Scarica il pdf completo

Transcript

Scarica il pdf completo
PENSARE IL MEDITERRANEO
Una sfida per le religioni
di
Stefano Allievi
Se Erodoto, il padre della storiografia, vissuto nel V secolo avanti Cristo, rifacesse oggi il
suo viaggio nel Mediterraneo, mescolandosi ai turisti di oggi, andrebbe incontro a
numerose sorprese. E non solo, come ovvio, a causa delle mirabilia tecnologiche, o della
mutata foggia degli abiti e delle città. "Quei frutti d'oro tra le foglie verde scuro di certi
arbusti -arance, limoni, mandarini- non ricorda di averli mai visti nella sua vita. Sfido!
Vengono dall'Estremo oriente, sono stati introdotti dagli arabi. Quelle piante bizzarre dalla
sagoma insolita, pungenti, dallo stelo fiorito, dai nomi astrusi -agavi, aloé, fichi d'India-,
anche queste in vita sua non le ha mai viste. Sfido! Vengono dall'America. Quei grandi
alberi dal pallido fogliame che pure portano un nome greco, eucalipto; giammai gli è
capitato di vederne di simili. Sfido! Vengono dall'Australia. E i cipressi, a loro volta, sono
persiani. Questo per quanto concerne lo scenario. Ma quante sorprese, ancora, al momento
del pasto: il pomodoro, peruviano; la melanzana, indiana; il peperoncino, originario della
Guyana; il mais, messicano; il riso, dono degli arabi; per non parlare del fagiolo, della
patata, del pesco, montanaro cinese divenuto iraniano, del tabacco". Questo periplo mediterraneo, immaginario quanto istruttivo, di Erodoto, se lo è inventato
lo storico francese Lucien Febvre per farci capire che occorre saper guardare al di là del
nostro orizzonte domestico. Quello che viene dal altrove diventa parte di noi; del nostro
paesaggio esteriore, ma anche del nostro paesaggio interiore, della nostra identità: "Una
Riviera senza aranci, una Toscana senza cipressi, il cesto di un ambulante senza
peperoncini... che cosa può esservi di più inconcepibile, oggi, per noi?" Tutte cose
'straniere': ma tutte cose che, oggi, fanno parte della nostra cultura. Quello che qui accade,
o che si vede (e persino quello che si mangia!) ha una storia più 'larga', oltre che più lunga,
di quel che crediamo.
Pensare in grande, dunque, conoscere al di là dei nostri orizzonti più consueti e familiari, è
una necessaria precondizione per dimostrare di saper pensare il piccolo: di saper pensare
noi stessi. Anche in funzione dell'agire. Come ci ha insegnato uno dei pochi slogan davvero
significativi del movimento ambientalista: "Pensare globalmente, agire localmente". I
problemi, dopo tutto, nell'era della mondializzazione, hanno origine spesso molto lontano
da noi, nel bene e nel male: ce lo insegnano le catastrofi ecologiche (Chernobyl è ormai un
simbolo della nostra epoca) come le crisi finanziarie, le logiche del mercato come quelle
della tecnologia, i movimenti di merci e di denaro come quelli di uomini e donne.
Ecco perché ci è parso significativo dedicare un numero della rivista al Mediterraneo
(questo 'continente liquido', come lo chiamava Braudel) in cui viviamo, e in cui siamo
proiettati. Nel quale, anche, affondano (letteralmente) le nostre radici. Radici profonde:
culturali e religiose.
Il Mediterraneo è stato anche altro: sulla sua superficie c'è sempre stato un brulichio di
traffici, mercanti, corsari, avventurieri, missionari, schiavi, scienziati, pellegrini. Anche
oggi è così. Dopo tutto, l'interscambio tra paesi mediterranei rappresenta il 15% degli
scambi mondiali, contro l'8% della popolazione e il 10% del Pil (prodotto interno lordo). E
nuove cose accadono, che produrranno cambiamenti ulteriori, e probabilmente
un'accelerazione di queste dinamiche. I mass media della riva nord, attraverso quelle
antenne televisive che forse non a torto alcuni definiscono 'paradiaboliche', hanno invaso i
paesi del sud, introducendo nuovi modelli di vita e di sviluppo (anzi, di consumo),
moltiplicando e diversificando le aspettive. Sul piano demografico, poi, la riva nord del
Mediterraneo passerà dai 197 milioni di abitanti del 1980 ai 208 del 2000 e ai 207 del
2020, con un incremento di soli 10 milioni di abitanti in quarant'anni, pari al 5% della sua
popolazione. La riva est passerà invece da 72 a 137 milioni, con un incremento di 65
milioni, pari al 90% della popolazione; la riva sud passerà infine da 102 a 221 milioni di
abitanti, con un incremento di 118 milioni, pari al 116% della popolazione. Una svolta
storica, che non sarà senza conseguenze: anche se bisogna guardarsi da qualsiasi
concezione 'idraulica' dei fenomeni demografici come di quelli economici. Se il mondo
fosse un insieme di vasi comunicanti già oggi (anzi, già da molto tempo) la composizione
etnica come quella economica dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo (e di tutti gli
altri, del resto) sarebbe davvero molto diversa.
Mancano le politiche, per affrontare questi problemi. Perché manca, ancora più a fondo, la
cultura degli stessi. E questo è già uno schiaffo significativo alle nostre presunzioni: una
civiltà che si crede la più avanzata, la più 'scientifica', quella tecnologicamente certo più
agguerrita, nonché la più ricca di risorse, usa le sue energie per problemi molto più futili,
ma sembra incapace di dedicarse ai grandi problemi, quelli davvero decisivi.
E' per questo che abbiamo voluto cominciare da qui. Dal profondo. Dal Mediterraneo delle
culture e delle religioni. Quelle stesse religioni che oggi sono confrontate con una scelta
decisiva, una alternativa ben visibile nella sua drammaticità proprio sulle sue rive: farsi la
guerra, farsi usare, strumentalizzare a fini di guerra, o costruire la città della pace, la
Gerusalemme non solo celeste in cui la pluralità religiosa imparerà finalmente a convivere.
Forze potenti e pericolose (diaboliche, forse) hanno già scelto la guerra; che si manifesta in
molti modi: anche in quella sorta di sostitutiva guerra delle culture, fatta di
incomprensione, di pregiudizi, di invito all'odio o quanto meno al rifiuto del diverso,
quando va bene comunque di indifferenza, che va già in onda ogni giorno sui nostri
telegiornali. Quella guerra che persino all'interno delle religioni produce i propri mostri:
come ci ha mostrato, drammaticamente, la mano assassina che ha osato rivendicare in
nome di Dio l'assassinio di Rabin. Ma che investe anche le altre religioni che si affacciano
sul Mediterraneo: quella islamica, e anche (come volentieri ci dimentichiamo), quella
cristiana - la guerra nella ex-Jugoslavia è in questo senso un monito terribile per tutti.
Forze potenti puntano alla guerra, e cercano di usare anche le religioni a questo fine. I
credenti hanno perciò il dovere e la responsabilità di reagire, in nome di quelle stesse
religioni che vogliono onorare anziché sporcare. L'alternativa è questa: già oggi. Che si
sappia, almeno, che se sceglieremo la guerra, come qualcuno è tentato di fare, non potremo
imputarla alle religioni. Se ci faremo la guerra tra uomini di religione non potremo dire che
lo facciamo perché siamo ebrei, cristiani e musulmani. Ma perché, come mistici di tutte le
religioni non si sono stancati di ripetere, non lo siamo abbastanza.