Il regno di Salomone - Oblati di Maria Vergine

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Il regno di Salomone - Oblati di Maria Vergine
Capitolo 18
Il regno di Salomone
(1Re 2,12-11,43; 2Cr 1,1-9,31)
1. L’accesso di Salomone al trono di Davide (1Re 1-2)
L’accesso di Salomone al trono è tutt’altro che facile. In 1Re 1-2 si descrivono i giochi politici, gli intrighi e lo schierarsi dei partiti e delle parti, qui rappresentato dal vivo, con nomi e
cognomi. Il clero si spacca a metà e si schiera su due posizioni, dietro due bandiere, due partiti, cercando di difendere innanzitutto linee personali.
Adonia, il figlio maggiore, che vedendo il padre indebolirsi, prende l’iniziativa: organizza
un sacrificio alla fonte di Roghèl, al confine tra i territori di Giuda e di Beniamino. Ioab si
schiera con Adonia. Anche Ebiatàr, il sacerdote che aveva salvato Davide quando era partigiano, si schiera dalla sua parte (cf 1Re 1,5-10).
Dall’altra parte c’è Salomone per cui si schiera il profeta Natan, che fa muovere davanti a
Davide, ormai vecchio, la figura della madre di Salomone, Betsabea. Quando Davide vede
avanzare la bellissima Betsabea, il destino di Salomone è già assicurato (cf 1Re 1,11-31). Lo
fa scendere fino alla fonte di Ghicon sulla mula reale e lo fa ungere dal sacerdote Zadòk - che
rappresentava il clero di Gerusalemme, il clero aristocratico, il più potente – alla presenza di
tutto il popolo (cf 1Re 1,32-40). L’unzione è solenne, si suona la tromba.
Salomone regolerà più tardi i suoi conti: fa uccidere Adonia, che attraverso Betsabea aveva chiesto di poter avere in moglie Abisag la Sunammita. Davide aveva ben capito che la richiesta del fratello – quella di avere una moglie del re morto – conferisce un titolo per la successione (cf. 2Sam 3,7; 16,22). Con questo pretesto Davide si libera del suo rivale (cf. 1Re
2,12-25).
Inoltre Salomone decide di liberarsi anche dei più influenti sostenitori di Adonia: manda in
esilio Ebiatàr nel vicino villaggio di Anatot (Davide, infatti, non ha plausibili motivi per giustiziare il sacerdote) e fa uccidere Ioab che, sapendo di non potersi aspettare clemenza, si era
rifugiato presso l’altare (cf. 1Re 2,26-35).
Infine Davide si libera anche Simei (cf. 1Re 2,36-46), l’uomo che aveva maledetto Davide
nel tempo della rivolta di Assalonne (cf. 2Sam 16,5-14). I due dialoghi con Simei smascherano l’animo senza scrupoli di Salomone. Nel primo, Salomone proibisce a Simei di lasciare
Gerusalemme e impone una sentenza di morte solo all’atto di attraversare, verso est, la valle
del Cedron (cf. v. 37). In tal modo Simei è tagliato fuori dalla sua casa in Bacurim sul monte
degli ulivi (cf. 2Sam 16,5; 19,17). A causa della fuga di due sui schiavi Simei si dirige verso
sud, alla volta di Gat. Salomone, venuto a conoscenza di ciò, compie due false affermazioni
rispetto al primo dialogo: che la sentenza di morte fosse stata concessa a qualunque partenza
da Gerusalemme e che Simei si fosse impegnato con un solenne giuramento. Per di più, dopo
avere rivolto a Simei una domanda diretta, Salomone non gli dà modo di parlare. E’ chiaro
che Salomone vuole la morte di Simei con mezzi leciti o illeciti; il sempre pronto Benaia
compie l’opera.
Che dire di tutta questa violenza? Ci lascia ancor più sbigottiti il fatto che sia stato Davide
stesso, nelle sue ultime parole, a chiedere al figlio l’eliminazione di Ioab e Simèi (cf. 1Re 2,56.8-9). Con l’eliminazione dei suoi avversari Salomone dimostra di aver capito gli insegnamenti del padre.
Potrà Salomone, figlio di colui che, nella sua ascesa al trono aveva rinunciato ad ogni forma di violenza, ben governare il popolo d’Israele? Essere un re secondo il cuore di Dio?
YHWH di fatto gli darà un’opportunità: il dono della sapienza che egli stesso chiede. Ma
l’ambiguità di fondo rimane. Per questo il libro dei re mostra i due aspetti della sua regalità:
quella di chi si serve della sapienza per servire (cap. 1-8) e quella di chi si serve di essa a
proprio vantaggio, per aumentare cavalli, ora e argento (cap. 9-11). Le parole di YWHW, che
appare a Salomone dopo la costruzione del tempio, sembrano rimanere inascoltate: «Se tu
camminerai davanti a me, come vi camminò tuo padre, con cuore integro e con rettitudine, se
adempirai quanto ti ho comandato e se osserverai i miei statuti e i miei decreti, io stabilirò il
trono del tuo regno su Israele per sempre, come ho promesso a Davide tuo padre, non ti mancherà mai un uomo sul trono di Israele» (1Re 9,4-5).
2. Grandezza di Salomone «figlio di Davide»
Anche il canto del Siracide (Sir 47,12-22) mette in luce le due facce della figura di
Salomone. Vediamo innanzitutto quella positiva, i motivi dell’elogio.
«12 Dopo di lui sorse un figlio saggio,
che, in grazia sua, ebbe un vasto regno.
13 Salomone regnò in tempo di pace,
Dio dispose che tutto fosse tranquillo all’intorno
perché costruisse una casa al suo nome
e preparasse un santuario perenne.
14 Come fosti saggio nella giovinezza,
versando copiosa intelligenza come acqua d’un fiume!
15 La tua scienza ricoprì la terra,
riempiendola di sentenze difficili.
16 Il tuo nome giunse fino alle isole lontane;
fosti amato nella tua pace.
17 Per i tuoi canti, i tuoi proverbi, le tue massime
e per le tue risposte ti ammirarono i popoli.
18 Nel nome del Signore Dio,
che è chiamato Dio di Israele,
accumulasti l’oro quasi fosse stagno,
come il piombo rendesti abbondante l’argento» (Sir 47,12-18)
Sono versetti che esprimono tutta l’ammirazione per la pienezza compiuta (shalem) che il
nome stesso di Salomone (Shelomoh) evoca in Israele: pienezza di pace (shalom; cf. vv.
13.16), di sapienza traboccante, specialmente nell’amministrare la giustizia, e di scienza (vv.
14-15.17); pienezza di prosperità politica e di favoloso benessere economico (vv. 16-18). I
versi menzionano pure l’attività poetica e letteraria di Salomone (cf. v. 17). La tradizione ebraica, infatti, gli attribuisce quasi tutta la letteratura sapienziale della Bibbia, anche quella
composta diversi secoli più tardi: i Proverbi, il Qoelet, il Cantico dei Cantici, la Sapienza, il
Salmo 72 (il re davidico ideale, giusto e pacifico)1 e il Salmo 127 (pienezza di beni di chi si
lascia riempire dal Signore)2.
Il testo del Siracide sottolinea con forza il fatto che la prosperità e la pace degli esemplari
«quaranta anni» del regno di Salomone (1Re 11,42; 2Cr 9,30) sono anzitutto il risultato della
benevolenza e fedeltà di YHWH verso Davide (cf vv. 47,13.18.22), intimamente connessa
con l’impresa che doveva essere compiuta della costruzione di una «casa-santuario» dedicata
al suo nome (v. 13).
L’origine divina della sapienza e della prosperità di Salomone è descritta dal racconto del
1
Un salmo ripreso da Zc 9,9-10, che prevede un re messianico, di cui Mt 21,4-5 riconosce un adempimento in
Gesù Messia.
2
L’«amico» (yadid) di JHWH del v. 2 richiama il nome Yedida (= amato da JHWH), dato dal profeta Natan al
figlio nato da Davide e Betsabea (2Sam 12,25), segno e garanzia del perdono e del permanere dell’elezione del
Signore (cf. Sir 47,22 e 2Sam 7,12-16; 1Cr 17,11-14; Sal 89,30-38).
2
suo sogno sull’altura di Gabaon - quella che oggi si chiama Nebi Samwil -, con la risposta
generosa del Signore alla preghiera saggia del giovane re (1Re 3,215.28; 2Cr 1,2-13).
Il testo del Siracide, però, giudica pure con molta severità il comportamento del re, una
volta insediato sul suo trono (vv. 19-21): ne parleremo più sotto. Riguardo a ciò, il libro «sapienziale» è più fedele al racconto «storico» del Libro dei Re (cf. 1Re 11,1-13), di quanto non
lo sia la relazione «sacerdotale» del Libro delle Cronache, che di Salomone ricorda e celebra
unicamente la gloria della costruzione del tempio, tacendo completamente sui suoi peccati
(2Cr 1-9)3.
3. La sapienza di Salomone
3.1. L’origine della sapienza di Salomone
In 1Re 3 si parla di un sacrificio colossale: mille olocausti su un’altura, quella di Gàbaon.
Qui Salomone compie il rito di inaugurazione del suo regno. Essa è accompagnata da un rito
di «incubazione sacra», un rito molto diffuso4. Si passava una notte nei cortili del tempio, non
tanto per dormire in un’area sacra, ma per ricevere nell’interno di tale area un oracolo di Dio,
nel sonno, durante la notte. Così nel sogno Dio si presenta a Salomone chiedendogli: «Chiedimi ciò che io devo concederti». «Concedi al tuo servo – risponde Salomone, consapevole di
essere giovane (cf. 1Re 3,7; Sap 8,19) e debole (cf. 1Re 3,7; Sap 9,5) – un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male, perché chi
potrebbe governare questo tuo popolo così numeroso?». Allora YHWH, apprezzando la richiesta nella quale la sapienza è da lui preferita a tutta una serie di beni (scettri, troni, ricchezza, pietre preziose, oro e argento, salute, bellezza, e persino la luce: cf. Sap 7,8-105), gliela concede e, con essa, gli promette, come sovrappiù, «quanto non hai domandato, cioè ricchezza e gloria come nessun re ebbe mai»6.
Secondo Sap 8, nel momento in cui Salomone vuole prendere la Sapienza come sposa (cf.
v. 2), prevede che, una volta diventata sua consigliera, essa lo renderà un giudice stimato e un
grande uomo di Stato (cf. vv. 9-15). E, soprattutto, le sue opere saranno gradite a YHWH
stesso (cf. Sap 9,12).
3.2. Il figlio conteso tra due donne
Subito dopo la narrazione del sogno di Gàbaon, in 1Re 3,16-28 segue una rappresentazio3
L’intenzione del Cronista, infatti, è quello di presentare Salomone come un re senza macchia. In tale libro la
successione a Davide avviene senza ombra di ribellioni o contrasti: scompare ogni accenno al tentativo di Adonia di impossessarsi del trono, ancora vivente, il padre, con l’appoggio del generale Ioab e del sacerdote Ebiatar,
e viene omesso il resoconto delle purghe sanguinose che il re effettuò all’inizio del regno, sulla scorta del testamento paterno, per assicurare la stabilità.. Non si fa cenno alla condiscendenza del re all’idolatria per riguardo alle mogli straniere. E’ anche omessa la dimostrazione della sapienza di Salomone nel giudizio sul bambino
conteso dalle due prostitute, forse perché gli sembra indecorosa anche solo l’ipotesi del taglio dell’infante. Anche l’edificazione della reggia, impresa edilizia oggettivamente più impegnativa di quella del tempio, è ignorata
per il desiderio di mettere in luce soltanto la dedizione di Salomone al santuario.
4
Così, ad esempio, abbiamo l’informazione che quando gli egizi andavano nella penisola del Sinai per rifornirsi
di diorite, di turchese e di granito, necessari per la costruzione dei grandi monumenti e delle statue colossali dei
faraoni, il loro caposquadra dormiva nella cella del dio, affinché nella notte gli rivelasse la vena giusta dove
poter aprire la cava.
5
Dietro questo elenco si scorgere il tema biblico sapienziale della superiorità della Sapienza sulle ricchezze: cf.
Pr 3,14-15; 8,10-11.19; 16,16; Gb 28,15-19.
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Torna alla mente una frase di Gesù nel Discorso della montagna. Dopo aver rievocato lo splendore di Salomone, superato da quello dei gigli dei campi, e dopo aver ricordato la preoccupazione del bere e del mangiare, peraltro necessari, egli aggiunge: «Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno
date in aggiunta» (Mt 6,33). L’esempio di Salomone, la purezza della sua preghiera e il consiglio di Gesù non
dovrebbero più sfuggirci.
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ne emblematica della saggezza di Salomone, fonte capitale del suo retto governare e di una
possibile giustizia. Il caso giudiziario che viene sottoposto al re è molto complicato: c’è solo
una parola di una donna contro quella di un’altra donna che sostiene la stessa cosa: la verità
non è dunque nelle parole, in colei che le pronuncia, perciò bisogna scoprire chi mente e chi
dice il vero. Non c’è la parola di nessun testimone (infatti più volte viene ribadito che erano
sole in casa e che il crimine avviene di notte). Le due donne sono donne di pessima fama, ed
è facile che si muovano in situazioni di falsità, come capita con altre prostitute nell’AT (si
pensi ad es. a Raab che nasconde le spie nemiche: Gs 2). Infine, l’accusa dello scambio notturno dei bambini e del modo in cui uno è morto è solo un’ipotesi formulata dalla prima donna, che parla solo dopo che si è svegliata al mattino.
Se il compito del re, per eccellenza, è di far giustizia per l’orfano e la vedova, allora qui ci
troviamo in una situazione estrema: c’è il bambino senza padre e che non sa chi è sua madre,
e c’è la donna sola, senza marito e alla mercé di molti uomini. Il re non deve rendere giustizia
solo alla madre, ma anche al bambino.
Cosa fa Salomone? Ordina di tagliare in due il figlio e darne una metà all’una e una metà
all’altra. E’ chiaro che di fronte a tale disposizione si attendeva la reazione della madre vera
che non si fa attendere e che, commossa, dice al re: «Signore, date a lei il bambino; non uccidetelo affatto!» (v. 26).
3.3. Una sapienza anche enciclopedica
Questa sapienza che penetra in profondità, guardando sotto la superficie delle cose, ha anche un carattere «enciclopedico». Il sapiente sa elencare molte cose della realtà, mettendole
quasi idealmente su un tavolo, ordinandole e coordinandole. In questa prospettiva in 1Re 5,914 che parla della fama di Salomone, si afferma non solo che egli «pronunciò tremila proverbi», ma che anche «parlò di piante, dal cedro del Libano all’issopo che sbuca dal muro7, parlò di quadrupedi, di uccelli, di rettili e di pesci» (v. 13).
4. La politica interna e la prosperità economica (1Re 4-5)
Salomone si preoccupa dell’organizzazione dello stato. Infatti nel cap. 4 troviamo la lista
dei ministri del suo gabinetto. Abbiamo proprio l’equivalente di una nostra lista dei ministri
che un presidente del consiglio presenta dopo aver ricevuto l’incarico. Troviamo: il ministro
del culto (Azaria, capo del collegio sacerdotale; il v. 4, che contraddice il v. 2, è probabilmente una glossa), gli scribi (Elicoref e Achia), l’archivista (Giòsafat), il capo dell’esercito
(Benaià), il maggiordomo (cioè vizir delle corte orientali: Achisar), il capo dei prefetti (Azaria), il sovrintendente ai lavori forzati (Adoniram) e, infine, «l’amico del re» che porta un titolo onorifico (e quindi in realtà non esercita una funzione particolare).
La politica interna di Salomone, in vista delle tensioni tribali, organizza lo stato in un sistema di prefetture (cf. 1Re 4,7-20)8. E’ un sistema regionale, che con saggezza tiene presente che Israele appunto non è un popolo particolarmente unitario e che le identità molto forti
delle tribù sconfinano qualche volta persino in nazionalità quasi autonome. Salomone quindi,
pur mettendo un perno centrale, cerca di salvaguardare in modo minimo le autonomie regionali.
Se Davide aveva fatto del piccolo Israele una grande potenza, Salomone trasforma tutto il
paese in un ricco centro di vita internazionale: città-fortezze (fa ricostruire Chatzor, Meghid-
7
Questi due estremi indicano tutta la botanica: dal cedro maestoso e immenso fino a questa specie di mentuccia,
l’issopo.
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Il sistema da lui introdotto è simile a quello delle satrapie del modello persiano posteriore.
4
do e Ghezer: cf. 1Re 9,15-19), avanzati piani e arte edilizia, estesa attività commerciale9, un
esercito di carri nelle città-carro e in Gerusalemme, grande afflusso di capitali nell’erario reale, ma debiti ancora più grandi (nei confronti di Tiro), ecc.
1Re 5,1-8 ci rappresenta, con alcune “pennellate”, la prosperità interna dello stato salomonico, che è il risultato sia del contributo delle varie prefetture, sia dalla complessa mescolanza
di supremazia politica esercitata da Salomone su alcuni regni, dai trattati con altri e
dall’influenza economica su altri ancora10.
5. Salomone e il tempio
5.1. La «casa» costruita al nome del Signore
Tutto ciò che si è detto del proposito di Davide di edificare una «casa al Signore» in Gerusalemme trova la sua realizzazione con Salomone. Sia il Libro dei Re sia quello delle Cronache, se non mancano di sottolineare la potenza organizzativa e militare del regno di Salomone, come pure la straordinaria saggezza del re11, riservano una parte preponderante della loro
narrazione alla costruzione della «Casa al Nome di JHWH» realizzata dal re (1Re 5,17-19;
2Cr 1,18; 2,2-3)12.
Il lungo racconto riguarda i preparativi per l’impresa, di cui fanno parte essenziale le relazioni internazionali tra Salomone e Chiram, re di Tiro (1Re 5,15-32; 2Cr 2,2-15)13. Segue una
descrizione dettagliata della costruzione degli edifici sacri. Essa è introdotta da un solennissimo preludio, che sottolinea la continuità tra l’uscita dall’Egitto e gli anni di regno di Salomone (1Re 6,1-38; 7,9-51)14. La «Casa» era composta di tre locali: un atrio o vestibolo (’ulam: 1Re 6,3)15; una navata, o grande sala per il culto, il «santuario», che spesso sta per tutto
il tempio (hekhal: 1Re 6,5.17.33)16; la cella interiore del santuario, il Santo dei santi (debir:
1Re 6,5.16.1923.31)17. Questa narrazione dell’edificazione del tempio è ricca di riferimenti a
quella della tenda e del santuario dell’arca nel deserto, contenuta in Es 25-31 e 35-40. Parlando del re Davide, abbiamo già segnalato il fatto che la «pretesa» di una continuità esistente
tra il culto del tempio di Gerusalemme e la liturgia del deserto fu un caposaldo magistrale
della strategia politica della monarchia davidica.
Accanto al tempio, a sud della spianata, Salomone edifica la sua splendida reggia; i lavori
durarono per tredici anni (cf. 1Re 7,1; per il tempio invece “bastarono” sette anni: cf. 1Re
9
Salomone fa costruire il porto di Ezion-Gheber nel golfo di Aquaba. Tale porto gli permette di commerciare
col regno di Saba che gestisce delle vie commerciali verso le Indie e l’Africa orientale e verso la misteriosa terra
di Ofir donde proviene l’oro. Saba è certamente il regno dello Yemen del Sud, fiorente in quell’epoca. Con
l’aiuto di Saba e dei marinai fenici, Salomone si crea una flotta (cf. 1Re 9,26-28) che avrebbe viaggiato per tre
anni.
10
Cf. anche 1Re 9,10-24.26-28; 10,14-29.
11
Esemplare è il racconto della splendida visita fattagli dalla regina di Saba, abbagliata dalla prosperità e dalla
sapienza di Salomone, e accompagnata dalla confessione dell’amore eterno che JHWH ha per Israele, e
dell’intenzione che ha di renderlo stabile per sempre (1Re 10,1-13; 2Cr 9,1-12). Questa visita è ancora ben presente alla coscienza di Gesù e della generazione neotestamentaria, dove la sapienza di Salomone si coniuga con
il segno di Giona e del mistero pasquale messianico (Mt 12,38-42; cf. Lc 11,29-32).
12
Il termine bayith = casa è comunemente usato nei racconti di 1Re e di 2Cr (cf. 1Re 5,19; 6,1; 7,12; 2Cr 2,3;
3,1; ecc.). L’insistenza su questo termine prolunga e amplia l’ambiguità tra «edificio» e «discendenza», esistente
fra i propositi e i discorsi di Davide e le promesse del Signore dell’alleanza.
13
Cf. 1Re 9,10-14.27;10,11-22; 2Cr 8,2.18; 9,10-11.21; e già 2Sam 5,11; 1Cr 14,1.
14
Cf. 2Cr 3,1-2, dove il monte del tempio viene identificato con il Monte Moria, luogo del sacrificio di Isacco
(Gen 22,2, però, parla di un paese di Moria) con l’aia di Ornan, il gebuseo (2Sam 14,16-25; 1Cr 21,15-28).
15
Cf. 1Re 7,19.21; 2Cr 3,4; 15,8; 29,17; ecc.
16
Cf. 1Re 7,21.50; 2Re 18,16; 23,4; 24,13; 2Cr 4,7-8.22; Ne 6,10-11; ecc.
17
Cf. 1Re 7,49; 8,6.8; 2Cr 3,16; 4,20; 5,7.9; Sai 28,2; ecc. Per un’ulteriore descrizione della «Prima tenda», cf.
pure Eb 9,1-10.
5
6,38).
Tutto si conclude con il solennissimo trasferimento dell’arca dell’alleanza nel nuovo edificio, con uno splendido discorso del re al popolo, con una sua lunga preghiera, con la benedizione del popolo e con una liturgia dedicatoria, sigillata da una seconda teofania notturna di
JHWH a Salomone (1Re 5,15-9,9; 2Cr 2,1-7,22).
5.2. Trionfalismo imperiale nel culto del tempio
La sezione del racconto biblico che narra la grande liturgia dell’insediamento del Signore
nel tempio di Gerusalemme, con i discorsi e le preghiere di Salomone (1Re 8,1-9,9; 2Cr 5,27,22) è uno dei documenti più alti e solenni della teologia monarchica e della mistica regale
davidica, indissolubilmente legata al tempio. È la celebrazione della localizzazione storicogeografico-topografica del massimo nel minimo, dell’infinito nel finito.
a) Il primo protagonista della solenne celebrazione è indubbiamente JHWH, il quale prende possesso del tempio, riempiendolo della sua gloria (1Re 8,11; 2Cr 5,14). Egli è il Dio di
lassù nei cieli e di quaggiù sulla terra, ma, allo stesso tempo, è il Dio di Israele, di Gerusalemme, delle promesse e dell’alleanza conclusa con Davide, il Dio di Salomone, che in questo luogo lo prega di aprire i suoi occhi notte e giorno verso questa Casa18.
L’abitazione del Signore è nei cieli19, ma Salomone prega di essere ascoltato, lui e il suo
popolo, quando pregano Dio in questo luogo (1Re 8,30; 2Cr 6,21). Tutte le relazioni tra il
popolo e il Signore, l’esaudimento delle preghiere, l’esercizio della giustizia e del perdono
divini, tutto ormai si deciderà in questa Casa, in questo luogo20.
Ma la particolare Casa davidica e salomonica ha pure un destino universalistico ed ecumenico: quello di diventare «casa di preghiera per tutti i popoli» (cf. Is 56,6-7). La preghiera
di Salomone, infatti, prevede e abbraccia anche gli stranieri che non appartengono a Israele,
popolo di JHWH, ma che verranno da paesi lontani perché si sarà sentito parlare del suo
grande nome. Il Dio d’Israele non è forse pure il loro Dio? Tutto quello che egli ha chiesto
per gli israeliti, Salomone lo chiede pure per questi stranieri21.
Appena Salomone finisce di pregare, secondo 2Cr 7,1-10, un fuoco dal cielo consuma le
vittime preparate e la gloria del Signore riempie di nuovo il tempio (come in 1Cr 5,14). Si
apre così una grande festa della dedicazione che dura una settimana22.
Una seconda apparizione divina notturna a Salomone è ricordata in 1Re 9,1-9; 2Cr 7,1122, alla fine della costruzione del tempio. Il Signore afferma:
«Ho ascoltato la preghiera e la supplica che mi hai rivolto; ho santificato questa casa, che tu hai
costruita perché io vi ponga il mio nome per sempre; i miei occhi e il mio cuore saranno rivolti
verso di essa per sempre» (1Re 9,3),
ma non fa mancare le minacce di punizioni, in cui potrebbero incorrere gli israeliti, e lo
stesso tempio, se il Dio dell’esodo venisse abbandonato per seguire degli dèi stranieri (cf.
1Re 9,4-9; 2Cr 7,17-22).
b) Il secondo protagonista di questo solennissimo evento - e forse quello su cui maggiormente cade l’accento - è indubbiamente lo stesso Salomone.
Nella benedizione iniziale egli fa memoria delle grandi gesta di JHWH, Dio d’Israele. È
stato lui che ha fatto uscire Israele dall’Egitto; lui che ha scelto Gerusalemme quale dimora
18
Cf. 1Re 8,22-29.52; 2Cr 6,12-20.40-42.
La dimora propria di JHWH rimane il cielo, lungo tutta la confessione di Salomone: cf. vv. 32.34.36.39.45.49;
2Cr 6,21.23.25.27.30.35.39.
20
Cf. 1Re 8,31.33.35.38.44.48; 2Cr 6,22.24.26.29.34.38.
21
Cf. 1Re 8,41-43; 2Cr 6,32-33.
22
Questa festa, secondo 1Re 8,2.65-66 coincide con la festa delle Capanne. Secondo 2Cr 7,7-10, la settimana
delle Capanne si aggiunge alla settimana della dedicazione.
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del suo nome; lui che ha scelto Davide come capo del popolo. È stato Davide, però, a prendere la «buona» decisione di costruire un tempio al nome del Signore, e solamente il figlio di
Davide ha realizzato il sogno paterno23. L’alleanza di JHWH con Israele, divenuta personale
e regale con Davide, fiorisce grandiosamente nel figlio di lui:
«Io ho preso il posto di Davide mio padre, mi sono seduto sul trono di Israele, come aveva preannunziato il Signore, e ho costruito il tempio al nome del Signore, Dio d’Israele. In esso ho fissato
un posto per l’arca, dove c’è l’alleanza che il Signore aveva conclusa con i nostri padri quando li
fece uscire dal paese di Egitto» (1Re 8,20-21; 2Cr 6,10-11).
Non c’è dubbio che l’io di Salomone presiede l’intero svolgimento della dedicazione. È
lui, ormai, il mediatore dell’alleanza e del culto che si è insediato a Gerusalemme24.
Egli convoca in assemblea a Gerusalemme gli anziani di Israele, tutti i capitribù, i principi
dei casati degli israeliti; presso di lui si raduna tutto Israele per la festa, nel mese di Etanim
(1Re 8,1-5; 2Cr 5,2-6). È Salomone che, come un sommo sacerdote, benedice tutta
l’assemblea di Israele (kol-qahal Isra’el) (1Re 8,14; 2Cr 6,3). È lui che si pone davanti
all’altare di JHWH, si inginocchia di fronte a tutta l’assemblea di Israele, e stende le mani
verso il cielo, in una lunga preghiera (1Re 8,22-23.54; 2Cr 6,12-14). È lui che, terminata la
supplica, si alza e benedice di nuovo l’assemblea rifacendosi agli inizi mosaici dell’alleanza,
e ripete a tutto il popolo l’esortazione già rivolta da Davide ai capi di Israele:
«Il vostro cuore sarà tutto dedito al Signore nostro Dio, perché cammini secondo i suoi decreti e
osservi i suoi comandi, come avviene oggi» (1Re 8,61; cf. 1Cr 22,19).
È Salomone che presiede all’immolazione dei sacrifici di comunione e alla consacrazione
del centro del cortile di fronte alla Casa del Signore, celebra il settenario della festa e
nell’ottavo giorno congeda il popolo (1Re 8,62-66).
L’edificio del tempio, che domina Gerusalemme, appare come il sacramento della presenza del Signore in mezzo al suo popolo, ma, con non minore verità, esso è il monumento del
trionfante regno di Davide e di Salomone.
6.3. Ma è proprio vero che Dio abita sulla terra?
«Ma è proprio vero che Dio abita sulla terra? Ecco i cieli e i cieli dei cieli non possono contenerti,
tanto meno questa casa che io ho costruita!» (1Re 8,27; 2Cr 6,18).
La risposta a questa domanda capitale è l’edificio stesso che Salomone ha eretto al nome
del Signore. Sulla bocca di Salomone esso appare quasi come il risultato, vittorioso per il re,
di una nobile, audacissima sfida tra lui e il Signore:
«Il Signore ha deciso di abitare nella nube.
Io ti ho costruito una casa potente,
un luogo per la tua dimora perenne» (1Re 8,12-13; 2Cr 6,1-2).
Una prima decisione di stabilirsi e di dimorare sulla terra, in verità, è attribuibile allo stesso ‘El Shadday, il Dio onnipotente delle teofanie destinate ai padri25, rivelatosi poi a Mosè
come JHWH (Es 6,2).
La sapienza divina canta:
23
Ricordiamo che la ragione per cui non Davide ma solamente il figlio di lui, Salomone, potrà costruire una
Casa al nome del Signore è che Davide ha fatto grandi guerre e ha versato troppo sangue sulla terra davanti a
JHWH. Il Signore vuole che chi costruirà una casa al suo nome sia un uomo di pace (1Cr 22,8-10; cf. Gen 4,10):
una parola che la dice lunga sulla famosa questione delle «guerre di JHWH»!
24
Gesù, figlio di Davide, sarà l’unico mediatore tra Dio e gli uomini, il sacerdote eterno che intercede presso il
Padre (cf. Eb 3,1-10,18).
25
Cf. Gen 17,1; 28,3; 35,11; 43,14; 48,3; 49,25.
7
«Il giro del cielo da sola ho percorso,
ho passeggiato nelle profondità degli abissi.
Sulle onde del mare e su tutta la terra,
su ogni popolo e nazione ho preso dominio.
Fra tutti questi cercai un luogo di riposo,
in quale possedimento stabilirmi.
Allora il creatore dell’universo mi diede un ordine,
il mio creatore mi fece posare la tenda (skéné)
e mi disse: Fissa la tenda (kataskénoó) in Giacobbe
e prendi in eredità Israele» (Sir 24,5-8).
La nube di cui parla Salomone, e in cui il Signore aveva deciso di abitare e di segnalare la
sua presenza, ricorda certamente la nube amica - tenebrosa per gli egiziani, ma luminosa per
gli israeliti -, che guidava e proteggeva il cammino di Israele nel deserto (Es 13,21-22)26.
Un’economia di «incarnazione» di Dio sulla terra e nella storia risale, dunque, a Dio stesso, che si è creato degli uomini e un popolo particolare, e gli ha destinato una terra tra tutte,
fin dal momento in cui ha deciso di chiamarsi: «il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di
Giacobbe» (Es 3,6.15-16)27, «il Dio di Israele» (Es 33,20; Sal 41,14)28.
Più tardi, mediante le istruzioni teofaniche impartite a Mosè sul Sinai (= la Torah), JHWH
ha scelto di concretizzare maggiormente la sua presenza sulla terra facendo abitare (shakhan)
il suo Nome in mezzo a Israele, suo popolo, nella Dimora che egli si fa erigere, secondo il
modello mostrato a Mosè sul monte (Es 25,8-9.22.40)29, nell’arca della Testimonianza (Es
25,10-22;) e dell’alleanza (Nm 10,33)30 peregrinante nel deserto e trasportata dagli israeliti
nel santuario della tenda del convegno.
L’arca, la tenda, come pure la nube di giorno e la colonna di fuoco di notte, erano stati i
«sacramenti» semplici, esili e trasparenti, ma indubitabili, della trascendente santità del Signore, che fedelmente accompagnava il suo popolo.
Una volta che gli israeliti furono giunti nella terra promessa, al Signore è attribuita la scelta di dimorare in Gerusalemme sul suo Monte Sion, per quanto umile e invidiato dalle altre
alte montagne del paese (Sal 68,17; 78,68; 132,13-14; ecc.).
«Prima dei secoli, fin dal principio, egli mi creò;
per tutta l’eternità non verrò meno.
Ho officiato nella tenda santa davanti a lui, e così mi sono stabilita in Sion;
Nella città amata mi ha fatto abitare; in Gerusalemme è il mio potere.
Ho posto le radici in mezzo a un popolo glorioso,
nella porzione del Signore, sua eredità...» (Sir 24,9-12).
L’idea, invece, di «fare una casa a JHWH» sul Monte Sion, di fissare e di circoscrivere in
modo stabile la dimora «divina», celebrandola e rendendola visibile con l’aggiunta intorno a
essa di un grandioso edificio (e di un adiacente palazzo reale), in cui intervenissero e a cui
mettessero mano tutte le «splendide» risorse dell’intraprendenza «umana», fu, come si è visto, una monarchica iniziativa di Davide, e la sua realizzazione effettiva fu l’impresa imperia-
26
Cf. anche 14,19-20; 16,10; 40,36-38; Nm 9,15-23; 10,34; 14,14; Dt 1,32-33; Ne 9,19; Sal 78,14; 105,39; Sap
10,17-18; 18,3; Is 4,5-6.
27
Cf. anche Gen 26,24; 28,13; Sal 47,10.
28
Cf. 1Re 1,48; Sal 68,36; 69,7; 72,18; 106,48; Is 21,10; 41,17; MI 15,31; Lc 1,68; ecc.
29
Cf. Es 26,30; 27,8; AI 7,44; Eb 8,5; 12,18-24; ecc.
30
L’arca è detta pure «arca dell’alleanza di Dio» (Gdc 20,27; ecc.), «arca dell’alleanza» (Gs 3,6; ecc.), «arca di
JHWH» (Gs 3,13; ecc.), «arca di Dio» (1Sam 3,3; ecc.), «arca del Dio di Israele» (1Sam 5,7.10; ecc.); «arca di
‘Adonay JHWH» (2Re 2,26; ecc.), «arca della tua potenza» (2Cr 6,41; Sal 132,8), «arca della santità» (2Cr
35,3).
8
le di Salomone31.
La «sfida», di cui sopra si parlava, consiste, appunto, nella pretesa regale davidicosalomonica di localizzare in una Casa fatta da mani d’uomo la libera e insindacabile presenza del Signore, attendato in mezzo al suo popolo.
Per molti secoli, da Davide a Gesù, nella coscienza del popolo di Dio, si diede come definitivamente acquisita e scontata una perfetta coincidenza tra la presenza gloriosa di JHWH in
mezzo al popolo, significata dalla nube (del tempo del deserto) e il tempio di Gerusalemme
(= la Casa davidica di JHWH), e anche tra Gerusalemme-Città e il suo tempio:
«Appena i sacerdoti furono usciti dal santuario, la nube riempì la Casa di JHWH e i sacerdoti non
poterono rimanervi per compiere il servizio, perché la gloria del Signore (khebod-JHWH) riempiva
la Casa di JHWH» (1Re 8,10-11; cf. 2Cr 5,11-14; 7,1-3)32.
In realtà questa identificazione e questa coincidenza erano destinati ad appartenere solamente a un momento preparatorio della maturazione della coscienza religiosa di Israele33.
I grandi profeti non tralasceranno di criticare severamente quella coincidenza e
quell’identificazione34. Al tempo dell’esilio babilonese, prima ancora che il tempio venga distrutto dai caldei, la gloria del Signore si alza dal centro della città e si trasferirà in Caldea, tra
i deportati (Ez 10,18-22; 11,22-25). JHWH riprenderà la sua non circoscrivibile itineranza
sulla terra, in mezzo al suo popolo, mentre il tempio rimane vuoto della sua presenza. Una
simile dipartita farà parte della profezia di una nuova alleanza, quando il Signore stesso sarà
un santuario del suo popolo in esilio (Ez 11,14-21). È vero che, più tardi, il medesimo profeta, Ezechiele, vedrà la gloria di JHWH ritornare nella città ricostruita e riempire ancora il
nuovo tempio (Ez 43,1-12). La lezione, però, è stata solenne, e le cose non saranno più come
prima, durante il tempo del Secondo Tempio.
Il tempio di Gerusalemme è il Luogo (ha-Maqom) di cui il Signore dice: «Il mio nome è
là» (1Re 8,29)35. Almeno fino a quando non venga Qualcuno che sia più grande del tempio
(cf. Mt 12,6), un Tempio-Figlio, in cui ogni uomo e ogni donna, in virtù dello Spirito possa
entrare per adorare il Padre, gridando: Abba!36. Così nella generazione dei primi discepoli
sarà chiaro che l’umanità del Logos fatto carne dalla carne di Miryam di Nazaret è ormai
l’ultima tenda della Shekhinah37, su cui si è posata la nube e in cui si è resa realmente presente e visibile in forma umana la gloria di JHWH (Gv 1,14; cf. Lc 1,35).
E’ giunta l’ora in cui né sul Monte Garizim, né in Gerusalemme, il Padre sarà adorato. I
veri adoratori lo adoreranno ormai in Spirito e Verità (Gv 4,20-26), cioè nel Figlio-Verità (Gv
14,6), conosciuto e confessato come Signore sotto l’influsso dello Spirito Santo (cf. 1Cor
12,3). È lui, quindi, il luogo dove bisogna peregrinare per adorare veramente il Padre secondo
lo Spirito (cf. Gv 4,20-24), il nuovo tempio riedificato dopo tre giorni non da mani d’uomo38.
31
La teologia monarchico-davidico-sacerdotale non ha mancato, in modo un po’ arrogante, di attribuire al Signore stesso l’iniziativa e la scelta del luogo del tempio, quale «casa di sacrificio». Si veda per esempio, 2Cr
7,12.16; Sal 78,69; ecc.
32
Esattamente come sul Monte Sinai (Es 19,9-20; 20,21; 24,15-18), e come sulla tenda del convegno, nel deserto (Es 33,9; 40,34-35; Lv 16,2; ecc.).
33
Si rimanda anche a quanto già detto sul progetto di Davide di fare una casa al Signore in 2Sam 7.
34
Cf. Ger 7,1-15; 26; Mi 3,9-12.
35
Cf. Dt 12,4-5; Ez 48,35.
36
Cf. Gv 1,12; 4,20-24; Rm 8,14-17; Gal 4,4-7.
37
Cf. Mt 17,5; Mc 9,7; Lc 1,35; 9,34-35; At 15,15-18.
38
Cf. Mc 14,55-59; Mt 26,59-61; Gv 2,21-22. Ricordiamo che è proprio questa l’accusa fatta dai falsi testimoni
nei confronti di Gesù durante il processo giudaico e ripetuta come scherno sul Calvario (cf. Mt 27,39-44; Mc
15,29-32). La percezione e il sospetto che Gesù costituisca una minaccia per il tempio in Gerusalemme riecheggia anche nelle accuse mosse a Stefano di proferire parole contro il Luogo sacro e contro la Torah (cf. At 6,1114). E viene riformulata contro Paolo quando a Gerusalemme si tenta di linciarlo accusandolo falsamente di
insegnare a tutti e dovunque di abbandonare Mosé e di opporsi al popolo d’Israele, alla Torah e al tempio, che
9
Questo tempio, poi, in quanto innestati in Cristo, siamo ciascuno di noi (cf. 2Cor 6,16).
Non bisogna cercare lontano il Signore, ma anzitutto in noi stessi. Ciò, però, non significa
intimismo!
6. Debolezza e peccati di Salomone
« 19 Ma accostasti i tuoi fianchi alle donne,
e ne fosti dominato nel corpo.
20 Così deturpasti la tua gloria e profanasti la tua discendenza,
sì da attirare l’ira divina sui tuoi figli
e sofferenze con la tua follia.
21 Il regno fu diviso in due
e in Efraim si instaurò un potere ribelle.
22 Ma il Signore non rinnegherà la sua misericordia
e non permetterà che venga meno alcuna delle sue parole.
Non farà perire la posterità del suo eletto
né distruggerà la stirpe di colui che lo amò.
Concesse un resto a Giacobbe
e a Davide un germoglio nato dalla sua stirpe» (Sir 47,19-22)
Il numero leggendario di donne straniere («settecento principesse e trecento concubine»:
1Re 11,3), a cui Salomone si unì, sta a indicare la radice basilare del peccato
dell’accumulazione dell’avere, generata dall’accumulazione del potere. Il re porta all’eccesso
la soddisfazione delle brame di sesso e di potere, come pure quel processo di degradazione
della donna che erano stati inaugurati e simboleggiati in Lamech, il discendente di Caino
(Gen 4,19-24). Gli amori e i matrimoni di Salomone, infatti, non erano dettati solo da una
lussuria sfrenata, ma pure da intenti dinastici e dalla sete di estendere e di affermare il suo
nome e il suo prestigio a un livello internazionale. Non a caso una delle sue mogli sarà una
figlia del faraone egiziano39. Il suo peccato fu di amare donne «straniere, moabite, ammonite,
idumee, sidonie, hittite», provenienti da popoli con i quali il Signore aveva proibito di entrare
in contatto per il pericolo di contaminazioni idolatriche: «Perché certo faranno deviare i vostri cuori dietro i loro dèi». E, di fatto, le donne di Salomone «gli pervertirono il cuore» (1Re
11,1-3)40.
In questo modo, la Gerusalemme di Salomone, la città eletta di JHWH (1Re 11,13), fu
convertita in una specie di santuario del pantheon delle molte divinità delle principesse e delle concubine del re, alle quali Salomone erigeva luoghi di culto: ad Astarte, dea dei Sidonii; a
Camos, dio dei moabiti; a Milcom, dio degli ammoniti (cf. 1Re 11,33). Gerusalemme divenne un luogo di tollerante universalismo sincretistico e di un relativismo religioso assolutamente incompatibili con l’alleanza del Signore con Davide. A nulla sono servire le parole di
YHWH nella seconda teofania: «Ma se… andrete a servire altri dei e a prostrarvi davanti ad
essi, eliminerò Israele…» (1re 9,6-7). La religione oramai è diventata un capitolo della monarchia, invece di rimanere la monarchia un capitolo della fede. Fede, religione, culto si convertono in strumenti del regno. La Bibbia non esita a denunciare come «follia» la vecchiaia di
colui che era stato il massimo campione della «sapienza» (Sir 47,20).
Accanto alla degenerazione religiosa il libro dei Re ci narra altri due episodi che sembrano
mostrare una regalità ormai degenerata in sete di potere e di avere (cf. i rischi della regalità
viene falsamente accusato di aver profanato (cf. At 18,12-15; 21,10-15.20-21.27-29; 22,17; 24,5-6.12-21; 25,78; 26,21).
39
Cf. 1Re 3,1; 7,8; 9,16.24; 2Cr 8,11.
40
Ccf. Es 34,16; Dt 7,3-4; 17,17; Gdc 3,5-6; Esd 9,1-2; ecc.
10
denunciati da Samuele in 1Sam 8,10-18): lo scambio con il re di Tiro, Chiram (1Re 9,10-14),
e la visita della regina di Saba (1Re 10,1-13). Ella arriva con il suo carico di oro, aromi e pietre preziose (vv. 1.10) ed è preceduta e seguita da due riferimenti all’oro proveniente da Ofir
(9,28 e 10,11); la parola «oro» (che domina i successivi vv.. 14-25) aggancia l’episodio al
contesto. Anche se la regina giudica positivamente ciò che vede (e al v. 7 la constatazione
della sapienza di Salomone è collegata ai beni, non alle risposte ricevute dal re!), dovevano
pensarla diversamente quelli sottoposti da Salomone ai lavori forzati (1Re 5,27) o le tribù del
nord che dovevano mantenere la numerosa famiglia reale (1Re 4,7). E’ poi vero che Salomone dà alla regina «quanto essa desiderava e aveva domandato, oltre a quanto le aveva dato
con mano regale» (1Re 9,13), ma dopo aver da lei ricevuto «centoventi talenti d’oro, aromi in
quantità e pietre preziose» (1Re 9,14). La regola della reciprocità è stata rispettata? Sembra
invece che Salomone stia usando la sapienza per arricchire sempre di più. L’episodio dello
scambio con il re di Chiram sembra essere una conferma di tale lettura. Per la costruzione del
tempio e della reggia Chiram fornì a Salomone «legname di cedro e legname di abete, quanto
ne volle» (1Re 5,22-24) e «oro a piacere» (1Re 9,11) e Salomone, in cambio, gli dà venti villaggi nella regione della Galilea. Ma quando Chiram li vide «non gli piacquero».
La ricchezza non è più dono di YHWH («Ti concedo anche quanto non hai domandato,
cioè ricchezza e gloria come nessun re ebbe mai»:1Re 3,13) ma è conquista di Salomone ormai divenuto avaro di beni. Si potrebbero allora applicare a Salomone le parole di Ezechiele
contro il re di Tiro: «Con la tua saggezza e il tuo accorgimento hai creato la tua potenza e
ammassato oro e argento nei tuoi scrigni; con la tua grande accortezza e i tuoi traffici hai accresciuto le tue ricchezze e per le tue ricchezze si è inorgoglito il tuo cuore» (Ez 28,4-5).
Quali sono le conseguenze di questi peccati di Salomone? La Bibbia vede come sua conseguenza le cattive notizie di carattere politico (1Re 11,14-40). Ci sono attacchi esterni da
parte di sovrani che vogliono rifarsi delle sconfitte passate. «Il Signore suscitò contro Salomone un avversario, l’idumeo Hadàd», re di Edom; inoltre – con la menzione di Razòn figlio
di Eliada – ecco l’affacciarsi di una potenza di maggiore rilievo, che avrà sullo scacchiere
politico internazionale una grande funzione, la Siria con la sua capitale Damasco.
Il pericolo politico maggiore è nascosto però all’interno del regno stesso: la ribellione di
molte tribù che assume una potenza esplosiva e una forte drammaticità. La ribellione trova il
suo centro in una tribù e in un personaggio: la grande tribù di Efraim del centro-nord e Geroboamo (cf 1Re 11,26-40). Achia profetizza con un’azione simbolica (divisione del suo manto
in dodici pezzi e consegna a Geroboamo di dieci pezzi) una futura sovranità di Geroboamo
sulla parte maggiore di Israele, facendo capire che essa è volontà di YHWH. Il regno comincia a sgretolarsi e la scissione avverrà subito dopo la morte di Salomone.
Tuttavia nella conclusione dell’elogio che il Siracide fa di Salomone – dove leggiamo già
in anticipo tutta la tragedia della monarchia israelitica, la condanna delle sue colpe e il loro
colmo scismatico – troviamo anche l’annuncio del misterioso e permanente destino di un «resto» di Giacobbe e di un «germoglio» di Davide (vv. 21-22)41.
41
Cf. il «ramoscello» (choter) e il «virgulto» (netzer) di Is 11,1, come pure «il germoglio (tzemach) di JHWH»,
il «frutto della terra» (pri ha-’aretz) e il «resto a Sion» (ha-nishe’ar be-Tziyyon), di Is 4,2-3.
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