Appunti di Formazione Analitica 2

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Appunti di Formazione Analitica 2
Appunti di Formazione Analitica 2
Paolo Calogero Sberna
4 dicembre 2008
Indice
1 Studio di funzioni reali a più variabili reali
1.1 Spazi metrici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.1.1 Cerchio nello spazio metrico . . . . . . . . . . . .
1.2 Topologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.3 Successioni negli spazi metrici . . . . . . . . . . . . . . .
1.3.1 Insieme completo . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.4 Topologia (cont.) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.5 Funzione continua . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.6 Generalizzazioni dei Teoremi di Weierstrass e di Darboux
1.7 Spazi vettoriali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.8 Esempi riepilogativi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.9 Limiti delle funzioni di due o più variabili . . . . . . . .
1.10 Derivate per le funzioni a più variabili reali . . . . . . . .
1.11 Differenziabilità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.12 Estremi relativi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.12.1 Forme quadratiche . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.12.2 Condizioni del secondo ordine . . . . . . . . . . .
1.13 Esempi riepilogativi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2 Serie numeriche
2.0.1 Esempi . . . . . . . . . .
2.1 Serie a termini di segno costante
2.2 Serie a termini di segno alterno
2.3 Serie assolutamente convergenti
2.4 Proprietà delle serie . . . . . . .
2.5 Esempi riepilogativi . . . . . . .
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3 Integrazione delle funzioni reali di una variabile reale
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3.1 Integrali indefiniti delle funzioni di una variabile . . . . . . . . 97
3.1.1 Proprietà dell’integrale indefinito . . . . . . . . . . . . 99
3.1.2 Metodo di integrazione per parti . . . . . . . . . . . . . 101
1
3.2
3.3
3.1.3 Metodo di integrazione per ricorrenza . . . . . . . . . . 102
3.1.4 Metodo di integrazione per sostituzione . . . . . . . . . 102
3.1.5 Integrali indefiniti immediati . . . . . . . . . . . . . . . 103
3.1.6 Integrali dei polinomi trigonometrici . . . . . . . . . . 103
3.1.7 Integrali delle funzioni razionali . . . . . . . . . . . . . 106
3.1.8 I metodo di integrazione per razionalizzazione . . . . . 113
3.1.9 Secondo teorema di integrazione per sostituzione . . . . 115
3.1.10 II metodo di integrazione per razionalizzazione . . . . . 117
3.1.11 III metodo di integrazione per razionalizzazione . . . . 118
3.1.12 IV metodo di integrazione per razionalizzazione . . . . 122
3.1.13 Esercizi riepilogativi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 124
Teoria della misura di un insieme piano (secondo Peano-Jordan)130
Integrazione secondo Riemann . . . . . . . . . . . . . . . . . . 131
3.3.1 Classi di funzioni integrabili . . . . . . . . . . . . . . . 135
3.3.2 Proprietà dell’integrale . . . . . . . . . . . . . . . . . . 137
3.3.3 Integrale definito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 138
3.3.4 Interpretazione geometrica dell’integrale di Riemann . 138
3.3.5 Teorema fondamentale del calcolo integrale . . . . . . . 140
3.3.6 Esercizi riepilogativi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 142
4 Serie di funzioni (Brutta da verificare e correggere)
4.1 Successioni di funzioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.1.1 Teoremi sulla convergenza uniforme . . . . . . . . . .
4.1.2 Convergenza uniforme e monotonia . . . . . . . . . .
4.2 Serie di funzioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.2.1 Serie di potenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.2.2 Condizioni sufficienti per la sviluppabilità in serie di
Taylor . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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A Formazione Analitica 1
A.1 Trigonometria (Draft) . . . . .
A.1.1 Identità . . . . . . . . .
A.1.2 Formule goniometriche .
A.2 Successioni a valori reali . . . .
A.3 Limiti notevoli . . . . . . . . .
A.4 Regole di derivazione . . . . . .
A.5 Formule di derivazione . . . . .
A.5.1 Funzioni trigonometriche
A.6 Appunti sparsi da integrare . .
A.6.1 Teoria dei polinomi . . .
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Capitolo 1
Studio di funzioni reali a più
variabili reali
Funzioni a valori reali che dipendono da 2 a n variabili.
Mentre per le funzione ad una variabile si può utilizzare il piano per la
loro rappresentazione, questo non è sufficiente per le funzioni a più variabili.
Una funzione a due variabili è definita in un sottoinsieme del piano, si ottiene
una terna (x, y, f (x, y)) rappresentabile nello spazio a 3 dimensioni. Il grafico
della funzione sarà una superficie.
Come visto in Formazione Analitica 1, lo studio delle funzioni ad una
variabile si basava sulla teoria dei limiti, nella quale ha una funzione fondamentale il concetto di distanza, per cui dovremo darne una definizione per i
punti nello spazio.
1.1
Spazi metrici
Definizione 1.1 (Spazio metrico). Insieme, di qualunque natura, in cui
siamo in grado di determinare la distanza fra due elementi
Assiomi degli spazi metrici
Sia S 6= ∅ e d : S × S → R se
∀x, y ∈ S
∀x ∈ S
d(x, y) = d(y, x)
d(x, x) = 0
d(x, y) ≤ d(x, z) + d(y, z)
(1.1)
(1.2)
(1.3)
allora d è una distanza, o metrica in S. Per identificare lo spazio metrico
dato dalla metrica d si usa anche la notazione (S, d).
3
La (1.3) è la proprietà triangolare, cosı̀ detta perchè proviene dalla proprietà dei triangoli: “un lato è minore della somma degli altri due”.
Esempio 1.1 (Distanza banale). Costruiamo una metrica.
poniamo:
(
d (x, x) = 0 ∀x ∈ S
d (x, y) = 1 se x 6= y
Sia S 6= ∅
gli assiomi (1.1) e (1.2) sono banalmente verificati, mentre la proprietà triangolare (1.3) deve essere verificata per i vari casi che si possono avere, tipo:
x = y = z, x = y 6= z ecc. . .
Questa viene detta distanza banale o metrica discreta, si può costruire
per qualsiasi S 6= ∅.
Osservazione 1.1.
1
∀x, y ∈ S
d (x, y) > 0
(1.4)
Dimostrazione. Dalla (1.2) si sa che 0 = d (x, x), applichiamo la diseguaglianza triangolare (1.3)
0 = d (x, x) 6 d (x, y) + d (x, y)
2 d (x, y) > 0
Il seguente è un esempio fondamentale.
Esempio 1.2 (Metrica euclidea). Siano S = Rn = {(x1 , x2 , . . . , xn ) : xi ∈ R}
insieme di n-uple, x = (x1 , . . . , xn ), y = (y1 , . . . , yn ) definiamo:
v
u n
uX
d(x, y) = t
(xi − yi )2
(1.5)
i=1
ad esempio:
n=1
n=2
q
d(x, y) = (x − y)2 = |x − y| (come la distanza in R)
p
d ((x1 , y1 ), (x2 , y2 )) = (x1 − y1 )2 + (x2 − y2 )2
si può dimostrare che è una metrica per R, viene detta “metrica euclidea”
1
Tale osservazione nel libro di testo è considerata un assioma
4
Date due metriche in un insieme S, vi saranno due spazi metrici. Confrontiamo due metriche. Se in S abbiamo due metriche d, δ esse si dicono
equivalenti se ∃ α, β > 0 tali che ∀x, y ∈ S
α δ(x, y) 6 d(x, y) 6 β δ(x, y) ⇐⇒
1
1
d(x, y) 6 δ(x, y) 6 d(x, y)
β
α
Questa relazione si ha dividendo per δ(x, y) e per d(x, y) e facendone l’inverso.
Come già detto gli spazi metrici si possono costruire su insiemi di qualsivoglia natura, ovviamente anche su insiemi di funzioni. Ad esempio.
Esempio 1.3. Sia S = C o ([a, b]) = {x : [a, b] → R continua}, C 0 è l’insieme
delle funzioni continue in [a, b], mentre x sarà funzione di qualche parametro
t, x(t).
In C o definiamo la distanza d come:
d(x, y) = max |x(t) − y(t)|
(1.6)
t∈[a,b]
Questo è possibile per il teorema di Weierstrass.
Il seguente esempio è da considerarsi facoltativo.
Esempio 1.4. Sia S = C ′ ([a, b]) = {x : [a, b] → R con derivata continua}
definiamo due distanze:
d1 (x, y) = max |x(t) − y(t)| + max |x′ (t) − y ′ (t)|
(1.7)
d2 (x, y) = max |x′ (t) − y ′ (t)|
(1.8)
t∈[a,b]
t∈[a,b]
t∈[a,b]
1.1.1
Cerchio nello spazio metrico
Definizione 1.2. Siano S uno spazio metrico, x0 ∈ S e r > 0, si definisce
cerchio (sfera) aperto di centro x0 e raggio r:
B(x0 , r) = Br (x0 ) = Ir (x0 ) = {x ∈ S : d(x, x0 ) < r}
(1.9)
viene anche detto intorno circolare.
In Rn con n = 1 si ha:
B(x0 , r) = {x ∈ R : |x − x0 | < r} = ]x0 − r, x0 + r[
Viene detto cerchio aperto, perchè è privato della circonferenza, per avere
un cerchio chiuso la condizione deve essere: d(x, x0 ) 6 r. Viene detto intorno
perchè generalizza l’intorno in Rn
5
1.2
Topologia
Definizione 1.3 (Punto interno). Siano X ⊆ S e x0 ∈ S, si dice che x0 è
interno ad X se ∃ r > 0 : B(x0 , r) ⊆ X.
Definizione 1.4 (Punto di accumulazione). Siano X ⊆ S e x0 ∈ S, si dice
che x0 è di accumulazione per X se ∃ r > 0 : (B(x0 , r) ∩ X)) \ {x0 } 6= ∅
Cioè in ogni cerchio di centro x0 ci sono punti di X diversi da x0 .
Si dice derivato di X, e si denota con D(X), l’insieme dei punti di accumulazione di X. Ogni punto interno è anche di accumulazione. Il viceversa
non è sempre vero.
Esempio 1.5. Sia X = [0, 1] ∪ {5}; i punti dell’intervallo [0, 1] sono di
accumulazione, mentre 5 non è di accumulazione.
Definizione 1.5 (Interno). Sia X ⊆ S
int(X) = {x0 ∈ X : x0 è interno ad X}
(1.10)
int(X) si chiamerà interno di X.
Definizione 1.6 (Chiusura). Sia X ⊆ S
X = X ∪ {x0 ∈ S : x0 è di accumulazione per X}
(1.11)
X si chiamerà chiusura di X.
X ⊆ S si dice aperto se è vuoto oppure se X = int(X). X ⊆ S si dice
chiuso se S \ X è aperto, si può dimostrare che X chiuso ⇐⇒ X = X̄;
ovvero che X è chiuso se e solo se contiene tutti i suoi punti di accumulazione.
Proposizione 1.1. L’unione di insiemi aperti è un insieme aperto. L’intersezione di un numero finito di insiemi aperti è un insieme aperto.
S
Si può far vedere che int(X) = {A : A aperto , A ⊆ X}.
Proposizione 1.2. L’unione di un numero finito di chiusi è un chiuso, e
che l’intersezione di insiemi chiusi è sempre un insieme chiuso.
T
Si può dimostrare che X̄ = {C : C è chiuso, X ⊆ C}
Definizione 1.7 (Insieme limitato in uno spazio metrico). X ⊆ S si dirà
limitato se esiste un cerchio, di raggio opportuno, che lo contiene.
6
1.3
Successioni negli spazi metrici
Sia S è uno spazio metrico e {xn } ⊆ S. xk tende a x0 ∈ S e si scrive
x0 = lim xn se
∀ε > 0 ∃α ∈ N
:
se n > α si ha d (xn , x0 ) < ε
(1.12)
Teorema 1.1 (dell’unicità del limite). Una successione convergente non può
avere due limiti distinti.
Dimostrazione. Per assurdo sia xn → x0 e xn → x̄, con x0 6= x̄, allora per la
disuguaglianza triangolare (1.3):
d(x0 , x̄) 6 d(xn , x0 ) + d(xn , x̄)
dato che d(xn , x0 ) < ε, d(xn , x̄) < ε
assurdo
⇒
d(x0 , x̄) < ε, quindi x0 = x̄
Teorema 1.2 (Cauchy). {xn } si dice di Cauchy se verifica la seguente
condizione:
(c)
∀ε > 0 ∃α ∈ N :
se
n, m > α
si ha
d(xn , xm ) < ε
É facile far vedere che se {xn } è convergente allora è di Cauchy, il viceversa
in generale non è vero, esistono successioni che sono di Cauchy, ma non
convergenti (vedi Esempio 1.6).
1.3.1
Insieme completo
Definizione 1.8 (Insieme completo). Se in S ogni successione di Cauchy è
convergente in S allora S si dice completo.
Ad esempio R è completo grazie al criterio di Cauchy.
Il seguente è un esempio di successioni che è di Cauchy, ma che non è
convergente.
Esempio 1.6.
n Sia S = Q uno spazio metrico con la metrica euclidea e
xn = 1 + n1 contenuta in Q.
L’abbiamo studiata in R e sappiamo che è convergente. Per il criterio di Cauchy, dunque essa verifica la condizione (c). Converge al numero
irrazionale e, quindi in Q non converge pur essendo di Cauchy.
Osservazione 1.2. Sia k l’indice di una successione in uno spazio con
dimensione n, si osserva che
x1k , x2k , . . . , xnk → (x1 , x2 , . . . , xn ) ⇐⇒ xik → xi
i = 1, . . . , n (1.13)
7
Dimostrazione. Lo dimostriamo per R2 . Bisogna far vedere che
(xn , yn ) → (x, y) ⇐⇒ xn → x e yn → y
Questo è dimostrabile perchè xn e yn sono successioni di numeri reali.
Cioè:
p
(xn − x)2 + (yn − y)2 < ε ⇐⇒ |xn − x| < ε, |yn − y| < ε
Questo è vero perchè in generale:
p
(a − c)2 + (b − d)2 6 |a − c| + |b − d| (1.14)
max (|a − c| , |b − d|) 6
(Questa catena di disuguaglianze si dimostra elevando i tre membri al
quadrato)
⇒) dimostrabile con la diseguaglianza:
max (|a − c| , |b − d|) 6
p
(a − c)2 + (b − d)2
⇐) dimostrabile con:
p
(a − c)2 + (b − d)2 6 |a − c| + |b − d|
Allo stesso modo si prova che {(xn , yn )} è di Cauchy ⇐⇒ {xn } e {yn }
sono di Cauchy.
Rn è completo
Per provare che R2 è completo consideriamo la successione {(xn , yn )} di
Cauchy, dimostriamo che è convergente.
Dimostrazione.
{(xn , yn )} di Cauchy ⇒ {xn } e {yn } sono di Cauchy ⇒
⇒ sono convergenti ⇒ {(xn , yn )} è convergente
{xn } e {yn } sono convergenti perchè sono successioni di numeri, quindi
per il teorema di Cauchy sono convergenti.
Altro esempio importante di spazio metrico completo è C 0 , lo proveremo
in seguito.
8
1.4
Topologia (cont.)
Definizione 1.9 (Insieme compatto). Sia (S, d) uno spazio metrico e X ⊆ S.
X si dice compatto se ∀{xn } ⊆ X ammette un’estratta convergente ad
un elemento di X
X può anche essere detto sequenzialmente compatto dato che riguarda le
successioni.
Si può dimostrare che se X è compatto, allora è chiuso e limitato.
In R i chiusi e compatti sono gli intervalli, tipo [a, b]
Definizione 1.10 (Insieme connesso). X ⊆ S aperto si dice connesso se
∄A, B aperti non vuoti e disgiunti tali che A ∪ B = X
Un insieme connesso è un insieme che non si può decomporre in parti
disgiunte con le stesse proprietà topologiche.In R i connessi sono tutti e soli
gli intervalli.
Definizione 1.11 (Dominio). X ⊆ S chiuso, si dice dominio se è la chiusura
di un insieme aperto A. Ā = X
Se A è connesso, X si dice dominio connesso.
1.5
Funzione continua
Diamo la definizione di funzione continua nel sottoinsieme di uno spazio
metrico.
Definizione 1.12 (Funzione continua). Siano (S, d) e (S ′ , d′ ) spazi metrici,
X ⊆ S, f : S → S ′ e c ∈ X.
f si dice continua in c se:
∀{xn } ⊆ X : xn → c si ha f (xn ) → f (c) in S ′
questa condizione equivale a
∀ε > 0 ∃δ > 0 : se x ∈ X, d(x, c) < δ
si ha
d′ (f (x), f (c)) < ε
f si dice continua in X se lo è in ogni punto
Si può dimostrare chef : S → S ′ è continua ⇐⇒ ∀A aperto in S ′ si ha
f −1 (A) aperto in S, inoltre f : S → S ′ è continua ⇐⇒ ∀C chiuso in S ′ si
ha f −1 (C) chiuso in S.
9
1.6
Generalizzazioni dei Teoremi di Weierstrass e di Darboux
Siano: (S, d), (S ′ , d), X ⊆ S, f : X → S ′ continua
Teorema 1.3 (Generalizzazione del teorema di Weierstrass). Se X è compatto allora f (X) è compatto
Teorema 1.4 (Generalizzazione del teorema di Darboux). Se X è connesso
allora f (X) è connesso
1.7
Spazi vettoriali
Dato un insieme V 6= ∅ si può introdurre in esso la struttura di spazio vettoriale reale mediante due operazioni: la somma interna e un’operazione
di prodotto per un numero reale; in modo che siano soddisfatti i seguenti
assiomi.
Rispetto all’operazione di somma V è un gruppo abeliano, cioè la somma
ha la proprietà commutativa e associativa, esiste un elemento neutro e ∀x
∃ − x suo opposto. Quindi:
+: V × V → V
θV
(zero di V )
x ∈ V − x (opposto)
Mentre la somma è definita in V × V , l’operazione di prodotto è definita
in R × V
·: R × V → V
verifica la proprietà distributiva:
(a + b) · x = a · x + b · x
a · (x + y) = a · x + a · y
(a · b) · x = a · (b · x)
Inoltre 1 · x = x e 0 · x = θV
Gli elementi di uno spazio vettoriale si dicono vettori.
Esempio 1.7. Un esempio di spazio vettoriale è Rn , grazie alle operazioni
di somma e prodotto.
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Somma, definita come:
(x1 , x2 , . . . , xn ) + (y1 , y2 , . . . , yn ) = (x1 + y1 , . . . , xn + yn )
Verifica le proprietà associativa e commutativa, inoltre:
θV = (0, . . . , 0)
−x = (−x1 , −x2 , . . . , xn )
Prodotto, cosı̀ definito:
a · (x1 , x2 , . . . , xn ) = (ax1 , ax2 , . . . , axn )
Introduciamo una metrica in uno spazio vettoriale
Definizione 1.13 (Modulo o norma). In Rn
v
u n
uX
|x| = t
xi2
∀x ∈ Rn
(1.15)
i=1
si definisce modulo o norma di x
Nel caso n = 1 restituisce il valore assoluto di x, geometricamente rappresenta la distanza del punto dall’origine.
Ora che abbiamo la struttura vettoriale, possiamo introdurre una distanza
in Rn , dato che possiamo fare x − y, somma vettoriale di x e l’inverso di y.
x, y ∈ Rn
d(x, y) = |x − y|
(1.16)
restituisce la metrica euclidea definita a partire dalla struttura vettoriale. Si
noti che è stato usato il modulo della Definizione 1.13.
Per definire una metrica in uno spazio vettoriale diverso da Rn bisogna
introdurre una norma.
Definizione 1.14 (Norma). Se V è uno spazio vettoriale reale ed esiste una
funzione f : V → R con le seguenti proprietà:
f (x) > 0
∀x
f (x) = 0
⇐⇒
x = θV
f (x + y) 6 f (x) + f (y)
f viene chiamata norma di x e si denota con k x k.
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Le proprietà della norma dunque saranno:
k x k> 0
k x k= 0
⇐⇒
x = θV
k x + y k6k x k + k y k
Se in uno spazio vettoriale V si riesce a trovare una funzione con tali
proprietà allora V si dirà spazio normato.
Se V è uno spazio normato, ponendo d(x, y) =k x − y k si ottiene una
metrica in V (detta metrica indotta dalla norma).
Una particolare operazione di natura algebrica, che si può introdurre nello
spazio vettoriale e che ci consentirà di costruire una norma è il prodotto
scalare, o interno, dato che è definito all’interno dello spazio.
Definizione 1.15 (Prodotto scalare). In V è dato un prodotto scalare (o
interno) se è data un’operazione V × V → R che ad ogni coppia x, y ∈ V fa
corrispondere (x, y) ∈ R (oppure < x, y >), attenzione che non è una coppia
ordinata, tale che siano verificate le proprietà:
(x + y, z) = (x, y) + (y, z)
(a · x, y) = |a|(x, y)
(y, x) = (x, y)
(x, x) > 0
(x, x) = 0 ⇐⇒ x = θV
Ponendo:
k x k=
p
(x, x)
(1.17)
si può dimostrare che si ottiene una norma (e quindi una metrica).
In Rn il prodotto scalare che induce la metrica euclidea è:
(x, y) =
n
X
xi yi
(1.18)
i=1
Ad esempio: ((a, b), (c, d)) = a c + b d, dove (a, b) ∈ Rn e (c, d) ∈ Rn .
Funzioni a valori vettoriali
Le funzioni a valori vettoriali sono funzioni che ad ogni numero reale facciamo
corrispondere una n-upla.
12
Siano f1 : (a, b) → R, f2 : (a, b) → R, . . . , fn : (a, b) → R, costruiamo la
funzione f : (a, b) → Rn che ∀x ∈ (a, b) → f (x) = (f1 (x), . . . , fn (x)).
Si può dimostrare che f è continua ⇐⇒ lo sono f1 , . . . , fn
Se f1 , . . . , fn sono derivabili in c ∈ (a, b) si dice che f è derivabile in c e
si pone:
f ′ (c) = (f1′ (c), . . . , fn′ (c))
Date due funzioni x, y : (a, b) → R con variabile t, x(t) y(t), entrambe danno luogo ad un punto di R2 , quindi si ottiene la funzione vettoriale
g : (a, b) → R2 g(t) = (x(t), y(t)).
Tale funzione è una funzione fra due spazi metrici, quindi si può stabilire
se è continua, g è continua (come funzione da R in R2 ) se e solo se lo sono le
funzioni x(t) e y(t).
Teorema 1.5 (di continuità delle funzioni composte mediante una funzione
di due variabili ed una funzione vettoriale). Siano date
f : A ⊆ R2 → R
g : (a, b) → R2
g(t) = (x(t), y(t))
Si supponga che g(t) ∈ A ∀t ∈ (a, b). Sia c ∈ (a, b) supponiamo che g sia
continua in c e che f sia continua in g(c)
Allora la funzione composta F (t) = f (g(t)) è continua in c.
Teorema 1.6. Sia A ⊆ Rn un insieme aperto connesso.
Allora ∀x, y ∈ A esiste una poligonale congiungente x e y contenuta in A
Ad esempio un cerchio è convesso, mentre una corona circolare no, ma è
connessa. Quindi per congiungere due punti in una corona circolare non si
può usare un segmento, ma bensı̀ una poligonale.
Con questi ultimi due teoremi si può dimostrare il seguente.
Teorema 1.7 (di esistenza dei valori intermedi in Rn (n=2)). Siano A ⊆ R2
un aperto connesso f : A → R una funzione continua.
Siano inoltre (a, b), (c, d) ∈ A con f (a, b) < f (c, d).
Allora ∀γ : f (a, b) < γ < f (c, d) ∃(x̄, ȳ) ∈ A : f (x̄, ȳ) = γ
Dimostrazione. Per il Teorema 1.6 possiamo sempre ricondurci al caso in cui
il segmento congiungente (a, b) e (c, d) sia contenuto in A. Tale segmento è
l’insieme dei punti (a + t(c − a), b + t(d − b)) con t ∈ [0, 1].
Consideriamo la funzione vettoriale:
g : [0, 1] → R2
g(t) = (a + t(c − a), b + t(d − b))
13
essa è ovviamente continua, mentre f è continua per ipotesi. Inoltre
g(t) ∈ A
∀t ∈ [0, 1]
Allora la funzione composta F (t) = f (g(t)) è continua in [0, 1]. Osserviamo che F (0) = f (a, b) < γ e F (1) = f (c, d) > γ.
Allora ∃ t̄ ∈ [0, 1] : F (t̄) = γ ⇒ f (g (t̄)) = γ
Teorema 1.8 (di esistenza dei valori intermedi in un aperto connesso, caso
generale). Siano A un insieme aperto connesso in uno spazio metrico, la
funzione f : A → R continua, inoltre ∃ a, b ∈ A : f (a) < γ, f (b) > γ.
Allora: ∃ x̄ ∈ A : f (x̄) = γ
Dimostrazione. Siano:
X = {x ∈ A : f (x) < γ}
Y = {x ∈ A : f (x) > γ}
Allora X 6= ∅ dato che a ∈ X; Y 6= ∅ dato che b ∈ Y ; inoltre X ∩ Y = ∅,
altrimenti si avrebbe che f (x) sarebbe contemporaneamente > γ e < γ.
Se fosse A = X ∪ Y allora A non sarebbe connesso, X e Y infatti sono
aperti per il teorema della permanenza del segno.
Dunque ∃x ∈ A : x ∈
/X ex∈
/ Y ⇒ f (x) = γ
1.8
Esempi riepilogativi
Esempio 1.8. Insiemi non aventi punti interni
S=R
S=R
S=R
X=N
X=Q
X =R\Q
int(N) = ∅
int(Q) = ∅
int(R \ Q) = ∅
Esempio 1.9. Derivati di insiemi
S=R
S=R
X=N
X = Q opp X = R \ Q
D(X) = ∅
D(X) = R quindi X = R
Questo è dato dal teorema di densità di Q in R, Q è denso in R.
Esempio 1.10. S = R2
X = {(x, y) : 2 < x < 4}
X è aperto, non limitato, D(X) = {(x, y) : 2 6 x 6 4}, X non è compatto
perchè non è né chiuso né limitato, X è connesso.
14
Esempio 1.11. Sia X ⊆ R2 cosı̀ definito
X = (x, y) ∈ Q2 : x2 + y 2 < 1 ∪ (x, y) ∈ R2 : x2 + y 2 = 4
X è limitato,
int(X) = ∅ perchè né i punti della circonferenza né quelli del cerchio sono
interni,
D(X) = {(x, y) ∈ R2 : x2 + y 2 6 1} ∪ {(x, y) ∈ R2 : x2 + y 2 = 4},
X non è chiuso perchè D(X) * X,
X non è compatto perché non è chiuso.
1.9
Limiti delle funzioni di due o più variabili
Definizione 1.16 (Limite delle funzioni di due o più variabili). Siano
f : X ⊆ Rn → R, c ∈ D(X), l ∈ R, lim f (x) = l se:
x→c
∀ε > 0 ∃ δ > 0 : se x ∈ X, x 6= c, |x−c| < δ
si ha |f (x)−l| < ε (1.19)
Si noti che |x − c| è la norma, mentre |f (x) − l| è il valore assoluto.
Ad esempio in n = 2
lim
(x,y)→(a,b)
f (x, y) =
lim
x→a, y→b
f (x, y) = l
se ∀ε > 0 ∃ δ > 0 : se (x, y) ∈ X, (x, y) 6= (a, b),
p
(x − a)2 + (y − b)2 < δ ⇒ |f (x) − l| < ε
f continua in (a, b) ⇐⇒ lim(x,y)→(a,b) f (x, y) = f (a, b). Questo vale solo
nel caso in cui (a, b) ∈ X e sia di accumulazione di X.
(x, y) → (a, b) da infinite direzioni, quindi non si ci può limitare a esaminare una o due direzioni, dovremmo esaminare anche tutte le possibili curve
uscenti dal punto (a, b).
Teorema 1.9. Se Y ⊆ X e (a, b) ∈ D(Y ). Allora lim(x,y)→(a,b) f (x) = l
implica che il limite della restrizione di f ad Y valga l.
Per restrizione si intende la funzione considerata solo per gli elementi di
Y.
Consideriamo ad esempio il caso (a, b) = (0, 0). Se lim(x,y)→(0,0) f (x, y) = l
allora le restrizioni a tutte le rette passanti per l’origine tendono ad l per
x → 0.
Allora consideriamo f (x, mx), che è appunto la restrizione alla generica
retta passante per l’origine, e calcoliamo il limx→0 f (x, mx).
15
Se questo limite dipende da m la funzione allora non è dotata di limite,
perché se ci fosse sarebbe uguale per ogni restrizione della f .
Se il limite non dipende da m allora può darsi che esso sia il limite di f ,
ma bisogna verificare di volta in volta.
(
1 se x2 + (y − 1)2 6 1 ∨ se y 6 0
Esempio 1.12. f (x, y) =
0 altrimenti
In tale esempio il limite non dipende da m, ma f non è dotata di limite.
Questo si ha perchè le rette non sono le uniche restrizioni, vi sono pure
le curve, i piani, quadranti . . .
∄ lim(x,y)→(0,0) f (x, y) perchè ogni cerchio di centro l’origine interseca sia
la parte di piano in cui f = 1 sia la parte in cui f = 0.
Mentre tutte le restrizioni tendono ad 1, perchè qualsiasi retta passante
per l’origine interseca sia una parte del semipiano in cui f = 1 sia una parte
di cerchio.
y3 − 1
Esempio 1.13.
lim
(x,y)→(1,1) x − 1
La retta verticale, x = 1, non si può considerare perchè f (x, y), proprio
per x = 1, non è definita. Si considera allora la retta orizzontale passante
per (1, 1) e la prima bisettrice.
y = 1 ⇒ f (x, 1) = 0 → 0
⇒ ∄ lim f (x, y)
y = x ⇒ f (x, x) = x2 + x + 1 → 3 per x → 1
(x,y)→(1,1)
Si potrebbe anche considerare f (x, 1 + m(x − 1))
1
(x,y)→(0,0) y − x2
In tutti i punti della parabola y = x2 la funzione non è definita, ma dato
che sono elementi di D(X) avrebbe senso considerare il limite.
Consideriamo la restrizione agli assi.
y = 0 → f (x, 0) = − x12 → −∞ per x → 0
⇒ ∄ lim f (x, y)
x = 0 → f (0, y) = y1 → +∞ da des, −∞ da sin
(x,y)→(0,0)
Esempio 1.14.
lim
log(x + y − 1)
(x,y)→(2,0)
x+y−2
Questo limite ricorda il seguente limite notevole:
Esempio 1.15.
lim
t→0
lim
log(1 + t)
=1
t
16
Dato che x + y − 1 = (x + y − 2) + 1 quindi il nostro limite è della stessa
forma del limite notevole. Prendendo t = x + y − 2 per composizione si ha:
lim
(x,y)→(2,0)
(x + y − 2) = 0 ⇒ lim = 1
1
+ − 2x + 1)3
Mediante la composizione delle due funzioni si ha:
limt→0+ t13 = +∞
⇒ lim = +∞
lim(x,y)→(1,0) (x − 1)2 + y 2 = 0+
Esempio 1.16.
lim
(x,y)→(1,0) (x2
y2
xy
+ y2
Tale funzione è definita in R2 \ {(0, 0)}.
Consideriamo le restrizioni alle rette passanti per l’origine
Esempio 1.17.
lim
(x,y)→(0,0) x2
f (x, mx) =
mx2
m
m
=
→
2
2
2
x (1 + m )
1+m
1 + m2
Come si può notare dipende da m quindi f non ha limite.
Questo si può considerare come un (non) limite notevole.
∄
lim
(x,y)→(0,0) x2
xy
+ y2
(1.20)
xy
p
(x,y)→(0,0)
x2 + y 2
Tale funzione è definita in R2 \ {(0, 0)}.
Consideriamo la restrizione alle rette passanti per l’origine
Esempio 1.18.
lim
mx2
x2
m
m
f (x, mx) = p
|x| → 0
=√
=√
2
2
2
1+m
1 + m |x|
x (1 + m )
Quindi forse il limite di f vale zero.
Lo dimostriamo con un teorema di confronto:
xy
xy
|xy|
0 6 p
6 |y| → 0 ⇒ lim p
=0
=p
x2 + y 2 (x,y)→(0,0)
x2 + y 2
x2 + y 2
√|xy|
2
6 |y| si ha perchè, ricordando il risultato visto quando si è trattata
p
la definizione di norma |x| 6 x2 + y 2 , quindi:
???
x +y 2
17
|x| 6
p
|x|
61
x2 + y 2 ⇒ p
x2 + y 2
lim(x,y)→(0,0) √ xy
2
x +y 2
⇒
p
|xy|
|x| |y|
=p
6 |y|
x2 + y 2
x2 + y 2
= 0 è un limite notevole.
Esercizio 1.1. Si studino i seguenti limiti:
3
ex y − 1
lim
(x,y)→(0,0) x2 + y 2
exy − 1
lim
(x,y)→(0,0) x2 + y 2
1.10
Derivate per le funzioni a più variabili
reali
Per derivare rispetto ad un punto in uno spazio metrico si deve incrementare
in tante diverse direzioni.
Ricordiamo che:
λ ∈ Rn λ = (λ1 , λ2 , . . . , λn )
v
u n
uX
|λ| = t
λi
i=1
Se |λ| = 1, λ è detto direzione√ o √
versore. Ad esempio (1, 0) direzione oriz2
2
zontale (base di R ), mentre ( 2 , 22 ) direzione secondo la prima bisettrice.
La seguente è la derivata ottenuta derivando solo in una data direzione.
Definizione 1.17 (Derivata direzionale). Siano X ⊆ Rn aperto, f : X → R,
c ∈ X, λ una direzione in Rn .
Si dice che f ammette nel punto c derivata direzionale lungo la direzione
λ se esiste finito il limite
f (c + h λ) − f (c)
h→0
h
lim
con h ∈ R
(1.21)
Consideriamo in particolare come direzione λ i vettori della base canonica2
2
Sia V uno spazio vettoriale su un campo k, un insieme ordinato (sequenza) di vettori
(v1 , . . . , vn ) è una base per V se valgono entrambe queste proprietà
1. I vettori v1 , . . . , vn sono linearmente indipendenti
2. I vettori v1 , . . . , vn generano V , cioè V = Span(v1 , . . . , vn )
generano per combinazione lineare
18
(e1 , . . . , en ). La derivata di f lungo la direzione ei si chiama derivata parziale
I-esima di f (cfr Definizione 1.18).
Le direzioni degli assi coordinati, nonchè i vettori della base canonica di
n
R , sono:
e1 = (1, 0, . . . , 0)
e2 = (0, 1, . . . , 0)
...
en = (0, 0, . . . , 1)
Vediamo come diventa il rapporto incrementale secondo queste direzioni,
ad esempio con n = 2:
e1 = (1, 0)
c = (a, b)
f ((a, b) + (h, 0)) − f (a, b)
f ((a, b) + h e1 ) − f (a, b)
=
=
h
h
f (a + h, b) − f (a, b)
=
h
questo perchè: h ei = h(1, 0) = (h, 0).
Per ottenere la derivata parziale rispetto ad x, dunque, basta derivare nel
punto a la funzione f (x, b).
Esempio 1.19. f (x, y) = sin xy si deve considerare sin bx, la derivata è
b cos bx
Analogamente per derivare rispetto ad y si deve derivare la funzione
f (a, y) della sola variabile y.
Ricapitolando:
Definizione 1.18 (Derivata parziale). Siano X ⊆ R2 aperto, (a, b) ∈ X,
f : X → R.
Si definisce derivata parziale rispetto ad x nel punto a:
f (x, b) − f (a, b)
f (a + h, b) − f (a, b)
= lim
(1.22)
x→a
h→0
h
x−a
si denota con fx (a, b) = ∂f
.
∂x (a,b)
Rispettivamente la derivata parziale rispetto ad y nel punto b è:
f (a, y) − f (a, b)
f (a, b + k) − f (a, b)
∂f
= lim
= lim
fy (a, b) =
y→b
∂y (a,b) k→0
k
y−b
lim
(1.23)
19
Se esistono tutte le derivate parziali, fx1 , fx2 , . . . , fxn nel punto c, allora
f si dice derivabile nel punto c.
Esse costituiscono il vettore (grad f )x=c = (fx1 (c), fx2 (c), . . . , fxn (c)), gradiente di f nel punto c.
Esempio 1.20. f (x, y) = sin xy, (a, b) = (π, π)
fx (x, y) = y cos xy
fy (x, y) = x cos xy
(grad f )(π,π) = (π cos π 2 , π cos π 2 )
Se f è derivabile in X si introducono le derivate di ordine superiore:
fxx (x, y)
fyx (x, y)
fx (x, y) →
fy (x, y) →
fxy (x, y)
fyy (x, y)
fxx , fyy si chiamano derivate pure, mentre fxy , fyx si chiamano derivate
miste
Teorema 1.10 (di Schwarz). Se fxy e fyx sono continue in (a, b)
Allora fxy (a, b) = fyx (a, b)
Determinante hessiano
f (x, y) fxy (x, y)
H(x, y) = xx
fyx (x, y) fyy (x, y)
in ipotesi di continuità:
(1.24)
H(x, y) = fxx (x, y) fyy (x, y) − fxy 2 (x, y)
3
Esempio 1.21. f (x, y) = (x3 + 2y 2 ) exy
Calcolare fxxy
Notare che quando si deve derivare ad esempio secondo la x, l’altra
variabile, la y, si può considerare costante.
3
3
3
fx (x, y) = 3x2 exy + (x3 + 2y 2 )y 3 exy = exy (3x2 + x3 y 3 + 2y 5 )
3
fxx (x, y) = y 3 exy 3 (3x2 + x3 y 3 + 2y 5 ) + exy (6x + 3x2 y 3 ) =
3
= exy (6x2 y 3 + x3 y 6 + 2y 8 + 6x)
3
fxxy (x, y) =exy 3xy 2 + (6x2 y 3 + x3 y 6 + 2y 8 + 6x)+
3
+ exy (18x2 y 2 + 6x3 y 5 + 16y 7 )
20
Non sempre è possibile prendere in considerazione la derivata nei punti di
frontiera, però se la funzione è definita in un insieme chiuso si fa come segue:
si suppone che la funzione sia derivabile in tutto l’interno, poi supponiamo
che esistano due funzioni continue in tutto l’insieme chiuso la cui restrizione
all’interno dell’insieme sia uguale alle derivate parziali. In questo caso la
funzione si dice derivabile in tutto l’insieme chiuso.
Si ricavano le derivate all’interno dell’insieme, per la frontiera si suppone
che queste derivate siano prolungabili per continuità a tutto l’insieme.
Definizione 1.19 (Derivabilità in un insieme chiuso). Siano f : X → R,
X ⊆ R2 dominio.
Se ∃fx , fy in int(X), continue, e sono restrizioni a int(X) di funzioni
continue in tutto X, si dice che f è derivabile in X.
1.11
Differenziabilità
In generale in una funzioni di due o più variabili la derivabilità non implica
la continuità.
(
0 lungo gli assi
Esempio 1.22. (a, b) = (0, 0), f (x, y) =
1 altrove
Questa funzione non è continua, perchè assume valori diversi in infiniti
punti vicino gli assi; in particolare in (a, b), se considero un opportuno cerchio
di centro l’origine vi sono infiniti punti in cui la funzione vale zero, lungo gli
assi, ed infiniti punti in cui la funzione vale 1. Nonostante ciò è dotata di
derivate: fx (0, 0) = fy (0, 0) = 0
Bisogna introdurre un concetto che ci permetta di stabilire la regolarità
della funzione secondo tutte le direzioni.
Definizione 1.20 (Differenziale). Siano f : → R, X ⊆ R2 , X aperto,
(a, b) ∈ X, f derivabile in (a, b).
Si introduce allora la funzione:
(df )(a,b) = (grad f )(a,b) , (h, k) = fx (a, b)h + fy (a, b)k
(1.25)
Questo è il differenziale di f nel punto (a, b)
Si noti che (grad f )(a,b) , (h, k) è il prodotto scalare.
Per calcolare le derivate parziali abbiamo preso in considerazione l’incremento della x h e l’incremento della y k.
21
Osservazione 1.3.
(a, b) ∈ int(X) ⇒ ∃r > 0 : Ir (a, b) ⊆ X
se (h, k) ∈ Ir (0, 0) si ha (a + h, b + k) ∈ Ir (a, b)
⇒
∈X
Si definisce l’incremento della funzione rispetto ad entrambe le variabili
△f = f (a + h, b + k) − f (a, b)
(1.26)
si considera inoltre la seguente funzione, che si può paragonare ad una specie
di rapporto incrementale
△f − df
D(h, k) = √
h2 + k 2
Se accade che
lim
(h,k)→(0,0)
per (h, k) ⊆ Ir (0, 0)
(1.27)
D(h, k) = 0 si dice che f è differenziabile in (a, b).
f si dice differenziabile in X se f è differenziabile ∀x ∈ X.
D(h, k) =
f (a + h, b + k) − f (a, b) − fx (a, b)h − fy (a, b)k
√
h2 + k 2
Se f è funzione di una sola variabile si ha:
f (a + h) − f (a) − f ′ (a)h → 0 ⇐⇒
D(h, k) = D(h) = h
f (a + h) − f (a)
⇐⇒
→ f ′ (a)
h
quindi in questo caso f è differenziabile se è derivabile.
Dimostriamo che se f è differenziabile ⇒ f è continua
Dimostrazione. Equivale a dimostrare che:
lim
(h,k)→(0,0)
△f = 0
△f − df √ 2
△f = △f − df + df = √
h + k 2 + df → 0
h2 + k 2
Dato che:
△f − df
√
→0
h2 + k 2
√
h2 + k 2 → 0
df → 0
Teorema 1.11 (Del differenziale, o del differenziale totale). Siano f : X ⊆
R2 , X aperto, (a, b) ∈ X.
22
1. f derivabile in X, fx e fy continue in (a, b)
Allora, f è differenziabile in (a, b)
2. ∃fx (a, b), ∃fy in X ed è continua in (a, b) o viceversa
Allora, f è differenziabile in (a, b)
Il secondo enunciato è più potente del primo, perchè con esso si ottiene
lo stesso risultato, ma chiedendo di meno.
Del precedente teorema dimostriamo solo il primo enunciato.
Dimostrazione. La tesi da dimostrare è:
√
∀ε > 0 ∃δ > 0 : 0 < h2 + k 2 < δ ⇒ |D(h, k)| < ε
In corrispondenza di 2ε si applica la definizione di derivate parziali, tramite
anche la definizione di limite
∃fx (a, b)
⇒
⇒
∃fy (a, b)
⇒
⇒
∃δ1 > 0 : 0 < |h| < δ1 ⇒
f (a + h, b) − f (a, b)
− fx (a, b) <
h
∃δ2 > 0 : 0 < |k| < δ2 ⇒
f (a, b + k) − f (a, b)
− fy (a, b) <
k
ε
2
ε
2
e la continuità delle due derivate parziali
fx continua in (a, b)
⇒
⇒
fy continua in (a, b)
⇒
⇒
p
(x − a)2 + (y − b)2 < δ3
ε
|fx (x, y) − fx (a, b)| <
2
∃δ3 > 0 :
p
(x − a)2 + (y − b)2 < δ4
∃δ4 > 0 :
ε
|fy (x, y) − fy (a, b)| <
2
Per provare la tesi poniamo:
δ = min(δ1 , δ2 , δ3 , δ4 ) su (h, k) : 0 <
√
h2 − k 2 < δ
Primo caso k = 0
f (a + h, b) − f (a, b) − fx (a, b)h =
|D(h, 0)| = h
ε
f (a + h, b)f (a, b)
= − fx (a, b) < < ε
h
2
23
⇒
(1.28)
⇒
(1.29)
Secondo caso k 6= 0
Di D(h, k) consideriamo △f :
△f = f (a + h, b + k) − f (a, b) =
= (f (a + h, b + k) − f (a, b + k)) + (f (a, b + k) − f (a, b))
(1.30)
Questo risultato è stato ottenuto sommato e sottraendo f (a, b + k).
f (a + h, b + k) − f (a, b + k) è la differenza fra due valori di una funzione
derivabile, quindi è possibile applicare il teorema di Lagrange alla (1.30),
ottenendo: 3
???
(1.30) = fx (c, b + k)h + fy (a, c′ )k
con a < c < a + h,
b < c′ < b + k
Scriviamo |D(h, k)| in base al valore di △f appena trovato:
|fx (c, b + k)h + fy (a, c′ )k − fx (a, b)h − fy (a, b)k|
√
6
h2 + k 2
|k|
′
√
6
6 |fx (c, b + k) − fx (a, b)| √h|h|
2 +k 2 + |fy (a, c ) − fy (a, b)|
h2 +k2
ε
6 |fx (c, b + k) − fx (a, b)| + |fy (a, c′ ) − fy (a, b)| <
2
|D(h, k)| =
Dove il primo passaggio è dato dal fatto che il valore assoluto della somma è
minore o uguale alla somma dei valori assoluti. Mentre il secondo passaggio
|k|
√
si ha perchè √h|h|
6 1. L’ultimo passaggio è dovuto al fatto
2 +k 2 6 1 e
h2 +k2
ε
che |fx (c, b + k) − fx (a, b)| 6 2 per la (1.28), simmetricamente per l’altro
addendo, della (1.29).
I seguenti due teoremi sono delle dirette applicazioni del precedente teorema.
Teorema 1.12 (Di derivazione delle funzioni composte). Siano f : X → R
differenziabile, X ⊆ R2 , ϕ : (α, β) → X derivabile, ϕ(t) = (x(t), y(t))
Allora la funzione F (t) = f (x(t), y(t))
è derivabile
e si ha F ′ (t) = (grad f )(x(t),y(t)) , ϕ′ (t) .
Si noti che ϕ(t) è una funzione a valori vettoriali. F ′ (t) è pari a
F ′ (t) = fx (x(t), y(t)) x′ (t) + fy (x(t), y(t)) y ′ (t)
Teorema 1.13 (Delle funzioni con gradiente nullo in un aperto connesso).
Siano X ⊆ R2 aperto connesso, f : X → R derivabile, fx (x, y) = fy (x, y) = 0
∀(x, y) ∈ X
Allora f è costante
3
controllare se gli intervalli di c e c′ sono compresi o meno
24
Si noti che se fx (x, y) = fy (x, y) = 0 il gradiente è il vettore nullo.
Linea dimostrativa. Siano (a, b), (c, d) ∈ X, si deve dimostrare che f (a, b) =
f (c, d).
Possiamo supporre che il segmento di estremi (a, b), (c, d) sia contenuto
in X. Si considera la restrizione di f a tale segmento, essa è rappresentata
dalla funzione:
F (t) = f (x(t), y(t))
con x(t) = a+t(c−a), y(t) = b+t(c−b)
t ∈]0, 1[
Dato che x(t) e y(t) sono derivabili, allora f è differenziabile, perchè ha
le derivate identicamente nulle e quindi continue.
Allora ∃F ′ (t) = fx (x(t), y(t))x′ (t)+fy (x(t), y(t))y ′ (t) = 0 ⇒ F è costante
⇒ F (0) = F (1). Dove F (0) = f (a, b) e F (1) = f (c, d).
Teorema 1.14 (sulle funzioni con gradiente nullo in un dominio connesso).
Siano X dominio connesso, f : X → R continua in X e derivabile in int(X),
grad f = 0 in int(X)
Allora f è costante in X
Prima della dimostrazione premettiamo una osservazione.
Osservazione 1.4. Se x è un punto di accumulazione per X
Allora ∃{xn } ⊆ X : xn → x
Esempio 1.23. Sia X un generico insieme compatto ed x un punto sulla
frontiera. Per avere tale successione prendo dei punti in intorni di x aventi
raggio via via decrescente, basta prendere xn ∈ I 1 (x)
n
Dimostrazione. int(X) è un aperto connesso in cui f ha le derivate nulle e
quindi è costante.
f (x) = k
∀x ∈ int(X)
Sia x un punto di frontiera, si deve dimostrare che f (x) = k.
Ma x di accumulazione per int(X) ⇒ ∃{xn } ⊆ int(X) : xn → x
f (xn ) = k
∀n, perchè xn ∈ int(X)
⇒ f (x) = k
f (xn ) → f (x)
perchè f è costante
25
Derivate direzionali
Riprendiamo le derivate direzionali
∂f
f (x0 + hλ) − f (x0 )
= lim
∂λ x=x0 h→0
h
Si può far vedere che se f è differenziabile in x0 allora ∀λ
∂f
= (grad f )x=x0 , λ
∃
∂λ x=x0
(1.31)
Ricordiamo che ((grad f )x=x0 , λ) è il prodotto scalare.
Questo risultato è importante perchè utilizzando solo il gradiente, quindi
solo le derivate parziali, possiamo calcolare qualunque derivata direzionale,
lungo qualsiasi direzione, se per ipotesi la funzione è differenziabile.
Ad esempio in R2 se λ = (1, 0) si ha:
∂f
= (fx (a, b), fy (a, b)) , (1, 0) = fx (a, b)·1+fy (a, b)·0 = fx (a, b)
∂λ (a,b)
Quindi questo risultato ci ritorna la derivata parziale.
1.12
Estremi relativi
Alcune parti di tale sezione sono prese dal file “estrrel.pdf”
Definizione 1.21 (Estremi relativi). Siano X ⊆ R2 , f : X → R, (a, b) ∈ X
(a, b) minimo (risp. massimo) relativo per f se:
∃r > 0 : se (x, y) ∈ X, (x, y) ∈ Ir (a, b) si ha f (x, y) > f (a, b) (risp 6)
Il seguente teorema fornisce una condizione necessaria del primo ordine,
cioè riguardante le derivate prime, affinchè il punto (a, b) sia un punto di
estremo relativo per la funzione f .
Teorema 1.15 (di Fermat). Se (a, b) ∈ int(X) è un punto di estremo relativo
per f e se in (a, b) esiste una derivata parziale, essa è nulla.
Dimostrazione. (Da “estrrel.pdf”) Poichè (a, b) è interno ad X, esiste R > 0
tale che il cerchio di centro (a, b) e raggio R è contenuto in X.
Per ipotesi, inoltre, esiste un numero positivo r tale da soddisfare la
condizione (1.21), espressa nella definizione di estremi relativi.
26
Per fissare le idee, supponiamo che (a, b) sia un punto di minimo relativo.
In ]a − R, a + R[ si consideri la funzione g(x) = f (x, b). Osserviamo intanto
che g è derivabile in a e g(a) = fx (a, b).
Se δ = min(r, R), si ha g(x) > g(a) per ogni x ∈]a − δ, a + δ[: ne segue
che il punto a è un punto di minimo relativo per g, e dato che è interno
all’insieme di definizione di g, per il teorema di Fermat si ha g ′ (a) = 0, da
cui segue la tesi.
Definizione 1.22 (Punto stazionario). Sia X aperto e f derivabile in X.
Se (a, b) ∈ X e (grad f )(a,b) = 0 si dice che (a, b) è un punto stazionario.
I punti di estremo relativo per f vanno cercati fra i seguenti insiemi di
punti: punti stazionari o critici, punti interni in cui mancano entrambe le
derivate parziali prime o una manca e l’altra è nulla, punti di frontiera.
In ogni caso, se il punto (a, b) appartiene ad uno degli insiemi citati,
abbiamo bisogno di altri strumenti per stabilire se esso sia effettivamente un
punto di estremo relativo, e in tal caso, se è di minimo o di massimo.
1.12.1
Forme quadratiche
Ricordiamo che per polinomio omogeneo si intende un polinomio avente il
grado di tutti i suoi termini uguali.
Definizione 1.23 (Forma quadratica). Per forma quadratica si intende un
polinomio omogeneo di secondo grado in due variabili.
q(h, k) = α h2 + β hk + γ k 2
α, β, γ ∈ R
Il segno di tale polinomio dipende da α, β, γ e da h, k.
∀(h, k) 6= (0, 0) q si dice:
• definita positiva se q(h, k) > 0
• definita negativa se q(h, k) < 0
• semidefinita positiva se q(h, k) > 0
• semidefinita negativa se q(h, k) 6 0
• indefinita se ha segno variabile
27
(1.32)
1.12.2
Condizioni del secondo ordine
X aperto, f dotato di derivate prime e seconde continue in (a, b) introduciamo
il determinante hessiano:
fxx (a, b) fxy (a, b) = fxx (a, b) fyy (a, b) − fxy 2 (a, b) (1.33)
H(a, b) = fyx (a, b) fyy (a, b) e la forma quadratica hessiana:
q(a,b) (h, k) = fxx (a, b)h2 + 2fxy (a, b)hk + fyy (a, b)k 2
(1.34)
Se (a, b) è un punto stazionario si può dimostrare che:
- q(a,b) (h, k) è definita positiva ⇒ (a, b) è un punto di minimo relativo
- q(a,b) (h, k) è definita negativa ⇒ (a, b) è un punto di massimo relativo
- q(a,b) (h, k) è indefinita ⇒ in (a, b) non c’è estremo relativo
Inoltre:
- Se (a, b) è un punto di minimo relativo ⇒ q(a,b) (h, k) è semidefinita
positiva.
- Se (a, b) è un punto di massimo relativo ⇒ q(a,b) (h, k) è semidefinita
negativa.
Consideriamo (h, k) 6= (0, 0) ad esempio k 6= 0
#
"
2
h
h
+ 2fxy (a, b) + fyy (a, b)
q(a,b) (h, k) = k 2 fxx (a, b)
k
k
ha il segno del polinomio di secondo grado:
P (t) = fxx (a, b)t2 + 2fxy (a, b)t + fyy (a, b)
△
= fxy 2 (a, b) − fxx (a, b) · fyy (a, b) = −H(a, b)
4
Se H(a, b) > 0 ⇒ △ < 0 ⇒ P (t) ha sempre il segno di fxx (a, b), quindi
q(a,b) (h, k) è definita positiva o definita negativa. Se fxx (a, b) > 0 ⇒ minimo
relativo. Se fxx (a, b) < 0 ⇒ massimo relativo.
Si ha lo stesso se h 6= 0. Allora il segno di fxx (a, b) è uguale al segno di
fyy (a, b) quindi si considera uno dei due.
Se H(a, b) < 0 ⇒ △ > 0 ⇒ P (t) ha segno variabile ⇒ q(a,b) (h, k) è
indefinita ⇒ non c’è estremo relativo.
Se H(a, b) = 0 ⇒ △ = 0 ⇒ P (t) > (risp. 6)0 ⇒ q(a,b) (h, k) è semidefinita positiva (risp. negativa) ⇒ può esserci minimo (risp. massimo)
relativo.
28
1.13
Esempi riepilogativi
Esempio 1.24. f (x, y) = |x2 − y|(y − 1)
- stabilire in quali punti è derivabile
- stabilire la differenziabilità nei punti: (0, 0) (1, 0) (1, 1)
Soluzione: Tale funzione ha due diverse leggi di definizione, definite
nella parte superiore ed inferiore della parabola y = x2
in A = {(x, y) : y 6 x2 }
in B = {(x, y) : y > x2 }
f (x, y) = (x2 − y)(y − 1)
f (x, y) = (y − x2 )(y − 1)
Calcoliamo le derivate parziali in tutti quei punti dove la funzione è sicuramente derivabile: in A
fx (x, y) = 2x(y − 1)
fy (x, y) = −(y − 1) + (x2 − y) = x2 − 2y + 1
in int(B)
fx (x, y) = −2x(y − 1)
fy (x, y) = y − 1 + y − x2 = −x2 + 2y − 1
Sui punti della parabola, in cui si annulla l’argomento del valore assoluto,
le derivate potrebbero non esistere.
Consideriamo i punti della parabola P (a, a2 ) e vediamo se esistono le
derivate, studiamo il rapporto incrementale rispetto alla x
2
2
f (x, a ) − f (a, a )
=
x−a
D
(x2 −a2 )(a2 −1)
x−a
= (x + a)(a2 − 1) → 2a(a2 − 1)
(a2 −x2 )(a2 −1)
x−a
= −(x + a)(a2 − 1) → −2a(a2 − 1)
Come si può notare il rapporto incrementale può assumere due forme, in base
alla legge di definizione applicata. Abbiamo anche visto a quanto tendono
queste due quando x → a.
Per esistere la derivata rispetto alla x, essa esiste se sono uguali il limite
destro e sinistro del rapporto incrementale.
∃fx (a, a2 ) se 2a(a2 − 1) = −2a(a2 − 1)
questo si ha in a = 0, a = 1, a = −1. Quindi:
fx (0, 0) = 0 fx (1, 1) = 0 fx (−1, 1) = 0
29
Vediamo ora la derivata rispetto alla y considerando sempre i punti della
parabola P (a, a2 ), studiamo il rapporto incrementale rispetto alla y
2
f (a, y) − f (a, a )
=
y−a
D
(a2 −y)(y−1)
y−a2
= 1 − y → 1 − a2
(y−a2 )(y−1)
y−a2
= y − 1 → a2 − 1
Per esistere la derivata i due limiti devono essere uguali e questo si ha:
1 − a2 = a2 − 1 se a = ±1
Quindi:
fy (1, 1) = 0 fy (−1, 1) = 0
Differenziabilità Esaminiamo la differenziabilità della funzione nei
punti dati.
In (0, 0) f non è differenziabile perchè manca una derivata (fy (0, 0))
In (1, 0) f è differenziabile per il Teorema del differenziale (1.11), dato
che (1, 0) ∈ A
In (1, 1) non possiamo utilizzare il Teorema del differenziale (1.11) perchè
nonostante esistono le derivate rispetto a tale punto, non esistono le derivate
nei punti della parabola, per cui non è soddisfatta l’ipotesi del teorema.
Quindi dobbiamo utilizzare la definizione di differenziale (sezione 1.11).
Prendiamo in considerazione la funzione D(h, k) e vedere se questa funzione tende a 0 per h → 0 e k → 0:
D(h, k) =
f (1 + h, 1 + h) − f (1, 1) − fx (1, 1)h − fy (1, 1)k
√
h2 + k 2
Dato che (1, 1) sta sulla parabola la f potrebbe assumere una delle due
righe della legge di definizione, quindi D(h, k) assume due diverse forme:
D(h, k) =
D
[(1 + h)2 − (1 + k)] (1 + k − 1)
√
(1)
h2 + k 2
[1 + k − (1 + h)2 ] (1 + k − 1)
√
(2)
h2 + k 2
Dato che sono opposte basta esaminarne una, ad esempio la prima:
[(1 + h)2 − (1 + k)] (1 + k − 1)
(h2 + 2k − k)k
√
√
=
h2 + k 2
h2 + k 2
30
Quindi:
|D(h, k)| = |h2 + 2h − k| √
|k|
6 |h2 + 2h − k| → 0
2
2
h +k
⇒ D(h, k) → 0
Nella (2) è l’opposto, e tende anch’essa a zero. Quindi la funzione tende
a zero perchè tende a zero da entrambe le restrizioni utili.
La quantità √h|k|
2 +k 2 è molto utile perchè è sempre 6 1
Esempio 1.25. f (x, y) = x4 + y 4 + 1 + (x + y)2
E’ una funzione regolare, quindi possiamo utilizzare le condizioni del primo e del secondo ordine. Iniziamo dalle condizioni del primo ordine, cercando
i punti stazionari.
Cerchiamo le derivate parziali
fx (x, y) = 4x3 + 2x + 2y
fy (x, y) = 4y 3 + 2x + 2y
3
3
3
4x + 2x + 2y = 0
4x = −2x − 2y
4x = 4y 3
⇒
⇒
⇒
4y 3 + 2x + 2y = 0
4y 3 = −2x − 2y
4y 3 = −2x − 2y
x=y
x=y
⇒
⇒
3
4y 4x = 0
4x(x2 + 1) = 0
Otteniamo che l’unico punto stazionario è (0, 0). Per controllare se è di
minimo relativo o di massimo relativo dobbiamo calcolare le derivate seconde.
fxx (x, y) = 12x2 + 2
fyy (x, y) = 12y 2 + 2
fxy (x, y) = 2
Calcolando il determinante hessiano otteniamo che H(0, 0) = 0, quindi il
punto può essere di massimo relativo o minimo relativo, per stabilirlo bisogna
fare uno studio locale.
f (0, 0) = 1. Si nota inoltre che ∀(x, y) ∈ R2 f (x, y) = 1 + [. . . ] dove la
quantità tra parentesi quadre è sicuro > 1 ⇒ (0, 0) è un punto di minimo
assoluto per f .
Esempio 1.26. f (x, y) = y ex−y − x
Applichiamo lo stesso procedimento dell’esercizio precedente.
fx = y ex−y − 1
fy = ex−y − y ex − y
31
y ex−y − 1 = 0
⇒
ex−y (1 − y) = 0
ex−y − 1 = 0
⇒
y=1
x=1
y=1
Come punto stazionario otteniamo (1, 1).
fxx (x, y) = y ex−y
fyy (x, y) = −ex−y − ex−y + y ex−y = ex−y (y − 2)
fxy (x, y) = ex−y − y ex−y = ex−y (1 − y)
H(1, 1) = 1(−1) − 0 = −1 < 0 non è punto di estremo relativo
Esempio 1.27. f (x, y) = (y − |x|)(y + x)(y 2 − x2 )
Distinguiamo i due casi: x > 0 e x < 0.
(
(y 2 − x2 )2
x>0
f (x, y) =
3
(y + x) (y − x) x < 0
Cerchiamo i punti stazionari. I punti dell’asse delle ordinate per il momento non li possiamo prendere in considerazione, dobbiamo derivare intanto
per x > 0 e per x < 0 e poi vediamo cosa succede sull’asse delle ordinate.
per x > 0
fx (x, y) = −4x(y 2 − x2 )
fy (x, y) = 4y(y 2 − x2 )
per x < 0
fx (x, y) = 3(y + x)2 (y − x) − (y + x)3 = (x + y)2 (3y − 3x − y − x) =
= 2(x + y 2 )(y − 2x)
fy (x, y) = 3(y + x)2 (y − x) + (y + x)3 = (y + x)2 (3y − 3x + y + x) =
= 2(y + x)2 (2y − x)
Calcoliamo le derivate nei punti (0, y)
Per un punto dell’asse delle ordinate di coordinate (0, y) la funzione vale
f (0, y) = y 4 , la possiamo derivare rispetto alla y, mentre rispetto alla x
cambia la legge di definizione; quindi sarà:
fy (0, y) = 4y 3
Per quanto riguarda la derivata rispetto alla x esaminiamo il rapporto
incrementale rispetto alla x nel punto (0, b), e calcoliamone il limite per
32
y−x
y+x
y
y
y
x
x
x
Figura 1.1: Segno della funzione
x→0
f (x, b) − f (0, b) D
=
x−0
4
2 x2
(b2 −x2 )2 −b4
= x −2b
x
x
(b+x)3 (b−x)−b4
= (∗)
3x
2
4
= x3 − 2b2 x → 0
(b3 + x3 + 3b2 x + 3bx )(b − x) − b
2bx − 2bx3 − x4
=
=
x
x
= 2b3 − 2bx2 − x3 → 2b3
(∗) =
Le due derivate da destra e da sinistra valgono una 0 e l’altra 2b3 , quindi
∃fx (0, b) se 0 = 2b3 ⇒ b = 0. Allora per x = 0 possiamo dire che:
fy (0, y) = 4y 3
fx (0, 0) = 0 ∄fx (0, b) per b 6= 0
Non ci sono punti in cui mancano entrambe le derivate.
Cerchiamo i punti in cui manca una derivata e quella che esiste vale
zero. Saranno punti del tipo (0, y) con y 6= 0. La derivata che esiste è la
fy (0, y) = 4y 3 6= 0 ⇒ non esistono punti di questo tipo.
Dobbiamo cercare allora i punti stazionari. Uno è (0, 0), dato che
fx (0, 0) = 0 e fy (0, 0) = 0. Lo studio non lo possiamo fare con le condizioni
del secondo ordine perchè non possiamo calcolare le derivate seconde, visto
che intorno a (0, 0) non esiste la derivata rispetto alla x nei punti dell’asse
delle ordinate. Quindi dobbiamo fare uno studio locale.
f (0, 0) = 0, dobbiamo vedere se fxy è positiva o negativa in un intorno di
(0, 0). Per x > 0 è sicuramente positiva, mentre per x < 0, vedendo la legge
di definizione, si ci accorge che è un prodotto di quantità non necessariamente
di segno costante.
Ci vengono in aiuto i grafici in figura 1.1, nel primo vi è rappresentato il
segno della funzione, mentre nei restanti il segno dei due fattori della legge
di definizione per x < 0.
33
y + x è uguale a zero per y = −x, positivo al di sopra e negativo al di
sotto; y − x è uguale a zero per y = x, positivo al di sopra e negativo al
di sotto. Vediamo ora il segno della funzione per x < 0, disegniamo le due
semibisettrici e nei quattro ottanti calcoliamo il segno del prodotto.
Possiamo concludere che il punto (0, 0) non è un punto di estremo relativo,
perchè in ogni intorno vi sono punti del piano in cui f è positiva e punti in
cui è negativa.
Cerchiamo gli altri punti stazionari della funzione, con x > 0.
Eguagliamo a zero le due derivate.
(
−4x(y 2 − x2 ) = 0
4y(y 2 − x2 ) = 0
Valutiamo le possibili soluzioni del sistema.
(
(
(
x=0
x=0
y 2 − x2 = 0
y=0
y 2 − x2 = 0
y=0
nessuna soluzione nessuna soluzione nessuna soluzione
y 2 − x2 = 0
(x, x)
(x, −x)
La prima non ci da una soluzione utile perchè stiamo lavorando per x > 0.
La seconda e la terza sostituendo si riconducono alla prima, quindi anch’esse
non ci danno soluzione. Solo la quarta da soluzione per x > 0.
Osserviamo che f (x, x) = f (x, −x) = 0 e per x > 0 f (x, y) > 0 ⇒
sono tutti punti di minimo relativo per f e per capirlo non occorre usare le
condizioni del secondo ordine.
Cerchiamo i punti stazionari con x < 0.
(
2(y + x)2 (y − 2x) = 0
2(y + x)2 (2y − x) = 0
Valutiamo le possibili soluzioni come fatto precedentemente.
(
(
(
x+y =0
y − 2x = 0
y − 2x = 0
y+x=0
2y − x = 0
y+x=0
2y − x = 0
(x, −x)
nessuna soluzione nessuna soluzione nessuna soluzione
La prima soluzione ci da che tutti i punti del tipo (x, −x) per x < 0 sono
punti stazionari. La seconda e la terza non forniscono soluzione perchè danno
x = 0, cosi come la quarta.
34
f (x, −x) = 0 non sono punti di estremo relativo perchè nella seconda
bisettrice e vi è una parte positiva e una negativa.
Non siamo ricorsi alle condizioni del secondo ordine perchè è bastato
esaminare l’andamento della funzione dal grafico dei segni.
In definitiva gli unici estremi relativi che abbiamo trovato sono quelli delle
due semibisettrici con x > 0, che sono tutti quanti punti di minimo relativo,
l’origine non è punto di estremo relativo e nemmeno i punti delle altre due
semibisettrici.
35
Capitolo 2
Serie numeriche
Metodo per risolvere la somma di infiniti numeri. Si ricorre ad una operazione di limite, operando come se fossero somme finite vediamo se il risultato
si stabilizza intorno ad un valore, o se invece aumenta indefinitamente. Tale
valore sarà detto somma della serie. Se non accade alcuno di questi casi
si dirà che è una serie indeterminata, infatti questa somma può essere anche indefinita, come ad esempio la presenza di più risultati che andrebbero
ugualmente bene.
Definizione 2.1 (Serie numerica a termini reali). Sia (xn )n∈N una successione in R, si definisce serie (numerica a termini reali):
∞
X
xn
(2.1)
n=1
Se gli estremi di variazione sono 1 e ∞ questi si possono sottointendere e
scriverla nella forma abbreviata:
X
xn
(2.2)
n
Definizione 2.2 (Successione delle somme parziali di
∀k ∈ N
Sk =
k
X
n=1
xn ∈ R
(Sk )k∈N
P
n
xn ).
(2.3)
Sk , al variare di k, definisce la successione (Sk )k∈N .
La k-ma somma parziale approssima la serie. Lo studio del carattere di
una serie consiste nello studio del limite all’infinito della successione Sk .
Si avranno quattro casi:
36
1.
P
n xn
P
2.
n xn
P
3.
n xn
P
4.
n xn
converge se ∃ limk Sk = S ∈ R (S somma di
diverge a +∞ se ∃ limk Sk = +∞
P
n
xn )
diverge a −∞ se ∃ limk Sk = −∞
è indeterminata se ∄ limk Sk
P
Nei primi P
tre casi la serie n xn si dice regolare,
P nell’ultimo irregolare.
Data la P
serie n xn , xn è detto termine della
Pserie n xn . ∀k ∈ N è definita
la serie ∞
x
,
detta
serie
resto
k-ma
di
n=k n
n xn .
Una serie induce la successione delle somme parziali, e il carattere della
serie è identico a quello della successione delle somme parziali. Viceversa,
data (yn )n∈N successione in R, poniamoP
x1 = y1 e ∀n ∈ N \ {1} poniamo
xn = yn − yn−1 . Consideriamo la serie n xn , la successione delle somme
parziali di questa serie è cosı̀ definita:
Sk =
k
X
xn = x1 +
n=1
k
X
n=2
(yn − yn−1 ) =
= y1 + (y2 − y1 ) + (y3 − y2 ) + · · · + (yk − yk−1 ) = yk
Per la proprietà commutativa della somma algebrica, eliminiamo le parentesi,
quindi semplificando i termini opposti si trova il risultato dato. Cioè Sk
coincide con la successione di partenza yk .
A partire da una serie possiamo sempre costruire una successione, a partire da ogni successione possiamo costruire una serie. I due concetti sono
cioè due scritture diverse della stessa cosa, sul piano completamente astratto
non c’è differenza, però sulle serie si possono dimostrare dei teoremi che non
si potrebbero enunciare studiando le somme parziali di una successione. Le
serie sono un nuovo strumento, un nuovo punto di vista sulle successioni.
In alcuni casi serie e successioni si somigliano molto, di fatto tutte le volte
in cui disponiamo di una formula generale per scrivere la somma parziale di
una serie in dipendenza da k, lo studio della serie si riconduce al semplice
studio di una successione.
2.0.1
Esempi
Esempi per familiarizzare con i concetti astratti della definizione. Tali serie si
possono studiare, senza i teoremi che vedremo in seguito, direttamente dalla
successione delle somme parziali. Alcune di queste interverranno nello studio
di serie più complicate.
37
Esempio 2.1. Sia x ∈ R poniamo xn = x
∀n ∈ N
Questa è una successione costante. La serie somma dipende da x:

X  diverge a + ∞ se x > 0
=0
se x = 0
xn

n
diverge a − ∞ se x < 0
P
La generica somma parziale sarà: Sk = kn=1 xn = kx. I risultati precedenti si hanno studiando il limite di tale successione. In questo esempio si
hanno tutti i casi di serie regolare.
∀n ∈ N
n
Esempio 2.2.
P Poniamo xn = (−1)
La serie n xn è indeterminata.
k
X
−1 se k dispari
n
Sk =
(−1) =
0 se k pari
n=1
Sk è una successione oscillante, quindi la serie è indeterminata.
Esempio 2.3. Poniamo xn = n
X
xn = +∞
∀n ∈ N
n
La successione delle somme parziali può essere rappresentata dalla formula
di Gauss:
Sk =
k
X
n=1
n=
k(k + 1)
2
Dimostrazione. La formula di Gauss si dimostra per induzione:
S1 = 1 =
1(1 + 1)
2
Supponendo che sia vera per k
Sk =
k(k + 1)
2
la proviamo per k + 1
Sk+1 = Sk + (k + 1) =
=
k(k + 1) + 2(k + 1)
k(k + 1)
+ (k + 1) =
=
2
2
(k + 1)(k + 2)
2
38
La serie diverge positivamente, perchè: limk Sk = +∞
Esercizio 2.1. Studiare il carattere della seguente serie:
X
xn = +∞
x n = n2
n
Esempio 2.4 (Serie di Mengoli). Poniamo xn =
P
n xn = 1.
xn si può riscrivere come:
xn =
1
n(n+1)
dimostreremo che
1
1
−
n (n + 1)
si applica un metodo simile a quello applicato per la successione oscillante
Sk =
k X
1
1
−
n n+1
n=1
=1−
=
1
1−
2
1
⇒ lim Sk = 1
k
k+1
+
1 1
−
2 3
+ ··· +
1
1
−
k k+1
=
Questo esempio adombra un fatto più generale, quello relativo alle serie
telescopiche.
Esempio 2.5 (Serie telescopiche). Sia (yn ) una successione in R, pongo
xn = yn − yn+1 ∀n ∈ N ho che
X
xn = y1 − lim yn
n
n
Le somme parziali di questa serie saranno:
Sk =
k
X
n=1
(yn − yn+1 ) = y1 − yk+1
Il carattere della serie telescopica è determinato dal carattere della successione yn , pertanto si possono distinguere quattro casi:
1. Se ∃ limn yn = l ∈ R
⇒
limk Sk = y1 − l
2. Se ∃ limn yn = +∞
⇒
limk Sk = −∞
3. Se ∃ limn yn = −∞
⇒
limk Sk = +∞
39
4. Se ∄ limn yn
∄ limk Sk
⇒
Nell’ultimo caso la serie è indeterminata.
Si chiamano serie telescopiche perchè le somme parziali della serie vanno
avanti e indietro (come un telescopio) di lunghezze corrispondenti ai vari yn .
Esempio 2.6 (Serie geometrica). La serie geometrica è la serie di termin
ne
P∞generale xn = q ∀n ∈ N dove q ∈ R viene detta ragione della serie:
n=0 xn . Si noti che, per ragioni di semplicità di notazioni, si studia a
partire dall’indice 0.
Tale serie può avere diversi comportamenti in base al valore di q.
X
q=1
⇒
q n = +∞
n
q 6= 1
⇒
Sk =
k
X
1 − q k+1
1−q
qn =
n=1
Quest’ultima formula generale si dimostra per induzione
Dimostrazione.
S1 = 1 + q = (1 + q)
supponiamo che Sk =
Sk+1 = Sk + q k+1 =
1−q
1 − q2
=
1−q
1−q
1−q k+1
1−q
facciamo il passo induttivo
1 − q k+1
1 − q k+1 + q k+1 − q k+2
1 − q k+2
+ q k+1 =
=
1−q
1−q
1−q
per induzione la formula è dimostrata
Vi sono tre casi da considerare:
1. q > 1
⇒
Sk =
Perchè si ha che
1
1−q
1
1−q
1 − q k+1
−
→ +∞ pertanto
k
k+1
<0 e 1−q
→ −∞.
P∞
n=0
q n = +∞
Questo risultato è valido per q > 1, anche se la formula generale non
è definita per q = 1, perchè per tale valore di q la serie era già stata
dimostrata.
P
1
1
n
2. −1 < q < 1 ⇒ Sk −
→ 1−q
ovvero ∞
n=0 q = 1−q
k
Perchè q
k+1
→0
40
3. q 6 −1
⇒
indeterminata
∄ limk Sk perchè Sk è oscillante, quindi
P∞
n=0
q n è
Questa serie serve da modello per dimostrare i risultati generali sulla
convergenza delle serie.
Quando non riusciamo a definire la successione Sk bisogna studiare le
proprietà di xn per poter determinare il carattere della serie. Vedremo come
dalle proprietà di xn si possano dedurre delle informazioni sul comportamento
della serie.
Durante lo studio di una serie, nel caso di divergenza e di indeterminazione
della serie si otterranno tali risultati sul suo carattere; mentre nel caso della
convergenza vi possono essere casi in cui, nonostante si arrivi a determinare
la sua convergenza, non si può calcolare il valore esatto a cui converge.
P
Teorema 2.1. Sia (xn )n∈N una successione in R e n xn convergente
Allora ∃ limn xn = 0
In altre parola se sappiamo che una serie converge ne possiamo dedurre
che i suoi termini tendono a zero.
Questa è una condizione necessaria alla convergenza, ma non sufficiente.
P
Dimostrazione. Definiamo la successione delle somme parziali Sk = kn=1 xn ,
dato che per ipotesi la serie converge ∃ limk Sk = S ∈ R.
Scriviamo il termine generale della serie
xn = Sn − Sn−1
Dove Sn → S e Sn−1 → S, quindi xn è espressa come differenza fra due
successioni entrambe convergenti e allo stesso limite, quindi per il teorema
sulla somma di successioni si ha che:
∃ lim xn = 0
n
La seguente sarà una condizione non solo necessaria, ma anche sufficiente.
Teorema 2.2 (Criterio 1 di Cauchy). Sia (xn )n∈N una successione in R
X
xn converge ⇐⇒ ∀ε > 0 ∃ν ∈ N : ∀n ∈ N, n > ν ∀p ∈ N
(2.4)
n
|xn+1 + xn+2 + · · · + xn+p | < ε
1
Per criterio si intende un teorema che dice che una condizione è vera se e solo se è
vera un’altra proposizione, è la dimostrazione di una equivalenza logica.
41
In altre parole una serie converge se e solo se le somme dei termini di
indice abbastanza grande possono essere relativamente piccole.
Dimostrazione. Applichiamo il criterio
Pkdi Cauchy per le successioni alla successione delle somme parziali: Sk = n=1 xn . La serie converge se e solo se
tale successione converge.
(Sk ) conv. ⇐⇒ ∀ε > 0 ∃ν ∈ N : ∀n > ν, p ∈ N |Sn+p − Sn | < ε
n+p
n+p
n
X
X
X
|Sn+p − Sn | = xh −
xh = xh < ε
h=1
h=1
h=n+1
Usando questo criterio possiamo dimostrare che la condizione necessaria
espressa dal Teorema 2.1 non è sufficiente, apportando per controesempio
una serie in cui i termini tendono a zero, ma non converge.
X1
Esempio 2.7 (Serie armonica).
n
n
Tale serie verifica la condizione necessaria: limn n1 = 0, ma dimostriamo
che non converge, perchè non verifica il criterio di Cauchy. Dobbiamo trovare
la negazione della preposizione (2.4), ovvero:
1
1
1
1
1 >p
ε=
∀n, p ∈ N +
+ ··· +
2
n+1 n+2
n+p
n+p
Il valore assoluto è superfluo perchè al suo interno vi sono numeri positivi e
1
la loro somma sarà positiva, inoltre vi sono p addendi ed il più piccolo è n+p
1
quindi quella somma è > p n+p
.
Questo
dipende dagli indici n e p; fissato n consideriamo la suc
termine
p
p
, il suo limite sarà limp n+p
= 1 > 12 , questo significa che,
cessione n+p
p∈N
per definizione di limite di una successione, i termini di questa successione
definitivamente, per p sufficientemente grande, saranno maggiori di 21 :
1
1
p
1
1
1
>
∀n ∈ N ∃p ∈ N :
> ⇒ +
+ ··· +
n+p
2
n+1 n+2
n + p 2
1
Abbiamo provato
P 1 che per ε = 2 non vale la condizione di Cauchy, la conseguenza è che n n non converge. In seguito vedremo che questa serie diverge
positivamente.
42
Teorema 2.3.
X
xn conv.
⇐⇒

∞
X

 (1) ∀k ∈ N
xn = Rk ∈ R
(2.5)
n=k

 (2)
lim Rk = 0
k
P
Una serie converge se le sue serie resto ∞
n=k xn hanno tutte somma finita,
Rk 2 , e inoltre i resti tendono a zero. Fissato k possiamo sommare i primi
k − 1 termini, restano tutti gli altri dal termine k-esimo in poi, se questi
danno una somma finita e queste somme finite da un certo termine in poi
diventano più piccole è intuitivo che la serie converga, e viceversa.
Dimostriamo l’implicazione diretta.
n
Dimostrazione. (⇒)
P
Supponiamo che la serie converga n xn = S ∈ R. Consideriamo la sucP
cessione delle somme parziali Sk = kn=1 xn e, dato che la serie è convergente,
si ha che Sk −
→S∈R
k
Per la condizione di Cauchy (cfr. Teorema 2.2),
Sk −
→S∈R
k
⇒ ∀ε > 0 ∃ν ∈ N : ∀n > ν, p ∈ N
(2.6)
|xn+1 + · · · + xn+p | < ε
Fissiamo k ∈ N e vediamo il comportamento della serie resto, si noti
che i termini sono gli stessi, mancano solamente i primi k − 1. Applichiamo
alla rovescia il criterio di Cauchy, per dimostrare che questa serie converga,
ovvero ∀ε > 0 ∃ν che ha la proprietà espressa in (2.6), quindi
∀n > max{ν, k}, p ∈ N |xn+1 + · · · + xn+p | < ε
⇒
∞
X
n=k
xn = Rk ∈ R
Abbiamo cosı̀ provato la condizione 1, dimostriamo ora la 2.
! k−1
!
h
h
X
X
X
xn
xn −
xn = lim
Rk = lim
h→∞
n=k
h
n=1
n=1
= lim Sh − Sk−1 = S − Sk−1
h
Nel primo passaggio abbiamo sommato e sottratto la stessa quantità, ottenendo due addendi che sono somme parziali della serie originale. Facendo
tendere k all’infinito, otterremo:
lim Rk = S − lim Sk−1 = S − S = 0
k
2
k
Rk è detto resto k-esimo.
43
Questo dimostra la condizione 2.
(⇐)
P∞
Sappiamo che le serie ∀k ∈ N
n=k xn = Rk ∈ R ed inoltre le loro somme
P
tendono a zero limk Rk = 0, si vuole dimostrare che la serie di partenza n xn
converge.
P
Si definisce la successioneP
delle somme parziali Sm = m
n=1 xn , poniamo
k = 1, la prima serie resto è ∞
x
,
per
k
=
1
so
che
questa
serie converge
k
k
a R1 .
Usando soltanto la prima serie resto si sa che la serie di partenza converge
e che la sua somma è uguale al primo resto.
Questo teorema sui resti, in particolare, ha come conseguenza che se la
serie converge, allora ogni serie resto converge. Quindi se la definizione della
serie è complicata, posso tagliare via i primi n termini, se non verificano qualche diseguaglianza, in questo modo ridurmi soltanto allo studio dei termini
da un certo k in poi, se in particolare si ci rende conto che quando k diventa
sempre più grande le serie che ottengo tagliando i primi k −1 termini non solo
convergono, ma danno somme che tendono a zero, allora avrò la convergenza
della serie di partenza.
Si noti che questo criterio dice solo quando una serie converge, non quanto
vale la somma.
Studiando le serie resto, se si ottiene Rk , la somma della serie si ha
sommando Rk alla somma parziale dei primi k − 1 termini.
Un modo tipico di scrivere la serie è quello di scomporre il termine e di ricondurla in questo modo a serie un po più semplici. Questo si può fare perchè
analogamente alle successioni, abbiamo dei risultati che legano il carattere
di una o più serie al carattere delle serie che si ottengono combinandone i
termini, ad esempio sommandoli.
Proposizione 2.1. Siano (xn ), (yn ) successioni in R, α ∈ R \ {0}
Allora valgono le seguenti condizioni:
P
P
1.
x
=
S
∈
R
⇒
n
n
n (αxn ) = αS
P
P
2.
⇒
n xn = +∞, α > 0
n (αxn ) = +∞
P
P
3.
⇒
n xn = +∞, α < 0
n (αxn ) = −∞
P
P
P
4.
⇒
n xn = S,
n yn = T
n (xn + yn ) = S + T
P
P
P
5.
⇒
n xn = +∞,
n yn = T
n (xn + yn ) = +∞
P
P
P
6.
⇒
n xn = +∞,
n yn = +∞
n (xn + yn ) = +∞
44
Dimostrazione. Si dimostrano alcuni punti della precedente proposizione.
1. Sk −
→S
⇒
limk (αSk ) = αS
Pk k
Pk
n=1 (αxn ) = α
n=1 xn = αSk
2. Sk −
→ +∞ α > 0
⇒
αSk → +∞
3. Sk −
→ +∞ α < 0
⇒
αSk → −∞
k
k
Pk
P
xn , Tk = kn=1 yn
S → S, Tk → T
Pk k
Pk
→S+T
n=1 yn = Sk + Tk −
n=1 xn +
n=1 (xn + yn ) =
4. Sk =
Pk
n=1
k
5. e 6. in modo analogo al precedente.
Da questi si possono dedurre lemmi analoghi, come:
X
X
xn = −∞, α > 0
(αxn ) = −∞
n
n
Dall’unione dei risultati precedenti si ottiene:
X
X
X
α, β ∈ R,
xn = S,
yn = T ⇒
(αxn + βyn ) = αS + βT
n
n
n
Il caso indeterminato si ha quando:
X
X
xn = +∞
yn = −∞
n
n
In questo caso sulla serie somma non si sa nulla, può divergere positivamente,
negativamente, può convergere, può essere indeterminata.
Riportiamo un esempio di serie che si presenta in una certa forma dalla
quale non è ovvio dire quale carattere ha, ma che il suo termine generale si
può riscrivere come combinazione lineare.
X 2n2 + 4n + 1
=3
n4 + 2n3 + n2
n
Questa serie converge. A prima vista si vede che potrebbe convergere perchè il termine generale è una frazione in cui al numeratore c’è al massimo n2 e
al denominatore c’è n4 , perciò sappiamo che tende a zero, allora la condizione
necessaria alla convergenza è verificata e la serie potrebbe convergere.
Esempio 2.8.
45
Saltando i passaggi intermedi3 , il termine generale si può riscrivere come:
1
1
1
1
2n2 + 4n + 1
∀n ∈ N (2.7)
=2
−
−
+
n4 + 2n3 + n2
n n+1
n2 (n + 1)2
Abbiamo ricondotto la serie alla combinazione lineare di due serie telescopiche. Poniamo yn = n1 , allora
X
X1
1
−
=
(yn − yn+1 ) = y1 − lim yn = 1
n
n n+1
n
n
dove y1 = 1 e limn yn = 0, poniamo inoltre: zn = n12 , allora
X
X 1
1
=
(zn − zn+1 ) = z1 − lim zn = 1
−
2
2
n
n
(n
+
1)
n
n
Applicando: al termine generale della serie la trasformazione (2.7), i
risultati appena ottenuti e la proprietà 4 si ha
X
X
X
[2(yn + yn+1 ) + (zn − zn+1 )] = 2
(yn − yn+1 ) +
(zn − zn+1 ) = 3
n
n
n
P n
Esempio 2.9. n 6 2−1
= +∞
n
Questo è un esempio di serie divergente, infatti dato che la condizione
n
necessaria per la convergenza non è verificata, limn 6 2−1
= +∞, non può
n
converge.
n
= 3n − 21n
Riscriviamo il termine generale come 6 2−1
n
Noti i risultati per i vari casi possibili della serie geometrica (cfr. Esempio 2.6)
(
∞
X
+∞ a > 1
an =
1
a ∈ ]−1, 1[
1−a
n=0
per le due serie si hanno i seguenti risultati
∞
X
n=0
3n = +∞,
∞
X
1
conv.
n
2
n=0
Sapendo che il carattere di una serie non cambia escludendo un numero
finito di termini, si considerano le due serie da n = 1 a infinito, la somma nel
3
Per i passaggi intermedi vedi scomposizione in fratti semplici Capitolo 3.
46
caso della convergenza potrà cambiare, ma il carattere no. Questo fa ricadere
la serie nel caso 5 della Proposizione 2.1. Considero allora
X
1
⇒
(xn + yn ) = +∞
xn = 3n , yn = − n
2
n
P
= +∞
Esempio 2.10. n log n+1
n
Esempio di comportamento incerto nei casi di divergenza positiva e negativa.
Il termine generale della serie può essere riscritta come:
n+1
log
= log(n + 1) − log(n)
n
Inoltre sappiamo che
X
log(n + 1) = +∞
(2.8)
n
X
n
[− log(n)] = −∞
(2.9)
Il risultato della serie (2.8) si dimostra considerando la successione delle
somme parziali
Sk =
k
X
log(n + 1) > log(k + 1)
n=1
In questa somma gli addendi sono tutti positivi, poichè il logaritmo è
positivo quando l’argomento è maggiore di uno, come in questo caso; in particolare questa somma è maggiore del suo ultimo addendo. Inoltre sappiamo
che
lim log(k + 1) = +∞
k
per il teorema del confronto sulle successioni (cfr. Teorema A.1) ne deduciamo che
X
lim Sk = +∞
⇐⇒
log(n + 1) = +∞
k
n
e quest’ultimo si ha in base alla definizione di serie divergente.
In maniera analoga si trova che la (2.9) diverge negativamente.
Con le nozioni spiegate successivamente si potrà dimostrare che la serie
somma diverge positivamente.
47
Un altro caso può essere rappresentato dalla serie di Mengoli (cfr. Esempio 2.4)
P
1
Esempio 2.11. n n(n+1)
=1
Già sappiamo che questa serie telescopica converge. D’altra parte abbiamo anche visto che il suo termine generale si può scrivere come:
1
1
1
= −
n(n + 1)
n n+1
Si ha che:
X1
= +∞,
n
n
X
n
1
−
n+1
= −∞
Questo esempio è un caso in cui una serie diverge positivamente, un’altra
negativamente e la serie somma converge.
Confrontando questi ultimi due esempi si deduce che, nel caso indeterminato, non si può dire nulla sul comportamento della serie somma e sono
possibili comportamenti diversi.
2.1
Serie a termini di segno costante
Questa è una classe privilegiata di serie, sulle quali si possono formulare dei
teoremi e dei criteri di convergenza, molto potenti e semplici da applicare.
P
Definizione 2.3. n xn è una serie a termini positivi (rispettivamente negativi) se ∀n ∈ N xn > 0 (rispettivamente xn 6 0).
P
Si osservi che: siaP n xn , xn 6 0 ∀n ∈ N, quindi ∀nP
∈ N xn = −|xn |.
Consideriamo
allora n |xn | serie a termini
positivi, se n P
|xn | = S ∈ R
P
P
allora n xn = −S. Analogamente se n |xn | = +∞ ⇒
n xn = −∞.
Con questo piccolo accorgimento di cambiare segno, ogni teorema su serie
a termini positivi diventa un teorema sulle serie a termini negativi. Quindi
ci concentreremo sulle prime.
Proposizione
P 2.2. Sia xn > 0 ∀n ∈ N.
Allora n xn converge o diverge a +∞
48
Dimostrazione. Consideriamo la successione delle somme parziali, successione monotona e non decrescente
Sk =
k
X
xn
n=1
k+1
X
Sk+1 =
xn =
n=1
k
X
xn + xk+1 = Sk + xk+1 > Sk
n=1
∀k ∈ N
dato che xk+1 > 0.
Una successione monotona è sempre regolare, non può essere oscillante,
è dotata di limite, che è l’estremo superiore dei termini della successione; ne
segue che:
∃ lim Sk = sup{Sk : k ∈ N}
k
in particolare si ha che il limite superiore può essere limk Sk ∈ R ∪ {+∞}
Quindi si hanno due casi:
X
lim Sk = S ∈ R ⇒
xn convergente
k
lim Sk = +∞
k
n
⇒
X
xn = +∞
n
In conclusione: la regolarità della successione Sk dice che la serie non può
essere indeterminata, mentre la sua monotonia non decrescente dice che la
serie non può essere divergente negativamente.
P
Esempio 2.12. n n1 = +∞
La serie armonica è una serie a termini positivi perchè ∀n ∈ N n1 > 0,
quindi per la Proposizione 2.2 tale serie o diverge o converge.
Come dimostrato nell’Esempio 2.7 questa serie non converge, quindi diverge positivamente.
Il seguente teorema è una trascrizione nel linguaggio delle serie del teorema di confronto sulle successioni.
Teorema 2.4 (Del confronto). Siano xn > 0, yn > 0 ∀n ∈ N, supponiamo
che xn 6 yn ∀n ∈ N
Allora valgono le seguenti condizioni
P
P
(1) Pn xn = +∞
⇒ Pn yn = +∞
(2.10)
(2)
n yn = T ∈ R ⇒
n xn = S ∈ R, S 6 T
49
Dimostrazione. Definiamo le rispettive successioni delle somme parziali
Sk =
k
X
xn ,
Tk =
n=1
∀k ∈ N
k
X
yn
n=1
Sk = x1 + x2 + · · · + xk 6 y1 + y2 + · · · + yk = Tk
perchè x1 6 y1 , x2 6 y2 , . . . , xk 6 yk
A questo punto applichiamo il teorema di confronto per le successioni
1. limk Sk = +∞
Tk > Sk ∀k ∈ N
2. limk Tk = T
Sk 6 Tk ⇒
⇒
limk Tk = +∞
∃ limk Sk = S 6 T
E´ nel caso (2) che si apprezza il fatto che tale teorema vale per le serie
a termini positivi, perchè limk Tk = T non dice nulla sul comportamento di
Sk , dato che questa potrebbe convergere ad un limite più piccolo di T , può
divergere negativamente,e può anche essere indeterminata; ma sapendo che
esiste il limite, dato che si sta trattando una serie a termini positivi, permette
di concludere che il limite è più piccolo di T , fornendo oltre la convergenza
anche una stima superiore sulla somma della serie.
∞
X
1
=e
n!
n=0
1
>
0
∀n
∈
N
quindi
per
la
Proposizione
2.2 la serie è regolare, o converge
n!
o diverge a +∞. e = limn (1 + n1 )n , dove (1 + n1 )n è la potenza n-ma di un
binomio, la scrivo con la formula di Newton4
n X
n n X
1
n 1
n n−k 1
1+
=
=
1
=
k
k nk
n
k
n
k=0
k=0
Esempio 2.13 (Serie esponenziale).
=
n
X
1
1
n(n − 1) . . . (n − k + 1) k =
k!
n
k=0
n
n
X
n−k+1 X 1
1 n n−1
· ·
...
6
=
k!
n
n
n
k!
k=0
k=0
4
Binomio di Newton
n X
n n−k k
n n
n n−1
n n
n
(a + b) =
a
b =
a +
a
b + ··· +
b
k
0
1
n
k=0
50
nel secondo rigo è stato sviluppato il coefficiente binomiale5 , mentre nel terzo
si sono ricombinati i k fattori, ottenendo fattori 6 1.
Ne risulta che facendo tendere n a +∞ al primo membro si ha e, mentre
al secondo membro della diseguaglianza si ha la somma della serie.
k
1
⇒ S>e
Sk > 1 +
k
∀k ∈ N, m > k considero
m X
m m 1
1
=
1+
h mh
m
h=0
(2.11)
poichè m è più grande di k si isolano i termini fino a k e si considerano
separatamente gli altri; inoltre, dato che quest’ultimi saranno non negativi,
si può anche minorare come illustrato
k m k X
X
X
m 1
m 1
m 1
(2.11) =
+
>
=
h
h
h
h
h
h
m
m
m
h=0
h=k+1
h=0
k
X
1
1
m(m − 1) . . . (m − h + 1) h =
=
h!
m
h=0
k
k
X
X
1
m−h+1
1 m m−1
=
·
...
−−−−→
= Sk
· ·
m→∞
h! m
m
m
h!
h=0
h=0
(2.12)
⇒
⇒ e > lim Sk = S
k
Nel terzo rigo, il risultato del limite per m → ∞, si ottiene considerando
m
che m
→ 1 m−1
→ 1 m−h+1
→ 1.
m
m
Dato che S > e e contemporaneamente e > S allora S = e, ovvero la
serie esponenziale converge e la sua somma sarà e.
P
Esempio 2.14. n n1n 6 e − 1 converge
Questo è un esempio tipico di applicazione diretta del teorema del confronto. Data una serie a termini positivi, si individua una serie nota, tale
che il termine generale della serie in esame abbia una relazione fissa con il
termine generale della serie nota.
5
Il coefficiente binomiale
n!
n
=
k!(n − k)!
k
n
k
è pari a:
51
1
nn
> 0 ∀n ∈ N
Riscriviamo, come segue, il termine generale e lo maggioriamo
1
1
1
1
1
1
1 1
... · 1 =
= · ... 6 ·
n
n
n n
n
n n−1
2
n!
Ricordiamo il risultato della serie esponenziale (cfr. Esempio 2.13) e modifichiamo gli indici
∞
X
1
=e
n!
n=0
⇒
∞
X
1
=e−1
n!
n=1
dato che i termini generali delle due serie rispettano le ipotesi del teorema
del confronto, applichiamo la seconda parte del teorema e deduciamo che la
serie in esame converge ed inoltre si ha che:
X 1
6e−1
nn
n
P
1
Esempio 2.15. ∞
n=2 log n = +∞
Il termine d’inizio di questa serie è 2 perchè per n = 1 il log n = 0,
quindi il termine generale non è definito. Il termine d’inizio di una serie e
determinato dalla possibilità di scrivere il suo termine generale.
Sappiamo che ∀n ∈ N, n > 1 si ha
1
1
>
log(n)
n
P∞ 1
questa è una serie armonica n=2 n = +∞, di cui ne conosciamo il carattere,
allora applicando il teorema del confronto si ha
log(n) < n
∞
X
n=2
⇒
1
= +∞
log n
Dal teorema del confronto seguono alcuni importanti criteri di convergenza, che si dimostrano usando appunto il teorema del confronto e il comportamento della serie geometrica.
Teorema 2.5 (Criterio del rapporto). Supponiamo che xn > 0 ∀n ∈ N, e
che ∃ limn xxn+1
= l ∈ ]0, +∞]
n
Allora valgono le seguenti condizioni
P
(1) l < 1 ⇒ Pn xn conv
(2.13)
(2) l > 1 ⇒
n xn = +∞
52
Si noti che se l = 1 si ha un caso indeterminato, la serie può convergere
o divergere.
Dimostrazione. Dimostriamo le due parti del teorema.
Parte (1)
Supponiamo che l < 1 e fissiamo ε > 0 : l + ε < 1. Dato che per ipotesi
xn+1
→ l definitivamente (per n sufficientemente grande) abbiamo che
xn
xn+1
<l+ε
xn
⇒
xn+1 < (l + ε)xn
(2.14)
l’ultimo passaggio si può fare senza cambiare il verso della diseguaglianza
perchè xn > 0.
Definitivamente vuol dire
∃ν ∈ N : ∀n > ν xn+1 < (l + ε)xn
∀n > ν xn < (l + ε)n−ν xν
(2.15)
La (2.15) si dimostra per induzione. Il caso base è
n=ν
⇒
xν < (l + ε)0 xν
prendiamo x > ν e supponiamo che xn 6 (l + ε)n−ν xν , allora applicando
quest’ultima alla (2.14) si ha
xn+1 < (l + ε)xn 6 (l + ε)(n+1)−ν xν
questo ci da il passo induttivo, quindi per il principio di induzione abbiamo
dimostrato la (2.15).
Consideriamo la seguente serie geometrica di ragione (l + ε) < 1
∞
X
n−ν
(l + ε)
xν = xν
n=ν
∞
X
(l + ε)h
h=0
quest’ultima serie è convergente, perchè è una serie geometrica di ragione
0 < l+ε < 1, che moltiplicata per una costante positiva è sempre convergente.
D’altra parte, definitivamente per la diseguaglianza (2.15) il termine generale
della serie in esame xn 6 (l +ε)n−ν xν che è il termine generale di questa serie,
per cui applicando il teorema del confronto, e dato che questa serie converge
se ne deduce che
∞
X
n=ν
xn conv ⇒
∞
X
xn conv
n=1
53
l’implicazione si ha perchè, per il Teorema 2.3, il fatto di aver perso i primi
ν − 1 termini non influisce sul carattere della serie.
Passiamo ora a dimostrare la parte (2). Si procede in maniera analoga
alla parte precedente, infatti se ne da solo la traccia.
→l
Si sceglie ∀ε > 0 : l − ε > 1 e dalla relazione di convergenza xxn+1
n
xn+1
si deduce che definitivamente xn > l − ε. Operando come nel caso della
convergenza,
si arriva a provare che definitivamente xn > xν (l − ε)n−ν . La
P∞
n−ν
serie
= +∞ perchè è una serie geometrica
n=ν xν (l − ε)
P di ragione
(l−ε) > 1, applicando il teorema del confronto si dimostra che n xn = +∞.
Si completi per esercizio
P
Esempio 2.16. n nn!n conv
Questa è una serie a termini positivi, xn = nn!n > 0 ∀n ∈ N, quindi si
può applicare il criterio del rapporto
xn+1
nn
nn
(n + 1)! nn
·
=
(n
+
1)
=
=
=
xn
(n + 1)n+1 n!
(n + 1)n+1
(n + 1)n
n −n n −1
n
1
1
1
=
−
→
= 1+
=
1+
n e
n+1
n
n
Dato che e > 1, si ha che 1e < 1, allora posso applicare il caso 1 del criterio
del rapporto, pertanto la serie converge.
Il seguente criterio è un’altro importante criterio che discende dal teorema
del confronto.
Teorema 2.6 (Criterio della radice). Supponiamo che xn > 0 ∀n ∈ N e che
√
si abbia limn n xn = l ∈ ]0, +∞] allora:
(
P
(1) l < 1 ⇒
xn convergente
Pn
(2) l > 1 ⇒
n xn = +∞
La dimostrazione è dello stesso tipo della precedente, però più semplice.
Dimostrazione. Proviamo il caso (1), quello della convergenza.
Scelgo ε > 0 : l + ε < 1, abbiamo che definitivamente
√
n
xn < l + ε
Dato che xn > 0 si possono elevare primo e secondo membro conservando
la diseguaglianza
xn < (l + ε)n
54
P
n
Sapendo che
n (l + ε) converge, dato che è una serie geometrica di
ragione 0 < l +
Pε < 1, pertanto applicando il teorema del confronto ne
deduciamo che n xn converge anch’essa.
Dimostrazione del caso (2), in cui si ha la divergenza.
Scelgo ε > 0 : l − ε > 1, definitivamente
√
n
xn > l − ε
elevando entrambi i membri si ha che
xn > (l − ε)n
Questa è una serie geometrica di ragione l − ε > 1 quindi diverge; applicando il teorema del confronto abbiamo la divergenza della serie di termine
generale xn .
Vediamo cosa succede per l = 1, per il quale si ha un caso indeterminato.
Consideriamo le due serie:
X1
(2.16)
n
n
X 1
(2.17)
n2
n
Poniamo xn = n1 e yn = n12 . Applicando il criterio del rapporto, entrambe
ricadono nel caso indeterminato, in quanto:
xn+1
n
→1
=
xn
n+1
2
yn+1
n
=
→1
yn
n+1
si sa però che la serie (2.16) è una
P serie armonica e quindi
mentre la serie (2.17) converge e n yn 6 1, perchè
yn =
P
n
xn = +∞,
1
1
6
2
n
n(n − 1)
1
dove n(n−1)
è il termine generale della serie di Mengoli, la quale converge (cfr.
Esempio 2.4) e quindi la serie di termine generale n12 è una serie a termini
positivi, e quindi anch’essa converge.
Come si è visto, nel caso in cui l = 1 non si può dire quale comportamento
ha la serie.
55
Si noti che queste due serie ricadono nel caso indeterminato anche rispetto
al criterio della radice, perchè come si sa dal Limiti notevole A.1, e dal
Limiti notevole A.2
√
(2.18)
lim n n = 1
n
√
n
lim n2 = 1
(2.19)
n
Quindi anche per il criterio della radice il caso l = 1 rimane indeterminato.
X na
Esempio 2.17.
bn
n
Tale serie sarà convergente ∀a > 0, b > 1.
Applichiamo il criterio della radice, considerando
r
√ a
a
1
( n n)
n n
=
−
→ <1
n
n b
b
b
dove sono stati ricombinati gli esponenti ed è stato utilizzato il limite (2.18).
Nel caso in cui 0 < b < 1 non ci può essere convergenza, la serie può solo
divergere, perchè il termine generico ha il numeratore che tende a +∞, il
denominatore che tende a 0, quindi il termine generale
na
→n +∞
bn
Per il Teorema 2.1, condizione necessaria affinche una serie converga è che il
termine generale tende a zero, quindi questa serie non converge; inoltre, dato
che è una serie a termini positivi, visto che non converge può solo divergere
a +∞. In definitiva se 0 < b < 1 si ha
X na
= +∞
bn
n
Teorema 2.7 (Criterio di condensazione). Supponiamo che xn > 0 ∀n ∈ N
e che la successione (xn ) sia non crescente, quindi xn > xn+1 ∀n ∈ N.
Allora valgono le seguenti due condizioni
(
P n
P
(1)
⇒
n 2 x2n convergente
n xn convergente
P n
P
(2)
⇒
n 2 x2n = +∞
n xn = +∞
Con la scrittura 2n x2n si indica che, fra i termini della successione (xn ),
si scelgono soltanto quelli che hanno per indice una potenza di 2, ed ognuno
di questi viene moltiplicato per la corrispondente potenza di 2.
56
(
∞
X
diverge a + ∞ ∀α > −1
nα
Esempio 2.18.
log n converge
∀α < −1
n=2
Osserviamo che è una serie a termini positivi
xn =
nα
> 0 ∀n > 2
log n
quindi si possono applicare i criteri già presentati.
Distinguiamo diversi casi
X
α > 0 ⇒ xn −
→ +∞ ⇒
xn = +∞
n
n
limn xn = +∞ è il Limiti notevole A.3, inoltre il risultato sul carattere della
serie si ha perchè non rispetta la condizione necessaria per la convergenza e
perchè è a termini positivi.
Il caso sottostante è stato provato nell’Esempio 2.15.
α=0
⇒
X
n
1
= +∞
log n
Nell’ultimo caso, α < 0, si può applicare il criterio di condensazione,
perchè si ha la seguente ipotesi di monotonia
xn+1 6 xn
∀n ∈ N
dimostriamola: se α < 0 vale la seguente catena di diseguaglianze
α
n
log n
>1>
n+1
log(n + 1)
n
< 1 elevato ad α < 0 sarà maggiore di 1, mentre log n < log(n+1)
perchè n+1
quindi il loro rapporto sarà minore di 1. Ne segue che
(n + 1)α
nα
<
log(n + 1)
log n
Abbiamo allora la monotonia e si può studiare la serie condensata, consideriamo il termine 2n x2n
2n x2n = 2n
(2n )α
(2n )α+1
1
(2α+1 )n
=
=
·
log(2n )
n log 2
log 2
n
Si hanno tre casi:
57
1. Per α > −1 si ha 2n x2n → +∞.
Questo perchè, se α > −1 allora α + 1 > 0 quindi dato che 2α+1 > 1 si
n
può applicare il Limite notevole A.4 limn an = +∞ per a > 1.
Allora, per la condizioneP
necessaria (cfr. Teorema 2.1) e dato che è a
termini positivi, la serie n 2n x2n = +∞. Si applica
P la seconda parte
del criterio di condensazione e se ne deduce che n xn = +∞
2. Per α = −1 si ha 2n x2n = log1 2 · n1 la cui serie è una costante moltiplicata
P
per la serie armonica, quindi n 2n x2n =P+∞. Sempre per la seconda
parte del criterio di condensazione si ha n xn = +∞.
3. ??? PARTE IN DUBBIO ???
file: 9.2.wma - 56:20
Per α < −1 si ha xn 6 log1 2 · (2α+1 )n
P α+1 n
) < +∞ è convergente,
che è una serie geometrica di
n (2
P 1 α+1dato
n
α+1
) < +∞ è anch’essa convergente.
ragione 0 < 2
< 1.
n log2 (2
Inoltre sono tuttePserie a termini positivi, quindi vale il teorema del
confronto, allora n 2n x2n < +∞, si applica
P allora la prima parte del
criterio di condensazione e si deduce che n xn convergente.
Il criterio di condensazione si usa generalmente quando nel termine generale della serie compare un logaritmo, in modo da poter applicare la trasformazione log 2n = n log 2, ed inoltre qualcosa che permette di scrivere il
termine della serie condensata in maniera semplice.
Nell’esempio seguente verrà applicato il criterio di condensazione, e si
vedrà come la monotonia della successione delle somme parziali influisca sul
suo
P comportamento;
P l’esempio inoltre fa vedere che, date
P due serie divergenti
n xn = +∞ e
n yn = +∞, della serie differenza
n (xn − yn ) non se ne
sa il carattere.
1
Esempio 2.19. Siano xn = n1 , yn = log n+1
=
log
1
+
si ha:
n
n
X1
= +∞
n
n
Questa è una serie armonica, di cui si è già dimostrato il carattere.
X
n
log
n+1
= +∞
n
58
Il risultato di questa serie è meno evidente. Per prima cosa si verifica se
vale la condizione necessaria per la convergenza, l’argomento del logaritmo
tende a 1, quindi il logaritmo tende a 0, allora il test fallisce, dato che la serie
potrebbe convergere.
In primo luogo si osservi che si tratta di una serie a termini positivi, in
quanto l’argomento del logaritmo è maggiore di 1.
yn > 0 ∀n ∈ N
vediamo anche che la successione yn è decrescente, dato che
1
1
yn+1 = log 1 +
< log 1 +
= yn ∀n ∈ N
n+1
n
allora è una serie a termini positivi in cui la successione dei termini è decrescente, quindi si può
P applicare il criterio di condensazione. Consideriamo
la serie condensata n 2n y2n , il carattere della serie di termine generale yn
sarà lo stesso di quello della serie condensata. Questa è anch’essa una serie
a termini positivi, 2n y2n > 0.
Riscriviamo il termine generale della serie condensata, applicando la definizione di yn e le proprietà dei logaritmi.
"
2n #
1
1
2n y2n = 2n log 1 + n = log 1 + n
2
2
Si consideri il Limite notevole A.5.
Secondo questo limite notevole 1 +
si ha
"
2n #
1
−
→1
log 1 + n
n
2
n
1 2
n
2
→ e, inoltre dato che log e = 1
Quindi
2n y2n → 1 > 0
pertanto non è soddisfatta la condizione necessaria per la convergenza, se
ne deduce che la serie diverge. Il criterio di condensazione dice che la serie
originale ha lo stesso carattere della serie condensata, quindi
X
X
2n y2n = +∞ ⇒
yn = +∞
n
n
59
Ci chiediamo allora cosa succede alla serie
X1
n+1
= γ ∈]0, 1]
− log
n
n
n
(2.20)
dove γ è la costante di Eulero-Mascheroni.
Per dimostrare questo si ci deve rifare a un paio di successioni note.
Consideriamo la successione:
n 1
1+
n
n∈N
n
di cui sappiamo che è crescente e che limn 1 + n1 = e
Di una successione crescente il suo limite è l’estremo superiore dei termini
della successione, quindi in particolare ogni termine della successione sarà
strettamente minore di e.
n
1
<e
∀n ∈ N 1 +
n
Sono entrambe quantità maggiori di 1 quindi si può calcolare il logaritmo di
entrambi i membri
n 1
1
< log e = 1 ⇒ n log 1 +
<1⇒
log
1+
n
n
(2.21)
n+1
1
⇒ log
<
n
n
>0
ne deduciamo che la (2.20) è a termini positivi, ∀n ∈ N n1 − log n+1
n
Definiamo la successione delle somme parziali, ponendo
Sk =
k X
1
n=1
n+1
− log
n
n
Si è visto che la successione delle somme parziali di una serie a termini positivi
è crescente, ovvero
Sk < Sk+1 ∀k ∈ N
Si consideri ora la seguente successione
n+1 !
1
1+
n
n∈N
60
(2.22)
si dimostrerà che tale successione è decrescente e che limn 1 +
Dalla diseguaglianza di Bernoulli
1 + nx < (1 + x)n
1 n+1
n
=e
∀n ∈ N \ {1}, x > 0
applichiamo questa diseguaglianza con n ∈ N, n > 1 e x = n21−1 . Sostituendo
si ha
n n n n
1
n
n2
n
n
< 1+ 2
=
=
1+ 2
n −1
n −1
n2 − 1
n+1
n−1
Consideriamo ora
n+1
1
n
n
=1+ =1+ 2 <1+ 2
<
n
n
n
n −1
n
n+1
n n
n−1
n
dove la prima maggiorazione si è avuta perchè il denominatore di
minore del denominatore di nn2 .
Si confrontano la prima e l’ultima quantità e si moltiplicano per
n+1
n
n+1
<
n
n−1
n
⇐⇒
1
1+
n
n+1
<
n
n2 −1
è
n+1 n
.
n
1
1+
n−1
n
quest’ultima diseguaglianza non è altro che la decrescenza della successione
(2.22).
Vediamo ora perchè il limite della successione è e.
n+1 n 1
1
1
1+
1+
−
→e
= 1+
n
n
n n
questo perchè il primo fattore tende a e, mentre il secondo tende a 1.
La (2.22) è una successione monotona decrescente e convergente, quindi il limite è l’estremo inferiore della successione, allora ogni termine della
successione sarà maggiore del limite
n+1
1
∀n ∈ N
1+
>e
n
Come si è fatto prima nella (2.21), applicando il logaritmo e le proprietà
del logaritmo, si trova che
1
n+1
∀n ∈ N
<0
(2.23)
− log
n+1
n
61
Torniamo a riflettere sulla successione delle somme parziali, si riscrive in
forma estesa
1
1
3
k
k+1
1
+· · ·+
+
− log
− log
− log
Sk = (1−log 2)+
2
2
k−1
k−1
k
k
(2.24)
si applica la proprietà associativa, isolando il primo e l’ultimo elemento
k+1
k
1
1
− log
− log 2 + · · · +
− log
(2.25)
(2.24) = 1 +
2
k
k−1
k
si applica ora la diseguaglianza (2.23) la quale dice che ogni elemento parentesizzato è minore di 0
(2.25) < 1 − log
k+1
<1
k
è positivo.
l’ultima maggiorazione si ha perchè log k+1
k
Quindi la successione delle somme parziali è crescente e superiormente
limitata
Sk < 1 ∀k ∈ N
Queste due informazioni dicono che la successione Sk è regolare crescente, e
dato che è limitata superiormente, il suo limite è un numero, minore o uguale
di 1.
lim Sk = γ 6 1
k
il limite inoltre è maggiore di 0 perchè Sk > 0
Teorema 2.8 (Criterio di Raabe). Sia xn una successione a termini positivi,
xn > 0 ∀n ∈ N, ed inoltre
xn
−1
=l∈R
(2.26)
lim n
n
xn+1
Allora:
l<1
l>1
⇒
⇒
X
xn = +∞
(2.27)
xn converge
(2.28)
n
X
n
62
Il criterio di Raabe è un’altro criterio per le serie a termini positivi che si
può applicare quando il criterio del rapporto non funziona, perchè ricade nel
caso indeterminato.
Dimostrazione. Dimostriamo la divergenza (2.27).
Per la (2.26) e dato che l < 1, allora, per la definizione di limite, definitivamente itermini della
successione in (2.26) sono minori di 1. ∃ν ∈ N : ∀n > ν
xn
si ha n xn+1 − 1 < 1
xn
1
−1<
xn+1
n
⇒
xn
n+1
1
<1+ =
xn+1
n
n
sono tutte quantità positive, quindi
nxn < (n + 1)xn+1
questo vale ∀n > ν, quindi in particolare
νxν
∀n > ν nxn > νxν ⇒ xn >
n
P
Dato che xn > νxnν e che n νxnν = +∞, questo perchè νxν è una costante moltiplicata per la serie armonica, la quale diverge, per il criterio del
confronto si ha che:
X
xn = +∞
n
Dimostriamo ora la (2.28), ponendo che l > 1.
∀ε > 0 : l − ε > 1 sappiamo che definitivamente
xn
− 1 > l − ε ⇒ nxn − nxn+1 > (l − ε)xn+1
n
xn+1
sottraendo xn+1 da entrambi i membri si ha
nxn − (n + 1)xn+1 > (l − ε − 1)xn+1
(2.29)
notando che l − ε − 1 > 0 si possono dividere entrambi i membri senza variare
la diseguaglianza
xn+1 <
1
(nxn − (n + 1)xn+1 )
l−ε−1
Si consideri ora la seguente serie telescopica
X
1
(nxn − (n + 1)xn+1 )
l−ε−1
n
63
(2.30)
Una serie telescopica in generale è uguale a
X
(yn − yn+1 ) = y1 − lim yn
n
n
(2.31)
Si deve vedere allora il comportamento di nxn all’infinito.
Della successione (nxn )n∈N sappiamo che è decrescente perchè dalla (2.29)
nxn − (n + 1)xn+1 > 0, inoltre è a termini positivi nxn > 0 ∀n ∈ N, pertanto
converge limn (nxn ) = λ > 0.
La (2.31) sarà
X
1
1
(nxn − (n + 1)xn+1 ) =
[x1 − λ] ∈ R
(2.32)
l−ε−1
l−ε−1
n
Considerando la relazione (2.30) e che la serie avente come termine generale il secondo membro di questaPrelazione è convergente (2.32), per il
teorema del confronto si deduce che n xn converge.
Esempio 2.20((Serie armonica generalizzata). Sia α > 0 consideriamo la
P
+∞ α 6 1
serie n n1α =
conv α > 1
Nel caso di α = 1 si ha la serie armonica già studiata (cfr. Esempio 2.7),
consideriamo allora il caso α 6= 1.
Proviamo il criterio del rapporto per la successione xn = n1α , allora la
successione
α
n
xn+1
=
−
→1
n
xn
n+1
n
questo perchè n+1
→ 1. Siamo nel caso indeterminato del criterio del
rapporto. Si può provare il criterio della radice, ma anch’esso non funziona6 .
Applichiamo allora il criterio di Raabe
#
"
α
1 α
1
−1
1
+
xn
n
+
1
α
n
n
n
−1 =n
−1 =
−1 =n
1
1
xn+1
n
(n+1)α
n
(2.33)
Ricordiamo il Limite notevole A.6, se α > 0, yn → 0+
lim
n
(1 + yn )α − 1
=α
yn
(2.34)
6
Si può dimostrare che quando una serie ricade nel caso indeterminato del criterio del
rapporto, ricade nel caso indeterminato anche del criterio della radice. Quindi il criterio
del rapporto è più potente.
64
applicandolo alla (2.33) quindi (2.33) −
→α
n
Per il Criterio di Raabe si ha che: se α < 1 allora la serie diverge, se
α > 1 allora la serie converge.
Si noti che la serie armonica generalizzata si potrebbe studiare anche con
il Criterio di condensazione, che però rispetto al Criterio di Raabe è più
laborioso.
Teorema 2.9 (Criterio dell’ordine d’infinitesimo). Siano date le successioni
xn > 0, yn > 0 ∀n ∈ N, si supponga che limn xynn = l ∈]0, +∞[ 7
Allora:
X
X
xn conv ⇒
yn conv
(2.35)
n
X
n
n
xn = +∞
X
⇒
yn = +∞
(2.36)
n
In generale si ha che le due serie hanno lo stesso carattere
Dimostrazione. Si dimostra solo il caso della convergenza (2.35), quello della
divergenza (2.36) è analogo.
La serie di termine generale xn converge, ed inoltre il rapporto xynn → l > 0.
∀ε > 0 : l − ε > 0, per la definizione di limite
∃ν ∈ N : ∀n > ν
l−ε<
yn
<l+ε
xn
Dato che xn è una quantità positiva ne segue che
(l − ε)xn < yn < (l + ε)xn
(2.37)
Consideriamo la serie
X
(l + ε)xn converge
(2.38)
n
perchè si ha una costante positiva l+ε moltiplicata per una serie convergente.
Come si evince
P dalla diseguaglianza (2.37), almeno definitivamente, i termini della serie n yn sono maggiorati
Pdai termini della serie (2.38), per il
teorema del confronto deduciamo che n yn converge.
La (2.36) si dimostra con la prima parte della diseguaglianza (2.38).
Secondo il Marcellini-Sbordone l ∈ R ed inoltre si hanno le seguenti condizioni:
P∞
P∞
i) Se l = 0 e la serie n=1 xn converge, allora anche la serie n=1 yn è convergente
P∞
P∞
ii) Se l = +∞ e la serie n=1 xn diverge; allora anche la serie n=1 yn diverge.
7
65
P
Esempio 2.21. Sia xn > 0, n xnP
converge
Si deve dimostrare che ∀α > 0 n [(1 + xn )α − 1] converge
Si applica il criterio dell’ordine di infinitesimo, ponendo:
yn = (1 + xn )α − 1
(1 + xn )α − 1
yn
=
−
→α>0
n
xn
xn
Il limite di quest’ultima si è ricavato riconducendosi al limite notevole
P(2.34), questo è stato possibile perchè si sa che xn > 0 ∀x ∈ N e, dato che
n xn converge, che xn → 0.
Visto che α > 0 la serie di termine generale yn ha lo stesso carattere della
serie di termine generale
(2.35) del Teorema 2.9
P xn , quindi applicando la P
dalla convergenza di n xn segue la convergenza di n yn .
Ad esempio, per α > 0 ed xn = n12 si ha
α
X 1
− 1 converge
1+ 2
n
n
questo perchè
P
1
n n2
converge
P
Esempio 2.22. n sin n1 = +∞
Vi sono diversi modi di dimostrarla, il più rapido è applicare il criterio
dell’ordine di infinitesimo, confrontandola con la serie armonica
X1
= +∞
n
n
Consideriamo il Limite notevole A.7, per xn > 0 e xn → 0
lim
n
sin(xn )
=1
xn
in particolare
lim
n
sin n1
1
n
=1>0
per il criterio dell’ordine d’infinitesimo è dimostrato
Un altro esempio, applicando lo stesso procedimento, può essere
X
1
sin n convergente
2
n
66
P Esempio 2.23. n 1 − cos n12
Verifica la condizione necessaria per la convergenza, perchè limn n12 = 0,
quindi il coseno vale uno ed allora il termine generale tende a zero.
∀n ∈ N cos n12 < 1 quindi è una serie a termini positivi.
Anche in questo caso si può applicare il criterio dell’ordine di infinitesimo,
con una serie convergente.
Consideriamo il Limite notevole A.8, se xn > 0, xn → 0
1
1 − cos xn
=
n
xn
2
P
Ponendo xn = n12 , n xn converge e
lim
lim
n
1 − cos n12
1
n2
=
1
>0
2
Quindi la serie in esame ha lo stesso carattere di questa serie, cioè è
convergente.
P n
Esempio 2.24. Sia a > 0 si dimostrerà che n an! convergente.
É una serie a termini positivi e verifica la condizione necessaria.
Si potrebbe provare con il criterio del rapporto perchè c’è n! o per il
criterio della radice perchè c’è n come esponente. Proviamo a dimostrarlo
con il criterio del rapporto.
Sia
xn =
an
n!
allora
xn+1
n!
a
an+1
· n =
−
→0<1
=
xn
(n + 1)! a
n+1 n
pertanto, per il criterio del rapporto, la serie converge.
P
1
Esempio 2.25. ∞
n=2 (log n)n converge
Questa è una serie a termini positivi xn = (log1n)n > 0. Applichiamo il
criterio della radice, consideriamo l’espressione
√
n
xn =
1
−
→0
log n n
Quindi, per il criterio della radice, la serie converge.
67
Esercizio 2.2. Studiare la serie somma
rapporto8 .
P
Esempio 2.26. n log 1 + 21n converge
P∞
1
n=2 log n
usando il criterio del
1
xn = log 1 + n > 0
2
inoltre potrebbe converge perchè soddisfa la condizione necessaria alla convergenza, ma non basta. Si applica il criterio dell’ordine di infinitesimo,
confrontando la serie in esame con al serie geometrica
X 1
convergente
n
2
n
si considera il rapporto
xn
1
2n
1
= 2n log 1 + n
2
= log
"
1
1+ n
2
2n #
−
→ log e = 1 > 0
n
2n
→ e.
questo si ha perchè 1 + 21n
Quindi dalla convergenza di questa serie segue la convergenza della serie
in esame.
Le serie a termini positivi hanno buone possibilità di controllo, dovuto al
fatto che hanno solo due possibili caratteri, divergenza a +∞ o convergenza
ad un numero finito. Per le serie a termini di segno variabile, i cui termini
sono a volte negativi e a volte positivi, si possono avere tutti e quattro i casi:
convergenza, divergenza a +∞, divergenza a −∞, indeterminatezza. Vi è
una particolare classe di serie a termini di segno variabile che offre possibilità
di controllo, in qualche modo, analoghe a quelle delle serie a termini costanti,
le serie a termini di segno alterno.
2.2
Serie a termini di segno alterno
A questo schema si possono ricondurre tutte le serie a termini di segno
alterno.
8
Questo esercizio è già stato risolto col Criterio del contronto nell’Esempio 2.15.
68
Definizione 2.4 (Serie a termini di segno alterno). Sia (xn )n∈N una successione con xn > 0 ∀n ∈ N, si considera la serie
X
(−1)n xn
n
Su questo tipo di serie vale il seguente risultato generale.
P
Proposizione 2.3. Sia (xn )n∈N monotona, allora n (−1)n xn non diverge
Dimostrazione. La dimostriamo per assurdo. Supponiamo che la serie diverga e ne deduciamo la contraddizione.
Si distinguono diversi
P casi.
Supponiamo che n (−1)n xn = +∞, e che xn 6 xn+1 ∀n ∈ N cioè la
monotonia di xn non è decrescente.
Si definisce la successione delle somme parziali
k
X
Sk =
(−1)n xn = −x1 + x2 − x3 + · · · + (−1)k xk
n=1
Si dimostra che l’estratta della successione delle somme parziali, considerando
i termini di posto pari, è una successione non decrescente, cioè che
∀k ∈ N S2k 6 S2k+2
S2k+2 =
2k+2
X
(−1)n xn =
n=1
2k
X
(−1)n xn + (−1)2k+1 x2k+1 + (−1)2k+2 x2k+2 =
n=1
= S2k − x2k+1 + x2k+2 > S2k
{z
}
|
>0
si è potuto minorare perchè x2k+1 > x2k+2 .
Con questo si è provato che la successione S2k è non decrescente.
Più in generale è facile dimostrare che ∀k ∈ N S2k+3 6 S2k+1 , cioè che
l’estratta della successione delle somme parziale, considerando i termini di
posto dispari, è una successione non crescente.
Per ipotesi la successione diverge positivamente, limk Sk = +∞, quindi
ne segue che ogni estratta di Sk tende a +∞. Allora anche l’estratta di posto
dispari deve tendere a +∞, limk S2k+1 = +∞
Assurdo perchè una successione non crescente non può tendere a +∞, ma
solo all’estremo inferiore dei suoi termini.
69
In maniera analoga si studiano gli altri casi:
X
(−1)n xn = +∞, xn > xn+1
n
X
n
X
n
(−1)n xn = −∞, xn 6 xn+1
(−1)n xn = −∞, xn > xn+1
ognuno di questi casi comporta un assurdo, pertanto la serie non diverge
P
Esempio 2.27. n (−1)n n indeterminata
Ponendo xn = n è sicuramente una successione monotona
crescente.
P
n
∄ limn [(−1) n] è una successione oscillante, quindi n (−1)n nPnon converge. Si è nel caso di applicazione della Proposizione 2.3 quindi n (−1)n n
non diverge, inoltre, non essendo convergente, è indeterminata.
Teorema 2.10 (Criterio di Leibniz). Sia (xn )n∈N con xn > 0 ed xn > xn+1
∀n ∈ N, cioè a termini positivi e non crescente, si suppone inoltre che
limn xn = 0
Allora
X
(−1)n xn converge
(2.39)
n
Dimostrazione. Dato che la serie è monotona, dalla Proposizione 2.3 si sa
che la serie non diverge, quindi si deve provare che non è indeterminata. Si
dimostrerà direttamente la convergenza.
Definiamo la successione delle somme parziali
k
X
Sk =
(−1)n xn
n=1
consideriamo le due estratte di questa successione, che si ottengono selezionando i termini di posto pari e i termini di posto dispari. La successione
dei termini di posto pari è non crescente, mentre quella dei termini di posto
dispari è non decrescente.
S2k+2 = S2k −x2k+1 + x2k+2 6 S2k
|
{z
}
⇒
lim S2k = l′ < +∞
k
60
Analogamente
S2k+3 = S2k+1 + x2k+2 − x2k+3 > S2k+1
70
⇒
lim S2k+1 = l′′ > −∞
k
Ora si deve dimostrare che l′ = l′′
S2k+1 − S2k = (−1)2k+1 x2k+1 = −x2k+1
facendo tendere k a +∞ si ha che
l′′ − l′ = 0
Si possono avere diversi casi: se l′ = −∞ ed l′′ ∈ R la precedente relazione
non è verificata, se l′′ = +∞ ed l′ ∈ R idem, se l′′ = +∞ ed l′ = −∞ idem.
Se ne deduce che l′′ ed l′ sono reali, che la loro differenza vale zero, quindi
l′ = l′′ = l
⇒
lim Sk = l ∈ R
k
allora la serie converge.
P
Esempio 2.28. n (−1)n n1 converge
xn = n1 è una successione a termini positivi, è decrescente e tende a zero,
quindi per il Criterio di Leibniz converge.
P
Esempio 2.29. n (−1)n sin n1 converge
1
Analogamente all’esempio precedente, sin n+1
< sin n1 , quindi per il Criterio di Leibniz è convergente.
2.3
Serie assolutamente convergenti
Definizione 2.5. Sia
P
n |xn | converge.
P
n
xn , si dice assolutamente convergente se la serie
É una forma più forma più forte di convergenza per le serie a termini di
segno variabile, che coincide con quella per le serie a termini positivi.
P
Questa definizione di convergenza sposta lo studio dalla serie
n xn ,
dove non si hanno informazioni sul segno del termine generale xn , alla serie
in cui il termine generale |xn | è non negativo. Questa nozione di assoluta
convergenza è importante per la seguente proposizione.
P
Proposizione
2.4.
Sia
n xn assolutamente convergente.
P
Allora n xn è convergente (semplicemente).
P
Dimostrazione. Per ipotesi n |xn | convergente.
Per il criterio di Cauchy questa serie ha la seguente proprietà:
∀ε > 0 ∃ν ∈ N : ∀n > ν, p ∈ N ||xn+1 | + |xn+2 | + · · · + |xn+p || < ε
71
Dato che sono quantità positive il valore assoluto che racchiude la somma
è superfluo, inoltre per la proprietà triangolare9 si può cosı̀ maggiorare
∀n > ν, p ∈ N |xn+1 + xn+1 + · · · + xn+p | 6 |xn+1 |+|xn+2 |+· · ·+|xn+p | < ε
la somma è minore di ε per la relazione precedente.
Si applica ora il criterio di Cauchy comeP
condizione sufficiente, e per la
precedente relazione se ne deduce allora che n xn converge.
P n
Esempio 2.30. La serie n an! converge assolutamente ∀a ∈ R
Per a positivo la serie è una serie a termini positivi e quindi la convergenza assoluta è la stessa cosa della convergenza semplice. Per a < 0 nsi ha
n
una serie a termini di segno alterno a = −|a| pertanto an! = (−1)n |a|n! , allora bisognerebbe studiarla con gli strumenti per le serie a termini di segno
alterno. La convergenza assoluta permette di evitare queste difficoltà.
Consideriamo il termine generico xn , lasciando a generico, positivo o
negativo che sia, e valutiamo se è assolutamente convergente.
xn =
an
n!
|xn | =
consideriamo la serie
P
n
|a|n
n!
|xn | e applichiamo il criterio del rapporto
|xn+1 |
|a|n+1
n!
|a|
=
· n =
−
→0<1
|xn |
(n + 1)! |a|
(n + 1) n
P
Per il criterio del rapporto è convergente,
quindi
n xn converge assoluP
tamente, allora per la Proposizione 2.4 n xn converge.
Nell’esempio seguente si constata che la convergenza assoluta è una nozione più forte della convergenza semplice. Si ricordi che dalla Proposizione 2.4
si è dimostrato che la convergenza assoluta implica la convergenza semplice,
ma non il viceversa.
Esempio
2.31.
le serie dell’Esempio 2.28 e dell’Esempio 2.29:
P Si considerino
P
1
n
n1
n (−1) sin n . Queste serie, per il criterio di Leibniz, sono
n (−1) n ,
convergenti, ma non sono assolutamente convergenti.
Studiando le serie dei valori assoluti si avrà:
X1
= +∞
n
n
9
Proprietà triangolare: ∀x, y ∈ R |x + y| 6 |x| + |y|
72
che è la serie armonica, positivamente divergente, e la serie
X
1
= +∞
sin
n
n
studiabile con il Criterio dell’ordine di infinitesimo, anch’essa positivamente
divergente.
Quindi la convergenza semplice non implica la convergenza assoluta.
P
Esempio 2.32. Si consideri la serie n log 1 + n2 an con a ∈ R.
In questa serie il parametro cambia il carattere della serie. Si distingueranno quindi i vari casi.
Questa serie, per il fattore an , ricorda la serie geometrica. In effetti avrà
un comportamento simile. I punti critici in cui cambia il carattere della serie
sono a = ±1. Fatto intuibile perchè quando a passa dalla sinistra alla destra
di 1 il termine passa da infinitesimo ad infinito, mentre quando passa dalla
destra alla sinistra di −1 passa da infinitesimo ad indeterminato. Cosa che
accadeva in modo simile nello studio della serie geometrica.
Per semplificare la notazione si pone
n n
2
a
2
n
a = log 1 +
xn = log 1 +
n
n
n
questa nuova scrittura contiene un’espressione nota:
n
2
lim log 1 +
=2
n
n
dal Limite notevole A.9.
1. a > 1 ⇒ xn > 0 ∀n ∈ N quindi si ha una serie a termini positivi,
che può convergere o divergere a +∞.
lim
n
an
= +∞
n
⇒
lim xn = +∞
n
dato che non soddisfa la condizione necessaria alla convergenza, e che
è a termini positivi si ha
X
X
xn non convergente ⇒
xn = +∞
n
n
73
2. a = 1 il termine generale sarà del tipo xn = log 1 +
una serie a termini positivi, xn > 0 ∀n ∈ N
2
n
, allora si avrà
lim xn = 0
n
non si può applicare semplicemente la condizione necessaria per la
convergenza.
Si applicaP
il Criterio dell’ordine di infinitesimo, consideriamo la serie
armonica n n1 = +∞ e la quantità
n
xn
2
2
= log 1 +
−
→ 2 ∈]0, +∞[
1 = n log 1 +
n
n
n
n
per il teorema dell’ordine di infinitesimo
X
xn = +∞
n
3. −1 < a < 1 (o anche a ∈] − 1, 1[)
In questo caso la serie non è più a termini positivi, lo è per a ∈]0, 1[,
ma per a ∈] − 1, 0[ è a termini di segno alterno.
La studiamo con la convergenza assoluta, in modo di trattare questo
caso come un unico caso.
2
|a|n 6 log 3|a|n
(2.40)
|xn | = log 1 +
n
la maggiorazione si ha perchè ∀n ∈ N 1 +
successione decrescente.
2
n
6 1+
2
1
dato che è una
Si consideri ora la serie
X
log 3|a|n convergente
n
il termine generale è una costante positiva che moltiplica la potenza nma del numero |a| ∈]0, 1[, dallo studio della serie geometrica si sa che,
se la ragione è compresa fra 0 e 1, la serie converge, inoltre moltiplicata
per una costante, per la Proposizione 2.1, converge ancora.
P
Il teorema
P del confronto, per la (2.40), implica che n |xn | converge,
quindi n xn converge assolutamente.
74
4. a = −1
In questo caso ci si può ricondurre al caso 2, perchè
2
|xn | = log 1 +
n
di fatti il termine generale in questa forma è già stato studiato. Quindi
X
|xn | = +∞
n
allora
P
n
xn non converge assolutamente
Bisogna controllare se la serie converge semplicemente. Si può studiare con il criterio di Leibniz, che è un criterio di convergenza semplice,
quindi è uno strumento usato tipicamente quando non c’è la convergenza assoluta. La serie allora viene studiata con il suo segno, senza
ridursi al valore assoluto
X
2
n
(−1) log 1 +
n
n
La successione log 1 + n2 è a termini positivi e decrescente. Inoltre
2
=0
lim log 1 +
n
n
P
per il criterio di Leibniz, implica che n xn convergente.
5. a < −1
Si ha una serie a termini di segno alterno, si sa che non c’è convergenza
assoluta, perchè
2
|a|n
|xn | = log 1 +
n
P
|a| > 1 allora per il caso 1 n |xn | = +∞.
Resta da vedere se c’è convergenza semplice. Si applica un risultato
sulle serie a termini di segno alterno, quello relativo ai possibili caratteri delle serie a termini di segno alterno laddove il valore assoluto del
termine forma una successione monotona.
Si considera la serie il cui termine generale si può scrivere come segue
scomponendo a in (−1)n |a|
2
n
|a|n
xn = (−1) log 1 +
n
75
il valore assoluto di questa quantità rappresenta una successione, almeno definitivamente, crescente, si ha infatti che
|xn | < |xn+1 | definitivamente
Questo si dimostra, considerando la quantità
n+1
2
2
|a|
log 1 + n+1
n
n + 1 log 1 + n+1
|xn+1 |
= |a|
=
·
·
|xn |
n+1
n
log 1 + n2 |a|n
log 1 + n2
n+1
2
log 1 + n+1
n
n → |a|
|a|
·
n+1
log 1 + n2
dato che secondo e terzo fattore tendono a 1.
10
|xn+1 |
−
→ |a| > 1
|xn | n
per definizione di limite di una successione
∃ν ∈ N : ∀n > ν
|xn+1 |
>1
|xn |
⇒
|xn+1 | > |xn |
Si è quindi provato questa forma di monotonia. Se si ha questa relazione, per il risultato precedentemente citato, la serie con quel termine
generico non può divergere, può soltanto convergere o essere indeterP
minata. D’altra parte si vede che xn 9 0, ne segue che la serie n xn
non converge, quindi è indeterminata.
2.4
Proprietà delle serie
Proprietà 2.1 (Associativa). Sia N ∈ N con N > 1, si considerino inoltre
X1 , . . . , XN ∈ R.
Poniamo
0 = k0 < k1 < k2 < · · · < km = N
m∈N
Allora
(Xk0 +1 + Xk0 +2 + · · · + Xk1 ) + (Xk1 +1 + · · · + Xk2 ) + . . .+
+(Xkm−1 +1 + · · · + Xkm ) = X1 + · · · + XN
10
Si noti che nel terzo fattore numeratore e denominatore tendono a 2
76
Comunque si scelgono i numeri da k1 a km−1 e si raggruppano i termini
della somma, il risultato è uguale al risultato che si ottiene sommando i
numeri in ordine.


N
m
kn
X
X
X


Xn
Xi =
n=1
n=1
i=kn−1 +1
Dato che la serie è una generalizzazione del concetto di somma, in particolare è la somma di infiniti numeri reali, vediamo se queste somme infinite,
godono della proprietà associativa. Questo non è sempre vero, quello che è
vero per una somma finita di numeri, non è necessariamente vero per una
somma infinita.
Si da allora la definizione della proprietà associativa per le serie, compatibile con la precedente.
Definizione 2.6 (Proprietà associativa per le serie). Si dice che la serie
P
n xn ha la proprietà associativa se ∀(kn ) ∈ N crescente, con k0 = 0,
definendo ∀n ∈ N
yn =
kn
X
xi
i=kn−1 +1
P
P
la serie n yn ha lo stesso carattere di n xn e in caso di convergenza la
stessa somma.
Questa definizione assomiglia alla Proprietà 2.1, infatti si è “abolito” il
numero N , gli indici kn vanno fino ad infinito, formando una successione
crescente, ∀n si determina una somma parziale delimitata da questi indici, si
sommano tutte queste somme, e si richiede che questo risultato sia lo stesso
della somma della serie data.
P
Teorema P
2.11. Sia n xn regolare.
Allora n xn ha la proprietà associativa.
Dimostrazione. Bisogna ritornare al concetto basilare di serie regolare: una
serie è regolare quando è regolare la sua successione delle somme parziali,
consideriamo allora tale successione
∀m ∈ N Sm =
m
X
xn
(2.41)
n=1
si sa che Sm ammette limite L per brevità cosı̀ definito
Sm → L ∈ R ∪ {±∞}
77
Fissiamo ad arbitrio una successione crescente
∀(kn ) ⊂ N crescente, k0 = 0
Poniamo
yn =
kn
X
xi
i=kn−1 +1
Introduciamo la successione delle somme parziali della serie
Tm =
m
X
yn
n=1
⇒
Tm =
m
X
kn
X
P
n
yn
xi
n=1 i=kn−1 +1
dato che questa è una somma finita, si applica la proprietà associativa della
somma finita, quindi il risultato di questa doppia sommatoria è uguale al
risultato che si ottiene sommando direttamente tutti gli xi coinvolti. Inoltre
per la (2.41) si ha
m
X
kn
X
n=1 i=kn−1 +1
xi =
km
X
x i = S km
i=1
Dato che km è una successione crescente, si è cosı̀ dimostrato che (Tm ) =
(Skn ) è una estratta di (Sm ). Dalla teoria delle successioni, si sa che se una
successione è regolare, ogni sua estratta è regolare e ammette lo stesso limite;
da questa cosa se ne deduce che
X
lim Tm = L ⇒
yn = L
m
n
P
yn = L non
P è una scrittura molto rigorosa.
La serieP n yn ha lo stesso carattere, in caso di convergenza la stessa
somma, di n xn , che è la proprietà associativa.
P
Esempio 2.33. n (−1)n
Serie che non gode della proprietà associativa.
Tale serie è indeterminata perchè
(
m
X
−1 se m dispari
Sm =
(−1)n ⇒ Sm =
0
se m pari
n=1
n
78
quindi
∄ lim Sm
m
⇒
X
(−1)n indeterminata
n
Se avesse la proprietà associativa raggruppando in ogni modo possibile i
suoi termini dovremmo ottenere ancora delle serie indeterminate. Invece non
ce l’ha, perchè si può definire un raggruppamente, prendendo i termini a due
a due, ed ottenere una serie convergente.
Poniamo kn = 2n ∀n ∈ N, k0 = 0 inoltre si definisce
yn =
kn
X
xi =
i=kn−1 +1
2n
X
(−1)i = 0
i=2n−1
P
allora n yn = 0
Si noti che si è trovata una estratta che ha somma zero, e la serie di
partenza era indeterminata.
Scegliendo invece kn come i numeri dispari
kn = 2n − 1 ∀n ∈ N
allora con la stessa definizione di yn si trova che
X
yn = −1
n
Quindi da una serie indeterminata si sono estratti dei raggruppamenti le
cui somme sono diverse. In una somma di infiniti numeri il risultato non è
ben determinato e non vale la proprietà associativa.
Nel caso in cui la serie è indeterminata, il modo di raggruppare i termini di
una somma di infiniti numeri non è ininfluente, può portare infatti a risultati
diversi.
Proprietà 2.2 (Commutativa). Siano N ∈ N e X1 , . . . , XN ∈ R
Denotiamo
I = {1, . . . , N }
∀α : I → I biunivoca
Xα(1) + Xα(2) + · · · + Xα(N ) = X1 + X2 + X3 + · · · + Xn
Data una somma finita si possono riordinare i termini della somma, non
modificando il risultato. Il concetto intuitivo di riordinamento, in termini
rigorosi, corrisponde ad una funzione biunivoca che trasforma gli indici. La
79
funzione deve essere biunivoca perchè è importante che nel nuovo ordine tutti
i termini compaiono una ed una sola volta11 .
Con questo formalismo si può generalizzare il concetto di proprietà commutativa alle somme infinite, le serie.
P
Definizione 2.7 (Proprietà commutativa per
le
serie).
n xn ha la proprietà
P
commutativa
se
∀α
:
N
→
N
biunivoca
x
ha
lo
stesso carattere di
n α(n)
P
n xn , e la stessa somma in caso di convergenza.
P
n xα(n) viene detto riordinamento.
Comunque si riordinano gli indici si deve ottenere una serie con lo stesso
carattere.
A differenza della proprietà associativa, che vale per una famiglia abbastanza grande di serie, non tutte le serie regolari godono la proprietà
commutativa.
La proprietà commutativa è strettamente legata al segno dei termini della
serie, come si evince dalla Proposizione seguente.
P
Proposizione
2.5.
Sia
n xn con xn > 0 ∀n ∈ N.
P
Allora n xn ha la proprietà commutativa.
Dimostrazione. Studiamo
il caso della convergenza.
P
Poniamo
che
n xn = S ∈ R, si definiscono le somme parziali come
P
x
,
ne
segue
che limm Sm = S.
Sm = m
n=1 n
Dato che Sm è la successione delle somme parziali di una serie a termini
non negativi, segue anche che (Sm ) è crescente quindi, dato che ha come
limite il tuo estremo superiore, Sm 6 S ∀m ∈ N.
Facciamo
ora un riordinamento ∀α : N → N biunivoca, consideriamo la
P
serie Pn xα(n) e definiamo la sua successione delle somme parziali, ponendo
Tm = m
n=1 xα(n) .
Vogliamo dimostrare che anche Tm converge al numero S.
∀m ∈ N ∃n̄ ∈ {1, . . . , m} : α(n̄) = max{α(1), . . . , α(m)}
si ha allora
Sα(n̄) > Sα(n)
∀n ∈ {1, . . . , m}
quando si trasformano gli indici 1, 2, . . . , m in α(1), . . . , α(m) non è più detto
che il più grande sia α(m), in generale il più grande è α(n̄).
11
Tutti i termini compaiono una volta significa che α deve essere suriettiva, mentre tutti
i termini compaiono una sola volta significa che α deve essere iniettiva
80
Sapendo che ∀n ∈ {1, . . . , m} α(n) 6 α(n̄), Tm è la somma di certi numeri
positivi i cui indici stanno fra 1 e α(n̄), aggiungendo tutti gli altri la somma
non può diminuire, può solo crescere, quindi
Tm 6
α(n̄)
X
xi = Sα(n̄) 6 S
i=1
l’ultima maggiorazione si ha perchè tutte le somme parziali Sm 6 S, quindi
si è trovato che Tm 6 S ∀m ∈ N.
Tm è la successione delle somme parziali di una serie a termini non negativi, pertanto si ha che (Tm ) è una successione crescente, limitata superiormente da S, pertanto converge
lim Tm = T 6 S
n
Con questo si è trovato che
X
xα(n) = T 6 S
n
si vuole dimostrare che T = S, bisogna provare la diseguaglianza contraria.
Si sfrutta il fatto che la funzione α è biunivoca, si deriva la funzione α−1
α−1 : N → N biunivoca
Si considera ora il riordinamento della serie
funzione biunivoca
X
X
xα−1 (α(n)) =
xn = S 6 T
n
P
n
xα(n) definito da questa
n
Ragionando come prima si dimostra che questa serie riordinata converge, la
sua somma è S. Abbiamo provato che quando si fa un riordinamento di
una serie a termini positivi convergente la nuova serie è convergente e la
somma della nuova serie riordinata è minore o uguale della somma della serie
originaria, quindi S 6 T . Siccome si può fare il riordinamento inverso si è
ottenuta la diseguaglianza contraria.
Dalle due
P diseguaglianze deduciamo che S = T , ovvero che la serie
riordinata n xα(n)P= S.
Nel caso in cui
P n xn = +∞ è facile dimostrare, in modo analogo al caso
precedente, che n xα(n) = +∞.
Conseguenza diretta, del fatto che la proprietà commutativa è legata al
segno dei termini, è il seguente teorema.
81
P
Teorema P
2.12. Sia n xn assolutamente convergente.
Allora n xn ha la proprietà commutativa.
Dimostrazione. Per ipotesi la serie
X
|xn |
(2.42)
n
è convergente. Prendiamo
un suo riordinamento, ∀α : N → N biunivoca,
P
consideriamo la serie n xα(n) . Questa è una serie generalmente a termini di
segno variabile, si considera allora la serie dei valori assoluti
X
|xα(n) |
n
che ovviamente è un riordinamento della (2.42).
Visto
P che la serie (2.42) è a termini non negativi, per la ProposizioP
ne 2.5 n |xα(n) | è convergente, questo per definizione
significa che n xα(n)
P
è assolutamente convergente, in particolare n xα(n) è convergente.
Il carattere della serie riordinata è stato quindi determinato, ora bisogna
valutarne la somma, perchè la proprietà commutativa richiede che abbia la
stessa somma.
Si definisco altre due serie ausiliarie, poniamo ∀n ∈ N
|xn | + xn
2
|xn | − xn
x−
n =
2
x+
n =
parte positiva di xn
parte negativa di xn
si osservi che la prima è pari a xn quando xn è positivo mentre quando è
negativo o nullo è pari a 0, la seconda è pari a −xn quando xn è negativo
mentre quando è positivo o nullo è pari a 0, questo spiega i nomi.
Osserviamo inoltre che ∀n ∈ N
−
x+
n + xn = |xn |
−
x+
n − xn = xn
−
x+
n , xn > 0
Consideriamo allora
X
x+
n
n
questa è una serie a termini positivi, si ha che
x+
n 6 |xn |
82
P
sappiamo che n |xn | convergente, allora per il teorema del confronto si ha
che
X
+
x+
(2.43)
n = S
n
In maniera analoga si dimostra che
X
−
x−
n = S
(2.44)
n
Sappiamo che sommando e sottraendo le serie convergenti si ottengono
ancora serie convergenti, le cui somme sono ottenute sommando e sottraendo
quelle delle serie originarie, quindi abbiamo che
X
|xn | = S + + S −
n
X
n
xn = S + − S −
Riprendiamo in considerazione α, e si osservi che applicando il riordinamento alla serie (2.43) si ha una serie convergente e per la Definizione 2.7 ha
somma uguale S +
X
+
x+
α(n) = S
n
analogamente si ha
X
−
x−
α(n) = S
n
Ne segue che
X
X
+
−
xα(n) =
xα(n) − xα(n) = S + − S −
n
n
Abbiamo provato che la serie riordinata non solo converge, ma che ha la
stessa somma della serie di termine generale xn .
La relazione tra convergenza assoluta e proprietà commutativa è estremamente stretta, come risulta dal seguente teorema.
83
P
Teorema 2.13 (di Riemann-Dini). Sia n xn una serie convergente e non
assolutamente convergente
Allora

P

:
(1) ∀S ∈ R ∃α : N → N biunivoca
n xα(n) = S
P
(2) ∃α : N → N biunivoca :
xα(n) diverge

Pn

(3) ∃α : N → N biunivoca :
n xα(n) indeterminata
Cioè data una serie che converge, ma non converge assolutamente, per
esempio una serie a termini di segno variabile, si può riordinare in modo da
ottenere quasi tutti i risultati possibili.
Questo indica che la convergenza semplice per una serie è una condizione
precaria, fragile; cioè il fatto che una somma di infiniti numeri si stabilizzi
intorno ad un risultato, se non c’è la convergenza assoluta, questo risultato
può essere stravolto, semplicemente cambiando l’ordine degli addendi. Questo rende l’idea di una differenza profonda tra le somme finite e le somme
infinite.
Il seguente è un esempio di serie indeterminata che non ha la proprietà
commutativa.
P
Esempio 2.34. n (−1)n indeterminata
Se avesse la proprietà commutativa ogni suo riordinamente darebbe una
serie indeterminata, vediamo invece di fare un riordinamento divergente.
Bisogna definire una funzione α : N → N biunivoca, non si da una
definizione esplicita, ma secondo lo schema seguente
1
2
3
4
5
6
7
8
α
−→ 1
α
−→ 3
α
−→ 5
α
−→ 2
α
−→ 7
α
−→ 9
α
−→ 11
α
−→ 4
La funzione divide i numeri interi in blocchi di 4, al primo numero associa il primo numero dispari disponibile, al secondo il primo numero dispari
disponibile, al terzo il primo numero dispari disponibile, mentre al quarto
numero associa il primo numero pari disponibile.
La funzione α(n) è una funzione biunivoca, è iniettiva perchè ogni volta
associa il primo pari o dispari disponibile quindi non c’è modo che si ripeta,
84
la suriettività è garantita perchè il codominio della funzione N è divisa in
pari e dispari, presi tutti in ordine.
Vediamo il funzionamento del riordinamento indotto da questa funzione.
X
(−1)α(n)
n
ogni volta che si sommano quattro termini si scende di 1 per tre volte e si
risale di 1 una volta sola.
Le somme parziali saranno
Tm =
m
X
(−1)α(n)
n=1
ogni volta che si sommano quattro termini si somma −2
T4k+4 = T4k − 2
questa successione non è monotona, ma con questo andamento si può stabilire
che
∀m ∈ N Tm 6 −
m
2
dimostrabile per induzione, per il teorema del confronto sulle successioni ne
segue che
lim Tm = −∞
m
ciò significa che
X
(−1)α(n) = −∞
n
P
Si è data l’idea che la serie n (−1)α(n) è negativamente divergente.
Se si fosse definito un riordinamento che ogni quattro termini ne dava tre
pari e uno dispari, la serie riordinata sarebbe stata positivamente divergente.
Questo esempio dimostra che una serie indeterminata in generale non
gode della proprietà commutativa.
Il teorema di Riemann-Dini dice molto di più: da una serie convergente,
ma non assolutamente convergente si possono costruire dei riordinamenti con
quasi tutti i caratteri possibili.
85
2.5
Esempi riepilogativi
Esempio 2.35 (Frazione generatrice di un numero periodico). I numeri periodici sono numeri razionali, quindi si possono esprimere sottoforma di frazione. Esiste una formula generale che dato un numero periodico fornisce
la frazione generatrice. Per dimostrare questa formula si adopera la serie
geometrica.
Si adotta la seguente notazione
α = a0 , a 1 . . . , ak b 1 . . . b p
le parentesi quadre in questo esempio significano che la stringa fra parentesi
quadre è la scrittura decimale del numero, per esempio [abc] = a·100+b·10+c.
Questo è un numero in cui
k ∈ N ∪ {0}, p ∈ N
ai , bj ∈ {0, 1, . . . , 9} ∀i ∈ {0, . . . , k}, j ∈ {1, . . . , p}
dove k è il numero di cifre di antiperiodo e p di cifre di periodo.
Il numero α sarà la frazione
α=
[a0 , a1 . . . , ak b1 . . . bp ] − [a0 a1 . . . ak ]
. . 0}]
[9| .{z
. . 9} |0 .{z
p
k
Questa formula si dimostra con le serie. Un numero decimale illimitato si
può ottenere per approssimazione considerando il numero decimale limitato
che ha tutte le sue cifre decimali fino ad un certo posto.Se si aggiunge un’altra
cifra decimale il nuovo numero sarà più vicino al numero che si deve ottenere,
e via di seguito in un procedimento di approssimazione.
Lo stesso vale se, invece di aggiungere le cifre ad una ad una, si ripete il
periodo. Simbolicamente questo vuol dire, ∀m ∈ N si pone
αm = [a0 , a1 . . . ak b1 . . . bp b1 . . . bp . . . b1 . . . bp ]
| {z } | {z } | {z }
1
2
m
questo è un numero decimale limitato, si ha che
lim αm = α
m
che si dimostra con
. . 0} b1 . . . bp ] 6
|α − αm | = [0, 0| .{z
. . 0} |0 .{z
k
mp
86
1
10k+mp
questo numero, che è un numero decimale con k + mp zeri prima della prima
cifra non nulla, si può maggiorare per quella quantità.
Quando m → ∞ la frazione tende a zero, quindi per il teorema del
confronto si ha che
lim |α − αm | = 0
m
Il vantaggio di passare ad αm è che sono numeri decimali limitati e si
possono esprimere facilmente sottoforma di frazione, in particolare di frazione
in cui il denominatore è una potenza di 10.
Definiamo la seguente notazione per snellire i conti. Siano
A = [a0 a1 . . . ak ] =
k
X
ai 10k−i
i=0
B = [b1 . . . bp ] =
p
X
bj 10p−j
j=1
Allora αm può essere riscritta come
B
B
B
A
+ k+p + k+2p + · · · + + k+mp =
k
10
10
10
10
n
m m
X
X
A
A
B
1
B
= k+
= k+ k
10
10k+np
10
10 n=1 10p
n=1
αm =
B
B
1
1 n
B
.
L’ultima trasformazione
si
ha
perchè
p
k+np = 10k · 10np = 10k
10
10
Pm
1 n
Si noti che n=1 10p è una somma parziale di posto m della serie geometrica di ragione 101p , serie che sappiamo converge, perchè la serie geometrica
converge quando la ragione è in valore assoluto minore di 1. Di questa serie
si conosce anche il valore della somma
n X
n
∞ ∞ X
1 − 1 + 101p
1
1
1
1
= p
=
−1 =
1 −1 =
1
p
p
10
10
10 − 1
1 − 10p
1 − 10p
n=1
n=0
Le somme parziali di una serie convergente costituiscono una successione
convergente il cui limite è la somma della serie, ovvero che
n X
n
m ∞ X
1
1
1
=
=
lim
m
10p
10p
10p − 1
n=1
n=1
A(10p − 1) + B
B
1
(A10p + B) − A
A
=
+
·
=
=
m
10k 10k 10p − 1
(10p − 1)10k
(10p − 1)10k
[a0 a1 . . . ak b1 . . . bp ] − [a0 a1 . . . ak ]
=
. . 0}]
[9| .{z
. . 9} |0 .{z
α = lim αm =
p
k
87
Si è ottenuto allora, attraverso la formula che da la somma della serie
geometrica, una frazione con un numero intero al numeratore e un numero
intero al denominatore. Questo dimostra che i numeri decimali periodici
sono numeri razionali, inoltre da un modo concreto per scrivere la frazione
generatrice.
Esempio 2.36. 0, 03̄
0, 03̄ =
3−0
1
=
90
30
0, 9̄ = 1 non per approssimazione, ma lo è esattamente, infatti
9−0
=1
9
P
Esempio 2.37. ∞
n=1
0, 9̄ =
1
√
n n
É una serie a termini positivi, quindi o converge o diverge a +∞. La
studiamo con il criterio del rapporto
√
√
n n
1
1
xn+1
√
√
xn = √
n n=
→1
=
xn
n n
(n + 1) n + 1
(n + 1) n + 1
caso indeterminato del criterio del rapporto
Proviamo a studiarla con la serie armonica generalizzata
(
∞
X
+∞
a61
1
=
a
n
convergente a > 1
n=1
lo posso applicare perchè:
∞
X
n=1
∞
X 1
1
√ =
n n n=1 n 32
3
2
> 1, quindi la serie converge.
P
Esempio 2.38. n n− log n
É una serie a termini positivi, perchè dato che n è positivo elevato a
qualunque cosa darà sempre un numero positivo.
quindi a =
xn = n− log n > 0
88
2
xn = elog xn = elog n log n = e−[log n] → 0
inoltre è facile dimostrare che
xn > xn+1
∀n ∈ N
ProviamoPad applicare il criterio di condensazione, consideriamo la serie
condensata n 2n x2n
n
2n x2n = 2n (2n )− log 2 =
2n
2n
2
=
= 2n−n log 2 → 0
n
n
log
2
nn
log
2
(2 )
2
quando n → ∞ l’esponente tende a −∞, perciò tende a 0. Pertanto questa
serie condensata potrebbe anche convergere.
La proviamo con il criterio del confronto. Consideriamo la serie
X 1
convergente
2n
n
consideriamo il termine generico della serie
2n x2n
1
2n
2
=
2n−n
log 2
1
2n
2
= 2n 2n−n
log 2
2
= 22n−n
log 2
−
→0
n
il risultato del limite si ha perchè limn (2n − n2 log 2) = −∞. In particolare
questo significa che
∃ν ∈ N : ∀n > ν
2n x2n
1
2n
<1
⇒
2n x2n <
1
2n
Ora si applica il teorema del confronto
X 1
convergente ⇒
2n
n
X
n
2n x2n convergente ⇒
X
xn convergente
n
P
1
Esempio 2.39. ∞
n=2 log n! convergente
Per n = 1 si avrebbe il denominatore nullo. Questa è una serie a termini
positivi.
xn =
1
>0
log n!
si dimostra anche che xn → 0, quindi la serie potrebbe convergere.
89
Applichiamo il criterio del rapporto.
log n!
log n!
xn+1
=
=
=
xn
log((n + 1)!)
log(n + 1) + log n!
1
log(n+1)
log n!
+1
→ 1 (2.45)
tende a 1 perchè si ha che
lim
n
log(n + 1)
=0
log n!
Quest’ultimo limite si può cosı̀ dimostrare:
log n 1 + n1
log 1 + n1 + log n n
log(n + 1)
=
=
· =
log n!
log n!
log n!
n
1 n
1
log 1 + n
n log 1 + n + n log n
log n
=
+
=
n log n!
n log n!
log n!
dove il primo addendo tende a zero, dato che il numeratore tende ad e ed il
denominatore tende a +∞, per quanto riguarda il secondo addendo si sa che
n!
→ +∞
2n
⇒ ∃ν ∈ N : ∀n > ν
n! > 2n
⇒
log n! > log 2n = n log 2
da ciò ne segue che
log n
1
log n
log n
<
=
·
→0
log n!
n log 2
log 2
n
questo si ha per il seguente limite notevole noto dalla teoria delle successioni
log n
→0
n
Dopo aver provato che
xn+1
→1
xn
se ne deduce che il criterio del rapporto non funziona. Si adopera allora un
criterio più potente, il Criterio di Raabe.
Si consideri la seguente successione, nella quale si applica la (2.45)
n log(n + 1)
log(n + 1)
xn
+1−1 =
=
−1 =n
n
xn+1
log n!
log n!
n
n log 1 + n1 + n log n
log 1 + n1
n log n
=
=
+
→ +∞
log n!
log n!
log n!
90
il primo addendo tende a 0 mentre il secondo addendo tende a +∞ perchè
per i limiti notevoli sulle successioni si ha
log nn
n log n
=
→ +∞
log n!
log n!
x
Sapendo che n xn+1 − 1 → +∞, per il Criterio di Raabe si ha che
∞
X
n=2
1
convergente
log n!
Esempio 2.40.
P
en −1
n (2e)n
É una serie a termini positivi, inoltre è facile dimostrare che
xn =
en − 1
→0
(2e)n
Dato che
lim
n
en − 1
=1
en
si considera la scrittura
xn
1
2n
= 2n
en − 1
en − 1
=
→ 1 ∈]0, +∞[
2n en
en
P
1 è un limite finito e positivo, inoltre la serie n 21n converge.
Allora si hanno due serie a termini positivi di cui una converge e il rapporto fra il termine generico della prima e il termine generico della seconda
ha come limite un numero positivo finito. Per il criterio dell’ordine di infinitesimo allora la serie in esame ha lo stesso carattere di quest’ultima, quindi
converge.
2
P Esempio 2.41. n 1 − cos n1 3
2
1 3
xn = 1 − cos
→0
n
Questa è una serie che si può studiare ricordando il seguente limite notevole. Se (yn ) successione reale, yn > 0 ∀n ∈ N, yn → 0 allora
lim
n
1 − cos yn
1
=
yn
2
91
1
,
n
La serie ricorda il numeratore di questa frazione, dove yn è la successione
a termini positivi che tende a zero.
Consideriamo la serie
X 1
2 = +∞
3
n
n
questa è una serie armonica generalizzata.
xn
1
=
2
n3
1 − cos n1
1
n
23
32
1
∈]0, +∞[
−
→
n
2
2
Dato che 12 3 è un numero positivo e finito, per lo stesso criterio di prima
la serie in esame ha lo stesso carattere di quest’ultima serie, quindi diverge
positivamente.
P
Esempio 2.42. n 2n sin 41n convergente
Ricordiamo il seguente limite notevole. Se yn → 0+ Allora sinynyn → 1.
Riscriviamo xn
1
1
1
n
n
xn = 2 sin n = n 4 sin n
4
2
4
ponendo xn = 41n si ha che per il limite notevole 4n sin 41n → 1 e dato
che 21n → 0 allora il termine generale della serie tende a zero, allora la serie
potrebbe convergere. D’altra parte la serie è a termini positivi
xn > 0 ∀n ∈ N
Applichiamo il criterio della radice
s s √
1
1
1
1n n
1
n
n
n
4 sin n =
→
xn =
4 sin n −
n
n 2
2
4
2
4
dato che la radice è il seguente carattere
1
4 sin n
4
n
n1
→ 10 = 1
Quindi per il criterio della radice la serie converge.
In maniera analoga si può risolvere il seguente esercizio.
92
Esercizio 2.3.
P
n
4n sin 21n = +∞
P n
con a ∈ R
Esempio 2.43. n a cos(n!a)
n!
Si noti che la serie non è a termini positivi, in nessun caso. Non è neanche
a termini di segno alterno. Quindi non possiamo applicare alcun criterio, ma
torna comoda la nozione di convergenza assoluta.
Studiamo la serie
X
|xn |
(2.46)
n
serie a termini positivi, il cui termine generale è
|a|n | cos(n!a)|
|a|n
|xn | =
6
n!
n!
la maggiorazione è possibile perchè il coseno è sempre compreso fra −1 e 1.
Ricordiamo il seguente risultato
∞
X
bn
n=1
n!
convergente ∀b > 0
quindi in particolare
X |a|n
n
n!
convergente
(2.47)
Si può
P applicare allora il criterio delPconfronto fra la serie (2.46) e la (2.47),
quindi n |xn | convergente, pertanto n xn converge assolutamente ∀a ∈ R.
In particolare si sa che una serie assolutamente convergente è convergente.
P
a2
Esempio 2.44. n n2 (1+n1
2 ) per a ∈ R
Questa è una serie a termini non negativi, perchè a2 > 0.
Per a = 0 si hanno termini nulli, quindi la somma è zero, caso banale.
Per a 6= 0, si può provare ad applicare il criterio del rapporto, ma questo
non funziona bene per le serie con polinomi in n, infatti
xn =
12
n2 (1 + na2 )
xn+1
n2 (1 + na2 )
→1
=
xn
(n + 1)2 (1 + (n + 1)a2 )
93
Quando il criterio del rapporto non funzione è buona cosa usare il criterio
di Raabe, consideriamo la successione
(n + 1)2 (1 + (n + 1)a2 )
xn
−1 =
−1 =n
n
xn+1
n2 (1 + na2 )
(n + 12 )(1 + (n + 1)a2 ) − n2 (1 + na2 )
→3>1
=
n(1 + na2 )
pertanto per criterio di Raabe la serie converge ∀a ∈ R
P √
Esempio 2.45. Sia a ∈ R n n n a2n
Si dimostrerà che converge se |a| < 1, diverge a +∞ se |a| > 1.
Scartando i casi banali si suppone che a 6= 0. Questa è una serie a termini
positivi.
Distinguiamo diversi casi
1. Se |a| < 1 è una serie a termini positivi, si applica direttamente il
criterio della radice
b = elog b
√
n
√
n1
√
log
n
√1
= n n a2 = a2 n n = a2 e
xn = n n a2n
„
n
«
√1
n
Si sa il seguente limite notevole, ∀α > 0
log n
→0
nα
quindi in a2 e
a2 e
log
√ n
n
log
√ n
n
l’esponente tende a zero, allora si ha
→ a2
Allora si è provato che
√
n
x n → a2 < 1
quindi per il criterio della radice si ha la convergenza.
2. Se |a| > 1, applicando lo stesso ragionamento si ottiene
√
n
x n → a2 > 1
quindi si ha divergenza.
94
= a2 e
√1
n
log n
=
3. Se a = ±1 il criterio della radice non si può applicare, perchè si ricade
√
nel caso indeterminato, in cui n xn → 1. Allora si considera
X √
n n = +∞
n
il quale deve essere per forza√ divergente perchè è una serie aP
termini
n
> n definitivamente, quindi
positivi e si dimostra che n
nn =
+∞. Usando questa diseguaglianza allora per il criterio del confronto
si ricava la divergenza.
P n2 −n
Esempio 2.46. n a 2n con a > 0
É una serie a termini positivi.
1. Se a = 1 è un caso noto, perchè si ha
P
1
n 2n
= +∞, una serie armonica
2. Se a < 1 si applica il criterio del rapporto12 .
2
2
2n
an +2n+1−n−1
a(n+1) −(n+1)
n
xn+1
· n2 −n =
·
=
=
xn
2(n + 1)
n+1
a
an2 −n
2
an +n
n
n 2n
· n2 −n =
a →0
=
n+1 a
n+1
questo risultato si ha perchè
n
n+1
Quindi la serie converge.
→ 1 e a2 n → 0.
3. Se a > 1 si procede alla stessa maniera.
xn+1
n 2n
=
a → +∞
xn
n+1
P
Quindi n xn = +∞
si noti che in generale quando una serie si presenta con un parametro non
è detto che il comportamento sia lo stesso per tutti i valori del parametro.
Non è neanche detto, come in questo caso, si veda subito qual’è il numero
critico dal quale dipende il cambiamento del carattere della serie. La cosa da
fare è vedere per quali valori del parametro la serie in questione è a termini
positivi, studiarli con i criteri noti per le serie a termini positivi; per gli altri
si potranno adoperare o il Criterio di Leibniz o la convergenza assoluta.
Si studia ora il caso in cui a < 0
12
Si provi anche con il criterio della radice
95
1. Se a ∈] − 1, 0[ si sa che
2
|xn | =
|a|n −n
2n
e dato che |a| < 1 si ha
assolutamente.
P
n
|xn | convergente, quindi
P
n
xn converge
2. Se a = −1
X (−1)n2 −n
n
2n
Si osservi che, per n ∈ N, se n è pari il suo quadrato è pari, se n è
dispari il suo quadrato è dispari, questo significa che
∀n ∈ N n2 − n pari
2 −n
(−1)n
⇒
=1
quindi
X
xn =
n
X 1
= +∞
2n
n
3. Se a < −1 si ha
2
2
2 −n
(−1)n −n |a|n
an −n
=
xn =
2n
2n
2
|a|n −n
=
2n
questo si ha osservando che a = (−1)|a|.
Questa serie è anch’essaPa termini positivi, quindi ricadiamo nel caso
((3) per a > 0), quindi n xn = +∞
In definitiva, per lo studio completo della serie, se ne deduce che
(
converge
se |a| < 1
a∈R
diverge a + ∞ se |a| > 1
96
Capitolo 3
Integrazione delle funzioni reali
di una variabile reale
3.1
Integrali indefiniti delle funzioni di una
variabile
Definizione 3.1 (Primitiva). Siano:
f : (a, b) → R
F : (a, b) → R
se ∃F ′ (x) = f (x) ∀x ∈ (a, b) F si dice primitiva di f in (a, b).
Si parla di primitive di una funzione in un intervallo, e non in un punto
Teorema 3.1 (sulle primitive). Se F è primitiva di f allora tutte e sole le
primitive di f sono le funzioni F (x) + c, c ∈ R
Dimostrazione. Se F ′ (x) = f (x), allora ovviamente D(F (x) + c) = f (x).
Viceversa, sia G un’altra primitiva, devo dimostrare che G è del tipo F (x)+c
in tutto l’intervallo (a, b). Basta dimostrare che la differenza è costante, cioè
che ha la derivata nulla. Ciò segue dal fatto che:
D(G(x) − F (x)) = f (x) − f (x) = 0 ∀x ∈ (a, b)
Esempio 3.1 (Funzione che non ammette primitive).
(
1
x>0
f (x) =
−1 x < 0
97
y
x
Figura 3.1: Esempio di funzione che non ammette primitiva
Questa è la funzione segno prolungata all’origine.
Consideriamo (a, b) =] − ∞, +∞[. Per assurdo F sia primitiva di f in R,
quindi:
(
1
x>0
F ′ (x) =
−1 x < 0
In [0 + ∞[ ne segue che F (x) differisce per una costante da x. In ] − ∞, 0[
analogamente differisce per una costante da −x.
(
x+c
x>0
F (x) =
−x + k x < 0
ma F è primitiva di f in tutto R ⇒ è derivabile ⇒ è continua.
Per la continuità in 0 si ha allora:
lim F (x) = lim+ F (x)
x→0−
x→0
⇐⇒
k=c
Dunque:
(
x+c
x>0
F (x) =
= |x| + c ∀x ∈ R
−x + c x < 0
Ne segue che |x| è derivabile in tutto R, il quale è assurdo
Definizione 3.2 (Integrale indefinito). Sia f : (a, b) → R.
Si definisce integrale indefinito di f l’insieme di tutte le primitive di f . Tale
98
insieme può essere vuoto o formato da infiniti elementi. Si denota con il
simbolo:
Z
f (x) dx
(3.1)
La funzione f viene detta funzione integranda. Da notare che l’integrale
indefinito
R è un insieme non un numero, per cui va definito e non calcolato.
Se f (x)dx 6= ∅ e se F è una sua primitiva si può scrivere:
Z
f (x) dx = F (x) + c
Esempio 3.2.
R
cos x dx = sin x + c
Una condizione sufficiente per dire che una funzione ammette primitive è
la continuità.
Le primitive non sempre si possono esprimere con funzioni elementari,
ma a volte con funzioni speciali. Per funzioni elementari si intendono quelle
funzioni per le quali sappiamo scrivere la legge di definizione a partire dalle
operazioni di somma e prodotto.
Simmetricamente alle formule di derivazione delle derivate, avremo degli integrali indefiniti immediati, che derivano direttamente dalle formule di
derivazione. Simmetricamente alle regole di derivazione avremo i metodi di
integrazione.
3.1.1
Proprietà dell’integrale indefinito
Proprietà 3.1 (di Omogeneità).
Z
Z
kf (x) dx = k f (x) dx
se k 6= 0
(3.2)
Moltiplicare per k un insieme di funzioni indica l’insieme di tutte le
funzioni che si ottengono moltiplicando per k tutte le primitive di f .
Se f ha primitive le ha anche kf .
Dimostrazione. Se prendiamo un elemento del primo membro
G(x) con:
R
G(x)
G(x) ∈ kf (x) dx ⇒ G′ (x) = kf (x). Allora G(x) = k k
e la derivata
G(x)
k
è f (x) ⇒ G ∈ secondo membro.
Viceversa dobbiamo far vedere che anche un elemento del secondo membro
è elemento del primo.
R
Sia G(x) ∈ k f (x) dx ⇒ G(x) = kF (x) con F primitiva di f .
G′ (x) = kF ′ (x) = kf (x) ⇒ G(x) ∈ primo membro
di
99
Per k = 0 questa uguaglianza
insiemistica
non è vera.
R
R
Al primo membro si ha 0f (x) dx = 0 dx che è uguale all’insieme delle
funzioni costanti.
D ∅⇒∅
R
Al secondo membro si ha 0 f (x) dx = 0
F (x) + c ⇒ 0
Dove la seconda è la funzione identicamente nulla
Quindi non si ha l’uguaglianza insiemistica
Proprietà 3.2 (di Distributività). Se f , g sono dotate di primitive
Allora
Z
Z
Z
(f (x) + g(x)) dx = f (x) dx + g(x) dx
(3.3)
Al primo membro si ha l’insieme delle primitive di f (x)+g(x). Al secondo
membro si ha la somma di due insiemi di funzioni, cioè tutte le funzioni
somma di una primitiva di f e di una primitiva di g.
Dimostrazione. Sia H ∈ primo membro; e sia F una primitiva di f . Allora
H = F + (H − F ) e H − F è primitiva di G ⇒ H ∈ secondo membro.
Se H ∈ secondo membro allora H ∈ primo membro ovviamente.
Esempio 3.3.
Z
Z
Z
(sin x + cos x) dx = sin x dx + cos x dx = − cos x + c + sin x + k
Si noti che una costante si può omettere.
La proprietà di distributività si può scrivere più semplicemente nella
seguente forma:
Siano f, g dotate di primitiva. F primitiva di f .
Z
Z
(f (x) + g(x)) dx = F (x) + g(x) dx
Il che vuol dire che la proprietà di distributività vale se almeno una delle
funzioni ha primitive.
Esempio 3.4.
Z sin x +
2x + 1
2
x − 3x + 4
dx = − cos x +
100
Z
x2
2x + 1
dx
− 3x + 4
Osserviamo che non c’è l’implicazione: la funzione f (x) + g(x) ha primitive se e solo se ce l’hanno sia f che g.
Esempio 3.5. Esempio di due funzioni entrambe non dotate di primitive la
cui somma ha primitive.
Sia f non dotata di primitive, prendo g = −f che anch’essa non ha
primitive.
f + g = 0 che ha primitive.
3.1.2
Metodo di integrazione per parti
La proprietà della distributività l’abbiamo desunta dalla formula della derivazione della somma, dalla formula della derivazione del prodotto discende
il metodi di integrazione per parti.
Teorema 3.2 (di integrazione per parti). Siano f , g derivabili.
Z
Z
′
f (x)g(x) dx = f (x)g(x) − f (x)g ′ (x) dx
(3.4)
f ′ (x) si dirà fattore differenziale, mantre g(x) si dirà fattore finito.
Linea dimostrativa.
f ′ (x)g(x) = (f (x)g ′ (x) + f ′ (x)g(x)) − f (x)g ′ (x) = D(f (x)g(x)) − f (x)g ′ (x)
Z
Z
′
⇒
f (x)g(x) dx = f (x)g(x) − f (x)g ′ (x) dx
Si noti che per l’ultimo passaggio si è applicata la proprietà di distributività.
Teorema 3.3. Supponiamo che:
Z
Z
f (x) dx = g(x) + k f (x) dx
Se k 6= 1, allora:
Z
1
g(x) + c
(3.5)
f (x) dx =
1−k
R
Esempio 3.6. ex cos x dx
Z
Z
Z
x
x
x
x
x
e cos x dx = e cos x + e sin x dx = e cos x + e sin x − ex cos x dx
Applicando il precedente teorema si ha:
Z
1
ex cos x dx = (ex cos x + ex sin x) + c
2
101
3.1.3
Metodo di integrazione per ricorrenza
La funzione integranda dipende da n ∈ N e si sa risolvere il caso n = 1 e
ricondurre il caso n al caso n − 1
3.1.4
Metodo di integrazione per sostituzione
Si basa sulla formula della derivata della funzione composta (A.16).
Teorema 3.4 (Prima formula di integrazione per sostituzione). Sia f dotata
di primitive, ϕ derivabile a valori nel dominio di f
Z
Z
′
f (ϕ(x))ϕ (x) dx =
f (t) dt
(3.6)
t=ϕ(x)
Questa espressione significa che tutte e sole le primitive della funzione
assegnata sono le funzioni che si ottengono componendo le primitive di f con
la funzione ϕ. Quindi il secondo membro è l’insieme delle funzioni composte
mediante le primitive di f e la funzione ϕ
Dimostrazione. Sia F primitiva di f
D(F (ϕ(x))) = f (ϕ(x))ϕ′ (x)
Entrambi i membri sono uguali a F (ϕ(x)) + c
Esempio 3.7.
Z
Z
Z
1
1
1
4 cos 4x dx =
cos t dt
= sin 4x + c
cos 4x dx =
4
4
4
t=4x
Dove abbiamo considerato f (t) = cos t, ϕ(x) = 4x
102
3.1.5
Z
Z
Z
Z
Z
Z
Z
Z
Z
Z
Z
Z
Z
Z
3.1.6
Integrali indefiniti immediati
ex dx = ex + c
(3.7)
ax
+c
a 6= 1
log a
xα+1
+c
α 6= −1
xα dx =
α+1
1
dx = log |x| + c
x
f ′ (x)
dx = log |f (x)| + c
f (x)
eαx
αx
e dx =
+c
α
cos αx
sin αx dx = −
+c
α
sin αx
+c
cos αx dx =
α
dx
= tan x + c
cos2 x
1
dx = arctan x + c
1 + x2
1
√
dx = arcsin x + c = − arccos x + c
1 − x2
ax dx =
(3.8)
(3.9)
(3.10)
(3.11)
(3.12)
(3.13)
(3.14)
(3.15)
(3.16)
(3.17)
cosh x dx = sinh x + c
(3.18)
sinh x dx = cosh x + c
(3.19)
1
dx = tanh x + c
cosh2 x
(3.20)
Integrali dei polinomi trigonometrici
I polinomi trigonometrici sono tutte quelle funzioni in cui figurano esclusivamente seni coseni, le loro potenze e le operazioni fra loro.
103
Primo tipo
Studiamo gli integrali:
Z
In = cosn x dx
Z
Jn = sinn x dx
(3.21)
(3.22)
Prima vediamo il loro valore per n = 1, n = 2, n = 3.
I1 = sin x + c
Z
Z
1
sin 2x
1 + cos 2x
2
dx == x +
+c
I2 = cos x dx =
2
2
4
Z
Z
Z
I3 = cos3 x dx = cos x(1 − sin2 x) dx = I1 − cos x sin2 x dx =
sin3 x
= I1 −
+c
3
Da notare che I2 si riconduce a I1 e che per il suo calcolo è stata usata la
formula di bisezione del coseno. La I3 è stata risolta con la prima formula di
integrazione per sostituzione (3.6).
J1 = − cos x + c
Z
Z
1 − cos 2x
2
J2 = sin x dx =
dx
2
Z
Z
2
J3 = sin x(1 − cos x) dx = J1 + (− sin x) cos2 x dx
cos3 x
+c
3
La J2 si riconduce a I1 .
Valutiamo ora le potenze maggiori. Determiniamo In per n pari, n = 2k.
k
Z
Z 1 + cos 2x
2
k
dx
In = (cos x) dx =
x
= J1 +
L’esponente più grande che avremo in questo binomio di Newton è k,
quindi siccome k < n e i risultati per n sono noti per induzione si riconduce
a Ik , Ik−1 , . . .
Si ha un risultato analogo per Jn
Se n è dispari, cioè del tipo n = 2k + 1
Z
Z
2
k
2 k
In = cos x(1 − sin x) dx =
(1 − t ) dt
t=sin x
104
Nel caso n dispari In si riconduce all’integrale di un polinomio. Analogamente per Jn
Secondo tipo
Vediamo il caso più complicato in cui la funzione integranda è formata da
una potenza del coseno per una potenza del seno.
Z
cosn x sinm x dx
(3.23)
Si distinguono due casi: n, m entrambi pari, cioè del tipo n = 2k, m = 2h:
k h
Z 1 − cos 2x
1 + cos 2x
dx
I=
2
2
Otteniamo un polinomio trigonometrico in cui gli addendi sono tutti
quanti potenze del coseno, quindi si riconduce a Ip .
Secondo caso almeno uno dispari, ad esempio n = 2k + 1
Z
Z
2k
m
I = cos x cos x sin x dx = cos x(1 − sin2 x)k sinm x dx
Z
2 k m
=
(1 − t ) t dt
t=sin x
Questi sono i polinomi trigonometrici non lineari, cioè in cui figurano le
potenze del seno e del coseno.
Terzo tipo
Ricordiamo le formule di trigonometria in (A.2)
sin(a + b) = sin a cos b + cos a sin b
sin(a − b) = sin a cos b − cos a sin b
sommando membro a membro si ha:
sin(a + b) + sin(a − b) = 2 sin a cos b
1
sin a cos b = (sin(a + b) + sin(a − b))
2
Volendo integrare
Z
sin ax cos bx dx
105
si può utilizzare la formula precedente, quindi si ha:
Z
Z
1
(sin(a + b)x + sin(a − b)x) dx
sin ax cos bx dx =
2
cos(a + b)x cos(a − b)x
1
−
−
+c
=
2
a+b
a−b
Si procede in maniera analogo, applicando le formule di prostaferesi, per
gli integrali:
Z
sin αx sin βx dx
(3.24)
Z
cos αx cos βx dx
(3.25)
3.1.7
Integrali delle funzioni razionali
A(x)
Per funzione razionale si intende il rapporto di due polinomi, del tipo: B(x)
.
Se vogliamo trovare primitive immagineremo di lavorare in un intervallo in
cui la funzione è definita, cioè nell’insieme dei numeri reali che non annullano
il denominatore
Tali integrali si potrebbero risolvere tutti se sapessimo risolvere tutte
le equazioni algebriche (problema di trovare gli zeri di un polinomio). Nel
campo reale non si trova sempre soluzione, mentre nel campo complesso tutti
i polinomi hanno soluzione; se il polinomio è di grado n ci sono esattamente
n numeri complessi che ne sono soluzione.
Il nostro obiettivo è decomporre la funzione razionale nella somma di
tante frazioni in cui il denominatore ha sempre grado uno, al massimo due o
un polinomio di secondo grado elevato ad una grandezza. Questo perchè più
piccolo è il grado del polinomio al denominatore più facile sarà integrarlo.
La decomposizione non è sempre facile perchè è stato dimostrato che
per le equazioni dal quarto grado in poi non è possibile trovare la formula
risolutiva per radicali.
Le prime funzioni razionali che integreremo saranno del tipo:
Z
1
In =
dx
(x − a)n
R dx
= log |x − a| + c
per n = 1 si ha: I1 = x−a
−n+1
per n > 1, per l’integrale indefinito immediato (3.9), si ha: In = (x−a)
−n+1
Consideriamo il caso in cui il numeratore è di primo grado, mentre il denominatore è almeno di secondo, perchè se il numeratore e il denominatore
106
sono più grandi di primo grado si può sempre effettuare la divisione e ricondursi al polinomio di primo grado di una frazione in cui il numeratore è una
costante e il denominatore è di primo grado.
Si voglia determinare questo integrale:
Z
ax + b
dx
(3.26)
2
x + px + q
A meno di mettere in evidenza possiamo sempre supporre che il coefficiente
del termine di secondo grado è uno.
Del polinomio al denominatore, essendo di secondo grado, siamo in grado
di trovare gli zeri; che possono essere due reali, nessuno reale, oppure uno
solo reale. Distinguiamo quindi questi tre casi. Inoltre supporremo che −b/a
non sia uno zero del denominatore, che quindi la frazione sia già ridotta ai
minimi termini.
Sia: △ = p2 − 4q.
Primo caso: △ > 0 quindi il denominatore si potrà scrivere nella forma
2
x + px + q = (x − α)(x − β), essendo α e β le sue soluzioni.
In questo caso si può dimostrare che
∃A, B :
x2
ax + b
A
B
=
+
⇒ I = A log |x − α|+B log |x − β|+c
+ px + q
x−α x−β
Esempio 3.8.
Z
x+6
dx
I=
x2 − 5x + 6
x+6
A
B
(A + B)x − 3A − 2B
=
+
=
x2 − 5x + 6
x−2 x−3
(x − 2)(x − 3)
Bisogna risolvere il seguente sistema
(
(
(
A+B =1
B =1−A
A = −8
⇒
⇒
−3A − 2B = 6
−3A − 2 + 2A = 6
B=9
Quindi l’integrale sarà pari a:
I = −8 log |x − 2| + 9 log |x − 3| + c
Secondo caso: △ = 0 il trinomio è il quadrato di un binomio, quindi del
tipo x2 + px + q = (x − α)2 .
Si può dimostrare che
∃A, B :
A
B
1
ax + b
=
+
⇒
I
=
A
log
|x
−
α|−B
+c
x2 + px + q
x − α (x − α)2
x−α
107
Esempio 3.9.
Z
x+6
dx
I=
x2 − 10x + 25
x2
A
B
x+6
=
+
− 10x + 25
x − 5 (x − 5)2
Bisogna risolvere il seguente sistema
(
(
A=1
A=1
⇒
B = 11
−5A + B = 6
Quindi l’integrale sarà pari a:
I = log |x − 5| −
11
+c
x−5
Terzo caso: △ < 0. Questa volta non abbiamo possibilità di decomporre
la frazione visto che il denominatore non ha radici, quindi dobbiamo agire
come segue.
Dato che al numeratore abbiamo un polinomio di primo grado e al denominatore un polinomio di secondo, visto che la derivata del denominatore sarà
un polinomio di primo grado, può darsi che il numeratore si possa facilmente
trasformare (tramite qualche moltiplicazione o divisione per costante, sottrazione o somma) nella derivata del denominatore, e quindi risolvere facilmente
l’integrale tramite l’integrale indefinito immediato 3.11.
La derivata del denominatore sarà del tipo:
D(x2 + px + q) = 2x + p
allora cerchiamo di ricavare 2x + p al numeratore.
x + ab
2x + 2b
−p
a
a 2x + p + 2b
ax + b
a
a
=
a
=
·
=
·
=
2
2
2
2
x + px + q
x + px + q
2 x + px + q
2
x + px + q
a
2x + p
a 2b
1
= · 2
+
−p
2
2 x + px + q 2 a
x + px + q
Cosı̀ abbiamo ricondotto l’integrale richiesto nella somma di due integrali, di
cui il primo è immediato. L’integrale in definitiva è uguale a:
Z
a 2b
a
dx
2
I = log x + px + q +
−p
(3.27)
2
2
2 a
x + px + q
108
Da notare che non si mette il valore assoluto nel logaritmo perchè il
denominatore è sempre maggiore di zero, dato che △ < 0 il trinomio ha il
segno del primo termine.
In definitiva abbiamo ricondotto il problema nella risoluzione dell’ultimo
integrale, per il quale si applica il seguente metodo.
Metodo del completamento dei quadrati
Z
dx
(3.28)
+ px + q
Si cerca di scrivere il denominatore come la somma di due quadrati, il
quadrato di un binomio più un numero positivo.
Si scrive il denominatore nella forma:
x2
x2 + px + q = (x − c)2 + k 2
questo è sempre possibile.
Esempio 3.10. x2 + x + 3
in sostanza si deve far in modo che il secondo termine, x, sia il doppio
prodotto.
√ !2
2
2
11
11
1
1
+
+
= x+
x2 + x + 3 = x +
2
4
2
2
A questo punto
Z
Z
Z
dx
dx
dy
=
=
x2 + px + q
(x − c)2 + k 2
y 2 + k 2 y=x−c
Z
Z
1
k2
y 2
+
k
1
dy =
k
1
1
y
= arctan + c
k
k
dy
=
2
y + k2
Z
1
k
y 2
+
k
1
=
k
1
Z
dt
2
t +1
=
t= ky
L’ultima sostituzione si è potuta applicare perchè k1 = D ky . Quindi
l’integrale (3.27) è uguale a:
a
a 2b
x−c
1
2
I = log(x + px + q) +
−p
arctan
+ cost
2
2 a
k
k
È importante ricordare che in questo caso l’integrale sarà log + arctan.
109
R
dx
Esempio 3.11. x23x+1
+2x+3
Z
Z
Z
x + 31
2x + 23
3x + 1
3
dx
=
3
dx
=
dx =
x2 + 2x + 3
x2 + 2x + 3
2
x2 + 2x + 3
Z
2x + 2 − 43
3
=
dx =
2
x2 + 2x + 3
Z
Z
dx
2x + 2
3
dx − 2
=
=
2
2
2
x + 2x + 3
x + 2x + 3
Z
3
dx
2
= log(x + 2x + 3) − 2
=
2
(x + 1)2 + 2
Z
1
3
2
= log(x + 2x + 3) − 2 dx =
2 2
2
x+1
√
+1
2
√1
√ Z
3
2
2
dx =
= log(x + 2x + 3) − 2 2
2
x+1
√
+
1
2
√
x+1
3
= log(x2 + 2x + 3) − 2 arctan √ + c
2
2
Si noti che nel quarto rigo il primo integrale è stato risolto dato che
D(x2 + 2x + 3) = 2x + 2, e che per il secondo integrale è stato applicato il
metodo del completamento dei quadrati.
Dunque:
Z
x2
dx
+ px + q
con △ < 0
si riconduce, con il completamento dei quadrati, a un integrale del tipo:
Z
dx
I1 =
k>0
2
x + k2
Vediamo come si determina quest’ultimo tipo di integrale di funzioni
razionali
Z
dx
n∈N
In =
2
(x + k 2 )n
I1 lo sappiamo fare I1 = k1 arctan xk + c gli altri si fanno per ricorrenza, cioè
In+1 si riconduce a In .
Vediamo solo il caso n = 2
Z
dx
I2 =
2
(x + k 2 )2
110
Dobbiamo cercare di ottenere al numeratore x2 + k 2 .
Z
Z 2
1
1
k2
x + k 2 − x2
dx
=
dx =
= 2
k
(x2 + k 2 )2
k2
(x2 + k 2 )2
Z
Z
1
x2 + k 2
−x2
1
dx
+
dx =
= 2
k
(x2 + k 2 )2
k2
(x2 + k 2 )2
1
Semplificando, il primo integrale è I1 . Ricordando che D x2 +k
=
2
si cerca di ricondurre il secondo integrale a questa forma.
Z
1
1
−2x
= 2 I1 + 2
x dx =
2
k
2k
(x + k 2 )2
Z
1
1
1
1
1
x
−
1 dx =
= 2 I1 + 2 · 2
k
2k x + k 2
2k 2
x2 + k 2
1
1
1
1
x − 2 I1
= 2 I1 + 2 · 2
2
k
2k x + k
2k
Z
dx
Esempio 3.12.
2
(x + 9)2
Z
Z
Z
9
9 + x2 − x2
1
1
dx
=
dx
=
dx =
(x2 + 9)2
9
(x2 + 9)2
9
(x2 + 9)2
Z
Z
dx
−2x
1
1
+
x dx =
=
2
2
9
x + 9 18
(x + 9)2
Z
Z
1
dx
1
1
dx
1
=
+
x−
=
2
2
2
9
x + 9 18 x + 9
18
x +9
Z
x
dx
1
=
+
=
2
2
18(x + 9) 18
x +9
1
x
x
+
arctan
+c
=
18(x2 + 9) 54
3
Le funzioni del tipo:
ax + b
1
n
2
(x − a)
(x + px + q)n
−2x
,
(x2 +k2 )2
(3.29)
vengono chiamati fratti semplici
Caso generale
Analizziamo ora il caso generale: una funzione razionale che non si presenta
sotto forma di fratto semplice (3.29)
A(x)
B(x)
(3.30)
111
prima di tutto dobbiamo esaminare il grado del numeratore e del denominatore. Sia m il grado di A e n il grado di B.
Se m > n si ha una funzione razionale fratta non propria
Si esegue la divisione:
A(x) = B(x)Q(x) + R(x)
(3.31)
la cosa importante è che il grado di R sarà minore di n. La funzione allora
si scriverà come:
A(x)
R(x)
= Q(x) +
B(x)
B(x)
(3.32)
che è la somma di un polinomio più una funzione razionale fratta in cui il
grado del numeratore è minore del grado del denominatore. Quindi possiamo
sempre ricondurci al caso in cui m < n, funzione razionale fratta propria.
Si può dimostrare che una funzione razionale fratta propria si può sempre
decomporre nella somma di fratti semplici (3.29), in particolare se α è uno
A1
A2
zero reale di molteplicità s del denominatore da esso nasceranno x−α
+ (x−α)
2+
As
· · · + (x−α)s
Questi fratti semplici vengono fuori dalle soluzioni reali del problema di
trovare le radici di un polinomio. Cioè ogni radice reale fornisce la somma di
tanti fratti semplici quant’è la sua molteplicità.
Z
x+5
Esempio 3.13.
dx
3
2
x (x + x + 1)2 (x2 − 5x + 6)
x+5
=
+ x + 1)2 (x2 − 5x + 6)
C
D
E
Fx + G
Hx + 1
A B
+
+ 2
+ 2
= + 2+ 3+
x x
x
x − 2 x − 3 x + x + 1 (x + x + 1)2
x3 (x2
I primi tre addendi sono il contributo di x3 , i due seguenti di x2 − 5x + 6.
Completare per esercizio
Z
1
Esempio 3.14.
dx
2x
e +1
Z
Z
Z
ex
dt
1
dx =
dx =
e2x + 1
ex (e2x + 1)
t(t2 + 1) t=ex
Decomponiamo in fratti semplici
t(t2
1
A Bt + C
= + 2
+ 1)
t
t +1
112
Cerchiamo le costanti
At2 + A + Bt2 + Ct = 1


A + B = 0
C=0


A=1


B = −1
⇒ C=0


A=1
Risolviamo allora l’integrale
Z
Z
Z
dt
−t
1
1
dt =
+
dt = log |t| − log(t2 + 1) + c
2
2
t(t + 1)
t
t +1
2
Componiamo con ex
I =x−
1
log(e2x + 1) + c
2
Fra le primitive della funzione trovare la primitiva F tale che F (0) = 3
0−
1
log e2x + 1 + c = 3
2
c=3+
1
log 2
2
Abbiamo determinato le primitive di una funzione che ha l’aspetto di
una funzione razionale, ma non lo è perchè al numeratore e al denominatore
abbiamo polinomi composti con ex . Questo che abbiamo già fatto con un
esercizio si chiama metodo di razionalizzazione
3.1.8
I metodo di integrazione per razionalizzazione
L’esempio che abbiamo appena visto è del tipo:
Z
R(ex ) dx
dove R(t) è una funzione razionale
In generale si deve ottenere un fattore ex
Z
Z
Z
R(ex )ex
x
R(e ) dx =
dx =
R1 (t) dt
ex
t=ex
Esercizio 3.1.
Z
2ex + 3
dx
e2x − 1
113
(3.33)
I metodi di razionalizzazione si trovano per esempio anche con le funzioni
trigonometriche
Z
1
dx
Esempio 3.15.
tan x + 1
Ricordiamo che D(tan x) = 1 + tan2 x Quindi la precedente la possiamo
scrivere come:
Z
Z
Z
1 + tan2 x
1 + t2
1
2
dx =
(1 + tan x) dx =
dt
tan x + 1
tan x + 1
t+1
t=tan x
Terminare per esercizio
In generale:
Z
Z
Z
R(tan x)
2
(1 + tan x) dx =
R1 (t) dt
(3.34)
R(tan x) dx =
1 + tan2 x
t=tan x
Z
x
dx
R tan
2
(3.35)
ricordando che D tan x2 =
Z
Z
x
R tan
dx =
2
1
2
1
2
1 + tan2
x
2
Z
R tan x2
1
2 x
1 + tan
dx =
R1 (t)dt
2
1 + tan2 x2 2
t=tan x
2
(3.36)
Ricordando poi che:
2 tan x2
1 + tan2 x2
1 − tan2 x2
cos x =
1 + tan2 x2
(3.37)
sin x =
(3.38)
R
Allora si può integrare R(sin x, cos x) dx riconducendosi appunto ad una
funzione razionale composta con tan x2 .
114
Esempio 3.16.
Z
sin x + 1
dx =
cos x + 2
=
=
Z
2 tan x2
1+tan2 x2
+1
dx =
Z
2 tan x2 + 1 + tan2 x2
1 − tan2 x2 + 2 + 2 tan2
1−tan2 x2
+2
1+tan2 x2
Z
tan2 x2 + 2 tan x2 + 1
dx =
tan2 x2 + 3
Z
tan2 x2 + 2 tan x2 + 1
1
tan2 x2 + 1 tan2 x2 + 3
2
Z
2
=2
t + 2t + 1
dt
(t2 + 1)(t2 + 3)
t=tan
x
2
dx =
1 2x
+ 1 dx =
tan
2
2
x
2
il quale è l’integrale di una funzione razionale
t2 + 2t + 1
At + B Ct + D
= 2
+ 2
2
2
(t + 1)(t + 3)
t +1
t +3
Completare per esercizio.
3.1.9
Secondo teorema di integrazione per sostituzione
Teorema 3.5 (Secondo teorema di integrazione per sostituzione). Siano:
f : (a, b) → R
dotata di primitive
ϕ : (c, d) → (a, b)
su tutto, invertibile e derivabile
ϕ−1 = funzione inversa di ϕ
ϕ−1 : (a, b) → (c, d)
Allora:
Z
f (x) dx =
Z
f (ϕ(t))ϕ (t) dt
′
(3.39)
t=ϕ−1 (x)
Rispetto alla prima, questa formula è più delicata; infatti nella prima la
proposizione è indicata, riusciamo ad isolare il fattore ϕ′ e le ipotesi sono
minime. In questa invece la ϕ si deve trovare di volta in volta, verificare le
ipotesi ed effettuare la sostituzione.
Dimostrazione. Al secondo membro si applica la prima formula di integrazione:
Z
Z
′
f (ϕ(t))ϕ (t) dt =
f (x) dx
x=ϕ(t)
115
Componiamo ora i due membri con t = ϕ−1 (x)
Z
Z
′
f (ϕ(t))ϕ (t) dt
=
f (x) dx
t=ϕ−1 (x)
x=ϕ(ϕ−1 (x))=x
=
Z
f (x) dx
che è la tesi
Questa formula si applica in casi piuttosto standard.
Z
x+1
√
dx
Esempio 3.17.
x+ x−1
√ Questo non è un integrale di una funzione razionale, perchè compare
x − 1. Tale funzione è definita in x > 1 perchè abbia senso la radice,
quindi (a, b) = [1, √
+∞[. In un caso del genere si cerca di costruire la funzione
ϕ, infatti si pone x − 1 = t.
Vediamo qual’è l’intervallo (c, d): intanto t > 0 perchè è una radice
quadrata. Ora dobbiamo costruire la funzione ϕ.
x − 1 = t2 ⇒ x = t2 + 1
ϕ(t) = t2 + 1 t > 0
Controlliamo se effettivamente ϕ(t) è a valori in (a, b).
(c, d) = [0, +∞[ ⇒
t2 + 1 ∈ [1, +∞[ ∀t ∈ [0, +∞[
cosı̀ è verificata l’ipotesi sugli insiemi.
Verifichiamo ora se la ϕ è derivabile ed invertibile:
ϕ′ (t) = 2t > 0
una funzione è sicuramente invertibile se è monotona, ed è monotona se la
derivata è sempre > 0, o 6 0, e si annulla solo in un punto. Infatti ϕ′ (t) > 0
e ϕ′ (t) = 0 ⇐⇒ t = 0 ⇒ ϕ è crescente ⇒ invertibile.
Sono state verificate tutte le ipotesi.
Dobbiamo ora studiare la funzione inversa, che è sempre la funzione da
cui eravamo partiti e volevamo sostituire:
√
ϕ−1 (x) = x − 1
Allora in base alla (3.39):
Z 2
Z
t +1+1
x+1
√
dx =
2t dt √
t2 + 1 + t
x+ x−1
t= x−1
Al secondo membro abbiamo trovato l’integrale di una funzione razionale.
Completare per esercizio
116
3.1.10
II metodo di integrazione per razionalizzazione
L’integrale dell’esercizio precedente è del tipo:
!
r
Z
ax
+
b
n
dx
R x,
cx + d
(3.40)
Cioè l’integrale di una funzione razionale in cui compare sia la x, sia una
radice.
In questo caso si pone:
r
n ax − b
=t
cx − d
se n è dispari t ∈ R, mentre se n è pari t > 0.
Per ottenere la ϕ bisogna risolvere questa equazione secondo la x.
ax − b
= tn
cx − d
⇒
n
n
ax + b = ct x + dt
⇒
dtn − b
x=
a − ctn
Si determina di volta in volta l’intervallo in cui deve variare la t, e si
verificano le ipotesi.
ϕ(t) =
dtn − b
a − ctn
É derivabile:
ndtn−1 (a − ctn ) + nctn−1 (dtn − b)
(a − ctn )2
r
n ax + b
−1
ϕ (x) =
cx + d
Alla fine si integra
!
r
Z
n
Z
dt − b
n ax − b
′
, t ϕ (t) dt
dx =
R
R x,
q
cx + d
a − ctn
t= n ax+b
ϕ′ (t) =
cx−d
Il quale è l’integrale di una funzione razionale
Z √
x − 2 + 3x
Esempio 3.18. I =
dx
x+2
Questa funzione è definita in (a, b) = [2, +∞[
117
(3.41)
La sostituzione che vogliamo ottenere è:
√
x−2=t
con (c, d) = [0, +∞[
x = t2 + 2
ϕ(t) = t2 + 2
ϕ′ (t) = 2t > 0 ⇒
√
ϕ−1 (x) = x − 2
I=
Z
è invertibile
Z
t + 3t2 + 6
3t3 + t2 + 6t
2t dt √
dt √
= 2
= (⋆)
t2 + 4
t2 + 4
t= x−2
t= x−2
Conviene continuare a lavorare nella variabile t a parte
Z
3t3 + t2 + 6t
dt
t2 + 4
Alla fine effettuare la composizione:
(⋆) = . . .
Continuare per esercizio
3.1.11
III metodo di integrazione per razionalizzazione
Altro tipo di integrazione per razionalizzazione
Z
√
R x, ax2 + bx + c dx
con a 6= 0
(3.42)
anche in questo caso si deve effettuare una sostituzione. Si distinguono due
casi: a < 0 e a > 0.
I caso a < 0
La funzione è definita quando il polinomio sotto radice è > 0.
Sicuramente △ > 0, perchè altrimenti il polinomio avrebbe il segno del
primo coefficiente, negativo, quindi sarebbe impossibile.
Il polinomio:
ax2 + bx + c = 0
118
ha per soluzione due numeri distinti α e β, ad esempio α < β, per cui si può
decomporre in:
ax2 + bx + c = a(x − α)(x − β) = −a(x − α)(β − x)
Quindi
√
ax2
+ bx + c =
√
r
−a(x − α)
√
β−x
x−α
−a ha
qsenso perchè −a è positivo, (x − α) è un polinomio,
β−x
vediamo se ha senso x−α
: β − x > 0 per x < β, x − α > 0 per x > α,
siamo in ]α, β[ quindi questa radice ha senso.
L’insieme di definizione è ]α, β[.
Allora l’integrale è diventato:
!
r
Z
Z
√
√
β
−
x
dx
R x, ax2 + bx + c dx = R x, −a(x − α)
x−α
Si noti che
che è del tipo precedente
Z
dx
√
Esempio 3.19.
−x2 + x + 2
dove a < 0 e △ = 9, risolviamo l’equazione
−x2 + x + 2 = 0 ⇒
1±3 2
x=
=
−1
2
x2 − x − 2 = 0
α = −1
β=2
2
−x + x + 2 = −(x2 − x − 2) = −(x − 2)(x + 1) = (x + 1)(2 − x)
Allora:
Z
√
dx
=
2
−x + x + 2
Z
dx
q
(x + 1) 2−x
x+1
(3.43)
ci siamo ricondotti al caso precedente
r
2−x
2−x
2 − t2
=t⇒
= t2 ⇒ 2 − x = t2 x + t2 ⇒ x =
= ϕ(t)
x+1
x+1
1 + t2
119
L’intervallo era ] − 1, 2[, l’ipotesi da verificare, nella seconda formula di
integrazione per sostituzione, è −1 < ϕ(t) < 2:
2 − t2
> −1
1 + t2
2 − t2 > −1 − t2 vera
2 − t2
<2
1 + t2
2 − t2 < 2 + 2t2 vera
basta prendere t > 0.
Calcoliamo la derivata di ϕ(t):
ϕ′ (t) =
−2t(1 + t2 ) − 2t(2 − t2 )
−6t
=
2
2
(1 + t )
(1 + t2 )2
e risolviamo l’integrale (3.43)
"Z
−6t
(1+t2 )2
"Z
#
−6t
(1+t2 )2
3t
1+t2
#
dt
dt
=
=
q
q
+1 t
2−x
2−x
t= x+1
t= x+1
r
Z
−2
2−x
dt
+c
=
−2
arctan
=
q
1 + t2
x+1
t= 2−x
(3.43) =
2−t2
1+t2
x+1
II caso a > 0
√
√
Si pone ax2 + bx + c = a(x + t), si risolve rispetto ad x
ax2 + bx + c = ax2 + 2axt + at2
at2 − x
= ϕ(t)
x=
b − 2at
Valutiamo dove deve variare la t.
Siccome a > 0 ax2 + bx + c è positivo in base al segno di △. Se △ < 0 è
positivo dappertutto, quindi vi è un ampio spazio in cui la t può variare. Se
△ > 0 allora ax2 + bx + c = 0 per due valori di x, α e β; la radice ha senso
per x > β e x < α, a secondo di dove si vuole integrare si determina di volta
in volta l’intervallo in cui deve variare la t; poi si applica la seconda formula
di integrazione per sostituzione.
I vari casi vengono studiati negli esempi seguenti.
120
Z
x
dx
+x+5
In questo caso si ha: a = 1 > 0
△ < 0. Come detto precedentemente
si deve porre:
√
x2 + x + 5 = x + t
x2 + x + 5 = x2 + 2tx + t2
t2 − 5
= ϕ(t)
x=
1 − 2t
Esempio 3.20. I =
√
x2
quindi dobbiamo lavorare in un intervallo che esclude t =
l’intervallo t > 21 .
ϕ′ (t) =
1
,
2
per esempio
2t(1 − 2t) + 2(t2 − 5)
t − 2t2 + t2 − 5
−2(t2 − t + 5)
=
2
=
(1 − 2t)2
(1 − 2t)2
(1 − 2t)2
applichiamo allora il secondo teorema di integrazione per sostituzione:
#
" Z
t2 −5
2
t
−
t
+
5
1−2t
dt
·
(3.44)
I = −2
2
t2 −5
(1
−
2t)
√
+
t
1−2t
t= x2 +x+5−x
dove
t2 −5
1−2t
t2 −5
+
1−2t
t2 − t + 5
=
·
t (1 − 2t)2
t2 −5
1−2t
t2 −5+t−2t2
1−2t
2
=−
·
t −5
(1 − 2t)2
t2 − 5
t2 − t + 5
t2 − t + 5
=
·
=
(1 − 2t)2
−t2 + t − 5 (1 − 2t)2
per cui l’integrale (3.44) diventa:
Z
t2 − 5
I=2
dt √
(1 − 2t)2
t= x2 +x+5−x
che è l’integrale di un funzione razionale fratta non propria.
Z
dx
√
dx
Esempio 3.21. I =
2
x +x−2+x
In questo caso si ha: a > 0 e △ > 0, inoltre x2 + x − 2 = 0 per x = −2
e per x = 1, quindi la funzione integranda è definita in x < −2 e in x > 1;
per x < −2 si potrebbe
√ anche annullare il denominatore e dovremmo anche
risolvere l’equazione x2 + x − 2 + x = 0, allora risolviamo l’integrale per
x > 1 che è una somma di quantità positive e non bisogna porsi il problema.
121
Si pone:
√
x2 + x − 2 = x + t
ricaviamo la x
x2 + x − 2 = x2 + 2tx + t2
t2 + 2
= ϕ(t)
x=
1 − 2t
Vediamo dove far variare t, bisogna far in modo che x > 1
t2 + 2
>1
1 − 2t
t2 + 2 − 1 + 2t
>0
1 − 2t
t2 + 2t + 1
<0
2t − 1
il numeratore è (t + 1)2 che è sempre positivo, quindi deve essere t < 21 ; per
questo valore è verificata l’ipotesi della seconda formula di integrazione per
sostituzione, quindi:
1
(a, b) = ]1, +∞[
(c, d) = −∞,
2
Calcoliamo ora la derivata di ϕ(t):
ϕ′ (t) =
t − 2t2 + t2 + 2
t2 − t − 2
2t(1 − 2t) + 2(t2 + 2)
=
2
=
−2
(1 − 2t)2
(1 − 2t)2
(2t − 1)2
Applichiamo allora il teorema:
"Z
#
t2 −t−2
−2 (2t−1)
2
I=
dt
t2 +2
t2 +2
√
+ t + 1−2t
1−2t
t= x2 +x−2−x
Completare per esercizio.
3.1.12
IV metodo di integrazione per razionalizzazione
L’ultimo tipo è quello in cui ci sono due radici quadrate di polinomio di primo
grado diversi:
Z
√
√
I = R x, ax + b, cx + d dx
(3.45)
122
si prende una delle due, quella che l’insieme di definizione è uguale all’insieme
di definizione della funzione, e si pone uguale a t.
√
b
a
√
d
cx + d definita in x > −
c
ax + b definita in x > −
entrambe saranno definite per x > max(− ab , − dc ). Se − dc > − ab si pone
√
√
cx + d = t, altrimenti
si
pone
ax + b = t
√
Ad esempio cx + d = t, risolviamo rispetto ad x:
cx + d = t2
t2 − d
x=
c
2
Se t > 0 si ha t −d
> − ct quindi effettivamete possiamo prendere t > 0
c
come intervallo in cui far variare e verificare la condizione richiesta dalla
formula.
t2 − d
c
2t
′
ϕ (t) =
ha segno costante ⇒ ϕ è invertibile
c√
ϕ−1 (x) = cx + d
ϕ(t) =
Quindi possiamo procedere con l’integrazione. Considerando che:
ax + b = a
at2 − ad + bc
t2 − d
+b=
c
c
procedo con la sostituzione
"Z
!
#
r
at2 − ad + bc
t2 − d
2t
I=
R
,
,t
dt
c
c
c
√
t= cx+d
che è del tipo precedente, quindi vi è una sostituzione in più.
√
Z
x+ x−1
√
dx
Esempio 3.22. I =
x+ x+1
le due radici sono definite: una per x > 1 e l’altra per x > −1; quindi
la funzione integranda è definita per x > 1, per il quale al denominatore
abbiamo la somma di due quantità positive.
123
√
x−1=t
x = t2 + 1 = ϕ(t)
ϕ′ (t) = 2t
t>0
Possiamo procedere con l’integrale
Z
t2 + 1 + t
√
2t dt √
I=
t2 + 1 + t2 + 2
t= x−1
che si riconduce al caso precedente.
3.1.13
Esercizi riepilogativi
Esercizio 3.2.
Z √
3t2
3t2
−
Z √
x − 2 + 3x
dx
x+2
Z
t + 3t2 + 6
x − 2 + 3x
dx = 2
t dt √
x+2
t2 + 4
t= x−2
t2
6t
12t
−6t
t2
t2
− −6t
t2 + 4
3t + 1
4
−4
Z
t + 3t2 + 6
t dt =
t2 + 4
Z
√
Z
x+ x−1
t2 + t + 1
√
√
t dt √
dx = 2
x+ x+1
t2 + 1 + t2 + 2
t= x−1
Z
Z
−6t − 4
(3t + 1) dt +
dt =
t2 + 4
Z
Z
2t
1
3 2
dt − 4
dt =
= t +t−3
2
2
2
t +4
t +4
1
t
3 2
2
+c
= t + t − 3 log(t + 4) − arctan
2
2
2
√
Z
x+ x−1
√
dx
Esercizio 3.3.
x+ x+1
124
(3.46)
√
t2 + 2 = t + y
t2 + 2 = t2 + 2yt + y 2
2 − y2
= ϕ(y)
t=
2y
−4y 2 − 4 + 2y 2
y2 + 2
ϕ′ (y) =
=
−
4y 2
2y 2
√
2 − y2
y2 + 2
=
t2 + 2 = t + y =
2y + y
2y
Z
2
t +t+1
√
dt =
t2 + 1 + t2 + 2

 2
Z 2−y2 + 2−y2 + 1
2y
2y
2 − y2 y2 + 2 

·
dy 
·
= 2
2y
2y 2
2−y 2
2−y 2
+ 1 + 2y
√
2y
y= t2 +2−t
√
√
√
√
√
t2 + 2 − t = x − 1 + 2 − x − 1 = x + 1 − x − 1
Z
I = −2
F (t) dt √
√
t= x+1− x−1
F (t) =
4+y 4 −4y 2 +4y−2y 3 +4y 2
4y 2
4+y 4 −4y 2 +4y 2 +2y 3 +4y
4y 2
Z
Esercizio 3.4.
Z
x
√
ex2 ex2
√
ex
√
2
x
ex2 − 1
·
y 4 − 2y 3 + 4y + 4 4 − y 4
4 − y4
=
·
4y 3
y 4 + 2y 3 + 4y + 4
4y 3
dx
Z
Z
1
1
2x
1
√
√
dx =
dx =
=
dt
2
2
et et − 1
−1
ex2 ex2 − 1
t=x2
Z
Z
et
dz
1
1
√
√
dt
=
=
2
2
z 2 z − 1 z=ex2
e2t et − 1
t=x2
(3.47)
z−1=y
z = y 2 + 1 = ϕ(y)
125
ϕ′ (y) = 2y
Z
1
2y
(3.47) =
dy √
2
2
(y 2 + 1)2 y
y= ex −1
Z
Z
Z
Z
dy
1 + y2 − y2
1
−y 2
=
dy
=
dy
+
dy =
(y 2 + 1)2
(y 2 + 1)2
1 + y2
(y 2 + 1)2
Z
−2y
1
y dy =
= arctan y +
2
2
(y + 1)2
Z
1
1
1
1
= arctan y + · 2
y−
1 dy =
2
2 y +1
2
y +1
1
y
1
+c
= arctan y + · 2
2
2 y +1
√ 2
p
1
ex − 1
2
+c
I = arctan ex − 1 +
2
ex2
Integrali che si determinano integrando per parte
Funzioni che si integrano per parti immaginando che la funzione sia moltiplicata per 1. Si adopera in tutte quelle funzioni di cui non conosciamo a priori
le primitive, però sappiamo che la sua derivata non è trascendente, ma è al
più una funzione razionale o irrazionale, che siamo in grado di integrare.
Z
Z
Z
1
log x dx = 1 · log x dx = x log x − x dx = x log x − x + c
x
(3.48)
Z
Z
x
dx =
arctan x dx = x arctan x −
2
x +1
1
= x arctan x − log(x2 + 1) + c
2
Z
arcsin x dx
risolvere per esercizio
Per il logaritmo vi è anche una formula di ricorrenza.
Z
In = xn log x dx
Se n = 0 si riconduce all’integrale (3.48), mentre se n > 0, Supponendo di
conoscere In , si determina In+1 :
Z
Z
n+1
In+1 = x
log x dx = (xn log x) x dx
(3.49)
126
se si considera come fattore differenziale xn log x, detta F una sua primitiva:
Z
(3.49) = F (x)x − F (x)1 dx
oppure considerando come fattore differenziale x si ha:
Z
Z
x2 n
n
In+1 = x · x log x dx = x log x − x nxn−1 log x + xn−1 dx =
2
Z
Z
1 n+2
n
log x − n x log x − xn dx
= x
2
R
dove xn log x = In , quindi si procede per ricorrenza.
Ad esempio:
Z
I0 = log x dx = x (log x − 1) + c
Z
Z 2
x 1
x2
x2
x2
I1 = x log x dx =
log x −
· dx =
log x −
+c
2
2 x
2
2
Altro tipo di integrali
Problema di trovare in un intervallo le primitive di una funzione, che in
quell’intervallo cambia la legge di definizione.
Esercizio 3.5. Trovare le primitive di |cos x| in [0, π]
(
cos x
in 0, π2
| cos x| =
− cos x in π2 , π
(
sin x + c
in 0, π2
, questo è un errore comune,
Non basta la risposta:
− sin x + c in π2 , π
perchè si chiedono funzioni che siano primitive di |cos x| in tutto l’intervallo,
si chiede una legge di definizione ben fatta per tutto l’intervallo.
Una primitiva deve essere del tipo:
(
sin x + c
in 0, π2
F (x) =
− sin x + k in π2 , π
Chiamando in modo diverso c e k sottolinea che per una primitiva in [0, π]
non è detto che siano la stessa costanta.
127
F (x) per essere primitiva in tutto [0, π], deve essere derivabile in tutto
l’intervallo, quindi deve essere continua, allora imponiamo la continuità nel
punto π2 . Dobbiamo valutare i limiti da destra e da sinistra:
lim − F (x) = 1 + c
x→( π2 )
lim + F (x) = −1 + k
x→( π2 )
per essere continua la funzione i due limiti devono essere uguali, allora:
1 + c = −1 + k ⇒ k = c + 2
(
sin x + c
in 0, π2
F (x) =
− sin x + c + 2 in π2 , π
Questo esercizio richiede di ricordare la definizione di primitiva e che una
funzione derivabile è continua.
Esercizio 3.6. trovare le primitive in ]−∞, +∞[ di:
(
0
in x 6 1
f (x) =
(x2 − 1) log(x − 1) in x > 1
La primitiva sarà del tipo:
(
c
in x 6 1
F (x) =
G(x) + k in x > 1
G(x) lo possiamo determinare per parti, assumendo il primo fattore come
fattore differenziale
Z
G(x) = (x2 − 1) log(x − 1) dx =
3
Z 3
x
x
1
=
− x log(x − 1) −
−x
dx
3
3
x−1
poi si calcola il limite e si troverà l’uguaglianza:
c = lim+ G(x) + k
x→1
128
Z
x3 − 2
√
dx
x2 + 1
cerchiamo di ricondurlo in qualcosa di più semplice, decomponendolo in
somma
Z
Z
Z
x3 − 2
x3
dx
√
√
dx =
dx − 2 √
2
2
x +1
x +1
x2 + 1
Esercizio 3.7.
risolviamo il primo
Z
Z
Z
1
1
x2 2x
t
x3
√
√
√
dx =
dx =
dt
=
2
2
t+1
x2 + 1
x2 + 1
t=x2
Z 2
√
1√ 2
1
y −1
=
x + 1 x2 + 1 − x2 + 1 + c
=
2y dy √
2
y
3
y= x2 +1
risolviamo il secondo
Z
dx
√
I=
x2 + 1
Si pone:
√
x2 + 1 = x + t
x2 + 1 = x2 + 2tx + t2
1 − t2
= ϕ(t)
x=
2t
facciamo variare t solo in ]0, +∞[, perchè t 6= 0 e dato che dobbiamo prendere
un intervallo non possiamo far variare t in ] − ∞, +∞[\{0}, quindi t < 0
t2 + 1
−4t2 − 2 + 2t2
=−
ϕ (t) =
4t2
2t2
valutiamo il valore della radice e applichiamo la seconda formula di integrazione per sostituzione
′
√
t2 + 1
1 − t2
+t=
x2 + 1 = x + t =
2t
2t
Z
2
2t
t +1
I= −
·
dt √
= − [log t]t=√x2 +1−x =
2
t +1
2t2
2
t= x +1−x
√
√
1
2
2
= log
= − log x + 1 − x = log √
x +1+x +c=
x2 + 1 − x
= sett sinh x + c
si noti che nell’ultimo passaggio
è stata razionalizzata la frazione, moltipli√
cando e dividendo per x2 + 1 + x
129
Z
dx
x2 − 1
N.B. sarà il sett cosh x
Esercizio 3.8. I =
3.2
√
Teoria della misura di un insieme piano
(secondo Peano-Jordan)
L’integrazione indefinita, ricerca di tutte le primitive di una funzione, sembra
un lavoro fine a se stesso, che invece ha una finalità ben precisa, anzi esso
nasce da calcoli specifici dell’area delle figure piane.
Essendo in grado di calcolare l’area del rettangolo, possiamo calcolare
l’area di qualsiasi figura piana che si può decomporre nell’unione di tanti
rettangoli. Se la figura piana non è regolare, per esempio ha bordi rotondeggianti, l’idea è quella di approssimare questa regione con tante figure che
siano unione di rettangoli, sia dall’interno che dall’esterno, quindi di passare
al limite prima delle aree delle figure contenute dentro la porzione di piano
che si sta considerando, poi al limite delle aree di quelle che la contengono.
Più formalmente si distinguono diversi casi:
I caso X ⊆ R2 plurirettangolo cioè unione di un numero finito di rettangoli
a due a due privi di punti interni a comune.
Si definisce area di X = somma delle aree di questi rettangoli
II caso X limitato e dotato di punti interni
Si considerano gli insiemi:
A = {areaπ : π ⊆ X, π plurirettangolo}
B = {areaπ : π ⊇ X, π plurirettangolo}
A e B sono sicuramente due insiemi separati, perchè tutti gli elementi
di A sono più piccoli di tutti gli elementi di B
Se sono anche contigui (sup A = inf B) X si dice misurabile e si pone
areaX = sup A = inf B
Esercizio 3.9. Dimostrare per esercizio che X = ([0, 1]∩Q)×([0, 1]∩Q)
non è misurabile
III caso X limitato con interno vuoto
Ad esempio: segmento, curva, grafico di una funzione.
130
Non si possono prendere plurirettangoli contenuti in X, quindi A = ∅.
Si può considerare solo l’insieme B e il suo estremo inferiore, che sarà
un numero > 0.
Se inf B = 0 si dice che areaX = 0, se inf B < 0 si dice che X non è
misurabile.
In questo caso vi fa parte anche l’insieme vuoto. Si dimostra che
l’insieme vuoto è misurabile ed ha area pari a zero.
IV caso X non è limitato
Si considera la famiglia di insiemi F = {X ∩ C : C cerchio}, con C
tutti i possibili cerchi del piano. Questa intersezione può essere fatta
di un solo punto, può essere fatta da un certo insieme qualsiasi, sarà
comunque contenuta in C, quindi sarà sempre un insieme limitato.
X ∩ C rientra o nel II caso o nel III caso e quindi si può vedere se è
misurabile.
Se X ∩ C è misurabile ∀C si dice che X è misurabile e si pone
areaX = sup {area(X ∩ C) : C cerchio}
può anche essere +∞, ad esempio la misura di tutto il piano.
3.3
Integrazione secondo Riemann
Dall’idea di misurare la porzione di piano sottesa dal grafico di una funzione
nasce il problema dell’integrazione.
Esistono vari modi per integrare le funzioni, noi ci occuperemo dell’integrale di Riemann, che si introduce per funzioni limitate1 definite in un
intervallo chiuso e limitato.
Sia f : [a, b] → R limitata
m = inf f
M = sup f
[a,b]
[a,b]
Prima di definire l’integrale dobbiamo affrontare il problema dell’integrabilità, cioè dire quando una funzione si dice integrabile secondo Riemann.
Per fare questo si decompone l’insieme di definizione [a, b] nell’unione di un
numero finito di intervalli consecutivi, introducendo l’insieme di capisaldi
1
Una funzione si dice limitata se il suo estremo inferiore m e il suo estremo superiore
M sono finiti, ovvero se ammette minoranti e maggioranti. Se una funzione è limitata il
suo grafico è contenuto fra due rette y = m e y = M .
131
D = {x0 , x1 , . . . , xn } con x0 = a < x1 < · · · < xn − 1 < xn = b, dove n viene
scelto arbitrariamente e dove gli intervalli non sono necessariamente della
stessa ampiezza. Inoltre possiamo prendere in considerazione la quantità:
|D| = max (xi − xi−1 )
(3.50)
i=1,...,n
Siccome f è limitato in [a, b] allora f sarà limitata anche in ciascuno di
questi intervalli, quindi ha senso definire i valori:
mi =
inf f
(3.51)
Mi = sup f
(3.52)
[xi−1 ,xi ]
[xi−1 ,xi ]
Introduciamo inoltre le seguenti quantità:
s(f, D) =
S(f, D) =
n
X
mi (xi − xx−1 )
(3.53)
Mi (xi − xx−1 )
(3.54)
i=1
n
X
i=1
dove la (3.53) è la somma inferiore secondo Riemann relativa alla decomposizione D, e la (3.54) è la somma superiore secondo Riemann relativa alla
decomposizione D. Si osservi che, geometricamente, la prima corrisponderà
all’area di tutto il rettangoloide costruito all’interno della porzione di piano
sottesa dal grafico della funzione, mentre la seconda di quello costruito all’esterno. Si noti che Mi e mi non è detto che siano il massimo ed il minimo
dato che la funzione non è detto che sia continua.
Per la funzione f si possono introdurre infinite somme inferiori e superiori, perchè queste variano a secondo della decomposizione scelta, e le
decomposizioni che si possono scegliere sono infinite.
Possiamo prendere in considerazione gli insiemi di tutte le somme
Si = {s(f, D) al variare di D}
Ss = {S(f, D) al variare di D}
Se considero gli insiemi numerici Si e Ss , essi sono due insiemi separati.
Dimostrazione. Vogliamo dimostrare che questi due insiemi sono separati,
cioè che:
s(f, D′ ) 6 S(f, D′′ )
∀D′ , D′′
132
Se sono relativi alla stessa decomposizione, D′ = D′′ , è ovvio. Lo dobbiamo dimostrare per D′ 6= D′′ .
Nel caso generale, date D′ e D′′ si introduce una nuova decomposizione
con tutti i capisaldi D′ e di D′′ , si considera D = D′ ∪ D′′ .
Si ha che è verificata la seguente catena di diseguaglianze:
s(f, D′ ) 6 s(f, D) 6 S(f, D) 6 S(f, D′′ )
(3.55)
da cui segue la tesi.
In pratica per verificarla si deve dimostrare che se una decomposizione
ha più capisaldi di un’altra allora la sua somma inferiore è più grande e la
sua somma superiore è più piccola. Più formalmente: per provare la (3.55)
basta dimostrare che date le due decomposizioni D1 ⊆ D2 si ha
s(f, D1 ) 6 s(f, D2 )
S(f, D1 ) > S(f, D2 )
(3.56)
(3.57)
queste si hanno se una decomposizione ha più capisaldi rispetto ad un’altra.
Per terminare la dimostrazione basta dimostrare la (3.56) e la (3.57).
Dimostriamo la (3.56). Supponiamo ad esempio che D2 abbia solo un
caposaldo in più di D1 .
D1 = {x0 , x1 , . . . , xn }
D2 = {x0 , x̄, x1 , . . . , xn }
x0 < x̄ < x1
Per fare la somma inferiore ho bisogno degli estremi inferiori della f in
ciascuno degli intervalli della decomposizione, in particolare quelli relativi
alla D2 e alla D1 :
m′ = inf f
[a,x̄]
′′
m = inf f
[x̄,x1 ]
m1 = inf f
[a,x1 ]
Quindi la somma inferiore della seconda decomposizione sarà:
s(f, D2 ) = m′ (x̄ − x0 ) + m′′ (x1 − x̄) +
133
n
X
i=2
mi (x1 − xi−1 )
(3.58)
Osserviamo che se A ⊆ B e inf A > inf B si ha m′ , m′′ > m1 ; quindi:
(3.58) > m1 (x̄ − x0 ) + m1 (x1 − x̄) +
= m1 (x1 − x0 ) +
n
X
i=2
n
X
i=2
mi (x1 − xi−1 ) =
mi (x1 − xi−1 ) = s(f, D1 )
La (3.57) si prova allo stesso modo osservando che M ′ , M ′′ 6 M1 .
Per la dimostrazione con più punti in più, si deve applicare lo stesso
procedimento.
Dunque Si ed Ss sono insiemi separati. Se sono anche contigui2 si dice
che la funzione f è integrabile secondo Riemann in [a, b], in questo caso il
numero reale sup Si = inf S0 si chiama integrale di f tra a e b e si denota con
il simbolo:
Z b
f (x) dx
(3.59)
a
L’integrale definito e l’integrale indefinito sono due concetti matematici
distinti: l’integrale indefinito è un insieme, mentre l’integrale definito no,
è un numero. Il simbolo nasce dalla lettera S di somma. a e b vengono
detti estremi di integrazione, f (x) funzione integranda, mentre dx indica la
variabile rispetto a cui stiamo integrando.
Esempio 3.23 (di funzione non integrabile).
(
1 se x ∈ Q
f : [0, 1] → R
f (x) =
2 se x ∈
/Q
(3.60)
Il grafico sarà l’unione di tanti punti sull’asse delle ascisse e tanti punti
sulla retta di equazione y = 1.
Verifichiamo se è integrabile. Prendo una partizione D e considero s(f, D)
s(f, D) =
n
X
i=1
mi = 0
Si = {0}
2
mi (xi − xi−1 ) = 0
∀D
Due insiemi si dicono contigui se hanno un solo elemento di separazione.
134
Ora consideriamo S(f, D)
S(f, D) =
n
X
i=1
Mi = 1
Ss = {1}
Mi (xi − xi−1 ) = 1
∀D
I due insiemi Si e Ss sono separati, ma non contigui, quindi la funzione
non è integrabile
3.3.1
Classi di funzioni integrabili
1. f costanti in [a, b]
2. f continue in [a, b]
3. f generalmente continua3 e limitata in [a, b].
4. f monotona e limitata in [a, b]
Di questi quattro teoremi ne dimostreremo due, il 2 e il 3 no.
Dimostrazione. Dimostriamo la 1.
f (x) = k
∀x ∈ [a, b]
per dimostrare che è integrabile dobbiamo prendere l’estremo inferiore e l’estremo superiore e trovare gli insiemi somma. Notando che mi = k e Mi = k
si ha:
n
X
mi (xi − xi−1 ) = k(b − a)
Si = {k(b − a)}
i=1
n
X
i=1
Mi (xi − xi−1 ) = k(b − a)
Ss = {k(b − a)}
Gli insiemi coincidono visto che sono formati dallo stesso unico elemento,
quindi sono contingui
Z b
k dx = k(b − a)
a
3
Una funzione si dice generalmente continua se in [a, b] ammette solo un numero
limitato di punti di discontinuità.
135
Premettiamo il seguente risultato.
Abbiamo detto che f è integrabile se Si e Ss sono contigui, cioè se
∀ε > 0 ∃D′ , D′′ : S(f, D′′ ) − s(f, D′ ) < ε
Lemma 3.1. Si può dimostrare che f è integrabile se e solo se:
∀ε > 0 ∃D : S(f, D) − s(f, D) < ε
(3.61)
Dimostrazione. Dimostriamo la 4.
ε
.
Supponiamo f non decrescente. Fissato ε, scegliamo D : |D| < f (b)−f
(a)
Si può escludere il caso f (b) = f (a) perchè in questo caso f è costante,
dato che è monotona e gli estremi coincidono.
Verifichiamo se la differenza della somma inferiore e la somma superiore
sono minori di ε.
S(f, D) − s(f, D) =
n
X
i=1
(Mi − mi )(xi − xi−1 )
(3.62)
Si noti che nella precedente si è applicata la proprietà distributiva.
Dato che f è monotona Mi = f (xi ) e mi = f (xi−1 ).
(3.62) =
n
X
i=1
(f (xi ) − f (xi−1 )) (xi − xi−1 ) <
n
X
<
((f (xi ) − f (xi−1 ))
i=1
n
ε
=
f (b) − f (a)
X
ε
(f (xi ) − f (xi−1 )) =
=
f (b) − f (a) i=1
ε
=
(f (x1 ) − f (a) + f (x2 ) − f (x1 ) + · · · + f (b) − f (xn−1 )) = ε
f (b) − f (a)
Nel primo passaggio abbiamo potuto maggiorare la sommatoria con la
successiva perchè, essendo (xi − xi−1 ) l’ampiezza degli intervalli della decomε
posizione, f (b)−f
è l’ampiezza massima di tali intervalli. Nel penultimo
(a)
passaggio si è svolta la sommatorio; mentre nell’ultimo passaggio, dato che
nella somma vi sono tanti addendi che figurano due volte con segno opposto,
rimanendo f (b) − f (a) si semplifica.
136
3.3.2
Proprietà dell’integrale
Proprietà 3.3 (Proprietà additiva). Se f integrabile in [a, b] e [c, d] ⊆ [a, b]
allora f integrabile in [c, d]:
Z b
Z c
Z d
Z b
f (x) dx =
f (x) dx +
f (x) dx +
f (x) dx
(3.63)
a
a
c
d
Proprietà 3.4 (Proprietà distributiva). Se f, g integrabili, h, k costanti,
allora hf + kg è integrabile e si ha:
Z b
Z b
Z b
g(x) dx
(3.64)
f (x) dx + k
(hf (x) + kg(x)) dx = h
a
a
a
Proprietà 3.5 (Proprietà di monotonia rispetto alla funzione integranda).
Rb
Rb
Se f, g integrabili e f (x) 6 g(x) allora a f (x) dx 6 a g(x) dx
Dalle proprietà 3.4 e 3.5 segue che se f (x) > 0 si ha
Z b
f (x) dx > 0
(3.65)
a
Se inoltre f è continua e non negativa si ha:
Z b
f (x) dx = 0 ⇐⇒ f è identicamente nulla
(3.66)
a
Rb
Proprietà 3.6 (Proprietà della media). m(b − a) 6 a f (x) dx 6 M (b − a)
Se inoltreRf è continua la proprietà della media si esprime dicendo che
b
∃c ∈ [a, b] : a f (x) dx = f (c)(b − a)
Dimostrazione. La prima parte deriva dal fatto che ∀D si ha
Z b
f (x) dx 6 S(f, D) 6 M (b − a)
m(b − a) 6 s(f, D) 6
a
che si dimostra solo ricorrendo alla definizione di integrale.
La seconda parte si trova osservando che se f è continua m, M sono il
minimo ed il massimo
Rb
f (x) dx
m6 a
6M
b−a
la frazione è uno dei valori della funzione compreso fra il minimo ed il massimo, quindi la tesi si ottiene applicando il teorema di esistenza dei valori
intermedi.
137
3.3.3
Integrale definito
Applicando la proprietà additiva si ottiene il seguente risultato.
Definizione 3.3 (Integrale definito). Sia f continua in (α, β) e siano a, b ∈
(α, β) chiamiamo integrale definito tra a e b di f il numero:
R b

se a < b
Z b
 a f (x) dx
f (x) dx = 0
(3.67)
se a = b

a
 Ra
− b f (x) dx se a > b
questo non è un integrale di Riemann, perchè è un integrale fra due punti
e non in un intervallo; mentre i due integrali fra i casi possibili sono integrali
di Riemann
L’integrale definito gode della proprietà additiva qualunque sia la posizione dei punti a, b, c.
Z b
Z c
Z b
f (x) dx =
f (x) dx +
f (x) dx
a
a
c
Esempio 3.24. Ad esempio siano b < a < c:
Z b
Z a
··· = −
...
a
b
Z c
Z c
...
··· =
a
a
Z a
Z c
Z b
Z c
Z a
Z c
··· = −
... = −
··· =
··· −
... = −
··· +
c
b
a
b
a
b
Z b
Z b
Z c
Z c
Z b
...
··· =
··· +
... ⇒
··· −
=
a
3.3.4
a
a
c
a
Interpretazione geometrica dell’integrale di Riemann
Sia f : [a, b] → R continua ed inoltre f (x) > 0 ∀x ∈ [a, b]; prendo in
considerazione il suo grafico e la porzione di piano limitata inferiormente
dall’asse delle ascisse e superiormente dal grafico, questa prende il nome di
rettangoloide relativo ad f e all’intervallo [a, b], analiticamente cosı̀ descritta:
Rf = (x, y) ∈ R2 : x ∈ [a, b], 0 6 y 6 f (x)
138
Proprio dalla considerazione del calcolo dell’area del rettangoloide nasce il
problema del calcolo integrale.
Nel caso in cui la f è costante in [a, b] il rettangoloide è un rettangolo.
Rf è un insieme limitato, dotato di punti interni, quindi rientra nel secondo caso della teoria della misura di Peano-Jordan, quindi si ha il seguente
teorema:
Teorema 3.6. Si può dimostrare che Rf (che è limitato e dotato di punti interni) è misurabile, secondo Peano-Jordan, e la sua area è uguale a
Rb
f (x) dx
a
Il grafico della funzione è limitato e non dotato di punti interni. Si
dimostra inoltre che il grafico di f è misurabile ed ha area nulla.
A questo punto consideriamo g, f : [a, b] → R continue, con g(x) 6 f (x)
∀x ∈ [a, b]. Si prende in considerazione l’insieme che corrisponde alla parte
di piano delimitata dai loro grafici
Df,g = (x, y) ∈ R2 : x ∈ [a, b], g(x) 6 y 6 f (x)
si chiama dominio normale rispetto all’asse ~x. Si dimostra che esso è misurabile e la sua area è uguale a:
Z b
(f (x) − g(x)) dx
a
Proprietà 3.7 (dell’integrale di Riemann). Sia f integrabile in [a.b], allora
|f | è integrabile e
Z b
Z b
f (x) dx 6
|f (x)| dx
(3.68)
a
a
Sia f continua e c un punto opportuno di [a, b], detto punto della media
integrale, allora la proprietà della media assume la forma4 :
Z b
f (x) dx = (b − a)f (c)
a
Supponiamo f continua e f (x) > 0 ∀x allora il grafico è contenuto nel
semipiano delle ordinate positive; (b−a)f (c) è uguale all’area di un rettangolo
che ha per base l’intervallo [a, b] e per altezza f (c); conoscendo il significato
geometrico dell’integrale, possiamo immaginare che questo punto c sia quello
che da forma a un rettangolo equivalente al rettangoloide.
Per inciso, il teorema della media si chiama in questo modo perchè, nel
caso delle funzioni continue, fornisce un punto c che da luogo ad un rettangolo
equivalente al rettangoloide.
4
Questo enunciato è deltutto equivalente a dire che: se f è continua in [a, b] allora esiste
un elemento c ∈ [a, b] tale che l’integrale è uguale a (b − a)f (c)
139
3.3.5
Teorema fondamentale del calcolo integrale
Per calcolare l’integrale di Riemann si ricorre all’integrale definito perchè più
facile da calcolare, dato che vi è un teorema che ne definisce il calcolo. Per
arrivare a tale teorema bisogna introdurre una particolare funzione.
Definizione 3.4 (Funzione Integrale). Viene detta funzione integrale una
particolare funzione F , introdotta in un intervallo, in cui la funzione f è
continua.
f : (a, b) → R continua
x0 ∈ (a, b) fissato
Z x
f (t) dt
∀x ∈ (a, b)
F (x) =
x0
F : (a, b) → R
Abbiamo cambiato nome alla variabile perchè la x l’abbiamo già usata
come estremo di integrazione.
Questo integrale dipende da t ma anche da x. Si può definire l’integrale
perchè in (a, b) f è continua.
Z x
Esempio 3.25. F (x) =
sin t dt
π
2
Questa è una funzione integrale relativa alla funzione seno.
Teorema 3.7 (di derivazione della funzione integrale).
∀x ∈ (a, b)
∃F ′ (x) = f (x)
(3.69)
Quindi la derivazione della funzione integrale consiste nel prendere la
funzione integranda e calcolarla nell’estremo libero x.
Rx
Esempio 3.26. F (x) = 1 sint t dt
F ′ (x) =
sin x
x
Dimostrazione. Sia c ∈ (a, b), dimostriamo che F ′ (c) = f (c), ovvero
lim
x→c
F (x) − F (c)
= f (c)
x−c
140
cioè dobbiamo dimostrare che la seguente quantità tende a zero.
Rc
R x
x0 f (t) dt − x0 f (t) dt
F (x) − F (c)
=
−
f
(c)
−
f
(c)
=
x−c
x−c
R c
Rc
Rx
x0 f (t) dt + c f (t) dt − x0 f (t) dt
=
− f (c)
x−c
(3.70)
Si noti che nell’ultimo passaggio
è stata applicata la proprietà additiva;
Rx
allora al numeratore resta c f (t) dt che è un integrale definito, quindi può
essere un integrale
R x di Riemann o il suo opposto, distinguiamo questi due casi.
Se c < x, c f (t) dt è l’integrale di Riemann. Per la proprietà della media:
Rx
f (t) dt
c
= f (t̄) con t̄ ∈]c, x[
x−c
quindi
(3.70) = |f (t̄) − f (c)|
visto che x → c anche t̄ → c ⇒ f (t̄) → f (c) ⇒ |f (t̄) − f (c)| → 0
Se c > x si ha un procedimento analogo al precedente:
R c
Rc
x f (t) dt
− x f (t) dt
− f (c) = − f (c) = |f (t̄) − f (c)| → 0
(3.70) = −(c − x)
c−x
Quindi il rapporto incrementale meno f (c) tende a zero sia da sinistra
che da destra quindi è dimostrata la formula di derivazione.
Dal fatto che F ′ (x) = f (x) segue come corollario il seguente teorema
Teorema 3.8 (di Torricelli-Barrow). Ogni funzione continua in un intervallo
è dotata di primitive
Ogni funzione continua è dotata di primitive perchè, visto che è continua,
possiamo costruire la sua funzione integrale, la quale è una sua primitiva.
Rx
Rx
Osservazione 3.1. Due funzioni integrali x0 f (t) dt e x1 f (t) dt differiscono
Rx
per la costante 5 x01 f (t) dt
Se prendiamo un’altra funzione primitiva di f (x), G(x), anch’essa differisce per una costante dalla funzione integrale, anche se non è una funzione
integrale, perchè tutte le primitive differisco per una costante.
5
infatti
Rx
x0
··· =
R x1
x0
··· +
Rx
x1
...
141
Teorema 3.9 (Formula fondamentale del calcolo integrale). Sia f continua
in [a, b] e sia F una primitiva di f . Allora:
Z b
f (x) dx = F (b) − F (a) = [F (x)]ba
(3.71)
a
Questa formula vale per l’integrale definito più in generale, anche se fosse
fra b e a.
Dimostrazione. F è una primitiva di f . RIn base al teorema di Torricellix
Barrow, un’altra primitiva di f è G(x) = a f (t) dt, dunque
F (x) = G(x) + c
∀x ∈ [a, b]
in particolare per
x=a
F (a) = G(a) + c = c
G(a) = 0
Z b
Z b
F (b) = G(b) + c =
f (t) dt + c =
f (t) dt + F (a) ⇒ Ts
x=b
a
a
La tesi si ha portando F (a) al primo membro.
3.3.6
Esercizi riepilogativi
Ricordiamo che:
Z x
F (x) =
f (t) dt
x0
Si noti che:
Z
F (x) =
F ′ (x) = f (t)
⇒
x0
f (t) dt = −
x
Z
x
f (t) dt
x0
⇒
F ′ (x) = −f (x)
(3.72)
perchè scritta in quel modo non è una funzione integrale, dato che l’estremo
fissato deve essere l’estremo inferiore di integrazione e l’estremo libero quello
superiore; allora per poter utilizzare le nozioni sulle funzioni integrali bisogna
ricondursi al caso di una funzione integrale. In questo caso F (x) è l’opposto
di una funzione integrale.
F (x) =
Z
ϕ(x)
x0
f (t) dt
⇒
F ′ (x) = f (ϕ(x))ϕ′ (x)
in questo caso l’estremo superiore non è una variabile ma una funzione, abbiamo cioè una funzione composta. Per derivarla si applica quindi la regola
(A.16).
142
Esercizio 3.10. data la f (x) =
Z
2x−cos x
1
sin t
dt calcolare le derivate
t
sin(2x − cos x)
(2 + sin x)
2x − cos x
Esercizi come questi, generalmente sono integrali che non si possono calcolare come integrali indefiniti, perchè è stato dimostrato che non è possibile
scrivere le primitive come funzioni elementari, allora dobbiamo necessariamente ricorrere alla derivazione della funzione integrale.
Per questo tipo di funzioni un’altra cosa che si potrebbe fare è trovare
per approssimazione i valori di alcuni integrali.
Z x3
sin t
Esercizio 3.11. f (x) =
dt
t
e2x+1
Si noti che non vi è alcun estremo fissato, quindi non è una funzione
integrale; per cui si potrebbe inserire un estremo fissato a piacimento, purchè
in tale punto la funzione sia definita. Allora lo riconduco all’integrale definito:
Z x3
Z e2x+1
Z x3
Z 1
sin t
sin t
sin t
sin t
dt +
dt = −
dt +
dt
f (x) =
t
t
t
t
1
1
1
e2x+1
sin(e2x+1 ) 2x+1 sin x3 2
2e
+
3x 1
f ′ (x) = −
e2x+1
x3
Z 1
x
dx
Esercizio 3.12. I =
2
−x
+1
0 e
Prima trovo le primitive. Applico la prima formula di integrazione per
sostituzione, poi la seconda formula di integrazione per sostituzione, poi lo
riscrivo come somma di fratti semplici; alla fine sostituisco.
Z
Z
1
1
−2x
dy
−
dx = −
dx
2
2
ey + 1
e−x2 + 1
y=−x2
Z
Z
Z
ey
dt
dy
=
dy =
ey + 1
ey (ey + 1)
t(t + 1) t=ey
1
1
1
= −
t(t + 1)
t t+1
Z
dt
= log |t| − log |t + 1|
t(t + 1)
f ′ (x) =
Quindi le primitive saranno:
Z
2
1
−2x
1
−x2
−x
dx
=
−
−
log
e
−
log
e
+
1
+c=
2 e−x2 + 1
2
2
1 2 1
= x + log e−x + c
2
2
143
Ora possiamo trovare l’integrale definito
2 1 1 1
1
1
1 2 1
−x
+ 1 − log 2
= + log
I = x + log e
2
2
2 2
e
2
0
Esercizio 3.13. I =
Z
1
0
x sin x2 − 1 dx
Dato che non sappiamo integrare con i valori assoluti dobbiamo far in
modo di eliminare il valore assoluto, eventualmente decomponendo l’intervallo di integrazione. In [0, 1] si ha x2 − 1 6 0 quindi il valore assoluto è
uguale all’opposto.
Z 1
x sin −x2 + 1 dx
0
Determiniamo prima l’integrale indefinito
Z
Z
1
2
x sin(−x + 1) dx = −
−2x sin(1 − x2 ) dx =
2
Z
1
1
=−
sin y dy
= cos(1 − x2 ) + c
2
2
y=1−x2
Quindi l’integrale definito sarà
I=
1 1
− cos 1
2 2
Z
1
|ex − 1|
dx
3x + 1
−1 e
Questo integrale si deve comporre nella somma di due integrali. Per levare
il valore assoluto dobbiamo vedere quando il suo l’argomento è positivo,
quindi ex − 1 > 0 per x > 0, siccome 0 è compreso nell’intervallo in cui
dobbiamo integrare allora:
Z 1 x
Z 0
e −1
ex − 1
dx +
dx
− 3x
I=
3x + 1
e +1
0 e
−1
Esercizio 3.14. I =
Si noti che le funzioni integrandi, a meno di un segno, sono uguali, quindi
basta determinare le primitive di una delle due:
Z
Z x
e
ex − 1
t−1
·
dx =
dt
ex e3x + 1
t(t3 + 1)
t=ex
144
nella precedente si è applicata la seconda formula di integrazione per sostituzione. Ora decomponiamo in fratti semplici
A
B
Ct + D
t−1
= +
+ 2
2
t(t + 1)(t − t + 1)
t
t+1 t −t+1
3
3
2
At + A + Bt − Bt + Bt + Ct3 + Ct2 + Dt2 + Dt = t − 1


A+B+C =0
B+C =1






−B + C + D = 0
−B + C + D = 0
⇒
⇒
B + D = 1
B + D = 1






A = −1
A = −1


B =1−C

2



2C + D = 1
B = 3
⇒
⇒
C = D = 31


−C
+
D
=
0



A = −1

A = −1
l’integrale indefinito sarà:
Z
Z
2
1
t+1
t−1
dt
=
−
log
|t|
+
log
|t
+
1|
+
dt
t(t3 − 1)
3
3
t2 − t + 1
determino a parte l’ultimo integrale
Z
Z
t+1
1
2t + 2
dt =
dt =
2
2
t −t+1
2
t −t+1
Z
3
dt
1
2
=
= log(t − t + 1) +
2
2
t2 − t + 1
Z
1
dt
3
2
= log(t − t + 1) +
=
2
2
2
t − 12 + 43
√
t− 1
1
= log(t2 − t + 1) + 3 arctan √ 2 + c
3
2
2
Quindi le primitive saranno:
0
√
1
2ex − 1
2
2x
x
x
I = − log e − e + 1 + 3 arctan √
− x + log (e + 1) +
2
3
3
−1
√
1
1
1
1
2
log 2 + + 1
+
3 arctan √ + log 2 +
+ [. . . ]10 = −
2
e
e
3 3
2
√
−1
1
2
e
+ 3 arctan √ + 1 + log
+ 1 + [. . . ]10 = . . .
3
e
3
145
"∞ n−1 #
X
x2
dx
Esercizio 3.15. I =
x+2
0
n=1
Supponendo che la serie sia convergente, questa non è altro che la somma
della serie che dipende da x perciò è una funzione da integrare. Prima però
bisogna trovare la somma della serie.
P
n−1
Questa è una serie geometrica di ragione t, del tipo ∞
; è convern=1 t
gente quando −1 < t < 1, quindi si deve verificare che:
Z
−1 <
1
x2
< 1 se x ∈ [0, 1]
x+2
basta fare i calcoli per constatare che questa relazione è verificata. Allora
della serie geometrica siamo in grado di scriverne la somma.
n−1
∞ X
x2
1
−x + 2
x+2
=
= 2
=
2
2
x
x+2
−x + x + 2
x −x−2
1 − x+2
n=1
Quindi l’integrale richiesto sarà:
Z 1
x+2
dx
I=
− 2
x −x−2
0
146
Capitolo 4
Serie di funzioni (Brutta da
verificare e correggere)
4.1
Successioni di funzioni
Sia X 6= ∅, n ∈ N → fn : X → R
{fn }n∈N
Prenderemo in considerazione
fn : (a, b) → R
Convergenza puntuale
Se c ∈ (a, b) possiamo prendere in considerazione {fn (c)} che è una
successione numerica.
Supponiamo che ∀x ∈ (a, b) la successione numerica {fn (x)} sia convergente chiamiamo f (x) il suo limite
f è dunque una funzione reale definita in (a, b)
Si dice allora che la successione di funzioni {fn } converge puntualmente
in (a, b) verso la funzione limite f
ciò accade se e solo se
∀x ∈ (a, b), ∀ε > 0′ ∃α ∈ N : se n > α si ha |fn (x) − f (x)| < ε
(4.1)
Supponiamo ora che data la successione di funzioni {fn } ed una funzione
f : (a, b) → R sia verificata la seguente condizione
∀ε > 0 ∃α ∈ N : se n > α si ha |fn (x) − f (x)| < ε∀x ∈ (a, b)
(4.2)
Si dice allora che la successione {fn } converge uniformemente verso f in
(a, b)
147
La differenza sostanziale tra la (4.1) e la (4.2) è lo spostamento di ∀x ∈
(a, b). Nella (4.1) la ε e la α dipendono dalla x che scelgo, nella (4.2) α e ε
non dipendono da x. La (4.2) è una condizione più forte rispetto alla (4.1).
La (4.2) ⇒ (4.1) cioè convergenza uniforme implica la convergenza puntuale. Il viceversa in generale non è vero.
Esempio 4.1. fn (x) = xn con x ∈ [0, 1]
Possiamo dire che c’è convergenza puntuale.
(
0 x ∈ [0, 1[
f (x) =
1 x=1
1
Supponiamo per assurdo che sia verificata la condizione (4.2) per ε = 2e
1
∃α ∈ N : se n > α si ha |xn − f (x)| < 2e
∀x ∈ [0, 1] in particolare per x < 1
n
1
n
x < 2e ∀n > α ∀x ∈ [0, 1[ il che implica 1 − n1 ∈ [0, 1[ cioè 1 − n1
<
1
∀n
>
α
2e
n
1
→ 1e il che implica che definitivamente deve essere > 2e
Ma 1 − n1
assurdo
4.1.1
Teoremi sulla convergenza uniforme
Teorema 4.1 (sullo scambio dei limiti). Sia fn : (a, b) → R e c ∈ [a, b]
∀n ∈ N esiste finito limx→c fn (x) = ln
fn → f uniformemente
Allora ∃ limx→c f (x) = limn→∞ ln
ovvero
lim f (x) = lim lim fn (x) = lim lim fn (x)
x→c
x→c n→∞
n→∞ n→c
Il seguente teorema si può considerare come un caso particolare
Teorema 4.2 (di continuità del limite). Siano fn : (a, b) → R c ∈ (a, b) fn
continue in c ∀n ∈ N fn → f uniformemente.
Allora limn→c f (x) = limn→∞ fn (c) = f (c) quindi f continua in c
Dimostrazione. Si vuole dimostrare che ∀ε > 0 ∃δ > 0 : se x ∈ (a, b), |x −
c| < δ ⇒ |f (x)f (c)| < ε per l’uniforme convergenza in corrispondenza di 3ε
∃α ∈ N : se n > α si ha |fn (x) − f (x)| < 3ε ∀x ∈ (a, b)
consideriamo fα−1 (x) continua in c allora in corrispondenza di 3ε
c∃δ > 0 : se x ∈ (a, b), |x − c| < δ si ha |fα+1 (x) − fα<+1 (c)| <
148
ε
3
Sia x ∈ (a, b) : |x − c| < δ
|f (x) − f (c)| 6 |f (x) − fα+1 (x)| + |fα+1 (x) − fα+1 (c)| + |fα+1 (c) − f (c)| < ε
dato che il primo addendo è < 3ε (α + 1 > α), il secondo < 3ε (|x − c| < α), il
terzo < 3ε (α + 1 > α).
Teorema 4.3 (di limitatezza). Siano fn : (a, b) → R limitata, fn → f
uniforme in (a, b)
Allora:
1. f è limitata
2. se sn = inf x∈(a,b) fn (x) e Sn = supx∈(a,b)fn (x) , allora
inf f (x) = lim sn
n→∞
x∈(a,b)
sup f (x) = lim Sn
n→∞
x∈(a,b)
Dimostrazione. Si dimostrerà solo la 1
Per ipotesi ∀n ∈ N ∃Mn > 0 : |fn (x)| 6 Mn ∀x ∈ (a, b)
per la convergenza uniforme con ε = 1
∃α ∈ N : se n > α si ha |fn (x) − f (x)| < 1 ∀x ∈ (a, b)
ponendo n = α + 1
−Mα+1 − 1 6 −|fα+1 (x)| − 1 6 fα+1 (x) − 1 < fn (x) < falpha+1 (x) + 1 6
6 |fα+1 (x)| + 1 6 Mα+1 + 1
quindi |fn (x)| 6 Mα+1 + 1∀x ∈ (a, b)
Se la convergenza non è uniforme in generale la tesi non è vera.
(
0 se x 6 n1
Esempio 4.2. In ]0, 1] si definisce fn (x) = 1
se x > n1
x
Sono tutte limitate ∀x fn (x) → x1 perchè definitivamente n1 < x
1
n > 5 n1 < 0, 25 ⇒ fn (0, 25) = 0,25
f (x) = x1 in ]0, 1] non è limitata.
Teorema 4.4 (del Passaggio al Limite Sotto il Segno di Integrale (PLSSI)).
Sia fn : [a, b] → R continua fn → f uniformemente convergente.
Allora
Z b
Z b
f (x) dx = lim
fn (x) dx
a
n→∞
a
149
Dimostrazione. Si vuole dimostrare che
Z b
Z b
∀ε > 0 ∃α ∈ N : se n > α si ha f (x) dx < ε
fn (x) dx −
a
a
Z b
Z b
Z b
Z b
6
=
f
(x)
dx
−
f
(x)
dx
|fn (x) − f (x)| dx
(f
(x)
dx
−
f
(x))
n
n
a
a
a
a
(4.3)
ε
∀x
applico la convergenza uniforme, quindi ∃α ∈ N : n < α |fn (x) − f (x)| b−a
Z b
ε
dx = ε
(4.3) 6
a b−a
Se la convergenza non è uniforme, in generale la tesi non è vera.
Esempio 4.3. in [0, 1] scrivere per esercizio la legge di definizione
x = 0 fn (0) = 0 → 0
x > 0 definitivamente
disegno
necessario
1
< x ⇒ fn (x) → 0
n
f (x) = 0∀x ∈ [0, 1]
Z 1
Z 1
1 1
f (x) dx = 0
fn (x) = 2n = 1 → 1
n 2
0
0
Teorema 4.5 (del Passaggio al Limite Sotto il Segno di Derivata (PLSSD)).
Sia fn : (a, b) → R derivabili in (a, b), {fn } sia uniformemente convergente
in (a, b) a una funzione g, inoltre ∃c ∈ (a, b) : {fn (c)} convergente
Allora
1. {fn } converge uniformemente in (a, b)
2. se f è la funzione limite di {fn }, ∃f ′ (x) = g(x) ∀x ∈ (a, b)
Condizione sufficiente o necessaria e sufficiente per la convergenza uniforme
Supponiamo che fn → f puntualmente in (a, b). Allora la convergenza è
uniforme se e solo se
!
lim
n→∞
sup |fn (x) − f (x)|
=0
x∈(a,b)
150
(4.4)
Esempio 4.4. Sia xn in [0, 1]
(
xn se x < 1
|xn − f (x)| =
0
se x = 1
!
sup |fn (x) − f (x)| = max sup xn , 0
[0,1]
[0,1[
= max(1, 0) = 1 ∀n
lim sup |fn (x) − f (x)| = 6= 0
n→0 [0,1]
Dimostrazione. Facciamo vedere che (4.2) ⇒ (4.4)
Applichiamo la (4.2) con 2ε n > α ⇒ |fn (x) − f (x)| < 2ε ∀x
il che implica supx∈[a,b] |fn (x) − f (x)| 6 2ε < ε per n > α ⇒ Tesi
Viceversa (4.4) ⇒ (4.2)
sup |fn (x) − f (x)| → 0
x∈[a,b]
⇒
⇒
⇒
è < ε per n > α
|fn (x) − f (x)| < ε ∀x ∈ (a, b), se n > α
⇒ Tesi
Teorema 4.6 (Criterio di convergenza uniforme di Cauchy). fn converge
uniformemente se e solo se
∀ε > 0 ∃α ∈ N : se n, m > α si ha |fn (x)−fm (x)| < ε
∀x ∈ (a, b) (4.5)
Dimostrazione. Verifichiamo la necessità
Per ipotesi si ha la (4.2), per tesi la (4.5).
Applichiamo la (4.2) con 2ε ∃α ∈ N : se n > α|fn (x) − f (x)| < 2ε .
Se n, m > α |fn (x) − fm (x)| 6 |fn (x) − f (x)| + |fm (x) − f (x)| < ε
Verifichiamo la sufficienza
La (4.5) per ogni x implica la convergenza della successione numerica
{fn (x)}
Dunque {fn } converge puntualmente. Sia f (x) la funzione limite, dimostriamo al (4.2).
Per la (4.5) in corrispondenza di 2ε ∃α : n, m > α allora |fn (x)−fm (x)| < 2ε
∀x ∈ (a, b)
Dimostriamo la (4.2) con questo α. Sia n < α e x ∈ (a, b) fissato ad
arbitri, si dimostra che |fn (x) − f (x)| < ε
Per la convergenza puntuale ∃β : se n > β si ha |fn (x) − f (x)| < 2ε
151
Sia n̄ > max(α, β)
|fn (x) − f (x)| 6 |fn (x) − fn̄ (x)| + |fn̄ (x) − f (x)| < ε
perchè il primo addendo è < 2ε dato che n, n̄ > α, ed il secondo addendo è
< 2ε visto che n̄ > β
Si noti che il procedimento dipende da n̄, mentre il risultato no.
4.1.2
Convergenza uniforme e monotonia
Teorema 4.7. Sia fn : [a, b] → R continua, fn → f puntualmente in [a, b],
f continua ∀x ∈ [a, b] {fn (x)} monotona (ad esempio fn (x) < fn+1 (x) ∀n).
Allora la convergenza è uniforme.
Teorema 4.8 (del Dini). Sia fn : [a, b] → R monotona ∀n (ad esempio
fn (x) < fn (y) se x < y), fn → f puntualmente in [a, b], f continua.
Allora f monotona, la convergenza è uniforme (Teorema di Polya).
C 0 ([a, b])
x, y ∈ C 0 ([a, b])
d(x, y) = sup |f (x) − g(x)|
x∈[a,b]
{fn } ⊆ C 0 ([a, b]) è di Cauchy se ∀ε > 0 ∃α : se n, m > α si ha
sup |fn (x) − fm (x)| < ε ⇒ |fn (x) − fm (x)| < ε ∀x ∈ (a, b) ⇒ per il criterio
di Cauchy {fn } converge uniformemente a f ∈ C 0 ([a, b]).
Ma fn → f in [a, b] significa che supx∈[a,b] |fn (x) − f (x)| → 0
⇒
0
0
d(fn , f ) → 0 in C ([a, b]) ⇒ fn → f in C
Allora C 0 ([a, b]) è completo.
4.2
Serie di funzioni
Il passaggio da successioni di funzioni a serie di funzioni è analogo a quello
da successioni numeriche a serie numeriche.
{fn } fn : (a, b) → R
∞
X
fn (x) serie di funzioni
(4.6)
n=1
P
per x̄ ∈ (a, b) ∞
n=1 fn (x̄) è una serie numerica. Se essa converge si dice che
la (4.6) converge in x̄. La successione delle somme parziali della (4.6)
152
s1 (x) = f1 (x)
...
n
X
sn (x) =
fk (x) è una successione di funzioni
k=1
Se la successione {sn (x)} converge puntualmente in (a, b) si dirà che la (4.6)
converge puntualmente in (a, b). La funzione limite di {sm } e detta funzione
somma di (4.6).
La serie (4.6) converge puntualmente e ha somma f (x) se
∀x ∈ (a, b), ∀ε > 0 ∃α ∈ N : n > α
⇒
|sn (x) − f (x)| < ε
Teorema 4.9 (Criterio di convergenza puntuale di Cauchy). La serie
converge puntualmente se e solo se
P∞
n=1
fn (x)
∀x ∈ (a, b), ∀ε > 0 ∃α ∈ N : ∀n > α e ∀p ∈ N si ha |fn+1 (x)+· · ·+fn+p (x)| < ε
(4.7)
P∞
P
Si dice che la serie ∞
n=1 |fn (x)|
n=1 fn (x) converge assolutamente se la serie
converge puntualmente.
P
Si dice che la serie ∞
n=1 fn (x) converge uniformemente in (a, b) se {sn (x)}
converge uniformemente in (a, b)
Teorema 4.10 (Criterio di Cauchy per la convergenza uniforme).
∀ε > 0 ∃α ∈ N : ∀n > α e ∀p ∈ N si ha |fn+1 (x)+· · ·+fn+p (x)| < ε ∀x ∈ (a, b)
P
Teorema 4.11 (di continuità della somma). Supponendo che la serie ∞
n=1 fn (x)
converge uniformemente in (a, b)
fn (x) continua ⇒ sn (x) continua
{sn } converge uniformemente ⇒ lim sn continuo
e che fn sia continua ∀n.
Allora la funzione somma è continua.
Teorema 4.12 (di integrazione
per serie). Supponendo che fn : [a, b] → R
P∞
continua ∀n ∈ N e che n=1 fn (x) converge uniformemente in [a, b]
153
P∞Per la successione {sn } vale il PLSSI, detta f la funzione somma di
n=1 fn (x)
Z
b
f (x) dx = lim
n
a
=
Z
Rb
a
sn (x) dx = lim
n
a
∞ Z
X
n=1
Allora
b
b
Z
a
b
f1 (x) dx + · · · +
Z
b
a
fn (x) dx
=
fn (x) dx
a
f (x) dx =
P∞ R b
n=1
a
fn (x) dx
Teorema 4.13 (di derivazione per serie).
P∞Supponiamo che fn (x) sia derivabile in (a, b) ∀n ∈ N e che ∃c
n=1 fn (c) sia convergente.
P∈ (a,′b) :
Supponiamo inoltre che ∞
f
(x)
sia
uniformemente convergente, e sia
n=1 n
g la sua funzione
somma.
Pi
Allora
nf
tyfn (x) è uniformemente convergente e, detta f la sua
n=1
funzione somma, f è derivabile e f ′ (x) = g(x)
D
∞
X
!
fn (x)
n=1
=
∞
X
fn′ (x)
n=1
Esempio 4.5.

2

0 6 x < n1
2n x
fn (x) = 3n − n2 x n1 6 x < n3


3
0
6x63
n
fn : [0, 3] → R
verificare: convergenza puntuale, PLSSI, convergenza uniforme.
Per x = 0
fn (0) = 0 → 0
3
< x defin.
n
f (x) = 0 ∀x ∈ [0, 3]
x>0
⇒
⇒
quindi vi è convergenza puntuale.
154
fn (x) = 0 defin.
⇒
fn (x) → 0
PLSSI
Z 3
Z
0 dx = lim
n→∞
0
1
n
Z
0
Z
Z
3
n
1
n
3
fn (x) dx
0
1
2n2 x dx = n2 x2 0n = 1
3
1
9
1 2 2 n
=9− −3+ =2
3n − n x dx = 3nx − n x
2
2
2
1
2
n
3
0 dx = 0
3
n
Z
3
fn (x) dx = 1 + 2 + 0 = 3 0 6= 3
0
Z
3
0 dx = 0
0
Non vi è PLSSI
Non vi è convergenza uniforme perchè non vi è PLSSI
Esempio 4.6.

0
0 6 x 6 n1



2n2 x − 2n 1 < x 6 2
n
n
fn (x) =
2
2

−n x + 4n n < x 6 n4



4
0
<x64
n
Convergenza puntuale in [0, 4], PLSSI, convergenza uniforme.
Definitivamente n4 → 0
fn (0) → 0
f (x) = 0 ∀x ∈ [0, 4]
PLSSI
Z
4
fn (x) dx =
0
Z
0
4
1
−
n n
1
2n = 3 → 3
2
4
0 dx = 0 6= 3
non si ha PLSSI
155
Esempio 4.7. Scriviamo la legge di definizione
(0, 1)
x
1
n
=
1
, 2n
n
y−1
2n − 1
2n2 x − nx + 1 = y
2
1
, 2n
,0
n
n
x−
1
n
1
n
=
y − 2n
−2n
−2nx + 2n = y − 2n
2
,0
n
4
3
,n
,1
n
n
x−
1
n
3
n
=
y−n
1−n
(nx − 3)(1 − n) = y − n
y = nx − n2 x − 3 + 4n
Z
2
Z
2
1 dx = 2
0
fn (x) dx


2n2 x − nx + 1
0 6 x < n1



1
2


6 x < n2
−2n x + 4n
n
2
fn (x) = n2 x − 2n
6 x < n3
n



nx − n2 x + 4n − 3 n3 6 x < n4



1
4
6x62
n
n1
Z 1
n
1
1
1 2
1
2
2 2
+ = 1−
(2n x − nx + 1) dx = n x − nx + x = 1 −
2
2n n
2n
0
0
0
156
Z
2
n
(−2n2 x + 4n) dx = [
1
n
n3
2
1
9
2x
− 2nx = − 6 − 2 + 4 =
(n x − 2n) dx = n
2
2
2
2
2
n
n
2
n4
Z 4
2
n
x
2
2x
(nx − n x + 4n − 3) dx = n − n
+ 4nx − 3x =
3
2
2
3
n
Z
3
n
2
n
Z
2
3
9
9
9
31 9
8
−
− + 12 − =
−
= − 8 + 16 −
n
4n 2n 2
n
2
n
Z 2
4
1 dx = 2 −
4
n
n
fn (x) dx = 1−
0
1 31 9 9
4
27 1
1
+6+ + − − +2− = − · +21 → 21 6= 2
2n
2 2 n n
n
2 n
Esempio 4.8. fn (x) = n2 xe−nx con x > 0
Studiare convergenza puntuale in [o, +∞[, convergenza uniforme in [0, 1],
[1, +∞[, [0, +∞[
x = 0 fn (x) = 0 → 0
n2
→0
enx
f (x) = 0 ∀x ∈ [0, +∞[
x > 0x
lim sup |fn (x) − f (x)| = 0
n→∞ x∈[0,1]
|fn (x) − f (x)| = n2 xe−nx = fn (x)
devo calcolare il sup in [0, 1]
fn′ (x) = n2 e−nx − n3 xe−nx = e−nx n2 (1 − nx)
1
sup fn (x) = fn
= ne−1 → +∞
n
[0,1]
non c’è convergenza uniforme in [0, 1]
In [1, +∞[
fn′ (x) < 0
⇒
fn decrescente
⇒
sup fn (x) = fn (1) = n2 e−n → 0
x∈[1,+∞[
c’è convergenza uniforme in [1, +∞[
Non ci può essere convergenza uniforme in [0, +∞[ perchè manca in [0, 1]
157
n
Esercizio 4.1. fn (x) = x1+x
2 +n2 con x > 0
Convergenza puntuale in [0, +∞[
Convergenza uniforme in [0, +∞[, [0, 1], ]1, +∞[
P
DefinizioneP
4.1. La serie di funzioni ∞
n=1 fn (x) è totalmente convergente
∞
in (a, b) se ∃ n=1 Mn convergente a termini non negativi, tale che |fn (x)| 6
Mn ∀n ∈ N ∀x ∈ (a, b)
|fn+1 (x)| + |fn+2 (x)| + · · · + |fn+p (x)| 6 Mn+1 + Mn+2 + · · · + Mn+p
il secondo membro è la somma P
utilizzata nel criterio di Cauchy, quindi è < ε
definitivamente perchè la serie
Mn è convergente
Quindi anche il secondo membro è < ε ∀n quindi la serie è uniformemente
convergente
|fn+1 (x) + · · · + fn+p (x)| 6 |fn+1 (x)| + · · · + |fn+p (x)| 6 ε
quindi abbiamo trovato che convergenza totale ⇒ convergenza uniforme
Il viceversa in generale non è vero, infatti si consideri il seguente esempio.
P
Esempio 4.9. ∞
n=1 an
Questa è una serie numerica, cioè una serie di funzioni costanti.
La totale convergenza significa che |an | 6 Mn
X
X
Mn convergente ⇒
|an | convergente
cioè significa che la serie è assolutamente convergente.
La convergenza uniforme significa che la serie è convergente. Quindi l’esempio che cercavamo è quello di una serie numerica semplicemente convergente.
4.2.1
Serie di potenze
Sono serie del tipo
∞
X
n=0
∞
X
n=0
an x n
an ∈ R
an (x − c)n
(4.8)
c∈R
(4.9)
158
La (4.9) è una serie di potenze di centro c, dove posto x−c = t si trasforma
nella (4.8).
La (4.8) è detta anche serie di potenze di centro l’origine.
x = 0 a0 + 0 + 0 + . . . converge ed ha somma a0 . 00 per continuità si pone
uguale a 1.
Per una serie di potenze si hanno sempre le seguenti tre condizioni.
P∞
n
1.
n=0 an x converge solo per x = 0
P∞
n
2.
n=0 an x converge ∀x ∈ R
P∞
n
3. ∃r > 0 :
n=0 an x converge ∀x ∈] − r, r[ e non converge se |x| > r
Nel caso 3 la serie (4.9) convergerà in ]c − r, c + r[
Dimostrazione. Primo passo. Se ∃x̄ 6= 0 in cui (4.8) converge, allora essa
converge totalmente in ∀[a, b] ⊆] − |x̄|, |x̄|[.
Sia t : [a, b] ⊆] − t, t[ con 0 < t < |x̄|
n
t
n
n
n
n
∀x ∈ [a, b] |an x | = |an ||x| > |an |t = |an x̄ |
|x̄|
X
an x̄n convergente ⇒ an x̄n → 0 ⇒ ∃M > 0 : |an x̄n | 6 M ∀n ∈ N
n
X t n
t
t
n
è convergente
<1 ⇒
M
|an x | 6 M
|x̄|
|x̄|
|x̄|
n
t
si ha la tesi con Mn = M |x̄|
P∞
n
Secondo passo. Sia r = sup{x ∈ R :
n=0 an x è convergente}
consideriamo l’intervallo ] − r, r[
si avranno tre casi
i) r = 0
ii) r > 0
iii) r = +∞
i) ∄x̄ 6= 0 tale che la serie converga in x̄ perchè x∃x̄ < 0 allora per il primo
passo la serie dovrebbe convergere in ∀x ∈]x̄, −x̄[. dunque è verificato il
caso 1.
159
ii) r > 0 Sia x̄ > 0 :
P
an x̄n è convergente
Per il primo passo la serie converge in ∀[a, b] ⊆] − x̄, x̄[
Sia x ∈] − r, r[ e sia x̄ ∈]0, r[ : x ∈] − x̄, x̄[, per quanto detto prima la
serie converge in x.
Sia ora x̄ > r (oppure x < −r). Se la serie convergesse in x̄ si troverebbe
l’assurdo per il primo passo.
iii) r = +∞
Sia x̄ ∈ R, ad esempio x̄ > 0, e sia t > x̄ :
r = +∞).
Per il primo passo la serie in x̄ converge.
P
an tn convergente (∃t perchè
r è detto raggio di convergenza della serie.
r > 0 ] − r, r[ intervallo di convergenza, r = +∞ ] − ∞, +∞[ intervallo di
convergenza.
P
1 n
Esempio 4.10. ∞
n=1 n x con r = 1
x = 1 non converge, serie armonica.
x = −1 converge.
P
n
Esempio 4.11. ∞
n=0 x con r = 1
Serie geometrica
x = 1 non converge, x = −1 non converge
an+1 Teorema 4.14 (di D’Alambert). Se α = an è regolare allora
Se αn → 0 ⇒ r = +∞.
Se αn → +∞ ⇒ r = 0.
Se αn → l > 0 ⇒ r = 1l .
p
Teorema 4.15 (di Cauchy-Hadamand). Se βn = n |an | è regolare, allora.
Se βn → 0 ⇒ r = +∞.
Se βn → +∞ ⇒ r = 0.
Se βn → l > 0 ⇒ r = 1l .
∞
X
an x n
(4.10)
n=0
fn (x) = an xn fn′ (x) = nan xn−1
160
Possiamo prendere in considerazione la serie
∞
X
nan xn−1
(4.11)
n=1
i cui termini sono le derivate della serie di partenza. Si chiama serie derivata
della (4.11).
Si dimostra che la (4.10) e la (4.11) hanno lo stesso raggio di convergenza.
Z x
Z x
an n+1
x
fn (t) dt =
an tn dt =
n+1
0
0
∞
X
an+1 n+1
x
n
+
1
n=0
(4.12)
Si dimostra che il suo raggio di convergenza è uguale a quello della (4.10).
Quindi in ] − r, r[ per i termini di derivazione per serie e di integrazione
per serie. P
Rx
P∞
∞
n
′
n−1
f (t) dt =
f
(x)
=
:
n
=
0
a
x
si
ha
f
(x)
=
na
x
,
n
n
n=1
0
P∞ an n+1
n=0 n+1 x
P
n−1
Torniamo alla f ′ (x) = ∞
x = 0 f ′ (0) = a1 + 0 + 0 + · · · →
n=1 nan x
f ′ (0) = a1 sapevamo già che f (0) = a0
Consideriamo P
ora la serie derivata della (4.11), ha lo stesso raggio di
n−2
convergenza ed è ∞
.
n=2 n(n − 1)an x
Per il teorema di derivazione per serie la derivata della somma della (4.11)
è uguale alla somma di questa serie cioè.
′′
f (x) =
∞
X
n=2
n(n − 1)an xn−2
′′
per x = 0 f ′′ (0) = 2 · 1 · a2 · 1 = 2a2 ⇒ a2 = f 2(0)
′
′′
Quindi a0 = f (0), a1 = f ′ (0) = f 1!(0) , a2 = f 2!(0) .
′′′
Proseguendo si troverà a3 = f 3!(0) . In generale an =
Dunque la serie (4.10) si può scrivere nella forma
∞
X
f (n) (0)
n=0
n!
f (n) (0)
n!
∀n > 0.
xn
Data f che ammette derivate di qualunque ordine fissato c ∈ (a, b) si
considera la serie
∞
X
f (n) (c)
(x − c)n
n!
n=0
161
P
f (n) (0) n
Questa serie è chiamata serie di Taylor relativa . . . se c = 0 ∞
x e
n=0
n!
si chiama serie di McLaurin.
In particolare se f è la funzione somma di una serie di potenze la sua
serie di Taylor è la serie di potenze.
Si dice che f è sviluppabile in serie di Taylor in x 6= c se in x la somma
della serie di Taylor è f (x).
Ad esempio la funzione somma di una serie di potenze è sviluppabile in
serie di Taylor ∀x ∈]c − r, c + r[.
4.2.2
Condizioni sufficienti per la sviluppabilità in serie di Taylor
∃{Mn } Mn > 0 ∀n ∈ N, L > 0 : f (n) (x) 6 LMn ∀x ∈ (a, b), ∀n ∈ N
Caso particolare (corollario)
Mn = 1 ∀n se ∃L > 0 : f (n) (x) 6 L ∀x ∀n
⇒
⇒
f è sviluppabile
(si dice che le derivate sono equilimitate)
Le funzioni seno e coseno sono sviluppabili in serie di Taylor perchè
equilimitate.
Se la serie derivata della serie di Taylor converge ed ha somma f ′ (x),
allora f è sviluppabile.
infatti in (a, b) la serie derivata converge totalmente ⇒ uniformemente.
Quindi per il teorema di derivazione per serie anche la serie di Taylor è
convergente e la sua somma ha per derivata f ′ quindi è del tipo f (x) + k.
Calcolando per x = c si ha f (c) + k = f (c) + 0 + 0 + . . . ⇒ k = 0
Esempio 4.12.
f (x) = sin x
f ′ (x) = cos x
f ′′ (x) = − sin x
f ′′′ (x) = − cos x
f IV (x) = sin x
...
vale il Teorema 1 con L = 1
162
f è sviluppabile
Per c = 0
f (0) = 0
f ′ (0) = 1
f ′′ (0) = 0
f ′′′ (0) = −1
f IV (0) = 0
...
1
1
1
x + 0 − x3 + 0 + x5 + . . .
1!
3!
5!
Levando gli zeri si ha
0+
sin x = x −
x3 x5
+
+ ...
3!
5!
∀x ∈ R
Esempio 4.13.
f (x) = cos x
f ′ (x) = sin x
f ′′ (x) = − cos x
f ′′′ (x) = sin x
f IV = cos x
...
L=1
Per c = 0
f (0) = 1
f ′ (0) = 0
f ′′ (0) = −1
f ′′′ (0) = 0
f IV (0) = 1
...
1
1
1 0
x + 0 − x2 + 0 + x4 + 0 + . . .
0!
2!
4!
4
2
x
x
+
...
cos x = 1 −
2!
4!
cos x =
163
Esempio 4.14.
f (x) = ex
f ′ (x) = ex
f ′′ (x) = ex
f ′′′ (x) = ex
f IV = ex
...
per c = 0 f (n) (0) = 1
x
e =
∞
X
xn
n=0
n!
∀x ∈ R
Per vedere se ex è sviluppabile in x̄ consideriamo r > 0 : x̄ ∈ [−r, r] e in tale
intervallo vale il Teorema 1 con L = er ⇒ c’è la sviluppabilità.
Esempio 4.15.
f (x) = arctan x
1
f ′ (x) =
1 + x2
2x
f ′′ (x) = −
(1 + x2 )2
−2(1 + x2 )2 + 8x2 (1 + x2 )
6x2 − 2
f ′′ (x) =
=
(1 + x2 )4
(1 + x2 )3
12x + 12x3 − 36x3 + 12x
x − x3
12x(1 + x2 )3 − 6(1 + x2 )2 (6x2 − 2)
=
=
24
f IV =
(1 + x2 )6
(1 + x2 )4
(1 + x2 )4
2
2 4
2 3
3
(1 − 3x )(1 + x ) − 8x(1 + x ) (x − x )
f V (x) = 24
(1 + x2 )8
...
Per c = 0
f (0) = 0
f ′ (0) = 1
f ′′ (0) = 0
f ′′′ (0) = −2
f IV (0) = 0
f V (0) = 24
...
164
2
24
x3 x5
0 0 1
x + x + 0 − x3 + 0 + x5 + · · · = x −
+
+ ...
0!
1!
3!
5!
3
5
questa è la serie di McLaurin
Calcoliamo la sua serie derivata
1 − x2 + x4 + . . .
che è la serie geometrica di ragione −x2 ⇒ conv. ed ha somma
D(arctan x) ⇒ c’è la sviluppabilità
P
(9x)n
Esempio 4.16. ∞
n=1 n!
9n n
x
n!
an+1
n!
9
9n+1
· n =
→0
=
an
(n + 1)! 9
n+1
Esempio 4.17.
P (n!)2 (x+1)n
(2n)!
⇒
1
1+x2
=
r = +∞
con c = −1
[(n + 1)!]2 (2n)!
(n + 1)2
1
an+1
=
·
=
→
an
(2n + 2)! (n!)2
(2n + 1)(2n + 2)
4
⇒
r=4
] − 5, 3[ intorno di convergenza
x=3
(n!)2 4n
?
(2n)!
x = −5
(−1)n
(n!)2 5n
(2n)!
non converge perchè |an | non tende a zero
il doppio fattoriale è il prodotto dei primi numeri della stessa parità 1 ·
3 · 5 . . . (2n − 1) = (2n − 1)!!
P n!(x−4)n
Esempio 4.18.
con c = 4
1·3·5...(2n−1)
1 · 3 · 5 . . . (2n − 1)
n+1
1
(n + 1)!
an+1
·
=
→
=
an
1 · 3 · 5 . . . (2n − 1)(2n + 1)
n!
2n + 1
2
]2, 6[ intervallo di convergenza r = 2
165
r=2
P∞
Esempio 4.19.
x
t = eex +1
−1
X
n=0
∞
n=0
1
2n (n+1)
ex +1 n
x
e −1
1
tn
+ 1)
2n (n
è una serie di potenze.
n
∞
X
1 x+1
n x2 + 1
n=0
2n (n + 1)
1
→
n+1
2 (n + 2)
2
x
e +1
<2
−2 < x
e −1
Esempio 4.20.
X√
P∞ √
n=0
⇒
r=2
n + 1e−n( x−1 ) t = e−( x−1 )
x+1
x+1
n + 1tn
√
n+2
√
→1
n+1
x+1
−1 < e− x−1 < 1
⇐⇒
2
P∞
Esempio 4.21. e1+x =
n=0
x+1
>0
x−1
(4.13)
(1+x2 )n
n!
P
n+1 x2n+2
Esempio 4.22. sin(x2 ) = ∞
n=0 (−1)
n+1
P
n+1 xn+1
sin x = ∞
(−1)
∀x
n=0
n+1
Esempio 4.23.
f (x) = xex
f ′ (x) = ex (x + 1)
f ′′ (x) = ex (x + 2)
per induzione
f (0) = 0
f ′ (0) = 1
f ′′ (0) = 2
f (n) (x) = ex (x + n) ∀n
f (n) (0) = n
f (n+1) (x) = ex (x + n + 1)
166
∞
X
n n
x
n!
n=0
∞
X
n=0
xn
(n − 1)!
x ∈ [−k, k] ⇒ ex 6 ek
x + n < (k + 1)n ∀x ∈ [−k, k]
n=0x<1
per induzione
x + n + 1 < (k + 1)n+1 ?
(x + n)P+ 1 < (k + 1)n < (k + 1)n+1 vera
xn
xex = ∞
n=0 (n−1)! ∀x ∈ R
Esempio 4.24 (esercizio assegnato precedentemente). fn (x) =
x = 0 fn (0) n12 → 0
x > 0 fn (x) → 0 se x < 1
2
fn (x) 1+n
2 → 0 se x = 1
x>1
1 + xn
=
x 2 n2
1
+1
xn
2
2
x
+ xnn
xn
1+xn
x2 +n2
x>0
→ +∞
il numeratore tende a 1, i due addendi al denominatore tendono a 0.
converge in [0, 1] f (x) = 0.
vediamo la convergenza uniforme.
lim sup |fn (x) − f (x)| = lim sup fn (x)
n→∞ x∈[0,1]
n→∞ x∈[0,1]
nxn−1 (x2 + n2 ) − 2x(1 + xn )
nxn+1 + n3 xn−1 − 2x − 2xn+1
=
=
(x2 + n2 )2
(x2 + n2 )2
= nxn−1 (x2 + n2 ) − 2x(xn + 1)
fn′ (x) =
x2 + n2 > x2 + 1 nxn−1 > 2x nxn−2 > 2 xn−2 > n2 si
definitivamente la funzione è crescente
2
quindi definitivamente sup = f (1) = 1+n
2 → 0
uniforme.
167
⇒ c’è convergenza
Appendice A
Formazione Analitica 1
A.1
A.1.1
Trigonometria (Draft)
Identità
sin2 (x) + cos2 (x) = 1
A.1.2
(A.1)
Formule goniometriche
Formule di addizione e sottrazione
sin(x ± y) = sin x cos y ± cos x sin y
cos(x ± y) = cos x cos y ∓ sin x sin y
tan x ± tan y
tan(x ± y) =
1 ∓ tan x tan y
(A.2)
(A.3)
(A.4)
Formule di duplicazione
sin(2x) = 2 sin x cos x
cos(2x) = cos2 x − sin2 x = 2 cos2 x − 1 = 1 − 2 sin2 x
2 tan x
tan(2x) =
1 − tan2 x
168
(A.5)
(A.6)
(A.7)
Formule di bisezione
r
1 − cos x
2
2
r
x
1 + cos x
cos
=±
2
2
r
x
1 − cos x
sin x
1 − cos x
tan
=
=
=±
2
1 + cos x
1 + cos x
sin x
r
x
1 + cos x
sin x
1 + cos x
=
=
=±
cot
2
1 − cos x
sin x
1 − cos x
sin
A.2
x
=±
(A.8)
(A.9)
(A.10)
(A.11)
Successioni a valori reali
Teorema A.1 (del confronto per le successioni). Siano {an } e {bn } due
successioni, con an 6 bn ∀n ∈ N
Allora
an → +∞
bn → −∞
A.3
⇒
⇒
bn → +∞
an → −∞
Limiti notevoli
Limite notevole A.1.
√
lim n n = 1
n
Limite notevole A.2.
√
n
lim n2 = 1
n
Limite notevole A.3. Sia α > 0, allora
lim
n
nα
= +∞
log n
Limite notevole A.4. Sia a > 1, allora
lim
n
an
= +∞
n
169
Limite notevole A.5. Sia an → +∞
a
1 n
=e
lim 1 +
n
an
Limite notevole A.6. Siano α > 0, yn → 0+
(1 + yn )α − 1
=α
n
yn
Limite notevole A.7. Sia xn > 0, xn → 0
lim
sin(xn )
=1
n
xn
Limite notevole A.8. Sia xn > 0, xn → 0
1
1 − cos xn
=
lim
n
xn
2
Limite notevole A.9.
α n
lim 1 +
= eα
n
n
lim
A.4
Regole di derivazione
Derivata della combinazione lineare
D (c1 f (x) + c2 g(x)) = c1 f ′ (x) + c2 g ′ (x)
(A.12)
Derivata del prodotto
p′ (c) = f ′ (c)g(c) + f (c)g ′ (c)
⇒
p(x) = f (x)g(x)
(A.13)
Derivata della funzione reciproca
ϕ(x) =
1
f (x)
⇒
ϕ′ (c) = −
f ′ (c)
(f (c))2
(A.14)
⇒
f ′ (c)g(c) − f (c)g ′ (c)
q (c) =
(g(c))2
(A.15)
Derivata del quoziente
f (x)
q(x) =
g(x)
′
Derivata della funzione composta
ϕ(x) = g(f (x))
⇒
ϕ′ (c) = f ′ (c)g ′ (f (c))
(A.16)
Derivata della funzione inversa
ϕ(x) = f −1 (x)
⇒
ϕ′ (f (c)) =
170
1
f ′ (c)
(A.17)
A.5
Formule di derivazione
f (x) = ax
per a = e
⇒
f (x) = loga x
per a = e
A.5.1
⇒
D(loga x) =
D(log x) =
1
x
1
loga e
x
(A.18)
(A.19)
(A.20)
(A.21)
Funzioni trigonometriche
f (x) = sin x
f (x) = cos x
⇒
⇒
f (x) = arcsin x
⇒
f (x) = arccos x
⇒
f (x) = tan x
⇒
f (x) = arctan x
⇒
f (x) = cot x
⇒
f (x) = arccot x
⇒
A.6
f ′ (x) = ax log a
a > 0, a 6= 1
⇒
x
⇒
D(e ) = ex
f ′ (x) = cos x
f ′ (x) = − sin x
1
f ′ (x) = √
1 − x2
1
f ′ (x) = − √
1 − x2
1
= 1 + tan2 x
f ′ (x) =
cos2 x
1
f ′ (x) =
1 + x2
1
f ′ (x) = − 2 = 1 + cot2 x
sin x
1
f ′ (x) = −
1 + x2
(A.22)
(A.23)
(A.24)
(A.25)
(A.26)
(A.27)
(A.28)
(A.29)
Appunti sparsi da integrare
Teorema A.2 (Principio d’identità dei polinomi). due polinomi sono identici
se hanno uguali i coefficienti delle lettere dello stesso grado ed i termini noti
A.6.1
Teoria dei polinomi
171