Bozza di articolazione della tesi
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Bozza di articolazione della tesi
PREFAZIONE Lo studio presente, Giudei e cristiani nei Sermoni di san Pietro Crisologo, è stato presentato come Tesi di Dottorato in Teologia e Scienze Patristiche all’Institutum Patristicum Augustinianum, presso la Pontificia Università Lateranense, e qui difeso il 26 Ottobre 2000. L’interesse per la figura di Pietro Crisologo, vescovo e dottore della Chiesa, mi è nato circa dieci anni fa da un consiglio dell’Arcivescovo di Bologna, il Card. Giacomo Biffi. Esso mi ha portato alla Tesi di Licenza, diretta dal Rev. P. Basil Studer e intitolata L’esegesi di san Pietro Crisologo sui Salmi (Roma 1992). Negli stessi anni, grazie alla benevolenza dello stesso Arcivescovo, ho collaborato all’edizione dell’opera omnia del Pastore di Ravenna, pubblicata in tre volumi (Milano, Biblioteca Ambrosiana - Roma, Città Nuova Editrice, 1996-1997) e presentata al pubblico italiano all’interno delle celebrazioni del XXIII Congresso Eucaristico Nazionale (Bologna, Settembre 1997). Il desiderio di studiare la questione del rapporto tra i cristiani e i giudei nei Sermoni di Pietro è nato dalla constatazione della frequenza e dell’intensità con la quale Crisologo si esprime al riguardo mentre commenta ai suoi fedeli le pagine della Bibbia, spiega le grandi verità della fede, presenta l’esempio dei santi ed esorta a vivere con coerenza il messaggio evangelico. Tale desiderio di approfondimento è anche collegato all’interesse per l’esegesi biblica e per l’apporto che ad essa può ancora venire dall’esegesi patristica. Infine, lo studio intende offrire un contributo anche per lo sviluppo di un dialogo, corretto e serio, tra i cristiani e gli ebrei. La novità e la delicatezza dell’argomento trattato susciterà nel lettore la comprensione benevola per le inesattezze, più o meno gravi, per le lacune, e per ogni altra probabile incompletezza. Ringrazio vivamente il direttore della ricerca, prof. Paolo Siniscalco, per la cortesia, la premura e la competenza con le quali mi ha accompagnato nella stesura del testo. Ringrazio i correlatori, il prof. P. Vittorino Grossi e il prof. Mauro Perani, per i preziosi suggerimenti offerti durante il lavoro di ricerca e in sede di discussione della tesi. Grazie a tutti, professori dell’Augustinianum, compagni di studio, amici, confratelli, familiari, fratelli e sorelle delle Famiglie della Visitazione. Bologna, 30 Luglio 2003, Memoria di s. Pietro Crisologo, vescovo e dottore della Chiesa CAPITOLO I G. SCIMÈ 8 STATUS DEGLI STUDI 1. Il contenuto del libro Lo studio che qui presentiamo si occupa di come Pietro Crisologo si sia posto, in qualità di vescovo cristiano, nei confronti dei giudei. L'oggetto di questa ricerca di teologia patristica è perciò, secondo noi, di estrema attua-lità. L’argomento generale sotteso alla nostra ricerca – il rapporto tra cristiani ed ebrei – rappresenta infatti uno dei punti focali attraverso i quali è passata la storia della Chiesa e dell’umanità nel XX secolo. Basti pensare al dramma della Shoà e alla dichiarazione conciliare Nostra aetate (28.X.1965), fatti di enorme spessore culturale e religioso che hanno segnato indele-bilmente le coscienze dei cristiani e degli ebrei negli ultimi decenni. Per quanto riguarda in particolare la svolta epocale rappresentata dal concilio ecumenico Vaticano II nella storia dei travagliati rapporti tra cristianesimo ed ebraismo, vorrei cogliere l’occasione di questa presentazio-ne per ricordare ai lettori quello che i bolognesi sanno da don Giuseppe Dossetti: la frase "Scrutando a fondo il mistero della Chiesa, questo sacro sinodo ricorda il vincolo con cui il popolo del Nuovo Testamento è spiritualmente congiunto con la stirpe di Abramo"1 - frase che determinò in modo decisivo il nuovo clima di apertura e di dialogo caratteristico del concilio promosso da papa Giovanni XXIII - fu voluta esclusivamente dal card. Giacomo Lercaro, allora arcivescovo di Bologna, ma già arcivescovo di Ravenna (1947-1952), la città di Pietro Crisologo2. Il clima nuovo degli ultimi decenni, di dialogo e di amicizia, ha portato Giovanni Paolo II a visitare la Sinagoga di Roma, il Muro del pianto e lo YadVashem, e a promuovere il colloquio intra ecclesiale Radici dell'antigiudaismo in ambiente cristiano3. La vastità di tali implicazioni è qui presupposta. Nei 184 discorsi rivolti al popolo durante la liturgia Pietro, vescovo di Ravenna dal 431 al 452, si rivolge principalmente ai suoi fedeli per ammaestrarli nelle verità di fede, ma non perde di vista gli interlocutori naturali dei padri: gli eretici, i pagani e i giudei. Quasi in ogni discorso egli parla dei giudei e spesso parla ai giudei. L'oggetto della nostra ricerca è la rilevazione di questo 1 Declaratio de Ecclesiae habitudine ad religiones non-christianas Nostra aetate 4, in Conciliorum Oecumenicorum Decreta [= CoeD], a cura di G. Alberigo, G.L. Dossetti, P.-P. Joannou, C. Leonardi, P. Prodi, consulenza di H. Jedin, ed. bilingue, Bologna 1991, p. 970. La traduzione della frase è nostra. 2 Cfr. G. Dossetti, Alcune linee dinamiche del contributo del Cardinale G. Lercaro al concilio ecumenico Vaticano II, in L'eredità pastorale di Giacomo Lercaro, Studi e testimonianze, [Lettere e scritti di pastori], Bologna 1992, p. 123. 3 Cfr. Radici dell'antigiudaismo in ambiente cristiano. Colloquio Intra-Ecclesiale. Atti del Simposio Teologico-storico, Città del Vaticano, 30 Ott. - 1 Nov. 1997. Grande Giubileo dell'Anno 2000, [Atti e Documenti 8], Città del Vaticano 2000. STATUS DEGLI STUDI 9 dato di fatto, l'analisi di tutti i testi del Crisologo, la ricerca delle fonti delle sue più importanti intuizioni e l'individuazione di alcune linee portanti della sua impostazione teologica. Il libro è articolato in sette capitoli. Nel primo, dopo le presenti osservazioni sul contenuto del libro e sul metodo di lavoro, si presenta lo stato attuale della ricerca su Pietro Crisologo con un'ampia panoramica degli argomenti che, soprattutto nel secolo XX, hanno attirato le atten-zioni degli studiosi nei diversi campi di interesse. Nel secondo capitolo si trova un’introduzione vera e propria con i tradizionali elementi sul tempo in cui è vissuto l’Autore, sulla sua vita, sulle sue opere, sul pubblico destinatario dei suoi Sermoni, e un excursus sulla presenza degli ebrei nell’impero e a Ravenna tra il IV e il V secolo. Nel terzo capitolo si rileva l’uso di una particolare categoria teologica – quella di giudeo/cristiano - presente nel sermonario e se ne incomincia a vedere l’applicazione al tema studiato in generale. Nel quarto capitolo si approfondisce la categoria studiandone l’applicazione particolare nel caso del rapporto tra la Sinagoga e la Chiesa. Nei due capitoli successivi si fa emergere lo sguardo problematico e sostanzialmente positivo di Pietro nei confronti della realtà del popolo ebraico prima considerato nel suo rapporto con Dio (cap. quinto) e poi con gli altri popoli (cap. sesto). Ne viene un quadro molto nitido sulla identità peculiare attribuita da Pietro al popolo eletto. Infine, nel capitolo settimo, troviamo le conclusioni del nostro studio. In esso si traggono tre conclusioni finali. Nella terza considera-zione conclusiva, la più importante, si ragiona distintamente sul metodo e sul contenuto dei testi studiati e si presentano quattro possibili prospettive di soluzione alla complessa questione del rapporto tra il cristianesimo e il giudaismo, nei termini nei quali essa viene posta da Pietro Crisologo. G. SCIMÈ 10 2. Il metodo di lavoro Il metodo di studio che ha portato alla pubblicazione del presente libro è connesso alla storia della pubblicazione dell'Opera omnia da parte della Biblioteca Ambrosiana e di Città Nuova. La revisione della traduzione, ultima opera del compianto prof. Banterle, il commento (introduzione e note), ma specialmente l'elaborazione di un indice analitico (60 pagine del III volume) mi hanno costretto a leggere più volte i sermoni, a risolvere difficoltà di traduzione, a catalogare nomi, figure retoriche, espressioni, temi biblici, argomenti patristici e a ripresentare in forma ragionata e ordinata tutto l'insegnamento crisologhiano. Le fasi del lavoro, durato alcuni anni, sono state: - raccolta della bibliografia; - lettura e traduzione di tutti i sermoni; - risoluzione di problemi d'interpretazione legati alla traduzione preesistente (alcune migliaia di emendamenti corretti con G. Biffi); - indicizzazione di tutto il materiale; - lettura degli studi moderni sulla figura e sulle opere del Crisologo; - lettura degli studi moderni più importanti relativi al rapporto tra ebraismo e cristianesimo; - analisi dei testi specifici del Crisologo sul nodo giudaismo-cristia-nesimo; - catalogazione dei testi specifici per argomento; - ricerca delle fonti delle interpretazioni esegetiche di Pietro riguardo alla questione studiata; - selezione del materiale catalogato e ripresentazione ragionata secon-do una griglia che costituisce la struttura attuale del libro; - enucleazione di alcune tesi della teologia cristiana dell'ebraismo presentata dal pastore ravennate. Lo studio presente, come detto, si occupa di come Pietro Crisologo si pone, in qualità di vescovo cristiano, nei confronti dei giudei, e non di altro. La ricerca è stata condotta sulle fonti antiche, principalmente sui Sermoni pronunciati da Pietro durante il suo episcopato a Ravenna. Da queste fonti primarie si è risalito, quando è stato ritenuto utile e neces-sario, ad altri documenti dell'antichità relativi alle tematiche più importan-ti direttamente affrontate dal Crisologo nei suoi discorsi al popolo. Il metodo di lavoro è consistito in attente e ripetute letture delle omelie di Pietro, al fine di raccogliere e riordinare logicamente testi significativi sulla questione da studiare. La raccolta e il riordino del materiale prende spunto da un lavoro più ampio, già pubblicato dallo scrivente. 3. Stato attuale della ricerca La ricerca su Pietro Crisologo si è svolta quasi esclusivamente nel secolo XX e ha sviluppato prevalentemente tre indirizzi - storico, teologico, letterario STATUS DEGLI STUDI 11 - sia con contributi diretti e sistematici, sia con osservazioni riguardanti solo di passaggio gli scritti del nostro autore4. 3.1. Indirizzo storico 3.1.1. Storiografia Gli studi storici nascono al principio del secolo e arrivano sino ai nostri giorni soprattutto per l'interesse di ecclesiastici della regione Romagna: Lanzoni5 e Lucchesi6 di Faenza, Baldisserri7 e Bedeschi8 di Imola, Baldassarri9 di Ravenna. Tutti questi studi hanno il merito di avere risvegliato l'attenzione sul nostro autore e il limite evidente di una ricerca sempre più concentrata sul problema piuttosto intricato della collocazione geografica della nascita e della morte del Crisologo, ricerca resa talvolta un po' angusta da interessi campanilistici10. 4 Cfr. A. Olivar, Clavis sancti Petri Chrysologi, in Sacris erudiri 6 (1954) 327-342. Id., Reseña de las publicaciones recientes referentes a San Pedro Crisólogo, in Didaskalia 7 (1977) 131-151. G. Lucchesi, Stato attuale degli studi sui santi dell'antica provincia ravennate, in Atti dei Convegni di Cesena e di Ravenna (1966-1967) I, Cesena 1969, pp. 51-80. A. Solignac, Pierre Chrysologue, in Dictionnaire de spiritualité ascétique et mystique XII, Paris 1986, pp. 1541-1546. 5 F. Lanzoni, I Sermoni 107 e 130 di San Pier Crisologo, Rivista di scienze storiche 6 (1909) 944-962. Id., I Sermoni di San Pier Crisologo, in Ibid., 7/1 (1910) 121-136; 161-186; 241-260; 331-361; 7/2 (1910) 1-22; 183-216. 6 G. Lucchesi, Note agiografiche sui primi vescovi di Ravenna, Faenza 1941. Id., Nuove note agiografiche ravennati. Santi e riti del Sacramentario Leoniano a Ravenna, Faenza 1943. Id., Note intorno a San Pier Crisologo, in Studi romagnoli 3 (1952) 97-104. Id., Pietro Crisologo, in Enciclopedia cattolica IX, Città del Vaticano 1952, pp. 1433-1435. Id., Cornelio, in Bibliotheca sanctorum IV, Roma 1964, pp. 192-193. Id., I santi celebrati dall'arcivescovo Agnello, in Agnello arcivescovo di Ravenna, Faenza 1971, pp. 61-78. 7 L. Baldisserri, San Pier Crisologo Arcivescovo di Ravenna. (Studio critico), Imola 1920. 8 P. Bedeschi, I Santi imolesi, Imola 21964. Presso lo stesso editore imolese, Galeati: [R. Fiorentini], S. Pier Crisologo vescovo e dottore della Chiesa, Imola 1966. Ancora imolesi gli autori di: S. Pietro da Imola il Crisologo, Dottore della Chiesa. [Articolo firmato da] Il gruppo di studi su S. Pier Crisologo presso il "Centro di Cultura Maria Immacolata", di Imola, in Il Nuovo Diario 17 (Imola 25 Novembre 1961) p. 3. 9 S. Baldassarri, Canone e mosaici di Ravenna. Verso una "teologia" dei monumenti ravennati, in L'Avvenire d'Italia 73 (Bologna 13 Marzo 1968) p. 3. Salvatore Baldassarri, originario di Faenza, docente di storia ecclesiastica, fu arcivescovo di Ravenna (19561975). 10 Un esempio per tutti. «È mai possibile, vorremmo inoltre obiettare ai vari negatori, antichi e moderni, della cittadinanza imolese del celebre Dottore, che Ravenna avesse così presto dimenticato il suo più illustre vescovo e santo, dopo S. Apollinare, al punto da non sapere più, quattro secoli dopo la sua morte, di quale patria egli fosse? Se è vero che Agnello indugia alquanto in particolari leggendari ed è autore non certo del tutto attendibile, non si comprende però, se non ammettendo la sua più assoluta certezza al riguardo, perché egli dica senz'altro il Crisologo cittadino d'Imola piuttosto che di 12 G. SCIMÈ Da circa trent'anni questi sforzi sono stati raccolti dal Centro studi e ricerche sulla antica provincia ecclesiastica ravennate che dalla Badia di S.Maria del Monte di Cesena organizza convegni e ne pubblica gli Atti nella collana "Ravennatensia"11. L'interesse suscitato anche in campo internazionale intorno a Pietro di Ravenna è registrabile nelle presentazioni storico-teologiche dei manuali di storia della Chiesa12, di patrologia13, di storia della letteratura latina14, nei dizionari15 e nei repertori16. Sempre a quest'ambito storiografico appartengono singoli contributi su aspetti specifici del periodo storico17, della vita18 e del ministero19 Ravenna, in ispecie se si considera che, da buon ravennate, egli aveva tutto l'interesse a dire il contrario»: P. Bedeschi, Op. cit. I, p. 30. Inutile ricordare che Bedeschi è imolese. 11 G. Lucchesi, Stato attuale degli studi sui santi dell'antica provincia ravennate, in Atti dei Convegni op. cit., pp. 51-80. Id., La missione petrina di S.Apollinare ovvero il conflitto delle metropoli, in Ibid., pp. 371-389. M. Mazzotti, L'autocefalia della Chiesa di Ravenna (excursus storico), in Ibid., pp. 391-401. G. Lucchesi, Ancora sulla questione crisologhiana, in Atti del convegno di Comacchio (1981) XI, Cesena 1986, pp. 97-107. R. Benericetti, Il Pontificale di Ravenna. Studio critico, [Biblioteca Cardinale Gaetano Cicognani], Faenza 1994. Id., Correzioni al testo del Liber Pontificalis di Ravenna, in Ravenna Studi e Ricerche IV/2 (1997) 39-50. 12 G. Bardy, Il "latrocinio" efesino e il concilio di Calcedonia, in Storia della Chiesa dalle origini ai giorni nostri cominciata da A. Fliche e V. Martin, IV: Dalla morte di Teodosio all'avvento di S.Gregorio Magno (395-590), Torino 31972, pp. 265-300. A. Ferrua, L'attività letteraria della Chiesa in Italia, in Ibid., pp. 753-775. 13 B. Studer, Pietro Crisologo, in J. Quasten, Patrologia III, pp. 544-545. 14 U. Moricca, Storia della letteratura latina cristiana III, Torino 1932, pp. 1011-1023. 15 G. Bardy, Pierre Chrysologue, in Dictionnaire de théologie catholique XII/2, Paris 1935, pp. 1916-1918. L. Berra, S.Pietro Crisologo, in Dizionario ecclesiastico III, Torino 1958, pp. 201-202. A. Olivar, Petrus Chrysologus, in Lexikon für Theologie und Kirche VIII, Freiburg Br. 1963, p. 356. J. Van Paassen, Peter Chrysologus, in New catholic encyclopedia XI, New York 1968, p. 214. B. Studer, Pietro Crisologo, in DPAC II, Casale Monferrato 1984, pp. 2792-2793. B. Studer, Pierre Chrysologue, in Dictionnaire encyclopédique du Christianisme ancien II, Sous la direction de A. Di Berardino. Adaptation Francaise sous la direction de F. Vial, Tournai 1990, pp. 2037-2038. P.T. Camelot, Pierre Chrysologue, in Catholicisme hier aujourd'hui demain XI, Paris 1988, pp. 353-354. 16 A. Olivar, Pietro Crisologo, in Bibliotheca Sanctorum X, Roma 1968, pp. 685-691. 17 N. Tamassia, I sermoni di Pietro Crisologo. Note per la storia delle condizioni giuridiche e sociali nel secolo quinto, in Studi Senesi. Scritti giuridici e di scienze economiche pubblicati in onore di Luigi Moriani nel XXXV anno del suo insegnamento I, Torino 1906, pp. 4366. Id., I sermoni di Pietro Crisologo, in Scritti di storia giuridica I, Padova 1964, pp. 283299 [seconda ed. del contributo del 1906]. M. Spinelli, L'eco delle invasioni barbariche nelle omelie di Pietro Crisologo, in Vetera christianorum 16 (1979) 87-93. 18 A. Benelli, Note sulla vita e l'episcopato di Pietro Crisologo, in In verbis verum amare, Firenze 1980, pp. 63-79. S. Cassiano. S. Pier Crisologo. Monografie per la scuola a cura di L. Zambrini, R. Spadoni, N. Varignana, Imola 1991. 19 A. Olivar, La consagración del obispo Marcelino de Voghenza, in Rivista di storia della Chiesa in Italia 22 (1968) 87-93. STATUS DEGLI STUDI 13 dell'arcivescovo di Ravenna. 3.1.2. Liturgia Diversi testi liturgici antichi sono stati talvolta attribuiti a Pietro Crisologo e hanno perciò attratto l'attenzione degli studiosi di storia della liturgia. Abbiamo dunque analisi storico-critiche che discutono la paternità crisologhiana dei testi natalizi del Rotolo di Ravenna20, del rito di consacrazione dell'acqua battesimale21 e di un indice delle letture delle lettere di san Paolo22. Queste ricerche hanno aperto la strada ad una migliore comprensione del patrimonio liturgico della Chiesa di Ravenna23 e del suo rapporto con quello delle grandi sedi episcopali di Roma, Milano ed Aquileia24. L'uso liturgico, attestato nell'opera crisologhiana, di termini come commercium e hodie è stato osservato in ricerche più vaste di carattere teologico25. 3.1.3. Pastorale Anche dal punto di vista della storia della cura pastorale i Sermoni sono stati presi in esame sin dall'inizio del secolo: studiosi stranieri hanno insistito sul carattere letterario e retorico delle prediche di Pietro26. È l'ambito nel quale il p. Olivar ha dato il maggior numero di contributi sottolineando di volta in volta 20 F. Cabrol, Autour de la liturgie de Ravenne. Saint Pierre Chrysologue et le Rotulus, in Revue Bénédictine 23 (1906) 489-500. K. Gamber, Die Orationen des Rotulus von Ravenna. Eine Feier des Adventus schon zur Zeit des heiligen Petrus Chrysologus?, in Archiv für Liturgiewissenschaft 5 (1958) 354-361. S. Benz, Der Rotulus von Ravenna. Nach seiner Herkunft und seiner Bedeutung für die Liturgiegeschichte kritisch untersucht, Münster in W. 1967. A. Olivar, Abermals der Rotulus von Ravenna, in Archiv für Liturgiewissenschaft 11 (1969) 40-58. 21 F. Lanzoni, La "Benedictio fontis" e i sermoni di san Pier Crisologo, in Rassegna gregoriana 7 (1908) 425-429. A. Olivar, San Pedro Crisólogo autor del texto de la bendición de las fuentes bautismales?, in Ephemerides liturgicae 71 (1957) 280-292. Id., Vom Ursprung der römischen Taufwasserweihe, in Archiv für Liturgiewissenschaft 6 (1959) 62-78. 22 K. Gamber, Eine alt-ravennatische Epistel-Liste aus der Zeit des heiligen Petrus Chrysologus, in Liturgisches Jahrbuch 8 (1958) 73-96. A. Olivar, Sobre el "capitulare lectionum" del codice Vatic.Regin.Lat.9, in Ephemerides liturgicae 74 (1960) 393-408. G.C. Willis, St. Augustine's lectionary, London 1962. 23 F. Sottocornola, L'anno liturgico nei sermoni di Pietro Crisologo. Ricerca storico-critica sulla liturgia di Ravenna antica, Cesena 1973. 24 J. Lemarié, La liturgie de Ravenne au temps de Pierre Chrysologue et l'ancienne liturgie d'Aquilée, in Antichità Altoadriatiche 13 (1978) 355-373. 25 M. Herz, Sacrum commercium. Eine begriffsgeschichtliche Studie zur Theologie der römischen Liturgiesprache, München 1958, pp. 11-122. J. Pinell, L' "hodie" festivo negli antifonari latini, in Rivista liturgica 61 (1974) 579-592. 26 F.J. Peters, Petrus Chrysologus als Homilet. Ein Beitrag zur Geschichte der Predigt im Abendland, Köln 1918. G. Böhmer, Petrus Chrysologus, Erzbischof von Ravenna, als Prediger. Ein Beitrag zur Geschichte der altchristlichen Predigt, Paderborn 1919. G. SCIMÈ 14 singoli aspetti della predicazione del Crisologo27. Nello stesso senso vanno altri studi sull'omiletica28 e sull'iniziazione cristiana29, temi entrambi ripresi e sviluppati in un esame storico più completo sulla Chiesa di Ravenna del V secolo, così come emerge dai numerosissimi dati ricavabili dai Sermoni30. 3.2. Indirizzo teologico Non ci sono in quest'ambito studi sistematici ed esaustivi ma analisi su dimensioni particolari del pensiero teologico di Pietro: il rilievo cristo-logico e soprattutto il valore soteriologico della incarnazione31, le idee mariologiche e iosefologiche32, l'insegnamento sul Padre nostro33, la dottrina della risurrezione 27 A. Olivar - A.M. Argemì, La eucaristia en la predicación de san Pedro Crisólogo, in La Ciencia Tomista 86 (1959) 605-628. A. Olivar, La duración de la predicación antigua, in Liturgica 3 (1966) 143-184. Id., Preparación e improvisación en la predicación patristica, in Kyriakon. Festschrift Johannes Quasten II, Münster W. 1970, pp. 736-767. Id., Über das Schweigen und die Rucksichtsnahme auf die schwache Stimme des Redners in der alt-christlichen Predigt, in Augustinianum 20 (1980) 267-274. Id., Sobre las ovaciones tributadas a los antiguos predicadores cristianos, in Didaskalia 12 (1982) 113-44. Id., Les réactions émotionnelles des fidèles pendant la lecture solennelle de l'Ecriture, dans l'église des pères, in Mens concordet voci. Pour Mgr. A.G. Martimort à l'occasion de ses 40 années d'enseignement, Paris 1983, pp. 452-457. Id., Els predicadors antics i llurs anditoris, in Revista catalana de teologia 8 (1983) 45-80. Id., La predicación cristiana antigua, Barcelona 1991, pp. 296-304. 28 F. Scorza Barcellona, La celebrazione dei santi Innocenti nell'omiletica latina dei secoli IV-VI, in Studi medievali [III serie] XV/2 (1974) 705-767. C. Truzzi, Linguaggio catechetico e proposta di vita cristiana nei sermoni De Sanctis di Pietro Crisologo, in Liturgia ed evangelizzazione nell’epoca dei Padri e nella Chiesa del Vaticano II. Studi in onore di Enzo Lodi a cura di E. Manicardi e F. Ruggiero, Bologna 1996, pp. 279-290. 29 R. Ladino, La iniciación cristiana en san Pedro Crisólogo de Ravena, Roma 1969. 30 E. Paganotto, L'apporto dei Sermoni di san Pier Crisologo alla storia della cura pastorale a Ravenna nel secolo V, Roma 1969. 31 C. Jenkins, Aspects of the theology of saint Peter Chrysologus, in The Church Quarterly review 103 (1927) 233-259. G. Sessa, La dottrina cristologica di san Pier Crisologo, Pozzuoli 1944. R.H. Mc Glynn, The Incarnation in the Sermons of Saint Peter Chrysologus, Mundelein (Illinois) 1956. J.P. Jossua, Le salut, incarnation ou mystère pascal chez les Pères de l'Eglise de saint Irénée à saint Léon le Grand, Paris 1968. P. Re, La "Historia salutis" nei sermones di Pietro Crisologo di Ravenna, [scritto inedito riassunto] in La Scuola cattolica 102 (1974) 212-213. A. Grillmeier, Le Christ dans la tradition chrétienne de l'age apostolique à Chalcèdoine (451), Paris 1978, p. 529. M. Spinelli, Sangue, martirio e redenzione in Pier Crisologo, in Atti della settimana Sangue e antropologia biblica nella patristica I, Roma 1982, pp. 529-546. A. Olivar, Sobre la cristología de san Pedro Crisólogo, in La cristologia nei Padri della Chiesa, Roma 1985, pp. 95-106. R. Benericetti, Il Cristo nei Sermoni di S. Pier Crisologo, [Studia Ravennatensia 6], Cesena 1995. 32 J.P. Barrios, La naturaleza del vinculo matrimonial entre Maria y José segun san Pedro Crisólogo, in Ephemerides Mariologicae 16 (1966) 322-335. G.M. Bertrand, Saint Joseph dans les écrits des Pères. De saint Justin à saint Pierre Chrysologue: analyse des textes et synthèse STATUS DEGLI STUDI 15 dei morti34 e della preghiera per i defunti35, l'aspetto morale36, la spiritualità della penitenza e del digiuno37, l'ecclesio-logia38 e specialmente l'idea del papa come successore dell'apostolo Pietro39. 3.3. Indirizzo letterario 3.3.1. Verso l'edizione critica dei Sermoni Il costante interesse letterario per i Sermoni della Collectio Feliciana40, - cioè della prima raccolta dei Sermoni di Pietro curata dall’arcivescovo ravennate Felice (708-724) - il dibattito sulla paternità di alcuni testi appartenenti alla collezione e di altri ad essa estranei, la falsa attribuzione soprattutto a Severiano di Gabala, hanno coinvolto tra tutti il benedettino catalano p. A. Olivar41 che ha doctrinale, in Cahiers de Joséphologie 14 (1966) 10-198. F. Sottocornola, Il contenuto mariano dei sermoni di Pietro Crisologo, in Atti del convegno di Forlì (1977), [Ravennatensia 8], Cesena 1983, pp. 13-42. B. Kochaniewicz, La Vergine Maria nei Sermoni di san Pietro Crisologo, Roma 1998; quest'ultimo autore propone nuove ipotesi circa l'origine orientale (ambienti alessandrino e cappadoce) delle fonti della teologia mariana crisologhiana. 33 A. Klaas, Peter Chrysologus on the Our Father, in Cross and crown 5 (1953) 141-153. V. La Rosa, Il commento al Pater noster nei sermoni di s.Pier Crisologo, Roma 1965. J. Carmignac, Recherches sur le "Notre Père", Paris 1969, pp. 97; 148-149; 253. 34 J. Speigl, Petrus Chrysologus über die Auferstehung der Toten, in Jahrbuch für Antike und Christentum 9 (1982) 140-153. 35 J. Ntedika, L'évocation de l'audelà dans la prière pour les morts. Etude de patristique et de liturgie latines (IVe-VIIIe s.), Lowen-Paris 1971. 36 F. Michalcik, Doctrina moralis Sancti Petri Chrysologi, Romae 1969. 37 F.J. Dölger, «Militiae sacramenta» bei Petrus Chrysologus, in Antike und Christentum 5 (1936) 150-151. A. Fitzgerald, The theology and the spirituality of penance: a study of the Italian church in the fourth and fifth centuries, Paris 1976. M. Spinelli, Il ruolo sociale del digiuno in Pier Crisologo, in Vetera christianorum 18 (1981) 143-156. 38 M. Spinelli, La simbologia ecclesiologica di Pier Crisologo, in Atti della settimana Sangue op. cit. I, pp. 547-562. W.B. Palardy, The Church and the Synagogue in the Sermons of Saint Peter Chrysologus, Washington 1992 [Dissertazione dattiloscritta per il dottorato in filosofia presso The Catholic University of America]. 39 E. Schiltz, Un trésor oublié: saint Pierre Chrysologue comme théologien, in Nouvelle revue théologique 55 (1928) 265-276. 40 J.H. Baxter, The Homilies of St.Peter Chrysologus, in The Journal of theological studies 22 (1921) 250-258. D. De Bruyne, Nouveaux sermons de st.Pierre Chrysologue, in The Journal of theological studies 29 (1928) 362-368. G. Del Ton, De sancti Petri Chrysologi eloquentia, in Latinitas 6 (1958) 177-189. L. Bieler, Some remarks on the text of St.Peter Chrysologus, in Oikumene. Studi paleocristiani pubblicati in onore del Concilio Ecumenico Vaticano II, Catania 1964, pp. 175-179. PLS III,153-183. PLS V,397-398. Hesychius de Jérusalem - Basile de Séleucie - Jean de Béryte - Pseudo-Chrysostome, Léonce de Constantinople, Homélies pascales (cinq homélies inédites). Introduction, texte critique, traduction, commentaire et index de M. Aubineau, [SCh 187], Paris 1972. Chromatii Aquileiensis Opera cura et studio R. Etaix et J. Lemarié, [CCL 9A], Turnholt 1974, pp. 128-131. 41 A. Olivar, Deux sermons restitués à saint Pierre Chrysologue, in Revue Bénédictine 59 16 G. SCIMÈ lavorato a lungo sul piano della tradizione e della critica dei testi arrivando a produrre uno studio fondamentale sull'argomento42. Di qui la pubblicazione dell'edizione critica43. In Italia i Sermoni sono stati tradotti nella collana "I classici cristiani" delle edizioni Cantagalli44. Un'antologia contenente poco più di una trentina di omelie è stata pubblicata nella collana di testi patristici di Città nuova45. Infine, la Biblioteca Ambrosiana e la stessa casa editrice Città Nuova hanno raccolto l'invito dell'episcopato dell'Emilia Romagna e in occasione del XXIII Congresso Eucaristico Nazionale hanno pubblicato l'edizione bilingue di tutte le opere di Pietro Crisologo46. 3.3.2. L'esegesi biblica dei Sermoni È l'ambito di ricerca maggiormente trascurato. A parte qualche accen-no più o meno sporadico47, abbiamo due interventi di rilievo48. (1949) 114-136. Id., San Pedro Crisólogo y la solemnidad "In medio Pentecostes", (un sermon restituido al Crisólogo), in Ephemerides liturgicae 63 (1949) 389-399. Id., Der heilige Petrus Chrysologus als Verfasser der pseudo-augustinischen Predigten Mai 30, 31 und 99 (§ 2-3), in Colligere fragmenta. Festschrift Alban Dold, Beuron 1952, pp. 113-123. Id., Sobre un sermon de Epifania y un fragmento de sermon de Navidad atribuidos erroneamente a san Pedro Crisólogo, in Ephemerides liturgicae 67 (1953) 129-137. Id., San Pedro Crisólogo autor de la "Expositio Symboli" de Cividale, in Sacris erudiri 12 (1961) 294-312. Id., L'image du soleil non souillé dans la littérature patristique, in Didaskalia 5 (1975) 3-20. Id., San Pedro Crisólogo, in L. De Echevarría, Año cristiano IV, Madrid 1959, pp. 535-538. 42 A. Olivar, Los sermones de san Pedro Crisólogo. Estudio critico, Montserrat 1962. 43 Vedi cap. II § 4. 44 S. Pier Crisologo, I CLXXVII sermoni. A cura di mons. A. Pasini, Siena 1953. 45 Pier Crisologo, Omelie per la vita quotidiana. Trad. intr. e note a cura di M. Spinelli, Roma 21990. 46 San Pietro Crisologo, Sermoni, a cura di G. Banterle, R. Benericetti, G. Biffi, G. Scimè, C. Truzzi, Milano - Roma, Vol. I: 1996. [Scrittori dell’area santambrosiana. Opere di san Pietro Crisologo 1]. Sermoni [1-62 bis]; Vol. II: 1997. [Scrittori dell’area santambrosiana. Opere di san Pietro Crisologo 2]. Sermoni [63-124]; Vol. III: 1997. [Scrittori dell’area santambrosiana. Opere di san Pietro Crisologo 3]. Sermoni [125-179] e Lettera a Eutiche. Nel corso del presente lavoro utilizzo tale edizione. Nel corpo del testo, nelle citazioni, riporto normalmente la suddetta traduzione italiana, accompagnandola, dove ritengo necessario e opportuno, con rilievi e, talvolta, con la ripresa di parole o espressioni del testo latino particolarmente significative. Nelle note riporto per intero anche il relativo testo latino citato nel corpo in italiano, per comodità del lettore. Dopo la sigla Serm. (= Sermone) il primo numero si riferisce al numero del Sermone, il secondo al numero del paragrafo, i successivi numeri al numero delle linee del testo latino. Segue la sigla PC (= Petrus Chrysologus) per indicare d’ora in poi abbreviatamente l’edizione bilingue, col numero del vol. e della pagina del testo latino citato. 47 J. Feliers, L'exégèse de la péricope des porcs de Gérase dans la patristique latine, in Studia patristica X, Berlin 1970, pp. 225-229. F.G. Cremer, Zum Problem der verschiedenen Sprecher im Fastenstreitgesprach (Mk 2,18 parr). Ein Blick in die Kommentare der Patristik STATUS DEGLI STUDI 17 L'articolo di Olivar, sebbene datato, è ancora valido per la quantità di dati ricavati dall'intero sermonario e per la grandissima competenza dell'autore. Olivar insiste sul carattere pastorale dell'esegesi di Pietro: nella sua predicazione i fatti dell'Antico Testamento diventano figure della redenzione realizzata da Gesù Cristo, redenzione testimoniata nel Nuovo Testamento e offerta alla Chiesa che cammina nella storia fino alla consumazione del tempo. Tutta la Scrittura, in definitiva, parla della nostra vita cristiana nella quale si possono compiere i misteri rivelati per la nostra salvezza49. La posizione del Crisologo è dichiarata sostanzialmente interna ai canoni tradizionali dell'esegesi biblica dei Padri50. B. De Margerie ha dedicato a Pietro Crisologo un intero capitolo della sua opera di storia dell'esegesi. L'autore, basandosi su qualche sermone, ha sviluppato alcuni aspetti dell'insegnamento di Pietro sull'incarnazione, sul mistero pasquale e sul Pater, ma non ha dichiaratamente aggiunto nulla ai risultati dell'analisi di Olivar51. und Scholastik, in Kyriakon. Festschrift Johannes Quasten in two volumes edited by P. Granfield and J.A. Jungmann I, Münster W. 1970, pp. 162-181 [170: cita serm. 31 di Pietro e lo ritiene fonte di un passo di Pascasio Radberto, Expositio in Evangelium Matthaei 5, in PL 120,376B]. H. Crouzel, L'Eglise primitive face au divorce. Du premier au cinquième siècle, Paris 1971, p. 81. 48 A. Olivar, Els principis exegetics de sant Pere Crisoleg, in Miscellanea biblica B. Ubach, Montserrat 1953, pp. 413-437. B. De Margerie, Introduction a l'histoire de l'exégèse IV, Paris 1990: L'occident latin de Léon le Grand a Bernard de Clairvaux. 49 Cfr. A. Olivar, Els principis op. cit., pp. 427-428. 50 Cfr. Id., Ibid., pp. 436-437. 51 Cfr. B. De Margerie, Op. cit., p. 108. CAPITOLO II PIETRO CRISOLOGO E IL SUO TEMPO 1. La situazione storica al tempo di Pietro Crisologo Il contesto storico in cui si situa la vicenda di Pietro è estremamente complesso da interpretare e valutare dal punto di vista culturale, ma sufficientemente chiaro da ricostruire a grandi linee52. Alla morte di Teodosio I, nel 395, l'impero viene di fatto diviso tra i suoi due figli maschi: il diciottenne Arcadio in oriente e l'undicenne Onorio in occidente. Il semibarbaro Stilicone, appositamente incaricato da Teodosio, dovrebbe garantire formalmente l'unità dell'impero ma alle opposizioni personali e autonomistiche di Arcadio si aggiungono le difficoltà create dalla grande novità del nuovo secolo: le invasioni barbariche. In Italia scendono per primi i Goti di Alarico nel 401 e poi, nel 405, gli Ostrogoti di Radagaiso. Alla fine dell'anno successivo (31 Dicembre 406) Suebi (Alamanni), Alani, Vandali e Burgundi cominciano a premere minac-ciosamente i confini della pars occidentis dell'impero dalla prefettura della Gallia. A queste pericolose presenze Onorio reagì riparando a Ravenna, ritenendola più sicura per la sua strategica posizione geografica53. Inoltre Stilicone vinse i Goti a Pollenzo e a Verona (402) e gli Ostrogoti a Fiesole (406). Poiché già Teodosio aveva stipulato un foedus con Alarico dopo la sua ribellione, anche Stilicone pensò di utilizzare il più possibile le forze barbariche federate. Per questo non volle distruggere le forze di Alarico e addirittura propose che questi divenisse magister 52 Per questo rapidissimo riepilogo dei principali avvenimenti della storia imperiale cfr.: M. Cary - H.H. Scullard, Storia di Roma III, Bologna 1988: Il principato e la crisi dell'impero, pp. 315-318; S. Mazzarino, L'impero romano II, Roma - Bari 1988, pp. 794-807; P. Siniscalco, Il cammino di Cristo nell’Impero romano, [Collezione storica], Roma – Bari 1983, pp. 227-287. Utili notizie sintetiche si trovano anche in DPAC alle voci: Teodosio I im-peratore; Arcadio; Onorio (Flavius Honorius); Stilicone; Valentiniano III; Teodosio II imperatore; Galla Placidia. Per quest'ultima vedi anche L. Storoni Mazzolani, Galla Placidia, in Storia illustrata di Ravenna I, Milano 1989: Dall'antichità al Medioevo, pp. 177-192. 53 Onorio decise con Stilicone il trasferimento provvisorio della capitale dell'impero da Milano a Ravenna (6.XII.402) non per lo smarrimento prodotto dalla presenza minacciosa di Alarico in Italia ma perché comunque Ravenna si presentava più sicura e inaccessibile per via di terra. Il significato politico di questa svolta (Mi-lano fu per tutto il IV secolo residenza abituale dell'imperatore) è evidente: almeno ora Ravenna non è, come Milano, alternativa a Roma ma le è complementare. Cfr. V. Neri, Come Ravenna divenne capitale, in Storia illustrata op. cit., pp. 162-164. 158 INDICI utriusque militiae per Illyricum. Tale mossa provocò però l'opposizione di Onorio e l'inizio del declino di Stilicone. Da un lato si trovarono perciò Onorio e i suoi potenti consiglieri milanesi; dall'altro Stilicone che appoggiava Alarico. I circoli milanesi aveva-no truppe romane e a Pavia uccisero, sotto gli occhi di Onorio, tutti i funzionari stiliconiani. Stilicone e Alarico potevano contare su truppe gentiles di stanza a Bologna. A questo punto scattò da parte di Onorio l'ordine di arresto ai danni del suo vecchio collaboratore: Stilicone, che nel frattempo si era rifugiato in una chiesa a Ravenna, dove aveva chiesto asilo, fu consegnato e ucciso (22 Agosto 408). Il famoso sacco di Roma da parte di Alarico nel 410 fu la prima immediata e gravissima conseguenza di queste terribili vicende che segnano il progressivo sgretolamento dell'impero romano d'occidente. Galla Placidia, sorella di Onorio e Arcadio, che già aveva tramato ai danni di Stilicone, viene prima imprigionata dal vincitore Alarico e poi sposata dal successore di lui, Ataulfo. Alla morte di costui essa sposa un generale romano, Flavio Costanzo, che Onorio associa al trono. Da questo matrimonio nasce Valentiniano III che alla morte dello zio Onorio, nel 423, gli succede, naturalmente sotto la tutela della madre e con l'appoggio del cugino, Teodosio II, successore di Arcadio. Teodosio stesso, infine, prima lo libera dall'usurpatore Giovanni, poi lo riconosce come augusto (425), e infine gli dà in sposa la figlia Eudossia (437). Nel volgere di pochi anni in Italia assistiamo alla discesa degli Unni di Attila e al loro famoso arresto da parte di papa Leone Magno (440-461) a Milano: siamo nel 452, ma ormai dalla corte e dalla metropolia di Ravenna54 sono scomparsi i maggiori protagonisti della prima metà di questo secolo: Galla Placidia (450) e lo stesso Pietro Crisologo. 2. La situazione ecclesiale Per quanto riguarda il contesto teologico, l'attività episcopale di Pietro è 54 I Sermoni di Pietro Crisologo sono la prima fonte documentaria scritta per la ricostruzione storica della nascita del cristianesimo a Ravenna. Cfr. R. Budriesi, Il cristianesimo a Ravenna, in Storia illustrata op. cit., pp. 145-160. Crisologo fu il primo vescovo di Ravenna a ricevere intorno al 431 «decreto beati Petri» il titolo di metropolita, a scapito di Milano. Sul dissidio tra Ravenna e Milano cfr. G. Lucchesi, La missione petrina di S.Apollinare ovvero il conflitto delle metropoli, in Atti dei Convegni op. cit., pp. 371-389. La sede vescovile di Ravenna, nonostante possibili instabilità delle afferenze amministrative, non fu mai dipendente se non dalla metropoli romana. A sua volta la Chiesa ravennate assunse la funzione di metropoli nei confronti di un crescente numero di sedi dello spazio emilianoromagnolo. Cfr. A.M. Orselli, L'autonomia della Chiesa ravennate, in Storia illustrata op. cit., pp. 257-272. Sulle impreviste e nefaste conseguenze dell'erezione di Ravenna a metropoli cfr. M. Mazzotti, L'autocefalia della Chiesa di Ravenna (excursus storico), in Atti dei Convegni op. cit., pp. 391-401. Agnello non comprese il vero significato del titolo «antistes» ma lo lasciò giustamente attribuito a Pietro I - che però per lui non era il Crisologo: cfr. L. Baldisserri, Op. cit., p. 15; G. Lucchesi, Ancora sulla questione crisologhiana, in Atti del convegno op. cit., p. 103. INDICI 159 significativamente racchiusa in un periodo ricco di scambi e di tensioni, segnata all'inizio e alla fine da due grandi eventi ecclesiali e politici: il concilio di Efeso (431) e quello di Calcedonia (451)55. La polemica cristologica infuria soprattutto in oriente contrapponendo due scuole teologiche e contemporaneamente due sedi episcopali, rappresentate prima da Cirillo e Nestorio, poi da Dioscoro e Flaviano56. Tra l'antica Alessandria e la "nuova Roma", Costantinopoli, il papa Leone si schiera decisamente contro Eutiche, archimandrita di un monastero di Costantinopoli e zelante antinestoriano, la cui dottrina monofisita, nonostante il brigantaggio di Efeso organizzato con l'appoggio di Dioscoro di Alessandria e dello stesso imperatore Teodosio II, viene duramente condannata. Per avere un'idea dell'importanza della sede episcopale di Ravenna e del rilievo del suo vescovo sarebbe sufficiente la considerazione del fatto che lo stesso Eutiche tentò di coinvolgere e di sensibilizzare alla sua causa i rappresentanti più autorevoli dell'oriente e dell'occidente cristiano e perciò si rivolse per iscritto ai vescovi di Alessandria, Gerusalemme, Tessalonica, Roma, Milano, Aquileia e, appunto, Ravenna. 3. Notizie biografiche Le circostanze della vita di san Pietro Crisologo sono piuttosto incerte. Gli studiosi hanno lungamente discusso persino i dati biografici più elementari: data e luogo di nascita, durata dell'episcopato, anno e luogo della morte. I contributi degli ultimi decenni57 hanno chiarito che molte di queste 55 Per questo sguardo sintetico sulle dispute cristologiche cfr.: Storia della Chiesa diretta da H. Jedin II: K. Baus - E. Ewig, L'epoca dei concili. La formazione del dogma. Il monachesimo. Diffusione missionaria e cristianizzazione dell'impero (IV-V sec.) (Die Reichskirche nach Konstantin dem Grossen. Die Kirche von Nikaia bis Chalkedon, 1971), trad. dal ted. di C. Saletti, [Già e non ancora 28], Milano 1988, pp. 27-41. 56 Emblematico del travaglio che attraversò ogni comunità orientale è il caso di Edessa durante gli anni dell'episcopato di Pietro a Ravenna. In proposito cfr. P. Bettiolo, Lineamenti di patrologia siriaca, in Complementi interdisciplinari di patrologia a cura di A. Quacquarelli, Roma 1989, pp. 517-519; R. Lavenant, Edessa, in DPAC I, Casale Monferrato 1983, pp. 1064-1067; J.M. Sauget, Ibas, in DPAC II, pp. 1735-1736; J.M. Sauget, Rabbula di Edessa, in Ibid., pp. 2967-2968; M. Simonetti, Tre capitoli (questione dei), in Ibid., pp. 35073508. Rabbula, vescovo dal 412 al 435, avversò Teodoro di Mopsuestia sposando le tesi cirilliane, mentre al contrario il suo successore, Ibas, appoggiò Qiiore, direttore della scuola dei Persiani, promuovendo le prime traduzioni in siriaco degli scritti del medesimo Teodoro! Ibas si era del resto già fatto conoscere con la lettera cristologica inviata a Mari, vescovo di Rewardasir. Questo documento assicurò un futuro post mortem (457) al vescovo di Edessa, già condannato in vita e allontanato per due anni dalla sua sede: la sua condanna accanto al prediletto Teodoro di Mopsuestia e a Teodoreto di Ciro da parte dell'imperatore Giustiniano al concilio di Costantinopoli (553) - la questione dei tre capitoli - suscitò scalpore e vibrate proteste persino in ambiente latino: cfr. L. Fatica, La "Defensio" di Facondo di Ermiane tra storia e teologia, in Asprenas 38 (1991) 359-374. 57 Cfr. G. Lucchesi, Stato attuale degli studi sui santi dell'antica provincia ravennate, in 160 INDICI incertezze risalgono alla confusione generata dai dati biografici offerti dal Liber Pontificalis Ecclesiae Ravennatis di Agnello58 che, riprendendo nel secolo IX un errore affermatosi forse per ragioni di politica religiosa da almeno due secoli, ha scambiato due vescovi con lo stesso nome: Pietro successore di Giovanni, contemporaneo di Teodorico, detto Pietro II e Pietro Antistite predecessore di Neone, contemporaneo degli imperatori Galla Placidia e Valentiniano III, detto Pietro I di Ravenna ovvero colui che diverrà noto col prestigioso appellativo di Crisologo59. Uno studio recente sull'argomento60 - una rilettura critica delle osservazioni di Testi-Rasponi sull'opera di Agnello61 - formula nuove ipotesi riportando da Imola a Ravenna nascita, attività e morte di Pietro Crisologo. Egli sarebbe dunque nato intorno al 380 probabilmente a Classe, avrebbe iniziato il suo ministero episcopale a Ravenna intorno e non oltre il 431 e qui sarebbe infine morto il 31 luglio 451 o meglio - secondo i dati di un'ultima ricerca - un 31 luglio tra il 452 ed il 45762. 4. Le opere e l’uditorio di Pietro Crisologo Le opere di Pietro Crisologo sono la Lettera a Eutiche e i Sermoni. La risposta a Eutiche63 è "una lettera mite e conciliativa"64: Pietro si rivolge Atti dei Convegni op. cit., pp. 69;78-80. 58 Agnelli qui et Andreas Liber Pontificalis Ecclesiae Ravennatis ed. O. Holder-Egger, in Monumenta Germaniae historica. Inde ab anno Christi quingentesimo usque ad annum millesimum et quingentesimum. Edidit societas aperiendis fontibus rerum Germanicarum medii aevi. Scriptores rerum Langobardicarum et Italicarum saec. VI-IX, Hannoverae 1964, pp. 265-391. 59 Tale confusione fu già notata. Cfr. L. Baldisserri, Op. Cit., p. 3; Vies des saints et des bienheureux selon l'ordre du calendrier avec l'historique des fetes par les RR. PP. Bénédictins de Paris et RR. PP. Bandot et Chaussin XII, Paris 1956, p. 132; G. Lucchesi, Pietro Crisologo, in Enciclopedia cattolica IX, Città del Vaticano 1952, p. 1434; J. Van Paassen, Peter Chrysologus, in New Catholic Encyclopedia XI, New York 1968, p. 214. 60 A. Benelli, Note sulla vita e l'episcopato di Pietro Crisologo, in In verbis verum amare, Firenze 1980, pp. 63-79. 61 Codex Pontificalis Ecclesiae Ravennatis. A cura di A. Testi-Rasponi, in Rerum Italicarum Scriptores. Raccolta degli storici italiani dal cinquecento al millecinque-cento ordinata da L.A. Muratori. Nuova edizione riveduta ampliata e corretta con la direzione di G. Carducci e V. Fiorini. Tomo II, Parte III, Vol. I, Bologna 1924 [arriva fino all'inizio del § 104 del Liber Pontificalis (De sancto Johane XXXI), corrispondente a p.345 dell'ed.MGH]. 62 G. Lucchesi, Ancora op. cit., p. 102. 63 Risale al febbraio 449 e fu fatta introdurre dal papa Leone nei documenti preparati per il concilio di Calcedonia. Se ne trova perciò un'edizione critica in Acta conciliorum oecumenicorum iussu atque mandato Societatis scientiarum Argento-ratensis edidit E. Schwartz. Testo latino: Concilium universale Chalcedonense, Tomus alter, Volumen tertium, Pars prima, Berolini et Lypsiae 1935, 6 (forma lunga) - 7 (forma breve). Testo greco: Concilium universale Chalcedonense, Tomus alter, Volumen primum, Pars prima, INDICI 161 al presbitero della Chiesa di Costantinopoli chiamandolo "figlio"65 e "fratello"66 e manifestandogli apertamente la tristezza per "il fraterno dissenso"67 che ha turbato la pace ecclesiale. Da una parte Crisologo prende le distanze dalle posizioni più pericolose della teologia alessandrina e antiochena68, dall'altra rifiuta di entrare nel merito delle questioni sollevate dal vecchio monaco sia perché ammette di non conoscerle esattamente69 - e si sentirebbe un mediatore ingiusto in quanto parziale70 - sia perché su di esse ha già scritto il papa71. Non stupisce il rilievo normalmente dato a quest'ultimo elemento72; ma sembra quanto meno parziale ridurre esclusivamente a questo il significato della lettera, giudicarla una risposta "piuttosto vaga"73 e addirittura "sorprendersi" di trovare tali parole "in bocca ad un vescovo"74. Certo, chi scrive non è Ambrogio né Agostino: ma la sua posizione è nitida e personale. Alle particolarità filologiche caratteristiche dello stile di Pietro75 non mancheremo di aggiungere un argomentare tipicamente patristico che insieme ai testimonia biblici76 riafferma la fede tradizionale della Chiesa. Pietro legge la Bibbia nella fede della Chiesa, una fede che non sembra lasciare spazio a "dispute temerarie", "questioni tristi", "indagini colpevoli": Berolini et Lipsiae 1933, 45-46. A. Olivar ha studiato alcuni aspetti della redazione latina della lettera - A. Olivar, Los sermones op. cit., pp. 87-94 - offrendone anche una nuova edizione critica che qui utilizziamo. 64 L. Berra, S.Pietro Crisologo op. cit., p. 201. 65 Epistola Petri episcopi Ravennensis ad Eutychem presbyterum scripta, in A. Olivar, Los sermones op. cit., p. 90,3 [d'ora in poi: Ep. Eut.]: «Dilectissimo et merito honorabili filio». Ep. Eut., 91,36: «Carissime et honorantissime fili». 66 Ep. Eut., 90,19: «Frater carissime». Ep. Eut., 90,23: «Frater». Ep. Eut., 90,29-30: «Frater honorabilis». 67 Ep. Eut., 90,7-8: «Nos affligit et deicit fraterna dissensio». 68 Ep. Eut., 90,11-13: «Quid Origenes principiorum scrutator incurrerit, quomodo Nestorius lapsus sit disputans de naturis, non latet prudentiam tuam». 69 Ep. Eut., 90,26-28: «Nos quomodo de his indicare poterimus, quos neque vidimus propter absentiam, et quid intellexerunt, eorum taciturnitate nescimus». 70 Ep. Eut., 90,28-29: «Iustus mediator non est, qui sic unam partem audit, ut nihil alteri parti reservet». 71 Ep. Eut., 90,29-32: «In omnibus autem hortamur te, frater honorabilis, ut his quae a beatissimo papa Romanae civitatis scripta sunt, oboedienter adtendas, quo-niam beatus Petrus, qui in propia sede et vivit et praesidet, praestat quaerentibus fidei veritatem». 72 Un esempio per tutti: E. Schiltz, Un trésor op. cit. L'autore sviluppa il luogo "de Romano Pontifice" al punto da farne un argomento per difendere l'autenticità della lettera a Eutiche e un criterio per rileggere e rivalutare l'intero sermonario. 73 G. Bardy, Il "latrocinio" op. cit., p. 273. 74 A. Ferrua, L'attività op. cit., p. 759. 75 Cursus, allitterazioni, assonanze, espressioni caratteristiche, ridondanze, giustapposizioni: cfr. A. Olivar, Los sermones op. cit., p. 94. 76 Is. 53,8; Lc. 2,14; Phil. 2,10; 2 Cor. 5,16. 162 INDICI "Noi, fratello carissimo, insieme con l'Apostolo diciamo: 'Anche se abbiamo conosciuto Gesù secondo la carne, ora però non lo conosciamo più così' (2 Cor. 5,16). E non possiamo - noi che siamo tenuti a rendere onore e timore continuare a ricercare (perscrutari) su verità che ci arrecherebbero danno. La nostra professione di fede è in un giudice da attendere e non da ricercare (perscrutandum)"77. Oltre a questa lettera ci sono rimasti molti discorsi che attestano la principale attività di Pietro Crisologo, quella liturgica. L’edizione critica del sermonario crisologhiano contiene attualmente centottantaquattro Discorsi autentici, quasi tutti dedicati a commenti dei Vangeli78. Pietro dedica solo sei Discorsi a commentare testi dell’Antico Testamento79. All’Antico Testamento Pietro ricorre frequentemente, ma sempre di passaggio, citandolo soprattutto come repertorio di esempi edificanti per i suoi uditori, specialmente per il valore del digiuno, della preghiera e della elemosina. Sembra quasi che nella sua predicazione il Pastore di Ravenna tema un confronto diretto con i suoi uditori su testi discussi o discutibili, e che preferisca tenere ben fermo l’impianto neote-stamentario e i pilastri della fede cattolica, che ribadisce specialmente nei commenti del Pater80 e del Simbolo81. L’uso 77 Ep. Eut., 90,19-22. Traducendo «continuare a ricercare su verità che ci arreche-rebbero danno» supponiamo la lezione di Schwartz «nec possumus iniuriosa perscru-tari»: Acta conciliorum op. cit., p. 6. Olivar stesso ha accolto su questo punto le obiezioni di Bieler (cfr. L. Bieler, Some remarks op. cit., pp. 175-179) rinunciando all'avverbio «iniuriose» a favore dell'accusativo «iniuriosa»: cfr. A. Olivar, Reseña op. cit., p. 136. 78 Le prediche del vescovo di Ravenna sono state raccolte insieme forse in parte da lui stesso, interessato come altri pastori del suo tempo a una loro pubblicazione, sia pure parziale, e a una loro prima diffusione, e ci sono giunte attraverso due principali tradizioni manoscritte, dette prefeliciana o severiana e feliciana. Dobbiamo a p. A. Olivar, il grande merito di avere studiato a fondo tutto questo materiale, di avere offerto moltissimi contributi specifici sull’argomento (cfr. Bibliografia) e, infine, di avere pubblicato l’edizione critica delle opere di san Pietro Crisologo in tre successivi volumi del Corpus Christianorum Latinorum: Sancti Petri Chrysologi Collectio sermonum a Felice episcopo parata sermonibus extravagantibus adiectis cura et studio Alexandri Olivar, Turnholti, Vol. I: 1975. [CCL 24]. Sermones 1-62 bis. Vol. II: 1981. [CCL 24a]. Sermones 63-124. Vol. III: 1982. [CCL 24b]. Sermones 125-179. Il curatore ha pubblicato in tutto centonovantuno Sermoni: di questi, sette sono spuri e quindici sono i cosiddetti sermones extravagantes, discorsi cioè che non appartenevano alla originaria raccolta e che Olivar ha individuato e aggiunto nella sua edizione numerandoli come bis e ter accanto a quelli in cui Pietro trattava dello stesso argomento oppure con numerazione normale alla fine degli altri. Nel presente studio, non terremo ovviamente conto dei discorsi spuri, mentre valuteremo gli extravagantes come gli altri. 79 Si tratta del commento ai Salmi 1, 6, 28, 40, 94 e 99 spiegati rispettivamente nei serm. 44, 45, 10, 14, 46 e 6. 80 I sei discorsi sull’Orazione del Signore vanno dal serm. 67 al serm. 72. Per il valore dell’oratio dominica nel contesto dell’iniziazione cristiana nell’antichità vedi Tertulliano – Cipriano – Agostino. Il Padre Nostro. Per un rinnovamento della catechesi sulla preghiera, a INDICI 163 dell’Antico Testamento è perciò funzionale alla lettura del Nuovo Testamento, e in questo contesto non è rara un’interpretazione nettamente cristologica, in senso stretto. In senso ampio l’impalcatura teologica di Pietro è molto solida, e sovente assistiamo a rapidi sguardi di grande sintesi tra i due testamenti. Al centro della visione del Vescovo sta la sublimità dell’incarnazione del Verbo, che viene continuamente vista come una nuova creazione. I commenti a s. Paolo sono magnifiche panoramiche di raccordo tra Antico Testamento e Nuovo Testamento, tra Adamo e Cristo82. Della Pasqua di Gesù si sottolinea soprattutto l’aspetto trionfale: Cristo con la risurrezione ha vinto la morte83. Degli insegnamenti del Nazareno si dà particolare rilievo a quelli sulle virtù tradizionali del cristiano, chiamato alla penitenza quaresimale e alla coerenza evangelica anche in campo sociale. Le parabole sono ampiamente sfruttate in senso allegorico, per presentare il mistero del rapporto di Cristo su due versanti: la Sinagoga e la Chiesa. Sono poche le occasioni nelle quali la predicazione del Pastore non è essenzialmente un commento biblico: sia ricordando i martiri84, sia nella circostanza di consacrazioni episcopali da parte del Metropolita ravennate85, troviamo riferimenti biblici che forse possono sorprendere la nostra sensibilità moderna e contemporanea e che tuttavia il più delle volte sono illuminanti. Il rapido schizzo appena offerto dà l’idea di un panorama sostanzialmente equilibrato e tradizionale. Pietro non è autore spericolato né geniale, e i suoi interlocutori non sembrano rendergli la vita particolarmente difficile. La cornice della Collectio Feliciana ha raccolto e aggiustato un materiale vasto, trasmettendoci un quadro completo e abbastanza ordinato della predicazione del Vescovo della capitale di un impero, sia pure in crisi e al cura di V. Grossi, trad. di L. Vicario, Roma 1980, pp. 14-19. 81 I nove Sermoni sul Simbolo della fede vanno dal serm. 55 al serm. 62 bis. Vedi V. Grossi – A. Di Berardino, La Chiesa antica: ecclesiologia e istituzioni, [Cultura cristiana antica. Studi], Roma 1984, p. 65: «La spiegazione del simbolo, cioè della formula di fede che fondava l’identità della fisionomia religiosa del cristiano, il quid credendum, considerato come sintesi di tutta la Scrittura, rappresentava il culmine della formazione dottrinale. ». 82 I dodici discorsi sull’Apostolo sono compresi dal serm. 108 al serm. 120 (dove il serm. 119 non vale perché spurio secondo Olivar). 83 Abbiamo ben dodici discorsi (serm. 73-84) sulla risurrezione di Gesù e tre discorsi (serm. 63-65) sulla risurrezione di Lazzaro. 84 Il martire per eccellenza è Giovanni Battista, al quale Pietro si riferisce continuamente, sia in forma indiretta, dedicando sette discorsi (86-92) al padre Zaccaria, sia in forma diretta in almeno sei Sermoni (127, 137, 167, 173, 174, 179). Altri martiri dei quali Crisologo parla più o meno diffusamente sono Eufemia (97), Andrea (122 e 133), Apollinare (128), Felicita (134), Stefano (154). 85 Troviamo quattro Sermoni recitati in occasione di ordinazioni episcopali, due di ignoti (130 e 130 bis) e due di noti: Proietto, vescovo di Imola (165) e Marcellino, vescovo di Voghenza (175). 164 INDICI tramonto. Sono evidenti le tracce di un ordinamento tematico dei Sermoni. Pietro svolge fondamentalmente, di volta in volta, un tema biblico, frequentemente riprendendolo nell’incontro successivo, magari secondo un testo parallelo o sinottico. Anche un approccio tematico al materiale del sermonario consente di vedere confermata la prima impressione generale: Crisologo partendo da un testo biblico parla con semplicità ad un uditorio attento e reattivo, utilizzando materiali e tecniche assolutamente normali per il suo tempo. Nel contesto di una predicazione brillante ma, per così dire, scontata, non può non colpire la presenza di un interlocutore rilevante: tra un pubblico di cristiani, più o meno ortodossi, si immagina volentieri qualche pagano, magari attratto dalla facondia di un oratore di grido, ma si resta sorpresi di notare qualche giudeo86. Basti pensare che le ricorrenze del termine giudeo superano le duecento – una media superiore all’unità per ogni discorso – per avere una prima idea della consistenza della presenza, almeno letteraria, del tema in questione nel sermonario crisologhiano87. Mentre la polemica coi pagani occupa tutto sommato brevi tratti della predicazione crisologhiana, quella con i giudei è continua e costante88. L’uso di 86 Diversamente da quanto sostiene C. Truzzi, secondo il quale «la presenza dei giudei a Ravenna non rivestiva particolare importanza» (PC I,33, n. 65), il nostro lavoro metterà in luce, quasi in sovraesposizione, tale presenza. In generale, la presenza di un ebreo durante la predicazione, anche liturgica, e durante la Messa non era affatto proibita né impossibile. Anzi, da un punto di vista meramente giuridico, è molto interessante ricordare qui il can. 16 degli Statuta Ecclesiae Antiquae, un documento probabilmente collezionato nel sud della Gallia nella seconda metà del V secolo: «Ut episcopus nullum prohibeat ingredi ecclesiam et audire verbum Dei, sive gentilem, sive haereticum, sive iudaeum, usque ad missam cathecumenorum». Tale canone, proibendo al vescovo di vietare l’ingresso in chiesa per ascoltare la parola di Dio al gentile, all’eretico e al giudeo, fino al momento dell’uscita dei catecumeni, attesta l’esistenza storica di un fenomeno evidentemente diffuso: la partecipazione volontaria di non cristiani o di cristiani eterodossi o di ebrei alla liturgia cristiana e, nello stesso tempo, la tendenza di alcuni vescovi, tendenza condannata dalla Chiesa, ad evitare questa partecipazione con divieti. Cfr. A.M. Rabello, Giustiniano, Ebrei e Samaritani alla luce delle fonti storico-letterarie, ecclesiastiche e giuridiche II, [Monografie del Vocabolario di Giustiniano 2], Milano 1988, pp. 543-551. 87 Volendo precisare, Pietro usa 146 volte Iudaeus e 51 volte Iudaicus. Israel è usato 13 volte, Israeliticus 6 volte. Infine, troviamo due volte sia hebraice sia Hebraeus, e una sola volta Hebraicus. Il parere del Blumenkranz (cfr. B. Blumenkranz, Les auteurs Chrétiens Latins du Moyen Age sur les Juifs et le Judaïsme, [Études Juives 4], Paris – La Haye 1963, p. 26), secondo cui Crisologo usa quasi esclusivamente il termine Iudaei, va dunque lievemente corretto. È più vero, come egli osserva, che l’espres-sione Israeliticus populus è estremamente rara. Anche qui, volendo precisare, troviamo nel sermonario 6 ricorrenze di questa espressione: Serm. 12,4,65, PC I,120; Serm. 27,3,53, PC I,210; Serm. 50,1,7, PC I,344; Serm. 100,2,30, PC II,272. 88 Ci sembrerebbe perciò di poter dissentire su questo punto dal parere di C. Truzzi, per il quale «ai giudei e ai pagani della zona era riservata nelle prediche la consueta INDICI 165 espressioni e di tutto un linguaggio ricco di richiami, denuncie, accuse, e addirittura di epiteti ingiuriosi non può minimamente fare pensare ad una polemica solo indiretta coi giudei89. D’altra parte si deve cogliere lo spirito positivo, ammonitorio e profondamente esortativo, che muove dall’interno la polemica del Vescovo ravennate coi giudei: egli è fondamentalmente preoccupato della loro fede e della loro salvezza, personale e comunitaria90. Del resto, aggiungiamo subito che il nostro autore utilizza una volta, nel serm. 172, il triste e indubitabilmente duro appellativo di “deicidi” per parlare dei giudei, anche se si affretta all’istante a giustificare e ad ammorbidire la sua affermazione91. 5. Gli ebrei nell’Impero e a Ravenna nel IV e V secolo Vale la pena, dato il taglio particolare del presente lavoro, offrire qui, a completamento del quadro introduttivo del presente capitolo, un brevis-simo polemica teologica» (PC I,33). La polemica di Pietro con i pagani e con i giudei non pare quella consueta e in sé stessa risulta profondamente differente con gli uni e con gli altri sia quantitativamente sia, soprattutto, qualitativamente. Recentemente B. Kochaniewicz ha sostenuto che la polemica antigiudaica di Pietro Crisologo sia in realtà rivolta ad alcune dottrine - la considerazione di Cristo solo uomo, la negazione del carattere verginale del concepimento e del parto di Maria - già sostenute da Fotino, vescovo di Sirmio (343-351), e dai suoi seguaci. Lo stesso studioso distingue, tra i passi della polemica antigiudaica, quelli nei quali Crisologo si rivolge ai giudei dei tempi di Gesù e quelli di critica verso gli ebrei, suoi contemporanei, abitanti a Ravenna, ma esclude categoricamente - sulla scorta del parere di C. Truzzi da noi già citato - sia la presenza di una consistente comunità giudaica a Ravenna sia la partecipazione di giudei durante le celebrazioni liturgiche in cattedrale. Cfr. B. Kochaniewicz, Op. cit., pp. 282-289. 89 B. Blumenkranz, che diversamente da molti studiosi dell’antichità ha avuto il grande merito di accorgersi che anche Pietro Crisologo ha almeno un posto nella serie degli autori cristiani latini interessati ai giudei, sostiene che la sua polemica coi giudei è solo indiretta: cfr. B. Blumenkranz, Les auteurs op. cit., p. 24. Anche in altri studi il Blumenkranz ha dedicato la sua attenzione al Crisologo: Id., La parabole de l’Enfant prodigue chez saint Augustin et saint Cesaire d’Arles, in Vigiliae Christianae 2 (1948) 102-105 [cita alla n. 10 di p. 105 il serm. 5]. Id., Juifs et Chrétiens dans le monde Occidental (4301096), Paris 1960 [cita Crisologo alle pp. 47*, 89, 228, 242]. È dello stesso autore, a proposito del grande tema del quale ci occupiamo nel nostro lavoro, l’opera Juifs et Chrétiens. Patristique et Moyen Age, London 1977. 90 Ci parrebbe di non essere quindi in completo accordo con C. Truzzi, secondo il quale «non risulta nessuna organizzazione né di dialogo, né di propaganda» (PC I,33). Naturalmente, occorre intendersi sul dialogo e sulla propaganda di Crisologo verso i giudei. Su questo aspetto cfr. le considerazioni conclusive nel cap. VII, specialmente § 3.2. 91 Cfr. Serm. 172,3,27-38, PC III,290-292. Circa l’appellativo usato da Pietro, riteniamo opportuno segnalarlo in partenza al nostro lavoro di ricerca per tenerlo ben presente nella valutazione della complessa questione del rapporto tra cristiani, in particolare predicatori cristiani, ed ebrei. Diversamente, W.B. Palardy, Op. cit., sembra citare il termine solo alla terz’ultima pagina del suo lavoro (p. 491). 166 INDICI excursus storico riguardante gli ebrei e la loro presenza a Ravenna ai tempi del Crisologo. Ferma restando la capitale distinzione tra giudaismo in terra di Israele e giudaismo della diaspora, soprattutto dopo la distruzione del tempio di Gerusalemme nel 70 d. C., ricordiamo che “in realtà le iscrizioni e i papiri dimostrano l’esistenza di sinagoghe nella diaspora fin dalla seconda metà del III secolo a. C.”92. La popolazione ebraica, diffusa in epoca neotestamentaria in Siria, Asia Minore, Grecia, Creta, Cipro, Egitto, Cirenaica e Italia, è stimata in circa il 1015% della popolazione complessiva dell’impero, perciò in 5-6 milioni93. Nella sola Roma si parla di alcune decine di migliaia di ebrei, organizzati in undici comunità o sinagoghe94. Lo studioso ebreo A.M. Rabello dà un giudizio sostanzialmente positivo, nonostante tutto – comprese persecuzioni e guerre – della vita degli ebrei sotto gli imperatori romani dal I al III secolo: essi furono esentati dal servizio militare, potevano giudicare le proprie cause secondo il diritto ebraico, costruire sinagoghe95, osservare il sabato, praticare la circoncisione, e addirittura, a partire da Claudio, furono esonerati dal culto dell’imperatore. Questa fondamentale tranquillità favorì lo stanziamento di comunità ebraiche in varie zone d’Italia, specialmente nelle città portuali sia nel centro-sud e in Sicilia, sia nei centri maggiori del nord come Milano, Bologna, Ravenna e Aquileia96. Lo stesso Rabello, esperto di diritto romano, afferma categoricamente che è stato l’avvento del cristianesimo a portare un peggioramento notevole nelle condizioni degli ebrei, specialmente dall’inizio del IV secolo quando prende piede e cresce rapidamente il ruolo guida della Chiesa nei rapporti tra Stato ed ebrei97. 92 E.W. Stegemann – W. Stegemann, Storia sociale del cristianesimo primitivo. Gli inizi nel giudaismo e le comunità cristiane nel mondo mediterraneo (Urchristliche Sozialgeschichte. Die Anfänge im Judentum und die Christusgemeinden in der mediterranen Welt, Stuttgart – Berlin – Köln 1995), trad. dal ted. di R. Fabbri, [Collana di studi religiosi], Bologna 1998, p. 429. 93 Cfr. Ibid., p. 429. Cfr. anche A.M. Rabello, Giustiniano, Ebrei e Samaritani alla luce delle fonti storico-letterarie, ecclesiastiche e giuridiche I, [Monografie del Vocabolario di Giustiniano 1], Milano 1987, pp. 45-46. 94 Cfr. Ibid., p. 48. Cfr. anche G. Bardy, La conversione al cristianesimo nei primi secoli (La conversion au christianisme durant les premiers siècles, Paris 1947), trad. dal franc. di G. Ruggieri, [Già e non ancora 2], Milano 1988, pp. 98-99. 95 Si tratta del diritto sia di costruire materialmente edifici per il culto sia di organizzare economicamente e amministrativamente la comunità legata ad ogni singola sinagoga. Accanto alla sinagoga non va dimenticata l’importanza della scuola rabbinica, fondata sullo studio dei testi sacri: cfr. H.I. Marrou, Storia dell’educazione nell’antichità (Histoire de l’éducation dans l’antiquité, Paris 61964), trad. dal franc. di U. Massi, [La cultura 15], Roma 21984, pp. 414-415. 96 Cfr. A.M. Rabello, Giustiniano op. cit. I, pp. 49-53. 97 Cfr. Ibid., p. 53. INDICI 167 In questo contesto si registrano numerosi episodi di intolleranza tra ebrei e cristiani: le distruzioni di chiese e di sinagoghe – tra cui quella di Callinico nel 388 è soltanto la più famosa a motivo dell’intervento di Ambrogio contro l’imperatore Teodosio I98 e per la verità la più lontana da noi: occorrerebbe ricordare le più vicine sinagoghe di Roma e di Aquileia che furono incendiate – le distruzioni, dico, sono accompagnate da tutta un’attività legislativa che porta a colpire i privilegi acquisiti col tempo dagli ebrei99. All’inizio del V secolo agli ebrei viene vietato di accedere a determinate cariche e alla carriera militare, e soprattutto è proibito di restaurare le sinagoghe e di costruirne di nuove. Questi divieti risalgono a Onorio, Valentiniano III e Teodosio II. Chiudiamo questo rapido cenno all’attività legislativa degli imperatori romani a riguardo degli ebrei richiamando il favore dei re goti che, essendo ariani, si mostrarono più indipendenti dall’influenza della Chiesa e perciò più tolleranti verso gli ebrei. È celebre il ruolo positivo e favorevole di Teodorico100 che nel 511 a Roma e nel 519 a Ravenna ordinò ai cittadini, che avevano 98 Dal punto di vista storico, le posizioni di Ambrogio circa la distruzione della sinagoga di Callinico e il massacro allo stadio di Tessalonica rappresentano due momenti importanti per la fondazione di un certo modello di rapporto tra la Chiesa e lo Stato, nel senso cioè di una limitazione dell’autorità statuale in fatti riguardanti la vita interna della Chiesa (fede e morale). Nel caso specifico di Callinico, tuttavia, Ambrogio non ebbe ragione: cfr. in proposito il parere, non troppo esplicito ma chiaro, di K. Baus in K. Baus E. Ewig, L'epoca op. cit., pp. 95-96. Cfr. anche il giudizio, decisamente più netto, di A.M. Rabello, Giustiniano op. cit. I, pp. 53-55. Dal punto di vista del presente lavoro, la posizione di Ambrogio circa i giudei risulta particolarmente favorevole e positiva in un altro episodio, molto meno noto e importante, quello del ritrovamento delle spoglie mortali dei martiri Vitale e Agricola nel cimitero ebraico di Bologna. Nel raccontare la traslazione solenne delle loro reliquie (4 Novembre 393), Ambrogio parla poeticamente ed affettuosamente della partecipazione degli ebrei durante la liturgia cristiana: «I giudei vedendo i martiri dicevano: “Si sono visti fiori sulla terra”. I cristiani dicevano: “È tempo di mietitura. Ormai chi miete riceve la sua ricompensa. Altri hanno seminato e noi raccogliamo i frutti dei martiri”. Di nuovo i giudei, udendo le voci della Chiesa plaudente, dicevano tra di loro: “La voce della tortora si è udita nella nostra terra”». Cfr. G. Biffi, Ambrogio vescovo. Attualità di un maestro, [Vita quotidiana, vita cristiana 24], Cinisello Balsamo 1997, pp. 75-79. Cfr. anche A.M. Rabello, Giustiniano op. cit. I, pp. 53-54, n. 18. Secondo un altro studioso ebreo l’atteggiamento di Ambrogio verso i giudei di Callinico e di Bologna è contraddittorio: cfr. A. Milano, Storia degli ebrei in Italia, [Saggi 318], Torino 1963, p. 42. 99 Cfr. P.F. Fumagalli, Antichità e Medio Evo: cristiani di fronte all'antigiudaismo, in Radici op. cit., pp. 233-234; 238-240. 100 Teodorico (o Teoderico) (ca. 453-526), re degli Ostrogoti, della famiglia degli Amali, vissuto a Costantinopoli come ostaggio, vinse e uccise a tradimento Odoacre. Come re d’Italia, riconosciuto poi anche da Costantinopoli, dominò su Goti ariani e Romani cattolici, rispettando le tradizioni romane e operando un illuminato sincretismo. Fu sepolto a Ravenna nel mausoleo da lui fatto preparare. Cfr. E. Malaspina, Teodorico (o Teoderico) in DPAC II, pp. 3374-3375. 168 INDICI distrutte le sinagoghe, di ricostruirle101. Per quanto riguarda lo status sociale degli ebrei italiani nei secoli IV e V, L. Cracco Ruggini ritiene indimostrabile che in generale essi “fossero dediti in prevalenza al commercio e al prestito del denaro, come tanto spesso si suole ripetere. Dall'analisi dei documenti rimasti, costoro appaiono piuttosto in prevalenza distribuiti fra i grandi e medi proprietari agricoli, i coltivatori e affittuari, gli schiavi e gli artigiani nell’Italia peninsulare e insulare; i funzionari, gli avvocati, i membri del clero, i soldati, i caupones e i pantapolae (cioè i trafficanti al minuto di vini e di altre merci orientali) nell’Italia Annonaria.”102 Diversamente dall’interpretazione di A.M. Rabello sopra riportata, L. Cracco Ruggini alleggerisce il peso negativo del condizionamento del cristianesimo sul giudaismo e dice, riguardo alla presenza ebraica a Ravenna, che “la scomparsa delle sinagoghe, l’aumento delle conversioni e la progressiva diminuzione delle testimonianze si spiegano soprattutto con il declino dell’artigianato e del commercio dei generi di lusso in diretto contatto con l’Oriente, allorché l’incalzare degli eventi bellici e politici fece gravitare attorno alla nuova sede ravennate tutto l’“entourage” imperiale degli alti funzionari e procurò il lento abbandono delle ricchissime ville, che nel IV secolo ancora si moltiplicavano lungo la costa dell’alto Adriatico.”103. Classe e Ravenna sono povere di testimonianze epigrafiche sugli abitanti ebrei della fine del IV e l’inizio del V secolo104. Si suppone che essi fossero o impiegati nei quadri della burocrazia di Stato o milites classiarii oppure artigiani105. La loro presenza era comunque notevole e influente se una legge 101 Cfr. A.M. Rabello, Giustiniano op. cit. I, pp. 55-56. Sui rescritti imperiali di Teodosio II e Teodorico cfr. A. Milano, Storia op. cit., pp. 42-43. 102 L. Cracco Ruggini, Ebrei e orientali nell’Italia settentrionale fra il IV e il VI secolo D. Cr., in Studia et Documenta Historiae et Juris 25 (1959) 231-233. L’Italia Annonaria comprende cinque province: Aemilia et Liguria, Alpes Cottiae, Raetia, Venetia et Histria, Flaminia et Picenum Annonarium. Cfr. ibid., 190 e n. 11. Cfr. anche M. Dukan, C. Sirat, M. Zerdoun, Une inscription Hébraïque sur amphore trouvée à Ravenne, in Revue des Études Juives 143 (1984) 289. 103 Cracco Ruggini, Ebrei, pp. 227-228. 104 Vedi Cracco Ruggini, Ebrei, pp. 252-254: «A Ravenna la situazione presenta un aspetto del tutto particolare: tre soltanto sono le iscrizioni greche (o miste di greco e latino), e all’incirca sedici quelle latine più o meno tarde, ma quasi tutte relative a classiari nativi di Siria, di Tracia, di Bitinia, di Cilicia, d’Armenia, Parthia e Grecia, di cui spesso vengono specificate addirittura le città di origine, siano esse Rodi, Alessandria, Antiochia, !Arado" (nella Syria Phoenice), oppure Nicopoli in Epiro.». A questo proposito M. Dukan, C. Sirat e M. Zerdoun hanno presentato un’iscrizione scoperta recentemente a Ravenna su un’anfora. L’iscrizione è databile al V o al VI secolo, e interessa perché l’anfora conteneva probabilmente vino o olio kasher (puro e perciò fruibile da ebrei osservanti), proveniente dalla Siria o dalla Palestina. I tre studiosi ipotizzano che le tre lettere dell’iscrizione – da cui il termine Shalom (pace, salute) – non indichino il nome del proprietario dell’anfora, nome raro anche se attestato, ma siano il simbolo dell’origine giudaica del contenuto dell’anfora. Cfr. Dukan et al., Une inscription, pp. 287-303. 105 Cfr. Cracco Ruggini, Ebrei, pp. 271-272.275. Non va tuttavia dimenticata l’esistenza INDICI 169 emanata a Ravenna nel 415 d. C. era indirizzata al rabbino (didascalus) Annas e ai maggiorenti ebrei (maiores Iudaeorum). Essa affrontava la spinosa questione del commercio degli schiavi praticato dagli ebrei e stabiliva che i padroni ebrei rispettassero la fede degli schiavi cristiani106. Solo un anno dopo, nel 416 d. C., un’altra legge della corte ravennate affrontava il problema delle conversioni di ebrei che aderivano alla fede per motivi politici, per esempio per sfuggire a una condanna grazie all’asylum ecclesiastico107. La presenza ebraica a Ravenna si rafforzò se l’Anonimo Valesiano ci parla dei gravissimi incidenti tra cristiani ed ebrei, con tumulti e distruzioni di sinagoghe, che vi si verificarono, come s’accennava poco sopra, durante il regno di Teodorico108. In conclusione, non sembra in definitiva completamente fuori di luogo, seppur datata, l’opinione di G. Böhmer secondo cui Ravenna potè essere per Crisologo “un campo d’azione di lotta spossante contro i numerosi giudei, pagani ed eretici”109. di un’attività fortemente redditizia legata alla flotta militare. Alcuni ricchi ebrei erano infatti grandi armatori di navi per le forniture annonarie dell’Impero, e si sottoponevano alla functio navicularia, secondo una legge di Teodosio I del 390 , in cambio di privilegi. Cfr. L. Cracco Ruggini, Tolleranza ed intolleranza nella società tardoantica: il caso degli Ebrei, in Ricerche di Storia sociale e religiosa 23 (1983) 41. 106 La questione si trascinò se il papa Gregorio Magno dovette occuparsene: cfr. Rabello, Giustiniano, I, p. 57. 107 Cfr. Cracco Ruggini, Tolleranza, p. 37. 108 Cfr. Cracco Ruggini, Ebrei, p. 204 n. 41, dove è riportato il testo dell’Anonimo Valesiano (Anon. Vales. 2, 81-82, MGH, AA Chron. Min. 9, Berlin 1891, ed. Th. Mommsen 326): «Post haec Theodorico Verona consistente propter metum gentium facta est lis inter Christianos et Iudaeos Ravennates. Quare Iudaei baptizatos nolentes dum ludunt frequenter oblatam in aquam fluminis iactaverunt. Dehinc accensus est populus non observantes neque regi neque Eutharico aut Petro, qui tunc episcopus erat, consurgentes ad synagogas, mox eas incenderunt. Quod et in Roma in re eadem similiter contigit. Mox Iudaei currentes Veronam, ubi rex erat, …favens Iudaeis… Qui (scil. Theodoricus) mox iussit propter praesumptionem incendii, ut omnis populus Romanus Ravennatis synagogas, quas incendio concremaverunt, data pecunia restaurarent.». Cfr. anche Cracco Ruggini, Tolleranza, p. 37, dove il contenuto del testo dell’Anonimo Valesiano è riassunto. Alla fine del V secolo anche Giovanni Antiocheno aveva parlato delle numerose sinagoghe di Ravenna al tempo di Teodorico, ricordando come questi aveva fatto seppellire il corpo di Odoacre in un’arca di pietra, presso i luoghi di riunione giudaici (493 d. Cr). Cfr. Cracco Ruggini, Ebrei, p. 228 n. 103. Cfr. anche M. Dukan, C. Sirat, M. Zerdoun, Une inscription, p. 289. 109 Böhmer, Petrus Chrysologus, p. 4. Sulla presenza ebraica a Ravenna siamo meglio informati dal XIV secolo. Dalla metà di questo secolo, infatti, ebrei prestatori di denaro giunsero nell’area dell’odierna Emilia-Romagna, provenendo inizialmente, e nella grande maggioranza, dal sud (e cioè da Roma, dall’Umbria, dalle Marche e dalla Toscana) e insediandosi a Bertinoro, Faenza, Ferrara, Imola, San Marino e, probabilmente, a Ravenna: cfr. M. Luzzati, Banchi e insediamenti ebraici nell’Italia centro-settentrionale fra tardo Medioevo e inizi dell’Età moderna, in Gli Ebrei in Italia. A cura di C. Vivanti, [Storia d’Italia. Annali 11], Torino 1997, I, Dall’alto Medioevo all’età dei ghetti, pp. 200-201. Cfr. anche M.G. Muzzarelli, Introduzione: Verso l’epilogo di una convivenza. Gli Ebrei a Bologna nel XVI secolo. A cura di M. G. Muzzarelli, Firenze 1996, p. 7. V. Meneghin 170 INDICI CAPITOLO III GIUDEI E CRISTIANI 1. Una categoria teologica Rivolgendosi ai suoi fedeli, il vescovo Pietro di Ravenna parla anche a giudei e parla dei giudei. Fermiamoci per il momento soprattutto, anche se non esclusivamente, su questo secondo aspetto e analizziamo alcune serie di testi dalle quali emerge un impiego tutt’altro che casuale dell’argo-mento giudaico nella predicazione del Crisologo. Al contrario, la lettura attenta e ripetuta dei Sermoni mostra che Pietro utilizza sistematicamente, riferendosi costantemente ai giudei, uno schema o categoria più o meno fissa, una sorta di chiave teologica, una specie di password ermeneutica sempre valida. Si può addirittura rilevare che, anche in passaggi esegetici difficili, quando vengono meno spiegazioni chiare e convincenti, Pietro vi ricorre quasi come ad un’ancora di sicura salvezza. 2. Due popoli La Collectio Feliciana si apre con un primo significativo esempio di tematizzazione del giudeo e quindi si presta ad una primissima rilevazione per l’individuazione della categoria teologica che Pietro utilizza. Nei primi cinque Sermoni il Pastore commenta la pagina lucana del padre dei due figli, il cosiddetto racconto del figlio prodigo110, e vi vede nettamente, da dedica le pp. 345-356 di un suo studio per descrivere la predicazione del beato Bernardino da Feltre a Ravenna (1487), la sua proposta di fondare anche in questa città, come già a Mantova, Assisi, Parma, Firenze, Orvieto, L’Aquila, Padova etc, il Monte di Pietà, la reazione degli ebrei che gestivano il mercato dell’usura ed infine l’erezione del Monte: cfr. V. Meneghin, Bernardino da Feltre e i Monti di Pietà. Presentazione di G. Barbieri, Vicenza 1974. Qualche altra scarna notizia, riguardante il secolo successivo, è reperibile in R. Segre, La Controriforma: espulsioni, conversioni, isolamento, in Gli Ebrei, I, p. 726. 110 P. Siniscalco, Mito e storia della salvezza. Ricerche sulle più antiche interpretazioni di alcune parabole evangeliche, [Filologia classica e glottologia 5], Torino 1971, ha studiato la storia delle interpretazioni delle tre parabole della misericordia di Lc. 15 (pecora smarrita, dramma smarrita, figliol prodigo), passando in rassegna gli autori più importanti che se ne sono occupati nei primi tre secoli: dagli gnostici (Simone, Valentino, Marco, il Vangelo secondo Tommaso) a Ireneo, da Clemente a Origene e Tertulliano. Dalla ricerca sulla parabola del figlio prodigo appare una lenta deci-frazione delle figure evangeliche: il padre come Dio si incomincia a intravedere in Ireneo (cfr. p. 86) e diventa chiaro con Clemente INDICI 171 subito111, una parabola del tormentato rapporto tra la gens Iudaica e il populus Christianus112: “Oggi il Signore ha chiamato per noi e ci ha presentato un padre con due figli, per rivelare attraverso una felice immagine una straordinaria prova della sua pietà, la crudele invidia del popolo ebreo, il ritorno supplichevole del popolo cristiano.”113 La visione dei giudei da parte di Crisologo è tutt’altro che irenica; “la crudele invidia” viene teorizzata senza mezzi termini, fino al punto da consentire al Pastore – in uno dei suoi tipici excursus di sapore edificante verso il gregge dei fedeli tentato di cadere nel gravissimo peccato dell’invidia - di ricostruire tutta una drammatica storia, dalle origini primordiali a Cristo: (cfr. p. 116); il figlio minore come figura del cristiano peccatore che ritorna a casa (= Chiesa) è una novità di Clemente (cfr. pp. 116-118); i due figli come rappresentanti dei due popoli è una novità attestata da Tertulliano montanista (De pudicitia 8,3), che riporta questa interpre-tazione come cattolica (cfr. pp. 127-129). In un’altra opera, (De paenitentia 8,7ss.) Tertulliano dà quest’interpretazione per nota (cfr. p. 132). In particolare, Tertulliano riporta come cattolica l’interpretazione del figlio maggiore come figura del giudeo invidioso della riconciliazione fra Dio e il figlio minore (= cristiano) (cfr. p. 128), mentre l’idea del figlio minore come immagine del pagano è di Tertulliano montanista nella controversia penitenziale (cfr. pp. 144.153). 111 Secondo il Blumenkranz soltanto il quinto discorso della serie dei Sermoni crisologhiani dedicati alla spiegazione della parabola del figlio prodigo sarebbe utilizzata per la controversia con i giudei: cfr. B. Blumenkranz, Les auteurs, p. 24. Tale giudizio ci sembra da sfumare, o per lo meno da interpretare. Siamo d’accordo se con questo si vuole assegnare un posto limitato ai testi controversistici rispetto a quelli esegetici e di annuncio. Siamo contrari se invece si sottintende l’assenza, nei primi quattro Sermoni sul figlio prodigo, della problematica di cui stiamo incomin-ciando a trattare nel presente lavoro. Sin dall’inizio del suo parlare, come dimostra anche il passo citato di seguito nel corpo del testo, Pietro ha in mente la spiegazione di fondo che infatti anticipa subito. Nei discorsi successivi condurrà l’uditorio ad una comprensione graduale dei diversi personaggi presentati dalla pagina lucana, fino a passare definitivamente, nel quinto discorso, dall’interpretazione letterale del testo biblico al livello profondo o mistico o spirituale. Così nel serm. 1 Pietro parla dell’ab-bandono della casa paterna da parte del figlio minore, nel serm. 2 del suo ritorno e pentimento, nel serm. 3 del padre che gli va incontro, nel serm. 4 dell’invidia del figlio maggiore; nel serm. 5 Crisologo riprende tutti i temi trattati svelando la verità nascosta sotto la lettera del testo evangelico. 112 Nel testo seguente Crisologo usa gens e populus, legando il primo ai giudei e il secondo ai cristiani (= etnici). È un uso rovesciato rispetto a quello paolino, dove gentes sono i pagani e populus è Israele. Cfr. P. Siniscalco, Universalità e nazioni in scrittori cristiani antichi. Qualche osservazione a partire dai termini Laos e Ethne in Paolo, in Atti del I Simposio di Tarso su s. Paolo apostolo, a cura di L. Padovese, [Turchia: la Chiesa e la sua storia 5], Roma 1993, pp. 31-45. 113 Serm. 1,1,3-6, PC I,48: Hodie nobis dominus patrem cum filiis duobus uocauit et produxit in medium, ut inmensum suae pietatis indicium scaeuam Iudaicae gentis inuidiam, reditum supplicem populi Christiani, pulchram panderet per figuram. 172 INDICI “L’invidia è un male di vecchia data, il primo flagello, un antico filtro mortale, il veleno dei secoli, la causa della fine. Questa in principio cacciò lo stesso angelo e lo fece precipitare dal cielo (cfr. Is. 14,12; Apoc. 12,9); questa escluse dal paradiso terrestre l’uomo capostipite della nostra generazione; sempre questa tenne lontano dalla casa paterna il fratello maggiore. Questa armò la progenie di Abramo, quel popolo santo, per l’uccisione del proprio Autore, per la morte del proprio Salvatore.”114 Nello stesso tempo, Pietro dichiara la santità della progenies di Abramo, populus sanctitatis, e chiama Cristo il Salvator di questo popolo. Quando finalmente Pietro rompe gli indugi e passa, dopo lunga attesa, dal livello di un’interpretazione letterale del racconto lucano a quello mistico115, non esita a confermare la lettura anticipata fin dalla prima battu-ta del serm. 1, completamente allegorica: “Aveva due figli, cioè due popoli: il popolo giudaico e quello pagano; ma con la saggezza della Legge rese maggiore il popolo giudaico, mentre rese minore quello pagano con la stoltezza del paganesimo, perché, come la sapienza rende anziani, così l’insipienza elimina ogni qualità propria dell’uomo. Dunque i suoi costumi, non la sua età, resero più giovane questo popolo; invece, non i tempi trascorsi, ma i sentimenti fecero l'altro più anziano.”116 Imboccata la strada, Pietro svela l’enigma dell’eredità suddivisa, ipotizzando un rapporto tra le cinque doti di natura assegnate al figlio più giovane e i cinque libri della Legge affidati al più grande, e affermando che entrambe le leggi possono condurre alla conoscenza del Padre e al culto dell’unico Creatore117. La dissipazione del popolo cristiano è plasticamente rappresentata dall’idolatria dei pagani; non mancano riferimenti pungenti alle scuole filosofiche - specialmente a “Epicuro, maestro di disperazione e di piacere”118 -- che non riescono, coi loro sforzi faticosi, a trovare la verità e il paese lontano del figlio prodigo diventa senz’altro la regione dei demoni e dello stesso diavolo119. La fame provvidenziale che induce il figlio a ritornare alla casa paterna è soddisfatta 114 Serm. 4,1,19-26, PC I,66: Inuidia malum uetustum, prima labes, antiquum uirus, saeculorum uenenum, causa finis. Haec in principio ipsum angelum eiecit et deiecit e caelo (cfr. Is. 14,12; Apoc. 12,9); haec de paradiso hominem principem nostrae generationis exclusit; ipsa hunc seniorem fratrem paterna seclusit domo. Haec Abrahae progeniem, populum sanctitatis illum, ad auctoris sui caedem, ad mortem sui saluatoris armauit. 115 Cfr. serm. 4,5,90-92, PC I,70; serm. 5,1,3-5, PC I,72. 116 Serm. 5,2,19-25, PC I,72: Duos filios habuit, duos scilicet populos: Iudaicum gentilemque; sed Iudaeum seniorem prudentia legis fecit, gentilem paganitatis stultitia reddidit iuniorem; quia sicut sapientia dat canos, ita quidquid uiri est tollit insipientia. Hunc ergo iuniorem mores praestitere, non aetates; seniorem illum non tempora fecerunt esse, sed sensus. 117 Cfr. serm. 5,3,26-40, PC I,72-74. 118 Serm. 5,5,72-73, PC I,76: Epicureo se tradunt ultimo disperationis et uoluptatis auctori. 119 Cfr. serm. 5,4-5,41-48, PC I,74-76. INDICI 173 soltanto dal vitello grasso, nel quale Pietro vede un riferimento all’eucaristia quotidiana120. L’invidia del populus legalis è particolarmente straziante. Pietro la rappresenta al vivo, dando la netta impressione di mettersi a descrivere una scena consueta ai suoi tempi, in quegli ambienti, non volendo e non potendo negare quanto è evidentemente sotto gli occhi di tutti: “Ma il fratello maggiore, ma il figlio maggiore, venendo dal campo (cfr. Lc. 15,25) – popolo legale, la messe è molta, ma i mietitori sono pochi (Lc. 10,2) – ode la musica nella casa paterna, ode le danze, e non vuole entrare. Vediamo questo ogni giorno con i nostri occhi: infatti il Giudeo è venuto alla casa paterna, cioè alla Chiesa; se ne sta fuori per gelosia, ascolta l’arpa davidica suonare, ascolta la musica proveniente dal gruppo dei profeti, ascolta le danze dalla varia assemblea dei popoli, e non vuole entrare per gelosia. Standosene fuori, mentre secondo i costumi d’un tempo giudica il fratello pagano e ne prova orrore, si priva egli stesso dei beni paterni, egli stesso si esclude dalle gioie del padre.”121 La denuncia di invidia, subito amplificata, è immediatamente dopo accompagnata da un nuovo grande elogio della santità della Iudaica generatio122, un modo di procedere, questo, assai frequente in Pietro: “Quanto alle sue parole: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e non mi hai dato mai un capretto (Lc. 15,29), abbiamo detto già che conviene tacere piuttosto che parlare, perché il Giudeo parla, e sono parole non di uno che opera, ma che è gonfio di superbia. Il padre esce e dice al figlio: Figlio, tu sei sempre con me (Lc. 15,31). In che modo? Attraverso Abele, Enoc, Sem, Noè, Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè e tutti i santi, attraverso i quali deriva la generazione giudaica, di cui abbiamo letto nel Vangelo, quando dice: Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe (Mt. 1,2). E tutti i miei beni sono tuoi (Lc. 15,31). In che modo? Perché per te è la Legge, per te è la profezia, per te il tempio, per te il sacerdozio, per te i sacrifici, per te il regno, per te – e questo vale più di tutto – è nato Cristo. Ma poiché tu per gelosia vuoi lasciare alla perdizione tuo fratello, non sei degno di avere i banchetti paterni, le gioie paterne.”123 Cfr. serm. 5,6,85-117, PC I,76-78. Serm. 5,7,118-127, PC I,78: Sed frater senior, sed senior filius ueniens ex agro (cfr. Lc. 15,25), populus legalis, messis quidem multa, operarii autem pauci (Lc. 10,2), audit in domo patris symphoniam, audit choros, et introire non uult. Hoc cotidie oculis nostris intuemur; nam uenit Iudaeus ad domum patris, id est, ad ecclesiam; stat foris per inuidiam, audit Dauiticam citharam personare, audit ex conuentu prophetico symphoniam, ex populorum uario conuentu choros audit, et introire non uult, per inuidiam. Stans foris, dum gentilem fratrem pristinis iudicat et horret ex moribus, ipse se paternis bonis eximit, ipse se paternis excludit gaudiis. 122 Non si possono, dunque, estrapolare i testi crisologhiani senza leggerli nel loro esatto contesto. Anche un autore sensibile, come il Blumenkranz, deduce dal nostro passo un punto di non conciliazione – tra giudei e cristiani – che opporrebbe Crisologo ad Agostino: cfr. Blumenkranz, Les auteurs, p. 25. 123 Serm. 5,7,127-141, PC I,78: Quod autem dixit: «Ecce tot annis seruio tibi, et numquam mandatum tuum praeteriui, et numquam dedisti mihi haedum» (Lc. 15,29), tacendum, potius 120 121 174 INDICI Prima di lasciare la serie dei Sermoni 1-5, occorre notare che lo schema dei due popoli potrebbe sembrare, ad una lettura troppo affrettata e superficiale, insufficiente a rendere la ricchezza della posizione di Pietro sia perché di fatto si tratta in questi discorsi della vocatio gentium124 - e quindi si prospetta la chiamata universale alla fede per tutti i popoli che compongono l’umanità intera - sia perché il popolo cristiano nella situazione di dissipazione è identificato con il popolo dei pagani. In effetti, pensiamo che qui non convenga introdurre uno schema con tre popoli: giudei – cristiani – pagani. In realtà, si deve ammettere che mentre ebrei si nasce, cristiani si diventa: i popoli pagani idolatri sono potenzialmente visti come cristiani, come del resto i cristiani sono avvertiti istintivamente come non ebrei. Pietro si muove dentro ad una mentalità fondamentalmente biblica, dentro ad uno schema con due poli125. In conclusione, non si può non rilevare da questo incipit del sermo-nario crisologhiano una certa insistenza del nostro autore sulla tematizza-zione giudei – cristiani. Dobbiamo ora tentare di verificare in che misura e spessore tale categoria teologica sia impiegata nel resto del materiale a nostra disposizione. 3. Un solo gregge Nel contesto di una delle sue numerose esortazioni quaresimali al digiuno, Pietro, che abitualmente si riferisce ai personaggi dell’Antico Testamento per elogiarne le virtù a edificazione dei suoi fedeli126, ricorda i Salmi di Davide, e quam loquendum esse iam diximus; quia Iudaeus loquitur, et non facientis uerba sunt, sed tumentis. Pater egreditur, et dicit filio: «Fili, tu semper mecum es» (Lc. 15,31). Quomodo? Per Abel, per Enoch, per Sem, per Noe, per Abraham, per Isaac, per Iacob, per Moysen, per omnes sanctos, per quos Iudaica generatio in euangeliis lecta diriuatur, cum dicit: «Abraham genuit Isaac, Isaac genuit Iacob« (Mt. 1,2). «Et omnia mea tua sunt» (Lc. 15,31). Quemadmodum? Quia tibi lex, tibi prophetia, tibi templum, tibi sacerdotium, tibi sacrificia, tibi regnum, tibi - quod supra omnia - natus est Christus. Sed quia tu per inuidiam perdere uis fratrem, paternas epulas, patris gaudia, dignus es non habere. 124 Tale tema fa da raccordo tra la sezione dei primi cinque Sermoni e il sesto, nel quale Pietro si sposta da Lc. 16 al Ps. 99: cfr. soprattutto serm. 6,1-2,3-59, PC I,80-82. 125 È la posizione di E. Peterson che già alcuni decenni fa argomentava con l’interpretazione crisologhiana sostenendo in definitiva che la Chiesa si autodefinisce, e deve autodefinirsi, come Chiesa degli ebrei e dei gentili non solo per una ragione storica, ma per la sua stessa natura teologica. Cfr. E. Peterson, Il mistero degli ebrei e dei gentili nella Chiesa (Le mystère des Juifs et des Gentiles dans l’Église, Paris 1935), pref. di J. Maritain, trad. dal franc. di A. Miggiano, [Humana civilitas 6], Milano 21960, pp. 68-71. 126 Questo approccio positivo, pacifico e spontaneo ai personaggi veterotesta-mentari si trova già in Clemente di Roma nella Prima Lettera ai Corinzi. Cfr. F. Manns, L’Israele di Dio. Sinagoga e Chiesa alle origine cristiane (L’Israel de Dieu. Essais sur le christianisme primitif, Jerusalem 1996), trad. dal franc. di G. Zaccherini, [Studi biblici 32], Bologna 1998, pp. 100-101. INDICI 175 come introduzione al commento del Ps. 28 amplifica l’operato dell’antico re d’Israele: “Così noi, fratelli, uniamo al digiuno della Quaresima canti divini, affinché la celeste melodia mitighi e allevii il peso dell’astinenza, spingendoci a questo il beato Davide, che, mentre con la zampogna blandiva e dilettava il caro gregge ai pascoli, imparò a vincere col canto la durezza delle guerre, col canto meritò di condurre i popoli alla salvezza, col canto riuscì a chiamare i gentili, a ricondurre i Giudei, a mettere in fuga i demoni, a convocare i figli di Dio per rendere l’ossequio al Padre celeste, come bene cantò il suo canto d’invito.”127 Il progetto politico di Davide viene riassunto nel vocare gentes, reducere Iudaeos, Dei filios ad superni Patris obsequium convocare, quindi in una convocazione universale dei figli di Dio provenienti dalle genti e dai giudei per il culto dell’unico Padre. Pietro affronta poi la questione se sia possibile che il Creatore di tutti richieda vittime giudaiche, sacrifici cruenti128, e per spiegare l’espressione del Ps. 28,1 – Recate al Signore figli di arieti - porta il nobile esempio di Abramo, chiamato a sacrificare Isacco: “Quale ariete Abramo, anziano rispetto all’innocenza, invecchiato nella fede, perfetto quale vittima, pronto al sacrificio, recava il figlio di un ariete: il proprio figlio, anzi sacrificava se stesso nel figlio. Santificava il proprio animo, allietava la propria fede, così da essere ad un tempo vittima e pontefice, sacerdote e sacrificio.”129 L’applicazione pastorale del Vescovo ravennate non si fa attendere: “Abbiamo chiamato Abramo ariete, per dimostrare che Isacco era figlio di un ariete e perché fosse chiaro così quali figli degli arieti il profeta vuole che noi offriamo al Signore. Recate al Signore figli di arieti (Ps. 28,1). Il cristiano viene ora esortato a recare i figli dei padri, dei patriarchi, dei profeti, degli apostoli, dei martiri, dei confessori, poiché il gregge del Signore è lasciato andare al pascolo della fede, poiché il pastore celeste vuole che i suoi agnelli siano condotti all’ovile 127 Serm. 10,1,10-18, PC I,106: Sic nos, fratres, Quadragesimae ieiunio cantica diuina iungamus, ut abstinentiae pondus caelestis temperet et subleuet symphonia, prouocante nos ad haec Dauid beato, qui dum fistula pecus carum mulcet et oblectat in pascuis, cantu dura didicit superare bellorum cantu meruit ductare populos ad salutem; cantu ualuit uocare gentes, reducere Iudaeos, fugare daemones, dei filios ad superni patris obsequium conuocare, sicut bene inuitans eius cecinit melodia. 128 Cfr. serm. 10,3,35-62, PC I,106-108. 129 Serm. 10,3,48-53, PC I,108: Aries Abraham maturus ad innocentiam, grandaeuus ad fidem, perfectus ad hostiam, paratus ad holocaustum, afferebat arietis filium; filium suum, immo se immolabat in filio; sanctificabat mentem suam, laetificabat fidem suam, ut esset idem uictima et pontifex, sacerdos et sacrificium. 176 INDICI del Signore, affinché, dispersi sugli incolti terreni dei pagani, non siano divorati dagli assalti dei lupi.”130 Chiarita in termini così forti la continuità tra giudei e cristiani, grex dominicus, convergenti nell’unico ovile del Signore, ovile dominicum, Pietro chiude il discorso con un’esortazione calorosa e incalzante a portare tutti al battesimo, sia quelli che vogliono sia quelli che non vogliono131; e cita di nuovo Abramo, al quale aggiunge gli esempi di Lot e di s. Pietro, per dimostrare l’urgenza di affrettarsi ad abbracciare la fede cristiana: “Trascinate quelli che non vogliono. Nessuno dica: “Non vuole”, perché anche Abramo legò il figlio per farne offerta (cfr. Gen. 22,9); anche gli angeli, per sottrarre Lot alle fiamme, lo condussero fuori sollevandolo con le loro mani (cfr. Gen. 19,10.16); anche il Signore cinse Pietro con la potenza del suo aiuto perché andasse al martirio, dove non voleva andare, dicendo: Un altro ti cingerà e ti condurrà dove non vuoi (Io. 21,18). E anche il Padre celeste non solo accoglie quelli che vogliono, ma attira anche quelli che non vogliono, come dice il Figlio: Nessuno viene a me, se non colui che mio Padre attira (Io. 6,44).”132 In conclusione, per Crisologo c’è una sorprendente unità tra giudei e pagani convertiti dall’idolatria nell’unico ovile, nel gregge del Signore. L’unico popolo, il popolo cristiano, che si va costituendo mediante il battesimo, abbraccia padri, patriarchi, profeti, apostoli, martiri, confessori, tutti, volenti o nolenti, attirati 130 Serm. 10,4,63-70, PC I,108: Abraham diximus arietem, ut Isaac arietis filium probaremus, ac sic luceret quos arietum filios propheta uult domino nos deferre. «Afferte domino filios arietum» (Ps. 28,1). Filios patrum, patriarcharum, prophetarum, apostolorum, martyrum, confessorum Christianus modo ut afferat admonetur, quando grex dominicus fidei laxatur in pastum, quando agnos suos caelestis pastor ad ouile dominicum uult deferri, ne dispersi per inculta gentium luporum deuorentur incursibus. 131 Cfr. serm. 10,5-6,72-106, PC I,108-110. Il passo, per certi aspetti, può richiamare alla mente le veementi esortazioni rivolte da Giovanni Crisostomo ai fedeli di Antiochia perché in ogni modo si impegnino a ricuperare i loro fratelli giudaizzanti. Vedi in particolare Io.Chrys., Adv.Iud. I,8, PG 48,856: «Non siate dunque negligenti, ma le donne diano la caccia alle donne, gli uomini agli uomini, i servi ai servi, i liberi ai liberi, i bambini ai bambini, e tutti semplicemente con ogni premura diano la caccia a quelli che patiscono tale malattia [= giudaizzare]; in questo modo prenderete parte alla prossima riunione liturgica e riceverete lode da parte nostra, e oltre i nostri complimenti riceverete da parte di Dio una ricompensa grande e ineffabile, e le fatiche di coloro che avranno ricondotto altri sulla retta via saranno di gran lunga ripagate». In proposito vedi G. Scimè, Edificare la comunità: cristiani, giudaizzanti e Giudei nell’Adversus Iudaeos di Giovanni Crisostomo, in Rivista di Teologia dell’Evangelizzazione 5 (2001) 371-388. 132 Serm. 10,5,88-95, PC I,110: Adtrahite nolentes. Nemo dicat: non uult, quia et Abraham, ut offerret, filium colligauit (cfr. Gen. 22,9); et Loth angeli, ut subtraherent flammis, extractum manibus sustulerunt (cfr. Gen. 19,10.16); et Petrum dominus, ut iret ad martyrium quo nolebat, auxilii sui uirtute praecinxit dicens: «Praecinget te alius, et deducet te quo non uis» (Io. 21,18). Et pater caelestis non solum uolentes suscipit, sed adtrahit et nolentes dicente filio: «Nemo uenit ad me, nisi quem pater meus adtraxerit» (Io. 6,44). INDICI 177 dal Padre. 4. Il costruttore cristiano Commentando l’episodio del servo ammalato del centurione di Cafarnao133 – centurione anonimo secondo la memoria lucana – Pietro pone subito in grande rilievo lo spessore simbolico della figura di un uomo che, essendo romano e perciò pagano, e trovandosi a contatto con i giudei, perviene, mediante l’incontro indiretto con la persona di Gesù, alla fede cristiana: “Questo centurione era romano, ma egli stesso era cristiano per più del cento per cento ed era al servizio di Dio piuttosto che a quello del mondo e, coraggioso nelle guerre umane, era più coraggioso sempre nel custodire la pace divina.”134 Il Pastore ravennate sottolinea il valore eccezionale della ambasceria giudaica che il centurione invia a Cristo e la interpreta senz’altro come un segno – da parte dei gentili già convertiti al cristianesimo - della chiamata e dell’accompagnamento fino all’incontro con Cristo nei confronti dei giudei non 133 Il passo del centurione di Cafarnao e in particolare l’elogio della fede che ne fa Gesù (Lc. 7,9: vi dico che neppure in Israele ho trovato una fede così grande) è utilizzato soprattutto in contesto polemico da Tertulliano (De idolatria 19,3; Adver-sus Marcionem 4,18,1; Adversus Valentinianos 28,1; De corona 11,4), Ireneo (Adversus haereses 1,7,4), e Origene. Quest’ultimo, nella polemica antigiudaica e antignostica, usa Lc. 7,9 per dire che è da rifiutare un’interpretazione «secondo il senso corporale» di questo detto del Signore. Altro testo citato da Origene è Mt. 15,24 (Non sono stato mandato che alle pecore perdute della casa di Israele). Cfr. Origenes, In Io.20,8,37, Origenes Werke. Vierter Band der Johanneskommentar. Hrsg. E. Preuschen, [GCS 10], Leipzig 1903, p. 333. Più tardi Lc. 7,9 è utilizzato da Epifanio per confutare le tesi di Marcione in due passi del Panarion (42,11,6; 42,11,17). È interessante soprattutto il secondo, che dopo la citazione del testo lucano riporta la confutazione di Epifanio: «Se neppure in Israele ha trovato una fede così grande come quella trovata nel centurione proveniente dai gentili, allora non biasima la fede di Israele. Se infatti si trattasse di un dio estraneo e non di lui e di suo Padre, non avrebbe fatto l’elogio di questa fede.». Vedi Epiphanius, Panarion 42,11,17, Epiphanius, Ancoratus und Panarion. Hrsg. Von K. Holl. Zweiter Band. Panarion Haer. 34-64, [GCS 31,2], Leipzig 1922, pp. 126-127. Infine, secondo Ambrosiaster l’ambasceria dei giudei da parte del centurione indica la presenza in Giudea di molti Romani che, essendo incirconcisi, osservavano però la Legge data ai circoncisi. Altro esempio portato dallo stesso autore è Agrippa che, secondo quanto Paolo gli dice durante l’interrogatorio di Cesarea, crede nei Profeti (cfr. Act. 26,27). Cfr. Ambrosiaster, Ad Galatas 5,3,: Ambrosiastri qui dicitur Commentarius in epistulas Paulinas. Pars tertia. In epistulas ad Galatas, ad Efesios, ad Filippenses, ad Colossenses, ad Thessalonicenses, ad Timotheum, ad Titum, ad Filemonem. Rec. H.I. Vogels, [CSEL 81,3], Vindobonae 1969, pp. 54-55. 134 Serm. 102,2,13-16, PC II,284: Centurio hic Romanus erat, sed plus erat hic ipse fructu centesimo christianus, et deo magis militabat iste quam saeculo, et in humano bello fortis fortior in diuinae pacis custodia permanebat. 178 INDICI ancora divenuti credenti: “Dunque mandò da lui alcuni anziani dei Giudei (Lc. 7,3). Un pagano manda Giudei da Cristo. Dunque anche per noi, perché è venuto prima l’annuncio della fede (cfr. Rom. 10,17), la vita del corpo viene dopo. Mandò da lui alcuni anziani dei Giudei (Lc. 7,3), e così lui, che era estraneo alla Legge, mostra l’Autore della Legge a coloro che stavano nella Legge. Nessuno, dunque, si stupisca se un pagano, cioè un cristiano, o chiama o accompagna un Giudeo o lo conduce a Cristo. Mandò da lui alcuni anziani dei Giudei, per chiedere che venisse e guarisse il suo servo (Lc. 7,3).”135 Non è difficile intravedere, nell’invito a non stupirsi rivolto dal Vescovo ai suoi fedeli, un probabile riferimento ad un comportamento o per lo meno a singoli episodi di proselitismo cristiano verso gli ebrei: si può immaginare abbastanza chiaramente che atteggiamenti di questo genere creassero qualche evidente disagio anche tra i cristiani. Se Pietro valorizza la legazione giudaica inviata a Cristo dal centurione romano al fine di mostrarlo un vero cristiano136, non perde neppure l’oc-casione per rilevare, in senso rovesciato ed esattamente reciproco, il posi-tivo impegno dei giudei verso i pagani. Naturalmente, il riferimento criso-loghiano è anche polemico, finalizzato a contrapporre la fede cristiana all’incredulità giudaica, ma, come si può vedere nel testo seguente, le osservazioni critiche e persino, diremmo oggi, aggressive, hanno il senso di scuotere l’interlocutore e di convincerlo sulla via della conversione: “E quelli, una volta venuti, lo pregavano dicendo: “Merita che tu gli conceda questa grazia. Ama, infatti, il nostro popolo e ci ha costruito la sinagoga” (Lc. 7,4-5). Pregano per un pagano i Giudei, che non pregano per se stessi; e si danno molto da fare per la salvezza di un servo straniero, mentre non si preoccupano per la salvezza dei loro figli. Dicono: Merita che tu gli conceda questa grazia. Se lo merita colui che ascolta, crede, manda da Cristo, come si dimostra immeritevole chi va da Cristo, vede e non crede! Ama, infatti, il nostro popolo. Egli ama il vostro popolo, che rende così supplice a Cristo; ma voi lo odiate, perché lo fate così caparbio verso Cristo. O in che modo può non amare il vostro popolo un cristiano che, mentre professa Cristo, proveniente dal vostro popolo, eleva e innalza alla gloria celeste tutto ciò che appartiene al vostro popolo?”137 135 Serm. 102,3,26-33, PC II,284: Ergo «misit ad eum seniores Iudaeorum» (Lc. 7,3). Gentilis Iudaeos ad Christum mittit. Ergo et nobis, quia fidei praecessit auditus (cfr. Rom. 10,17), uita corporis mox sequitur. «Misit ad eum seniores Iudaeorum» (Lc. 7,3), et in lege positis, qui sine lege erat, legis demonstrat auctorem. Nemo ergo miretur, si gentilis, hoc est, christianus Iudaeum aut uocat, aut ducit, aut perducit ad Christum. «Misit ad eum seniores Iudaeorum, rogans ut ueniret et sanaret seruum eius» (Lc. 7,3). 136 Altrove Pietro afferma che il vero cristiano conduce a Cristo anche le pecore annose e vecchie: cfr. serm. 10,5,95-96, PC I,110. 137 Serm. 102,4,34-45, PC II,286: «At illi, cum uenissent, rogabant eum dicentes: Dignus est, ut hoc illi praestes. Diligit enim gentem nostram, et synagogam ipse aedificauit nobis» (Lc. INDICI 179 Si noti, in chiusura di citazione, il passaggio del nostro autore dalla terza alla seconda persona plurale: sembra di assistere ad un dialogo accorato tra il Vescovo e i giudei. Pietro tenta di mostrare ai giudei - che forse lo stanno ascoltando in chiesa o che comunque risultano tra i suoi interlocutori ideali - il vantaggio oggettivo che potrebbero ricavare anche solo riconoscendo che il fatto stesso di partecipare, in quella famosa circostanza di Cafarnao, ad un’ambasceria inviata a pregare Cristo per un pagano, era già un segno di amore, un’apertura positiva, di un cristiano verso di loro. La conclusione del commento del Crisologo diventa una magnifica lode cristiana verso la straordinaria dignità del popolo ebraico, dal quale proviene Cristo: “O in che modo può non amare il vostro popolo un cristiano che, mentre professa Cristo, proveniente dal vostro popolo, eleva e innalza alla gloria celeste tutto ciò che appartiene al vostro popolo?”138 In questo testo vistosamente importante risulta evidente che il riferimento concreto alla edificazione della sinagoga di Cafarnao da parte del centurione romano viene sovraccaricato di spessore simbolico139: con quel gesto generoso, secondo il Pastore ravennate, si vuole indicare il ruolo dei cristiani verso gli ebrei, il compito attuale della Chiesa nei confronti della Sinagoga: riconoscendo la preziosità del patrimonio giudaico – quicquid uestrae gentis est caelestem - il cristiano lo tollit et extollit ad gloriam. E infatti si legge di seguito: “Ama, infatti, il nostro popolo e ci ha costruito la sinagoga (Lc. 7,5). Avete udito che la sinagoga giace sempre diroccata: offre solo pietre grezze e non si eleva in costruzione celeste, se il costruttore cristiano non la inserisce nella architettura della Chiesa.”140 7,4-5). Iudaei rogant pro gentili, qui pro se non rogant; et agunt satis pro salute alieni serui, qui pro salute suorum nil agunt filiorum. Aiunt: «Dignus est, ut hoc illi praestes». Si dignus est qui audit, credit, mittit ad Christum, ad Christum qui uenit, uidet, non credit, quam probatur indignus! «Diligit enim gentem nostram». Ille diligit gentem uestram, quam sic Christo supplicem facit; sed uos odistis eam, quam sic Christo redditis contumacem. Aut quomodo christianus non diligit gentem uestram, qui dum Christum fatetur ex gente, quicquid uestrae gentis est caelestem tollit et extollit ad gloriam?. 138 Serm. 102,4,42-45, PC II,286: Aut quomodo christianus non diligit gentem uestram, qui dum Christum fatetur ex gente, quicquid uestrae gentis est caelestem tollit et extollit ad gloriam?. 139 G. Bardy vede nel gesto del centurione di Cafarnao un segno della sua appartenenza a quei pagani che si avvicinavano alla religione giudaica, assumendone anche qualche usanza e rito, senza poi aderirvi pienamente, e che nell’antichità venivano denominati “tementi Dio”. Cfr. Bardy, La conversione, pp. 103ss. 140 Serm. 102,4,45-48, PC II,286: «Diligit enim gentem nostram, et synagogam ipse edificauit nobis» (Lc. 7,5). Audistis quia semper diruta est synagoga, et iacet iugiter in caementis, nec caelestem surgit in fabricam, nisi eam in ecclesiae culmen christianus fabricator instruxerit. 180 INDICI Le sorti della Sinagoga, in tale visione, sono strettamente congiunte a quelle della Chiesa: se il christianus fabricator non innalza la Sinagoga in ecclesiae culmen, essa rimane un mucchio di rovine: in poche righe Criso-logo è riuscito a dirci che, senza la Chiesa, la Sinagoga non può neppure aspirare ad alzarsi in caelestem fabricam. 5. Nemici e amici Stiamo rilevando la connessione essenziale tra giudei e cristiani nei commenti biblici del Crisologo. Questa connessione essenziale assume di volta in volta, di discorso in discorso e addirittura all’interno dello stesso sermone, connotazioni nuove e sempre più profonde. Troviamo nello stes-so contesto dell’esegesi all’episodio del centurione di Cafarnao secondo Lc. 7 l’impiego della terminologia di Rom. 11, dove i giudei sono chiamati da s. Paolo nemici a vantaggio dei cristiani. Pietro nota dapprima che Cristo è in posizione centrale tra i giudei e i gentili e afferma nel contempo che l’allontanamento dei primi comporta in Cristo un avvicinamento ai secondi: “Gesù, dice, andava con loro (Lc. 7,6), ma quelli non andavano con Gesù, con il quale non andavano con l’animo; né erano con lui quelli che, separati nel cuore, col corpo sembravano uniti. E ormai non essendo lontano (Lc. 7,6). Da chi? Dal pagano. Quanto i Giudei si separavano da Cristo, tanto Cristo si univa ai pagani.”141 In secondo luogo il Crisologo spiega la differenza tra gli inviati del centurione: “E quando ormai non era lontano, il centurione gli mandò degli amici (Lc. 7,6). Colui che prima aveva mandato dei Giudei, ora manda degli amici, per indicare, chiamando amici quelli, i nemici, come dimostra l’Apostolo quando dice: Nemici per vostro vantaggio (Rom. 11,28). I Giudei, mentre erano invidiosi che i pagani avessero creduto, perdettero tutto ciò che riguardava la Legge e la grazia. Gli mandò degli amici (Lc. 7,6). Quali amici? Ascolta il Signore che dice agli apostoli: Ormai non vi chiamerò più servi (Io. 15,15), ma amici. Come la fede promuove i servi ad amici, così l’incredulità riduce i figli alla pena della schiavitù.”142 141 Serm. 102,5,49-53, PC II,286: «Iesus», inquit, «ibat cum illis» (Lc. 7,6), sed illi non ibant cum Iesu, cum quo mente non ibant; nec cum illo erant, qui seiuncti corde corpore uidebantur adiuncti. «Et cum iam non longe esset» (Lc. 7,6). A quo? A gentili. Quantum Iudaei seiungebantur Christo, Christus tantum gentibus iungebatur. 142 Serm. 102,5,53-60, PC II,286: «Et cum non longe esset, misit ad eum centurio amicos» (Lc. 7,6). Qui ante miserat Iudaeos, nunc amicos mittit, ut illos dicendo amicos indicet inimicos, probante hoc apostolo cum dicit: Inimici propter uos (Rom. 11,28). Iudaei dum credidisse gentes inuident, quidquid erat et legis et gratiae perdiderunt. «Misit ad eum amicos» (Lc. 7,6). Quos «amicos»? Audi ad apostolos dominum dicentem: «Iam non dicam uos seruos» (Io. 15,15), sed amicos. Sicut fides seruos promouet in amicos, ita perfidia filios in poenalem redigit seruitutem. INDICI 181 È notevole il fatto che la categoria paolina amici – nemici, utilizzata dall’Apostolo per designare gli ebrei prima e dopo l’avvento di Cristo sia invece applicata dal nostro autore per indicare le due categorie ben distinte dei giudei e dei cristiani, cristiani che nel suo commento diventano poi gli apostoli. Per lui i giudei divengono nemici di Cristo a vantaggio dei cristiani che al contrario gli sono amici. Crisologo sembra pensare, e interpretare la Bibbia, sempre con la stessa chiave: ebrei e cristiani, nemici e amici, invidia e libertà, Legge e grazia, incredulità e fede, schiavitù e confidenza. Nel seguito del suo commento al brano del centurione Pietro continua a insistere sul tema a lui caro: “Mandò da lui degli amici, dicendo: “Signore, non disturbarti” (Lc. 7,6). Perché? “Perché non sono degno che tu entri sotto il mio tetto” (Lc. 7,6). Voi vedete che Cristo conduceva i Giudei più che essere condotto da essi, perché udissero che presso il centurione c’era la reverenza per la Divinità, presso un pagano il culto della Legge, presso un soldato lo stipendio della grazia, presso un romano la dottrina della fede, nel gelo pagano il calore cristiano, in un petto terreno il segreto del Cielo e la perfetta conoscenza della signoria superna nella completa servitù del mondo.”143 Ma soprattutto il Crisologo riesce, con un’interpretazione sorprendente e forse un po’ curiosa, a ricuperare la complessità della problematica ebrei – pagani – cristiani in termini assolutamente semplicissimi: “Fratelli, questo centurione dicendo: Non sono degno che tu entri sotto il mio tetto (Lc. 7,6), riproduce la figura del popolo cristiano, che giudica di non meritare la presenza corporea di Cristo, ma dalla sola parola, dal solo annuncio, soltanto dall’orecchio della fede ascolta, crede e accoglie tutti i miracoli del Signore per la sua salute. Infatti, quanto a quello che dice: Dico a uno: “Va”, ed egli va; e ad un altro: “Vieni”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo”, ed egli lo fa (Lc. 7,8), dimostra così il rifiuto dei Giudei, la chiamata dei pagani, l’obbedienza del popolo cristiano. Dico a uno, cioè al Giudeo, che non crede: “Va’”, ed egli va; e ad un altro, cioè al pagano che ha creduto: “Vieni”, ed egli viene; e al mio servo, cioè a chi è già cristiano: “Fa questo”, ed egli lo fa. Preghiamo, fratelli, per meritare di essere cristiani non soltanto di nome, ma di fede; e per non limitarci solo ad ascoltare soltanto ciò che ci viene comandato, ma per fare ciò che abbiamo ascoltato. Poiché, come è proprio del servo devoto eseguire gli ordini, così è arroganza non eseguirli. Di’ dunque, una parola, e il mio servo sarà guarito (Lc. 7,7). Udite queste parole, dice, Gesù ne fu ammirato (Lc. 7,9). Il Creatore delle meraviglie rimane ammirato. Il Creatore degli orecchi, come se non conoscesse ciò che non ha udito, si meraviglia così delle parole udite. Ma mentre rimane ammirato che un pagano abbia creduto a tal punto, rimprovera l’incredulità dei Giudei. Perciò parla alle turbe che lo seguivano (Lc. 7,9), anzi rimprovera così i Giudei che rimanevano al loro posto: Non ho mai trovato una fede così grande in Israele (Lc. 7,9)! È vero, fratelli, la sola fede vive e 143 Serm. 102,6,61-68, PC II,286: «Misit ad eum amicos dicens: Domine, noli te uexare» (Lc. 7,6). Quare? «Quia non sum dignus, ut intres sub tectum meum» (Lc. 7,6). Uidetis quia Christus ducebat magis Iudaeos, quam duceretur a Iudaeis, ut audirent esse penes centurionem diuinam reuerentiam, penes gentilem legis cultum, penes militem stipendium gratiae, penes Romanum fidei doctrinam, in frigore pagano christianum calorem, in terreno pectore caeleste secretum, et notitiam totam dominationis supernae in tota saeculi seruitute. 182 INDICI prospera tra i pagani, i miracoli e i prodigi stancano e non giovano a nulla ai Giudei.”144 In conclusione si può dire che Crisologo tende a vedere sistemati-camente rappresentata, nei diversi personaggi del Vangelo, la dinamica dell’evento salvifico di Cristo come rifiuto dei giudei, chiamata dei pagani e obbedienza dei cristiani. L’accoglienza di Cristo è la fede, elemento discri-minante tra ebrei e cristiani, giudizio per i primi e salvezza per i secondi, che però, ovviamente, devono meritare christiani non nomine tantum esse, sed fide. CAPITOLO IV SINAGOGA E CHIESA 1. I dodici anni della figlia di Giairo e dell’emorroissa Abbiamo già esplicitamente toccato l’argomento del rapporto tra la Sinagoga e la Chiesa nel paragrafo intitolato “Il costruttore cristiano”145. Del resto è quasi impossibile parlare di giudaismo e cristianesimo, in Crisolo-go, senza fare riferimento agli edifici simbolici che li rappresentano146. D’altra parte non è questa la sede per stilare un trattato sulla sinagoga o un manuale di ecclesiologia: nel presente studio non intendiamo presen-tare una dottrina ma verificare l’uso ed eventualmente la validità di una categoria di pensiero che il 144 Serm. 102,9-10,105-125, PC II,288-290: Fratres, centurio iste dicendo: «Non sum dignus, ut intres sub tectum meum» (Lc. 7,6), Christiani populi gerit figuram, qui Christi praesentiam corporalem se iudicat non mereri, sed solo uerbo, nuntio, auditu fidei tantum, totas domini audit, credit, recipit in sua sanitate uirtutes. Nam quod dicit: «Dico huic: uade, et uadit; et alii: ueni, et uenit; et seruo meo: fac hoc, et facit» (Lc. 7,8). Iudaeorum repulsam, uocationem gentium, christiani populi oboedientiam sic demonstrat. «Dico huic», hoc est, Iudaeo, qui non credit: «uade, et uadit; et alii», hoc est, gentili, qui credidit: «ueni, et uenit; et seruo meo», hoc est, iam christiano: «fac hoc, et facit». Oremus, fratres, ut mereamur christiani non nomine tantum esse, sed fide, et ut quae iubentur non audiamus tantum, sed faciamus audita. Quia sicut deuoti serui est fecisse iussa, ita iussa contumacis est non fecisse. «Dic ergo uerbo, et sanabitur puer meus» (Lc. 7,7). «Quo audito», inquit, «Iesus miratus est» (Lc. 7,9). Creator mirabilium miratur. Aurium conditor, quasi qui non audita nesciat, sic stupet audita. Sed dum gentilem sic credidisse miratur, incredulitatem corripit Iudaeorum. Denique «sequentibus se turbis dicit» (Lc. 7,9), immo remanentes arguit sic Iudaeos: «Numquam in Israel tantam fidem inueni» (Lc. 7,9)! Uerum est, fratres, fides sola uiuit et uiget in gentibus, signa et uirtutes lassant et nil proficiunt in Iudaeos. 145 Cfr. cap. III § 4. 146 È stato giustamente osservato che in Crisologo i termini «Synagoga e Ecclesia si sostituiscono per designare giudei e cristiani». Vedi Blumenkranz, Les auteurs, p. 27. INDICI 183 Vescovo di Ravenna mostra di impiegare sistematicamente quando parla. Ci limitiamo anche qui a rilevare alcuni dati minimi su come Pietro elabora, nei suoi discorsi al popolo, il tema del difficile rapporto tra la Sinagoga e la Chiesa147. Articoliamo l’esposizione in alcune sezioni. Prendiamo le mosse da un brano, lungo ma significativo, del serm. 36 dedicato, come i tre Sermoni precedenti, al commento della seconda parte del cap. 5 del Vangelo di Marco, al racconto cioè della guarigione – risurrezione della figlia ammalata – morta di Giairo, capo della sinagoga, racconto intrecciato, come è noto, con quello della guarigione di una donna emorroissa: “Siccome la narrazione storica deve essere sempre elevata ad un senso superiore e mediante le prefigurazioni presenti devono essere conosciuti i misteri futuri, ora mediante un discorso allegorico bisogna spiegare quale mistero celino sotto l’apparenza di tali personaggi il capo della sinagoga o sua figlia oppure la donna sofferente del flusso di sangue (cfr. Mc. 5,22-43). La figlia del capo della sinagoga, da cui si reca Cristo – va e si affretta e cammina con passo umano, egli che come Dio non può muoversi da un luogo all’altro – senza dubbio è la Sinagoga, come dice il Signore: Non sono stato mandato se non alle pecore della casa d’Israele, che erano perdute (Mt. 15,24). Ma mentre Cristo si reca da lei, la Chiesa che è posta presso tutti i popoli, dopo aver perduto il bene di natura, distruggeva e spargeva il sangue del genere umano; e l’abilità umana, mentre tentava di curarla, non faceva che accrescerne la debolezza. Infatti, la critica della fragilità umana e la riprensione del modo di vivere mondano hanno sempre versato il sangue dei popoli, e tuttavia non sono riusciti né ad eliminare i nemici né a frenare le guerre tra cittadini né a cancellare completamente la pazzia dei delitti. Questa dunque, trafitta da tali preoccupazioni, quando vide che tutto ciò che aveva appartenuto e apparte-neva alla propria sostanza era stato consumato (cioè animo, mente, intelletto, indole, abilità, ragione: facoltà che certamente mettiamo a disposizione di chi ci governa, come se si trattasse di medici capaci di avvantaggiarci), quando avvertì la presenza di Cristo che passava, accostandoglisi alle spalle – perché non meritava di vederlo, macchiata di sangue com’era – gli si accosta alle spalle, cioè segue l’ascolto della fede. E tocca le estremità di Cristo, rappre-sentate dalla frangia, lei che non è onorata nei patriarchi, non è santificata nella Legge, non si vanta nei profeti, non è onorata nello stesso corpo del Signore, ed è estranea alla genealogia di Cristo (cfr. Mt. 1,1-17; Lc. 3,23-38). “Dietro le spalle”, cioè segue Cristo all’ultimo momento, e viene guarita dal nascosto mistero della fede. E toccò veramente la veste che trovò nel sepolcro (cfr. Io. 20,6-7), per mezzo della quale credette e annunziò la vittoria del Signore risorto. Ma mentre Cristo di questa si occupa con i suoi miracoli, nella 147 Si deve comunque tenere presente che lo schema Sinagoga/Chiesa resta uno schema. Il suo utilizzo, in Crisologo e in noi stessi, non deve per esempio lasciare pensare che la Sinagoga sia presente e operante solo nell’Antico Testamento e che la Chiesa sia relegata esclusivamente al Nuovo Testamento. Anche per Crisologo, come per altri padri, la Chiesa è prefigurata nell’Antico Testamento, specialmente dalle figure femminili come la sterile Sara (cfr. serm. 99,4,61-73, PC II,262-264) e la regina del sud (cfr. serm. 37,5,80-102, PC I,270). Al contrario, W.B. Palardy, Op. cit., p. 484 ritiene che in Crisologo non ci siano donne dell’Antico Testamento prima sterili e poi feconde come tipi della Chiesa. 184 INDICI figlia dell’arcisinagogo viene meno e muore la Sinagoga, perché anch’essa possa ritornare alla vita mediante la fede, mentre per colpa della Legge era morta ed era perita per colpa della natura. Frattanto viene gente dalla casa dell’arcisinagogo e dicono: “Non disturbare il Maestro, la fanciulla è morta” (cfr. Mc. 5,35). Anche oggi i Giudei non vogliono disturbare Cristo, che desiderano non venga, e annunciano la morte, poiché, per la loro infedeltà, hanno perduta la speranza della risurrezione. Ma quanto si accorda con questa nostra affermazione anche la circostanza citata, che la figlia dell’arcisinagogo aveva trascorso dodici anni di vita (cfr. Mc. 5,42); e il fatto ricordato che la donna per dodici anni era stata costantemente ammalata (cfr. Mc. 5,25). Mentre ad entrambe nel tempo ultimissimo e compiuto sia stata restituita la salute (cfr. 1 Ptr. 1,5) e la vita. Infatti, conchiude il tempo della vita umana questo numero che, per formare l’anno, si divide e si conta in dodici mesi. Perciò anche il profeta insegna che Cristo è venuto quale gradito anno del Signore (cfr. Is. 61,2; Lc. 4,19); e l’Apostolo afferma che Cristo è venuto nella pienezza del tempo, dicendo: Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò suo Figlio (Gal. 4,4). Pregate, fratelli, perché, come la Sinagoga è morta a se stessa e alla Legge, per vivere a Cristo, così anche noi moriamo al peccato (cfr. Rom. 6,11; 1 Ptr. 2,24) e alla carne, perché possiamo vivere in Cristo.”148 148 Serm. 36,3-4,71-120, PC I,262-264: Uerum quia historica relatio ad altiorem semper est intelligentiam sublimanda, et figuris praesentibus futura sunt noscenda mysteria, archisynagogus uel eius filia siue mulier in fluxu sanguinis (cfr. Mc. 5,22-43) constituta quid sub harum specie personarum teneant sacramenti allegorico nunc sermone pandendum est. Archisynagogi filia, ad quam uenit Christus - uadit et properat, et humano gradu iter facit, qui diuinitus loco non potest promoueri - sine dubio synagoga est, dicente domino: «Non sum missus nisi ad oues quae perierunt domus Israel» (Mt. 15,24). Sed dum ad illam Christus tendit, ecclesia, quae in cunctis gentibus posita amisso naturae bono perdebat, et profundebat sanguinem generis humani, cuius languorem peritia humana dum curare nititur, ipsa cumulabat. Nam censura fragilitatis humanae ac mundanae districtio disciplinae et populorum semper sanguinem fudit, et tamen nec hostes abolere, nec ciuium bella compescere, nec criminum potuit dementiam perdelere. Haec ergo talibus confossa curis, ubi quicquid suae fuerat et erat substantiae uidit esse consumptum id est, animum, mentem, sensum, ingenium, laborem, industriam, rationem, quae utique rectoribus ad profectum uelut medicantibus commodamus, ubi Christi praetereuntis sensit praesentiam, retro accedens, quia non eum uidere sanguine polluta merebatur, accedit retro, hoc est, fidei sequitur auditum; et extrema Christi uelut ipsam tangit fimbriam, dum non honoratur in patribus, non sanctificatur in lege, non se iactitat in prophetis, non dominico ipso honoratur in corpore, dum ab illo generationum Christi (cfr. Mt. 1,1-17; Lc. 3,23-38) ordine habetur extranea. Postergum, hoc est, nouissimo tempore Christum sequitur, et sanatur occulto fidei sacramento. Et uere tetigit uestimentum, quod in sepulchro repperit (cfr. Io. 20,6-7), per quod resurgentis domini credidit et praedicauit insignia. Sed dum circa hanc Christus suis uirtutibus occupatur, in archisynagogi filia deficit et moritur synagoga, ut et ipsa ad uitam per fidem redeat, quae per legem mortua fuerat, et perierat per naturam. Inter haec ueniunt de domo archisynagogi, et dicunt: Noli uexare magistrum, mortua est puella (cfr. Mc. 5,35). Hodieque Iudaei nolunt uexari Christum, quem cupiunt non uenire, et mortem pronuntiant, qui spem resurrectionis infideliter perdiderunt. Sed et illud huic adsertioni nostrae quam conuenit, quod archisynagogi filia duodecim annos (cfr. Mc. 5,42) egisse refertur in uita, et haec duodecim annos perseuerasse memoratur in uulnere (cfr. Mc. 5,25), cum utrisque nouissimo et expleto tempore salus (cfr. 1 Ptr. 1,5) redderetur et uita. Nam iste numerus tempus humanae uitae concludit qui ut annum faciat, duodecim distinguitur et numeratur in mensibus. Unde et propheta annum domini acceptum INDICI 185 In questo punto di un commento biblico distribuito in diversi discorsi, Pietro sta passando dal piano letterale del racconto a quello spirituale o allegorico. I personaggi del Vangelo divengono portatori di un significato ulteriore, mistico o misterioso: la figlia di Giairo è la Sinagoga, l’emorroissa è la Chiesa ex gentibus. Stiamo vedendo, e lo riscontreremo ancora, come per Crisologo il pas-saggio da un piano all'altro, che comporta, con l'approfondimento del significato del testo biblico, la necessaria decifrazione di alcuni codici simbolici, spinga naturalmente la sua esegesi nella direzione di un conti-nuo confronto dialettico tra la Sinagoga e la Chiesa, tra i discendenti di Abramo secondo la carne e quanti, provenendo dalla gentilità, divengono discendenti di Abramo secondo la fede. Questo particolare e caratteristico modo di procedere mette in evidenza una costante del pensiero di Pietro circa la centralità del rapporto tra ebraismo e cristianesimo. Si tratta per lui di un unico nucleo o nodo teologico: sembra che il Pastore ravennate non riesca a concepire e a definire separatamente le realtà della Sinagoga e della Chiesa. Nel testo appena citato Pietro indugia sulla descrizione penosa della ecclesia, quae in cunctis gentibus posita amisso naturae bono perdebat et profun-debat sanguinem generis humani, per accentuare l’inferiorità, dal punto di vista di una considerazione prettamente naturale, della Chiesa rispetto alla Sinagoga: non honoratur in patribus, non sanctificatur in lege, non se iactitat in prophetis, non dominico ipso honoratur in corpore, dum ab illo generationum Christi ordine habetur extranea. La fede -- che per Pietro nasce sempre ex auditu -- rende la Chiesa testimone di vita e di risurrezione, mentre i giudei “annunciano la morte, poiché, per la loro infedeltà, hanno perduta la speranza della risur-rezione”. La Chiesa vive, la Sinagoga muore. Come la Chiesa, così anche la Sinagoga può ritornare alla vita me-diante la fede. Ma nel frattempo “anche oggi (hodieque) i Giudei non vogliono disturbare Cristo, che desiderano non venga”. In questo accenno possiamo di nuovo rilevare un riferimento, difficilmente casuale, ad una situazione del vissuto quotidiano del vescovo di Ravenna, dove, evidentemente, dovevano non essere infrequenti scambi tra membri della comunità cristiana ed ebrei. Molto interessante, infine, la raccomandazione conclusiva del Pastore. La morte della Sinagoga a se stessa e alla Legge è un appello attuale di conversione per la Chiesa: tutti dobbiamo morire ai peccati e alla carne, per vivere in Cristo. Come si vede, il grado di elaborazione del discorso crisologhiano a proposito del rapporto tra ebrei e cristiani è notevolmente avanzato. Tro-viamo in altri testi ulteriori significativi avanzamenti nella stessa direzione. Christum indicat aduenisse (cfr. Is. 61,2; Lc. 4,19); et apostolus temporis plenitudine Christum uenisse adprobat dicens: «Post quam uenit temporis plenitudo, misit deus filium suum» (Gal. 4,4). Orate, fratres, ut sicut sibi et legi, ut Christo uiueret, defuncta est synagoga, ita et nos peccatis moriamur (cfr. Rom. 6,11; 1 Ptr. 2,24) et carni, ut uiuere possimus in Christo. 186 INDICI 2. Il fariseo e la peccatrice Un'altra coppia di figure che attira l’attenzione del Crisologo e che lo conduce direttamente ad una forte elaborazione del tema del rapporto tra la Sinagoga e la Chiesa è rappresentata dal fariseo e dalla peccatrice: si tratta del fariseo Simone di Lc. 7 che invita a pranzo il Signore, pranzo interrotto dall’arrivo della donna peccatrice e dal conseguente giudizio di Gesù. Pietro dedica i Sermoni 93, 94 e 95 all’imbarazzante episodio, fermandosi soprattutto a descrivere la situazione miserevole della peccatrice e istituen-do espressamente un collegamento tra questa donna e lo stato pietoso dell’emorroissa di cui abbiamo appena parlato149. Il nostro autore parte con la classica difesa del comportamento di Gesù – abituale per un autore, come lui, costantemente preoccupato di salva-guardare e di mettere in sovraesposizione la divinità della figura di Cristo con evidente funzione antiariana – e dissipa istantaneamente gli eventuali dubbi che in proposito sorgessero in qualche suo ascoltatore: “Cristo entrò nella casa del fariseo non per accettare i cibi giudaici, ma per elargire la misericordia divina.”150 Conformemente al sistema esegetico, per lui pure consueto, di avvicinamento lento e progressivo al significato mistico dei testi biblici, e di introduzione graduale dell’uditorio al livello più importante della rivela-zione biblica, il Pastore chiede al popolo che lo segue di pregare, lo coinvolge e lo prepara, di discorso in discorso, a passare dal senso letterale del passo evangelico al suo senso principale, intimo e misterioso151. Quando finalmente Pietro si sente sufficientemente illuminato dallo Spirito Santo, inizia la spiegazione spirituale del Vangelo152 e anzitutto presenta i personaggi, mostrandone la vera identità. In primo luogo tocca al fariseo: “Un fariseo, dice, invitò il Signore a mangiare da lui (Lc. 7,36). È chiamato fariseo, fratelli, il cattolico dei Giudei, perché crede nella risurrezione e dissente dal sadduceo, che la nega (cfr. Mc. 12,18 e parall.; Act. 23,8). Ecco perché invita Cristo, cioè l’Autore della risurrezione, a mangiare da lui, perché chi è convitato di Cristo non può morire, e chi non può morire, senza dubbio vive sempre.”153 Cfr. serm. 94,2,8-26, PC II,230. Serm. 93,1,4-6, PC II,224-228: Pharisaei domum Christus intrauit non accepturus Iudaicos cibos, sed diuinam misericordiam largiturus. 151 Cfr. serm. 93,7,94-100, PC II,228; 94,1,3-7.897-105, PC II,230.234; 95,1,3-8, PC II,236. 152 Cfr. serm. 95,1,3-8, PC II,236. 153 Serm. 95,2,9-14, PC II,236: «Rogauit», inquit, «dominum quidam pharisaeus, ut manducaret cum illo» (Lc. 7,36). Pharisaeus, fratres, catholicus dicitur Iudaeorum, nam resurrectionem credit, et a sadducaeo resurrectionem negante (cfr. Mc. 12,18 et parall.; Act. 23,8) 149 150 INDICI 187 Notiamo la presentazione positiva della figura del fariseo, corrispon-dente al cattolico, e quindi ben distinta dal sadduceo, corrispondente proba-bilmente ai giudei increduli oppure agli eretici. L’invito a pranzo diventa per il generoso ospite una promessa di risurrezione e di vita eterna. Segue, immancabile, la presa di distanza da parte del nostro autore, che si rivolge direttamente, secondo il suo stile oratorio, al personaggio del Vangelo che quasi rivive ai suoi occhi: “Fariseo, lo inviti per mangiare con lui: credi, diventa cristiano e mangi di lui.”154 Pietro si rivolge allora al cristiano: “Cristiano, Colui che qui ti si è dato da mangiare, che cosa di ciò che è suo potrà rifiutarti in futuro?”155 In secondo luogo troviamo l’interpretazione che stiamo riscontrando essere tipica dell'esegesi crisologhiana: “Invitava, dice, il Signore a mangiare da lui. Ed entrato nella casa del fariseo (Lc. 7,36). In quale casa? Certamente la Sinagoga. Ed entrato, si pose a tavola (Lc. 7,36). Quando si pose a tavola? Quando si distese. Nella Sinagoga, fratelli, allora Cristo si pose a tavola, quando si distese; ma fece passare il suo corpo alla mensa della Chiesa, perché i pagani, che avrebbero mangiato, avessero la carne divina per la salvezza. Se non mangerete la carne del Figlio dell’uomo e non berrete il suo sangue, non avrete in voi la vita (Io. 6,54). Ma come si mangi la carne di Cristo, come si beva anche il suo sangue, lo sanno quelli che sono stati istruiti nei misteri celesti. Ed ecco una donna, dice, peccatrice di quella città (Lc. 7,37). Quale donna? Senza dubbio la Chiesa. Peccatrice di quella città. Di quale città? Di quella di cui il profeta aveva detto: Come mai Sion, la città fedele, è diventata una meretrice (Is. 1,21)? E in un altro passo: Ho visto nella città iniquità e contese e nel suo interno iniquità, travaglio e ingiustizia, e non cessano nelle sue piazze usura e inganno (Ps. 54,1012).”156 dissentit. Hinc est quod rogat Christum, id est, resurrectionis auctorem, ut manducet cum illo, quia qui conuiuit Christo mori nescit, et qui mori nescit utique uiuit semper. 154 Serm. 95,2,15-16, PC II,236: Rogas, pharisaee, ut manduces cum illo: crede, esto christianus, et manducas ex illo. 155 Serm. 95,2,22-23, PC II,236: Christiane, qui se tibi hic manducandum dedit, quid suum tibi denegare poterit in futurum? 156 Serm. 95,3-4,31-46, PC II,236-238: «Rogabat», inquit, «dominum, ut manducaret cum illo. Et ingressus domum pharisaei» (Lc. 7,36). Quam domum? Nempe synagogam. «Et ingressus accubuit» (Lc. 7,36). Quando accubuit? Quando occubuit. In synagoga, fratres, tunc accubuit, quando occubuit Christus; sed corpus suum ecclesiae transmisit ad mensam, ut esset caelestis caro manducaturis gentibus ad salutem. «Nisi manducaueritis carnem filii hominis, et biberitis sanguinem eius, non habebitis uitam in uobis» (Io. 6,54). Quemadmodum autem manducetur caro Christi, quomodo bibatur et sanguis eius, norunt illi, qui sunt sacramentis caelestibus instituti. «Et ecce», inquit, «mulier, quae erat in ciuitate peccatrix» (Lc. 7,37). Quae mulier? Ecclesia sine dubio. «In ciuitate peccatrix». Ciuitate qua? Illa, de qua dixerat propheta: «Quomodo facta est meretrix ciuitas fidelis Sion» (Is. 1,21). Et alibi: «Vidi iniquitatem et 188 INDICI Il fariseo e la peccatrice sono divenuti simultaneamente i simboli della Sinagoga e della Chiesa. Cristo accetta l’invito a pranzo della Sinagoga ma nutre la Chiesa: troviamo qui significativi riferimenti al battesimo e all’eucaristia. In terzo luogo, Pietro sviluppa la figura della Chiesa, che come Sion era fedele ed è divenuta meretrice. In tale stato di degrado la peccatrice si reca al pranzo di Simone: “Seppe dunque che Cristo era venuto nella casa del fariseo (cfr. Lc. 7,37), cioè nella Sinagoga, e lì, cioè alla Pasqua dei Giudei, aveva insegnato il mistero della sua passione; seppe che aveva rivelato il sacramento del suo corpo e del suo sangue e aveva manifestato l’evento misterioso della nostra redenzione.”157 È nella Sinagoga che la Chiesa trova “che Cristo, tradito tra le vivande dell’amore e le dolci coppe, giaceva per opera della frode giudaica”158, sicché le sorti di entrambe risultano indissolubilmente e reciprocamente legate, mediante Cristo. Infine, Crisologo conclude la sua spiegazione di Lc. 7 con una magnifica pagina sul rapporto nuziale tra la Chiesa e Cristo: partendo dalla constatazione che “la Chiesa ogni giorno sente che Cristo nella casa del fariseo, cioè nella Sinagoga, è stato assoggettato ad ogni inganno, ad ogni specie di frode, ha patito, è stato crocifisso e sepolto”159, l’Autore esalta la fervida fede dell'attesa ecclesiale di Cristo “non in un luogo, ma nel tempo”160, fino a “quando [Cristo] verrà nella maestà di suo Padre (cfr. Mt. 25,31)”161, e la Chiesa si sentirà dire definitivamente: “Ti sono rimessi molti peccati, perché hai molto amato (cfr. Lc. 7,47)”162. 3. Il fico nella vigna: coltello legale e vomere apostolico Sulla linea dell’elaborazione costante di una vera e propria categoria teologica, che diviene principio fondamentale di esegesi biblica e quindi chiave ermeneutica alla quale il nostro autore mostra di ricorrere natural-mente e contradictionem in ciuitate, et iniquitas et labor in medio eius et iniustitia, et non defecit de plateis eius usura et dolus» (Ps. 54,10-12). 157 Serm. 95,4,52-54, PC II,238: Sed ubi audiuit uenisse Christum ad domum pharisaei (cfr. Lc. 7,37), id est, ad synagogam, ibi, hoc est, ad Iudaicum pascha, passionis suae mysterium tradidisse, aperuisse sui corporis et sanguinis sacramentum, manifestasse nostrae redemptionis archanum. 158 Serm. 95,4,60-61, PC II,238: Christum, inter amoris epulas et dulcia pocula traditum, Iudaicam obcubuisse per fraudem. 159 Serm. 95,5,67-69, PC II,238: Ecclesia cotidie audit Christum in domo pharisaei, id est, synagoga, omni dolo, tota fraude addictum, passum, crucifixum et sepultum. 160 Serm. 95,5,72, PC II,238: Non loco, sed tempore. 161 Serm. 95,6,82-83, PC II,240: Quando uenerit in maiestate patris sui (cfr. Mt. 25,31). 162 Serm. 95,6,90-91, PC II,240: Tunc dicit ad ecclesiam: Dimittuntur tibi peccata multa, quia dilexisti multum (cfr. Lc. 7,47). INDICI 189 abitualmente, troviamo la spiegazione di un’altra pagina del Vangelo di Luca: si tratta della parabola del fico sterile di Lc. 13, che Pietro commenta nel serm. 106. Dopo una prima interpretazione letterale del testo evangelico, il quale, attraverso l’immagine del fico sterile che occupa ingiustamente il terreno della vigna, mostra “senza dubbio l’uomo che spreca e impiega in sterili e misere attività i doni della natura, le doti dell’anima, il beneficio della ragione, la superiorità dell’intelletto, il giudizio della mente, l’abilità dell’arte, il bene dell’educazione, affossa il frutto per chi ne è l’autore e rifiuta il favore a chi lo coltiva”163, Pietro va ad analizzare il passo biblico ad un livello più profondo e dice che “a ragione, dunque, dal Signore la Sinagoga viene paragonata a un albero di fico, perché, riscaldata dal tepore della Legge, per un certo tempo fiorì in prefigurazione dei frutti della Chiesa.”164 Nello stesso tempo Crisologo dà un’interpretazione positiva e limitata della Sinagoga: positiva perché, contrariamente a quanto in senso proprio dice il testo della parabola lucana, l’albero di fico non è stato affatto sterile ma anzi è fiorito; limitata, perché in effetti la fecondità è stata temporaliter e in figura, cioè tutta ed esclusivamente funzionale alla Chiesa. In tale contesto Pietro non esita ad affermare che i santi del popolo eletto sapevano di potere solo sperare il frutto “e si consolavano del presente in vista del futuro, vedendo che ormai stavano per subentrare le realtà eterne a quelle mortali, le perpetue a quelle caduche, la grazia alla Legge, la Chiesa alla Sinagoga, le realtà celesti a quelle terrene, le divine a quelle umane, a tutte le realtà Cristo, che con gioia fedele si rallegrarono fosse venuto, perché ne attendevano la venuta con diuturna pazienza.”165 Sotto questo particolare profilo, il Pastore arriva così a presentare i termini del complesso rapporto tra la Sinagoga e la Chiesa distendendoli nell’arco dell’intera rivelazione biblica e ad affermare perciò una succes-sione temporale, e quindi di fatto una sostituzione della Sinagoga il cui posto viene ora occupato dalla Chiesa. Nonostante la santità di alcuni, tra i quali è ricordato il vecchio Simeone al tempio166, l’intera Sinagoga “era tutta oscurata dagli inganni dell’incredulità”167, sicché Cristo, che venne non solo per cercarvi frutto ma anche per rivestire la 163 Serm. 106,2,22-26, PC II,310: Sic homo utique, qui naturae donum, munus animae, rationis beneficium, excellentiam sensus, iudicium mentis, artis industriam, culturae bonum in steriles atque inopes actus euertit, occupat, mergit auctori fructum, cultori gratiam negat. 164 Serm. 106,3,37-39, PC II,312: Merito ergo a domino synagoga fici arbori comparatur, quae calefacta tepore legali temporaliter ecclesiastici fructus floruit in figura. 165 Serm. 106,3,44-49, PC II,312: Et solabantur praesentia de futuris, uidentes iamiamque succedere aeterna mortalibus, perpetua caducis, legi gratiam, ecclesiam synagogae, caelestia terrenis, humanis diuina, omnibus Christum, quem, quia uenturum longa patientia sustinebant, uenisse fideli gaudio sunt gauisi. 166 Cfr. serm. 106,3,49-52, PC II,312. 167 Serm. 106,5,67-68, PC II,312: Tota dolis erat inumbrata perfidiae. 190 INDICI nudità di Adamo, “non trovò alcun frutto di fede”168. Infine, Pietro si ferma a considerare il significato dei tre anni di ricerca del frutto e del taglio della pianta prorogato per un anno: “I tre anni sono i tre periodi, nel corso dei quali Cristo va alla Sinagoga a chiedere il frutto, cioè mediante la Legge, mediante i profeti, mediante la sua stessa presenza fisica”169, mentre la dilazione indica “un anno del tempo evangelico, del quale Isaia dice: Predicate un gradito anno del Signore e il giorno della ricompensa (Lc. 4,19. Cfr. Is. 61,2). Perché? Finché io gli zappi attorno (Lc. 13,8). Lo vuole zappare col vomere apostolico, perché non è stato in grado di reagire alla coltivazione del coltello legale.”170 Come si vede, sul punto del rapporto tra Israele e le genti Pietro mostra di avere più di un’intuizione: assistiamo ad una visione imponente, assai elaborata, che porta il Pastore a ripercorrere le grandi tappe dell'unica storia della salvezza, da Adamo a Cristo, a guardare con favore ai segni di santità presenti nelle vicende del popolo eletto, a valutare positivamente il ruolo della Legge e dei profeti, a giudicare con attenzione e realismo il dramma dell’incredulità giudaica nei confronti di Cristo, e nello stesso tempo a sperare un ritorno, un frutto di fede. In questo panorama, complesso e completo, la Chiesa per un certo aspetto continua la fedeltà e la santità degli ebrei che hanno vissuto nella fede e nella speranza, per altro rappresenta una cesura netta, una soluzione di continuità al punto da occupare di fatto, attualmente, il posto della Sinagoga. La storia della salvezza è tuttavia ancora in evoluzione, dura tuttora l’anno del tempo evangelico, nel quale il vignaiuolo – che “è l’angelo che presiede alla Sinagoga”171 – col vomere apostolico, e non più col coltello legale, vuole zappare perché “possa ritornare a dar frutto, mentre con così grande e preziosa ricchezza aveva rinunciato a dar frutto.”172. 4. La famiglia divisa: continuità e discontinuità Stiamo constatando come il Crisologo utilizzi sistematicamente la chiave ermeneutica giudaismo/cristianesimo durante le sue prediche al popolo. Non possiamo ora trascurare il fatto che tale attitudine esegetica del nostro autore si rivela particolarmente apprezzabile nel caso di testi biblici di difficile Serm. 106,5,67, PC II,312: Fructum fidei repperit nullum. Serm. 106,6,82-84, PC II,314: Tres anni tria sunt tempora, per quae Christus ad synagogam fructum quaesiturus aduenit, id est, per legem, per prophetas, per ipsam sui praesentiam corporalem. 170 Serm. 106,7,89-92, PC II,314: Euangelici temporis precatur annum, de quo Esaias dicit: «Praedicate annum domini acceptum et diem retributionis» (Lc. 4,19. Cfr. Is. 61,2). Ut quid? «Usque dum fodiam circa illam» (Lc. 13,8). Uult eam apostolico uomere perfodere, quia legalis cultri non ualuit sentire culturam. 171 Serm. 106,6,79-80, PC II,314: Est praesul synagogae angelus. 172 Serm. 106,7,96-97, PC II,314: Redeat ad fructum, quae tanto et pretioso ubere decessit a fructu. 168 169 INDICI 191 interpretazione o, per lo meno, di non immediata comprensione. È il caso dell’enigmatico discorso di Gesù riportato in Lc. 12 sul fuoco gettato sulla terra e sulla divisione dei cinque abitanti della casa, una parola del Signore che subito Pietro dichiara “contraria agli inesperti”173. Anzitutto il Vescovo applica l’inizio del discorso di Gesù, che dice di essere venuto a portare il fuoco sulla terra, al solito argomento: “Dunque, quando il terreno giudaico, indebolito fino all’esaurimento dal continuo aratro della Legge e dall’ininterrotta coltivazione, non rispose al seme, non alla fatica, ma diede loglio al posto di grano (cfr. Mt. 13,24-30), produsse spine al posto di viti (cfr. Mt. 7,16), Cristo rivolse l’operosità del culto divino alle seminagioni dei pagani.”174 In secondo luogo Pietro istituisce un parallelo veterotestamentario, ricordando l’episodio del roveto ardente di Ex. 3 e interpretandolo già come una prefigurazione del “popolo pieno degli spini della malvagità ed ingrato per la coltivazione della Legge”175, e quindi come un segno della futura missione degli apostoli inviati nel mondo intero a coltivare le regioni dei pagani con la potenza del fuoco dello Spirito Santo ricevuto a Pentecoste176. In terzo luogo, il nostro autore affronta lo spinoso problema interpre-tativo della divisione degli abitanti della casa. Il testo crisologhiano è un ottimo esempio di quanto l’esegesi spirituale possa diventare, in certi casi estremi, estremamente “complessa e lambiccata”177. Ciò nonostante, il percorso finora compiuto nello studio dell’argomenta-re di Pietro a proposito del rapporto giudaismo/cristianesimo ci consente di riassumere ormai chiaramente la difficile interpretazione del Vescovo di Ravenna. Pietro parte affermando che gli abitanti di quella casa sono in realtà cinque familiari e non sei, a motivo dell’identità di persona tra suocera e nuora178. Quindi afferma che al centro dei rapporti interpersonali di quella famiglia sta l’unione di Cristo con la Chiesa. Questa unione, che sopraggiunge ad un certo punto, anche se viene fortemente ostacolata sia dai giudei sia dagli eretici – dove ognuno dei due distinti gruppi forma una sinagoga divisa – resta indefettibile come dimostrazione di un amore che con la morte di Cristo, anziché diminuire o venire meno, cresce179. Il cuore del commento del Crisologo sta nello svelamento della vera identità Serm. 164,1,4, PC III,246: Dominicus sermo contrarius inperitis. Serm. 164,3,31-34, PC III,246: Ergo ubi Iudaicus caespes continuo aratro legis et iugi cultu effetatus ad inopiam, non respondit germini, non labori, sed pro tritico lolium reddidit (cfr. Mt. 13,24-30), protulit pro uitibus spinas (cfr. Mt. 7,16), Christus ad sata gentium diuini cultus conuertit industriam. 175 Serm. 164,4,46-47, PC III,248: Aculis malitiae plenum et ingratum culturae legis populum praefigurans. 176 Cfr. serm. 164,4,47-54, PC III,248. 177 Così Benericetti in PC III,251, n. 4. 178 Cfr. serm. 164,8,75-81, PC III,250. 179 Cfr. serm. 164,8,82-103, PC III,250. 173 174 192 INDICI dei personaggi in gioco, dopo aver introdotto la coppia degli sposi, che per la verità rimane sotto intesa nel testo lucano. Il padre si divide contro il figlio in quanto “il popolo giudaico, che per la generazione carnale di Cristo ha avuto in sorte il nome di padre, è separato da Cristo, suo figlio, per l’invidia.”180 La madre, a sua volta, si divide contro la figlia e – il che è lo stesso – la suocera si divide contro la nuora perché la “Sinagoga madre, quando vide che era venuta dalle genti la Chiesa, sua nuora, uccise scelleratamente il Figlio (cfr. Mt. 21,37-38), per non vedere l’unione della Chiesa con Cristo. Uccise Cristo per vedere se, almeno così, furibonda, riuscisse a spegnere l’amore della nuora. Ma Cristo risorse da morte per unirsi perfettamente alla Chiesa, per dimostrare che la carità non veniva divisa dalla morte (cfr. Rom. 8,35), ma aumentava.”181 La conseguenza più interessante e importante di questa impostazione, molto articolata perché cerca di rendere conto di un legame tormentato e in continua evoluzione, sta nella dialettica del rapporto tra la Chiesa e la Sinagoga. Si deve infatti notare che tanto il padre quanto la madre (= la suocera) in questione vengono a rappresentare la Sinagoga in rapporto alla Chiesa: ognuno dei genitori passa da un ruolo innegabilmente positivo, di generazione, di paternità e di maternità, in una parola di affetto, ad un ruolo imprevedibilmente negativo, di invidia, di rifiuto, di odio furioso e alla fine omicida. Nella descrizione delle dinamiche interne a questa famiglia formidabilmente divisa a motivo della presenza di Cristo, Pietro calca le parole specialmente trattando i termini al femminile. Si vede bene, invero, che il padre soprattutto paga le conseguenze della propria invidia subendo pena e dolore per la separazione, sia pure colpevole, dal figlio Cristo. Invece è la madre a reagire con violenza alla situazione: la Sinagoga madre diviene rivale, matrigna, suocera gelosa e furibonda contro la nuora, al punto da tentare, mediante l’uccisione di Cristo, di spegnere l’amore della Chiesa sposa per Cristo sposo182. È chiaro che il ragionamento del Crisologo non tiene fino in fondo e desta numerose perplessità. Anche da un punto di vista meramente logico, ne verrebbe che Cristo e la Chiesa sono degli sposi un po’ sui generis essendo figli degli stessi genitori e perciò tra di loro fratello e sorella! Altra incongruenza, se si vuole, è che peraltro il padre di Cristo non sembra essere, contestualmente, il padre della Chiesa, né, del resto, pare che la Sinagoga, madre della Chiesa, sia anche madre di Cristo. Ancora: la Sinagoga diviene, in senso stretto, madre 180 Serm. 164,8,89-91, PC III,250: Iudaicus populus, qui per carnalem Christi generationem paternum sortitus est nomen, a Christo filio per inuidiam separatur. 181 Serm. 164,8,98-103, PC III,250: Synagoga mater, ubi ecclesiam nurum uidit ex gentibus aduenisse, occidit scelesta filium (cfr. Mt. 21,37-38), nurus consortium ne uideret. Occidit Christum, si uel sic amorem nurus furibunda ualeret extinguere. Sed ex morte totum resurrexit in ecclesiae coniugium Christus, ut probaret caritatem non separari morte (cfr. Rom. 8,35), sed crescere. 182 Cfr. serm. 164,8, PC III,250. INDICI 193 della Chiesa “per mezzo di Pietro e degli altri apostoli”183, mentre, da un punto di vista cronologico, le nozze tra Cristo e la Chiesa sopraggiungono in un secondo tempo. Infine: la Chiesa, che Cristo va a sposare, è senz’altro ed esclusivamente ex gentibus184: ci si poteva legittimamente aspettare, alla fine di tanto speculare, una conclusione diversa, almeno un po’ più dinamica. Ma le conseguenze più gravi sono ad altro livello. Non può sfuggire, infatti, che, in questo modo di procedere, Pietro dà una versione assai unilaterale delle difficili relazioni tra Chiesa e Sinagoga. In modo eviden-tissimo, tutte le colpe sono nettamente dalla parte dei giudei. Questo limite lampante getta anche un’ombra nella pur difficile esegesi del passo lucano: perché Pietro non tenta neppure di spiegare il significato delle divisioni non guardate soltanto dall’alto in basso – padre contro figlio, madre contro figlia, suocera contro nuora – ma anche viste nella loro visuale speculare – figlio contro padre, figlia contro madre, nuora contro suocera? In sostanza si rilevano, da tratti come questi, elementi che pongono il rapporto tra la Chiesa e la Sinagoga in termini di continuità e disconti-nuità: la Chiesa è figlia rifiutata, la Sinagoga è madre omicida. Cristo è al centro di un dramma di amore e di odio. Conclusivamente, troviamo in questa drammatica pagina crisologhiana una conferma incontestabile del tipo di approccio di Pietro alla Bibbia, dove la categoria giudaismo/cristianesimo – qui, ancora una volta codifi-cata attraverso le immagini della Sinagoga e della Chiesa – assurge a schema chiave. I limiti evidenti di un’esegesi impostata in questo modo vengono, nonostante tutto, a confermare viepiù la centralità della categoria in questione nel pensiero del Vescovo. Egli sembra utilizzarla istintivamente e sistematicamente nei suoi discorsi al popolo, senza stare a calcolare esattamente le conseguenze logiche, le incongruenze, i difetti interpretativi della posizione teologica alla quale approda. Nello stesso tempo, persino in una pagina così aggressivamente antigiudaica, troviamo il riconoscimento chiaramente espresso del primato del popolo eletto. In questo senso non può non colpire l’unica citazione esplicita portata da Pietro nell’argomentazione omiletica: “Di qui i padri e da essi secondo la carne Cristo, che è benedetto nei secoli (Rom. 9,5).”185 5. «Nunc uidemus in speculo» Il racconto marciano del cieco di Betsàida guarito gradualmente dal Signore offre a Pietro l’opportunità di un commento significativo e illuminan-te nel nostro itinerario di studio del rapporto tra la Sinagoga e la Chiesa. Serm. 164,8,95, PC III,250: Per Petrum et ceteros apostolos. Serm. 164,8,99, PC III,250. 185 Serm. 164,8,93-94, PC III,250: «Unde patres, et ex quibus Christus secundum carnem, qui est benedictus in saecula» (Rom. 9,5). 183 184 194 INDICI Pietro si muove come al solito a due livelli, letterale o storico e mistico o spirituale. Mantenendo fissa, nei due distinti ambiti di esegesi, la spiegazione di Betsàida come casa della infedeltà o perfidia o incredulità quasi si trattasse della reale etimologia del nome della cittadina di Mc. 8, egli insiste, nella prima parte del suo commento, sulla guarigione come nuova creazione186 e come risurrezione dai morti187. Quando poi passa al secondo livello, quello della spiritalis intellegentia188, non esita ad affermare che “questo cieco è il Giudeo, che nella Sinagoga, cioè nella casa dell’incredulità, e nel villaggio, cioè in una congrega di maligni (cfr. Ps. 21,17), era prigioniero e sedeva oppresso dall’ignoranza e dalla cecità.”189 Tutta la successiva esegesi spirituale sviluppa questa intuizione, sottolineando l’iniziativa di Cristo che si muove verso il cieco e lo prende per mano al fine di togliergli il vanto della Legge. Crisologo viene così ad opporre le tenebre dell’incredulità che si trovano nella Sinagoga alla luce della fede che splende nella Chiesa. La guarigione graduale si snoda in due momenti. Nel primo momento Gesù “gli impone la mano, perché veda passare l’ombra (cfr. Col. 2,17) della Legge, perché veda passare i sacerdoti, gli scribi, i farisei e tutta l’immagine dell’osservanza giudaica come alberi che, come nascono, si coprono di fronde, fioriscono, fruttificano a suo tempo, così col tempo invecchiano, periscono, svaniscono.”190 Nel secondo momento “gli impone nuovamente le mani, affinché, risorgendo, non veda più realtà caduche, ma eterne.”191 Il commento si chiude con l’esempio di Paolo (cfr. Act. 9,3-4), “che cadde fuori del villaggio e lungo la via, cadde Giudeo per levarsi cristiano; e fu accecato nella Legge, per vedere nella grazia, come si insegna: Ora vediamo in uno specchio, in enigma, allora vedremo a faccia a faccia (1 Cor. 13,12). Allora, quando ciò che è stato sepolto nella morte risorgerà nella vita e tutto ciò che è stato intrecciato nell’offesa risorgerà nella gloria (cfr. 1 Cor. 15,43).”192 Cfr. serm. 176,5-6,47-72, PC III,312. Cfr. serm. 176,4,37-46, PC III,312. 188 Serm. 176,7,73, PC III,312. 189 Serm. 176,8,80-82, PC III,314: Caecus iste est Iudaeus, qui in synagoga, hoc est, in perfidiae domo, et in uico, hoc est, in conuentu malignantium (cfr. Ps. 21,17), ignorantia, caecitate tenebatur, et sedebat oppressus. 190 Serm. 176,8,88-92, PC III,314: Inponit ei primum manum, ut uideat transire umbram (cfr. Col. 2,17) legis, ut sacerdotes, scribas, pharisaeos et figuram totam Iudaicae obseruationis uideat uelut arbores praeterire, quae ut nascuntur, uirescunt, florescunt, fructiferant in tempore, sic cum tempore senescunt, pereunt, euanescunt. 191 Serm. 176,8,92-93, PC III,314: Iterum inponit ei manus, ut resurgens non iam caduca uideat, sed aeterna. 192 Serm. 176,8,95-100, PC III,314: Paulus (cfr. Act. 9,3-4), qui extra uicum et in uia Iudaeus cecidit, cecidit ut surgeret christianus; et caecatus est in lege, ut uideret in gratia, sicut perhibetur: «Nunc uidemus in speculo, in aenigmate, tunc autem uidebimus facie ad faciem» (1 186 187 INDICI 195 Si deve rilevare la forza simbolica del richiamo crisologhiano alla conversione di s. Paolo: attraverso la vicenda di lui qui extra vicum et in via Iudaeus cecidit, cecidit ut surgeret christianus comprendiamo che Pietro pensa qui al cristianesimo non in sostituzione del giudaismo ma come un suo naturale sviluppo che si compirà definitivamente solo nella risurrezione finale. In questo senso, il nunc e il tunc di 1 Cor. 13,12 sembrano indicare, per il nostro autore, i due momenti della guarigione del cieco di Betsàida. “Adesso” viviamo nel primo momento: passa l’ombra della Legge, quando “il grande Paolo” – come viene chiamato - cade fuori del villaggio e lungo la via. In questo primo momento la visione è parziale e confusa, vediamo gli uomini come alberi che camminano, in uno specchio, in enigma. È il tempo della storia. “Allora” vivremo nel secondo momento: viene la luce della grazia, quando il giudeo Paolo si rialza cristiano. In quel secondo momento la visione sarà completa e perfetta, vedremo chiaramente ogni cosa, a faccia a faccia. Sarà il tempo della gloria. Si deve notare, conclusivamente, che con questo importante rimando escatologico la drammaticità del rapporto Sinagoga/Chiesa - che ha nella morte di Cristo in croce, come abbiamo appena visto193, il punto di massima opposizione e contraddizione – viene a distendersi più pacifi-camente nei secoli, fino alla soluzione finale. In questa grandiosa visione di san Pietro Crisologo la Chiesa ci appare in una ricchezza dinamica e relativa: essa non risulta né una realtà che possa staccarsi minimamente dalla Sinagoga perché ne rappresenta la continuazione, né una realtà in sé già compiuta, perché attende ancora il suo compimento definitivo da Cristo. CAPITOLO V ISRAELE DI FRONTE A DIO 1. I giudei nel sermonario Dopo avere rilevato, nella Collectio Feliciana, lo schema giudaismo/cristianesimo194 e averne osservato con maggiore attenzione una particolare applicazione mediante lo sviluppo dei termini Sinagoga/Chiesa195, passiamo ora a valutare la consistenza della presenza dei giudei nei Sermoni di san Pietro Cor. 13,12). «Tunc», quando quod sepultum est in morte, surget in uita, et quicquid sertum in contumelia, surget in gloria (cfr. 1 Cor. 15,43). 193 Cfr. cap. IV § 4. 194 Cfr. cap. III. 195 Cfr. cap. IV. 196 INDICI Crisologo. Nel chiederci quando e come il nostro autore parla dei giudei o si rivolge direttamente a loro, terremo ovviamente viva, sullo sfondo della nostra analisi, l’interessante domanda circa la effettiva presenza di qualche giudeo tra i fedeli ai quali Pietro si rivolgeva e di una comunità giudaica a Ravenna durante il ministero episcopale del Crisologo. Non è naturalmente possibile dar conto di tutti i testi nei quali il Pastore ravennate parla dei giudei, vi accenna o vi allude. La vastità dell’argomento ci porterebbe ad una sterile e fredda presentazione di dati, poco utili e significativi per la nostra ricerca. Non è neppure questa la sede per presentare nel dettaglio il quadro generale nel quale Pietro inserisce le sue citazioni, i suoi riferimenti e le sue allusioni ai giudei, mentre si rivolge principalmente, come è ovvio per un pastore che sta parlando in chiesa, al popolo dei suoi fedeli, ai cristiani. È sufficiente segnalare qui che i numerosissimi casi nei quali, in modo più o meno vistoso, Pietro si riferisce ai giudei, sono pervasivamente diffusi nei suoi discorsi. Si potrebbe, e forse si dovrebbe, volendo ricostruire un quadro vera-mente completo, esaustivo, riscrivere, deducendola dai testi crisologhiani, una storia dell’umanità, dai primordi ai giorni nei quali Pietro parla al popolo. Nei suoi discorsi leggiamo oggi pagine intere dedicate alla creazione del mondo e soprattutto al dramma della caduta di Adamo ed Eva: i temi della liberalità e della bontà amorevole e paterna di Dio verso l’uomo, creatura fragile e ferita, sono tra i punti più forti di contatto tra il Crisologo e s. Agostino196. Pietro ha ampiamente riletto tutta la storia dell’umanità attraverso la vicenda particolare del popolo eletto, mettendo in luce la ricchezza e la povertà dell’uomo, il suo straordinario privilegio di creatura di Dio e il suo abissale bisogno di redenzione da parte del suo Figlio incarnato. L’incar-nazione di Cristo, vero punto forte della ricostruzione e della reinterpre-tazione crisologhiana della storia della rivelazione biblica e della salvezza, illumina Israele e la Chiesa, il popolo dell’antica alleanza e le genti: tutti senza esclusione, ebrei e gentili, sono chiamati a entrare, mediante la fede e il battesimo, nell'alleanza nuova e definitiva siglata dal sangue di Cristo. A tutti i popoli è ormai estesa la paternità provvidente e misteriosa del Dio d’Israele, attraverso l’accettazione del messaggio della salvezza cristiana portato dagli Apostoli fino ai confini della terra. È in questo quadro maestoso e profondamente unitario che cerchiamo ora di 196 Sul contatto tra Pietro e Agostino e sulla dipendenza del primo dal secondo si discute. Per quanto attiene al tema che a noi qui preme, quello del rapporto con i giudei, Blumenkranz prende le distanze da Koch che già molti anni fa - cfr. H. Koch, Petrus Chrysologus, in Paulys Realencyclopädie der klassischen Altertumswissenschaft. Neue Bearbeitung begonnen von G. Wissowa herausgegeben von W. Kroll, 19,2 (Stuttgart 1938), p. 1370 - segnalò il problema e dichiarò la dipendenza del Criso-logo da Agostino. Secondo il Blumenkranz la dipendenza del Crisologo da Agosti-no è soltanto esteriore: cfr. B. Blumenkranz, Les auteurs, pp. 24-25. INDICI 197 cogliere i frammenti sparsi del discorso sul giudaismo, che, come abbiamo già rilevato nei capitoli precedenti del nostro lavoro, non va mai visto isolatamente rispetto al cristianesimo. Cominciamo il nostro percorso tra i Sermoni mettendo anzitutto in luce come risulta essere la natura, l’identità profonda del popolo dell’an-tica alleanza, di Israele, di fronte a Dio. In seguito197 rileveremo come Crisologo avverta il popolo eletto rispetto agli altri popoli. 2. La santità del popolo giudaico Prendiamo le mosse da una considerazione preliminare molto templi-ce: Pietro parla senza esitazione ai suoi fedeli della santità del popolo eletto, di Israele, e della salvezza di questo popolo. La santità e la salvezza del popolo dell’antica alleanza non solo non sono esclusi, ignorati, passati sotto silenzio, o dati per scontati senza alcuna spiegazione, ma vengono trattati dal nostro autore come dati ormai permanenti all’interno della sua predicazione del vangelo cristiano. Tale sottolineatura del tono positivo della predicazione crisologhiana su questo punto costituisce la cornice nella quale tenere inquadrato tutto il discorso che cercheremo di portare avanti nel nostro tragitto. Diciamo dunque subito che certe puntate critiche nei confronti dei giudei, in qualche modo inevitabili per un retore cristiano, ovvero certi angoli più spigolosi e urtanti, certi toni persino duri e violenti – per la nostra odierna sensibilità religiosa – della predicazione del Pastore ravennate, che lo por-tano a polemizzare, a contraddire, a denunciare e ad accusare con estrema severità i giudei, vanno, a nostro avviso, mantenuti, e perciò ammorbiditi e bilanciati, all’interno di una visione globalmente positiva, e, anzi, di grande valutazione e apprezzamento nei confronti del giudaismo e, soprat-tutto, della sua permanente e preziosa, insostituibile, eredità. Abbiamo già visto l’importanza data dal Pastore ravennate al commen-to della parabola lucana del figlio prodigo, se non altro perché Pietro vi indugia per cinque discorsi consecutivi198. Si è già notata la spiegazione crisologhiana che identifica nei due figli, il maggiore e il minore, rispetti-vamente Israele e le genti, il popolo eletto e la Chiesa. Parlando del fratello maggiore e sottolineando l’invidia e la superbia che non gli per-mettono di entrare a prendere parte alla festa per il ritorno del fratello più piccolo, il Crisologo si ferma a commentare le frasi pietose del padre che esce di casa per supplicare il figlio: “Il padre esce e dice al figlio: Figlio, tu sei sempre con me (Lc. 15,31). In che modo? Attraverso Abele, Enoc, Sem, Noè, Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè e tutti i santi, attraverso i quali deriva la generazione giudaica, di cui abbiamo letto nel Vangelo, quando dice: Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe (Mt. 1,2). E tutti 197 198 Cfr. cap. VI. Cfr. cap. III § 2. 198 INDICI i miei beni sono tuoi (Lc. 15,31). In che modo? Perché per te è la Legge, per te è la profezia, per te il tempio, per te il sacerdozio, per te i sacrifici, per te il regno, per te – e questo vale più di tutto – è nato Cristo.”199 In questo breve e denso tratto, troviamo elencate le figure e le isti-tuzioni più importanti di tutta la rivelazione biblica. Pietro parte dai primordi dell’umanità, passa da Abramo e Mosè e giunge a Cristo. I personaggi biblici sono ricordati con i doni irrevocabili, permanenti, di Dio al suo popolo: al primo posto la Legge, poi, di seguito, la profezia che prepara l’avvento di Cristo, quindi il tempio, con il sacerdozio e i sacrifici, e infine il regno, l’incarnazione visibile della regalità di Dio sul suo popolo peculiare. Rimandiamo ad altro momento un approfondimento sul primato della Legge assegnato dalla lista crisologhiana dei doni divini per il popolo giudaico200, e rileviamo qui come attraverso il culto sia anche altrove affermata una via particolare di santificazione da parte di Dio201. In un altro discorso, commentando l’espressione iniziale del Ps. 28,1 ("Recate al Signore, figli di Dio, recate al Signore figli di arieti"), Pietro si sofferma sul valore simbolico dei sacrifici di animali nell’antica alleanza e tesse un grande elogio del sacrificio di Isacco da parte di Abramo: “Quale ariete Abramo, anziano rispetto all’innocenza, invecchiato nella fede, perfetto quale vittima, pronto al sacrificio, recava il figlio di un ariete: il proprio figlio, anzi sacrificava se stesso nel figlio. Santificava il proprio animo, allietava la propria fede, così da essere ad un tempo vittima e pontefice, sacerdote e sacrificio.”202 Il valore santificante dei sacrifici è permanente e continua anche nel popolo cristiano. È precisamente in questo stesso contesto edificante che il Pastore 199 Serm. 5,7,131-139, PC I,78: Pater egreditur, et dicit filio: «Fili, tu semper mecum es» (Lc. 15,31). Quomodo? Per Abel, per Enoch, per Sem, per Noe, per Abraham, per Isaac, per Iacob, per Moysen, per omnes sanctos, per quos Iudaica generatio in euangeliis lecta diriuatur, cum dicit: «Abraham genuit Isaac, Isaac genuit Iacob» (Mt. 1,2). «Et omnia mea tua sunt» (Lc. 15,31). Quemadmodum? Quia tibi lex, tibi prophetia, tibi templum, tibi sacerdotium, tibi sacrificia, tibi regnum, tibi - quod supra omnia - natus est Christus. 200 Cfr. cap. VI § 1 e 2. 201 L’osservanza della Legge resta comunque per Crisologo una via fondamentale di santificazione del popolo eletto. A questo proposito è interessante la seguente osservazione di P.M. Pasquet: «Quando san Giovanni dice che la Legge è stata data per mezzo di Mosè e la Grazia e la Verità per mezzo di Cristo (cfr. Io. 1,17), non vuol dire certamente che gli Ebrei non potevano ricevere la grazia santificante prima di Cristo. I Padri della Chiesa e san Tommaso affermano che poteva essere data agli uomini prima della venuta di Cristo (cfr. S. Tommaso, I-II,107,1, ad 2)». Vedi P.M. Pasquet, Legge antica e Legge nuova, in Sacra doctrina 44 (1999), p. 5. 202 Serm. 10,3,48-53, PC I,108: Aries Abraham maturus ad innocentiam, grandaeuus ad fidem, perfectus ad hostiam, paratus ad holocaustum, afferebat arietis filium; filium suum, immo se immolabat in filio; sanctificabat mentem suam, laetificabat fidem suam, ut esset idem uictima et pontifex, sacerdos et sacrificium. INDICI 199 ravennate indica ai suoi fedeli nella presentazione dei candidati al battesimo il nuovo modo di offrire sacrifici: “Abbiamo chiamato Abramo ariete, per dimostrare che Isacco era figlio di un ariete e perché fosse chiaro così quali figli degli arieti il profeta vuole che noi offriamo al Signore. Recate al Signore figli di arieti (Ps. 28,1). Il cristiano viene ora esortato a recare i figli dei padri, dei patriarchi, dei profeti, degli apostoli, dei martiri, dei confessori, poiché il gregge del Signore è lasciato andare al pascolo della fede, poiché il pastore celeste vuole che i suoi agnelli siano condotti all’ovile del Signore, affinché, dispersi sugli incolti terreni dei pagani, non siano divorati dagli assalti dei lupi. Ma ormai diciamo più chiaramente che cosa insegni la voce divina. Recate al Signore figli di arieti (Ps. 28,1). Recate al Signore quelli che devono essere battezzati; recate quelli che concepisce la fede, non la carne; recate quelli che sono generati dalla grazia di Dio, non dalla natura umana; recate quelli che l’innocenza dimostra agnelli, non quelli che sono dominati dall’ottusità del bestiame.”203 Pietro, inoltre, guarda con particolare simpatia e sincera ammirazione all’istituto del sacerdozio veterotestamentario, come luogo privilegiato della presenza santificante di Dio in mezzo a Israele e come espressione altissima, anche se non assoluta, della fede e della santità da parte del popolo giudaico. Lo si vede chiaramente dall’attenzione prestata alla figura del sacerdote Zaccaria204, padre di Giovanni Battista, e dalle parole lusinghiere con cui accompagna la descrizione degli effetti benefici, anche a livello sociale e politico, di un sacerdozio santo: “Al tempo di Erode, re di Giudea, dice, c’era un sacerdote di nome Zaccaria (Lc. 1,5). Sotto questo re, se uno è sacerdote, le sventure sono mitigate; nel dolore c’è sempre un sollievo; né manca il consolatore per quello su cui sovrasta il persecutore. Al tempo di Erode, re di Giudea, c’era un sacerdote di nome Zaccaria. Fino ad Erode la santità sacerdotale, la prudenza degli anziani, la pietà dei padri governavano il popolo giudaico; il diritto era costituito dalla legge divina, non c’era ambizione, temerità, la spregiudica-tezza non aveva alcun potere, perché tutto era fatto secondo l’ordine stabilito da Dio, non dagli uomini. Ma Erode, che proveniva da una famiglia straniera, s’impadronì del regno, violò il sacerdozio, sconvolse gli ordinamenti, mutò i costumi, disprezzò gli anziani, corruppe i giovani, mescolò le tribù, distrusse la continuità nobiliare, snervò la stirpe, abolì 203 Serm. 10,4-5,63-75, PC I,108: Abraham diximus arietem, ut Isaac arietis filium probaremus, ac sic luceret quos arietum filios propheta uult domino nos deferre. «Afferte domino filios arietum» (Ps. 28,1). Filios patrum, patriarcharum, prophetarum, apostolorum, martyrum, confessorum Christianus modo ut afferat admonetur, quando grex dominicus fidei laxatur in pastum, quando agnos suos caelestis pastor ad ouile dominicum uult deferri, ne dispersi per inculta gentium luporum deuorentur incursibus. Sed quid admoneat uox diuina planius iam loquamur. «Afferte domino filios arietum» (Ps. 28,1). Afferte domino baptizan-dos; afferte quos fides concipiat, non caro: afferte quos dei gratia generet, non mundana natura; afferte quos agnos praestet innocentia, non habeat pecoris hebetudo. 204 Sull’attenzione prestata a Zaccaria da altri Padri, per es. Ireneo, cfr. Siniscalco, Mito, pp. 85-86. 200 INDICI completamente tutto ciò che apparteneva alla legge divina ed umana. Ma tutto questo successe dopo il santo Zaccaria. E perché non si credesse avvenuto tale stravolgimento anche nello stesso Zaccaria, l’evangelista è costretto a dare queste notizie: Al tempo di Erode, re di Giudea, c’era un sacerdote di nome Zaccaria della classe di Abia (Lc. 1,5). Poiché fino a lui, trasmessa dai lontani antenati, dagli avi, dai padri, era sopravvissuta la stirpe sacerdotale, furono osservati i tempi legali e ogni norma per il sacrificio, in quanto il merito e la vita del sacerdote erano stati più forti dell’empietà del re, dell’iniquità del tempo, della rabbia dell’ambizione, del furore della temerità.”205 Se alla santità di Zaccaria fa da contrappunto il peccato di Erode, usurpatore del regno e del sacerdozio, al tramonto giudaico fa eco l’alba cristiana. Anche qui, come si è appena notato per il commento al Ps. 28,1 e in altri casi, il culto giudaico viene di fatto sostituito da quello cristiano: “Accadde che mentre, entrato nel tempio, bruciava l’incenso, tutta la moltitudine pregava all’esterno nell’ora dell’incenso (cfr. Lc. 1,8.9-10). Nell’ora dell’incenso, fratelli, il sole già tramontava nel tempio giudaico, per sorgere al mattino nella Chiesa; ed era prossima la sera della dottrina giudaica, perché era imminente l’aurora del Vangelo; e si oscurava il giorno per la Legge, per risorgere interamente nella grazia. Ecco perché Zaccaria nell’ora dell’incenso, cioè nell’ultimo tempo delle cerimonie legali, con spirito profetico offre l’incenso, innalza preghiere, esprime desideri, avvalora voti, richiama alla mente il tempo, chiede il mantenimento delle promesse, domanda Cristo. E tutta la moltitudine pregava all’esterno. Prega dunque che tutto il popolo, che stava fuori, fosse fatto entrare, perché la grazia introduce nel tempio quelli che la Legge conduce alla porta.”206 205 Serm. 86,3-4,43-62, PC II,180: «Fuit», inquit, «in diebus Herodis regis Iudeae sacerdos quidam nomine Zacharias» (Lc. 1,5). Sub quo rege qui sacerdos sit, temperantur mala; adest semper in maerore solatium; nec consolator deest, cui inminet persecutor. «Fuit in diebus Herodis regis Iudeae sacerdos quidam nomine Zacharias». Vsque ad Herodem Iudaicae genti sacerdotalis sanctitas, senum grauitas, patrum pietas praesidebat; ius erat lex diuina, ambitio nil ibi, nil temeritas, praesumptio nil ualebat, quia gerebatur totum diuino ordine, non humano. Sed Herodes ueniens ex gente aliena inuasit regnum, uiolauit sacerdotium, confudit ordinem, mutauit mores, spreuit senes, infecit iuuenes, tribus miscuit, deleuit stegmata, corrupit genus, tulit quicquid erat et diuinae et humanae funditus disciplinae. Sed hoc, post Zachariam sanctum; ne quid ergo tale et in ipso Zacharia crederetur admissum, euangelista cogitur sic referre: «Fuit in diebus Herodis regis Iudeae sacerdos quidam nomine Zacharias de uice Abia» (Lc. 1,5). Quia usque ad ipsum ab atauis, auis, patribus transfusum genus mansit sacerdotii, tempus legis, sacrificii omnis seruata est disciplina, eo quod impietatem regis, iniquitatem temporis, ambitionis rabiem, temeritatis furorem, sacerdotis et meritum superauit et uita. 206 Serm. 86,5,64-75, PC II,180: «Factum est ut incensum poneret, et ingressus in templum omnis multitudo orabat foris in hora incensi» (cfr. Lc. 1,8.9-10). «In hora incensi», fratres, iam sol Iudaico occubebat in templo, ut in ecclesia matutinus exsurgeret; et Iudaicae doctrinae instabat uesper, quia euangelii inminebat aurora; et legi obscurabatur dies, ut totus reluceret in gratia. Hinc est quod Zacharias «in hora incensi», hoc est, in extremo tempore legalium cerimoniarum prophetali spiritu incensum infert, offert preces, desideria ingerit, uota commendat, tempus admonet, promissa repetit, exigit Christum. «Et omnis multitudo orabat foris». Ut ergo populus, qui stabat foris, intromitteretur, exorat, quia quos lex adducit ad ianuam, gratia intromittit in INDICI 201 Chiudiamo, infine, il quadro relativo alla santità del popolo eletto ricor-dando che, come si è accennato, nel commento alla pagina di Lc. 13 sul fico piantato nella vigna, Pietro si sofferma ad elogiare i santi dell’Antico Testa-mento e soprattutto la loro attesa fedele, perseverante, del Messia: “A ragione, dunque, dal Signore la Sinagoga viene paragonata a un albero di fico, perché, riscaldata dal tepore della Legge, per un certo tempo fiorì in prefigurazione dei frutti della Chiesa. Infatti, saldamente fondata sulla radice dei patriarchi, esaltata dall’autorità sacerdotale, diffusa nei rami pro-fetici, riempita dei fichi non maturi dell’osservanza giudaica, fioriva allora per la sola speranza, in attesa di dare frutto per mezzo di Cristo, anzi di dare lo stesso Cristo dopo il frutto, come dice il Salmista: Il frutto delle tue viscere io porrò sul tuo trono (Ps. 131,11). Perciò i santi, sapendo questo, dal fiore ricavavano speranza di frutto e si consolavano del presente in vista del futuro, vedendo che ormai stavano per subentrare le realtà eterne a quelle mortali, le perpetue a quelle caduche, la grazia alla Legge, la Chiesa alla Sinagoga, le realtà celesti a quelle terrene, le divine a quelle umane, a tutte le realtà Cristo, che con gioia fedele si rallegrarono fosse venuto, perché ne attendevano la venuta con diuturna pazienza. Tra questi c’era quel Simeo-ne che, avendo ricevuto la promessa che non avrebbe visto la morte, finché non avesse visto il Cristo del Signore (Lc. 2,26), proruppe in queste parole: Ora lascia andare in pace il tuo servo, Signore, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno veduto la tua salvezza (Lc. 2,29-30).”207 In conclusione, il nostro autore non esita a riconoscere la santità effettiva del popolo giudaico. Essa deriva dalla presenza, in esso e nella sua tor-mentata storia, del Dio santo e si esprime specialmente attraverso la fede dei suoi personaggi illustri e il culto dei suoi autentici sacerdoti. Tutta la vicenda del cammino del popolo eletto è orientata all’attesa del suo frutto più bello e vero, il Cristo. Dalla sua venuta è la Chiesa a raccogliere l’eredità di santità della Sinagoga. 3. La salvezza del popolo giudaico Il tema della salvezza del popolo ebraico è, nei Sermoni di Pietro Crisologo, connesso da un lato con la figura di Gesù Cristo, il Figlio di Dio incarnato e templum. 207 Serm. 106,3,37-52, PC II,312: Merito ergo a domino synagoga fici arbori comparatur, quae calefacta tepore legali temporaliter ecclesiastici fructus floruit in figura. Patriarcharum namque radice solidata, sacerdotali exaltata culmine, propheticis dilatata ramis, Iudaicae obseruationis repleta grossis, florebat tunc spe sola fructum datura per Christum, immo ipsum Christum datura post fructum dicente psalmista: «De fructu uentris tui ponam super sedem tuam» (Ps. 131,11). Unde sancti haec scientes spem fructus ex flore capiebant, et solabantur praesentia de futuris, uidentes iamiamque succedere aeterna mortalibus, perpetua caducis, legi gratiam, ecclesiam synagogae, caelestia terrenis, humanis diuina, omnibus Christum, quem, quia uenturum longa patientia sustinebant, uenisse fideli gaudio sunt gauisi. Ex istis erat Simeon ille, cui <cum> promissum erat, «ut non uideret mortem, donec uideret Christum domini» (Lc. 2,26), tali prorupit in uoce: «Nunc dimittis seruum tuum domine secundum uerbum tuum in pace, quia uiderunt oculi mei salutare tuum» (Lc. 2,29-30). 202 INDICI risorto per la salvezza di tutti i popoli, dall’altro con la storia di Israele, dalla sua costituzione alla sua redenzione, storia formata e contrassegnata da continui episodi salvifici, e quindi vera e propria storia della salvezza. Gesù Cristo, il Salvatore Messia, come frequentemente ama ripetere il Pastore, soprattutto quando spiega ai catecumeni le grandi verità della fede cristiana contenute nel Simbolo, promuove e accompagna gli eventi fondamentali della storia del popolo giudaico, che divengono per questo eventi salvifici, avvenimenti nei quali si manifesta la volontà salvifica del Dio d’Israele nei confronti del popolo che si è scelto per sempre. Pietro Crisologo mostra di avere uno sguardo di attenzione particolare, una sensibilità spiccata, per il popolo ebraico e specialmente per il tema della sua salvezza. Vediamo ad esempio un tratto del suo commento alla pericope della guarigione della suocera dell’apostolo Pietro: “Essendo entrato nella casa di Pietro, vide la suocera che giaceva a letto febbricitante (Mt. 8,14). Vide la Sinagoga che giaceva nelle tenebre della sua incredulità, coricata sotto il peso dei propri peccati, febbricitante per i vizi fino al delirio; e perciò prese la sua mano (Mt. 8,15), perché non solo con la parola, ma anche con le mani opera la salvezza del popolo giudaico. Ascolta il profeta: Ma Dio, nostro re dai secoli passati, operò la salvezza nel mezzo della terra (Ps. 73,12). Prese la sua mano (Mt. 8,15), affinché la sua mano fosse mondata dal sangue dei profeti, prima di assumere il sacramento del ministero ec-clesiale. E si levò e lo serviva (Mt. 8,15). Da ciò deriva il fatto che si levò quella che giaceva, e serviva Cristo, mentre, cioè, adesso santifica nelle opere buone le proprie mani, che prima contaminava con opere malvagie.”208 Si noti, oltre agli elementi già rilevati altrove – confronto Sinagoga e Chiesa, incredulità e fede, culto antico e nuovo – la concretezza del gesto di Cristo sottolineata dal Crisologo per affermare, con plasticità e realismo, che la salvezza della Iudaica gens non è una speranza futura o un’elaborazione teorica, ma un fatto già avvenuto: et manibus Iudaicae gentis operatur salutem. Nella stessa linea di concretezza e realismo, si può dire che Pietro rileg-ga la storia del popolo ebraico con lo sguardo di chi ammira, con fede, la potenza salvifica realizzata da Dio per mezzo di Cristo in occasione dei momenti più importanti della vita di Israele. La storia e la salvezza del popolo ebraico – anche quando si parla della promessa della vocazione e della salvezza di tutti i popoli – non è né dimenticata né superata né relativizzata. 208 Serm. 18,7,66-77, PC I,156: «Cum uenisset in domum Petri, uidit socrum eius iacentem et febricitantem» (Mt. 8,14). Vidit synagogam iacentem in perfidiae suae tenebris, decumbentem sub suorum sarcina peccatorum, uitiis usque ad frenesem febrientem; et ideo tenuit manum eius (Mt. 8,15), quia non tantum uerbo, sed et manibus Iudaicae gentis operatur salutem. Audi prophetam: «Deus autem rex noster ante saecula operatus est salutem in medio terrae» (Ps. 73,12). «Tenuit manum eius» (Mt. 8,15), ut ante manus eius prophe-tarum sanguine mundaretur, quam administrationis ecclesiasticae sumeret sacramentum. «Et surrexit et ministrauit ei» (Mt. 8,15). Hinc est quod erecta est quae iacebat, et ministrabat Christo, dum sanctificat manus suas modo in operibus bonis, quas ante malis operibus polluebat. INDICI 203 Commentando, per esempio, il passo marciano della donna sirofenicia, Pietro si ferma su Mc. 7,24 ("Partito di là, Gesù andò dalle parti di Tiro e Sidone, ed entrato in una casa volle che nessuno lo sapesse, ma non poté rimanere nascosto") e commenta le espressioni "volle" e "non poté": “Ma esaminiamo in modo più evidente che cosa significhi volle (Mc. 7,24) e che cosa significhi non poté (Mc. 7,24). Memore della sua promessa, Cristo era venuto anzitutto per la salvezza del popolo d’Israele, per attuare fedelmente con Davide (cfr. Ps. 88,36-37; Ps. 131,12) e i suoi discendenti ciò che aveva promesso ad Abramo e alla sua stirpe (cfr. Lc. 1,55). Ma poiché si mostrarono indegni per la loro incredulità, la fede delle genti ottenne, rapì, strappò quello che l’infedeltà dei Giudei aveva disprezzato e perduto (cfr. Act. 13,46). Ascolta le sue stesse parole: Non sono stato mandato se non per le pecore smarrite della casa d’Israele (Mt. 15,24). Ma le pecore, già invasate dalla rabbia per il contagio dei lupi e più feroci delle stesse belve per la propria crudeltà, vollero sempre dilaniare ed offendere il loro pastore, e perciò Cristo non poteva attuare il suo volere, non per una sua impossibilità, ma per la malvagità degli uomini perduti; ed era costretto a con-ferire ad altri ciò che ad altri aveva tolto, secondo le sue parole: Il regno dei cieli patisce violenza, e i violenti se ne impadroniscono (Mt. 11,12). La fede delle genti pagane fece violenza per strappare l’eredità del Padre e metterla tutta a ruba, come con grande evidenza ha mostrato con la presente lettura.”209 La storia d’Israele è abbracciata da Abramo a Cristo, passando attraverso Davide e la sua discendenza. Si noti che qui la promessa fatta ad Abramo è presentata compiuta per Davide e la sua posterità. È uno sguar-do unitario e profondamente positivo quello che si leva sulla storia del popolo ebraico. La venuta di Cristo avviene nella memoria di una precisa promessa divina e quindi con un privilegio assegnato a Israele: Promissionis suae memor Christus Israelitici populi primum venerat ad salutem. Dopo Abramo, è a Mosè che il Crisologo presta la sua attenzione per affermare che nella vicenda della liberazione dall’Egitto, nel passaggio del mare Rosso, nel cammino del deserto e nell’insediamento nella terra di Canaan si è progressivamente ma realmente compiuta la salvezza del popolo giudaico. Anzi, si deve dire di più: è Cristo stesso, il Salvatore, che salva il suo popolo, è lui l’Autore del passaggio del mare Rosso da parte del popolo. Troviamo questa 209 Serm. 100,2,29-43, PC II,272-274: Sed quid sit «uoluit» (Mc. 7,24), et quid sit «non potuit» (Mc. 7,24), euidentius inquiramus. Promissionis suae memor Christus Israelitici populi primum uenerat ad salutem, ut quod Abrahae promiserat et semini eius (cfr. Lc. 1,55), Dauid (cfr. Ps. 88,36-37; Ps. 131,12) eiusque posteris fidele redderet persolutum. Sed quia indignos se sua perfidia praestiterunt, obtinuit, rapuit, traxit fides gentium, quod infidelitas spreuit et perdidit Iudaeorum (cfr. Act. 13,46). Audi ipsum dicentem: «Non sum missus nisi ad oues perditas domus Israel» (Mt. 15,24). Sed oues luporum contagione iam rabidae, et ipsis bestiis propria feritate saeuiores, laniare et uiolare suum semper uoluere pastorem; atque ideo uelle suum Christus inplere non poterat, non inpossibilitate sua, sed nequitia perditorum; et quod aliis detulerat, aliis conferre cogebatur, dicente ipso: «Regnum caelorum uim patitur, et qui uim faciunt diripiunt illud» (Mt. 11,12). Uim fecit fides gentium, ut raperet haereditatem patris, ipsam haereditatem totam diriperet, sicut euidentius praesenti lectione monstrauit. 204 INDICI suggestiva affermazione all’inizio del Sermone 50, quando Pietro si appresta a commentare un viaggio di attraversamento del lago di Tiberiade da parte di Gesù: “La lettura odierna ha mostrato che Cristo compì i misteri divini nelle azioni umane e nelle cose visibili esercitò un’attività invisibile (cfr. Hbr. 11,3). Salì, dice, sulla barca e attraversò il mare e giunse nella sua città (Mt. 9,1). Non è lui che, messi in fuga i flutti, scoprì le profondità del mare, affinché il popolo d’Israele passasse a piedi asciutti, tra le onde stupefatte (cfr. Ex. 14,22), come in una valle montana?”210 Subito dopo, il nostro autore parla di Pietro che cammina sulle acque ed esalta la condiscendenza divina per la quale il Figlio di Dio è venuto a condividere le fragilità, le debolezze e le povertà della natura umana: è sempre attraverso le vicende umane che Cristo compie i misteri divini. Fermiamoci ora su un altro attraversamento di Gesù, questa volta a Gerico, per incontrare Zaccheo. Anche qui Crisologo istituisce un fortis-simo parallelo tra Cristo e Mosè, aggiunge la figura di Giosuè, e parla del ruolo salvifico svolto da Cristo a vantaggio del popolo ebraico: “Ed entrato in Gerico, dice, Gesù, attraversava la città (Lc. 19,1). Perché attraversava e non “camminava”? Perché Cristo attraversava i luoghi su cui aveva camminato Mosè; e Gesù conduce alla tranquillità della sosta promes-sa il popolo che Mosè aveva immesso nel cammino. Attraversava Gerico. Gerico è la stessa città che Giosuè aveva fatto crollare con lo squillo settem-plice delle trombe (cfr. Ios. 6,20). Ma poiché Cristo era venuto a salvare ciò che era perduto, Gesù entra in Gerico per risollevare col suono della pia predicazione ciò che la Legge aveva abbattuto con un terribile clamore.”211 In questo testo si vede bene la rilettura cristiana della storia della salvezza del popolo giudaico. Cristo, entrando in Gerico ed attraversando la città, ritorna effettivamente sui passi di Mosè ed è Lui, il nuovo Gesù – non più Gesù figlio di Nave – a introdurre il popolo nella terra promessa. Anche qui, come altrove, il confronto tra Legge e “pia predicazione”, cioè Vangelo, è schiacciante nel senso che serve ad esaltare la superiorità della Chiesa rispetto alla Sinagoga. Ma si noti la continuità dell’azione salvifica di Cristo verso Israele: è venuto a salvare 210 Serm. 50,1,3-9, PC I,344: Christum in humanis actibus diuina gessisse mysteria, et in rebus uisibilibus inuisibilia (cfr. Hbr. 11,3) exercuisse negotia, lectio hodierna monstrauit. «Ascendit», inquit, «in nauicula, et transfretauit, et uenit in ciuitatem suam» (Mt. 9,1). Nonne ipse est, qui fugatis fluctibus maris profunda nudauit, ut Israeliticus populus inter stupentes undas (cfr. Ex. 14,22) sicco uestigio uelut montium concaua transiret? 211 Serm. 54,1,6-14, PC I,364: «Et ingressus», inquit, Iesus «perambulabat Hiericho» (Lc. 19,1). Quare «perambulabat» et non ambulabat? Quia quod Moyses ambulauerat, perambu-labat Christus; et populum, quem Moyses inducit in uiam, Iesus ad quietem promissae mansionis adducit. «Perambulabat Hiericho». Hiericho ciuitas ipsa est, quam Iesus Naue septeno tubarum clangore subuertit (cfr. Ios. 6,20). Sed quia Christus uenit saluare quod perierat, ingreditur Hiericho, ut quod lex terribili uociferatione deiecerat, Iesus clamore piae praedicationis attollat. INDICI 205 ciò che era perduto212. Per chiudere l’argomento della salvezza del popolo ebraico, dobbiamo fare riferimento ad un ultimo testo particolarmente significativo, perché colloca il tema del quale stiamo trattando in relazione a quello della salvezza di tutti i popoli. Nella serie dei commenti a s. Paolo, Pietro si sofferma ad illustrare il rapporto tra giudei e greci, cioè tra il popolo eletto e gli altri popoli: “Il beato Apostolo per la salvezza dei primi e degli ultimi, dei Giudei e dei Greci, innalza sempre l’unico e singolare vessillo della fede; e chi non meriterà di averlo e di tenerlo, non potrà possedere la gloria dei trionfi celesti. È il solo, fratelli, che ai combattenti contro l’incredulità allinea lo schieramento, indica il re, riunisce gli alleati, atterrisce l’empio nemico col solo apparire. Così, infatti, oggi ha cominciato: E non è stato scritto per Abramo che gli fu accreditato a giustizia, ma per noi, che crediamo in lui, che ha risuscitato Gesù, nostro Signore, dai morti (Rom. 4,2324). Vedete, fratelli, che mentre i primi credono nelle cose future e gli ultimi nelle cose passate, gli uni e gli altri per la stessa strada della fede giungono alla salvezza. Quelli credono in Cristo venturo, noi crediamo in Cristo già venuto; quelli credono con meraviglia che, secondo la sorte dell’uomo, scenderà sino alla morte, noi ci gloriamo di affermare che è morto ed è risorto. E che altro aggiungere, fratelli? Per questo tale salvezza è stata negata agli occhi sia dei predecessori, sia dei successori, affinché fosse tutta riposta nella fede.”213 Si noti il fascino e la bellezza dell’espressione uno itinere fidei utique perveniunt ad salutem. Giudei e Greci stanno camminando insieme, chi guardando al passato, chi al futuro, nella stessa direzione. La salvezza è pronta per tutti, in fide. 4. Cristo e il popolo giudaico Dopo avere preliminarmente osservato l’atteggiamento fondamentalmente positivo di Pietro nei confronti del popolo giudaico, ed avere messo in luce i grandi temi della santità e della salvezza di Israele, possiamo andare ora ad approfondire ciò che già sta emergendo con grande forza e chiarezza, cioè la 212 Lampante, in questo richiamo crisologhiano, il riferimento alle parole che Gesù rivolgerà a Zaccheo subito dopo il suo atto di pentimento: Venit enim Filius hominis quaerere et salvum facere quod perierat (Lc. 19,10). 213 Serm. 110,1-2,3-18, PC II,332: Beatus apostolus primis et nouissimis, et Iudaeis et Graecis, uexillum fidei unicum semper et singulare erigit ad salutem; quod quisquis habere non meruerit et tenere, caelestium possidere non poterit gloriam triumphorum. Solum est, fratres, quod contra perfidiam dimicantibus aciem dirigit, regem indicat, conectit socios, inpiumque hostem sola sui uisione terrificat. Sic enim hodie coepit: «Non est autem scriptum propter Abraham, quod reputatum est illi ad iustitiam, sed propter nos, credentes in eum, qui suscitauit Iesum dominum nostrum a mortuis» (Rom. 4,23-24). Videtis, fratres, quia dum priores futura, dum praeterita credunt posteri, sic uno itinere fidei utique perueniunt ad salutem, dum illi uenturum Christum, nos iam uenisse profitemur; illi usque ad mortem more hominis discensurum mirantur et credunt, nos esse mortuum et resurrexisse gloriamur. Et quid plura, fratres? Ideo salus haec tam antecedentium quam sequentium oculis est negata, ut tota esset in fide. 206 INDICI natura profonda di questo popolo visto dal punto di vista di Dio. Per fare questo passo, dobbiamo riferirci soprattutto a testi crisolo-ghiani nei quali risulta preponderante, rispetto alle figure di Dio Padre e dello Spirito Santo, la figura di Cristo e la sua molteplice attività, in parole e opere, verso il popolo al quale lui stesso appartiene. A questo proposito, come si è già incominciato a vedere per il rapporto tra la figura di Cristo e quella di Mosè, si deve anzitutto notare che la lettura che Pietro fa dell’Antico Testamento è una lettura cristiana ed essenzialmente cristologica. In questa ottica, il primo elemento da notare è il ruolo centrale, protagonista, svolto da Cristo nell’autorivelazione di Dio al suo popolo. Cristo, in quanto Dio, viene presentato dal Pastore ravennate come l’autore della rivelazione della parola di Dio a Mosè. Commentando una battuta del drammatico dialogo tra il ricco Epulone e il padre Abramo, il nostro autore si esprime così: “Rispose il ricco: No, padre Abramo, ma se uno risusciterà dai morti, gli crede-ranno (Lc. 16,30). Abramo gli rispose: Se non credono a Mosè e a Elia, nemmeno se uno risuscitasse dai morti, gli crederanno (Lc. 16,31). Nulla è così vero, fratelli: chi non ha voluto credere a chi parlava dal cielo mediante la Legge, a chi veniva dal cielo nella persona di Cristo, ormai non meriterà di credere a uno che ritornasse dagli inferi. Lo stesso Cristo, fratelli, Dio e Signore nostro, parlò dal cielo a Mosè, egli stesso in terra parlò in un corpo terreno, egli stesso con un corpo terreno ritornò dagli inferi, e tuttavia i fratelli di quel ricco, che si identificano nel popolo giudaico, con assoluta ostinazione non vollero credere a lui che riferiva quali beni si trovano in cielo, quali mali presso l’inferno.”214 Si vede molto chiaramente il confronto essenziale tra Mosè e Cristo, tra la rivelazione di Dio sul Sinai e l’incarnazione di Cristo. Il confronto è raf-forzato dalla citazione di Elia, che rende evidente il dramma dell’incre-dulità dei giudei: come essi non credettero a Mosè, che “parlava dal cielo”, così non prestarono fede a Elia, che “veniva dal cielo”. Come potranno credere “a uno che ritornasse dagli inferi”? Ma la punta di questo passo crisologhiano è l’attribuzione a Cristo stesso della rivelazione sinaitica: Ipse Christus, fratres, deus et dominus noster, ad Moysen est locutus de caelo. Lo stesso Cristo, insiste Pietro, che parlò in un corpo terreno e che con un corpo terreno tornò dagli inferi. Cristo è dunque presente nei momenti più importanti della storia del popolo giudaico, siano essi costitutivi della sua identità di popolo peculiare – la 214 Serm. 123,12,146-156, PC II,420: Respondit diues: «Non, pater Abraham, sed si quis ex mortuis resurrexerit, credunt ei» (Lc. 16,30). Cui respondit Abraham: «Si Moysi et Heliae non credunt, neque si quis ex mortuis resurrexerit, credunt ei» (Lc. 16,31). Nihil tam uerum, fratres: qui de caelo loquenti per legem, de caelo uenienti per Christum credere noluit, iam non merebitur credere ab inferis reuertenti. Ipse Christus, fratres, deus et dominus noster, ad Moysen est locutus de caelo, ipse in terra terreno est locutus in corpore, ipse cum terreno corpore ab inferis est reuersus, et tamen referenti quae bona in caelis, quae sint apud inferos mala, fratres diuitis illius, qui Iudaicis intelleguntur in populis, credere tota obstinatione noluerunt. INDICI 207 rivelazione sinaitica - siano essi propriamente salvifici, come la liberazione dall’Egitto, il cammino nel deserto, l’ingresso nella terra promessa, secondo quanto già si vedeva215. Si avverte, in tratti come questi, la forza di una lettura unitaria dei due testamenti, fatta alla luce dell’evento centrale della salvezza cristiana, la pasqua del Figlio di Dio. Nella presentazione del mistero cristiano, però, Pietro non distacca mai l’attenzione dal suo interesse di fondo, il dialogo col popolo dell’antica alleanza. Lo continuiamo a vedere. È commentando passaggi neotestamentari che il nostro autore risale all’Antico Testamento e rilegge, cristianamente e cristologicamente, la rivelazione veterotestamentaria. Citiamo qui un ulteriore esempio della tendenza, esegetica e teologica, di Pietro che stiamo rilevando. Commentando il passo di Mt. 2 sulla fuga della sacra famiglia in Egitto, Crisologo si sofferma a ponderare le ragioni di questo trasferimento, suscettibile di essere spiegato come un atto di indolenza o peggio di paura di Cristo di fronte alla morte, e alla fine lo spiega all’interno di una rilettura globale dei due testamenti: Cristo non fuggì la morte ma, al contrario, la preannunciò in tutte le Scritture, dalla Legge – come abbiamo appena veduto – ai profeti. Pietro dice: “Cristo aveva promesso per mezzo della Legge e dei profeti che sarebbe venuto nella carne, sarebbe cresciuto attraverso le successive età, avrebbe annunciato la gloria del regno celeste, avrebbe predicato la dottrina della fede e col solo comando della voce avrebbe cacciato i demoni, avrebbe dato la vista ai ciechi, la capacità di correre agli zoppi, la parola ai muti, l’udito ai sordi, ai peccatori il perdono, ai morti la vita. Per tale motivo, Cristo non fuggì la morte, che avrebbe incontrata da uomo maturo, ma la differì da bambino.”216 La consegna della Legge a Mosè, come stiamo riscontrando, diviene un momento particolarmente significativo della rivelazione di Cristo al popolo ebraico. Ma tutta la Scrittura ebraica, Legge e Profeti, contiene la promessa divina della venuta di Cristo. È intorno alla venuta del Messia che si concentra l’attesa e perciò si esprime la fede dei giudei. Ed è per loro, per i giudei, che il Messia, nella persona di Gesù Cristo, è venuto. Pietro ritorna spesso su questi temi. Prendiamo ancora un tratto di un altro discorso tenuto sul passo matteano della fuga del Signore in Egitto. La particolare concezione del Crisologo, che sottolinea sempre la divinità, la grandezza, il senso del mistero e della maestà della persona di Cristo, lo sollecita a rifiutare una spiegazione troppo umana, pericolosa e sbagliata, di questo momento difficile della vita di Gesù bambino. Dopo una lunga difesa della necessità della fuga di Cristo davanti all’infuriare della morte, Pietro Cfr. cap. V § 3. Serm. 150,10,86-92, PC III,170: Christus se in carne uenturum, ascensurum per aetatum gradus, adnuntiaturum gloriam caelestis regni, praedicaturum fidei doctrinam, et imperio uerbi solo fugaturum daemones, daturum caecis uisum, clodis cursum, mutis uerbum, auditum surdis, peccatoribus remissionem, mortuis uitam, per legem promiserat et prophetas. Vnde hoc Christus impleturus uir, infans mortem distulit, non fugit. 215 216 208 INDICI riscrive le grandi ragioni della venuta di Cristo su questa terra, della sua mirabile incarnazione per la salvezza del mondo, e dice: “Era venuto per infondere nel mondo con i miracoli la conoscenza della sua divinità e togliere le ignoranze all’ignoranza del genere umano. Era venuto per eccitare alla fede con le sue virtù i pigri cuori dei mortali. Era venuto per sconfiggere il diavolo in aperto scontro, affinché gli uomini lo vincessero mediante il comando divino e lo abbattessero mediante l’esem-pio umano. Era venuto per mantenere le promesse della sua presenza, per concedere di vederlo a quelli cui aveva promesso di conoscerlo. Era venuto per allontanare il Giudeo dalla trasgressione della Legge. Era venuto per avviare alla fede i pagani. Era venuto per scegliere gli apostoli, maestri del mondo, e riempirli delle dottrine celesti, munirli delle virtù, armarli dei miracoli, affinché con i miracoli domassero gli uomini feroci, risanassero con i prodigi gli infermi, istruissero nelle verità i riottosi. E infine era venuto a uccidere la morte morendo, a distruggere gli inferi scendendo in essi, a schiudere i sepolcri risorgendo, a donare i terrestri ai celesti salendo al cielo. Tutte queste cose sarebbero state certamente perdute per noi, se Cristo, quand’era nella culla, non fosse fuggito.”217 L’incarnazione di Cristo ha dunque la doppia funzione di allontanare i giudei dalla trasgressione verso la Legge e di avvicinare i pagani alla fede. C’è un primato di destinazione del Messia al popolo preparato per accoglierlo. Solo successivamente – per ragioni che si vedranno meglio in seguito218 – c’è un’estensione della fede agli altri popoli mediante la testimonianza apostolica. Anche altrove il nostro autore ritorna sul primato di destinazione del Cristo al popolo d’Israele. Abbiamo già ricordato i Sermoni 1 – 5 che trat-tano della parabola del figlio prodigo. Il figlio maggiore, il primogenito, ovviamente è Israele, mentre il minore, il secondogenito che abbandona la casa paterna con la sua parte d’eredità, rappresenta gli altri popoli. In questo contesto, il Pastore ravennate, commentando una battuta del dialogo tra il padre e il figlio primogenito che rifiuta di entrare in casa per festeggiare il fratello ritornato, dice, come già si vedeva219: 217 Serm. 151,4,43-57, PC III,174: Venerat signis mundo notitiam suae deitatis infundere, et humani generis ignorantiae ignorationes auferre. Venerat pigra mortalium corda ad fidem uirtutibus excitare. Venerat diabolum publico superare conflictu, ut ab hominibus et diuino uinceretur iussu, et humano prosterneretur exemplo. Venerat praesentiae suae promissa persoluere, ut quibus scire se dederat, concederet se uidere. Vt ueniret Iudaeus uenerat de contemptu legis. Venerat introducere ad fidem gentes. Venerat adlegere apostolos doctores orbis, eosque caelestibus implere doctrinis, munire uirtutibus, armare signis, ut signis edomarent feros, sanarent uirtutibus infirmos, doctrinis indociles edocerent. Et ad summam uenerat mortem perdere moriendo, penetrando inferna dissoluere, resurgendo sepulchra reserare, ascendendo ad caelos caelestibus donare terrenos. Omnia haec utique perissent nobis, si Christus, cum esset in cunabulis, non fugisset. 218 Cfr. cap. V § 5. 219 Cfr. cap. V § 2. INDICI 209 “E tutti i miei beni sono tuoi (Lc. 15,31). In che modo? Perché per te è la Legge, per te è la profezia, per te il tempio, per te il sacerdozio, per te i sacrifici, per te il regno, per te – e questo vale più di tutto – è nato Cristo.”220 Cristo è il dono supra omnia, in sequenza con la Legge, la profezia, il tempio, il sacerdozio, i sacrifici, il regno. Ed è per te. Se Cristo è destinato anzitutto a Israele, questi è d’altro canto il popolo che lo attende. Si è già vista, in proposito, la tradizione di santità che questa attesa ha prodotto nelle generazioni ebraiche prima dell’avvento di Cristo. Ricordiamo il bel passo crisologhiano sull’albero di fico di Lc. 13: “A ragione, dunque, dal Signore la Sinagoga viene paragonata a un albero di fico, perché, riscaldata dal tepore della Legge, per un certo tempo fiorì in prefigurazione dei frutti della Chiesa. Infatti, saldamente fondata sulla radice dei patriarchi, esaltata dall’autorità sacerdotale, diffusa nei rami profetici, riempita dei fichi non maturi dell’osservanza giudaica, fioriva allora per la sola speranza, in attesa di dare frutto per mezzo di Cristo, anzi di dare lo stesso Cristo dopo il frutto, come dice il Salmista: Il frutto delle tue viscere io porrò sul tuo trono (Ps. 131,11). Perciò i santi, sapendo questo, dal fiore ricavavano speranza di frutto e si consolavano del presente in vista del futuro, vedendo che ormai stavano per subentrare le realtà eterne a quelle mortali, le perpetue a quelle caduche, la grazia alla Legge, la Chiesa alla Sinagoga, le realtà celesti a quelle terrene, le divine a quelle umane, a tutte le realtà Cristo, che con gioia fedele si rallegrarono fosse venuto, perché ne attendevano la venuta con diuturna pazienza. Tra questi c’era quel Simeone che, avendo ricevuto la promessa che non avrebbe visto la morte, finché non avesse visto il Cristo del Signore (Lc. 2,26), proruppe in queste parole: Ora lascia andare in pace il tuo servo, Signore, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno veduto la tua salvezza (Lc. 2,29-30).”221 La longa patientia dei santi ebrei si trasforma in fideli gaudio al momento del compimento delle promesse divine. La speranza delle generazioni giudaiche appoggiava sulla certezza di fede che il frutto nasceva dal fiore: Cristo appartiene naturalmente ai figli di Israele, come un frutto all’albero dal quale 220 Serm. 5,7,136-139, PC I,78: «Et omnia mea tua sunt» (Lc. 15,31). Quemadmodum? Quia tibi lex, tibi prophetia, tibi templum, tibi sacerdotium, tibi sacrificia, tibi regnum, tibi - quod supra omnia - natus est Christus. 221 Serm. 106,3,37-52, PC II,312: Merito ergo a domino synagoga fici arbori comparatur, quae calefacta tepore legali temporaliter ecclesiastici fructus floruit in figura. Patriarcharum namque radice solidata, sacerdotali exaltata culmine, propheticis dilatata ramis, Iudaicae obseruationis repleta grossis, florebat tunc spe sola fructum datura per Christum, immo ipsum Christum datura post fructum dicente psalmista: «De fructu uentris tui ponam super sedem tuam» (Ps. 131,11). Vnde sancti haec scientes spem fructus ex flore capiebant, et solabantur praesentia de futuris, uidentes iamiamque succedere aeterna mortalibus, perpetua caducis, legi gratiam, ecclesiam synagogae, caelestia terrenis, humanis diuina, omnibus Christum, quem, quia uenturum longa patientia sustinebant, uenisse fideli gaudio sunt gauisi. Ex istis erat Simeon ille, cui <cum> promissum erat, «ut non uideret mortem, donec uideret Christum domini» (Lc. 2,26), tali prorupit in uoce: «Nunc dimittis seruum tuum domine secundum uerbum tuum in pace, quia uiderunt oculi mei salutare tuum» (Lc. 2,29-30). 210 INDICI pende. La citazione del Ps. 131,11 ("Il frutto delle tue viscere io porrò sul tuo trono") esprime tutta la convinzione, e il giusto orgoglio, di un popolo che sa di essere stato eletto per ricevere il Re Messia. Troviamo la stessa attenzione crisologhiana circa il rapporto privilegiato tra Cristo e il suo popolo a proposito di Maria Vergine, una delle figure che hanno maggiormente reso famoso il Crisologo222. In uno dei tanti Sermoni dedicati dal Pastore di Ravenna all’esaltazione della nascita del Signore e quindi all’elogio di Maria, Vergine e madre, leggiamo così: “Ciò che si compie, fratelli, è divino, non umano. Non è mai nuda la verginità, che è adorna del velo eterno del suo pudore. L’angelo, in funzione di misuratore, è venuto al domicilio della castità per preparare la reggia al Re, il tempio a Dio, il talamo allo sposo celeste. Dalla nascita del Signore, infatti, non è stata tolta, ma consacrata la verginità che appunto ha generato lo sposo, il custode del suo pudore. Maria offre un servizio fedele; puerpera, ma vergine; vergine, ma madre: perse infatti la sterilità, non il pudore. Sono presenti la santità, la sincerità, la pudicizia, la castità, l’integrità, la fede, ed insieme si trovano in lei tutte le virtù, così da portare, serva intrepida, nel suo utero il Creatore, e dovendo partorire la Potenza del cielo, vincitrice del suo sesso, ignorò il dolore e il pianto. Beata la fecondità che ottenne l’onore della maternità e non perdette il privilegio della castità. Dunque non sdegna di abitare ciò che si è degnato di foggiare; né si sdegna di prendere in sé quale carne ciò che con la sua mano divina aveva prima maneggiato nella polvere (cfr. Gen. 2,7). Assunse il tuo aspetto, uomo, perché tu non avresti potuto raggiungere il suo; e Colui che era invisibile, divenne visibile per la tua redenzione. Invocato dai tuoi padri venne. Ascolta la voce di chi grida: Mostra il tuo volto, e saremo salvi (Ps. 79,4).”223 Alla fine di questo brano, un vero elogio poetico del fiore più bello del popolo ebraico, Crisologo, come sovente capita, passa a rivolgersi diretta-mente e personalmente all’uomo che lo ascolta. Forse è l’uomo in generale, ma forse è 222 Cfr. in particolare lo studio del Kochaniewicz, dove la centralità del dogma mariano all'interno della predicazione crisologhiana è giustamente posta in rapporto al posto decisivo occupato, nella riflessione teologica e cristologica del vescovo di Ravenna, dal mistero dell'incarnazione di Cristo. 223 Serm. 140ter,2,19-37, PC III,98-100: Diuinum est, fratres, quod geritur, non humanum. Num quam est nuda uirginitas, quae aeterno pudoris sui uelamine decoratur. Ad domicilium castitatis angelus metator aduenit, ut regi aulam, deo templum, et caelesti sponso thalamum praepararet. Nascente enim domino non est ablata, sed consecrata uirgini-tas, quae ipsa sponsum sui genuit pudoris, ipsa custodem. Praebet Maria fidele seruitium; feta, sed uirgo; uirgo, sed mater; sterelitate enim caruit, non pudore. Adstat sanctitas, sinceritas, pudicitia, castitas, integritas, fides, et omnes simul adfuere uirtutes, ut intrepida famula suo utero portaret auctorem, et caelestem paritura uirtutem, sexus sui uictrix, dolorem gemitumque nesciret. Beata fecunditas, quae et honorem adquisiuit maternum, et castitatis praemium non amisit. Non ergo dedignatur inhabitare, quod est figurare dignatus; nec indignatur in se carnem contingere, quod caelesti manu ante contrectauit in puluere (cfr. Gen. 2,7). Venit ad faciem tuam, o homo, quia tu ad eius faciem peruenire non poteras; et qui erat inuisibilis, factus est pro tua redemptione uisibilis. Uenit a tuis patribus postulatus. Audi uocem clamantis: «Ostende faciem tuam, et salui erimus» (Ps. 79,4). INDICI 211 il giudeo. In ogni caso, il nostro autore dice: “Invocato dai tuoi padri venne”. E riporta l’invocazione, la supplica tratta dal Ps. 79,4: "Mostra il tuo volto, e saremo salvi", supplica interpretata, naturalmente, in stretto senso cristologico. In conclusione, nella visione crisologhiana Cristo ha un rapporto privilegiato con Israele. Ed è precisamente questo privilegio che rende Israele diverso dagli altri popoli. La santità e la salvezza di questo popolo sono in relazione alla sua preparazione e attesa del Messia, che ancora è Gesù Cristo. La venuta di Cristo è il compimento delle promesse contenute nella Legge e nei profeti, e si è realizzata per la disponibilità di Maria, una donna ebrea. Gesù Cristo è il dono più bello che Dio poteva e doveva fare al suo popolo, è il dono supra omnia, superiore alla Legge, alla profezia, al tempio, al sacerdozio, ai sacrifici, al regno224. Non può sfuggire l’importanza delle conclusioni appena registrate, e in particolare di quest’ultima: la superiorità di Cristo rispetto alle istituzioni più sante del popolo eletto, compresa la Legge di Mosè, cioè la Legge data da Dio con la mediazione di Mosè. È questa superiorità che sta alla base del privilegio dato da Cristo a Israele, e perciò della diversità di Israele rispetto agli altri popoli. In sostanza, veniamo a riconoscere che, secondo l’impostazione data da Pietro Crisologo alla questione del rapporto tra cristianesimo e giudaismo, Israele è il popolo eletto a motivo dell’elezione di Cristo, e non viceversa. La superiorità di Gesù Cristo rispetto alla Legge e la sua diversità – in quanto soprattutto Figlio di Dio, secondo la prospettiva cristologica del Pastore di Ravenna - rispetto ai discendenti di Abramo secondo la carne fanno la verità e la permanenza dell’elezione del popolo giudaico. Israele non è eletto per se stesso, ma per Cristo, cioè in ragione dell’attesa del compimento delle promesse divine che si realizzano in Gesù Cristo. È Cristo stesso che perciò elegge il suo proprio popolo, e non viceversa. Volendo usare e forzare un’immagine crisologhiana, dovremmo dire che in questo caso è il frutto a scegliere l’albero dal quale pendere e a giustificare così il privilegio straordinario, unico e irripetibile di quell’albero. Si intravede in questo panorama una caratteristica rilevante del pensiero di Pietro: nella sua visione profondamente cristiana Cristo viene a prendere il posto e il ruolo che, nel pensiero e nella tradizione giudaica, aveva la Legge. Per un ebreo osservante, anche oggi225, è infatti la Legge a costituire il nucleo essenziale della vera identità di Israele davanti a Dio e a definire perciò la diversità assoluta di Israele davanti agli altri popoli. Per Crisologo, cristiano e vescovo, diventa invece centrale e, in questo senso, assoluto, l’evento di Gesù Cristo, evento che ovviamente non distrugge ma relativizza il privilegio dato a Cfr. serm. 5,7,137-139, PC I,78. Anche la figura e la vita di Gesù sono rivalutate oggi da qualche pensatore ebraico per la fedeltà del Nazareno alla Legge ebraica e per la sua prossimità alla corrente farisaica. Cfr. G. De Rosa, Gesù di Nazaret e l'ebraismo di ieri e di oggi. Dal rifiuto all'appropriazione esclusiva, in La Civiltà Cattolica 151 II (2000), pp. 535-548. 224 225 212 INDICI Israele ed estende a tutti i popoli l’elezione del popolo eletto. 5. Il popolo giudaico e Cristo Siamo giunti ad un momento letteralmente cruciale della nostra ricerca. Dobbiamo infatti voltare la medaglia del rapporto Cristo/Israele e vedere l’altro lato, il meno piacevole, il più duro e problematico. Se Cristo è realmente il dono più bello fatto da Dio a Israele, e perciò il compimento delle promesse divine e la realizzazione piena e definitiva della santità e della salvezza per il popolo che lo attendeva con ansia e fede, speranza e consolazione, qual è stata l’accoglienza effettiva di questo dono? Come ha reagito Israele al piano provvidenziale del suo Dio? Qual è stata la risposta, e quindi qual è l'attuale posizione di Israele rispetto al Cristo? Su questo punto Pietro è estremamente netto e non risparmia denuncie, accuse, giudizi, condanne, rimproveri e anatemi, insieme, come abbiamo ampiamente attestato, a sinceri apprezzamenti e a grandi elogi. Partiamo dal Sermone 55, dove il Pastore ravennate – che si accinge a commentare il Simbolo della fede cristiana – si ferma preliminarmente a spiegare l’insegnamento lucano di Gesù sulla preghiera, articolato sui tre esempi della richiesta del pane, del pesce e dell’uovo. A proposito del primo esempio addotto da Gesù, il nostro autore dice: “Se uno di voi, dice, chiede al padre del pane, forse gli darà una pietra (Lc. 11,11)? Avrebbe potuto dire: forse gli darà gramigna, forse loglio, che per la vicinanza di natura e la somiglianza ha l’apparenza di pane, ma produce disturbi. Ma poiché Cristo era venuto per i figli, – cioè per i Giudei, che si lamentava di aver generato con tale grido: Ho generato figli e li ho esaltati, ma essi mi hanno disprezzato (Is. 1,2) – era venuto, dunque, per i figli, era venuto quale pane del cielo, egli che aveva detto: Io sono il pane disceso dal cielo (Io. 6,41.51), ma per i Giudei si mutò in sasso d’inciampo e in pietra di scanda-lo, come dice il Signore: Ecco, pongo in Sion un sasso d’inciampo e una pietra di scandalo (Rom. 9,33). Perché una pietra? Perché erano smaniosi di mordere la pietra, non di chiedere il pane al Padre. Mi hanno circondato, dice, cani in gran numero (Ps. 21,17). Perciò, dopoché fu chiaro che essi si erano mutati da uomini in cani, il pane celeste per loro si mutò in pietra, non per la colpa di chi lo dava, ma per la malvagità di chi lo riceveva, in modo da non nutrirli, bensì da ucciderli; e, posta nella fondazione, non da innalzarli fino alla vetta, ma da abbandonare nell’abisso e travolgere nella rovina quelli che aspiravano ad uccidere il proprio padre.”226 226 Serm. 55,4,53-69, PC I,374: «Quis», inquit, «ex uobis patrem petit panem, numquid lapidem dabit illi» (Lc. 11,11)? Potuit dicere: numquid zizania, numquid lolium, quod ex uicinitate et similitudine mentitur panem, sed generat angustias. Sed quia Christus uenerat filiis, id est, Iudaeis, quos genuisse tali clamore querebatur: «Filios genui et exaltaui, ipsi autem me spreuerunt» (Is. 1,2) -, uenerat ergo filiis, uenerat panis de caelo, qui dixit: «Ego sum panis qui de caelo discendi» (Io. 6,41.51), sed Iudaeis conuersus est in lapidem offensionis et petram scandali, dicente domino: «Ecce pono in Syon lapidem offensionis et petram scandali» (Rom. 9,33). Quare petram? Quia mordere petram, non panem a patre petere gestiebant «Circumdederunt me», inquit, «canes multi» (Ps. 21,17) -. Denique postea quam illi ex INDICI 213 L’affermazione positiva di Pietro sui giudei – Cristo è venuto quale pane celeste per i figli – è qui accompagnata dalla sicurezza di un giudizio estremamente negativo sul modo col quale essi hanno ricevuto il dono di Dio, stravolgendolo al punto da trasformare il pane in sasso d’inciampo e pietra di scandalo. Lo stravolgimento del dono divino porta con sé un certo disordine naturale e la mutazione profonda del proprio essere: si noti la durezza delle parole ex hominibus in canis! Nei successivi esempi sulla preghiera il Pastore ribadisce con forza le stesse idee: “Aggiunse un’altra similitudine: O forse al posto di un pesce gli darà un serpente (Lc. 11,11)? Cristo era anche un pesce sollevato dall’alveo del Giordano (cfr. Mt. 3,1317; Mc. 1,9-11; Lc. 3,21-22; 4,1; Io. 1,28-34), che, posto sui carboni delle sofferenze, dopo la risurrezione offrì allora ai suoi, cioè ai discepoli, il cibo che dà la vita (cfr. Io. 21,1-14). Ma per i Giudei questo pesce si trasforma in serpente, come dice il Signore: Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo (Io. 3,14). Il Giudeo nel serpente vedeva Cristo, perché un occhio empio non può vedere Dio, non può vedere l’affetto paterno. Disse anche una terza similitudine: Forse, se chiederà un uovo, gli darà uno scorpione (Lc. 11,12)? È sempre un uso consueto che i bambini chiedano un uovo e che i genitori, quando lo chiedono, non lo rifiutino loro. Ma siccome Cristo era venuto per radunare, come una gallina, i suoi pulcini (cfr. Mt. 23,37), offrì l’uovo della parola, mediante il quale fossero nutriti i santi germogli della Chiesa. Ma poiché il Giudeo per invidia lo voleva versare più che mangiare, trovò in esso uno scorpione, affinché, secondo l’Apostolo, il comando, che essi avevano per la vita, diventasse per loro causa di morte (cfr. Rom. 7,10).”227 In questi tre esempi, appena citati, si vede chiaramente, se avessimo voluto aggiungere ulteriori testi, il modo di ragionare del Crisologo e lo spessore teologico ed esegetico dato allo schema giudaismo/cristianesimo. Ma soprattutto qui importa sottolineare la gravità del giudizio emesso senza hominibus in canes probantur esse conuersi caelestis illis in petram conuersus est panis, non dantis uitio, sed accipientis nequitia, qui illos non reficeret, sed necaret; nec in fundamento posita promoueret ad culmen, sed eos, qui sui tendebant patris ad caedem, in profunda daret et euolueret in ruinam. 227 Serm. 55,5-6,70-87, PC I,374-376: Adiecit aliam similitudinem: «Aut numquid pro pisce serpentem dabit illi» (Lc. 11,11)? Erat et piscis Christus Iordanis leuatus ex alueo (cfr. Mt. 3,13-17; Mc. 1,9-11; Lc. 3,21-22; 4,1; Io. 1,28-34), qui carbonibus positus passionum post resurrectionem suis, id est, discipulis, escam praebuit tunc uitalem (cfr. Io. 21,1-14). Sed Iudaeis in serpentem piscis iste mutatur, dicente domino: «Sicut Moyses exaltauit serpentem in deserto, ita exaltari oportet filium hominis» (Io. 3,14). Iudaeus in serpente uidebat Christum, quia impius oculus deum non potest uidere, non potest uidere pietatem. Dixit et tertiam similitudinem: «Numquid si petierit ouum, porriget illi scorpionem» (Lc. 11,12)? Consuetum est et solemne semper paruulos ouum petere, et parentes ouum pusillis petentibus non negare. Sed quia Christus uenerat congregare sicut gallina pullos suos (cfr. Mt. 23,37), ouum protulit uerbi, per quod ecclesiae germina sancta nutrirentur. Sed quia Iudaeus per inuidiam effundere magis quam sumere eum uolebat, repperit ibidem scorpionem, ut, iuxta apostolum, «mandatum, quod erat» illis «in uitam, hoc» illis esset «ad mortem» (Rom. 7,10). 214 INDICI remissione nei confronti del rifiuto giudaico del Messia. Dal pane al sasso, dal pesce al serpente, dall’uovo allo scorpione cresce l’accusa di impietas e invidia. Pietro rappresenta con drammaticità il rifiuto giudaico del Messia, sottolineando che è l’incredulità il primo dei guai, dei mali del popolo eletto di fronte alla venuta di Cristo. Nel sermone 131 leggiamo un testo nel quale, a partire dal rifiuto a credere, il giudeo è presentato in una sequenza incalzante di peccati: “Se Dio è veduto tante volte dagli uomini in figura d’uomo, perché mai il Giudeo or ora, vedendo Cristo in aspetto d’uomo, lo irrita in tal modo, a meno che, per caso, la figura, l’onore, la verità, siano ritenute offese? L’evangelista ha riferito oggi che Cristo ha detto: Se uno osserverà le mie parole, non vedrà la morte in eterno (Io. 8,51). A questa affermazione replicarono i Giudei: Ora conosciamo che hai un demonio. Abramo, nostro padre, è morto e così i profeti, e tu dici: “Se uno osserverà le mie parole, non vedrà la morte in eterno”. Forse tu sei più grande del padre nostro Abramo e dei profeti? Chi pretendi di essere (Io. 8,52-53)? In qual modo l’incredulità investe tutti! O in qual modo il livore chiude gli occhi! Come la malvagità preconcetta sconvolge il giudizio del cuore! Con quanta durezza la caparbietà tronca la ragione! L’intelletto umano pervertito non può ascoltare ciò che una volta ha deciso di odiare. Ai malvagi la bontà è odiosa, la giustizia è nemica degli ingiusti. Ecco perché gli uomini in mezzo alla menzogna non possono conoscere prima la verità. L’animo, che giudica, non può trovare il vero tra le affermazioni della falsità. Chi ha deciso di sbagliare, ascolta sempre ciò che vuole, non ciò che ode. Cristo aveva detto: Se uno osserverà le mie parole, non vedrà la morte in eterno (Io. 8,51). Il Giudeo non discute ciò che ha udito, non cerca di comprendere ciò che gli viene detto: ciò che egli giudica impossibile, chiede che lo dimostri chi lo promette. Ma tosto, per concepimento della sua mente egli partorisce bestemmie, genera ingiurie, diffonde calunnie e si sforza di svuotare con le offese l’autorità di chi parla, in modo che non si creda che ai mortali possa concedere una sorte eterna Colui che si vede così soggetto alle condizioni umane.”228 228 Serm. 131,4-6,36-60, PC III,48: Si totiens deus ab hominibus in figura hominis uidetur, quid est quod Iudaeus modo in hominem uidens sic exasperat Christum, nisi forte figura, honor, ueritas putatur iniuria? Retulit euangelista hodie Christum dixisse: «Si quis sermonem meum seruauerit, non uidebit mortem in aeternum» (Io. 8,51). Ad quod uerbum responderunt Iudaei: «Nunc cognouimus quia daemonium habes. Abraham» pater noster «mortuus est et prophetae, et tu dicis: Si quis sermonem meum seruauerit, non uidebit mortem in aeternum. Numquid tu maior es patre nostro Abraham et prophetis? Quem teipsum facis» (Io. 8,52-53)? Omnes perfidia qualiter excipit! O qualiter oculos claudit liuor! Quantum iudicium cordis nequitia praeiudicata confundit! O quam dure amputat obstinatio rationem! Sensus humanus peruersus audire non potest quod semel statuit odisse. Malis bonitas exosa, iustitia iniustis inimica. Hinc est quod homines mendacium inter praecognoscere nequeunt ueritatem. Iudex animus inuenire uerum non potest inter nuntia falsitatum. Quod uult, non quod est, audit semper qui decreuit errare. Dixerat Christus: «Si quis sermonem meum seruauerit, mortem non uidebit in aeternum» (Io. 8,51). Iudaeus non discutit audita, interpretari sibi dicta non quaerit; quod ipse inpossibile existimat, exigit ut ille adstruat, qui promittit. Sed mox de conceptu mentis blasphemia parturit, gignit iniurias, maledicta diffundit, et auctoritatem dicentis ita contumeliis uacuare nititur, ut et aeterna dare posse mortalibus non credatur, qui sic humanis uidetur subiacere. INDICI 215 Perfidia, liuor, nequitia, obstinatio, blasphemia, iniuria, maledicta, contumelia: il vocabolario del Crisologo a proposito del rinnegamento della fede da parte dei giudei non lascia evidentemente spazio ad alcuna forma di irenismo. La mancanza di fede al momento della venuta di Cristo porta i giudei a snaturare persino il loro rapporto con la Legge, che era invece stata data come pedagogo a Cristo. Commentando la parabola lucana del fico sterile, Pietro dice: “Ma per ignoranza, mentre pongono la loro fiducia nell’intera Legge e non si preoccupano dell’attesa di Cristo, non meritarono né di accogliere né di riconoscere Cristo; e così furono ingannati dai cavilli legali, come il fico con i suoi frutti, che non maturano, inganna gli inesperti. Ecco perché il Signore rimanda al fico quelli che desiderano sapere il tempo della sua venuta, dicendo: Quando vedete che il fico mette fuori i suoi frutti intempestivi, dite che è vicina l’estate. Anche voi, quando vedrete ciò che dico, sappiate che il regno di Dio è vicino (cfr. Lc. 21,29-31). Vedete che il fico non indica gli avvenimenti presenti, ma quelli futuri. Ma ormai seguiamo secondo l’ordine la parabola proposta.”229 In questo importante tratto del suo commento, il Pastore ravennate, mentre loda la fiducia nella Legge da parte dei giudei, ne indica allo stesso tempo il limite, riscontrabile nella misura in cui essa non li porta ad attendere il Messia. L’accusa qui rivolta diviene quella di ignorantia. L’ignorantia non consente ai giudei di cogliere, dietro l’umanità del Nazareno, la divinità del Figlio. Commentando la parabola lucana della dramma perduta, Pietro identifica l’antica moneta con Cristo e la donna che la cerca senza trovarla con la Sinagoga,230 la quale è perciò accusata di averla smarrita: Serm. 106,4,53-61, PC II,312: Ignari uero, dum fiduciam gerunt in lege tota, neque sunt de Christi expectatione solliciti, neque suscipere Christum neque agnoscere meruerunt; et ita sunt legalibus decepti flosculis, sicut nescios grossis suis decipit ficus. Hinc est quod dominus aduentus sui tempora scire cupientes mittit ad ficum dicens: «Cum uideritis quia ficus producit grossos suos, dicitis quia prope est aestas. Et uos cum uideritis haec quae dico, scitote quia prope est regnum dei» (cfr. Lc. 21,29-31). Videtis quia ficus non signat praesentia, sed indicat sic futura. Sed iam per ordinem propositum prosequamur exemplum. 230 In pratica la donna viene ad acquisire una sorta di doppia personalità: quando perde la dramma e la cerca senza ritrovarla è la Sinagoga, quando invece finalmente la ritrova diviene la Chiesa! In realtà la storia dell’interpretazione patristica di Lc. 15,8-10 è abbastanza lunga e articolata. Alcune idee crisologhiane affondano le radici molto lontano. Già Tertulliano dice che la casa è la Chiesa, la luce della lucerna è la Parola di Dio, e che la dramma perduta rappresenta il pagano ancora nel mondo e la dramma ritrovata il cristiano oramai illuminato dalla luce di Dio (cfr. Tertullianus, De pudicitia 7,10-23, Tertulliani, Opera. Pars secunda. Opera Montanistica, [CCL 2], Turnohlt 1954, pp. 1293,44–1294,99). Molto più importante è un passo del commento di Origene ai Romani, dove troviamo l’identificazione crisologhiana dramma = Cristo e soprattutto l’idea dell’impossibilità per i giudei di trovare Cristo: sapientia est, quae drachmam perditam quaesivit et quaerens invenit. Iudaei autem usque adhuc quaerunt de Christo et interrogant scripturas de eo et non inveniunt, quia crux eius Iudaeis est scandalum (vedi Origenes, Commentarii in epistulam ad Romanos 8,6, Origenes, Commentarii in Epistulam ad Romanos. Liber septimus, liber octavus. Römerbriefkommentar siebtes und achtes Buch. Übersetzt und eingeleitet von T. Heither, [Fontes Christiani 2/4], Freiburg etc. 1994, p. 238). Il riferimento 229 216 INDICI “Cristo è la moneta piena di divinità, Cristo è la dramma della nostra redenzione e del nostro riscatto, Cristo è Colui che stava nel decalogo della Legge e rimaneva nascosto, Cristo è quello che la Sinagoga possedeva e non vedeva per l’ostacolo delle tenebre. Abbiamo chiamato dieci dramme le dieci parole della Legge, una delle quali la Sinagoga aveva perduta. Una quale? Quella che nella Chiesa per primo aveva trovato Giovanni, perché egli era una lampada ardente, come dice il Signore: Egli era la lampada (Io. 5,35). E infatti l’evangelista afferma: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio (Io. 1,1).”231 crisologhiano al decalogo, le dieci parole della Legge, si trova in un testo attribuito a Cipriano, compilato probabilmente in Africa nel IV secolo (cfr. H. Koch, Die pseudo-cyprianische Schrift “De centesima” in ihrer Abhängigkeit von Cyprian, in Zeitschrift für die neutestamentliche Wissenschaft 31 [1932], pp. 248-272). L’operetta, che P.F. Beatrice fa risalire tra la fine del II secolo e l’inizio del III (Beatrice, Martirio ed ascesi nel sermone pseudo-ciprianeo “De centesima, sexagesima, tricesima”, in Paradoxos politeia. Studi patristici in onore di Giuseppe Lazzati a cura di R. Cantalamessa e L.F. Pizzolato, [Studia Patristica Mediolanensia 10], Milano 1979, pp. 3-24), è stata scoperta e pubblicata da R. Reitzenstein. Nel contesto di un discorso centrato sul tema del martirio l’autore parla delle dieci parole della Legge scritte nel cuore, cita la parabola di Lc. 15,8-10 e presenta Cristo stesso come colui che compie il decalogo (cfr. R. Reitzenstein, Eine frühchristliche Schrift von den dreierlei Früchten des christlichen Lebens, in Zeitschrift für die neutestamentliche Wissenschaft 15 (1914), pp. 60-90. Il brano che a noi interessa si trova da p. 77 linea 101 a p. 78 linea 119). I cappadoci ci offrono interpretazioni suggestive della parabola lucana. Per Gregorio Nazianzeno la lucerna è la carne di Cristo e l’accensione sembra essere la sua incarnazione; la dramma è “l’immagine regale confusa per le passioni” (cfr. Gregorius Nazianzenus, Orationes 45,26, PG 36,660,A4-7. Passo identico in Gregorius Nazianzenus, Orationes 38,14, Grégoire de Nazianze, Discours 38-41. Introduction, texte critique et notes par C. Moreschini, traduction par P. Gallay, [SCh 358], Paris 1990, p. 136,12-15). Per il Nisseno la lucerna è il Logos (sposo) e la dramma è l’anima (sposa) (cfr. Gregorius Nyssenus, Commentarius in Canticum Canticorum 12, Gregorii Nysseni, In Canticum Canticorum, edidit H. Langerbeck, [Gregorii Nysseni Opera 6], Leiden 1960, p. 364, 10-14). Infine, per Ambrogio, che come i padri cappadoci utilizza moltissime volte Lc. 15,8-10, la dramma indica la fede, la grazia, la redenzione dell’anima (cfr. Ambrosius, Epistula 1,2, Sancti Ambrosii, Opera. Pars X. Epistulae et Acta. Tom. I. Epistularum libri I-VI. Recensuit O. Faller, [CSEL 82,1], Vindobonae 1968, pp. 3,9-4,21). Su Pietro Crisologo possono aver influito due passi del commento al Vangelo di Luca: nel primo Ambrogio istituisce un parallelo tra la dramma e la mina. A proposito della mina che ha fatto dieci mine (Lc. 19,16) dice: «E qui possiamo intendere per dieci mine le dieci parole, cioè la dottrina della Legge» (Ambrosius, Expositio Evangelii secundum Lucam 8,92, Sancti Ambrosii Mediolanensis, Opera. Pars IV. Expositio Evangelii secundum Lucam. Fragmenta in Esaiam, [CCL 14], Turnholt 1967, p. 332,1084-1085). Nel secondo passo, commentando Lc. 11,33 (Nessuno accende la lucerna e la pone in un luogo nascosto né sotto il moggio, ma sopra il candelabro) e parlando del rapporto Chiesa-Sinagoga, dice: «Nessuno dunque collochi la fede sotto la Legge; la Legge è infatti dentro la misura, la grazia è oltre la misura: la Legge adombra, la grazia chiarifica. E perciò nessuno chiuda la sua fede dentro la misura della Legge, ma la porti alla Chiesa, dove brilla la grazia dello Spirito settiforme.» (Id., Expositio Evangelii secundum Lucam 7,98, ibid., p. 247,1025-1029). 231 Serm. 169,4,48-56, PC III,274: Christus est plenum deitatis nomisma, Christus est dragma nostrae redemptionis et pretii, Christus est qui erat in legis decalogo et latebat, Christus est quem habebat synagoga, et tenebris inpugnantibus non uidebat. Decem dragmas decem legis INDICI 217 La presenza nascosta di Cristo nel codice della Legge da un lato lo mette a disposizione della Sinagoga, dall’altro non consente ad essa un accesso completo al mistero del Messia: la Sinagoga possiede Cristo ma è incapace di vederlo, tenebris impugnantibus. La cecità giudaica è il motivo più forte del rifiuto a cogliere, per fede, la natura divina del Messia. Tutto il sermone 48, nel quale Pietro commen-ta il testo evangelico della visita di Cristo alla sinagoga di Nazaret, è una lunga invettiva alla invidia dei giudei, ai quali il Pastore ravennate sembra rivolgersi direttamente e personalmente con frequentissimi accorati appel-li. Il nostro autore riscrive in questa luce polemica tutta la storia dell’umanità e compone una drammatica storia dell’invidia, dall’orgoglio primordiale di Lucifero all’esaltazione di Adamo, cacciato dall’Eden, dall’omicidio di Abele da parte di Caino alle ingiurie di Aronne verso Mosè. Tale storia raggiunge il suo culmine al momento dell’avvento di Cristo: “L’invidia fece precipitare dal cielo l’angelo (cfr. Is. 14,12; Apoc. 12,9), escluse l’uomo dal paradiso terrestre (cfr. Gen. 3,5.23-24); essa per la prima volta contaminò la terra col sangue fraterno (cfr. Gen. 4,5.8), fu essa che indusse i fratelli a vendere il fratello (cfr. Gen. 37,11.28), fu essa che fece fuggire Mosè (cfr. Ex. 2,15), che spinse Aronne a offendere il fratello (cfr. Num. 12,1ss.), che macchiò Maria col livore verso il fratello (cfr. Num. 12,9); e, per dirla in breve – cosa che la mente paventa, che la vista teme, che l’udito non vuole ascoltare – mirò e arrivò persino al sangue di Cristo.”232 Anche su questo punto, dell’uccisione di Cristo, la predicazione del Crisologo spicca per nettezza. Per lui non sussistono dubbi circa le responsabilità effettive, materiali e morali, dei giudei nell’uccisione di Cristo. Ecco un testo nel quale Pietro accorpa insieme quanti non rendono culto a Dio secondo il paolino rationabile obsequium: “Il vostro, dice, ragionevole ossequio (Rom. 12,1). L’ossequio secondo ragione è un entusiasmo pieno d’ardore, mentre è una pazzia quello che non è governato dalla ragione. Per questo motivo il popolo giudaico (cfr. Ex. 32), mentre si cerca un Dio oltre i limiti della ragione, perdette il Dio cui serviva secondo ragione. Per questo i figli di Aronne (cfr. Lev. 10), immemori della ragione, osando accostare fuochi terreni ai fuochi divini, trasformarono a proprio danno la fiamma del sacrificio della salvezza in un incendio di pena. Per questo Saul (cfr. 1 Sam. 15), diximus uerba, ex quibus uerbum perdiderat synagoga unum. Quod unum? lllud quod in ecclesia primus, quia lucerna ardens erat, Iohannes inuenit, dicente domino: «Ille erat lucerna» (Io. 5,35) - dicens euangelista: «In principio erat uerbum, et uerbum erat apud deum, et deus erat uerbum» (Io. 1,1). 232 Serm. 48,5,83-89, PC I,336: Inuidia de caelo deiecit angelum (cfr. Is. 14,12; Apoc. 12,9), de paradiso exclusit hominem (cfr. Gen. 3,5.23-24), ipsa primum contaminauit terras germano sanguine (cfr. Gen. 4,5.8), ipsa germanos compulit uenundare germanum (cfr. Gen. 37,11.28), ipsa Moysen fugauit (cfr. Ex. 2,15), Aaron in fratris excitauit iniuriam (cfr. Num. 12,1ss.), Mariam maculauit liuore germani (cfr. Num. 12,9); ac ne multis, quod pauet mens, quod uisus tremit, quod auditus non capit: ipsum Christi tetendit et peruenit ad sanguinem. 218 INDICI insuperbito dalla dignità regale, mentre ritiene che gli sia lecito qualche compito sacerdotale, quale profanatore dell’altare perdette il regno che aveva ricevuto. Per questo il Giudeo, mentre osserva la Legge senza la ragione della Legge, uccise l’Autore della Legge. Per questo il pagano, mentre, ignorando la ragione, con processioni di dèi e mostri di dee esercita il culto, non meritò di giungere alla servitù del Dio che è vero e unico. Per questo Ario crede di onorare il Padre bestemmiando il Figlio e, mentre segna un inizio per il Figlio, miserevolmente pone fine al Padre. Per questo Fotino, mentre nega che il Figlio sia coeterno al Padre, si sforza di provare che il Padre non è stato sempre padre. Per questo tutte le eresie, mentre si lasciano andare ad offendere la Divinità, mentre con parole menzognere fingono di riconoscere la Trinità, la fanno oggetto delle loro bestemmie.”233 Sebbene inserita in un contesto polemico assai ampio, -- Crisologo bersaglia insieme, secondo un genere letterario ormai ben collaudato, i tradizionali nemici esterni e interni alla compagine della grande Chiesa, giudei, pagani e cristiani eretici --, non può sfuggire la gravità dell’accusa crisologhiana rivolta ai giudei: Hinc Iudaeus, dum legem sine legis ratione excolit, legis interemit auctorem. L’invidia giudaica viene dunque identificata come la causa prossima dell'uccisione di Cristo. Commentando la parabola del figlio prodigo leggiamo in proposito: “L’invidia è un male di vecchia data, il primo flagello, un antico filtro mor-tale, il veleno dei secoli, la causa della fine. Questa in principio cacciò lo stesso angelo e lo fece precipitare dal cielo (cfr. Is. 14,12; Apoc. 12,9); questa escluse dal paradiso terrestre l’uomo capostipite della nostra generazione; sempre questa tenne lontano dalla casa paterna il fratello maggiore. Questa armò la progenie di Abramo, quel popolo santo, per l’uccisione del proprio Autore, per la morte del proprio Salvatore.”234 233 Serm. 109,4,62-78, PC II,328-330: «Rationabile», inquit, «obsequium uestrum» (Rom. 12,1). Obsequium ratione calens feruor est, furor est quod ratione non frenatur. Hinc Iudaicus populus (cfr. Ex. 32), dum deum sibi praeter rationem quaerit, deum, cui cum ratione seruiebat, amisit. Hinc filii Aaron (cfr. Lev. 10) rationis immemores, dum praesu-munt terrenos ignes diuinis ignibus admouere, flammam sacrificii salutaris in poenale sibi incendium conmutarunt. Hinc Saul (cfr. 1 Sam. 15) tumens regali uertice, dum putat sibi de sacerdotio quid licere, regnum quod acceperat altaris temerator amisit. Hinc Iudaeus, dum legem sine legis ratione excolit, legis interemit auctorem. Hinc gentilis, dum deorum pompis et dearum monstris nescius rationis obsequitur, ad dei, qui unus et uerus est, peruenire non meruit seruitutem. Hinc Arrius patri se putat obsequi filium blasphemando, et dum filio dat initium, patri finem miserandus inponit. Hinc Fotinus, dum coaeternum patri filium negat, pater ut pater non semper fuerit elaborat. Hinc omnes haereses, dum feruntur in deitatis iniuriam, dum trinitatem mentiuntur uocabulis, blasphemiis obsecuntur. 234 Serm. 4,1,19-26, PC I,66: Inuidia malum uetustum, prima labes, antiquum uirus, saeculorum uenenum, causa finis. Haec in principio ipsum angelum eiecit et deiecit e caelo (cfr. Is. 14,12; Apoc. 12,9); haec de paradiso hominem principem nostrae generationis exclusit; ipsa hunc seniorem fratrem paterna seclusit domo. Haec Abrahae progeniem, populum sanctitatis illum, ad auctoris sui caedem, ad mortem sui saluatoris armauit. INDICI 219 Ma il testo più duro rimane, a proposito dell’invidia che porta all’ucci-sione violenta di Cristo, quello del sermone 172, dove Pietro commenta l’invettiva di Gesù contro i dottori della Legge (Lc. 11,52: "Guai a voi, dottori della Legge, che togliete le chiavi della scienza, voi non vi siete entrati e avete impedito ad altri di entrarvi"): “L’invidia devasta i popoli: infatti fece che fossero deicidi - se questo si può dire, se la parola lo consente - i Giudei. Abbiamo detto deicidi, non per il risultato che il delitto raggiunse, ma per quello cui mirava. Infatti, in Cristo i Giudei tentarono di estinguere non soltanto l’uomo, ma Dio, il Figlio di Dio, di ucciderne le virtù, quando dicono: Questo è l’erede, venite, uccidiamolo e la sua eredità sarà nostra (Mc. 12,7).”235 Avviandoci alla conclusione di questa triste rassegna di testi crisolo-ghiani dal tono fortemente e indubitabilmente antigiudaico, segnaliamo che in più punti il nostro autore mostra una coscienza molto limpida circa la drammaticità, il dolore delle conseguenze dell’uccisione di Cristo da parte di coloro che, ai suoi occhi, ne sono gli effettivi assassini. L’uccisione del Messia si ritorce ferocemente sulla Sinagoga, e il circolo di cieca violenza si richiude così all’interno del popolo giudaico. Vediamo su questo aspetto un paio di esempi. Commentando l’epiteto di progenies uiperarum adoperato da Giovanni Battista, Crisologo scrive: “I Giudei, invece, razza di vipere, morte della loro madre, assassinio del loro padre, mentre uccidevano Cristo, squarciavano il grembo della Sinagoga, loro madre. Veramente, come sta scritto, progenie di vipere (Mt. 3,7), abbassavano il capo, adulavano con la lingua, ferivano con gli inganni, diffondevano veleni con le calunnie; e, come se non fosse sufficiente per l’odio del disprezzo, per l’offesa dell’indagine, così perseguivano Cristo con le insidie, lo mettevano alla prova con gli inganni, lo molestavano con le domande, lo assalivano con le contumelie, lo circondavano bramosi con ogni forma di simulazione; gli adducevano contro quelli che chiedevano di essere guariti di sabato: affinché, se non li avesse guariti, ne derivasse il disprezzo attribuito all’incapacità, mentre, se li avesse guariti, sussisteva l’accusa giustificata dalla Legge (cfr. Mt. 12,10; Mc. 3,2; Lc. 6,7). Gli domandavano con quale potere (Mt. 21,23; Mc. 11,28; Lc. 20,2) facesse miracoli a suo arbitrio: affinché, se avesse detto per volere della Divinità, potessero suscitargli contro l’inimicizia; se avesse taciuto, potessero rivolgergli l’accusa di magia. Dicevano, infatti: Nel nome di Beelzebul, principe dei demoni, scaccia i demoni (Lc. 11,15). E, come oggi si è letto, per i discepoli inventavano l’accusa al maestro famigerato per il banchetto dei pubblicani; con il maestro accusavano i discepoli di non digiunare, di essere dediti agli stravizi. Ma con livore cercavano di diffondere Serm. 172,3,27.32-38, PC III,290-292: Inuidia … uastat populos, namque Iudaeos haec si dici fas est, si capit sermo - fecit esse deicidas. Deicidas diximus, non quo peruenit, sed quo facinus hoc tetendit; in Christo enim Iudaei non hominem tantum, sed deum, filium dei, conati sunt opprimere, necare uirtutes, cum dicunt: «Hic est haeres, uenite, occidamus eum, et nostra erit haereditas eius» (Mc. 12,7). 235 220 INDICI cause di odio e semi di discordia nei discepoli sul conto del maestro, nel maestro sul conto dei discepoli.”236 Il secondo esempio lo traiamo dal commento di Pietro al celebre episodio matteano del soffocamento della notizia della risurrezione di Cristo da parte delle autorità giudaiche che comperano con denaro le guardie del sepolcro. Leggiamo nel Sermone 76: “Frattanto i Giudei o comprano in malo modo le loro colpe o vendono peggio ancora quelle degli altri, mentre fissano un prezzo per i peccati, mentre col denaro valutano e compensano i delitti, mentre sperperano nelle scelleratezze quanto avevano accumulato con ogni scelleratezza. Così si procacciano in Giuda (cfr. Mt. 26,15 e parall.) un traditore del suo Signore e assegnano un prezzo al sangue del Redentore del mondo; così tentano di chiudere con una piccola borsa la fede suscitata da un sepolcro spalancato, in modo da mercanteggiare il crimine di negare la risurrezione con i soldi provenienti dai loro crimini. Diedero, dice, una grossa somma ai soldati, dicendo: ‘Dite, i suoi discepoli sono venuti di notte e l’hanno rubato mentre noi dormivamo. E se il governatore ne sarà informato, noi lo persuaderemo e vi garantiremo l’impunità’. E quelli, preso il denaro, fecero come era stato loro insegnato, e questa diceria si è diffusa presso i Giudei fino ad oggi (Mt. 28,1215). Presso i Giudei: non forse presso i cristiani? Giudeo, quella verità che tu in Giudea nascondevi con l’oro, con la fede è apparsa chiara e ha brillato in tutto il mondo. I discepoli accolsero, non rubarono Cristo; tu ti sei procu-rato la slealtà, ma non sei riuscito a sottrarre la verità. Giudeo, Cristo è risorto, tu hai perduto il tuo denaro. Il suo sangue sopra di noi e sopra i nostri figli (Mt. 27,25). Giudeo, Cristo vive, tu hai ucciso te stesso e i tuoi discendenti.”237 236 Serm. 31,1,11-29, PC I,232: Iudaei uero, uiperinum germen, genetricis mors, genitoris occisio, dum perimunt Christum, synagogae matris uterum disruperunt. Vere, sicut scriptum est, «progenies uiperarum» (Mt. 3,7), summittebant capita, adulabant lingua, uulnerabant dolis, blasphemiis uenena fundebant; et quasi non sufficeret ad odium contemptus, dispectus ad iniuriam, sic Christum sequebantur insidiis, temptabant dolis, interrogatione pulsabant, adpetebant contumeliis, et tota cupidi simulatione uallabant; obiciebant curandos sabbato, ut si non curasset, fieret de inpossibilitate contemptus; de lege maneret calumnia, si curasset (cfr. Mt. 12,10; Mc. 3,2; Lc. 6,7). Interrogabant «in qua potestate» (Mt. 21,23; Mc. 11,28; Lc. 20,2) faceret sua iussione uirtutes, ut si dixisset deitatis, inuidiam commouerent; si tacuisset, artis magicae crimen inferrent. Dicebat enim: «In Behelzebub, principem daemoniorum, eiicit daemonia» (Lc. 11,15). Et, sicut hodie lectum est, apud discipulos magistrum notum de publicanorum conuiuio componebant; apud magistrum discipulos ieiunii nescios, gulae deditos accusabant. Sed discipulis de magistro, magistro de discipulis odiorum causas, discordiae semina, liuore iactabant. 237 Serm. 76,4,80-97, PC II,114: Inter haec Iudaei crimina aut male emunt sua, aut distrahunt peius aliena, dum peccata taxant pretio, dum pecunia pensant et conpensant delicta, dum in sceleribus suffundunt quod toto scelere congregauerunt. Sic Iudam (cfr. Mt. 26,15 et parall.) comparant traditorem domini sui, et pretio redemptoris mundi sanguinem pensant; sic aperti sepulchri fidem claudunt sacculo, ut negandae resurrectionis crimen nummis criminum mercarentur. «Pecuniam», inquit, «copiosam dederunt militibus dicentes: Dicite quia discipuli eius uenerunt nocte, et furati sunt eum nobis dormientibus. Et si praeses audierit, nos suadebimus ei, et securos uos faciemus. At illi accepta pecunia fecerunt sicut erant docti, et diffamatum est uerbum istud apud Iudaeos usque in hodiernum diem» (Mt. 28,12-15). «Apud Iudaeos»: INDICI 221 È interessante notare anzitutto in questo brano, dopo la citazione mat-teana, la domanda posta dal Crisologo - "Non forse presso i cristiani?" - che sembra un'attualizzazione dell'espressione evangelica "Presso i Giudei". Essa può indicare da un lato, da un punto di vista metodologico, il solito uso crisologhiano della categoria giudei/cristiani; d'altro lato, guardando al contenuto, la domanda risulta un espediente pastorale: il vescovo rivolge ai suoi fedeli un quesito provocatorio sottintendendo, forse ironicamente, che l'antica diceria giudaica non è poi così remota ed estranea, ancora oggi, alla comunità dei credenti cristiani e quindi sottolineando la secolare fatica ad affermarsi da parte della verità dell'annuncio cristiano della risurrezione di Cristo. Inoltre, il commento crisologhiano sulla menzognera diceria di origine giudaica circa la risurrezione di Cristo diventa sulle labbra del nostro autore, come più volte abbiamo riscontrato nel sermonario, una sorta di dialogo diretto e personale tra il vescovo cristiano e l'interlocutore giudeo, un interlocutore presente fisicamente o almeno idealmente, comunque un destinatario, sia pure indiretto, del discorso al popolo. Infine, il secondo esempio portato, come del resto il primo, conferma l'esito drammatico della morte di Cristo che, per Crisologo, è imputabile ai giudei. La potenza di violenza e di sangue, sprigionate da quell'evento di morte, ricade senza remissione sui figli d'Israele, di generazione in generazione. Chiudiamo questa imbarazzante pagina del nostro studio che non ha potuto evitare, anzi ha dovuto registrare ed ha voluto porre in rilievo anche l’aspetto innegabilmente antigiudaico di alcuni tratti della predica-zione crisologhiana, con una nota circa l’effetto positivo che il rifiuto e l’indurimento di Israele – per esprimerci con linguaggio e idee paoline – porta agli altri popoli. È anche questo un elemento, l’ultimo, da tenere presente a proposito di come è trattata, nel sermonario, la complessa questione del rapporto tra i giudei e Cristo. Citiamo in questo senso un bel passo del commento del nostro autore al passo lucano del centurione di Cafarnao che invia le ambascerie a Gesù per la guarigione del suo servo in fin di vita: “Gesù, dice, andava con loro (Lc. 7,6), ma quelli non andavano con Gesù, con il quale non andavano con l’animo; né erano con lui quelli che, separati nel cuore, col corpo sembravano uniti. E ormai non essendo lontano (Lc. 7,6). Da chi? Dal pagano. Quanto i Giudei si separavano da Cristo, tanto Cristo si univa ai pagani. E quando ormai non era lontano, il centurione gli mandò degli amici (Lc. 7,6). Colui che prima aveva mandato dei Giudei, ora manda degli amici, per indicare, chiamando amici quelli, i nemici, come dimostra l’Apostolo quando dice: Nemici per vostro vantaggio (Rom. 11,28). I Giudei, mentre erano invidiosi che i pagani avessero creduto, perdettero tutto ciò che riguardava la Legge e la grazia. Gli mandò degli amici (Lc. 7,6). Quali amici? Ascolta il Signore che dice agli apostoli: numquid apud christianos? Iudaee, quod tu in Iudaea obscurabas auro, fide toto claruit et eluxit in mundo. Discipuli receperunt, non furati sunt Christum; tu perfidiam comparasti, sed non furatus es ueritatem. Iudaee, resurrexit Christus, tu pecuniam perdidisti. «Sanguis eius super nos et super filios nostros» (Mt. 27,25). Iudaee, Christus uiuit, tu te et tuos posteros occidisti. 222 INDICI Ormai non vi chiamerò più servi (Io. 15,15), ma amici. Come la fede promuove i servi ad amici, così l’incredulità riduce i figli alla pena della schiavitù.”238 Si evince da questo passo l’esistenza, nell’approccio di Crisologo al problema del rapporto tra i giudei e Cristo, di una teologia molto vicina a quella di s. Paolo. Il rifiuto dei giudei a credere diviene opportunità per la fede dei gentili. Non solo. Si può dire che per il nostro autore esiste un rapporto direttamente proporzionale tra l’incredulità dei giudei e la fede dei pagani: Quantum Iudaei seiungebantur Christo, Christus tantum gentibus iungebantur. Siamo così giunti, dall’esame di numerosi testi sulla santità e la salvezza del popolo eletto, a fare emergere dalla predicazione crisologhiana la concezione che Pietro mostra di avere della natura profonda di Israele, sia nel rapporto tra Cristo e il popolo giudaico, sia, in termini estremamente problematici, nel doloroso rifiuto dei giudei nei confronti di Cristo. Abbiamo ottenuto una descrizione abbastanza completa su come Crisologo intenda la natura del popolo eletto di fronte a Dio. Passiamo ora, sulla scorta delle pagine precedenti, a descrivere come il nostro autore immagina il rapporto del popolo - eletto alla santità e alla salvezza di Cristo - con gli altri popoli, e quindi con il resto dell’umanità. CAPITOLO VI ISRAELE DI FRONTE AGLI ALTRI POPOLI 1. Cristo e la Legge: due peculiarità Dopo l’esame dei più importanti testi crisologhiani che ci descrivono la natura profonda, l’identità del popolo giudaico così come viene definita di fronte a Dio, cioè a partire dal punto di vista di Dio, di Gesù Cristo, dello Spirito Santo, e soprattutto dalla storia di santità e di salvezza che Dio stesso ha voluto costruire con il suo popolo, ci volgiamo ora a considerare quei testi di Pietro nei 238 Serm. 102,5,49-60, PC II,286: «Iesus», inquit, «ibat cum illis» (Lc. 7,6), sed illi non ibant cum Iesu, cum quo mente non ibant; nec cum illo erant, qui seiuncti corde corpore, uidebantur adiuncti. «Et cum iam non longe esset» (Lc. 7,6). A quo? A gentili. Quantum Iudaei seiungebantur Christo, Christus tantum gentibus iungebatur. «Et cum non longe esset, misit ad eum centurio amicos» (Lc. 7,6). Qui ante miserat Iudaeos, nunc amicos mittit, ut illos dicendo amicos indicet inimicos, probante hoc apostolo cum dicit: Inimici propter uos (Rom. 11,28). Iudaei dum credidisse gentes inuident, quidquid erat et legis et gratiae perdiderunt. «Misit ad eum amicos» (Lc. 7,6). Quos «amicos»? Audi ad apostolos dominum dicentem: «Iam non dicam uos seruos» (Io. 15,15), sed amicos. Sicut fides seruos promouet in amicos, ita perfidia filios in poenalem redigit seruitutem. INDICI 223 quali vengono enucleate le conseguenze, gli effetti che la storia speciale degli ebrei con il Dio d’Israele comporta al momento dell’inevitabile impatto del popolo eletto con gli altri popoli, globalmente con coloro che, a motivo della stessa natura speciale del popolo giudaico, vengono da Israele implacabilmente percepiti come altri. Per fare questo nuovo passo della nostra ricerca, dobbiamo da un lato tenere ben presente quanto si è notato circa quella che, secondo il nostro autore, un vescovo cristiano del V secolo, è la vera origine, la motivazione radicale della diversità del popolo giudaico: Israele è diverso a motivo del rapporto che Cristo, il Figlio di Dio, ha instaurato con lui sia nella storia delle origini, al momento della creazione di Adamo e Eva, sia nello svol-gersi, a volte apparentemente imprevisto e tormentato, della storia della salvezza, soprattutto attraverso Abramo, Mosè e gli altri profeti, sia nella pienezza dei tempi, mediante gli eventi misteriosi dell’incarnazione e della risurrezione dai morti. Su questo punto, come si è ampiamente rilevato, Crisologo mostra tutta la forza e la naturalezza di una riflessione teologica veramente cristiana sul mistero d’Israele, sul posto unico e irripetibile che il popolo giudaico viene ad assumere all’interno del disegno provvi-denziale di Dio, anche se possono non mancare – e le abbiamo notate – variazioni significative della predicazione crisologhiana sul tema dell’ele-zione degli ebrei, e perciò flessioni, segnali vistosi di una elaborazione complicata, direi dolorosamente tormentata, del rapporto dei giudei con Gesù di Nazaret. D’altro lato, per procedere nel nostro studio, occorre premettere all’analisi dei Sermoni crisologhiani dai quali emergono elementi signifi-cativi del rapporto dei giudei con gli altri, coi non giudei, un’esplorazione ulteriormente chiarificatrice sul motivo della diversità del popolo di Israele rispetto a tutti gli altri popoli. È soltanto a motivo di Cristo che, secondo Crisologo, i giudei sono essenzialmente diversi dagli altri, in particolare dai pagani e dai cristiani? Nel trattare quest’importante domanda, ci ritroviamo inevitabilmente di fronte alla grande e grave questione della Legge, e di come i giudei si pongono rispetto alla Legge. Anticipiamo subito che, secondo Pietro, i giudei non sono diversi solo in ragione di Cristo. L’incarnazione del Figlio di Dio nella storia del popolo eletto, nella stirpe di Israele, non abolisce il privilegio dell’elezione, la primogenitura, per usare un’espressione biblica particolarmente significativa, ma, al contrario, la conferma. La diversità degli ebrei, in sé e rispetto a tutti, diversità che trova in Cristo, a livello teologico, la sua reale ragione d’essere, nasce, a livello storico, sul Sinai, col dono supremo e insuperabile della Legge. Analizziamo perciò, all’inizio di questo nuovo capitolo del nostro lavoro, in che senso, secondo Crisologo, Israele è diverso dagli altri non soltanto in ragione del dono di Gesù Cristo, ragione valida a livello teologico, ma soprattutto a motivo del dono della Legge di Mosè, Legge storicamente intervenuta prima della venuta del Messia. 2. Il popolo della Legge 224 INDICI Prendiamo le mosse ancora una volta da un tratto del commento di Pietro alla parabola lucana del figlio prodigo, alla quale, come si è già detto, il nostro autore attribuisce un’importanza particolare, impegnandovisi per almeno cinque volte, proprio all’inizio dell’attuale Collectio Feliciana. I due figli, il maggiore e il minore, come si ricorderà, rappresentano rispettivamente i giudei e i pagani, cioè il popolo eletto e tutti gli altri popoli. Tale distinzione – in realtà una vera e propria separazione, per non dire una radicale opposizione – si ritrova anche al momento di decifrare il significato della divisione ereditaria tra i due figli: “Dammi la parte del patrimonio che mi spetta (Lc. 15,12). E qual è questa parte? Qual è? L’aspetto, la parola, la conoscenza, la ragione, il giudizio, doti che, a preferenza di tutti gli altri esseri viventi, spettano all’uomo nella dimora terrena. Questa è, secondo l’Apostolo, una legge di natura (cfr. Rom. 2,14-15). E perciò divise tra loro la sostanza (Lc. 15,12), dando al più giovane queste cinque doti di natura, che abbiamo detto, al più vecchio i cinque libri della Legge da scrivere per ispirazione divina, mediante i quali la sostanza, disuguale nel merito, fosse uguale nel numero, l’una seguisse un ordinamento umano, l’altra sussistesse per disposizione divina; ed entrambe le leggi, tuttavia, conducessero entrambi i figli alla conoscenza del Padre, li mantenessero nel rispetto del loro Creatore.”239 Troviamo qui l’idea di una necessaria distinzione tra legge naturale e Legge mosaica240. La prima legge è la lex naturae: essa è costituita da cinque doti o beneficia naturae (habitus, sermo, scientia, ratio, iudicium) ed è data in sorte ai pagani. La seconda legge è la Legge mosaica: anch'essa è costituita da cinque elementi, è formata cioè dai primi cinque libri della Bibbia, libri scritti divinitus, ma, diversamente dalla prima, è assegnata ai giudei. Le due leggi, che hanno due ordini differenti, il primo umano e il secondo divino, non sono tuttavia in opposizione tra di loro: entrambe portano alla conoscenza e al rispetto dell’unico Padre. La caratteristica peculiare di Israele, rappresentato qui dal figlio maggiore, è dunque l’eredità della Torah, i primi cinque libri di Mosè ai quali gli ebrei di tutti i tempi attribuiscono un valore soprannaturale e assolutamente normativo, anche all’interno del canone veterotestamen-tario. Secondo Pietro i libri del Pentateuco sono divinitus inscribendi: con quest’espressione singolare si può 239 Serm. 5,3,31-40, PC I,74: «Da mihi portionem substantiae quae me contingit» (Lc. 15,12). Et quae est ista portio? Quae est? Habitus, sermo, scientia, ratio, iudicium, quae hominem prae ceteris animantibus in terrena habitatione contingunt. Haec est, iuxta apostolum, lex naturae (cfr. Rom. 2,14-15). Et ideo «diuisit illis substantiam» (Lc. 15,12), dando iuniori quinque ista quae diximus beneficia naturae; seniori quinque legis libros diuinitus inscribendos, per quos substantia inpar merito, numero par esset; humanum teneret ista ordinem, diuino illa subsisteret instituto; utraque tamen lex filios utrosque ad notitiam patris duceret, ad reuerentiam sui seruaret auctoris. 240 Ci discostiamo in proposito da quanto affermato da C. Truzzi in PC II,343, n. 3. Per una storia del concetto di legge naturale e per una buona riflessione sintetica attuale vedi A. Vendemiati, Legge naturale, in Rivista di teologia morale 31 (1999), pp. 295-301. INDICI 225 intendere che sia Dio ad affidare tali libri al suo popolo o a Mosè, il mediatore, perché li metta per iscritto, una compilazione fortemente condizionata – non si può qui precisare ulterior-mente la natura e la misura del condizionamento – dall’origine divina del mandato. Nello stesso discorso, il nostro autore si dilunga a descrivere il dramma del figlio primogenito che al ritorno dalla campagna trova già in svolgi-mento i festeggiamenti per il fratello fuggito e ritornato: “Ma il fratello maggiore, ma il figlio maggiore, venendo dal campo (cfr. Lc. 15,25) – popolo legale, la messe è molta, ma i mietitori sono pochi (Lc. 10,2) – ode la musica nella casa paterna, ode le danze, e non vuole entrare. Vediamo questo ogni giorno con i nostri occhi: infatti il Giudeo è venuto alla casa paterna, cioè alla Chiesa; se ne sta fuori per gelosia, ascolta l’arpa davidica suonare, ascolta la musica proveniente dal gruppo dei profeti, ascolta le danze dalla varia assemblea dei popoli, e non vuole entrare per gelosia. Standosene fuori, mentre secondo i costumi d’un tempo giudica il fratello pagano e ne prova orrore, si priva egli stesso dei beni paterni, egli stesso si esclude dalle gioie del padre.”241 L’eredità della Legge diviene a tal punto la caratteristica speciale del popolo di Israele che esso viene ad essere chiamato dal Crisologo populus legalis, "il popolo della Legge". Sullo sfondo, ovviamente, si sente la teolo-gia paolina con la nota opposizione tra chi ha ricevuto il privilegio straor-dinario del dono della Legge e chi, invece, non lo ha ricevuto e perciò non lo conosce242. 3. Gli impegni e gli errori di Israele verso la Legge Anche sul punto del rapporto instaurato dal popolo eletto rispetto alla Legge, sarebbe possibile ricostruire, collegando i dati offerti disparata-mente 241 Serm. 5,7,118-127, PC I,78: Sed frater senior, sed senior filius ueniens ex agro (cfr. Lc. 15,25), populus legalis, «messis quidem multa, operarii autem pauci» (Lc. 10,2), audit in domo patris symphoniam, audit choros, et introire non uult. Hoc cotidie oculis nostris intuemur; nam uenit Iudaeus ad domum patris, id est, ad ecclesiam; stat foris per inuidiam, audit Dauiticam citharam personare, audit ex conuentu prophetico symphoniam, ex populorum uario conuentu choros audit, et introire non uult, per inuidiam. Stans foris, dum gentilem fratrem pristinis iudicat et horret ex moribus, ipse se paternis bonis eximit, ipse se paternis excludit gaudiis. 242 Sull’importanza della Legge per gli ebrei e sulla problematicità della posizione paolina riguardo ad essa è interessante, anche se estremamente dura, l’intr. di D. Flusser allo studio di C. Thoma, Teologia cristiana dell’ebraismo (Christliche Theologie des Judentums, Aschaffenburg 1978), trad. dal ted. di V. Danna. Intr. di D. Flusser, [Radici 3], Casale Monferrato 1983. Sostanzialmente D. Flusser sostiene che i cristiani non hanno mai capito, fino agli odierni tentativi di teologia cristiana dell’ebraismo, il valore decisivo che per gli ebrei hanno la Legge e le sue osservanze, perché implacabilmente deviati, su questo punto, dalla relativizzazione cristologica negativa che ne ha fatto Paolo nel Nuovo Testamento (cfr. particolarmente le pp. XVIII-XX). Sulla questione del rapporto di Gesù con la Legge cfr. J. Ratzinger, La Chiesa, Israele e le religioni del mondo, Alba 2000, pp. 14-23. Sulla posizione di Paolo verso la Legge cfr. L. Ballarini, Paolo e il dialogo Chiesa - Israele. Proposta di un cammino esegetico, Bologna 1997, pp. 69-71. 226 INDICI nel sermonario, una vera e propria storia dell’umanità, segnata in una prima fase dall’elezione di Israele e in una seconda dall’estensione, mediante il mistero di Cristo, di tale elezione a tutti i popoli. Ci limitiamo qui, mentre riflettiamo sulla diversità acquisita da Israele davanti a tutti i popoli a motivo della Legge, ad una rapida rassegna delle conseguenze impegnative e perciò anche degli errori o almeno dei rischi che il dono della Legge produce nell’identità del popolo eletto. La Legge è un’eredità preziosa, come abbiamo appena rilevato, un dono impegnativo, totalmente assegnato alle gravi responsabilità umane dei giudei. Nel pensiero di Crisologo, assolutamente biblico, troviamo in proposito un’immagine chiarissima, quella del debito. Ogni eventuale dubbio circa il fatto che la gratuità del dono divino della Legge non preveda impegni e interessi dev’essere perciò dissolto. Nel commento della difficile pagina lucana sull’amministratore disonesto, accusato di sperperare le sostanze del padrone, il Pastore si sofferma lungamente sugli accordi e sulle frodi messe in atto dall’impiegato per non cadere in un fallimento completo. E naturalmente, giunto a spiegare la vera identità dei personaggi e della posta in gioco, dice che l’amministratore è il cristiano convertito dal paganesimo, i debitori sono i giudei e che il debito contrat-to è la Legge. Andando poi a precisare, mostra che Dio è il creditore e i giudei sono i debitori; la Legge è la garanzia, la cauzione, il documento scritto del contratto, dell’alleanza. Leggiamo il testo: “Si reca dunque l’amministratore, un tempo pagano e ormai cristiano, dal primo debitore del suo padrone. Chi è il debitore? Il Giudeo. E l’ammi-nistratore lo interroga. Chiede che cosa debba e per quale somma, come se non sapesse la misura del debito. L’esattore della garanzia la conosceva già mediante il Vangelo, ma con tale domanda cercava il riconoscimento del debito. Alla fine il debitore riconosce la qualità e la quantità del debito, dicendo: Cento barili d’olio (Lc. 16,6). Perché non una libbra d’argento e d’oro? Perché non centodieci o novanta, ma cento? Perché e dal debito e dal numero appaia chiaro il mistero celeste. Il Giudeo doveva l’olio che, mediante la garanzia della Legge, aveva ricevuto quale prefigurazione del crisma cristiano, per ungere i re, i profeti, i sacerdoti, in attesa di giungere allo stesso principe dei re, dei profeti e dei sacerdoti, cui doveva essere resa e riversata tutta la centenaria pienezza del crisma. Ma poiché il debitore, contro l’attestazione della garanzia, aveva empiamente ucciso il creditore per non restituire il debito, la stessa garanzia legale, cioè la Legge, passò ai pagani, affinché il Giudeo, convenuto mediante il pagano - poiché aveva mutato il debito in delitto - pagasse l’interesse del pentimento.”243 243 Serm. 126,7,81-97, PC III,22: Pergit ergo uillicus, gentilis quondam, iam christianus, ad primum debitorem domini sui. Quem? Iudaeum. Interrogat debitorem. Quid quantumque interrogat, quasi nesciat modum debiti. Portitor cautionis nouerat iam per euangelium, sed interrogando taliter confessionem perquirebat. Denique et qualitatem et quantitatem debitor confitetur dicens: «Centum cados olei» (Lc. 16,6). Quare non argenti uel auri pondus? Quare non centum decem, aut nonaginta, sed centum? Vt et de debito et de numero caeleste luceat sacramentum. Debebat Iudaeus oleum, quod per chirographum legis ad unguendos reges, prophetas et sacerdotes christiani chrismatis acceperat in figuram, donec ad ipsum regum et INDICI 227 Importa notare qui la dinamica del passaggio della Legge ai pagani, passaggio avvenuto non come richiesto logicamente attraverso il paga-mento del debito contratto ma mediante l’uccisione del creditore: i giudei hanno ucciso il datore della Legge. Questa è passata alle genti, mentre a Israele è rimasto da pagare l’interesse accumulato col debito. Anche nel resto del suo commento, Pietro procede nella stessa interpretazione. Il debito del primo debitore giudeo è ridotto a cinquanta244, per indicare la misericordia di Cristo: “Il numero cinquanta indica la misericordia, mentre la Legge prescrive che il cinquantesimo anno, cioè il Giubileo, annulli e sciolga i vincoli di tutti i debiti e di tutti i contratti (cfr. Lev. 25,8-55). Dunque questo amministratore fa sì che mediante la misericordia di Cristo sia meritevole il Giudeo, che in seguito alla ricevuta della Legge era tenuto trafitto da debiti impagabili.”245 Il debito del secondo debitore giudeo è ridotto a ottanta, per indicare la pienezza della grazia cristiana: “Il numero ottanta è prefigurazione di tutta la fede e di tutta la grazia. Questo è il numero che il lettore abbastanza esperto della Legge, abba-stanza studioso del Vangelo comprende essere il decalogo della Legge e l’ogdoade della grazia. Pertanto l’amministratore, quando parla, convince a saldare per mezzo della grazia, scrivendo ottanta, il debito che non poteva restituire per mezzo della natura. Giustamente, dunque, questo ammi-nistratore merita l’elogio del suo padrone, perché nelle ricevute ha predisposto non una frode, ma la salvezza.”246 In questi testi emerge continuamente il valore della Legge come “prefigurazione del crisma cristiano”, insieme agli inevitabili impegni che il giudeo -- sostanzialmente diverso dai gentili proprio per il fatto di avere ricevuto la Legge – deve assumersi verso di essa. Il rapporto con la Legge non è solo impegnativo ma anche insidioso, irto di prophetarum et sacerdotum principem perueniret, cui tota reddenda et infundenda erat centenaria chrismatis plenitudo. Sed quia contra cautionis fidem debitor, ne debitum redderet, occidit inpius creditorem, legalis ipsa cautio peruenit ad gentes, hoc est, lex, ut Iudaeus conuentus per gentilem, quia debitum conuertit in crimen, poenitentiae soluat usuram. 244 Per il valore che i Padri della Chiesa assegnavano ai numeri durante l’esegesi biblica cfr. A. Quacquarelli, Retorica patristica e sue istituzioni interdisciplinari, Roma 1995, pp. 93-112. 245 Serm. 126,8,104-108, PC III,22: Quinquagesimus numerus patefacit misericordiam, dum quinquagesimum annum, qui est iubileus, lex debitorum omnium, omnium contractuum delere et soluere ligamenta perscribit (cfr. Lev. 25,8-55). Villicus ergo agit iste, ut per misericordiam Christi idoneus sit Iudaeus, qui per cautionem legis insolubilibus confossus debitis tenebatur. 246 Serm. 126,9,120-127, PC III,24: Numerus … octogesimus totam fidem praefigurat et gratiam. Hic est numerus, quam decalogum legis esse et ogdoaden gratiae satis gnarus legis, satis studiosus euangelii lector intellegit. Itaque uillicus suadet, cum dicit, ut scribendo debitum octoginta per gratiam soluat, quod reddere non poterat per naturam. Bene ergo iste uillicus meretur laudem domini sui, qui in chirographis non fraudem molitus est, sed salutem. 228 INDICI difficoltà, pieno di rischi e non estraneo all’esperienza drammatica dell’errore, addirittura del peccato. Il nostro autore non esita per questo ad equiparare un certo approccio negativo con la Legge agli errori della filosofia pagana e delle dottrine degli eretici247. Commentando per esempio l’inizio del Salterio, Crisologo dice: “E non si è seduto sulla cattedra dell’errore (Ps. 1,1). Approva l’empietà chi la commette; chi la commette, la ama; chi l’ama, non può non insegnarla. Ecco perché i maestri di empietà siedono sulla cattedra dell’errore, e con un discorso dolce come il miele l’empietà sparge così negli ascoltatori il veleno di una dottrina apportatrice di morte. Rese cattedra di errore la filosofia, che insegnò o l’esistenza di molti dei o insegnò che Colui che esiste o non esiste o non può essere trovato; che alla stessa natura creata diede la possibilità di negare l’Autore della natura. Propose una cattedra dell’errore il fariseo che, anteponendo gli insegnamenti umani (cfr. Mt. 15,3ss.; Mc. 7,6ss.) ai decreti celesti, diffuse una vasta luce nel popolo dei Giudei. Siede sulla cattedra dell’errore l’eretico che, sotto apparenza di fede, spezza, rompe, lacera l’unità della fede.”248 In questo passaggio, fortemente apologetico, Pietro denuncia il rischio, tipicamente giudaico, e in special modo farisaico, di anteporre le tradi-zioni umane ai decreti celesti (traditiones humanas decretis caelestibus). Anche Gesù non esitava a lanciare tale accusa ai farisei e agli scribi che lo ascoltavano249. Nello stesso tempo Crisologo non tace il valore innegabilmente illuminante del patrimonio tradizionale dei farisei. Altro rischio dei giudei nel loro rapporto con la Legge è una certa fiducia che, diventando eccessiva, fa perdere di vista il senso dell’attesa del Messia e soffoca, mediante cavilli legali, la possibilità della conoscenza di Cristo. Pietro ne parla a proposito del fico che inganna producendo anzitempo i suoi frutti: “Ma per ignoranza, mentre pongono la loro fiducia nell’intera Legge e non si preoccupano dell’attesa di Cristo, non meritarono né di accogliere né di riconoscere Cristo; e così furono ingannati dai cavilli legali, come il fico con i suoi frutti, che non maturano, inganna gli inesperti. Ecco perché il Signore rimanda al fico quelli che desiderano sapere il tempo della sua venuta, dicendo: Quando vedete che il fico mette fuori i suoi frutti intempestivi, dite che è vicina l’estate. Anche voi, 247 Stiamo notando alcuni punti di contatto nella polemica crisologhiana verso i giudei, verso gli eretici e verso i pagani. Secondo B. Blumenkranz Crisologo mette sullo stesso piano giudei ed eretici: cfr. Blumenkranz, Les auteurs, p. 27. 248 Serm. 44,6,99-110, PC I,312: «Et in cathedra pestilentiae non sedit» (Ps. 1,1). Impietatem probat qui facit; qui facit, amat; qui amat, non potest non docere. Hinc est quod docentes impietatem, pestilentiae resident in cathedra, et sermone mellito uirus doctrinae letalis audientibus sic defundit. Pestilentiae cathedram philosophiam posuit, quae docuit aut deos multos, aut eum qui est uel non esse uel non posse docuit inueniri; quae ipsi creaturae naturae dedit ut naturae negaret auctorem. Cathedram pestilentiae proposuit pharisaeus, qui traditiones humanas (cfr. Mt. 15,3ss.; Mc. 7,6ss.) decretis caelestibus anteponens uastam lucem fudit populo Iudaeorum. Cathedram pestilentiae haereticus sedet, qui, sub specie fidei, fidei scindit, rumpit, abstrahit unitatem. 249 Cfr. Mc. 7,1.7-13. INDICI 229 quando vedrete ciò che dico, sappiate che il regno di Dio è vicino (cfr. Lc. 21,29-31). Vedete che il fico non indica gli avvenimenti presenti, ma quelli futuri.”250 Il giudeo è assimilato al pagano e all’eretico anche per il comune pericolo di incorrere in varie forme di superbia. Commentando un cele-bre passo della Lettera di s. Paolo ai Romani, Crisologo scrive: “Giustificati, dunque, per la fede, abbiamo pace con Dio (Rom. 5,1). Ciò equivale a dire: venga meno, venga meno la madre delle discordie, la nemica della tranquillità, la contesa, avversaria della pace! Il Giudeo non si vanti per la Legge, il pagano non monti in superbia per la natura, il filosofo lasci sbollire le sue spumeggianti e vane opinioni. Nessuno si vanti dei propri meriti, nessuno delle proprie opere, perché la pace divina ci ha comple-tamente restituito quella vita che l’antica prevaricazione aveva eliminato e una folle contesa aveva allontanato da noi. Dunque, abbiamo pace con Dio. La terra non si ribelli contro i cieli, la carne non si sollevi contro lo spirito, ma umilmente si unisca alla gloria perenne della pace superna.”251 Il vanto della Legge, che come nell’epistolario paolino diviene vanto dei meriti e delle opere della Legge, dice tutta la seducente bellezza di un dono divino stravolto dall’uomo: di qui l’appello del Crisologo alla ricerca di Dio nell’umiltà e nella pace. Per Pietro è al momento dell’incarnazione del Figlio di Dio che si rivela massimamente la contraddittorietà della posizione del giudeo di fronte alla Legge e scatta l’apertura definitiva della rivelazione di Dio ai gentili. Si prenda, per esempio, la seguente sintetica formulazione, che si trova im-mersa in una lunga sequenza di motivi addotti dal Pastore ravennate per giustificare la fuga di Gesù Bambino davanti al pericolo di morte a causa della crudele persecuzione di Erode:“Era venuto per allontanare il Giudeo dalla trasgressione della Legge. 250 Serm. 106,4,53-60, PC II,312: Ignari uero, dum fiduciam gerunt in lege tota, neque sunt de Christi expectatione solliciti, neque suscipere Christum neque agnoscere meruerunt; et ita sunt legalibus decepti flosculis, sicut nescios grossis suis decipit ficus. Hinc est quod dominus aduentus sui tempora scire cupientes mittit ad ficum dicens: «Cum uideritis quia ficus producit grossos suos, dicitis quia prope est aestas. Et uos cum uideritis haec quae dico, scitote quia prope est regnum dei» (cfr. Lc. 21,29-31). Videtis quia ficus non signat praesentia, sed indicat sic futura. 251 Serm. 110,5,39-48, PC II,334: «Iustificati igitur ex fide, pacem habeamus ad deum» (Rom. 5,1). Hoc est dicere: desinat, desinat mater dissensionum, hostis quietis, pacis inimica contentio! Non extollatur Iudaeus per legem, gentilis non superbiat per naturam, philosophus ab opinionibus suis spumosis et inanibus detumescat. Nemo de meritis, nemo de operibus glorietur, quia uitam, quam praeuaricatio prima substulerat, et elongauerat a nobis furiosa contentio, restituit et reddidit pax diuina. «Pacem» ergo «habeamus ad deum». Terra non rebellet in caelos, caro non insurgat in spiritum, sed supernae pacis humilis perpetem iungatur ad gloriam. Riguardo all’ultima espressione di questo testo crisologhiano, che può essere intesa come un’accusa di carnalità rivolta al giudeo oltre che al pagano, si veda soprattutto la ricerca di P.C. Bori che studia il ruolo svolto nella polemica cristiana antigiudaica dal concetto carne/spirito: P.C. Bori, Il vitello d’oro. Le radici della controversia antigiudaica, [Ricerche italiane], Torino 1983, special-mente il cap. 2 (Carnalità ebraica), pp. 33-54. 230 INDICI Era venuto per avviare alla fede i pagani.”252 Ma è specialmente nella morte di Cristo che si rende evidente il rapporto sbagliato di Israele verso la Legge: gli errori e i peccati del popolo della Legge convergono nella direzione della morte violenta del Figlio di Dio, nella sua uccisione. Crisologo lo spiega chiaramente nel commento del passo lucano della donna che ha perduto la dramma. Dopo aver detto che Cristo stesso è la dramma perduta dalla Sinagoga e ritrovata dalla Chiesa253, denuncia i peccati di Israele verso la Legge, passando in rassegna alcuni comandamenti del Decalogo: “Sia ora chiaro che questa verità si trovava già nel Decalogo: Ascolta questo, dice, o Israele: il Signore Dio tuo è un Dio solo (Dt. 6,4; Mc. 12,29). La Sinagoga, mentre non vede nel Figlio questa verità, la perde nel Padre; mentre non crede in Cristo, crocifigge Cristo e lo fa morire; ben a ragione a questa affermazione segue conseguentemente nel Decalogo: Non ucciderai (Ex. 20,13; Dt. 5,17). Perciò, mentre il Giudeo tronca dal capo la serie stessa dei comandamenti, risultò omicida della Legge prima di esserlo di Cristo. Perciò ritorse su Cristo anche tutto il corpo: Non ucciderai, non commettere atti impuri (Ex. 20,13-14; Dt. 5,17-18). È stata condannata la Sinagoga che, insieme agli dei dei pagani, respinge Cristo, il quale, messo da parte il potere sovrano, era disceso verso di lei con affetto di sposo. Non ruberai (Ex. 20,15; Dt. 5,19). Rubò la risurrezione del Signore, in quanto diede una somma ai soldati (cfr. Mt. 28,12-15), perché seppellissero e occultassero la verità della risurrezione. Non dirai falsa testimonianza (cfr. Ex. 20,16; Dt. 5,20). Essa è quella che si procurò falsi testimoni (cfr. Mt. 26,60 e parall.) per adempiere la profezia: Sorgendo testimoni iniqui, mi chiedevano ciò che ignoravo (Ps. 34,11). E in realtà in altro modo non avrebbe potuto far arrestare l’Autore della verità, perché la sola falsità combatte sempre la verità.”254 Si noti che per Crisologo la Sinagoga “risultò omicida della Legge prima di esserlo di Cristo”. La ribellione verso Cristo – che assimila, ancora una volta, i giudei ai pagani – è prima di tutto ribellione verso la Legge. A nulla vale 252 Serm. 151,4,49-50, PC III,174: Vt ueniret Iudaeus uenerat de contemptu legis. Venerat introducere ad fidem gentes. 253 Cfr. serm. 169,4,48-56, PC III,274. 254 Serm. 169,5,57-72, PC III,274: Hoc fuisse in decalogo iam patescat. «Audi», inquit, «istud, Israel: dominus deus tuus deus unus est» (Dt. 6,4; Mc. 12,29). Hoc synagoga dum non uidet in filio, amittit in patre; dum non credit in Christo, Christum letaliter crucifigit; cui merito per decalogum consequenter sequitur: «Non occides» (Ex. 20,13; Dt. 5,17). Siquidem dum Iudaeus ipsam mandatorum seriem capite detruncat, antequam Christi, legis extitit homicida. Vnde et totum corpus retorsit in Christum. «Non occides, non moechaberis» (Ex. 20,13-14; Dt. 5,17-18). Damnata est synagoga, quae iuncta diis gentium reppulit Christum, qui seposita potestate dominantis, coniugis ad eam descendit affectu. «Non furtum facies» (Ex. 20,15; Dt. 5,19). Furata est dominicam resurrectionem, quae pretium militibus (cfr. Mt. 28,12-15) dedit, ut resurrectionis infoderet et occuleret ueritatem. «Non falsum testimonium dices» (cfr. Ex. 20,16; Dt. 5,20). Haec est quae conquisiuit falsos testes (cfr. Mt. 26,60 et parall.), ut impleret illud: «Exurgentes testes iniqui, quae ignorabam interrogabant me» (Ps. 34,11). Et reuera aliter tradere non poterat ueritatis auctorem, quia semper sola inpugnat falsitas ueritatem. INDICI 231 l’affetto del Cristo sposo e la sua risurrezione, soffocata nella menzogna. Conclusivamente, si può ritenere che per il nostro autore l’errore più grave del popolo della Legge non è stato soltanto il rifiuto di credere a Cristo – e perciò la sua uccisione – ma anche, ed in certo senso principal-mente, la ribellione verso la Legge, il cui vero senso era ed è di preparare l’attesa e la venuta del Messia, di predisporre il popolo all'incontro con lui. Israele non ha sopportato la diversità che il rapporto con la Legge e il rapporto con Cristo gli assegnavano tra tutti i popoli, non ha retto l’elezione di Dio che lo voleva sua speciale proprietà. Il dramma del popolo eletto è stato il rifiuto delle conseguenze della sua stessa elezione. 4. Israele di fronte agli altri popoli Sulla identità del popolo eletto di fronte agli altri popoli255 uno dei passi crisologhiani in definitiva più chiari ed espliciti si trova nel lungo commento di Pietro alla già citata parabola del figlio prodigo: “Aveva due figli, cioè due popoli: il popolo giudaico e quello pagano; ma con la saggezza della Legge rese maggiore il popolo giudaico, mentre rese minore quello pagano con la stoltezza del paganesimo, perché, come la sapienza rende anziani, così l’insipienza elimina ogni qualità propria dell’uomo. Dunque i suoi costumi, non la sua età, resero più giovane questo popolo; invece, non i tempi trascorsi, ma i sentimenti fecero l'altro più anziano.”256 Da questo testo, come da altri, si evince con nettezza che la Legge data al popolo giudaico non produce soltanto la diversità dei giudei rispetto ai gentili, ma anche la loro superiorità, espressa qui non tanto e non solo dall’età del fratello maggiore, ma dalla diversità dei costumi (mores) e, soprattutto, dalla sapientia, dalla prudentia legis. Si deve inoltre notare, in queste parole del Pastore ravennate, una certa opposizione tra sapientia e insipientia, tra prudentia legis e stultitia paganitatis, insomma tra il popolo giudaico e il popolo gentile. Crisologo non perde infine l’occasione per sottolineare che la superiorità della Legge è schiacciante perché la stoltez-za porta alla disumanità, come la drammatica storia di perdizione del figlio prodigo dimostra senza mezzi termini, 255 Il tema è squisitamente biblico. «Nel momento stesso in cui Dio sceglie un popolo come suo prediletto, gli altri popoli sono esclusi dall’elezione. Il popolo di Dio appare così di fronte agli altri popoli. Del rapporto del popolo eletto con gli altri popoli la prima cosa da cogliere è il suo impegno ad isolarsi, a non contaminarsi con i popoli pagani. L’idea di separazione è particolarmente sottolineata dalla tradizione elohista.»: M. Cimosa, Popolo/popoli, in Nuovo Dizionario di teologia biblica, a cura di P. Rossano, G. Ravasi, A. Ghirlanda, (Cinisello Balsamo 1988), p. 1194. 256 Serm. 5,2,19-25, PC I,72: Duos filios habuit, duos scilicet populos: Iudaicum gentilemque, sed Iudaeum seniorem prudentia legis fecit, gentilem paganitatis stultitia reddidit iuniorem; quia sicut sapientia dat canos, ita quidquid uiri est tollit insipientia. Hunc ergo iuniorem mores praestitere, non aetates; seniorem illum non tempora fecerunt esse, sed sensus. 232 INDICI descrivendolo inferiore ai porci257. Ci sono dei casi nei quali la diversità e la superiorità di Israele nei confronti degli altri popoli emerge in modo più impellente e si impone con forza. Un esempio molto significativo è, in proposito, quello degli egiziani, anche per evidenti ragioni di tipo storico e teologico: Israele ha di fatto acquisito la coscienza di essere un popolo di persone libere, anzi il popolo di Dio, mediante la liberazione dalla schiavitù egiziana. Il nostro autore, commentando la fuga della sacra famiglia di Nazaret in Egitto, si esprime così: “Prendi il bambino e sua madre e fuggi in Egitto (Mt. 2,13). Fuggi in Egitto, dai tuoi presso stranieri, dai santi presso sacrileghi, dal tuo tempio ai santuari dei demoni, alla patria degli idoli dal paese dei santi. Non basta l’ampiezza della Giudea, è troppo angusta perfino la vastità del mondo, il penetrale del tempio non è in grado di contenervi, la folla dei sacerdoti è insufficiente a proteggervi, non può nascondervi la pur numerosa parentela; perciò l’empio Egitto è assunto quale nascondiglio della Divinità. La situazione è urgente a tal punto che non c’è il tempo di considerare la verecondia della Vergine, la fatica della madre, il pudore del sesso, il pericolo di Giuseppe, l’angoscia per la grande distanza, la rovina di tutta la casa e, cosa più dura di tutte, il fatto che dei Giudei avrebbero soggiornato tra i pagani, con i quali non esiste per loro comunanza, anzi una profonda divisione per la trasgressione della Legge.”258 In questo importante passo del Sermone 151 Pietro porta una serie di motivazioni che, dal punto di vista meramente umano, potrebbero eventualmente rappresentare, agli occhi dei genitori di Gesù, delle validissime obiezioni alla decisione della partenza per l’Egitto. Si deve prendere atto che Pietro, nella sequenza delle ragioni umane adducibili, dà particolare rilievo a quella che, appositamente, cita per ultima, introducendola con un rilievo tutto speciale (et quod his durius): il problema maggiore che il trasferimento in Egitto comporta è l’inevitabile convivenza degli ebrei Gesù, Giuseppe e Maria con i pagani. È chiaro che il senso globale dell’esegesi del Crisologo è mostrare lo stupore della nuova incarnazione del Figlio di Dio che non disdegna, anzi sceglie, per la provvidenza misteriosa del Padre, di andare ad abitare presso gli egiziani che sono indubitabilmente stranieri, sacrileghi, demoniaci, idolatri, 257 In Pietro sarebbe da analizzare a fondo il rapporto tra Legge e Vangelo, tema ignorato da W.B. Palardy, nel suo lavoro. In realtà, a nostro modesto avviso, alla superiorità della Legge nei confronti della cultura pagana, sembra corrispondere la superiorità del Vangelo nei confronti della Legge. 258 Serm. 151,2,14-25, PC III,172: «Accipe puerum et matrem eius, et fuge in Aegyptum» (Mt. 2,13). In Aegyptum fuge, a tuis ad extraneos, ad sacrilegos a sanctis, a templo tuo ad daemonum fana, ad idolorum patriam a regione sanctorum. Sic Iudaeae non sufficit latitudo, sic angustatur saeculi diffusa possessio, non capit secretum templi, sacerdotalis turba non sufficit, non abscondit numerositas inuestigabilis cognatorum, ut ad deitatis latebras profana Aegyptus conducatur. Sic res urget, sic non uacat intueri uerecundiam uirginis, laborem matris, sexus pudorem, periculum Ioseph, longinquitatis angorem, exitium totius domus, et quod his durius, Iudaeos peregrinaturos in gentibus, quibus nec ipsis est communio, immo est profundum legis transgressione naufragium. INDICI 233 profa-ni. Ma in particolare non può sfuggire la coscienza che il nostro autore mostra di avere della identità di una famiglia giudaica che per ragioni politiche fugge all’estero259. Tale identità, tutta fondata sul valore assoluto assegnato alla Legge (est profundum legis transgressione naufragium), è pericolosamente posta in discussione dall’ambiente straniero. Nel seguito dello stesso discorso, il Pastore ravennate passa anche in rassegna le reali ragioni che giustificano la fuga del Signore in Egitto. Per noi è importante raccogliere l'ultima, con la quale si chiude l’omelia: “E il fatto che sia fuggito in Egitto, risale a un’altra causa; fuggì in Egitto per punire l’incredulità dei Giudei con la fede dei pagani; infatti l’Egitto accolse con riguardo il suo Signore che la Giudea aveva fatto fuggire, per mostrare nella propria immagine che la Chiesa doveva essere anteposta alla Sinagoga, i pagani ai Giudei.”260 Questo testo, insieme ad altri già citati nel corso del presente lavoro, ci fa vedere come per Pietro l’avvento di Cristo, che richiede di essere accolto, diventi il momento principale nel quale, nascendo il rifiuto definitivo da parte giudaica, ha origine l’apertura dei gentili alla fede. Il commento crisologhiano rileva qui un elemento paradossale, che dovrebbe scuotere violentemente la coscienza del giudeo che vi prestasse attenzione: è proprio l’Egitto, l’empio e idolatrico Egitto che teneva schiavo Israele, ad accogliere Cristo che il popolo giudaico ha fatto fuggire! Ritroviamo analoghe considerazioni in altre riflessioni di Crisologo, ancora su un episodio dei Vangeli dell’infanzia. Si tratta del caso emble-matico dei Magi, al quale il nostro autore dedica diversi discorsi. Leggiamo in proposito un testo altamente significativo, che conferma e sviluppa quanto appena rilevato: “Ecco dei Magi vennero dall’Oriente (Mt. 2,1). I Magi vengono dall’Oriente all’Oriente, perché Colui che aveva ordinato loro di venire potesse accoglierli alla loro venuta. Quando, infatti, un mago cercherebbe Dio se non per ordine di Dio? Quando un astrologo avrebbe trovato il Re del cielo se non per rivelazione divina? Quando senza l’intervento divino adorerebbe l’unico Dio sulla terra il Caldeo, che serviva in cielo a tanti dei quante sono le stelle? Il segno celeste riguarda i Magi piuttosto che la stella, perché il mago conosce il Re della Giudea, 259 Si noti anche nel seguente testo (serm. 50,3,34-41, PC I,344-346) come Pietro presenta il mistero dell’incarnazione, insistendo sull’umanità della patria e sulla assunzione della cittadinanza giudaica: «Ascendit», inquit, «in nauiculam, et trans-fretauit, et uenit in ciuitatem suam» (Mt. 9,1). Creator rerum, orbis dominus, postea quam se propter nos nostra angustauit in carne, coepit habere humanam patriam, coepit ciuitatis Iudaicae esse ciuis, parentes habere coepit parentum omnium ipse parens, ut inuitaret amor, adtraheret caritas, uinciret affectio, suaderet humanitas, quos fugarat dominatio, metus disperserat, fecerat uis potestatis extorres. 260 Serm. 151,8,85-89, PC III,176: Et quod ad Aegyptum fugit, aliam procedit ad causam: fugit ad Aegyptum, ut perfidiam Iudaeorum per fidem gentium castigaret, nam dominum suum, quem Iudaea fugarat, Aegyptus obsequenter excepit, ut ecclesiam synagogae, Iudaeis gentes anteponendas in fide suam panderet in figuram. 234 INDICI l’Autore della Legge, mentre il Giudeo li ignora; la Caldea li onora, mentre non li onora la Giudea; Gerusalemme li avversa e li fugge, mentre la Siria li segue e li adora.”261 I Magi, astrologi orientali che per Pietro sono originari della Caldea o della Siria, vengono in questo passo descritti come idolatri e politeisti al pari degli egiziani, dei quali abbiamo appena parlato. Questi misteriosi e affascinanti personaggi, ai quali il nostro autore dedica molte pagine dei suoi commenti per esaltarne soprattutto la fede adorante, sono guidati dalla stella a fare ciò che i giudei rifiutano di fare. Il loro esempio di obbe-dienza all’ordine di Dio, di docilità alla guida della stella, di disponibilità alla ricerca del Re della Giudea, di conoscenza dell’Autore della Legge, di onore, sequela e adorazione viene a costituire il giudizio del giudeo che, al contrario, ignora, non onora, anzi avversa e fugge invece di essere favore-vole e venire ad adorare. Troviamo in questa antica memoria della visita dei Magi non tanto una lode indiretta – insolita, per non dire sostan-zialmente assente, nelle prediche del Crisologo – della sapienza umana quanto piuttosto un’esaltazione ammirata dell’iniziativa misteriosa di Dio, vero e provvidente regista delle ricerche e dei viaggi di coloro che si lasciano illuminare dalla sua luce divina: è Dio che ordina il viaggio dei Magi, è lui che comanda loro di cercare, è lui che si rivela, è ancora lui che rende possibile l’adorazione da parte di politeisti idolatri, è finalmente lui stesso, l’Oriente, ad accogliere al loro arrivo gli orientali. Conclusivamente, si può ritenere che le condizioni di diversità e di superiorità del popolo giudaico rispetto a tutti gli altri popoli, condizioni legate storicamente al primato assoluto assegnato alla Legge, sono venute meno quanto alla loro funzione teologica di preparazione dell’appunta-mento del popolo eletto col Messia. Nella concezione di Pietro questo appuntamento è rimasto regolarmente fissato ed è avvenuto: i giudei sono stati sostituiti dai gentili, che nonostante la loro origine pagana - nel senso di appartenenza a religioni mondane, politeistiche e idolatriche – hanno avuto accesso a Cristo mediante la fede. Il rifiuto dell’appuntamento da parte dei giudei non è però solo la conseguenza di un errore umano e fatale. Per Crisologo si tratta invece di un fatto legato al piano stesso di Dio, che rivendica a sé il diritto di convocare tutti i popoli all’adorazione del suo Figlio. 5. Israele insieme agli altri popoli Chiudiamo il nostro sguardo su quanto il nostro autore dice riguardo 261 Serm. 156,6,62-70, PC III,198-200: «Ecce magi ab oriente uenerunt» (Mt. 2,1). Ab oriente ad orientem ueniunt magi, ut susciperet uenientes ipse qui iusserat ut uenirent. Quando enim deum magus nisi deo iubente perquireret? Quando regem caeli nisi reuelante deo astrologus inuenisset? Quando unum deum sine deo Chaldeus adoraret in terra, qui in caelis diis tantis quantis sideribus seruiebat? Plus caeleste de magis quam de stella signum est, quod Iudaeae regem, quod legis auctorem magus scit, nescit Iudaeus, Chaldea defert, non defert Iudaea, Hierosolima auersatur, refugit, Syria sequitur et adorat. INDICI 235 all’identità del popolo eletto di fronte agli altri popoli, tentando ora di rilevare e valutare una prospettiva felicemente universalistica che il sermo-nario crisologhiano ci attesta in più punti. Israele non è solo di fronte agli altri diverso e superiore, né soltanto ha perduto il posto avendo mancato all’appuntamento col Messia. I gentili non sono esclusivamente politeisti e idolatri né hanno semplicemente sostituito i giudei occupando il loro posto. Nella visione del Crisologo c’è, al contrario di quanto queste affer-mazioni, pur vere, possono indurre a pensare, tutto un dinamismo e un intreccio di parti e di ruoli, c'è un movimento cosmico che coinvolge realmente l’umanità intera di tutti i tempi. Nella sua prospettiva, anche su questo punto profondamente biblica262, i giudei e i pagani, che talvolta non si comprendono e addirittura si ostacolano, hanno invece il compito di incontrarsi e favorirsi reciprocamente, cooperando in modo suggestivo gli uni alla fede e alla salvezza degli altri. Dobbiamo ammettere di trovarci qui in uno snodo altamente significativo del pensiero crisologhiano, che, rianimando nella direzione della speranza, viene a controbilanciare le pagine imbarazzanti e tetre dove leggiamo violenti anatematismi all’in-dirizzo dei giudei. Abbiamo già rilevato numerosissimi passaggi delle prediche crisologhia-ne in cui sono visti insieme, e dialetticamente, i giudei e i pagani. Richia-miamo il più noto, tratto dal commento di Pietro alla parabola del figlio prodigo, che rappresenta le genti, mentre il fratello maggiore rappresenta i giudei: “Ma il fratello maggiore, ma il figlio maggiore, venendo dal campo (cfr. Lc. 15,25) – popolo legale, la messe è molta, ma i mietitori sono pochi (Lc. 10,2)– ode la musica nella casa paterna, ode le danze, e non vuole entrare. Vediamo questo ogni giorno con i nostri occhi: infatti il Giudeo è venuto alla casa paterna, cioè alla Chiesa; se ne sta fuori per gelosia, ascolta l’arpa davidica suonare, ascolta la musica proveniente dal gruppo dei profeti, ascolta le danze dalla varia assemblea dei popoli, e non vuole entrare per gelosia. Standosene fuori, mentre secondo i costumi d’un tempo giudica il fratello pagano e ne prova orrore, si priva egli stesso dei beni paterni, egli stesso si esclude dalle gioie del padre. Quanto alle sue parole: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e non mi hai dato mai un capretto (Lc. 15,29), abbiamo detto già che conviene tacere piuttosto che parlare, perché il Giudeo parla, e sono parole non di uno che opera, ma che è gonfio di superbia. Il padre esce e dice al figlio: Figlio, tu sei sempre con me (Lc. 15,31). In che modo? Attraverso Abele, Enoc, Sem, Noè, Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè e tutti i santi, attraverso i quali deriva la generazione giudaica, di cui abbiamo letto nel Vangelo, quando dice: Abramo generò Isacco, Isacco generò 262 Nella Bibbia «appare anche la coscienza che Israele ha sempre avuto di essere stato creato a favore degli altri popoli. Lo strato più antico del Pentateuco è dovuto allo Jahwista, che si può definire “il teologo della salvezza universale”. Esso vuole dimostrare che la storia di Israele è una storia di salvezza per tutta l’umanità… Se si guarda alla rivelazione biblica nel suo insieme ci si accorge che questa è stata sempre la pedagogia di Dio: scegliere un popolo per portare la salvezza a tutti gli uomini. L’elezione di Israele non è tanto un privilegio di alcuni quanto un com-pito a favore di tutti.»: M. Cimosa, op. cit., pp. 1194-1195. 236 INDICI Giacobbe (Mt. 1,2). E tutti i miei beni sono tuoi (Lc. 15,31). In che modo? Perché per te è la Legge, per te è la profezia, per te il tempio, per te il sacerdozio, per te i sacrifici, per te il regno, per te – e questo vale più di tutto – è nato Cristo. Ma poiché tu per gelosia vuoi lasciare alla perdizione tuo fratello, non sei degno di avere i banchetti paterni, le gioie paterne.”263 Lo spettacolo triste e quotidiano (cotidie) che il Pastore non esita a sottoporre all’attenzione dei fedeli che lo ascoltano, rappresentato plasticamente dalla terribile scena evangelica, su questo aspetto particolarmente amplificata dal commentatore, serve a denunciare l’ostacolo principale all’ingresso dei giudei nella comunità cristiana: l’invidia. Abbiamo visto che su questo punto Pietro non risparmia critiche anche severe ai suoi interlocutori ebrei. L’intento, tuttavia, non è meramente accusatorio. Si può facilmente vedere in questi testi sia il desiderio di giustificarsi, da parte cattolica, circa la mancata conversione dei giudei al cristianesimo264, sia l’invito rinnovato a non chiudere per sempre la possibilità di un cambiamento di rapporti. Inoltre, in più di un caso si può rilevare che le denuncie e le accuse rivolte dal Crisologo ai giudei vanno effettivamente intese all’indirizzo stesso dei fedeli che stanno ascoltando la predica del loro vescovo. Non è infatti da dimenticare l’intento pastorale dei Sermoni crisologhiani. 263 Serm. 5,7,118-141, PC I,78: Sed frater senior, sed senior filius ueniens ex agro (cfr. Lc. 15,25), populus legalis, «messis quidem multa, operarii autem pauci» (Lc. 10,2), audit in domo patris symphoniam, audit choros, et introire non uult. Hoc cotidie oculis nostris intuemur; nam uenit Iudaeus ad domum patris, id est, ad ecclesiam; stat foris per inuidiam, audit Dauiticam citharam personare, audit ex conuentu prophetico symphoniam, ex populorum uario conuentu choros audit, et introire non uult, per inuidiam. Stans foris, dum gentilem fratrem pristinis iudicat et horret ex moribus, ipse se paternis bonis eximit, ipse se paternis excludit gaudiis. Quod autem dixit: «Ecce tot annis seruio tibi, et numquam mandatum tuum praeteriui, et numquam dedisti mihi haedum» (Lc. 15,29), tacendum potius quam loquendum esse iam diximus; quia Iudaeus loquitur, et non facientis uerba sunt, sed tumentis. Pater egreditur, et dicit filio: «Fili, tu semper mecum es» (Lc. 15,31). Quomodo? Per Abel, per Enoch, per Sem, per Noe, per Abraham, per Isaac, per Iacob, per Moysen, per omnes sanctos, per quos Iudaica generatio in euangeliis lecta diriuatur, cum dicit: «Abraham genuit Isaac, Isaac genuit Iacob» (Mt. 1,2). «Et omnia mea tua sunt» (Lc. 15,31). Quemadmodum? Quia tibi lex, tibi prophetia, tibi templum, tibi sacerdotium, tibi sacrificia, tibi regnum, tibi — quod supra omnia — natus est Christus. Sed quia tu per inuidiam perdere uis fratrem, paternas epulas, patris gaudia, dignus es non habere. 264 È stato osservato che nei secoli IV e V ad una grande attività evangelizzatrice verso i pagani non è corrisposto un analogo impegno ecclesiale verso i giudei. Le conversioni dal giudaismo al cristianesimo sono stati fatti per lo più isolati e quasi sempre di singole persone, legati ad avvenimenti pubblici straordinari, come l’esempio dell’imperatore Costantino, la scoperta della reliquia della croce, il fallimento del tentativo della ricostruzione del tempio di Gerusalemme da parte di Giuliano l’Apostata. Tra i Padri, Ambrogio ha mostrato particolare interesse per una più intensa opera di cristianizzazione dei giudei. Contestualmente altri scrittori cristiani, come Gregorio di Elvira, Agostino, Leone I e Cesario di Arles hanno incominciato a presentare l’interpretazione teologica dell’inconvertibilità di Israele. Cfr. K. Baus - E. Ewig, L'epoca, pp. 240-244. INDICI 237 In questo senso possiamo vedere, per esempio, come Pietro commenta l’insegnamento di Gesù sulla toppa di stoffa e sul vino da versare non in otri vecchi ma in otri nuovi: “Il Signore aggiunse queste parole: Nessuno mette una toppa di stoffa greggia su un vestito vecchio (Mt. 9,16). Intende dire che il corredo dell’antica Legge era logorato dalle attenzioni giudaiche, corrotto nei sentimenti, diviso in partiti, sordido per azioni impure. Chiama stoffa greggia la veste del Vangelo. Ma ascolta di che stoffa si tratta: non è la parte di uno strappo, ma l’inizio della tessitura. Allora, infatti, per la prima volta veniva tessuta la tela della veste regale con la lana di Cristo, con la lana che dava l’agnello, l’agnello di Dio che toglie i peccati del mondo (Io. 1,29). Era tessuta la veste regale che il sangue della passione avrebbe tinto con lo splendore della porpora. Giustamente, dunque, Cristo vietava d’inserire questa stoffa greggia nella vecchiaia giudaica, perché lo strappo non diventasse più grande, se la novità cristiana avesse lacerato la vecchiaia giudaica. E raddoppia l’esempio dicendo: Non si può mettere vino nuovo in otri vecchi, altrimenti gli otri si rompono e il vino si versa e gli otri andranno perduti. Ma mettono il vino nuovo in otri nuovi, ed entrambi si conservano (Mt. 9,17). Chiama otri vecchi i Giudei, otri nuovi i cristiani; perché, come gli otri sono ripuliti da ogni sporcizia delle pelli e sono spalmati con pigmenti profumati, perché possano conservare intatto il sapore del vino, così i corpi umani mediante i digiuni sono purificati da ogni sporcizia delle colpe carnali e diventano otri predisposti per i torchi divini, per ricevere dal torchio della croce il vino nuovo, conservandone incorrotta la novità. Ma come i cristiani lo ricevono, così, se non saranno diventati cristiani, non lo avranno i Giudei che, corrotti dai vizi e invecchiati nei mali, nel caso che abbiano ricevuto il vino nuovo, che è la parola del Vangelo, si rompono e lo versano. Bisogna riconoscere, dunque, che Cristo, attraverso questi esempi, non volle che i suoi discepoli non digiunassero, ma volle che non mescolassero al digiuno vero quello fraudolento.”265 265 Serm. 31,4-5,65-93, PC I,234-236: Adiecit dominus dicens: «Nemo immittit commissuram panni rudis in uestimentum uetus» (Mt. 9,16). Antiquae legis suppellectilem dicit Iudaicis studiis adtritam, corruptam sensibus, sectis scissam, inpuris actibus obsoletam; pannum rudem euangelii nuncupat indumentum. Sed audis pannum: non scissurae partem, sed principium texturae. Tunc enim primum regalis indumenti tela de Christi uellere texebatur, de uellere quod dabat agnus, «agnus dei qui tollit peccata mundi» (Io. 1,29). Texebatur autem regium uestimentum, quod in purpureum fulgorem cruor tingeret passionis. Merito ergo Christus hunc pannum rudem Iudaicae uetustati prohibebat immitti, ne peior scissura fieret, si Iudaicam uetustatem nouitas scinderet christiana. Et geminat exemplum dicens: «Non potest uinum nouum mitti in utres ueteres, alioquin rumpuntur utres, et uinum funditur, et utres peribunt. Sed uinum nouum mittunt in utres nouos, et ambo conseruantur» (Mt. 9,17). Vtres ueteres Iudaeos uocat, nouos utres nuncupat christianos; quia sicut utres pellium ab omni squalore purgantur, et pigmentis liniuntur odoratis, ut saporem uini possint inuiolabilem custodire, ita ieiuniis corpora humana ab omni carnalium delictorum squalore purgantur, et fiunt utres diuinis torcularibus apparati, ut de prelo crucis accipiant uinum nouum, et incorruptam nouitatem conseruent. Sed hoc sicut accipiunt christiani, ita Iudaei nisi christiani fuerint, non habebunt, qui corrupti uitiis et inueterati malis uinum nouum, quod est euangelii uerbum, si acceperint, et rumpuntur et fundunt. Agnoscendum est ergo quia Christus per exempla haec non discipulos suos noluit ieiunare, sed 238 INDICI Da questo testo, che termina con un evidentissimo appello alla con-versione rivolto dal Pastore ai suoi fedeli perché digiunino con spirito autenticamente cristiano, possiamo ricavare sia l’affermazione di una certa incompatibilità di vecchiezza e novità, di giudaismo e cristianesimo, sia l’invito, rivolto ai giudei, a divenire cristiani. Stiamo continuando a vedere che gli interlocutori principali delle pre-diche del Vescovo ravennate sono sì i fedeli cristiani, ma non da soli. Pietro si rivolge insieme ad essi ai giudei, dei quali spera la conversione alla fede in Cristo e, conseguentemente, l’ingresso effettivo nella comunità cristiana, nella Chiesa. Questa doppia attenzione del Crisologo lo porta, durante la predicazione, ad applicare agli uni ciò che è detto agli altri. Un altro bell’esempio lo troviamo a proposito del commento al Salmo 94: “Se oggi ascolterete la sua voce, non indurite i vostri cuori, come nell’esasperazione, nel giorno della tentazione nel deserto, quando mi tentarono i vostri padri: mi misero alla prova e videro le mie opere. Per quaranta anni fui vicino a questa generazione e dissi: “Sbagliano sempre in cuor loro questi, ai quali giurai nel mio sdegno: non entreranno nel luogo del mio riposo” (Ps. 94,8-11). Quando dice oggi, ti convoca, parla a te, chiunque tu sia che ascolti, affinché, dopo aver udito la sua voce, tu non commetta il reato di indifferenza e la colpa di pervicacia, poiché non sei stato corretto né dai comandi né dall’esempio. Infatti, per questo motivo ha illustrato in un lungo discorso la durezza dei Giudei, per mettere in guardia te, cristiano, con il quale Dio vive e coabita non solamente da quarant’anni, ma si manifesta e combatte per la salvezza durante la vita intera.”266 I giudei, però, non sono soltanto, coi loro vizi come l’invidia, l’incre-dulità, la durezza l’occasione pastorale per rivolgere ai cristiani un ammo-nimento più incisivo ed efficace alla conversione dei costumi. Sarebbe troppo poco, e per niente onorevole, sfruttare il cattivo esempio dei giudei per spingere i cristiani ai buoni esempi! C’è, evidentemente, molto di diverso e di più importante. Crisologo ci attesta, in testi veramente sorpren-denti, i vantaggi reciproci del rapporto tra giudei e cristiani quando viene meno una certa dialettica sterile e gratuita e si verifica un’apertura simul-tanea, appunto in totale reciprocità, al progetto unitario di Dio. Quando viene meno la dimensione dialettica nel rapporto giudaismo/cristianesimo, si hanno, secondo Crisologo, due esiti, entrambi positi-vi: o la noluit ieiunium uerum fraudulento miscere ieiunio. 266 Serm. 46,8,91-102, PC I,324: «Hodie si uocem eius audieritis, nolite obdurare corda uestra, sicut in irritatione secundum diem temptationis in deserto, ubi temptauerunt me patres uestri: probauerunt et uiderunt opera mea. Quadraginta annis proximus fui generationi huic, et dixi: Semper isti errant corde, quibus iuraui in ira mea, si introibunt in requiem meam» (Ps. 94,8-11). Cum dicit: «hodie», te conuenit, ad te loquitur, quicumque homo auditor, ne audita uoce eius contemptus reatum, contumaciae crimen incurras, quem non praecepta, quem non correxit exemplum. Nam ob hoc Iudaicam duritiam longo sermone narrauit, ut te, christiane, faceret cautiorem, cui non quadraginta annis tantum conuersatur et cohabitat deus, sed toto uitae tempore paret et militat ad salutem. INDICI 239 sostituzione completa del primo elemento a vantaggio del secondo oppure la simultanea coesistenza, nella reciprocità, dei due elementi. Sulla sostituzione degli elementi, troviamo spesso, nelle prediche crisologhiane, l’utilizzazione dei termini Sinagoga e Chiesa: la Chiesa prende direttamente il posto e la funzione della Sinagoga. Ai testi già citati su que-sto argomento, aggiungiamo ora la conclusione del Sermone 169, dedicato dal Pastore a commentare la pagina lucana della donna che ha smarrito la dramma. Dopo aver spiegato che la donna è la Sinagoga che ha perduto la decima moneta che è il Cristo, Pietro dice: “Così precipita, così cade di gradino in gradino colui che scivola e precipita dalle scale dei precetti. Infatti, se avesse creduto che il Signore è l’unico Dio, non sarebbe caduto in questo baratro di rovine. Ma noi ora seguiamo la lampada della madre Chiesa e, camminando nella luce del volto del Signore (cfr. Ps. 88,16), giungiamo alla dramma che è Cristo e convochiamo le amiche e le vicine, cioè le Chiese dei pagani, affinché non ignorino che la nostra madre ha trovato la sua dramma, e diciamo col profeta: Ho preparato la lampada per il mio Cristo (Ps. 131,17). E ascoltiamo quale vantaggio abbia recato la lampada: Ecco, abbiamo sentito che era in Efrata, l’abbiamo trovata nei campi selvosi. Entreremo nella sua tenda, ci prostreremo nel luogo dove posarono i suoi piedi (Ps. 131,6-7). Ecco troviamo nel Signore alla luce di questa lucerna della madre ciò che cercavamo fra i popoli sparsi e le boscaglie diffuse. Di questo si allieti anche il cielo, poiché in un solo peccatore che si pentiva (cfr. Lc. 15,7.10) si è manifestata luminosa la pienezza di tutto il popolo cristiano e tutta l’immagine della divinità di Cristo ha brillato nella nostra dramma.”267 La Sinagoga convertita, la quale ha ritrovato la dramma perduta che è Cristo, è divenuta ovviamente la Chiesa. La sostituzione è diretta e com-pleta. La Chiesa viene qui ad assumere anche la funzione che un tempo assolveva la Sinagoga: una certa provocazione, un certo proselitismo nei confronti dei pagani, degli altri, perché anch’essi incontrino Cristo. Sull’integrazione dei due elementi, quello giudaico e quello cristiano, continuando ad intendere con quest’ultimo, naturalmente, l’elemento non giudaico cioè gentile o pagano, troviamo delle pagine del sermonario di una bellezza e di una suggestione veramente esemplari. Citiamo anzitutto il commento di Crisologo alla vocazione del pubbli-cano 267 Serm. 169,6,73-87, PC III,274-276: Sic ruit, sic per gradus cadit, qui de scalis labitur et corruit praeceptorum. Nam si dominum deum credidisset unum, ad hoc ruinarum barathrum non uenisset. Sed nos lucernam matris ecclesiae iam sequamur, et ambulantes in lumine dominici uultus (cfr. Ps. 88,16) Christi perueniamus ad dragmam, atque amicas et uicinas, id est, ecclesias gentium conuocemus, ne matrem nostram dragmam suam nesciant inuenisse, et dicamus cum propheta: «Paraui lucernam Christo meo» (Ps. 131,17). Et quid lucerna profuerit, audiamus: «Ecce audiuimus eam in Eufrata, inuenimus eam in campis siluae. Introibimus in tabernaculum eius, adorabimus in loco, ubi steterunt pedes eius» (Ps. 131,6-7). Ecce quod per distensos et nemora diffusa quaerebamus, in domino hanc matris inueniamus ad lucernam. Super hoc laetetur et caelum, quia in uno peccatore poenitentiam agente (cfr. Lc. 15,7.10) totius christiani populi claruit plenitudo, et tota deitatis forma Christi nostram refulsit in dragmam. 240 INDICI Matteo. Nel terzo dei suoi discorsi sul racconto della vocazione apostolica del pubblicano, il nostro autore istituisce un parallelo con l’uomo paralitico al quale Gesù rimette i peccati e restituisce la salute. E dice: “Ma uno può dire: perché il pubblicano, che appare maggiore nella colpa, è giudicato degno di un dono maggiore? Infatti, tosto l’apostolo [Matteo], investito di una dignità sicura, non solo ricevette egli stesso, ma anche concede ad altri il perdono dei peccati e illumina tutto il mondo con lo splendore della predicazione evangelica, mentre il paralitico è ritenuto degno a stento del solo perdono. Vuoi sapere perché il pubblicano ha ottenuto di più? Perché, secondo l’Apostolo: Dove abbondò il peccato, sovrab-bondò anche la grazia (Rom. 5,20). Nello stesso tempo il pubblicano potrebbe riprodurre l’immagine delle genti; il paralitico potrebbe essere la figura del popolo giudaico, il quale anche oggi è costretto a letto per una cattiva salute, così che, se non sarà portato dalla fede dei pagani, offerto a Cristo dalla compassione dei santi, salvato dalla fede del popolo cristiano, non potrà giungere alla casa della fede, alla casa della patria.”268 Osserviamo in primo luogo che, nel confronto tra il pubblicano che rappresenta il popolo dei gentili e il paralitico che rappresenta il popolo giudaico, Pietro dice che è più peccatore il primo. E per questo può ap-plicare ai pagani il testo paolino che parla della sovrabbondanza della grazia in corrispondenza dell’abbondanza del peccato. In secondo luogo notiamo l’attualità con cui viene presentata la vicenda dei giudei: hodieque malae valetudinis tenetur in lecto. In terzo luogo riscontriamo l’evoluzione estremamente positiva del rapporto di reciprocità istituito tra i due popoli: la fede delle genti porta i giudei, la loro compassione di santi li offre a Cristo; la capacità di credere del popolo cristiano salva i giudei, e li fa arrivare alla casa della fede e alla patria celeste. Se nel testo appena citato sono i cristiani a soccorrere i giudei e a condurli alla fede e alla salvezza, nel passo seguente le parti si rovesciano, e sono dei giudei a pregare per un pagano. Troviamo questa affascinante corrispondenza di ruoli nel commento di Crisologo al brano evangelico del centurione il cui servo era ammalato e stava per morire. Il nostro auto-re si ferma a considerare la preghiera di intercessione rivolta a Cristo dall’ambasceria di giudei: “E quelli, una volta venuti, lo pregavano dicendo: “Merita che tu gli conceda questa grazia. Ama, infatti, il nostro popolo e ci ha costruito la sinagoga” (Lc. 7,4-5). Pregano per un pagano i Giudei, che non pregano per se stessi; e si danno molto da fare 268 Serm. 30,2,33-45, PC I,226-228: Sed dicit aliquis: quare publicanus, qui maior uidetur in crimine, maior habetur in munere? Nam mox apostolus, certa praeditus dignitate, non solum ipse accepit, sed aliis indulgentiam tribuit peccatorum, totum orbem splendore euangelicae praedicationis irradiat; et paralyticus sola dignus uenia uix habetur. Vis nosse quare plus consecutus sit publicanus? Quia iuxta apostolum: «Vbi abundauit peccatum, superabundauit et gratia» (Rom. 5,20). Simul et publicanus gentilis populi typum teneat; paralyticus Iudaici populi sit figura, qui hodieque malae ualetudinis tenetur in lecto, ut nisi portatus fuerit fide gentium, oblatus Christo miseratione sanctorum, christiani populi credulitate saluatus, ad domum fidei, ad domum patriae non potest peruenire. INDICI 241 per la salvezza di un servo straniero, mentre non si preoccupano per la salvezza dei loro figli. Dicono: Merita che tu gli conceda questa grazia. Se lo merita colui che ascolta, crede, manda da Cristo, come si dimostra immeritevole chi va da Cristo, vede e non crede! Ama, infatti, il nostro popolo. Egli ama il vostro popolo, che rende così supplice a Cristo; ma voi lo odiate, perché lo fate così caparbio verso Cristo. O in che modo può non amare il vostro popolo un cristiano che, mentre professa Cristo, proveniente dal vostro popolo, eleva e innalza alla gloria celeste tutto ciò che appartiene al vostro popolo? Ama, infatti, il nostro popolo e ci ha costruito la sinagoga. Avete udito che la sinagoga giace sempre diroccata: offre solo pietre grezze e non si eleva in costruzione celeste, se il costruttore cristiano non la inserisce nella architettura della Chiesa.”269 I giudei pregano per la salvezza del servo di un centurione straniero. Crisologo, che ovviamente non perde l’occasione per rimproverare i giu-dei per la loro incredulità e caparbietà verso Cristo, non riesce tuttavia a trattenere un elogio accorato e affettuoso, che nascendo dalla considera-zione ammirata del generoso gesto del centurione che ha finanziato la costruzione della sinagoga, diventa appello attuale nei confronti dei suoi fedeli. Pietro sembra rivolgere questo appello, però, ai giudei stessi, in un dialogo immaginifico col quale parafrasa e amplifica il testo evangelico che sta commentando: “O in che modo può non amare il vostro popolo un cristiano che, mentre professa Cristo, proveniente dal vostro popolo, eleva e innalza alla gloria celeste tutto ciò che appartiene al vostro popolo?” Rileviamo in questo punto uno sguardo non solo di simpatia, ma di reale partecipazione: Pietro sta esaltando la dignità delle istituzioni del popolo dal quale proviene Cristo stesso! Nello stesso Sermone 102 possiamo rilevare altri passaggi dai quali si evince chiaramente la bellezza della reciprocità di un ritrovato rapporto tra i giudei e i pagani. Presentando la legazione giudaica inviata a Cristo da parte del centurione, Crisologo dice: “Avendo sentito, dice, parlare di Gesù (Lc. 7,3). Avendo sentito parlare di Gesù. Se non ci fosse stato prima l’annuncio della fede (cfr. Rom. 10,17), non sarebbe venuta la guarigione del corpo. Dunque mandò da lui alcuni anziani dei Giudei (Lc. 7,3). Un pagano manda Giudei da Cristo. Dunque anche per noi, perché è venuto prima 269 Serm. 102,4,34-48, PC II,286: «At illi, cum uenissent, rogabant eum dicentes: Dignus est, ut hoc illi praestes. Diligit enim gentem nostram, et synagogam ipse aedificauit nobis» (Lc. 7,4-5). Iudaei rogant pro gentili, qui pro se non rogant; et agunt satis pro salute alieni serui, qui pro salute suorum nil agunt filiorum. Aiunt: «Dignus est, ut hoc illi praestes». Si dignus est qui audit, credit, mittit ad Christum, ad Christum qui uenit, uidet, non credit, quam probatur indignus! «Diligit enim gentem nostram». Ille diligit gentem uestram, quam sic Christo supplicem facit; sed uos odistis eam, quam sic Christo redditis contumacem. Aut quomodo christianus non diligit gentem uestram, qui dum Christum fatetur ex gente, quicquid uestrae gentis est caelestem tollit et extollit ad gloriam. «Diligit enim gentem nostram, et synagogam ipse aedificauit nobis». Audistis quia semper diruta est synagoga, et iacet iugiter in caementis, nec caelestem surgit in fabricam, nisi eam in ecclesiae culmen christianus fabricator instruxerit. 242 INDICI l’annuncio della fede (cfr. Rom. 10,17), la vita del corpo viene dopo. Mandò da lui alcuni anziani dei Giudei (Lc. 7,3), e così lui, che era estraneo alla Legge, mostra l’Autore della Legge a coloro che stavano nella Legge. Nessuno, dunque, si stupisca se un pagano, cioè un cristiano, o chiama o accompagna un Giudeo o lo conduce a Cristo. Mandò da lui alcuni anziani dei Giudei, per chiedere che venisse e guarisse il suo servo (Lc. 7,3).”270 In questo testo il nostro autore passa con naturalezza tutta pastorale dal commento del brano evangelico alla rievocazione di avvenimenti che evidentemente non dovevano essere rari al suo tempo, nella sua comunità. Le parole “Nessuno, dunque, si stupisca se un pagano, cioè un cristiano, o chiama o accompagna un Giudeo o lo conduce a Cristo” non lasciano dubbi circa l’esistenza di episodi di conversione dal giudaismo al cristianesimo nella comunità cristiana di Ravenna al tempo del Crisologo. L’integrazione difficile ma non impossibile tra i giudei e gli altri cioè i pagani e i pagani convertiti al cristianesimo diventa, in chiusura del com-mento crisologhiano alla figura del centurione, la chiave di lettura definitiva del dialogo indiretto tra questi e Gesù. Pietro vi ricorre, offrendo una spiegazione originale delle battute del discorso col quale il centurione manda a spiegare al Signore la sua concezione dell’autorità: “Fratelli, questo centurione dicendo: Non sono degno che tu entri sotto il mio tetto (Lc. 7,6), riproduce la figura del popolo cristiano, che giudica di non meritare la presenza corporea di Cristo, ma dalla sola parola, dal solo annuncio, soltanto dall’orecchio della fede ascolta, crede e accoglie tutti i miracoli del Signore per la sua salute. Infatti, quanto a quello che dice: Dico a uno: “Va”, ed egli va; e ad un altro: “Vieni”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo”, ed egli lo fa (Lc. 7,8), dimostra così il rifiuto dei Giudei, la chiamata dei pagani, l’obbedienza del popolo cristiano. Dico a uno, cioè al Giudeo, che non crede: “Va’”, ed egli va; e ad un altro, cioè al pagano che ha creduto: “Vieni”, ed egli viene; e al mio servo, cioè a chi è già cristiano: “Fa’ questo”, ed egli lo fa. Preghiamo, fratelli, per meritare di essere cristiani non soltanto di nome, ma di fede; e per non limitarci solo ad ascoltare soltanto ciò che ci viene comandato, ma per fare ciò che abbiamo ascoltato. 270 Serm. 102,3,25-33, PC II,284: «Cum audisset», inquit, «de Iesu» (Lc. 7,3). «Cum audisset de Iesu». Nisi praecessisset auditus fidei (cfr. Rom. 10,17), salus corporis non uenisset. Ergo «misit ad eum seniores Iudaeorum» (Lc. 7,3). Gentilis Iudaeos ad Christum mittit. Ergo et nobis, quia fidei praecessit auditus (cfr. Rom. 10,17), uita corporis mox sequitur. «Misit ad eum seniores Iudaeorum» (Lc. 7,3), et in lege positis, qui sine lege erat, legis demonstrat auctorem. Nemo ergo miretur, si gentilis, hoc est, christianus Iudaeum aut uocat, aut ducit, aut perducit ad Christum. «Misit ad eum seniores Iudaeorum, rogans ut ueniret et sanaret seruum eius» (Lc. 7,3). INDICI 243 Poiché, come è proprio del servo devoto eseguire gli ordini, così è arroganza non eseguirli. Di’ dunque, una parola, e il mio servo sarà guarito (Lc. 7,7).”271 In questo testo abbiamo un’ulteriore importante conferma del modo tipico col quale il Pastore di Ravenna tende ad interpretare la Scrittura: qui gli interlocutori del suo discorso sono idealmente tre, i giudei, i pagani e i pagani convertiti al cristianesimo, cioè i cristiani. Ad ognuno di essi è rivolta la chiamata divina, rifiutata dai primi, accettata dai secondi, vissuta con autenticità dai terzi. La conversione dal paganesimo al cristianesimo è piena e vera solo se all’ascolto segue la fede obbediente ossia la fede che porta a eseguire quanto è stato precedentemente ascoltato. È questa la fede di cui Gesù stesso resta ammirato. Ecco la conclusione del discorso del Crisologo: “Udite queste parole, dice, Gesù ne fu ammirato (Lc. 7,9). Il Creatore delle meraviglie rimane ammirato. Il Creatore degli orecchi, come se non conoscesse ciò che non ha udito, si meraviglia così delle parole udite. Ma mentre rimane ammirato che un pagano abbia creduto a tal punto, rimprovera l’incredulità dei Giudei. Perciò parla alle turbe che lo seguivano (Lc. 7,9), anzi rimprovera così i Giudei che rimanevano al loro posto: Non ho mai trovato una fede così grande in Israele (Lc. 7,9)! È vero, fratelli, la sola fede vive e prospera tra i pagani, i miracoli e i prodigi stancano e non giovano a nulla ai Giudei.”272 Se la fede dei cristiani porta immancabilmente il nostro autore a rivolgere ai giudei frequenti denuncie di incredulità insieme ad appelli incalzanti alla fede, non dobbiamo perdere di vista che per lui la fede, foriera di salvezza, non è mai, in definitiva, completamente assente all’in-terno del popolo giudaico. Portiamo in proposito un’ultima testimo-nianza, tratta da un commento alla lettera di s. Paolo ai Romani. “Il beato Apostolo per la salvezza dei primi e degli ultimi, dei Giudei e dei Greci, innalza sempre l’unico e singolare vessillo della fede; e chi non meri-terà di averlo e di tenerlo, non potrà possedere la gloria dei trionfi celesti. È il solo, 271 Serm.102,9,105-118, PC II,288: Fratres, centurio iste dicendo: «Non sum dignus, ut intres sub tectum meum» (Lc. 7,6), Christiani populi gerit figuram, qui Christi praesentiam corporalem se iudicat non mereri, sed solo uerbo, nuntio, auditu fidei tantum, totas domini audit, credit, recipit in sua sanitate uirtutes. Nam quod dicit: «Dico huic: uade, et uadit; et alii: ueni, et uenit; et seruo meo: fac hoc, et facit» (Lc. 7,8). Iudaeorum repulsam, uocationem gentium, christiani populi oboedientiam sic demonstrat. «Dico huic», hoc est, Iudaeo, qui non credit: «uade, et uadit; et alii», hoc est, gentili, qui credidit: «ueni, et uenit; et seruo meo», hoc est, iam christiano: «fac hoc, et facit». Oremus, fratres, ut mereamur christiani non nomine tantum esse, sed fide, et ut quae iubentur non audiamus tantum, sed faciamus audita. Quia sicut deuoti serui est fecisse iussa, ita iussa contumacis est non fecisse. «Dic ergo uerbo, et sanabitur puer meus» (Lc. 7,7). 272 Serm. 102,10,119-125, PC II,290: «Quo audito», inquit, «Iesus miratus est» (Lc. 7,9). Creator mirabilium miratur. Aurium conditor, quasi qui non audita nesciat, sic stupet audita. Sed dum gentilem sic credidisse miratur, incredulitatem corripit Iudaeorum. Denique «sequentibus se turbis dicit» (Lc. 7,9), immo remanentes arguit sic Iudaeos: «Numquam in Israel tantam fidem inueni» (Lc. 7,9)! Verum est, fratres, fides sola uiuit et uiget in gentibus, signa et uirtutes lassant et nil proficiunt in Iudaeos. 244 INDICI fratelli, che ai combattenti contro l’incredulità allinea lo schiera-mento, indica il re, riunisce gli alleati, atterrisce l’empio nemico col solo apparire. Così, infatti, oggi ha cominciato: E non è stato scritto per Abramo che gli fu accreditato a giustizia, ma per noi, che crediamo in lui, che ha risuscitato Gesù, nostro Signore, dai morti (Rom. 4,23-24). Vedete, fratelli, che mentre i primi credono nelle cose future e gli ultimi nelle cose passate, gli uni e gli altri per la stessa strada della fede giungono alla salvezza. Quelli credono in Cristo venturo, noi crediamo in Cristo già venuto; quelli credono con meraviglia che, secondo la sorte dell’uomo, scenderà sino alla morte, noi ci gloriamo di affermare che è morto ed è risorto. E che altro aggiungere, fratelli? Per questo tale salvezza è stata negata agli occhi sia dei predeces-sori, sia dei successori, affinché fosse tutta riposta nella fede.”273 Troviamo in questo commento crisologhiano a Rom. 4,23-24 una grande esaltazione del dono della fede che accomuna i giudei e i cristiani prove-nienti dalle genti, tutti considerati come figli di Abramo. La posizione di Pietro è estremamente interessante e suggestiva, perché coglie giudei e cristiani sotto l’unica angolatura del loro essere credenti. Il Pastore raven-nate invita i suoi fedeli ad osservare la bellezza di un’unica strada, quella della fede, percorsa in comune verso un’unica meta, la salvezza. I vian-danti, giudei e pagani, credenti di diversa provenienza, la percorrono insieme: “Vedete, fratelli, che mentre i primi credono nelle cose future e gli ultimi nelle cose passate, gli uni e gli altri per la stessa strada della fede giungono alla salvezza.” In conclusione possiamo ritenere che per Pietro esiste sia a livello storico sia a livello teologico un dinamismo che porta giudei e cristiani ad un incessante e inevitabile confronto. Tale confronto può essere dialettico e costruttivo. Quando è dialettico, prevale un senso di insanabile discon-tinuità. Quando invece il confronto tra giudaismo e cristianesimo è co-struttivo, si danno di fatto due distinte possibilità. Nella prima il confronto costruttivo tra giudaismo e cristianesimo può portare l’elemento giudaico ad essere completamente assorbito da quello cristiano: è la sostituzione della Chiesa alla Sinagoga, ovvero la conversione, segnata da un passaggio effettivo dei giudei alla comunione ecclesiale. Nella seconda possibilità il confronto costruttivo tra giudei e cristiani può portarli a forme, variabili nell'intensità e nella forza, di integrazione 273 Serm. 110,1-2,3-18, PC II,332: Beatus apostolus primis et nouissimis, et Iudaeis et Graecis, uexillum fidei unicum semper et singulare erigit ad salutem; quod quisquis habere non meruerit et tenere, caelestium possidere non poterit gloriam triumphorum. Solum est, fratres, quod contra perfidiam dimicantibus aciem dirigit, regem indicat, conectit socios, inpiumque hostem sola sui uisione terrificat. Sic enim hodie coepit: «Non est autem scriptum propter Abraham, quod reputatum est illi ad iustitiam, sed propter nos, credentes in eum, qui suscitauit Iesum dominum nostrum a mortuis» (Rom. 4,23-24). Videtis, fratres, quia dum priores futura, dum praeterita credunt posteri, sic uno itinere fidei utique perueniunt ad salutem, dum illi uenturum Christum, nos iam uenisse profitemur; illi usque ad mortem more hominis discensurum mirantur et credunt, nos esse mortuum et resurrexisse gloriamur. Et quid plura, fratres? Ideo salus haec tam antecedentium quam sequentium oculis est negata, ut tota esset in fide. INDICI 245 reciproca, dove si riscontrano comunque importanti segni – per esempio la preghiera, la collaborazione fattiva, l’esempio di santità - di reciproco aiuto sull’unica via della fede verso la salvezza. CAPITOLO VII CONCLUSIONI La presente ricerca rappresenta il tentativo di una lettura interpretativa dei Sermoni di san Pietro Crisologo, vescovo a Ravenna tra i Concili di Efeso e di Calcedonia, quando questa città era capitale dell’Impero roma-no d’occidente. È ovvio che si tratta di una lettura: in quanto tale essa si pone accanto ad altre possibili letture. Si tratta però di una lettura nuova perché ha la pretesa di fare emergere dai testi crisologhiani aspetti che perfino uno studio specifico sull’argomento ha sostanzialmente ignorato274. 1. Prima conclusione: il dialogo coi giudei La presente ricerca ha preso le mosse dalla elementare constatazione, per noi apparsa evidente, che Pietro nel corso della sua predicazione al popolo, in chiesa durante la liturgia, si rivolgeva sia direttamente sia indi-rettamente ai giudei. La prima conclusione riguarda dunque molto semplicemente la constatazione del fatto che per questo vescovo cristiano latino del V secolo - la cui statura risulta in definitiva senza ombra di dubbio inferiore, per mole e per qualità degli scritti a noi pervenuti, a quella di un Ambrogio e di un Agostino, i grandi vescovi e autori occidentali a lui più vicini sia storica-mente sia geograficamente sia teologicamente -, il dialogo con i giudei è assolutamente naturale e intrinseco alla predicazione al popolo, all'annun-cio del Vangelo, alla spiegazione delle grandi verità della fede cristiana e alla conseguente proposta di vita conforme, sul piano morale, alle verità predicate. L’uso frequentissimo, praticamente continuo, del binomio giudeo-cristiano ha rappresentato l’inizio di un’intuizione che, in anni di ricerca, ci è stata senz’altro confermata. Pietro utilizza una categoria teologica, interna alla Scrittura stessa, attestata soprattutto da s. Paolo. La scoperta di questa categoria teologica, che distingue Pietro dagli altri Padri che pure ne hanno fatto uso, ci ha messo a contatto e fatto vedere meglio di quanto non avremmo potuto fare senza questo rilievo, di natura esegetica ed ermeneutica, la complessità e la ricchezza che all’interno di un autore come il nostro il dialogo 274 Cfr. W.B. Palardy, op. cit.. 246 INDICI tra cristianesimo e giudaismo può venire ad assumere275. 2. Seconda conclusione: complessità e variabili La seconda conclusione consiste nel confermare gli studi recenti che tentano di mostrare come la questione del rapporto cristianesimo-giuda-ismo, e viceversa, di fatto muti profondamente, per forma e contenuti, geograficamente e storicamente: di secolo in secolo e di luogo in luogo il nodo di questo rapporto si pone in termini estremamente variegati276. Il nostro contributo specifico è stato rilevare tutti i testi e tutti gli accenti con cui questo nodo si pone in Crisologo. Ne viene un’immagine inedita di come si possono configurare, nell’epoca dei Padri, i rapporti tra cristiani ed ebrei. Inoltre risulta evidente che la ricchezza e la complessità della questione, persino all’interno degli scritti di uno stesso autore, comporta idee e riferimenti non sempre chiaramente armonizzabili. 3. Terza conclusione: un autore favorevole ai giudei La terza conclusione è la più importante delle tre alle quali siamo approdati nel nostro studio. Essa si può a questo punto ricavare dalla considerazione del metodo teologico applicato da Pietro quando inter-preta la Scrittura e dal contenuto stesso dell'esegesi biblica attestata dalla predicazione crisologhiana. Il metodo teologico e il contenuto esegetico dei Sermoni del Crisologo rappresentano i due ambiti, teoricamente di-stinguibili ma di fatto strettamente interconnessi nello svolgimento della predicazione, nei quali abbiamo trovato da un lato l'uso del binomio giudeo-cristiano e dall'altro abbiamo osservato quali siano i presupposti e gli esiti - sul piano dei contenuti e quindi delle prospettive - dell'applica-zione costante dello stesso binomio. 275 Sotto questo primo aspetto, in definitiva il nostro studio viene a confermare ampiamente la necessità, sempre più affermata nell'attuale clima ecclesiale, di com-piere il massimo degli sforzi possibili per affermare comunque il primato del valore di un dialogo tra Chiesa e Israele. Cfr. in proposito J. Ratzinger, op. cit., pp. 73-74; L. Ballarini, op. cit., pp. 105-108. 276 Un bell’esempio in questa direzione in F. Manns, op. cit., pp. 97-112. L'assolutà necessità di sfuggire ormai a sguardi deboli e generici, sul piano storico e teologico, verso il nodo del rapporto giudaismo-cristianesimo è emersa con forza anche al recente Colloquio Intra-Ecclesiale tenuto in Vaticano. Vedi su questo punto in particolare l'im-portante distinzione tra antigiudaismo di differenziazione (piano dottrinale) e antigiu-daismo di installazione (piano storico) e l'attenzione a ricercare come, su ognuno dei due piani, si sia potuto sviluppare, di volta in volta e di luogo in luogo, in ambiente cristiano, un terreno ideologico favorevole al sorgere di pregiudizi e di conseguenti comportamenti antigiudaici. Cfr. M. Dubois, Status quaestionis della problematica, in Radici dell'antigiudaismo, op. cit., pp. 2627; 35. INDICI 247 3.1. Il metodo teologico: tre serie di commenti biblici Nell’approccio ai testi del Primo e del Secondo Testamento Pietro utilizza costantemente una categoria teologica che si presenta per lo più nella forma di una figura retorica: si tratta di un parallelismo antitetico o semplicemente di una antitesi, dove i termini di riferimento sono l’ebreo e il cristiano. Sinteticamente, possiamo ora dire che i testi biblici sui quali il nostro autore edifica la sua costruzione teologica sono almeno una tren-tina. Si possono catalogare, in conclusione alla nostra ricerca, in tre serie, denominate rispettivamente serie delle "coppie", serie dei "singoli" e serie delle "riletture". Questa catalogazione, al termine del nostro lavoro, ci aiuta a cogliere rapidamente e conclusivamente sia il modo col quale il nostro autore lavora sia il contenuto della sua esegesi relativamente alla questione giudaismocristianesimo. Per quanto attiene al modo di lavorare di Crisologo, cioè di accostare la Scrittura durante la predicazione al popolo, le osservazioni conclusive alle quali siamo approdati sono le seguenti. La prima serie di passaggi crisologhiani è costituita da testi biblici che presentano una coppia di personaggi o di cose e offrono a Pietro lo spunto per applicare la sua categoria. Tra questi si possono ulteriormente distingue-re e riconoscere quei testi dove un ulteriore indizio biblico oggettivo può instradare Pietro nella sua interpretazione. Sono dunque più importanti, per il nostro interesse, quei passaggi biblici dove, essendoci una coppia di personaggi, nulla può a prima vista spingere il lettore ad una certa interpretazione. La seconda serie di passi del sermonario pone in rilievo "singoli" personaggi o "singole" cose tratte dal testo biblico, anche qui con diversa misura di aderenza al testo stesso, nei quali Pietro vede rappresentato al vivo il rapporto dinamico tra giudaismo e cristianesimo. Abbiamo infine una terza serie di passaggi crisologhiani nei quali il Vescovo rilegge brani o intere sezioni veterotestamentarie e applica la sua categoria. 3.1.1. La serie delle "coppie" di personaggi o cose bibliche Nella prima serie di testi troviamo anzitutto "coppie" di personaggi o di cose collegate dallo stesso testo biblico che offre espressamente un ul-teriore oggettivo indizio. Troviamo qui il centurione romano di Cafarnao con le sue ambascerie (Lc. 7,1-10 e Mt. 8,5-13), la peccatrice perdonata in casa del fariseo Simone (Lc. 7,36-50), l’emorroissa e la figlia del capo della sinagoga (Mt. 9,1826; Mc. 5,21-43; Lc. 8,40-56), i greci e i giudei di s. Paolo ai Romani (Rom. 4,2324). In queste occasioni è lo stesso testo biblico a suggerire a Pietro la strada della decodificazione di un codice, dove il primo personaggio della coppia è sempre cristiano – intendendo con questo il credente in Cristo proveniente dal paganesimo, cioè l’etnico cristiano – e il secondo è giudeo. Il centurione è infatti presentato dal testo biblico come pagano, e la sua prima ambasceria è 248 INDICI oggettivamente di giudei. L’invito a pranzo rivolto al Signore proviene da Simone che è un giudeo particolarmente osservante, letteralmente un fariseo. La ragazza dodicenne che viene risuscitata è la figlia di Giairo, il capo della sinagoga. La successiva elaborazione paolina è già un’applicazione, interna al Nuovo Testamento, della categoria teologica che stiamo studiando in Crisologo. In altre occasioni Pietro si trova di fronte a testi biblici dove le "coppie" di personaggi o di cose, almeno a prima vista, non gli danno alcun indizio oggettivo: in questi casi la lettera del testo biblico non soccorre né indirizza l'interpretazione teologica dell'esegeta. È proprio qui che diventa allora particolarmente interessante l’attitudine di Crisologo ad applicare la sua chiave ermeneutica per sciogliere i codici simbolici della Scrittura. Così abbiamo visto l’importanza annessa ai due figli della parabola di Lc. 15,11-32, dove il fratello minore, il cosiddetto figliol prodigo, viene a rappresentare le genti e il fratello maggiore è Israele che rifiuta di entrare a far festa. La divisione dell’eredità paterna consiste nell’assegnazione al pagano della legge naturale e al giudeo della Legge di Mosè. Nello stesso senso Pietro si impegna nella difficile interpretazione del brano evangelico sulla famiglia divisa (Lc. 12,52-53): il padre, la madre e la suocera di quella disgraziata famiglia rappresentano il popolo giudaico, cioè la sinagoga, mentre la figlia e la nuora sono la Chiesa. Il figlio è Cristo che sposa la Chiesa ex gentibus per suscitare la gelosia del popolo giudaico. Anche nel caso dell’amministratore infedele (Lc. 16,1-8) ci troviamo nella serie delle "coppie" dove manca un indizio esplicito al livello del testo biblico, eppure Pietro dice che l’amministratore stesso è un cristiano convertito dal paga-nesimo, i debitori sono giudei e il debito è la Legge; inoltre, nel commen-to alla coda della pericope lucana, il nostro autore spiega che i figli di questo mondo sono i pagani mentre i figli della luce sono i giudei. Altri significativi esempi di "coppie", questa volta di cose, poste dal testo biblico ma senza un indizio ulteriore che possa spingere Pietro all’applicazione della sua categoria sono la toppa nuova sul vestito vecchio e il vino nuovo negli otri vecchi (Mt. 9,16-17): Pietro non ha dubbi nell’identificare la toppa nuova nel Vangelo e il vestito vecchio nel corredo dell’antica Legge, così come del resto gli otri nuovi sono i cristiani mentre gli otri vecchi sono i giudei277; il vino nuovo è quello spremuto dal torchio della croce. Ultime "coppie" di cose bibliche senza indizio testuale sono il pane e il pesce nel detto di Gesù sull’insistenza della preghiera (Lc. 11,11): il pane del cielo e il pesce del Giordano sono Gesù stesso, respinto dai giudei e offerto ai discepoli. Per i primi il pane diventa pietra e il pesce serpente. Per chiudere la prima serie, che abbiamo denominata delle "coppie", ricordiamo di avere analizzato anche casi nei quali non è il testo biblico a porre una coppia di personaggi o di cose e neppure ad aggiungere un eventuale 277 Quest’ultima interpretazione (otri vecchi = giudei, otri nuovi = pagani) è già di Barsabba di Gerusalemme nel Discorso sul nostro Salvatore Gesù Cristo, sulle Chiese e sui capi dei sacerdoti. Cfr. F. Manns, Op. cit., p. 105. INDICI 249 prezioso indizio che possa spingere l’esegeta in una certa inter-pretazione; si tratta invece di casi nei quali è il nostro stesso autore a creare da se stesso un collegamento tra due cose o personaggi, stringendo relazioni – che a noi naturalmente oggi possono apparire assolutamente arbitrarie – funzionali all’applicazione del binomio giudeo-cristiano. È il caso, per esempio, della scena del roveto ardente (Ex. 3) che diviene una prefigurazione del “popolo pieno degli spini della malvagità ed ingrato per la coltivazione della Legge”, e perciò porta il segno della futura missione degli apostoli inviati nel mondo intero a coltivare le regioni dei pagani con la potenza del fuoco dello Spirito Santo ricevuto a Pentecoste (Act. 2). Oppure è il caso della vocazione dell’evangelista Matteo (Mt. 9,9) che Crisologo legge sistematicamente in parallelo con la guarigione del paralitico (Mt. 9,1-8278): in quanto è pubblicano Matteo rappresenta le genti, mentre il paralitico è figura dei giudei. Per quanto attiene al metodo teologico applicato in tutti i testi biblici della prima serie che abbiamo chiamata delle "coppie", si può notare conclusivamente che talvolta Pietro è favorito dai testi biblici che commenta perché essi stessi gli possono offrire delle spie, degli indizi significativi, e lo possono indurre a sciogliere certe "coppie" di personaggi o cose dando a ciascuno il nome di giudeo e di cristiano. Talvolta, invece, - e questo evidentemente per noi è altamente significativo – Pietro di fronte ad una coppia dà la sua interpretazione e applica la sua categoria. Infine, abbiamo visto casi nei quali è Pietro stesso a creare delle "coppie" per poi scioglierle secondo la sua chiave ermeneutica. 3.1.2. La serie dei "singoli" personaggi o cose bibliche Se ora passiamo alla seconda serie di testi biblici ai quali il nostro autore applica il famoso binomio, troviamo, in conclusione alla nostra ricerca, un’ulteriore sorpresa. In realtà il Vescovo di Ravenna mostra, nella serie che chiamiamo dei "singoli" personaggi o cose, una speciale attitu-dine ad applicare sempre il suo metodo esegetico, ma trovandosi davanti ad un personaggio o ad una cosa singola, la deve sdoppiare. In questo sdoppiamento Pietro dà quasi sempre l’idea di un passaggio da una situazione di infermità e di anzianità ad una situazione di sanità e di novità. Vediamo il suo procedimento, raccogliendo rapidamente i dati sparsi nei capitoli del nostro lavoro. Anche nella serie dei "singoli", possiamo pensare che ci siano dei casi nei quali Pietro è avviato o stimolato alla sua interpretazione dal testo stesso. Prendiamo per esempio il caso di Zaccaria, al quale Crisologo dedica molti Sermoni. È un giudeo, è sacerdote, sta esercitando il suo ministero nel tempio di Gerusalemme. Il nostro autore – che tra l’altro istituisce un simpatico parallelo personale e autobiografico tra il mutismo del padre di Giovanni Battista e un 278 Si può pensare che in questo caso specifico il collegamento sia posto dal testo stesso in quanto la pericope del racconto della vocazione di Matteo segue immediatamente, nella tradizione sinottica, quella dell’incontro di Gesù col paralitico. 250 INDICI episodio nel quale, durante un suo discorso al popolo di Ravenna, ha perso improvvisamente la voce – si trova di fronte un singolo personaggio nell’atto più solenne del culto giudaico, l’offerta nell’ora dell’incenso (Lc. 1,8-10). Per Crisologo l’ora tarda e l’anzianità di Zaccaria divengono l’indizio del tramonto dell’antica Legge e dell’immi-nente aurora del Vangelo. Le istituzioni veterotestamentarie giudaiche - che, come abbiamo notato, sono particolarmente apprezzate dal nostro autore – passano e lasciano il posto alle novità cristiane. Anche l'immagine del fico sterile (Lc. 13,6-9) è una singola cosa biblica, una cifra simbolica che, ad un lettore della Scrittura attento e partico-larmente sensibile come un Padre della Chiesa, suggerisce di per sé l’iden-tificazione col giudaismo. E infatti Pietro dice che il fico rappresenta la sinagoga la quale, “riscaldata dal tepore della Legge, per un certo tempo fiorì in prefigurazione dei frutti della Chiesa.” I tre anni di sterilità della pianta che sfrutta inutilmente il terreno - secondo il ragionamento esi-gente del proprietario terriero - sono i tre periodi, nel corso dei quali Cristo va alla Sinagoga a chiedere il frutto, cioè mediante la Legge, mediante i profeti, mediante la sua stessa presenza fisica, e l’anno di dilazione offerto alla pianta per riprendersi e fare frutto indica il tempo fecondo dell'annuncio del Vangelo da parte degli apostoli, quando, secon-do il linguaggio crisologhiano, il vomere apostolico sostituisce il coltello legale. È da collocare in questa serie dei "singoli" il delicato momento nel quale Pietro, parlando dei vignaioli omicidi, dice che si tratta dei giudei deicidi: anche qui si può in definitiva pensare che ci sia una sollecitazione dal testo biblico all’esegeta attraverso la celebre immagine, del tutto consueta per un giudeo, della vigna che rappresenta il popolo eletto. In coda, e quasi per controbilanciare l’imbarazzante citazione appena rilevata, ricordiamo il commento crisologhiano all’episodio della donna sirofenicia. La sua determinazione, accostata da Pietro a quella dell’emor-roissa, gli suggeriscono di intendere il detto di Gesù sui violenti che si impadroniscono del regno dei cieli in maniera positiva: “Il regno dei cieli patisce violenza, e i violenti se ne impadroniscono (Mt. 11,12). La fede delle genti pagane fece violenza per strappare l’eredità del Padre e metterla tutta a ruba, come con grande evidenza ha mostrato con la presente lettura.”279 Alla violenza negativa dei vignaioli giudei fa dunque riscontro quella positiva dei pagani che vengono alla fede. Ma anche nella serie dei "singoli" sono stati naturalmente per noi molto più significativi e importanti i passaggi dei Sermoni nei quali non esiste alcun indizio da parte del testo biblico che il Pastore sta spiegando durante la sua omelia. Nei passi seguenti, infatti, si vede meglio e più chiaramente che l’applicazione della chiave ermeneutica di cui stiamo parlando è quasi istintiva 279 Serm. 102,2,40-43, PC II,284: «Regnum caelorum uim patitur, et qui uim faciunt diripiunt illud» (Mt. 11,12). Vim fecit fides gentium, ut raperet haereditatem patris, ipsam haereditatem totam diriperet, sicut euidentius praesenti lectione monstrauit. INDICI 251 da parte del Crisologo. La guarigione del cieco di Betsaida (Mc. 8,22-26) avviene gradualmente per mostrare il passaggio dell’ombra della Legge con tutte le sue venerande istituzioni e la sostituzione di realtà caduche con realtà eterne. La conversione di s. Paolo (Act. 9,3-4) è presentata emblematicamente, nel contesto dell’illuminazione definitiva e piena del cieco, come un reale sdoppiamento di personalità: “cadde giudeo per levarsi cristiano”. Altri casi celebri di sdoppiamenti di personalità funzionali all’applicazione della categoria giudeocristiano sono quelli di due donne del Vangelo: la suocera di Pietro (Mt. 8,1415) e la donna che perde e ritrova la dramma (Lc. 15,8-10). La suocera dell’apostolo Pietro, infatti, quando è a letto febbricitante rappresenta la sinagoga incredula e quando è rialzata dal Signore e si mette a servire è simbolo della Chiesa nell’esercizio del suo mi-nistero. La donna quando perde la dramma (= Cristo, nascosto nel Deca-logo della Legge) è la sinagoga e naturalmente, quando la ritrova, è la Chiesa! Conclusivamente, la serie dei "singoli" conferma vieppiù quanto già dimostrato nella serie delle "coppie": Pietro applica distesamente il suo principio ermeneutico. Dal punto di vista metodologico, in questa seconda serie di commenti a testi biblici il nostro autore appare decisamente più esposto ad interpretazioni allegoriche e spirituali di quanto non sia ap-parso nella prima serie di testi, e questo non gli risparmia rischi e talvolta incongruenze. È già al livello dell’analisi metodologica, infine, la consta-tazione che una possibile impostazione del rapporto giudaismo-cristiane-simo sta per Crisologo nella sostituzione del primo elemento col secondo. 3.1.3. La serie delle "riletture" bibliche Passiamo ora alla terza serie di testi biblici, che abbiamo chiamata delle "riletture". Qui il nostro autore si esibisce in "riletture" di passi veterotestamentari. Naturalmente, queste "riletture" avvengono in prospettiva cristologica, nel senso che, praticamente sempre, il Pastore sta commentando in effetti passi neotestamentari e, partendo da questi, ritorna all’Antico Testamento quasi non potendo spiegare il Nuovo Testamento senza l’Antico Testamento; ritorna alle promesse e alle profezie per indicarne definitivamente il compimento. Le conclusioni che, sul piano metodologico, si possono trarre dalla serie delle "riletture" sono due. La prima è che le "riletture" s’appoggiano su una grandissima stima e rispetto, anzi ammirazione, per la storia della salvezza e della santità realizzate da Dio con il suo popolo. La seconda è che, tornando all’Antico Testamento, ancora una volta Pietro applica il binomio giudeocristiano. Per quanto riguarda le "riletture" cristologiche dell’Antico Testamento abbiamo visto soprattutto che Pietro presenta Cristo come il vero autore del passaggio del Mare Rosso da parte degli ebrei liberati, della rivelazione e del dono della Legge sul Sinai, della guida del cammino del popolo nel deserto, del 252 INDICI suo ingresso attraverso il Giordano nella terra promessa e nella città di Gerico. Per quanto riguarda invece l’applicazione specifica del binomio che a noi interessa abbiamo visto soprattutto l’interpretazione di Ps. 28,1 (= i cristiani offrono in sacrificio insieme i figli dei padri ebrei e degli apostoli), quella di Giona, figura di Cristo280, dei Niniviti, figura dei pagani281, e infine della regina del sud, figura della Chiesa. La serie delle "riletture", sul piano metodologico, ci conferma definitivamente sulla centralità della categoria teologica utilizzata dal Crisologo. Il suo schema di giudaismo-cristianesimo è come un nucleo sempre attivo nella sua esegesi biblica, sia del Nuovo che dell’Antico Testamento. 3.2. Il contenuto dell’esegesi su giudei e cristiani Dopo avere ricavato dalla nostra catalogazione dei passaggi del sermo-nario le precedenti osservazioni conclusive circa il metodo esegetico del nostro autore, passiamo ora a qualche conclusione riguardante il conte-nuto dell’esegesi crisologhiana, relativamente al nodo che a noi ha interes-sato, cioè alla questione del rapporto tra cristiani ed ebrei. È propriamente a questo livello, dei contenuti esegetici della predicazione attestata dal sermonario, che abbiamo potuto apprezzare la ricchezza, la complessità e la profondità della sensibilità di Pietro e della sua teologia cristiana degli ebrei. La nostra terza conclusione è che, sebbene Pietro non risparmi giudizi estremamente duri nei confronti dei giudei, sia completamente da smen-tire, a suo riguardo, l’accusa di antisemitismo che viene correntemente, assai superficialmente e genericamente, rivolta agli scritti patristici282. Sotto questo 280 Cfr. serm. 37, PC I,266-270. Il libro di Giona fu interpretato da molti Padri in senso cristologico. Cfr. A. Quacquarelli, op. cit., p. 115. Cfr. anche F. Manns, op. cit., p. 137. 281 Non sembra perciò vero che in Crisologo sono assenti profezie dell’Antico Testamento della chiamata dei gentili, come sostiene W.B. Palardy, op. cit., p. 484. 282 Su questo problema particolare c’è naturalmente tutta una letteratura (cfr. Bibliografia 2.2.1). Uno degli studi più recenti, sintetici e significativi al riguardo è G.G. Stroumsa, Dall’antigiudaismo all’antisemitismo nel cristianesimo primitivo?, in Cristianesimo nella storia 17 (1996) 13-46. L’ipotesi dello studioso ebreo è che le radici cristiane del moderno antisemitismo razziale stiano nella rivoluzione religiosa del IV secolo. Attraverso passaggi successivi, per la verità discutibili, l’autore perviene alla seguente conclusione, anch’essa tutt’altro che dimostrata: «L’antigiudaismo teolo-gico non è identico né alla discriminazione legale né alla diffamazione popolare, ma è difficile evitare la conclusione ch’esso abbia preparato entrambe. (…) Nel nostro caso i Padri della Chiesa sembrano essere stati coloro che hanno contribuito ad ‘aggravare’ la situazione, più degli esponenti di sentimenti antigiudaici; grazie alla loro retorica aggressiva essi contribuirono a trasformare l’argomentazione teologica antigiudaica in quello che possiamo chiamare un pregiudizio antisemita.» (p. 38). Altro studio interessante è D. Rokeah, The Church Fathers and the Jews in Writings designed for Internal and External Use, in Antisemitism through the Ages, edited by S. Almog, Oxford etc. 1988, pp. 39-69. L’autore discute la tesi di Frend (W.H.C. Frend, Martyrdom and Persecution in the Early Church, Oxford 1965, pp. 168.288.334) che sostiene la INDICI 253 aspetto, e nell’ambito dell’analisi del contenuto dell’esegesi e della predicazione crisologhiane dobbiamo affermare nettamente che Pietro è, semmai, un autore favorevole ai giudei piuttosto che antisemita! Questo nostro giudizio conclusivo non significa naturalmente che siano da ravvisare nel Crisologo una sorta di semplicismo, o di facile irenismo, o, peggio ancora, una specie di mancanza di coscienza dei problemi reali, di natura storica e teologica, che comunque sono posti dal rapporto tra cristianesimo e giudaismo; il nostro giudizio non significa neppure che nel complesso la posizione del Pastore di Ravenna comporti di fatto una forma di svilimento dell'identità cristiana di fronte ad una identità culturale e religiosa più marcata e incisiva. Al contrario, rilevando ampiamente e diffusamente modi e contenuti dell’identità del popolo giudaico così come emerge dal sermonario crisologhiano, ricaviamo dalla testimonianza del Vescovo ravennate una straordinaria ripresentazione della vera identità cristiana, tutta appoggiata su quella ebraica e da essa avvalorata. Sotto questo profilo Pietro ci è apparso un vero vescovo cristiano, appartenente fino in fondo alla grande Chiesa. Crisologo fu quindi favorevole ai giudei. Ovviamente dobbiamo inten-derci su questo punto rilevante. Non fu favorevole ai giudei nel senso di un cristiano giudaizzante e neppure nel senso di un giudeo-cristiano che conserva certe abitudini, regole e osservanze ricevute dalla propria prece-dente, e non passata, appartenenza religiosa. Si può e si deve anzi dire, per intendersi fino in fondo, che troviamo nei Sermoni, e le abbiamo ampia-mente attestate, pagine di fortissima polemica antigiudaica. Non stiamo dicendo, dunque, che Crisologo è allo stesso tempo filogiudaico o simpatizzante dei giudei e antigiudaico, ma che le inevitabili puntate di polemica antigiudaica non cancellano né dovrebbero inganna-re circa la reale attitudine - fondamentalmente e sostanzialmente positiva - di Pietro nei confronti del giudaismo. I giudei, infatti, contro i quali il Pastore si scaglia, secondo uno stile retorico assolutamente canonizzato nella cultura di un antico retore283, sono principalmente una categoria teologica, come i giudei del Vangelo di Giovanni284, e sostanzialmente sono la cifra simbolica per esprimere l’increpartecipazione attiva e materiale dei giudei alle persecuzioni dei pagani contro i cristiani dal II sec. alla prima metà del III sec. (pp. 51-53) e giunge ad affermare che i Padri furono sostanzialmente forzati ad assumere posizioni polemiche verso i giudei per rendere il giudaismo indesiderabile e ostico sia ai cristiani (uso interno) sia ai pagani (uso esterno). La causa fondamentale degli attacchi dei Padri verso i giudei fu dunque, secondo Rokeah, la difesa del cristianesimo e della Chiesa (cfr. pp. 63-64). Sull’attualità della questione nel dibattito religioso e culturale dei nostri anni vedi l’editoriale della Civiltà Cattolica in occasione delle reazioni alla pubblicazione del documento vaticano sulla shoah: Apriamo, cristiani ed ebrei, un periodo nuovo di fraternità, in La Civiltà Cattolica 149 II (1998) 3-14. 283 Concordiamo in questo con le conclusioni dello studio di W.B. Palardy, op. cit., pp. 490-491, secondo le quali le invettive crisologhiane contro i giudei sono strumenti retorici. 284 Cfr. F. Manns, op. cit., p. 98. Anche i farisei, nel Vangelo di Giovanni, “sono 254 INDICI dulità, il rifiuto a credere che Gesù, morto e risuscitato, sia il Messia. Quest’ultima affermazione, peraltro, non significa che i giudei siano per Pietro solo un ideale o siano soltanto i giudei contemporanei di Gesù di cui ci parla il Nuovo Testamento: abbiamo visto che la frequenza e il modo col quale il Pastore parla di loro e si rivolge, sia indirettamente sia diretta-mente, a loro fa supporre o perlomeno non può minimamente fare esclu-dere una loro presenza addirittura durante lo svolgimento della predi-cazione del Vescovo in Chiesa285. La nostra terza conclusione è perciò di grande rilievo. Pietro incarna, è testimone vivo di una certa interpretazione dei rapporti tra giudaismo e cristianesimo. Essi, in conclusione al nostro lavoro di ricerca, si possono configurare in quattro possibilità o prospettive che chiamiamo della sostituzione, della comunione, della reciprocità, dell’accompagnamento286. 3.2.1. Prima prospettiva: la sostituzione Sul piano dei contenuti della predicazione cristiana circa il nodo giudaismocristianesimo il nostro autore mostra anzitutto di pensare al secondo in continuità e sostituzione al primo287. In pratica, come abbiamo visto, la Chiesa prende il posto e le funzioni della Sinagoga. Questa sosti-tuzione avviene di seguito ad un’altra sostituzione: Cristo prende il posto e le funzioni della Legge. Queste sostituzioni, evidentemente collegate, non significano però parità di valore degli elementi in gioco. Pietro afferma chiaramente che la Chiesa è superiore alla Sinagoga, sia nella sua identità sia nell’esercizio delle sue funzioni, come del resto dice chiaramente che Cristo è superiore alla Legge divenuti maggiormente [rispetto ai sinottici] il simbolo di un potere sfavorevole a Gesù e soprattutto i rappresentanti dell’uomo che non sa decidersi a prendere posizione in suo favore”: G. Ghiberti, I farisei nel Vangelo di Giovanni, in Ricerche storico bibliche 11 (1999) 170. Sul significato della categoria teologica "giudei" nel quarto Vangelo vedi anche: M. Dubois, op. cit., p. 28; L.E. Frizzell, "The Jews" in the Fourth Gospel, in Radici, pp. 127-146. 285 W.B. Palardy, op. cit., p. 481 esclude, al contrario, qualunque contatto tra Crisologo e gli ebrei del suo tempo: i suoi avversari sono esclusivamente i rappresentanti del giudaismo presenti nel Nuovo Testamento. 286 Anche nell’ambito dell’attuale ricerca teologica sul dialogo interreligioso, si cerca di capire e di schematizzare il posto e il ruolo di Israele. A. Russo, per esempio, parla per il passato dei seguenti modelli tradizionali: della sostituzione, tipologico (Israele = prefigurazione della Chiesa), illustrazionista (Israele = immagine in negativo della Chiesa perché rifiuta di convertirsi al Vangelo). E presenta per oggi nuovi modelli: complementare (accanto alla Chiesa anche Israele ha un ruolo specifico e insostituibile all’interno dell’unica economia di salvezza); messianico (valorizza le attese degli ebrei, fermo restando il loro compimento anticipato per la Chiesa); della dipendenza cristologica (l’idea paolina: dopo i pagani tutto Israele sarà salvato). Cfr. A. Russo, La funzione d’Israele e la legittimità delle altre religioni, in Rassegna di teologia 40 (1999) 95118. Altri schemi interpretativi, per la verità tutti da discutere, si trovano nelle ultime pagine dedicate alle prospettive nel lavoro di C. Thoma, op. cit., pp. 204-207. 287 Assunse una posizione analoga nel II secolo in Palestina Giustino nel Dialogo con Trifone. Cfr. F. Manns, op. cit., pp. 133-152. INDICI 255 mosaica, sia nella sua identità di Figlio di Dio sia nelle sue funzioni di capo e guida del popolo di Dio. Le parti più interessanti del nostro studio hanno mostrato come in effetti Pietro sia cosciente del valore e della peculiarità di Israele, della sua identità di fronte a Dio e di fronte agli altri, della sua diversità e della sua superiorità rispetto a tutti i popoli. La diversità e la superiorità del popolo eletto rispetto a tutti i popoli della terra sono per Crisologo da individuare in Cristo e nella Legge: l’evento di Cristo, a livello teologico, e il dono della Legge al Sinai, a livello storico, costituiscono l’originalità insostituibile del popolo giudaico. La centralità e la unicità irripetibile dell’evento di Gesù Cristo non cancellano la profonda stima e ammirazione che Pietro mostra di avere per le istituzioni veterotestamentarie: la Legge, la profezia, il culto, i sacrifici, il sacerdozio, il regno, la storia dei santi ebrei di cui la Bibbia ci parla dall’Antico Testamento al Nuovo Testamento, compresi Zaccaria, Giovanni Battista, Maria Vergine, Simeone. Crisologo, come abbiamo visto, mostra di credere al valore santificante e salvifico della Legge e del culto giudaico, e persino di stimare le tradizioni farisaiche. In che senso, allora, Crisologo può dire che la Chiesa sostituisce la Sinagoga? Nel senso che, in occasione dell’incarnazione e della morte di Cristo in croce, il rifiuto a credere da parte dei giudei viene a costituire l’inizio della possibilità di credere per tutte le genti. Mediante la fede in Cristo la Chiesa ex gentibus viene ad ereditare il patrimonio permanente del popolo giudaico. Tra i passaggi crisologhiani più significativi possiamo ricordare qui: il commento al Ps. 28,1 (il nuovo sacrificio del cristiano); il commento a Lc. 1,8-10 (Zaccaria nell’ora dell’incenso); il commento alla guarigione della suocera di Pietro (Mt. 8,14-15); il commento alla parabola della donna che perde e ritrova la dramma (Lc. 15,8-10). 3.2.2. Seconda prospettiva: la comunione La seconda prospettiva che la lettura delle prediche crisologhiane apre relativamente al nodo del rapporto tra cristiani ed ebrei ci porta decisa-mente oltre alla prima, appena esaminata. Si tratta ora di una comunione dove i due interlocutori sono sullo stesso piano e camminano nella stessa direzione. Si noti: due interlocutori, distinti e uniti, sullo stesso piano di parità e di dignità, entrambi preziosi e insostituibili. Il testo di riferimento più importante è qui probabilmente il commento crisologhiano ad un passaggio della Lettera ai Romani: “Il beato Apostolo per la salvezza dei primi e degli ultimi, dei Giudei e dei Greci, innalza sempre l’unico e singolare vessillo della fede; e chi non meriterà di averlo e di tenerlo, non potrà possedere la gloria dei trionfi celesti. È il solo, fratelli, che ai combattenti contro l’incredulità allinea lo schieramento, indica il re, riunisce gli alleati, atterrisce l’empio nemico col solo apparire. Così, infatti, oggi ha cominciato: E non è stato scritto per Abramo che gli fu accreditato a giustizia, ma per noi, che crediamo in lui, che ha risuscitato Gesù, nostro Signore, dai morti (Rom. 4,23-24). Vedete, fratelli, che mentre i primi credono nelle cose future e gli ultimi 256 INDICI nelle cose passate, gli uni e gli altri per la stessa strada della fede giungono alla salvezza. Quelli credono in Cristo venturo, noi crediamo in Cristo già venuto; quelli credono con meraviglia che, secondo la sorte dell’uomo, scenderà sino alla morte, noi ci gloriamo di affermare che è morto ed è risorto. E che altro aggiungere, fratelli? Per questo tale salvezza è stata negata agli occhi sia dei predecessori, sia dei successori, affinché fosse tutta riposta nella fede.”288 In questo testo straordinario troviamo esplicitato quello che unisce i cristiani e gli ebrei, il contenuto della loro comunione. Giudei e greci credono in Cristo. La fede in Cristo costituisce l’oggetto della loro comunione, il tramite del loro legame. Cristo è il patrimonio comune. Il fatto di credere e ciò in cui credono sono il principio della comunione tra gli ebrei e i cristiani. Naturalmente, Crisologo precisa che i giudei credono nel Cristo venturo e che i cristiani credono nel Cristo già venuto. Ma non si pensi che il nostro autore stia dicendo che i cristiani credono che il Messia è Gesù di Nazaret, mentre i giudei non ci credono. Si noti invece che Pietro sta proprio parlando di Cristo, il Figlio di Dio incarnato, e sta dicendo che i giudei credono in lui solo fino ad un certo punto. I giudei mirantur et credunt fino alla discesa di Gesù nella morte. I giudei, cioè, arrivano a credere usque ad mortem, fino al punto in cui Cristo, come ogni altro uomo (more hominis) scende nella morte. I cristiani, invece, continuano a credere anche al seguito, la risurrezione di Cristo. E anche qui, non manca una certa qual punta di fierezza per l’appartenenza alla fede piena dei cristiani: gloriamur! Oltre le precisazioni, che restano, dobbiamo apprezzare il fascino e la bellezza dell’espressione uno itinere fidei utique perueniunt ad salutem. Giudei e Greci stanno camminando insieme, chi guardando al passato, chi al futuro, nella stessa direzione. La salvezza è preparata per tutti, in fide. 3.2.3. Terza prospettiva: la reciprocità La terza possibilità di sbocco che Pietro dà alle relazioni tra cristiani ed ebrei è quella di una reale e concreta esperienza di reciprocità. Il cristiano e il giudeo non si limitano a camminare sulla stessa strada con la stessa meta, come abbiamo appena visto, magari a rispettarsi senza guardarsi o sostanzialmente ignorandosi, ma hanno qualcosa da scambiar-si lungo il 288 Serm. 110,1-2,3-18, PC II,332: Beatus apostolus primis et nouissimis, et Iudaeis et Graecis, uexillum fidei unicum semper et singulare erigit ad salutem, quod quisquis habere non meruerit et tenere, caelestium possidere non poterit gloriam triumphorum. Solum est, fratres, quod contra perfidiam dimicantibus aciem dirigit, regem indicat, conectit socios, inpiumque hostem sola sui uisione terrificat. Sic enim hodie coepit: «Non est autem scriptum propter Abraham, quod reputatum est illi ad iustitiam, sed propter nos, credentes in eum, qui suscitauit Iesum dominum nostrum a mortuis» (Rom. 4,23-24). Videtis, fratres, quia dum priores futura, dum praeterita credunt posteri, sic uno itinere fidei utique perueniunt ad salutem, dum illi uenturum Christum, nos iam uenisse profitemur; illi usque ad mortem more hominis discensurum mirantur et credunt, nos esse mortuum et resurrexisse gloriamur. Et quid plura, fratres? Ideo salus haec tam antecedentium quam sequentium oculis est negata, ut tota esset in fide. INDICI 257 cammino, qualcosa di bello, di utile e di necessario per ognuno dei due. Partiamo dai giudei. Il testo più importante che abbiamo studiato è probabilmente quello dell’ambasceria giudaica mandata a Gesù dal centurione romano: Pietro sottolinea il fatto, ed insiste sul suo significato. I giudei pregano per un pagano e agiscono molto per la salvezza di un servo straniero. Da parte cristiana si può e si deve fare di più. I passi più significativi sono al riguardo i commenti alla chiamata del pubblicano Matteo e, ancora, il caso dell’ambasceria giudaica del centurione romano. Il racconto della vocazione del pubblicano Matteo è letta, come abbiamo visto, in parallelo all’episodio della guarigione del paralitico: nel primo Crisologo vede le genti, più peccatrici e quindi più graziate rispetto al popolo giudaico. Quest’ultimo “anche oggi è costretto a letto per una cattiva salute, così che, se non sarà portato dalla fede dei pagani, offerto a Cristo dalla compassione dei santi, salvato dalla fede del popolo cristiano, non potrà giungere alla casa della fede, alla casa della patria.”289 Ai cristiani Pietro assegna dunque compiti ben precisi nei confronti degli ebrei: partendo dalla propria fede portarli, riconoscendo la propria condizione di persone santificate averne compassione e offrirli a Cristo, mantenendo la volontà di credere del popolo cristiano salvarli. Solo così gli ebrei potranno giungere alla casa della fede, alla casa della patria. Il caso dell’ambasceria giudaica spedita a Gesù da parte del centurione romano per la guarigione del servo ammalato offre al nostro autore, come abbiamo notato, l’occasione per tessere un elogio accorato e affettuoso verso i giudei: “O in che modo può non amare il vostro popolo un cristiano che, mentre professa Cristo, proveniente dal vostro popolo, eleva e innalza alla gloria celeste tutto ciò che appartiene al vostro popolo? Ama, infatti, il nostro popolo e ci ha costruito la sinagoga (Lc. 7,5). Avete udito che la sinagoga giace sempre diroccata: offre solo pietre grezze e non si eleva in costruzione celeste, se il costruttore cristiano non la inserisce nella architettura della Chiesa.”290 Anche qui il Pastore ravennate dà indicazioni concrete: un cristiano non può non amare il popolo dal quale proviene Cristo stesso; da costruttore deve inserire le pietre grezze della sinagoga diroccata in Ecclesiae culmen. Nella terza prospettiva della quale stiamo parlando, quella della reci-procità, esiste perciò lo spazio per uno scambio bello, utile e necessario: gli ebrei pregano e agiscono molto per la salvezza dei cristiani; i cristiani, dal canto loro, 289 Serm. 30,2,41-45, PC I,228: Hodieque malae ualetudinis tenetur in lecto, ut nisi portatus fuerit fide gentium, oblatus Christo miseratione sanctorum, christiani populi credulitate saluatus, ad domum fidei, ad domum patriae non potest peruenire. 290 Serm. 102,4,42-48, PC II,286: Aut quomodo christianus non diligit gentem uestram, qui dum Christum fatetur ex gente, quicquid uestrae gentis est caelestem tollit et extollit ad gloriam. «Diligit enim gentem nostram, et synagogam ipse aedificauit nobis» (Lc. 7,5). Audistis quia semper diruta est synagoga, et iacet iugiter in caementis, nec caelestem surgit in fabricam, nisi eam in ecclesiae culmen christianus fabricator instruxerit. 258 INDICI amano gli ebrei e, se sono fedeli alla propria identità, li portano, ne hanno misericordia, li offrono a Cristo, li salvano, li fanno pervenire alla casa della fede, li inseriscono nella Chiesa. La salvezza, che nella seconda prospettiva, quella della comunione, è tutta riposta nella fede, in questa terza prospettiva è condivisa dagli uni e dagli altri e partecipata dagli uni agli altri in perfetta reciprocità. 3.2.4. Quarta prospettiva: l’accompagnamento La quarta ed ultima prospettiva alla quale la predicazione crisologhiana apre il rapporto tra cristiani ed ebrei è la più delicata: si tratta di una certa azione che i cristiani non possono non compiere nei confronti degli ebrei. Il passo più esplicito al riguardo lo abbiamo trovato ancora una volta nel Sermone 102, dedicato al commento della guarigione del servo del centurione: “Avendo sentito, dice, parlare di Gesù (Lc. 7,3). Avendo sentito parlare di Gesù. Se non ci fosse stato prima l’annuncio della fede (cfr. Rom. 10,17), non sarebbe venuta la guarigione del corpo. Dunque mandò da lui alcuni anziani dei Giudei (Lc. 7,3). Un pagano manda Giudei da Cristo. Dunque anche per noi, perché è venuto prima l’annuncio della fede (cfr. Rom. 10,17), la vita del corpo viene dopo. Mandò da lui alcuni anziani dei Giudei (Lc. 7,3), e così lui, che era estraneo alla Legge, mostra l’Autore della Legge a coloro che stavano nella Legge. Nessuno, dunque, si stupisca se un pagano, cioè un cristiano, o chiama o accompagna un Giudeo o lo conduce a Cristo. Mandò da lui alcuni anziani dei Giudei, per chiedere che venisse e guarisse il suo servo (Lc. 7,3).”291 La posizione del Pastore ravennate è chiara ed esplicita. Il cristiano, che essendo pagano è, paolinamente parlando, sine lege, mostra ai giudei, che sono posti in lege, l’Autore della Legge: presenta cioè al giudeo Cristo indicandolo come l’Autore di quella Legge che lui, giudeo, ha ricevuto e osserva (si noti ancora una volta l’individuazione precisa da parte del Crisologo del vero privilegio del popolo eletto da Dio). Il modo molto concreto col quale il centurione romano compie questa dimostrazione di Cristo quale Autore della Legge è di inviare materialmente dei giudei a Cristo, per domandare la guarigione del suo servo ammalato. Come abbiamo notato, il nostro autore prende spunto da quest’annotazione esegetica per fare un’applicazione di carattere pastorale, e per rivolgere un’esortazione ai suoi fedeli. Non ci si deve meravigliare delle conversioni dal giudaismo al cristianesimo. È normale che un cristiano inviti, accompagni e guidi un giudeo ad incontrare Cristo. 291 Serm. 102,3,25-33, PC II,284: «Cum audisset», inquit, «de Iesu (Lc. 7,3). Cum audisset de Iesu». Nisi praecessisset auditus fidei (cfr. Rom. 10,17), salus corporis non uenisset. Ergo «misit ad eum seniores Iudaeorum» (Lc. 7,3). Gentilis Iudaeos ad Christum mittit. Ergo et nobis, quia fidei praecessit auditus (cfr. Rom. 10,17), uita corporis mox sequitur. «Misit ad eum seniores Iudaeorum» (Lc. 7,3), et in lege positis, qui sine lege erat, legis demonstrat auctorem. Nemo ergo miretur, si gentilis, hoc est, christianus Iudaeum aut uocat, aut ducit, aut perducit ad Christum. «Misit ad eum seniores Iudaeorum, rogans ut ueniret et sanaret seruum eius» (Lc. 7,3). INDICI 259 Demonstrare Cristo come l’Autore della Legge e vocare, ducere et perducere un giudeo a Cristo sono azioni necessarie perché interne all'identità profonda del cristiano, uno che segue Cristo e che quindi non può non portare tutti, soprattutto i giudei, verso Cristo. Crisologo non precisa ulteriormente forme e modalità di questo accompagnamento da parte dei cristiani. Non dobbiamo tuttavia nasconderci che si tratta, da parte cristiana, di un’azione non solo impegnativa ma decisamente forte, una vera guida. Il testo crisologhiano più significativo al riguardo è probabilmente nel Sermone 10, dedicato al commento del Ps. 28. Come abbiamo osservato nel corso della nostra ricerca, Pietro interpreta il v. 1 ("Recate al Signore figli di arieti") nel senso che il cristiano offre come vittime coloro dai quali è stato preceduto sulla via della fede, dai padri ebrei ai confessori cristiani. Anche in quest’occasione, Pietro non fa mancare la sua applicazione pastorale, insistendo su un aspetto che, alla nostra sensibilità odierna, desta ovviamente numerose perplessità di diversa natura. Il Vescovo ravennate insiste molto, infatti, sulla necessità di portare al battesimo veramente tutti, persino quelli che non vogliono. E cita come argomenti probanti celebri esempi di vittime involontarie: Isacco, Lot, l’apostolo Pietro. Leggiamo, in conclusione al nostro studio, come san Pietro Crisologo chiude il Sermone 10: “E anche il Padre celeste non solo accoglie quelli che vogliono, ma attira anche quelli che non vogliono, come dice il Figlio: Nessuno viene a me, se non colui che mio Padre attira (Io. 6,44). Come può credersi cristiano chi non conduce a Cristo ciò che è annoso e vecchio? O come può giudicare ovile di Dio la sua casa, se in essa il germoglio pasquale, gregge di Dio, non fa risuonare il suo belato? Vi prego e vi scongiuro, fratelli carissimi, per il nostro Signore, di essere tutti vigilanti in questo, affinché in questi giorni nessuno sia lasciato privo della grazia di Dio, nessuno della generazione divina, perché ciò che Dio sta per conferire agli altri mediante la sua grazia, cresca e sovrabbondi in vostra gioia. Siamo uomini che vivono nell’incertezza e non sappiamo che cosa rechi il giorno che verrà (Prov. 27,1). Facciamo dunque in modo, dilettissimi, che i servi, i figli, gli sposi, i genitori, prevenuti dalla morte, non siano privi della vita presente e non giungano a quella futura.”292 292 Serm. 10,5-6,92-106, PC I,110: Et pater caelestis non solum uolentes suscipit, sed adtrahit et nolentes dicente filio: «Nemo uenit ad me, nisi quem pater meus adtraxerit» (Io. 6,44). Quomodo se Christianum credit, qui non Christo annuosa et uetera ducit? Aut quomodo domum suam iudicat ouile dei, ubi non pascuale germen, dei pecus dat balatum? Obsecro et obtestor, fratres carissimi, per dominum nostrum, ut in hoc uigiletis omnes, quatinus in his diebus nullus a dei gratia, nullus a generatione diuina relinquatur extorris, quatenus quod aliis deus est per suam gratiam collaturus, uestrum crescat et redundet in gaudium. Homines sumus sub incerto uiuentes, et nescimus «quid pariat superuentura dies» (Prov. 27,1). Agamus ergo, dilectissimi, ne serui, ne filii, ne coniuges, ne parentes praeuenti morte et praesenti uita careant, et non ueniant ad futuram. 260 INDICI BIBLIOGRAFIA 1. Fonti 1.1. Fonti relative a Pietro Crisologo Agnelli qui et Andreas Liber Pontificalis Ecclesiae Ravennatis ed. O. Holder-Egger, in Monumenta Germaniae historica. Inde ab anno Christi quingentesimo usque ad annum millesimum et quingentesimum. Edidit societas aperiendis fontibus rerum Germanicarum medii aevi. Scriptores rerum Langobardicarum et Italicarum saec. VI-IX, Hannoverae 1964, pp. 265-391. Codex Pontificalis Ecclesiae Ravennatis, a cura di A. 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116 Mt. 3,13-17: 84; 85 Mt. 7,16: 58 Prov. 27,1: 139 Mt. 8,5-13: 126 Mt. 8,14: 72 160 INDICI Mt. 8,14-15: 129; 135 Mt. 26,15: 93 Mt. 8,15: 72 Mt. 26,60: 105; 106 Mt. 9,1: 74; 108 Mt. 27,25: 93 Mt. 9,1-8: 127 Mt. 28,12-15: 93; 105; Mt. 9,9: 127 106 Mt. 9,16: 113; 114 Mt. 9,16-17: 127 Mt. 9,17: 113; 114 Mt. 9,18-26: 126 Mt. 11,12: 73; 74; 129 Mt. 12,10: 92 Mt. 13,24-30: 58 Mt. 15,3ss.: 103 Mt. 15,24: 43; 50; 51; 73 Mt. 21,23: 92 Mt. 21,37-38: 59; 60 Mt. 23,37: 85 Mt. 25,31: 56 Mc. 1,9-11: 84; 85 Mc. 3,2: 92 Mc. 5,21-43: 126 Mc. 5,22-43: 50; 51 Mc. 5,25: 50; 51 Mc. 5,35: 50; 51 Mc. 5,42: 50; 51 Mc. 7,1.7-13: 103 Mc. 7,6ss.: 103 Mc. 7,24: 73 Mc. 8: 62 Mc. 8,22-26: 129 161 INDICI Mc. 11,28: 92 Lc. 7,1-10: 126 Mc. 12,7: 91 Lc. 7,3: 43; 44; 118; Mc. 12,18: 53; 54 Mc. 12,29: 105; 106 119; 138 Lc. 7,4-5: 44; 117; 118 Lc. 7,5: 45; 46; 137 Lc. 1,5: 69; 70 Lc. 1,8.9-10: 70 Lc. 1,8-10: 128; 135 Lc. 1,55: 73 Lc. 2,14: 24 Lc. 2,26: 71; 80; 81 Lc. 2,29-30: 71; 80; 81 Lc. 3,21-22: 84; 85 Lc. 3,23-38: 50; 51 Lc. 4,1: 84; 85 Lc. 7,6: 46; 47; 48; 94; 95; 119; 120 Lc. 7,7: 48; 120 Lc. 7,8: 48; 119; 120 Lc. 7,9: 42; 48; 120 Lc. 7,36: 53; 54; 55 Lc. 7,37: 54; 55 Lc. 7,47: 56 Lc. 8,40-56: 126 Lc. 10,2: 38; 99; 100; 111; 112 Lc. 4,19: 50; 51; 57 Lc. 11,11: 84; 85; 127 Lc. 6,7: 92 Lc. 11,12: 85 Lc. 7: 46; 53; 55 Lc. 11,15: 92 162 INDICI Lc. 11,33: 88 Lc. 16,6: 101 Lc. 12: 58 Lc. 16,30: 77 Lc. 12,52-53: 126 Lc. 16,31: 77 Lc. 13: 56; 71; 80 Lc. 19,1: 75 Lc. 13,6-9: 128 Lc. 19,10: 75 Lc. 13,8: 57 Lc. 19,16: 88 Lc. 15: 35 Lc. 20,2: 92 Lc. 15,7.10: 116 Lc. 21,29-31: 87; 104 Lc. 15,8-10: 87; 88; 129; 135 Lc. 15,11-32: 126 Lc. 15,12: 98; 99 Lc. 15,25: 38; 99; 100; 111; 112 Lc. 15,29: 39; 112 Lc. 15,31: 39; 67; 80; 112 Io. 1,1: 89 Io. 1,17: 68 Io. 1,28-34: 84; 85 Io. 1,29: 113; 114 Io. 3,14: 85 Io. 5,35: 89 Io. 6,41.51: 84 Lc. 16: 39 Io. 6,44: 42; 139 Lc. 16,1-8: 126 Io. 6,54: 54; 55 163 INDICI Io. 8,51: 86 Rom. 6,11: 51 Io. 8,52-53: 86 Rom. 7,10: 85 Io. 15,15: 47; 94; 95 Rom. 8,35: 60 Io. 20,6-7: 50; 51 Rom. 9,5: 61 Io. 21,1-14: 85 Rom. 9,33: 84 Io. 21,18: 42 Rom. 10,17: 43; 44; 118; 119; 138 Act. 2: 127 Act. 9,3-4: 62; 63; 129 Act. 13,46: 73 Rom. 11: 46 Rom. 11,28: 46; 47; 94; 95 Rom. 12,1: 90 Act. 23,8: 53; 54 Act. 26,27: 43 1 Cor. 13,12: 62; 63 1 Cor. 15,43: 63 Rom. 2,14-15: 98; 99 Rom. 4,23-24: 75; 76; 121; 126; 135 2 Cor. 5,16: 24 Rom. 5,1: 104 Rom. 5,20: 116; 117 Gal. 4,4: 51 164 INDICI Phil. 2,10: 24 1 Ptr. 2,24: 51 Col. 2,17: 62 Hbr. 11,3: 74 1 Ptr. 1,5: 50; 51 Apoc. 12,9: 37; 89; 91 165 INDICI INDICE ONOMASTICO Abele: 39; 67; 89; 112 Annas: 32 Abramo: 7; 37; 39; 41; Anonimo Valesiano: 32; 42; 52; 67; 68; 69; 73; 74; 75; 76; 77; 82; 86; 91; 97; 112; 121; 135 Adamo: 26; 57; 65; 89; 97 33 Apollinare: 11; 20; 26 Arcadio: 19; 20 Argemì, A.M.: 13 Agnello: 10; 11; 21; 22 Ario: 90 Agostino: 24; 25; 28; 39; Aronne: 89; 90 66; 113; 123 Ataulfo: 20 Agricola martire: 30 Attila: 20 Agrippa: 43 Aubineau, M.: 15 Alarico: 19; 20 Alberigo, G.: 7 Baldassarri, S.: 10 Almog, S.: 132 Baldisserri, L.: 10; 21; 22 Ambrogio: 24; 30; 88; Ballarini, L.: 100; 124 113; 123 Ambrosiaster: 43 Andrea ap.: 26 Banterle, G.: 9; 16 Barbieri, G.: 33 166 INDICI Bardy, G.: 11; 24; 29; 45 Bettiolo, P.: 21 Barrios, J.P.: 14 Bieler, L.: 15; 24 Barsabba di Gerusalemme: 127 Biffi, G.: 5; 9; 16; 30 Blumenkranz, B.: 27; 28; Basilio di Seleucia: 15 38; 49; 66; 103 Baus, K.: 21; 30; 113 Böhmer, G.: 13; 33 Baxter, J.H.: 15 Bori, P.C.: 105 Beatrice, P.F.: 88 Budriesi, R.: 20 Bedeschi, P.: 10; 11 Beelzebul: 92 Cabrol, F.: 12 Benelli, A.: 12; 22 Caino: 89 Benericetti, R.: 11; 14; Camelot, P.T.: 12 16; 59 Benz, S.: 12 Bernardino da Feltre: 33 Bernardo di Chiaravalle: 17 Berra, L.: 11; 23 Bertrand, G.M.: 14 Cantalamessa, R.: 88 Carducci, G.: 23 Carmignac, J.: 14 Cary, M.: 19 Cassiano: 12 Cesario: 28; 113 167 INDICI Cicognani, G.: 11 De Echevarría, L.: 16 Cimosa, M.: 106; 111 De Margerie, B.: 17 Cipriano: 25; 88 De Rosa, G.: 83 Cirillo d’Alessandria: 21 Del Ton, G.: 15 Claudio imp.: 29 Di Berardino, A.: 11; 25 Clemente Dioscoro: 21 Alessandrino: 35 Clemente Romano: 40 Cornelio: 10 Costantino: 21; 113 Cracco Ruggini, L.: 31; 32; 33 Cremer, F.G.: 16 Dold, A.: 15 Dölger, F.J.: 15 Dossetti, G.: 7 Dossetti, G.L.: 7 Dubois, M.: 124; 133 Dukan, M.: 31; 32; 33 Cromazio: 15 Crouzel, H.: 17 Elia: 77 Enoch: 39; 67; 112 Danna, V.: 100 Davide: 40; 73; 74 De Bruyne, D.: 15 Epicuro: 38 Epifanio: 43 Epulone: 77 168 INDICI Erode: 69; 70; 105 Filemone: 43 Esichio: 15 Fiorentini, R.: 10 Etaix, R.: 15 Fiorini, V.: 23 Eudossia: 20 Fitzgerald, A.: 15 Eufemia: 26 Flaviano: 21 Eutarico: 33 Flavio Costanzo: 20 Eutiche: 16; 21; 22; 23; Fliche, A.: 11 24 Eva: 65; 97 Ewig, E.: 21; 30; 113 Flusser, D.: 100 Fotino: 28; 90 Frend, W.H.C.: 132 Fabbri, R.: 29 Frizzell, L.E.: 133 Facondo di Ermiane: 21 Fumagalli, P.F.: 31 Faller, O.: 88 Fatica, L.: 21 Felice: 15; 25 Felicita: 26 Feliers, J.: 16 Ferrua, A.: 11; 24 Galla Placidia: 19; 20; 21; 22 Gallay, P.: 88 Gamber, K.: 12 Gesù Cristo: 14; 17; 19; 24; 26; 28; 37; 39; 42; 169 INDICI 43; 44; 45; 46; 47; 48; 50; 51; 52; 53; 54; 55; 56; 57; 58; 59; 60; 61; 62; 63; 66; 67; 68; 70; 71; 72; 73; 74; 75; 76; 77; 78; 79; 80; 81; 82; 83; 84; 85; 86; 87; 88; 89; 90; 91; 92; 93; 94; 95; 97; 98; 100; 102; 104; 105; 106; 108; 109; 110; 112; 113; 114; 115; 116; 117; 118; 119; 120; 121; 126; 127; 128; 129; 130; 131; 133; 134; 135; 136; 137; 138; 139 Ghiberti, G.: 133 Ghirlanda, A.: 106 Giacobbe: 39; 67; 112 Giairo: 49; 52; 126 Giona: 131 Giosuè: 74; 75 Giovanni Antiocheno: 33 Giovanni Battista: 26; 69; 89; 92; 128; 134 Giovanni Crisostomo: 41; 42 Giovanni Crisostomo- Pseudo: 15 Giovanni di Berito: 15 Giovanni ev.: 68; 133 Giovanni Paolo II papa: 7 Giovanni usurpatore di Valentiniano III: 20 Giovanni vesc.: 23 Giovanni XXIII papa: 7 Giuda: 93 Giuliano l’Apostata: 113 Giuseppe sposo: 14; 108 Giustiniano: 21; 27; 29; 30; 31; 32 Giustino: 14; 134 170 INDICI Granfield, P.: 16 Gregorio Magno: 11; 32 Jedin, H.: 7; 21 Gregorio Nazianzeno: 88 Jenkins, C.: 14 Gregorio Nisseno: 88 Joannou, P.-P.: 7 Greogorio di Elvira: 113 Jossua, J.P.: 14 Grillmeier, A.: 14 Jungmann, J.A.: 16 Grossi, V.: 5; 25 Klaas, A.: 14 Heither, T.: 88 Koch, H.: 66; 88 Herz, M.: 13 Kochaniewicz, B.: 14; 28; Holder-Egger O.: 22 Holl, K.: 43 Ibas: 21 Ireneo: 14; 35; 42; 69 Isacco: 39; 41; 67; 68; 69; 112; 139 Isaia: 57; 88 81 Kroll, W.: 66 La Rosa, V.: 14 Ladino, R.: 14 Langerbeck, H.: 88 Lanzoni, F.: 10; 12 Lavenant, R.: 21 171 INDICI Manns, F.: 40; 124; 127; Lazzaro: 26 131; 133; 134 Lazzati, G.: 88 Marcellino di Voghenza: Lemarié, J.: 13; 15 12; 26 Leonardi, C.: 7 Leone Magno: Marcione: 42 14; 17; 20; 21; 23; 113 Leonzio di Costantinopoli: 15 Lercaro, G.: 7 Lodi, E.: 13 Lot: 42; 139 Luca ev.: 56; 88 Lucchesi, G.: 10; 11; 20; 22; 23 Lucifero: 89 Luzzati, M.: 33 Marco ev.: 49 Marco gnostico: 35 Mari di Rewardasir: 21 Maria sorella di Mosè e Aronne: 89; 90 Maria verg.: 14; 28; 81; 82; 108; 134 Maritain, J.: 40 Marrou, H.I.: 29 Martimort, A.G.: 13 Martin, V.: 11 Massi, U.: 29 Malaspina, E.: 31 Manicardi, E.: 13 Matteo ev.: 116; 136 Mazzarino, S.: 19 127; 172 INDICI Mazzotti, M.: 11; 21 Nestorio: 21; 23 Mc Glynn, R.H.: 14 Noè: 39; 67; 112 Meneghin, V.: 33 Ntedika, J.: 14 Michalcik, F.: 15 Miggiano, A.: 40 Odoacre: 31; 33 Milano, A.: 30; 31 Olivar, A.: 10; 11; 12; Mommsen, Th.: 33 Moreschini, C.: 88 Moriani, L.: 12 Moricca, U.: 11 13; 14; 15; 16; 17; 23; 24; 25; 26 Onorio: 19; 20; 31 Origene: 23; 35; 42; 87 Orselli, A.M.: 20 Mosè: 39; 67; 68; 74; 75; 76; 77; 78; 82; 85; 89; 97; 98; 99; 112; 126 Muratori, L.A.: 23 Muzzarelli, M.G.: 33 Padovese, L.: 36 Paganotto, E.: 14 Palardy, W.B.: 15; 29; 49; 107; 123; 131; 133 Paolo ap.: 12; 26; 36; Neone: 22 Neri, V.: 19 43; 46; 62; 63; 75; 95; 100; 104; 121; 123; 126; 129 173 INDICI Pascasio Radberto: 16 Pasini, A.: 16 Rabello, A.M.: 27; 30; 31; 32 Pasquet, P.M.: 68 Radagaiso: 19 Perani, M.: 5 Ratzinger, J.: 100; 124 Peters, F.J.: 13 Ravasi, G.: 106 Peterson, E.: 39 Pietro ap.: 15; 42; 60; 72; 74; 129; 135; 139 Re, P.: 14 Reitzenstein, R.: 88 Pietro II: 22 Rokeah, D.: 131 Pinell, J.: 13 Rossano, P.: 106 Pizzolato, L.F.: 88 Ruggieri, G.: 29 Preuschen, E.: 43 Ruggiero, F.: 13 Prodi, P.: 7 Russo, A.: 133 Proietto: 26 Sara: 49 Qiiore: 21 Quacquarelli, 29; Sauget, J.M.: 21 A.: 21; 102; 131 Quasten, J.: 11; 13; 16 Saul: 90 Schiltz, E.: 15; 24 174 INDICI Schwartz, E.: 23; 24 Speigl, J.: 14 Scimè, G.: 16; 42 Spinelli, M.: 12; 14; 15; Scorza Barcellona, F.: 13 Scullard, H.H.: 19 Segre, R.: 33 Sem: 39; 67; 112 Sessa, G.: 14 Simeone: 57; 71; 80; 81; 134 Simone fariseo: 53; 55; 16 Stefano martire: 26 Stegemann, E.W.: 29 Stegemann, W.: 29 Stilicone: 19; 20 Storoni Mazzolani, L.: 19 Stroumsa, G.G.: 131 Studer, B.: 5; 11 126 Simone gnostico: 35 Simonetti, M.: 21 Siniscalco, P.: 5; 19; 35; 36; 69 Sirat, C.: 31; 32; 33 Solignac, A.: 10 Sottocornola, F.: 13; 14 Spadoni, R.: 12 Tamassia, N.: 12 Teoderico: 31 Teodoreto di Ciro: 21 Teodorico: 22; 31; 33 Teodoro di Mopsuestia: 21 Teodosio I: 11; 19; 20; 30; 32 175 INDICI Teodosio II: 19; 20; 22; 31 Tertulliano: 25; 35; 42; 87 Testi-Rasponi, A.: 22 Thoma, C.: 100; 134 Timoteo: 43 Tito: 43 Van Paassen, J.: 11; 22 Varignana, N.: 12 Vendemiati, A.: 99 Vicario, L.: 25 Vitale martire: 30 Vivanti, C.: 33 Vogels, H.I.: 43 Tommaso ap.: 35 Tommaso d’Aquino: 68 Truzzi, C.: 13; 16; 27; Willis, G.C.: 12 Wissowa, G.: 66 28; 99 Zaccaria Ubach, B.: 17 sac.: 26; 69; 70; 128; 134; 135 Zaccheo: 74; 75 Valentiniano III: 19; 20; 22; 31 Valentino gnostico: 35 Zaccherini, G.: 40 Zambrini, L.: 12 Zerdoun, M.: 31; 32; 33 G. SCIMÈ 20 INDICE DEL VOLUME Presentazione 5 Capitolo I. Status degli Studi 1. Il contenuto del libro 2. Il metodo di lavoro 3. Stato attuale della ricerca 3.1. Indirizzo storico 7 7 9 10 10 3.1.1. Storiografia 3.1.2. Liturgia 3.1.3. Pastorale 3.2. Indirizzo teologico 3.3. Indirizzo letterario 3.3.1. Verso l’edizione critica dei Sermoni 3.3.2. L’esegesi biblica dei Sermoni 10 12 13 14 15 15 16 Capitolo II. Pietro Crisologo e il suo tempo 1. La situazione storica al tempo di Pietro Crisologo 2. La situazione ecclesiale 3. Notizie biografiche 4. Le opere e l’uditorio di Pietro Crisologo 5. Gli ebrei nell’Impero e a Ravenna nel IV e V secolo 19 19 21 22 23 29 Capitolo III. Giudei e Cristiani 1. Una categoria teologica 2. Due popoli 3. Un solo gregge 4. Il costruttore cristiano 5. Nemici e amici 35 35 35 40 42 46 Capitolo IV. Sinagoga e Chiesa 1. I dodici anni della figlia di Giairo e dell’emorroissa 2. Il fariseo e la peccatrice 3. Il fico nella vigna: coltello legale e vomere apostolico 4. La famiglia divisa: continuità e discontinuità 5. «Nunc uidimus in speculo» 49 49 53 56 58 61 Capitolo V. Israele di fronte a Dio 1. I giudei nel sermonario 2. La santità del popolo giudaico 3. La salvezza del popolo giudaico 4. Cristo e il popolo giudaico 5. Il popolo giudaico e Cristo 65 65 66 72 76 83 Capitolo VI. Israele di fronte agli altri popoli 1. Cristo e la Legge: due peculiarità 2. Il popolo della Legge 3. Gli impegni e gli errori di Israele verso la Legge 97 97 98 100 PIETRO CRISOLOGO E IL SUO TEMPO 21 4. Israele di fronte agli altri popoli 5. Israele insieme agli altri popoli 106 110 Capitolo VII. Conclusioni 1. Prima conclusione: il dialogo ecumenico 2. Seconda conclusione: complessità e variabili 3. Terza conclusione: un autore favorevole ai giudei 3.1. Il metodo teologico: tre serie di commenti biblici 3.1.1. La serie delle “coppie” di personaggi o cose bibliche 3.1.2. La serie dei “singoli” personaggi o cose bibliche 3.1.3. La serie delle “riletture” bibliche 3.2. Il contenuto dell’esegesi su giudei e cristiani 3.2.1. Prima prospettiva: la sostituzione 3.2.2. Seconda prospettiva: la comunione 3.2.3. Terza prospettiva: la reciprocità 3.2.4. Quarta prospettiva: l’accompagnamento 123 123 124 124 125 126 128 130 131 134 135 136 138 Bibliografia 1. Fonti 1.1. Fonti relative a Pietro Crisologo 1.2. Opere di Pietro Crisologo 1.2.1. Testi 1.2.2. Traduzioni 1.3. Altre fonti 2. Studi 2.1. Studi specifici su Pietro Crisologo 2.1.1. Studi storici 2.1.2. Studi teologici 2.1.3. Studi liturgici 2.1.4. Studi pastorali 2.1.5. Studi esegetici 2.2. Studi generali 2.2.1. Studi su ebraismo e cristianesimo 2.2.2. Studi sull’esegesi biblica dei Padri della Chiesa 2.2.3. Studi sulla storia antica 2.2.4. Altri studi 141 141 141 141 141 142 142 142 142 142 146 148 149 150 150 150 153 154 155 Indici Indice biblico Indice onomastico 157 157 160 Indice del volume 165