Yemen, protettorato USA

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Yemen, protettorato USA
Yemen, protettorato USA
Lunedì 16 Luglio 2012 23:00
di Michele Paris
Uno dei paesi che negli ultimi anni ha attirato maggiormente l’attenzione degli Stati Uniti è
senza dubbio lo Yemen. L’impoverito paese della Penisola Arabica, a partire dallo scorso anno,
è stato anch’esso attraversato da un massiccio movimento popolare di protesta che, come
altrove, si è risolto in una soluzione inoffensiva per gli interessi di Washington. Le
manifestazioni contro il regime trentennale di Ali Abdullah Saleh, già stretto alleato degli USA,
sono infatti finite con la deposizione del presidente grazie ad una iniziativa patrocinata da quegli
stessi americani che continuano a mantenere uno stretto controllo sulle sorti dello Yemen.
A mettere in luce come il presunto nuovo corso del quadro politico yemenita sia manovrato in
gran parte dagli USA è stato un articolo pubblicato la settimana scorsa dal quotidiano libanese
Al Akhbar
. L’intermediario tra l’amministrazione Obama e il nuovo regime è rappresentato
dall’ambasciatore americano a Sana’a, Gerald Feierstein, che la testata libanese non esita a
definire “il nuovo dittatore” del paese più povero dell’intero mondo arabo.
La realtà dello Yemen smentisce in maniera clamorosa ogni pretesa da parte di Washington di
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aver favorito una transizione democratica in seguito ai disordini provocati dalla rivolta esplosa
sull’onda della Primavera Araba. Con il presidente Saleh deciso a rimanere al potere ad ogni
costo, dopo lunghe trattative gli Stati Uniti e i paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo
(GCC), con Arabia Saudita in prima fila, qualche mese fa erano finalmente riusciti a trovare un
accordo per sbloccare la situazione di stallo.
Grazie alla cosiddetta “Iniziativa del Golfo”, infatti, Saleh ha accettato di farsi da parte, così che
lo scorso febbraio sono potute andare in scena elezioni-farsa che hanno portato al potere il suo
vice, Abd Rabbuh Mansour al-Hadi, solo ed unico candidato ad apparire sulle schede elettorali.
La “transizione” senza scosse pilotata da Washington e Riyadh ha fatto in modo che la
situazione non sfuggisse di mano ai due paesi che esercitano la maggiore influenza sullo
Yemen, così da evitare un contagio della rivolta in Arabia Saudita e poter mantenere il controllo
su un paese situato in posizione strategica nella Penisola Arabica. L’importanza dello Yemen è
d’altra parte testimoniata dal coinvolgimento degli Stati Uniti, i quali hanno rafforzato i legami
con il regime e avviato una intensa campagna militare per mezzo dei droni. Il pretesto per
l’interventismo USA in Yemen è dato dalla presenza nel paese di Al-Qaeda nella Penisola
Arabica (AQAP), secondo la propaganda ufficiale l’organizzazione terroristica attualmente più
pericolosa per la sicurezza americana e dell’Occidente.
In questo modo, lo Yemen sembra essere diventato poco più che un protettorato degli Stati
Uniti, come conferma, ad esempio, la vicenda descritta da Al Akhbar del giornalista Abdel Ilah
Shaeh, condannato a 5 anni di carcere per aver rivelato che un attacco con un drone americano
nel dicembre 2009 aveva causato la morte di 35 tra donne e bambini.
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In un’apparizione alla TV yemenita, l’ambasciatore Feierstein ha recentemente dichiarato che
gli USA “non avrebbero permesso” la liberazione di Shaeh poiché, a causa dei suoi presunti
legami con Al-Qaeda, il giornalista rappresenta una minaccia per gli Stati Uniti. Secondo Al
Akhbar,
questa è stata la seconda volta che gli USA hanno messo il veto sulla scarcerazione di Shaeh,
il quale aveva ottenuto la grazia dal presidente Saleh prima dello scoppio della rivolta nel
paese. La prima fu tramite una telefonata di Barack Obama allo stesso Saleh.
Inoltre, quando un gruppo di giornalisti yemeniti ha tenuto una marcia di protesta contro la
mancata liberazione del collega davanti all’ambasciata USA di Sana’a, in molti hanno notato
veicoli delle forze di sicurezza locali, utilizzate per il trasferimento di prigionieri, entrare
nell’ambasciata stessa, con ogni probabilità per trasportare da una vicina struttura detentiva
sospettati di terrorismo da sottoporre a interrogatori ad opera di personale americano.
L’ambasciatore Feierstein è stato bersaglio di accese critiche anche per una serie di lettere,
pubblicate recentemente dalla stampa yemenita, inviate al ministro degli Interni, Abdul Qadir
Qathan, per “suggerirgli” alcuni cambiamenti ai vertici delle forze di sicurezza, necessari per
mantenere la pace nel paese. Feierstein, infine, appare costantemente sui media locali dove,
violando le consuete regole diplomatiche, discute apertamente le questioni politiche all’ordine
del giorno in Yemen. Per Al Akhbar, in definitiva, il potente ambasciatore americano “ha
assunto di fatto un ruolo di governo in Yemen, agevolando il progresso ma solo nella misura in
cui esso non contrasti con gli interessi USA”.
Il ruolo di Feierstein riflette l’intreccio esistente tra Washington e Sana’a, un rapporto
fondamentale per la salvaguardia degli interessi di entrambi i governi. Come ha spiegato il
ricercatore di Princeton, Gregory Johnsen, in un’intervista all’agenzia di stampa IPS a fine
giugno, “il presidente Hadi e Obama si trovano in un rapporto di mutua dipendenza sempre più
profondo.
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Quando Hadi è salito al potere non aveva una base di supporto sicura in Yemen, perciò aveva
bisogno dell’appoggio americano e della comunità internazionale. Allo stesso tempo, gli USA
necessitavano di Hadi per continuare a colpire AQAP” o, meglio, per mantenere la propria
influenza sul paese della Penisola Arabica.
Precisamente per quest’ultimo scopo, Washington ha promosso assieme all’Arabia Saudita
l’Iniziativa del Golfo, cioè l’accordo che ha rimosso il presidente Saleh, tanto che recentemente
Obama ha emesso un decreto esecutivo che consente agli Stati Uniti di adottare misure
punitive contro qualsiasi individuo o gruppo che ostacoli l’implementazione dell’accordo stesso.
La difesa dei termini dell’Iniziativa del Golfo, assieme alla minaccia terroristica, hanno così
fornito agli USA la giustificazione per intervenire in maniera diretta a fianco del regime
yemenita, trovandosi ufficialmente a combattere con organizzazioni estremiste che, in realtà,
risultano essere in gran parte forze di resistenza che si oppongono al governo centrale, come i
separatisti attivi nel sud del paese e i ribelli sciiti a nord.
L’impegno americano in Yemen continua in ogni caso a crescere sia in termini di aiuti finanziari
sia dal punto di vista militare. Un articolo del Los Angeles Times del 21 giugno scorso ha ad
esempio rivelato che Washington starebbe addirittura valutando la possibilità di inviare per la
prima volta nel paese aerei militari americani per facilitare il movimento delle truppe governative
nelle zone coinvolte nel conflitto con Al-Qaeda nella Penisola Arabica. Questo ulteriore sforzo
per aiutare il regime a soffocare il dissenso interno arriverebbe in aggiunta alle decine di truppe
delle Operazioni Speciali americane da tempo presenti in territorio yemenita.
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