: 39; 67; 68; 74;
75; 76; 77; 78; 82; 85;
89; 97; 98; 99; 112;
126
Muratori, L.A.: 23
Muzzarelli, M.G.: 33
Padovese, L.: 36
Paganotto, E.: 14
Palardy, W.B.: 15; 29;
49; 107; 123; 131; 133
Paolo ap.: 12; 26; 36;
Neone: 22
Neri, V.: 19
43; 46; 62; 63; 75; 95;
100; 104; 121; 123;
126; 129
173
INDICI
Pascasio Radberto: 16
Pasini, A.: 16
Rabello,
A.M.:
27;
30; 31; 32
Pasquet, P.M.: 68
Radagaiso: 19
Perani, M.: 5
Ratzinger, J.: 100; 124
Peters, F.J.: 13
Ravasi, G.: 106
Peterson, E.: 39
Pietro ap.: 15; 42; 60;
72; 74; 129; 135; 139
Re, P.: 14
Reitzenstein, R.: 88
Pietro II: 22
Rokeah, D.: 131
Pinell, J.: 13
Rossano, P.: 106
Pizzolato, L.F.: 88
Ruggieri, G.: 29
Preuschen, E.: 43
Ruggiero, F.: 13
Prodi, P.: 7
Russo, A.: 133
Proietto: 26
Sara: 49
Qiiore: 21
Quacquarelli,
29;
Sauget, J.M.: 21
A.:
21;
102; 131
Quasten, J.: 11; 13; 16
Saul: 90
Schiltz, E.: 15; 24
174
INDICI
Schwartz, E.: 23; 24
Speigl, J.: 14
Scimè, G.: 16; 42
Spinelli, M.: 12; 14; 15;
Scorza Barcellona, F.: 13
Scullard, H.H.: 19
Segre, R.: 33
Sem: 39; 67; 112
Sessa, G.: 14
Simeone: 57; 71; 80; 81;
134
Simone fariseo: 53; 55;
16
Stefano martire: 26
Stegemann, E.W.: 29
Stegemann, W.: 29
Stilicone: 19; 20
Storoni Mazzolani, L.: 19
Stroumsa, G.G.: 131
Studer, B.: 5; 11
126
Simone gnostico: 35
Simonetti, M.: 21
Siniscalco, P.: 5; 19; 35;
36; 69
Sirat, C.: 31; 32; 33
Solignac, A.: 10
Sottocornola, F.: 13; 14
Spadoni, R.: 12
Tamassia, N.: 12
Teoderico: 31
Teodoreto di Ciro: 21
Teodorico: 22; 31; 33
Teodoro
di
Mopsuestia:
21
Teodosio I: 11; 19; 20;
30; 32
175
INDICI
Teodosio II: 19; 20; 22;
31
Tertulliano: 25; 35; 42;
87
Testi-Rasponi, A.: 22
Thoma, C.: 100; 134
Timoteo: 43
Tito: 43
Van Paassen, J.: 11; 22
Varignana, N.: 12
Vendemiati, A.: 99
Vicario, L.: 25
Vitale martire: 30
Vivanti, C.: 33
Vogels, H.I.: 43
Tommaso ap.: 35
Tommaso d’Aquino: 68
Truzzi, C.: 13; 16; 27;
Willis, G.C.: 12
Wissowa, G.: 66
28; 99
Zaccaria
Ubach, B.: 17
sac.:
26;
69;
70; 128; 134; 135
Zaccheo: 74; 75
Valentiniano III: 19; 20;
22; 31
Valentino gnostico: 35
Zaccherini, G.: 40
Zambrini, L.: 12
Zerdoun, M.: 31; 32; 33
G. SCIMÈ
20
INDICE DEL VOLUME
Presentazione
5
Capitolo I. Status degli Studi
1. Il contenuto del libro
2. Il metodo di lavoro
3. Stato attuale della ricerca
3.1. Indirizzo storico
7
7
9
10
10
3.1.1. Storiografia
3.1.2. Liturgia
3.1.3. Pastorale
3.2. Indirizzo teologico
3.3. Indirizzo letterario
3.3.1. Verso l’edizione critica dei Sermoni
3.3.2. L’esegesi biblica dei Sermoni
10
12
13
14
15
15
16
Capitolo II. Pietro Crisologo e il suo tempo
1. La situazione storica al tempo di Pietro Crisologo
2. La situazione ecclesiale
3. Notizie biografiche
4. Le opere e l’uditorio di Pietro Crisologo
5. Gli ebrei nell’Impero e a Ravenna nel IV e V secolo
19
19
21
22
23
29
Capitolo III. Giudei e Cristiani
1. Una categoria teologica
2. Due popoli
3. Un solo gregge
4. Il costruttore cristiano
5. Nemici e amici
35
35
35
40
42
46
Capitolo IV. Sinagoga e Chiesa
1. I dodici anni della figlia di Giairo e dell’emorroissa
2. Il fariseo e la peccatrice
3. Il fico nella vigna: coltello legale e vomere apostolico
4. La famiglia divisa: continuità e discontinuità
5. «Nunc uidimus in speculo»
49
49
53
56
58
61
Capitolo V. Israele di fronte a Dio
1. I giudei nel sermonario
2. La santità del popolo giudaico
3. La salvezza del popolo giudaico
4. Cristo e il popolo giudaico
5. Il popolo giudaico e Cristo
65
65
66
72
76
83
Capitolo VI. Israele di fronte agli altri popoli
1. Cristo e la Legge: due peculiarità
2. Il popolo della Legge
3. Gli impegni e gli errori di Israele verso la Legge
97
97
98
100
PIETRO CRISOLOGO E IL SUO TEMPO
21
4. Israele di fronte agli altri popoli
5. Israele insieme agli altri popoli
106
110
Capitolo VII. Conclusioni
1. Prima conclusione: il dialogo ecumenico
2. Seconda conclusione: complessità e variabili
3. Terza conclusione: un autore favorevole ai giudei
3.1. Il metodo teologico: tre serie di commenti biblici
3.1.1. La serie delle “coppie” di personaggi o cose bibliche
3.1.2. La serie dei “singoli” personaggi o cose bibliche
3.1.3. La serie delle “riletture” bibliche
3.2. Il contenuto dell’esegesi su giudei e cristiani
3.2.1. Prima prospettiva: la sostituzione
3.2.2. Seconda prospettiva: la comunione
3.2.3. Terza prospettiva: la reciprocità
3.2.4. Quarta prospettiva: l’accompagnamento
123
123
124
124
125
126
128
130
131
134
135
136
138
Bibliografia
1. Fonti
1.1. Fonti relative a Pietro Crisologo
1.2. Opere di Pietro Crisologo
1.2.1. Testi
1.2.2. Traduzioni
1.3. Altre fonti
2. Studi
2.1. Studi specifici su Pietro Crisologo
2.1.1. Studi storici
2.1.2. Studi teologici
2.1.3. Studi liturgici
2.1.4. Studi pastorali
2.1.5. Studi esegetici
2.2. Studi generali
2.2.1. Studi su ebraismo e cristianesimo
2.2.2. Studi sull’esegesi biblica dei Padri della Chiesa
2.2.3. Studi sulla storia antica
2.2.4. Altri studi
141
141
141
141
141
142
142
142
142
142
146
148
149
150
150
150
153
154
155
Indici
Indice biblico
Indice onomastico
157
157
160
Indice del volume
165