A002297 Da PSICOLOGIA CONTEMPORANEA, del 15/7/2011, pag
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A002297 Da PSICOLOGIA CONTEMPORANEA, del 15/7/2011, pag
A002297, 1 A002297 FONDAZIONE INSIEME onlus. Da PSICOLOGIA CONTEMPORANEA, del 15/7/2011, pag 47 <<LA COSCIENZA È NATA DALLE EMOZIONI. INCONTRO CON ANTONIO DAMASIO>> intervista a cura di Jean-Francois Marmion, giornalista, traduzione di Gabriele Noferi (vedi in fondo al pezzo notizie a proposito di Prof. Antonio Damasio). Per la lettura completa del pezzo si rimanda al periodico citato. Antonio Damasio ha dimostrato che le emozioni sono fondamentali per la validità dei nostri ragionamenti. Nel suo ultimo lavoro sostiene che sono all'origine della coscienza. È successo di rado che i lavori di uno psicologo abbiano scosso improvvisamente quello che credevamo di sapere sull'essere umano. La teoria di Damasio sui marcatori somatici ha preso in contropiede i suoi colleghi, dimostrando che ragione ed emozione, contro ogni aspettativa, non sono affatto contrapposte. Senza le emozioni i nostri ragionamenti sarebbero distorti e le scelte più semplici potrebbero portare a decisioni aberranti. La dicotomia passione/ragione è l'errore di Cartesio che ha dato il titolo al primo libro di Damasio nel 1994, diventato ormai un classico. Da allora, benché il rigore delle sue opere gli impedisca di affermarsi presso il grande pubblico, i lavori più recenti hanno consolidato il suo status di pioniere capace di affrontare temi da sempre considerati sospetti dalle neuroscienze: come si forma la coscienza, cos'è la creatività artistica, e simili. Damasio ha appena pubblicato Self comes to mind. Constructing the conscious brain (Random House, 2010), nel quale sviluppa l'idea che la coscienza non sia il prodotto sofisticato delle aree cerebrali più recenti ed evolute, ma di quelle più primitive, dove appunto nascono le emozioni. Egli propone inoltre il modello di convergenza/divergenza (si veda il Box 1) per spiegare come la memoria registra e recupera i ricordi. Gli è stato appena assegnato il Premio Honda, riconoscimento prestigioso per scienziati di primissimo piano. Cortese e disponibile, Damasio mi dedica una paziente spiegazione in ottimo francese, aiutandosi con degli schizzi per farsi capire meglio. LA TEORIA DEI MARCATORI SOMATICI Attraverso l'osservazione diretta di pazienti come Elliott o la ricostruzione di casi come quello di Phineas Gage, vissuto nel XIX secolo, Antonio Damasio dimostra come una lesione cerebrale che interrompa il collegamento con le emozioni comprometta i processi decisionali, rendendo del tutto insufficiente il ricorso alla logica pura. A002297, 2 Quelli che chiama marcatori somatici sono tracce biologiche delle esperienze passate: in condizioni normali ci indirizzano, a nostra insaputa, verso le scelte che in situazioni analoghe si sono rivelate utili al nostro organismo. Queste impronte funzionano come segnali, di cui possiamo fidarci o no, ma che facilitano le nostre decisioni, rendendole più rapide e affidabili. L'ipotesi dei marcatori somatici le ha guadagnato numerosi riconoscimenti, fra cui ora anche il Premio Honda. Ma all'inizio non aveva invece suscitato una certa ostilità? Non parlerei di ostilità ma piuttosto di sorpresa. Prima della pubblicazione dell'Errore di Cartesio, alcuni colleghi si chiedevano perché studiassi le emozioni, che ai loro occhi erano fenomeni molto semplici, animali. L'argomento principe era la ragione. Mi compativano: <<Poveretto, è un malato>>, dicevano. La teoria poi ha suscitato un interesse crescente. C'è voluto qualche anno perché la gente l'assorbisse, ma oggi tutti accettano l'idea che le emozioni abbiano un posto importante nel nostro comportamento. Penso che andrà così anche per il modello convergenza/divergenza che propongo in questo nuovo libro. È un'ipotesi che ho avanzato per la prima volta nel 1989, in un articolo apparso sulla rivista Cognition. Nemmeno questa, ostilità a parte, aveva suscitato entusiasmi eccessivi. Ma oggi sono sempre più numerosi gli autori che se ne interessano. In cosa consiste questo meccanismo di convergenza/divergenza? In questo momento il suo cervello sta creando un'immagine visiva di me, ma anche una “immagine uditiva”, un'altra “immagine” con il mio nome, un'altra ancora con quello che sa sul mio conto, ecc. Queste immagini si possono definire rappresentazioni, o mappe. Ora, queste mappe lei le immagazzinerà in aree totalmente diverse del cervello, senza connessioni neuronali fra l'una e l'altra. Se domani qualcuno le chiede: <<Sicché ieri hai parlato con Damasio?>>, rispondendo alla domanda lei dovrà recuperare le varie mappe e collegarle per evocare il nostro incontro di oggi. Come farà, domani, a pensarmi visualmente, uditivamente, verbalmente, intellettualmente, tutto nello stesso tempo? È quello che chiamiamo il problema del binding, del legame. Penso che tutte queste informazioni convergano in una specie di codice e che le aree neuronali interessate imparino che esse sono comparse nel suo cervello contemporaneamente. Le connessioni sono multidirezionali: se uno le dà solo una parte di quello che cerca, ad esempio il mio nome, l'area che A002297, 3 elabora questa informazione servirà come indizio per riattivare la configurazione globale del nostro colloquio. Un ricordo non è una Polaroid con il sonoro, è una ricostruzione. Lo psicologo inglese Frederic Bartlett aveva già avanzato questa idea negli anni '30. Proprio il meccanismo di convergenza/divergenza da me proposto, plausibile dal punto di vista neurologico, permette tale ricostruzione. Abbiamo molti dati che vanno nel senso di questa ipotesi. Lei spiega che la nostra capacità di costruire rappresentazioni, ma anche di proiettarci nel passato o nel futuro, si basa sulla parte più recente ed evoluta del cervello, la corteccia. Eppure, contrariamente all'idea corrente, non ritiene che questa sia la sede della coscienza. Finora gli studiosi di neuroscienze, me compreso fino a una decina di anni fa, hanno attribuito alla corteccia un'importanza enorme, dimenticando quasi del tutto gli altri livelli. In questo momento sto facendo l'opposto. Certo, la corteccia ci conferisce l'aspetto più specificamente umano del nostro comportamento, permettendoci di tracciare mappe neuronali dettagliate, con possibilità di memoria, di ragionamento e di linguaggio. Ma tutto questo funziona solo perché in una parte molto più arcaica del cervello, il tronco cerebrale, c'è la possibilità di fare esattamente le stesse cose, ma a un livello più semplice. Il tronco cerebrale non mi permette di vederla in dettaglio, con una ricchezza di dettagli relativi alla profondità di campo o ai lineamenti del suo viso, ma mi consente invece di reagire alla sua presenza e di costruire la sensazione che io sono qui, vivente, davanti a lei, grazie a tutta una serie di piccole emozioni e sentimenti che costituiscono lo sfondo della nostra coscienza. Non possiamo essere coscienti senza una reazione emotiva a oggetti, situazioni ed eventi esterni al cervello, sia nel nostro corpo che fuori. E l'emozione comincia nel tronco cerebrale, che è in dialogo permanente con la corteccia. Non dico che la coscienza sia localizzata nel tronco cerebrale, sarebbe ridicolo. Ma è lì che si forma il suo primo abbozzo, mentre la corteccia ne assicura la piena fioritura. In un sistema del genere, l'emozione e il sentimento hanno realmente una primogenitura ai fini della coscienza. A002297, 4 BOX 1 IL MECCANISMO DI CONVERGENZA / DIVERGENZA. Questa nuova teoria di Antonio Damasio vuol essere una risposta a enigma delle neuroscienze, il problema del binding, cioè il legame fra tracce mnesiche disparate. Perché quando pensiamo a una persona, ad esempio, colleghiamo i suoi lineamenti alla sua voce, mentre le informazioni visive e uditivo sono percepite e immagazzinate in aree cerebrali diverse? Come facciamo a isolare o collegare, ricomporre i vari aspetti, evocare a volontà informazioni eterogenee nell'ambito di uno stesso ricordo? La teoria della convergenza/divergenza si pone come modello di architettura cerebrale per spiegare questa coerenza della rievocazione (come quando cerco di ricordare l'incontro con Antonio Damasio) e del riconoscimento (mi mostrano la foto di un viso e subito so a chi appartiene). In questa prospettiva, quando sollecitiamo la memoria chiamiamo in causa due “spazi”, lo spazio disposizionale e lo spazio delle mappe. Il primo, non cosciente, fa capo alle aree primitive del cervello. Le disposizioni sono automatismi, in un certo senso grossolane scorciatoie nei percorsi della memoria. Lo spazio delle mappe, o delle rappresentazioni, è invece più recente nella storia dell'evoluzione: permette la formazione di ricordi coscienti, più precisi, più contestualizzati, più ricchi. Costruisce delle “mappe” degli oggetti e degli eventi mentre li percepiamo, registrando la sincronizzazione delle diverse aree cerebrali. Ricordare un oggetto consiste nel riattivare, per quanto possibile, le stesse aree attivate durante la sua percezione iniziale. Il ricordo viene così ricostruito approssimativamente, attraverso un processo che Damasio chiama <<meccanismo di retroattivazione a tempo bloccato>>, che consiste nel rappresentare simultaneamente ciò che anche in origine è stato percepito in modo simultaneo. Spazio disposizionale e spazio delle mappe funzionano non in competizione, ma in sinergia: possiamo dire che il primo si occupa di uno schizzo sommario, mentre il secondo affina il tratto. Lo spazio disposizionale sarebbe <<il terreno di gioco delle marionette che manovriamo nella nostra coscienza>>. J. F. M. A002297, 5 Per lei la coscienza non è un capolavoro al culmine dell'evoluzione, ma un meccanismo fra i tanti selezionati nella nostra specie per vegliare sul corpo. Scopo della coscienza, se si può parlare di uno scopo, è mantenere la vita il meglio possibile, accompagnata, in noi umani, da quel benessere che ricerchiamo attivamente. Tutti gli esseri viventi hanno quindi meccanismi di regolazione che conducono a questo fine, meccanismi che erano già previsti fino dagli albori del nostro organismo. Molto prima della tappa recente della corticalizzazione, che dà luogo a una coscienza estremamente complessa, e della stessa tappa del tronco cerebrale, più antico e grossolano della corteccia, esiste un'altra tappa, che implica tutti i principi della coscienza ma precede addirittura la formazione di un sistema nervoso. La troviamo presso organismi unicellulari come i parameci, nei quali mira già a regolare la vita. L'inizio della coscienza consiste in sostanza nell'avvertire gli stati dell'organismo. Quindi perfino gli organismi unicellulari avrebbero già la possibilità di far emergere sviluppi ulteriori della coscienza, se questo meccanismo è selezionato per la loro specie? Esattamente. Tutto ciò che avviene in una cellula vivente prefigura quello di cui saranno capaci i grandi sistemi neuronali che supportano la coscienza. Si può dire che la coscienza è ciò che ci permette di comprendere, retrospettivamente, sistemi del genere, e di creare un nuovo livello di regolazione: la regolazione socioculturale. Perché anche la cultura è orientata verso l'omeostasi. L'idea che sostengo è che la morale, la giustizia, la medicina, le arti, la tecnologia esistano solo per regolare in maniera più conveniente la nostra vita. Non è per caso che esiste la morale, ma perché il bisogno di armonizzare la vita in società evita eccessi pregiudizievoli alla sopravvivenza. Compassione, senso di colpa, ammirazione, vergogna sono tutti sentimenti che hanno dei precursori negli animali, benché privi di linguaggio e di storia. Questo ricorda la teoria del gene egoista di Richard Dawkins, secondo cui tutto quanto ci sembra più evoluto nel pensiero umano o nella società sarebbe, a nostra insaputa, al servizio degli elementi più infimi e originari dell'organismo. È assolutamente esatto. Ma con lo sviluppo della coscienza e della cultura compare qualcosa di nuovo che ci dà la possibilità di dire di no. A002297, 6 Nella giungla è preferibile uccidere, ma nella nostra cultura è possibile resistere. Su scala mondiale oggi in tanti casi diciamo di no quando sarebbe invece facilissimo dire di sì: ad esempio, il rifiuto della schiavitù o la lotta contro la degenerazione del clima. La cultura è un livello di organizzazione ispirato dai processi biologici, ma con gradi di libertà che ci permettono di aggirare il sistema e addirittura di ribellarci ad esso. Ma questa possibilità di ribellione è iscritta nel nostro corredo fino dalle origini, come la coscienza? Siamo forse spinti a ribellarci da un determinismo biologico? È una domanda senza risposta. Me la pongo spesso: il sistema è organizzato in maniera tale che la ribellione vi sia già programmata? A volte ho l'impressione di sì. Nei momenti di romanticismo preferisco pensare di no, ma non ne sono affatto sicuro. Cosa ne pensa di certe derive delle neuroscienze, ad esempio quando si pensa di utilizzare in sede giudiziaria i dati di uno scanning cerebrale, come fosse un lie-detector di ultima generazione? Attualmente è impossibile utilizzare i dati delle neuroscienze per un'applicazione diretta in criminologia. Il problema dovrà essere studiato dettagliatamente in futuro, e il più presto possibile. Ma già oggi sappiamo, ad esempio, che se un omicida presenta un tumore della corteccia prefrontale è possibile che l'impulso violento si spieghi con quella patologia. Dobbiamo allora considerano innocente? No, è colpevole e la società ha diritto di proteggersi da possibili recidive. Non possiamo tuttavia equipararlo a un assassino che abbia premeditato scientemente il delitto. Bisogna quindi trattarlo come un malato. E tuttavia anche in assenza di un tumore cerebrale possono pur sempre esserci ragioni che spiegano un atto omicida sul piano delle neuroscienze: un problema genetico, ad esempio,può aver alterato l'organizzazione della corteccia prefrontale ventromediana, che collega ragione ed emozioni. Si tratta quindi di un tema estremamente complesso, rispetto al quale per ora siamo solo agli inizi. La giustizia deve seguire i progressi delle neuroscienze, che a loro volta non devono trascurare questo tipo di problemi. Ma non siamo ancora arrivati al punto da poter dettare alla giustizia precise linee di condotta. Sarebbe prematuro. Ma è già successo che alcuni imputati siano stati condannati alla luce di argomentazioni di ordine neurologico, da parte di A002297, 7 giudici che non aspettano affatto di essere padroni dell'argomento. La società va più in fretta della scienza. È un vecchio problema, che si ripropone periodicamente anche nel campo della sanità, ad esempio con l'impiego della lobotomia prefrontale negli Stati Uniti. C'è stato un periodo in cui la gente pretendeva questo genere d'intervento, perfino sui minori: <<Mio figlio è uno psicopatico, fategli una lobotomia>>. Lo si è fatto molto spesso, talvolta addirittura ripetendo l'operazione sullo stesso individuo, se i risultati parevano insufficienti. Anche in questo caso, seppure alla luce di nuove conoscenze, si è voluto andare troppo in fretta. Tutti devono contribuire a una seria riflessione, le autorità pubbliche non meno del mondo scientifico. ------------OOOO--------ANTONIO DAMASIO è professore di psicologia, neuroscienze e neurologia alla University of Southern California, dove nel 2005 ha fondato il Brain and Creativity Institute, che tuttora dirige. È diventato celebre nel 1994 con L'errore di Cartesio (Adelphi, Milano, 1995), nel quale spiegava come le più recenti scoperte della neuropsicologia contraddicano la tradizionale opposizione fra ragione ed emozioni. In seguito, ha pubblicato Emozioni e coscienza (Adelphi, Milano, 2000), Alla ricerca di Spinoza (Adelphi, Milano, 2003) e ultimamente Self comes to mind. Constructing the conscious brain (Random House, NewYork, 2010).