Madonna in trono con il Bambino e due angeli musicanti Tavola

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Madonna in trono con il Bambino e due angeli musicanti Tavola
Cristoforo Caselli
(Parma, 1460 circa – 1521)
Madonna in trono con il Bambino e due angeli musicanti
Tavola, 110,5 x 50 cm (n. inv. 1589)
Milano, Collezione Gian Giacomo Poldi Pezzoli
Nel dipinto è raffigurata la Vergine, assisa su un trono marmoreo riccamente decorato e intarsiato. Sulle sue
ginocchia, completamente nudo, è seduto il Bambino, che la Madre trattiene teneramente a sé con la mano
destra. I fiori raffigurati nella sinistra della Madonna e tra le manine di Gesù sono stati identificati da Mirella
Levi D’Ancona (1977, pp. 108-111) come vilucchi comuni, o convolvuli arvenses, che in questo contesto
alluderebbero all’amore perfetto e sacro. Ai piedi del trono sono inginocchiati due angeli musicanti, che
suonano una ribeca e un doppio flauto. Sul pavimento, raffigurato prospetticamente e realizzato con
mattonelle marmoree disposte secondo un disegno particolarmente complesso, è posato un cartellino che
con ogni probabilità recava in origine il nome dell’autore del dipinto, e forse anche la data di esecuzione
dell’opera. Purtroppo l’etichetta risulta oggi illeggibile a causa delle energiche puliture eseguite in passato,
che hanno indebolito diffusamente la pellicola pittorica, in particolare nei chiari e negli incarnati. La tavola,
ridotta sensibilmente di dimensioni lungo il bordo superiore, apparteneva probabilmente in origine a un
polittico, di cui purtroppo non sono stati per il momento rintracciati altri elementi. Il punto di vista fortemente
ribassato lascia intendere che il pannello era collocato in posizione molto elevata, forse al centro del registro
superiore dell’ancona che lo ospitava.
La tavola è stata restaurata nel 1960 e una seconda volta, a opera di Paola Zanolini, nel 1974,
Recentemente si sono verificati alcuni movimenti della pellicola pittorica che hanno suggerito di eseguire un
nuovo intervento conservativo.
Sul cartiglio posto ai piedi del trono era stata iscritta, in data imprecisata, una firma apocrifa che riferiva
l’opera a Giovanni Battista Cima da Conegliano, eliminata nel corso degli ultimi restauri. Il dipinto è stato
attribuito nei primi tempi della sua esposizione nelle sale del Museo Poldi Pezzoli alla scuola di Carpaccio
([Bertini] 1881, p. 31) e quindi a Baldassarre Carrari (Schmarsow 1886, p. 301 nota 2); ha poi goduto per
molti decenni di un’attribuzione a Marcello Fogolino (Museo Poldi Pezzoli 1902, p. 72; T. Borenius, in Crowe,
Cavalcaselle 1912, p. 211; Venturi 1915, p. 650; Gronau 1916, p. 141; Morassi 1932, p. 22; Berenson 1957,
p. 77). Secondo Carlo Ludovico Ragghianti (1955, p. 195) il trono marmoreo a tarsie sarebbe “schiettamente
veneziano” e nelle figure si individuerebbe la persistenza “di moduli ed ellissi plastiche antonelliane”. Lo
studioso suggeriva infine di accostare il dipinto all’“ineguale ma spesso tanto interessante” Filippo Mazzola
(Parma 1460 circa - 1505), inserendo quindi l’opera nel contesto parmense tra fine Quattro e inizio
Cinquecento. Roberto Longhi (1956, p. 188) ritiene “il dipinto tracciato secondo la pianta poligonale di Ercole
tardo e con qualche citazione soltanto indotta da Venezia”; anche il trono gli “sembra ferrarese, con ornati
quasi alla certosina che già puntano verso i modi del Mazzolino”. Mauro Natale (1982, p. 125, cat. 120)
riferisce dubitativamente la tavola in esame alla scuola emiliana verso il 1510 e, riprendendo il suggerimento
di Ragghianti, osserva che “i tipi umani, la stringente visione prospettica della scena e l’accurata descrizione
del trono rammentano peraltro le opere di Filippo Mazzola (si veda la Madonna con il Bambino e le Sante
Caterina d’Alessandria e Caterina da Siena, Berlino, Staatliche Museen, firmata e datata 1502)”.
Recentemente Mauro Lucco ha attribuito il dipinto a Cristoforo Caselli, dapprima in una conferenza, nel
1985, e quindi, nove anni dopo, in un intervento a stampa, in cui viene confermata la datazione al 1510 circa
già proposta da Mauro Natale (cfr. Lucco 1994, p. 334). Maria Cristina Chiusa, dopo avere inizialmente
accettato il riferimento a Caselli per il dipinto del Museo Poldi Pezzoli, decide infine di negarlo, per ritornare
ad accostare la tavola all’ambiente ferrarese, come aveva già fatto Longhi (cfr. Chiusa 1996, pp. 16 nota 21,
21). A giudizio di chi scrive la proposta di Lucco è invece senz’altro da accogliere: il dipinto mostra infatti
stringenti affinità con le opere eseguite da Cristoforo Caselli fra la fine del Quattrocento e il primo decennio
del Cinquecento. Si noti come alcuni degli angeli musicanti della Pala della Congregazione dei Vivi e dei
Morti, firmata e datata 1499 e conservata presso la Pinacoteca Nazionale di Parma, inv. A – e in particolare
quello che suona il liuto, a destra della Vergine – trovino puntuali riscontri nei due angeli musicanti della
tavola milanese. Come ha acutamente notato lo stesso Lucco (1994, p. 334), è però soprattutto con la
frammentaria Madonna in trono con il Bambino conservata presso la Fondazione Cariparma, inv. F 13 (già
appartenente alla raccolta della Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza) che il dipinto in esame presenta le
maggiori affinità. Il volto del piccolo Gesù della tavola della fondazione bancaria parmense è in effetti
praticamente sovrapponibile a quello dell’angelo suonatore di ribeca della tavola del Poldi Pezzoli. Possono
essere ritenuti stretti consanguinei della tavola in esame anche altri dipinti di Caselli, come la frammentaria
Vergine incoronata della Galleria Nazionale di Parma, inv. 459 (che non escluderei fosse un frammento della
cimasa della stessa ancona di ignota ubicazione originaria da cui proviene la Madonna in trono con il
Bambino della Fondazione Cariparma), o l’Adorazione del Bambino dall’ampio paesaggio segnalata alcuni
anni fa in collezione Bussandri a Bassano del Grappa(cfr. Lucco 1994, p. 331; la si può vedere riprodotta in
Chiusa 1996, fig. 9), in cui il volto e le mani della Vergine adorante sono assai simili agli stessi dettagli della
Madonna in trono della tavola conservata al Poldi Pezzoli, e le cui pieghe angolose dei panneggi erano state
già accostate a quelle del dipinto milanese da Lucco (1994, p. 334. Davide Gasparotto, 2002, pp. 29-30,
propone la provenienza originaria dell’Adorazione del Bambino Bussandri dalla chiesa di San Pietro
Apostolo a Parma, mentre Aldo Galli me ne segnala gentilmente il passaggio, con attribuzione a Cima da
Conegliano, presso la Galleria Geri di Milano nel 1916, all’asta della collezione di un “eminente patrizio
bergamasco”; nel catalogo si riferiscono le dimensioni della tavola, 110 x 85 cm, e la provenienza del dipinto
dalla raccolta della “Duchessa di Berry di Venezia”: Catalogo 1916, p. 79 n. 797, fig. 42. Maria Carolina di
Borbone delle due Sicilie, duchessa di Berry, nel 1844 acquistò il palazzo Vendramin Calergi sul Canal
Grande a Venezia, dove trasferì la sua residenza; in seguito ai moti del 1848 il palazzo fu messo in
liquidazione e molte opere d’arte andarono all’asta a Parigi; può darsi che in quell’occasione sia stato ceduto
anche il dipinto di Caselli). Anche il tondo monocromo con Cristo morto sorretto da due angeli che orna il
monumento funebre Montini nel Duomo di Parma, datato 1507, mostra palesi somiglianze con il dipinto in
esame, in particolare nel volto dell’angelo di destra, assai vicino a quello del suonatore di ribeca della tavola
Poldi Pezzoli. Il trono dalla complessa architettura rimanda in effetti non a Venezia o a Ferrara, come
suggerivano Ragghianti e Longhi, ma a modelli lombardi: dalla Madonna allattante oggi conservata nella
collezione Borromeo all’Isola Bella, proveniente dall’ancona che decorava l’altare posto nella settima
cappella a sinistra della Certosa, dedicato ai quattro Evangelisti, Caselli mostra di avere desunto il fronte del
piano di seduta del trono del dipinto milanese, decorato virtuosisticamente a intarsi marmorei. Anche
l’angusta scatola spaziale dal soffitto piano incombente, che presenta un’apertura quadrangolare sopra il
gruppo sacro, riecheggia con ogni probabilità un prototipo lombardo: si vedano, ad esempio, I quattro Dottori
della Chiesa occidentale di Bergognone, riutilizzati alla fine del Settecento nel polittico di Perugino della
Certosa ma originariamente appartenenti alla stessa pala d’altare da cui proviene la Madonna allattante
Borromeo, l’architettura del registro superiore del Polittico di Treviglio di Butinone e Zenale, la Madonna e
santi dello stesso Zenale conservata al Museum of Art di Lawrence in Kansas.
Il dipinto in esame fu eseguito da Cristoforo Caselli con ogni probabilità fra il 1507 e il 1510 all’incirca, nel
periodo in cui l’artista, ormai definitivamente rientrato a Parma, mostra, accanto agli influssi dei pittori veneti,
una notevole conoscenza della cultura figurativa lombarda, in particolare di Milano e Cremona. Una simile
proposta cronologica (quasi perfettamente coincidente del resto con quella già avanzata da Natale e Lucco)
si fonda sugli stringenti confronti stilistici, già presentati più sopra, con il Cristo morto sorretto da due angeli
del Duomo – ancorato alla data 1507 apposta sul monumento Montini – e con alcune altre opere
verosimilmente eseguite dal Caselli in quel ristretto giro di anni: la Madonna in trono con il Bambino della
Fondazione Cariparma, la Vergine incoronata della Galleria Nazionale di Parma e l’Adorazione del Bambino
della collezione Bussandri a Bassano del Grappa.
La provenienza parmense del dipinto in esame sembrerebbe confermata anche dall’iscrizione apocrifa con il
nome di Cima da Conegliano che compariva fino ad alcuni anni fa sul cartellino e eliminata nei moderni
restauri, dato che l’artista veneto fra gli ultimi anni del Quattrocento e i primi lustri del Cinquecento eseguì tre
importanti pale d’altare per le chiese di Parma, due delle quali sono oggi conservate presso la Pinacoteca
Nazionale della città emiliana, mentre la terza è al Louvre. La firma apocrifa fu verosimilmente apposta da un
astuto restauratore-antiquario parmense per accrescere il valore venale del dipinto, dato che il nome di Cima
da Conegliano era quello più noto e accreditato sulla piazza di Parma per un dipinto Rinascimentale di
questo tipo, eseguito nei primi anni del Cinquecento.
Andrea Di Lorenzo
Bibliografia aggiornata al 2004
[G. Bertini], Fondazione artistica Poldi Pezzoli. Catalogo generale, Milano 1881.
A. Schmarsow, Melozzo da Forlì, Berlin-Stuttgart 1886.
J.A Crowe, G.B. Cavacaselle, A History of Painting in North Italy, a cura di T. Borenius, London 1912, 3 voll.
A. Venturi, Storia dell’arte italiana. La pittura del Quattrocento, VII, 4, Milano 1915.
Catalogo di una cospicua galleria antica e moderna già appartenuta ad eminente patrizio bergamasco.
Galleria Geri, Milano 1916.
G. Gronau, ad vocem Fogolino, Marcello, in U. Thieme, F. Becker, Allgemeines Lexikon des Bildenden
Künstler, IX, Leipzig 1916, pp. 140-142.
A. Morassi, Il Museo Poldi Pezzoli in Milano, Roma 1932.
B. Berenson, Italian Pictures of the Renaissance. Venetian School, London 1957.
C. L. Ragghianti, Recensione a La Pinacoteca Poldi Pezzoli, Prefazione di B. Berenson, Cenno storico di G.
Gregorietti, Catalogo di F. Russoli, Milano, Electa Editrice, 1955, in “La critica d’arte”, 1955, 8, pp. 191-197.
R. Longhi, Nuovi ampliamenti (1940-1955), in Officina ferrarese, (Opere complete di Roberto Longhi, volume
V), Firenze 1956, pp. 173-195.
M. Levi D’Ancona, The Garden of the Renaissance. Botanical Symbolism in Italian Painting, Firenze 1977.
M. Natale, Dipinti, in Museo Poldi Pezzoli. Dipinti, Milano 1982, pp. 63-488 (con bibliografia precedente).
M. U. Lucco, Recensione alla mostra Le collezioni d’arte della Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza, in
“Aurea Parma”, LXXVIII, 1994, III, pp. 330-335.
M. C. Chiusa, Per Cristoforo Caselli a consuntivo degli studi, in “Parma per l’arte”, N.S., II, 1996, 1, pp. 7-25.
D. Gasparotto, Francesco Farnese collezionista e la dispersione dei dipinti già nella chiesa di San Pietro
Apostolo a Parma, in “Aurea Parma”, LXXXVI, 2002, I, pp. 15-36.