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LICEO CLASSICO STATALE “F. CAPECE” Indirizzi: Classico, Linguistico EsaBac, Scientifico, Linguistico Internazionale Spagnolo Piazza A. Moro, 37 - 73024 Maglie (Le) Tel. 0836/484301 Web: www.liceocapece.gov.it – Email: [email protected] Posta certificata: [email protected] SVOLGIMENTO DELLA PRIMA PROVA -CLASSI TERZEMAGLIE, 5 MAGGIO 2016 TIPOLOGIA B - REDAZIONE DI UN “SAGGIO BREVE” O DI UN “ARTICOLO DI GIORNALE” (puoi scegliere uno degli argomenti relativi ai quattro ambiti proposti) CONSEGNE Sviluppa l’argomento scelto o in forma di «saggio breve» o di «articolo di giornale», utilizzando, in tutto o in parte, e nei modi che ritieni opportuni, i documenti e i dati forniti. Se scegli la forma del «saggio breve» argomenta la tua trattazione, anche con opportuni riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze di studio. Premetti al saggio un titolo coerente e, se vuoi, suddividilo in paragrafi. Se scegli la forma dell’«articolo di giornale», indica il titolo dell’articolo e il tipo di giornale sul quale pensi che l’articolo debba essere pubblicato. Per entrambe le forme di scrittura non superare cinque colonne di metà di foglio protocollo. 1. AMBITO ARTISTICO - LETTERARIO ARGOMENTO: IL TEMA DELLA DIGNITÀ DELL’UOMO NELLA CULTURA UMANISTICA 2. AMBITO SOCIO-ECONOMICO ARGOMENTO: IL VALORE E IL SIGNIFICATO DEL DENARO NELLA SOCIETÀ CONTEMPORANEA. 3. AMBITO STORICO – POLITICO ARGOMENTO: LA GRADUALE GESTAZIONE DELLO STATO 4. AMBITO TECNICO - SCIENTIFICO ARGOMENTO: Il deserto avanza. 1 AMBITO ARTISTICO-LETTERARIO ARGOMENTO: Il tema della dignità dell’uomo nella cultura umanistica Quale armonia di membra, quale conformazione di lineamenti, quale aspetto e forma possono essere pensati più belli di quelli dell'uomo? [...] Per questo motivo non mancarono uomini dotti e sapienti che, considerando attentamente tutte le caratteristiche e g1i altri meccanismi del corpo umano, ritennero che una creazione simile fosse stata fatta in guisa della forma del mondo: per tale ragione si è creduto che l'uomo sia stato detto dai Greci microcosmo, quasi piccolo mondo. Ma che dire dell’ ingegno sottile ed acuto di quest'uomo cosi bello e ben fatto? Esso è così grande e tale che tutto ciò che è apparso nel mondo dopo quella prima e ancora informe creazione appare trovato prodotto e compiuto da noi mediante quel singolare ed eminente acume della mente umana. Nostre infatti, e cioè umane perché fatte dagli uomini, sono tutte le cose che si vedono, tutte le case, i villaggi, le città, infine tutte le costruzioni della terra, che sono tante e tali, che per la loro grande eccellenza dovrebbero a buon diritto essere ritenute opere piuttosto di angeli che di uomini. Sono nostre le pitture, nostre le sculture, le arti, le scienze, nostra la sapienza, lo vogliano o non lo vogliano gli accademici, che pensavano che nulla affatto può essere conosciuto da noi fuorché, per dir così, l’ ignoranza. Nostre sono infine, per non numerarle troppo lungamente ad una ad una, poiché sono quasi infinite, tutte le invenzioni, nostra opera tutti i generi delle varie lingue e delle varie lettere, i cui usi necessari quanto più profondamente andiamo ripensando, da tanta maggiore ammirazione e stupore noi siamo trascinati. (G. Manetti, De dignitate et excellentia hominis, II-III) La novità della tesi di Manetti risiede soprattutto nella decisione con cui si combatte il pessimismo medievale, ch'era ancora rappresentato nella tradizione letteraria dal trattatello di Innocenzo III (1160- 1216): il De contemptu mundi (Il disprezzo del mondo), che ebbe una diffusione enorme in tutto l'Occidente europeo come la più dolorosa immagine dell'abbietta condizione umana. Ora il Manettì oppone ai termini rinunciatari e mortificanti di questa posizione ascetica la vitalissima e concreta attività dell'uomo, l’immensa energia di cui è dotato il suo intelletto, le inesauribili risorse del suo spirito, l’ineguagliabile privilegio di portare dentro di sé l'immagine divina. Nella sua essenza morale e nel suo destino mondano l'uomo è come tramite fra Dio e il creato, è il più immediato signore delle cose. Anche nella stessa lotta in cui l'animo è impegnato tra il bene e il male, fra la gioia e l’infelicità, fra la vita e la morte, si attua e si dispiega un'esperienza sconfinata ed eroica. (S. Battaglia, La letteratura italiana. Medioevo e Umanesimo, Sansoni, Firenze 1971) Stabilì finalmente l'ottimo Artefice (Dio) che a colui, cui nulla poteva dar di proprio (ovvero all’uomo), fosse comune tutto ciò che singolarmente aveva assegnato agli altri. Accolse perciò l’uomo come opera di natura indefinita e postolo nel cuore del mondo cosi gli parlò: «Ti posi nel mezzo del mondo, perché di là meglio scorgessi tutto ciò che è nel mondo. Non ti ho fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, perché di te stesso quasi libero e sovrano artefice ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che tu avessi prescelto. Tu potrai degenerare nelle cose inferiori, che sono i bruti; tu potrai rigenerarti, secondo il tuo volere, nelle cose superiori che sono divine». (P. della Mirandola, Oratio de hominis dignitate , trad. it. di C. Carena, Berlusconi, Milano 1995). La tesi di Pico della Mirandola è veramente notevole: ogni realtà esistente ha una sua natura che condiziona la sua attività per cui il cane vivrà caninamente, e leoninamente il leone. L’uomo, invece, non ha una natura che lo costringa, non ha un'essenza che lo condizioni. L’uomo si fa agendo, l'uomo è padre a se stesso. L’uomo non ha che una condizione: l'assenza di condizioni, la libertà. La sua costrizione è la costrizione a essere libero, a scegliere la propria sorte, a costruirsi con le sue mani l'altare di gloria o le catene della condanna. Il Manetti aveva parlato di un uomo creatore del mondo dell'arte; Ficino di un orizzonte dei mondi. Per Pico la condizione umana è di non aver condizione, di essere veramente un quis (qualcuno), non un quid (qualche cosa), una causa, un atto libero. E l'uomo è tutto, perché può essere tutto, animale, pianta, pietra; ma anche angelo e «figlio di Dio». E la immagine e somiglianza di Dio è qui: nell'essere causa, libertà, azione; nell'essere risultato del proprio atto. Questo lucido puntare su un'esistenza che contrae e risolve in sé l'essenza, che trova l’unica condizione nella propria libera scelta, e che quindi non può non 2 concludere a una posizione dell' uomo-persona fra persone e di fronte alla Persona; che non può non sboccare a una superiorità del volere e dell'amore sull'astratto sapere. (E. Garin, L’umanesimo italiano, Laterza, Bari 1959). L’uomo è detto da li antiqui mondo minore, e certo la dizione di esso nome è ben collocata imperò che, sì come l' uomo è composto di terra, acqua, aria e fuoco, questo corpo della terra è simigliante. Se l'uomo ha in sé ossa, sostenitori e armadura della carne, il mondo ha i sassi sostenitori della terra. Se l'uomo ha in sé il laco del sangue, dove cresce e discresce il polmone nello alitare, il corpo della terra ha il suo oceano mare, il quale, ancora lui, cresce e discresce ogni sei ore per lo alitare del mondo. Se dal detto lago di sangue deriva le vene, che si vanno ramificando per 1o corpo umano, similmente il mare oceano empie il corpo de la terra d’infinite vene d'acqua. (L. da Vinci, Codice Atlantico, foglio 55 v., Giunti, Firenze 1973-1980). […] È non mi è incognito come molti hanno avuto e hanno opinione che le cose del mondo sieno in modo governate dalla fortuna e da Dio, che li uomini con la prudenzia loro non possino correggerle, anzi non vi abbino remedio alcuno; e per questo potrebbero iudicare che non fussi da insudare molto nelle cose [che non valga la pena di affaticarsi troppo nell’azione], ma lasciarsi governare alla sorte. Questa opinione è suta piú creduta ne’ nostri tempi per la variazione grande delle cose che si son viste e veggonsi ogni dí, fuora di ogni umana coniettura. A che pensando, io qualche volta mi sono in qualche parte inclinato nella opinione loro. Nondimanco [Tuttavia] perché il nostro libero arbitrio non sia spento, iudico potere essere vero che la fortuna sia arbitra della metà delle azioni nostre, ma che etiam lei ne lasci governare l’altra metà, o presso, a noi. (N. Machiavelli, Il Principe, cap. XXV, in Tutte le opere, M. Martelli, Sansoni Firenze 1971). L’Uomo al centro del mondo? “Prese dunque l’uomo…e dopo averlo collocato al centro del mondo, così gli si rivolse: Ti ho collocato nel centro del mondo perchè da lì potessi meglio osservare tutto quanto è nel mondo”. Con queste parole il creatore si rivolge alla sua creatura in uno dei testi fondamentali dell’Umanesimo, l’Orazione sulla dignità dell’uomo di Pico della Mirandola. Negli stessi anni Leonardo da Vinci dà visibilità e fondamento scientifico alle parole di Pico della Mirandola con l’immagine che meglio di qualsiasi altra rappresenta la visione umanistica dell’uomo e del suo posto nell’universo. Perfettamente contenuto in un cerchio, con al centro del cerchio l’ombelico, “centro” dell’uomo, l’esser umano si presenta nella sua divinità, perfezione e centralità. Ma proprio mentre Leonardo disegna il proprio uomo vitruviano, Cristoforo Colombo già si spinge oltre i limiti del mondo conosciuto, e la scoperta delle Americhe e di altri uomini oltre l’Oceano implicherà presto nuove riflessioni sulla posizione dell’essere umano nel creato e nella storia. Infine, già a partire dalla metà del Cinquecento, la “rivoluzione astronomica” copernicana svela una più grave illusione ottica: il Sole, e non la Terra, occupa il centro dell’Universo, dal quale ora di necessità, viene strappato via l’uomo insieme al suo pianeta. Per paradosso nel momento stesso in cui l’uomo esalta le proprie capacità e la scienza affina i suoi strumenti e acuisce la vista dell’osservatore, questi è condannato a scoprire che non guarda più il cosmo dal centro, ma dall’esterno, da una posizione irrimediabilmente periferica. (C. Bologna, P. Rocchi in Letteratura, Loescher Editore, Torino 2014) 3 AMBITO SOCIO - ECONOMICO ARGOMENTO: Il valore e il significato del denaro nella società contemporanea. DOCUMENTI «I soldi non fanno la felicità», così recita un proverbio tra i più famosi. Questa semplice frase, in apparenza banale, non è più parte soltanto della saggezza popolare. Non è nemmeno una mia opinione personale, o l’ossessione di qualche psicologo. È una convinzione sempre più diffusa anche tra i politici e gli economisti, i grandi esperti in materia di denaro. [...]. Non basta quindi valutare il reddito di una persona, bisogna considerare anche le sue possibilità di vivere a lungo, di sottrarsi a malattie evitabili, di trovare un impiego decente e di abitare all’interno di una comunità pacifica e libera dal crimine. Per questo motivo, occorre ragionare non in termini di interesse individuale, ma di scelta sociale. Lo stesso sviluppo economico non può coincidere quindi con un aumento del reddito (della quantità), ma con un miglioramento della qualità della vita. Per concludere queste riflessioni sui recenti sviluppi del pensiero economico, mi pare giusto citare un altro Nobel per l’economia: questa volta uno psicologo. Si tratta di Daniel Kahneman, premiato nel 2002 per aver integrato i risultati della ricerca psicologica nella scienza economica. Impegnato da decenni a dimostrare come i mercati non siano guidati da comportamenti razionali e pianificati, come si è a lungo sostenuto, Kahneman ha commentato così il successo dei suoi studi e di molte ricerche simili: «La chiesa dell’economia ha ammesso nelle sue fila e persino premiato alcuni studiosi che in passato sarebbero stati bollati come eretici». L’eresia di Kahneman e di molti altri studiosi si chiama «economia della felicità», un’economia basata sullo studio attento di emozioni, speranze e paure. È partita, insomma, dall’interno dell’economia una riflessione sul senso dell’uomo e sui suoi desideri, che potrà certamente cambiare il significato stesso dell’economia e in termini generali il ruolo del denaro nella vita dell’uomo. E sembra che si voglia delineare un nuovo umanesimo.. V. Andreoli, Il denaro in testa, Rizzoli, Milano 2011 Il lusso è anche, se non soprattutto, spreco. [...] Lo spreco deve essere visto da tutti; deve essere pubblico, coram populo. Ha almeno due funzioni precise: la prima è connessa con la distinzione sociale, segnala una persona o un gruppo dotati di particolare abilità di spendere e - importante - che non ha bisogno di lavorare e guadagnare per vivere; la seconda è una funzione essenzialmente economica in senso proprio; non è più «consumo onorifico»; il lusso può essere visto come fattore di sviluppo, occasione di ampliamento per il ciclo economico, addirittura matrice genetica del capitalismo e quindi della società industriale. [...]. È dunque possibile, nel fenomeno «moda», scorgere con nitidezza la compresenza e l’eventuale scontro di due modelli umani che però sembrano entrambi necessari alla costituzione dell’individuo e della società: homo ludens e homo faber, vale a dire il lusso come momento dell’involontarietà che però presuppone il momento della coercizione. Siamo probabilmente entrati ormai in un mondo in parte fatuo, in cui lo spreco sistematico esercita una paradossale, ma reale, funzione produttiva e, nello stesso tempo, in un mondo per gran parte ancora alle prese con i problemi della mera sussistenza, un mondo in cui lo sforzo dello sfarzo non copre la miseria endemica né l’apparenza appariscente può far dimenticare atroci sofferenze non necessarie. F. Ferrarotti, Lusso, moda, consunto onorifico, in Capitalismo: lusso o risparmio?, Donzelli, Roma 2008 È stata una donna di un villaggio1, Sufiya Begum, a farmi capire dove stava il problema. Come tante altre donne, Sufiya viveva con il marito e i bambini ancora piccoli in una fatiscente capanna di fango con il tetto di paglia pieno di buchi. Il marito lavorava a giornata per pochi penny, quando riusciva a trovare lavoro. Lei, invece, fabbricava con notevole abilità funzionali ed eleganti sgabelli di bambù nella fangosa aia della sua abitazione. Eppure, anche in questo caso per qualche ragione tutta la sua dura fatica non riusciva a tirar fuori la famiglia dalla povertà. Parlandole, finalmente riuscii a capire perché. Come quasi tutti nel villaggio, Sufiya si faceva anticipare dagli strozzini locali il denaro che le serviva per comprare il bambù per gli sgabelli, e lo strozzino le dava il denaro solo se lei acconsentiva a consegnargli tutta la produzione al prezzo che lui stabiliva. Grazie a questo infame accordo e agli alti interessi che doveva pagare sul prestito, tutto quello che le restava erano solo due penny per una giornata di lavoro. In questo modo per lei era praticamente impossibile uscire dalla povertà poiché era costretta a procurarsi gli anticipi che le servivano per lavorare, per quanto modesti fossero, a condizioni capestro. Tutto ciò non meritava il nome di prestito, nel senso comune della parola, ma piuttosto quello di riduzione in schiavitù. […] 4 Che lezione, per un professore di economia come me! Mentre me ne stavo lì a parlare ai miei studenti del piano quinquennale di sviluppo del nostro paese, con i suoi ambiziosi investimenti di miliardi di dollari per la lotta alla povertà, nella realtà un abisso incredibile si spalancava fra quei miliardi promessi e la miserevole somma di cui quelle poche persone avevano bisogno per non morire di fame. Offrii di tasca mia l’equivalente di ventisette dollari pur di strappare quella gente dalle grinfie degli strozzini. L’entusiasmo che si propagò fra loro per questo piccolo aiuto mi convinse ad andare avanti: se potevo rendere felice tante persone con una somma così irrisoria perché non fare le cose in grande? […] Cominciai così a bussare alle porte degli uffici governativi per ottenere il permesso di costituire una banca speciale in deroga alla normativa vigente. Finalmente ci riuscii e nel 1983 la banca per i poveri vedeva la luce nel quadro di una legge varata apposta per renderla possibile. Decidemmo di chiamarla Grameen Bank. 1. di un villaggio: si tratta di un villaggio situato in Bangladesh; il colloquio è avvenuto durante la carestia del 19741975 M. Yunus, Un mondo senza povertà, Feltrinelli, Milano 2010 Viviamo nell’epoca del più grande spostamento dei confini tra ricchezza e povertà. [...] Metà del pianeta, in quell’emisfero Sud dove ancora è diffusa la miseria, guarda con speranza e ammirazione al decollo dei giganti asiatici che hanno conquistato un nuovo benessere per centinaia di milioni di persone. Un altro pezzo del mondo - soprattutto il vecchio continente europeo - è oppresso invece da paura e pessimismo. [...]. C’è nella lettura più catastrofista della globalizzazione una testarda battaglia di retroguardia. Si dimentica spesso che l'ultima spinta decisiva verso la globalizzazione negli anni Novanta 1’abbiamo voluta noi, europei e americani, l’abbiamo governata noi, abbiamo definito le regole del gioco, superando le resistenze di chi in Asia temeva di arrivarci impreparato e quindi di essere ricolonizzato dall’Occidente. La partita non ha seguito il copione previsto. I deboli si sono scoperti forti, i detentori della vecchia egemonia culturale si sentono incalzati. Non è una buona ragione per passare da una visione idilliaca della globalizzazione - il circolo virtuoso, il gioco a somma positiva, in cui vincono tutti - alla caricatura opposta di chi predica che stiamo tutti diventando più poveri. Stiamo vivendo una rivoluzione mondiale. F. Rampini, La speranza indiana, Mondadori, Milano 2007 AMBITO STORICO-POLITICO ARGOMENTO: LA GRADUALE GESTAZIONE DELLO STATO La formazione degli Stati europei è la conseguenza del processo di dissoluzione delle strutture medioevali e del contemporaneo fiorire di più libere forme di civiltà. Le vicende del periodo compreso tra la metà del XIV secolo e la metà del XVI non sono segnate dalla politica di questo o di quel sovrano, ma dalla trasformazione dell’ intera società. «Non è affatto paradossale affermare che sovente i nuovi Stati si sono formati malgrado le mire e i tornei guerreschi dei loro principi: come è del tutto certo che quando a questi ultimi è arriso il successo ciò è derivato dalla coincidenza della loro azione con le forze profonde del Paese che rappresentavano». E’ di questo periodo un importante processo di liberazione dalle strutture feudali; le scosse demografiche si connettono alle dinamiche dell'economia mercantile e monetaria, rinnovando profondamente la fisionomia della società agricola e cittadina, “a tutto svantaggio della chiusa e particolaristica gerarchia feudale” . A.DESIDERI, Storia e Storiografia, vol. I, D’Anna, Firenze, p.658. Quel che ancora oggi intendiamo con la parola “Stato”, cioè una struttura politica che abbia il monopolio del potere e lo eserciti in maniera impersonale, incisiva e diffusa sull’intero 5 territorio di competenza, ha avuto una genesi storica. Questa genesi rappresenta uno dei principali temi della storiografia dell'età moderna [...]. Due elementi principali in riferimento ai quali gli studiosi hanno dato conto della progressiva crescita della capacità di governo e della progressiva spersonalizzazione del potere attuate in epoca moderna dalla dinamica statale sono in primo luogo lo svincolamento del ruolo pubblico dal legame di fedeltà individuale, e lo sviluppo di una efficiente burocrazia amministrativa (ovviamente connesso anche a necessità militari, economiche e fiscali); in secondo luogo la desacralizzazione della sovranità regia, per cui il re diventerà in prospettiva un mero esecutore della legge nelle monarchie costituzionali. Tali fenomeni furono tuttavia dei lenti e contrastatissimi processi, nient'affatto un esito implicito fin dall'inizio nei presupposti storici dell'età moderna. R. BIZZOCCHI, Guida allo studio della storia moderna, Laterza, Bari, 2002, p.61. Come nel regno di Francia, così in quello di Spagna, il crescente prestigio dei sovrani ed i loro urgenti bisogni lori c militari rese possibile ai Re Cattolici e ai loro ori Carlo V e Filippo II di estendere più ampiamente la loro autorità. Seguendo l'esemplo del re di Francia che aveva assimilato ai propri domini le ultime roccaforti feudali del regno - le terre dei Borboni in Alvernia e il Borbonese- essi inghiottirono ricchi e indipendenti appannaggi estendendo enormemente la loro autorità, il loro patronato, i loro possessi terrieri e le loro entrate. Lo spirito di indipendenza delle città della Castiglia fu domato con la nomina di corregidores, funzionari reali con estesi poteri giudiziari e amministrativi, e le Cortes della Castiglia furono costrette a convertire í loro sussidi straordinari, i servicios in sussidi permanenti. J. SHENNAN, Le origini dello stato moderno in Europa, Il Mulino, Bologna, 1974, p.71. Per molti secoli, in effetti - sostanzialmente, dal XIII secolo fino a un Settecento molto avanzato -, la rappresentazione di gran lunga più condivisa del potere pubblico ha continuato a trovare il proprio paradigma elementare nell'atto del giudicare. Assuefatti da una lunga tradizione storiografica a vedere innanzitutto nell'età moderna la grande fucina del volontarismo giuridico, tendiamo spesso a dimenticare che tutta la grande produzione giusfilosofica del Cinque-Seicento volta a esaltare la «libertà del volere» dei principi trova il suo specifico proprio nel contrapporsi a un senso comune ancora tutto imbevuto di ontologismo e di valori medievali, per il quale era del tutto ovvio che il diritto di comandare potesse essere pensato soltanto come strumento per la difesa di un ordine già dato. Tutta la monumentale letteratura giuridico-pratica di questi secoli testimonia fino alla sazietà la diffusione di questo convincimento, che continua a essere riproposto utilizzando metafore e schemi ordinatori elaborati in pieno Medioevo, pur nel quadro di Stati che avevano ormai assunto una univoca connotazione assolutista. L. MANNORI, Giustizia e amministrazione, Laterza, Bari, 2004, p.63. Se da una parte lo stato nuovo si definì meglio nello spazio, dall'altra tuttavia non si identificò sulla base della nazionalità, intesa come una comunità di persone abitanti all'interno di rigide frontiere. Fu necessario molto tempo perché lo stato giungesse a imporre loro una nazionalità e per questo si dovette attendere che lo stato divenisse 6 nazionale. [...] La guerra, da una parte, fece sorgere in alcuni ambienti un sentimento nazionale, dall'altra impose a tutti una nazionalità. [...] La nazionalità era diventata una scelta obbligatoria. Nessun principe, tuttavia, avrebbe potuto imporre ai suoi sudditi una nazionalità senza il loro consenso. Nel Quattrocento uno Stato non può esistere senza essere fondato su una nazione. II sentimento nazionale del Medioevo e il suo ruolo nella formazione dello stato furono oggetto di controversie. F.AUTRAND, Crisi e assestamento delle grandi monarchie quattrocentesche, UTET, Torino, 1986 p.732. AMBITO TECNICO - SCIENTIFICO ARGOMENTO: Il deserto avanza. DOCUMENTI "Non è un problema di ricchi o poveri, di nord o sud. Si verifica in tutte le regioni". Ban Ki Moon, durante il World Economic Forum di Davos del 2008 Acqua azzurra, acqua chiara, acqua sprecata. Agli Italiani piace così: tanta, abbondante, a fiumi dai rubinetti. La risorsa più importante del pianeta viene dilapidata con indifferenza record. [...] il nostro paese si piazza al 23° posto tra le 80 nazioni che nel prossimo decennio conosceranno la crisi idrica. Molte delle guerre del secolo si sono combattute per il petrolio, ma quelle di questo secolo lo saranno per l’acqua. Anita Neri, “Modus vivendi” (Rivista di Scienza, Natura e Stili di Vita) Ma è nell’agricoltura che i problemi causati dai mutamenti del clima e dal tumultuoso aumento della popolazione e dei consumi hanno maggior rilievo. La perdita dei terreni coltivabili procede in maniera inarrestabile. [...] Le cause sono molteplici: l’erosione causata da irrazionali metodi di coltivazione; la salinità dovuta all’innalzamento della falda marina; l’urbanizzazione: case, strade, ville, supermercati, industrie, parcheggi, ma anche campi da golf. Fulco Pratesi, Sempre meno terre coltivate Le riserve mondiali di cereali precipitano a soli 50 giorni - In trent' anni la campagna italiana ha perso 3, 5 milioni di ettari, “Corriere della sera” – 15 giugno 2007 Assume grande importanza la decisione in ambito ISO, l’ente di standardizzazione internazionale, di realizzare una norma per identificare e promuovere le buone pratiche in grado di contrastare i processi di desertificazione. Il progetto è guidato dall’australiana Beverley Henry, professoressa alla Queensland University ed esperta di agricoltura sostenibile e gestione dei suoli. “Abbiamo di fronte un fenomeno preoccupante, in continua espansione”, sostiene Henry. “Ogni anno vengono persi circa 24 miliardi di tonnellate di terreno fertile e nelle zone asciutte un’area di 12 milioni di ettari, pari a tre volte la Svizzera, diventa deserto.” Daniele Pernigotti, Desertificazione, la nuova emergenza,“La Stampa” – 27 settembre 2013 Sos di Legambiente: la desertificazione avanza pericolosamente nel Sud dell’Italia. Ad essere fortemente a rischio sono Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia. Situazione particolarmente grave in Sardegna, dove il pericolo desertificazione riguarda ben il 52% del territorio regionale, di cui l’11% già colpito. A forte rischio anche la Sicilia, le piccole isole e la Puglia. Questi i dati allarmanti sono stati presentati dall’organizzazione ambientalista in un recente dossier sugli ecoprofughi. La desertificazione infatti, si può considerare come la fase finale del degrado chimico, fisico e biologico in quanto la terra perde irreversibilmente la capacità di sostenere la produzione agricola e forestale, e anche se le piogge tornano a bagnare i suoli, il degrado, che ormai è in atto, non regredisce anzi molto spesso peggiora. Manuel Mazzoleni, La desertificazione avanza al Sud - http://www.3bmeteo.com/giornalemeteo/la+desertificazione+avanza+al+sud-3661, visitato il 25 aprile 2015 7 Entro la fine di questo secolo le previsioni parlano di una significativa riduzione delle precipitazioni soprattutto estive - nel bacino del Mediterraneo, e di aumenti delle temperature tra 4 e 6 gradi. L'unione di questi due fattori genererà forte aridità. Paradossalmente i cambiamenti climatici si potrebbero mitigare, se dovessimo riuscire a cambiare in tempo la nostra politica energetica. La desertificazione invece non si bloccherebbe, perché è legata anche alla cattiva gestione del territorio. [ … ] il problema non riguarda la Terra, ma l'uomo. Queste tematiche sono importanti per gli effetti che avranno su di noi, non tanto sul pianeta. La Terra prima o poi tornerà in equilibrio. Ma cosa comporterà per l'uomo la desertificazione di una parte importante del pianeta? L'orizzonte temporale in ogni caso è molto vicino e i paesi del bacino del Mediterraneo sono tra i più fragili. Non solo per il loro equilibrio ecologico ma anche per quello antropico. Ne sono un esempio le migrazioni di cui siamo già testimoni. Molte delle persone che arrivano da noi non fuggono dalla guerra, ma da territori resi inospitali e invivibili dalla desertificazione. In poche parole, sono rifugiati ambientali. E il loro numero è destinato a crescere esponenzialmente nel prossimo futuro. […] Venendo all'Italia, gli ultimi rapporti ci dicono che circa il 21% del territorio nazionale è a rischio desertificazione e circa il 41% di questo territorio si trova nel Sud. Sono numeri impressionanti che raccontano di un problema sempre più drammatico ma di cui si parla pochissimo. In Sicilia le aree affette, cioè che potrebbero essere interessate da desertificazione sono addirittura il 70%, in Puglia il 57%, nel Molise il 58%, in Basilicata il 55%, mentre in Sardegna, Marche, Emilia Romagna, Umbria, Abruzzo e Campania sono comprese tra il 30 e il 50%. Tornando a livello nazionale, il 32,5% del territorio è ad alto rischio di desertificazione, il 20% ha sensibilità bassa, mente solo il 6% non è sensibile a questo problema. Mauro Centritto, direttore CNR Istituto per la valorizzazione del legno e delle specie arboree di Firenze – 26 agosto 2015 8