UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FOGGIA TESI DI LAUREA
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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FOGGIA DIPARTIMENTO DI ECONOMIA CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN FINANZA TESI DI LAUREA MAGISTRALE IN Politica Economica e Integrazione Economica e Monetaria ORIGINE E STRUMENTI DELLA FINANZA ISLAMICA UN’ANALISI COMPARATA CON LA FINANZA CONVENZIONALE Relatore: Chiar.mo Prof. Pasquale Pazienza Laureanda: Dott.ssa Giuliana Palazzo Correlatore: Prof. Vincenzo Pacelli ANNO ACCADEMICO 2013/2014 2 A me stessa, come sintesi di tutte le strabilianti persone che, nel corso di questi anni di studio, a vario titolo e per lassi temporali foss’anche impercettibili, hanno contribuito ad arricchirmi e crescere, con sorrisi e lacrime, fra la gioia e l’amarezza. Per avermi resa ciò che sono ma, soprattutto, per avermi fatto comprendere appieno ciò che mai vorrò essere: è per tutte loro che oggi “ho voglia di esser grato”. 3 INDICE INTRODUZIONE………………………………………………………………. 7 CAPITOLO 1 – IL MODELLO ECONOMICO-FINANZIARIO ISLAMICO 1.1 Le origini della Finanza Islamica: la Sharīca………………………… 12 1.2 Divieti e doveri nell’Islamic business………………………………... 14 1.2.1 Al ribā: divieto di interesse………………………………....... 15 1.2.2 Al gharār: divieto di asimmetria informativa………………... 18 1.2.3 Al maysir: divieto di azzardo e speculazione………………… 20 1.2.4 Altri elementi proibiti residuali………………………………. 21 1.2.5 Al zakāt: obbligo di elemosina……………………………….. 22 1.3 Il ruolo della moneta nell’Islām……………………………………… 25 CAPITOLO 2 – LO SVILUPPO DELL’ISLAMIC BANKING NEL CONTESTO OCCIDENTALE 2.1 Politica economica ed integrazione monetaria secondo l’Islām……... 28 2.1.1 Saudi Arabian Monetary Agency (SAMA) ……………………. 29 2.1.2 Central Bank of Iran (CBI) …………………………………….. 31 2.2 Islamic Banking e politica monetaria europea……………………….. 34 2.3 Sviluppo dell’Islamic Banking a livello globale……………………... 36 2.4 Sviluppo dell’Islamic Banking a livello europeo…………………….. 38 2.5 Sviluppo dell’Islamic Banking in Italia………………………………. 41 4 CAPITOLO 3 – CONTRATTI E STRUMENTI FINANZIARI ISLAMICI 3.1 I principali contratti di finanza islamica……………………………… 45 3.1.1 Musharakah: accordo di joint venture…………………………. 45 3.1.2 Mudarabah: società in accomandita semplice…………………. 47 3.1.3 Murabahah: contratto di mutuo bancario atipico……………… 49 3.1.4 Salam e Istisna’: eccezioni al divieto di gharār……………….. 50 3.1.5 Ijarah: contratto di leasing……………………………………... 53 3.1.6 Takaful: contratto di assicurazione…………………………….. 55 3.2 I principali strumenti finanziari islamici……………………………... 56 3.2.1 Sukuk: “bond” islamici…………………………………………. 56 3.2.2 Azioni, fondi comuni di investimento e derivati……………….. 60 CAPITOLO 4 – CASE STUDY: CONFRONTO DI PORTAFOGLI FINANZIARI 4.1 Premessa……………………………………………………………… 62 4.2 Parametri di selezione e composizione dei portafogli……………….. 63 4.3 Analisi di un portafoglio finanziario islamico………………………... 65 4.4 Valutazioni conclusive……………………………………………….. 71 APPENDICE A – Dati storici dell’Islamic Portfolio………………………... 73 APPENDICE B – Dati storici del Conventional Portfolio…………………... 76 CONCLUSIONI I. Research topics………………………………………………………… 79 II. Sintesi del lavoro di ricerca…………………………………………… 79 5 III. Valutazioni in merito al case study…………………………………... 81 IV. Proposte di ricerca……………………………………………………. 82 BIBLIOGRAFIA …………………………………………………………… 84 6 INTRODUZIONE Lo scenario nel quale si collocano i principali sistemi economico-finanziari occidentali appare, ad oggi, caratterizzato da molteplici fattori di criticità che ne stanno mettendo a dura prova la capacità di cogliere con rapidità i cambiamenti strutturali, nonché l’attitudine a rendere quanto più concreto possibile il passaggio da una visione global ad una glocal, con il preciso scopo di proporre prodotti e servizi ideati per un mercato internazionale, ma perfettamente conformi alle leggi o alla cultura di Paesi non appartenenti all’area geografica in cui essi vengono, poi, concretamente distribuiti. Traslando tali considerazioni in un ambito prettamente economico-finanziario, il comparto che indubbiamente risulta risentire maggiormente della forte necessità di ampliare gli orizzonti del c.d. «universo investibile» è quello della consulenza finanziaria, riconducibile – seppur in via del tutto superficiale – agli intermediari finanziari operanti nel settore. La forte esigenza di passare da una visione banco-centrica ad una cliente-centrica, comprovata dalla necessità di offrire ai propri clienti prodotti finanziari (di investimento e di finanziamento) conformi alle regole morali, etiche e culturali di appartenenza degli stessi, ha portato alla creazione di modelli finanziari caratterizzati da princìpi del tutto singolari, non sempre capaci di entrare facilmente in sintonia con i tradizionali assunti di c.d. «finanza convenzionale». In riferimento al contesto globalizzato in cui gli attuali operatori finanziari sono tenuti a destreggiarsi, pertanto, diventa ragionevole analizzare la crescente necessità degli stessi di creare prodotti finanziari capaci di essere in accordo con la seconda religione al mondo per diffusione del numero di fedeli: l’Islām. Tale necessità nasce dal particolare rilievo che essa assume non solo in campo religioso, ma anche economico-giuridico. L’esigenza dei fedeli di onorare i princìpi dettati dai testi sacri, ed in particolar modo la Legge Divina (in arabo, Sharīca), sta diventando una tematica di rilevante importanza per tutte le categorie di intermediari finanziari operanti in campo occidentale. 7 Ciò deriva, principalmente, dal bisogno di poter offrire anche a questo peculiare target di clienti un mix di prodotti finanziari capaci di rispettare pienamente i dogmi alla base di una religione saldamente connessa anche alla particolare sfera economico-giuridica degli stessi. Un’altra circostanza che ha notevolmente promosso la diffusione della finanza islamica in campo occidentale è sicuramente l’approvazione del Patriot Act, una legge federale promossa dal presidente George W. Bush e approvata negli Stati Uniti d’America sull’onda emotiva dell’11 Settembre. L’atto in questione, giudicato da molti diffamante e discriminatorio nei confronti dei cittadini americani di religione musulmana, nonché limitativo delle libertà individuali, prevedeva, nello specifico, controlli stringenti sui conti correnti e sugli investimenti dei risparmiatori musulmani, considerati potenziali finanziatori del fondamentalismo e del terrorismo islamico. Per tale ragione, molti investitori musulmani decisero di trasferire altrove gran parte dei propri capitali, sottoscrivendo strumenti finanziari offerti da banche islamiche operanti in oriente, divenute improvvisamente, così, approdo ideale dei loro ingenti capitali. La conseguenza immediata prodotta dall’emanazione del Patriot Act, pertanto, fu il drastico depauperamento dei capitali alla base del mercato finanziario americano, costretto a rinunciarvi in tempi rapidissimi. Tale perdita fu, pertanto, decisiva nello spingere le banche d’investimento statunitensi a rivolgere maggiore attenzione ai risparmi dell’investitore medio americano, consentendo al tempo stesso ad un numero sempre crescente di mutuatari low profile di accendere quelli che nel linguaggio tecnico vengono definiti mutui subprime. La massiccia sottoscrizione di questa tipologia di strumenti di finanziamento a medio-lungo termine si rivelò, tuttavia, letale per il comparto bancario: l’insolvenza di molti mutuatari, in parte dovuta allo spropositato aumento dei tassi di interesse, infatti, fece scoppiare nel 2008 la tristemente nota bolla del mercato immobiliare americano portando sul lastrico, fra tanti, il celebre colosso finanziario Lehman Brothers. 8 La crisi, tuttavia, non rimase confinata agli Stati Uniti, poiché il crollo della Borsa di Wall Street creò immediatamente un effetto domino sui mercati finanziari di tutto il mondo occidentale. In medio oriente, tuttavia, le cose andarono diversamente, poiché la tempesta dei mutui subprime lasciò pressoché indenne le banche islamiche, strutture portanti di un sistema finanziario del tutto peculiare, guidato dai princìpi coranici. Appare, pertanto, quasi cruciale analizzare il sistema economico-finanziario islamico, non solo per le sue indiscusse peculiarità, ma anche per i notevoli risvolti che potrebbe avere la sua sempre più capillare diffusione anche nel contesto finanziario occidentale. Il presente lavoro di tesi, pertanto, si pone l’obiettivo primario di analizzare le origini della sempre più diffusa pratica economico-finanziaria islamica – d’ora in avanti denominata con la locuzione, condivisa in dottrina e a livello globale, di «finanza islamica» – la quale trova il suo principale tratto distintivo, ma soprattutto insolito, nel divieto di ribā, ovvero del pagamento di interessi su qualsiasi forma di finanziamento. Pertanto, dopo aver analizzato i tratti storici e le caratteristiche distintive alla base di tale sistema, nel corso del primo capitolo si procederà con l’osservazione dei principali elementi di proibizione ad esso legati – come il sopraccitato divieto di ribā – nonché con l’approfondimento degli importanti risvolti che ha, in campo economico, uno dei cinque pilastri della religione islamica, la zakāt, ovvero la tassa annuale imposta a ciascun musulmano per aiutare i fedeli meno abbienti, per poi precisare l’importanza del ruolo della moneta all’interno di questo particolare contesto economico, analizzandone il nesso con la sfera teologica – nonché sociale – in cui esso si sviluppa. Nel corso del secondo capitolo, invece, si procederà con l’analisi del modello di politica economica islamica, prendendo in esame quello dei due principali Paesi arabi per estensione territoriale e per numero di musulmani, ovvero l’Arabia Saudita e l’Iran. Obiettivo di studio, inoltre, saranno le modalità con cui gli operatori finanziari islamici stanno attualmente tentando di integrarsi nel contesto macroeconomico europeo, vista l’altissima concentrazione di musulmani all’interno di quest’ultimo. 9 Nella parte finale del capitolo, infine, si analizzeranno le sfide già affrontate dalle Islamic Banks per affermare una loro concreta diffusione solo a livello globale, ma anche a livello europeo, concentrando l’attenzione su tutte le aree geografiche occidentali in cui tale sistema risulta essere già pienamente operativo. A tal proposito, soffermando l’attenzione in campo europeo, e dopo aver brevemente esposto le modalità con cui l’Islamic Banking può trovarsi in accordo con le attuali direttive di politica economica dell’Eurozona, verranno analizzati i principali organismi di finanza islamica già operanti in tale contesto geografico. A seguito di tale focus sugli intermediari finanziari islamici, appare quindi fondamentale porre l’attenzione sul dettaglio dei principali prodotti bancari di investimento e di finanziamento, conformi alla legge coranica, già diffusi tra gli organismi bancari vigenti, nonché sugli strumenti finanziari attualmente sottoscrivibili dagli investitori sui mercati secondari regolamentati. Fra tutti, si porrà l’accento sullo strumento obbligazionario (sukuk) che, per la sua forte assimilabilità ai tradizionali titoli obbligazionari attualmente negoziati nei mercati regolamentati, rappresenta lo strumento di finanza islamica maggiormente analizzato in dottrina poiché in netto contrasto con il principio shariatico di divieto di interesse. Infine, si passerà all’esplicazione di un dettagliato case study volto ad analizzare le performance registrate su un portafoglio finanziario composto interamente sukuk islamici, utilizzando come benchmark un portafoglio finanziario composto da titoli obbligazionari appartenenti all’area euro. Tale studio, in particolar modo, sarà volto all’esplicitazione delle caratteristiche che portano a differenziare maggiormente i due strumenti finanziari caratterizzanti i portafogli, nonché ad evidenziare i possibili vantaggi proposti dai sukuk islamici, in termini di performance, per un investitore privato non necessariamente appartenente alla fede musulmana, e generalmente caratterizzato da un basso profilo di rischio. Ciò che tale elaborato intende, in particolar modo, sottolineare è come il modello di finanza islamica, estremamente differente rispetto a quello di finanza convenzionale, non rappresenti affatto una mera ipotesi concettuale, priva di attuabilità. 10 Bensì, l’Islamic Finance può essere vista come un’effettiva e concreta alternativa dalla quale si potrebbe ipotizzare di ripartire per riformulare e mettere nuovamente in discussione le regole alla base dell’attuale settore finanziario occidentale, risultando di fondamentale importanza per garantire l’apporto di nuovi capitali da investire in attività direttamente connesse all’economia reale, e restituendo, così, a quest’ultima il ruolo di strumento cardine capace di massimizzare il benessere dell’intera comunità. 11 CAPITOLO 1 – IL MODELLO ECONOMICO-FINANZIARIO ISLAMICO 1.1 Le origini della Finanza Islamica: la Sharīca Al pari di qualsiasi apparato sociale, anche il modello islamico trae origine da fonti di diversa natura ed evoluzione. Partendo dal Qurcàn (il Corano), fonte principale del sistema islamico, è ragionevole spingersi fino all’analisi del forte legame che esso crea tra le dimensioni teologico-morale ed economico-politica. In qualità di testo sacro dell’Islām, il Corano rappresenta il messaggio destinato a ogni uomo sulla terra e rivelato, tramite l’Arcangelo Gabriele, da Dio (in arabo Allāh) al Profeta Muhammad nel periodo che va dal 610 al 632 d.C., anno della morte dello stesso Maometto (Mela, 2005). Appare oggi quasi pleonastico sottolineare quanto il Corano non solo regoli tutta la vita del credente, ma riesca finanche a lasciare una possente impronta nelle molteplici sfere della vita sociale che riguardano il fedele come, ad esempio, quella morale, politica ed economica1. L’Islām, dopotutto, non è solo una religione ma, in accordo con la formula delle tre ‘D’: Dîn, Duniya wa Dawla, (Religione, Mondo, Stato), esso è, parallelamente, precetto morale, stile di vita, regola culturale e legge. Da ciò è, quindi, unanime affermare che anche il comportamento economico non può prescindere dai dettami religiosi che, concretamente, lo governano. Il modello economico-finanziario islamico – ad oggi meglio conosciuto con la locuzione di «finanza islamica» – trova, difatti, la propria peculiarità nel suo fondamento: la Sharīca, ovvero la Legge Divina, che ha come fonti principali proprio il Corano e la Sunna2 (Islāhī, 1989). 1 2 Ciò trova conferma nella stessa etimologia del sostantivo Islām, derivante dalla radice del verbo aslama (che significa “sottomettersi”) e collegato al sostantivo salām (“pace”), il che rende il dogma religioso traducibile come: «entrare in uno stato di pace e sicurezza con Dio attraverso la sottomissione e la resa a Lui». La Sunna è la Tradizione, intesa come insieme di atti e detti del Profeta, e dei suoi seguaci, che sono stati trasmessi, in via orale e scritta, nei vari aḥadīth (racconti o aneddoti brevi). 12 I princìpi fondanti e le pratiche su cui si basa la finanza islamica risalgono, pertanto, alla prima parte dell’VII secolo, sebbene abbiano assunto rilevanza a livello globale soltanto in un periodo relativamente recente. Fino all’inizio degli anni ’70, infatti, il sistema economico islamico era basato esclusivamente sulla hawala (anche detta hundi), ovvero un sistema bancario del tutto informale3. L’hawala consta in un trasferimento di denaro tra Paesi con valute differenti, senza un effettivo spostamento fisico della liquidità poiché le transazioni si basano esclusivamente sull’onore e la fiducia tra i soggetti che vi prendono parte. Infatti, il riferimento al cosiddetto «money transfer without money movement» (Jost & Sandhu, 2000) rappresenta una precisa definizione di hawala che è stata utilizzata, con successo, in diversi casi di riciclaggio di denaro relativi a questa particolare metodologia. L’hawala, più precisamente, prevede la partecipazione di quattro soggetti: l’ordinante, ovvero colui che vuole trasferire i fondi; il beneficiario, ovvero colui che riceverà in ultimo i fondi; due operatori (gli hawaladar), che prendono una commissione per ogni transazione portata a termine. Figura 1.1 - Schema di funzionamento dell'hawala Fonte: www.runtogold.com 3 Il 20 ottobre 1975 venne fondata la Islamic Development Bank (IDB) a Gedda (Arabia Saudita), ad opera dei Paesi membri dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica (OIC), con l’intento di «favorire lo sviluppo economico ed il progresso sociale dei paesi membri e delle comunità musulmane, sia individualmente che congiuntamente, in conformità con i princìpi della Sharīca». 13 A seguito di un utilizzo non conforme alla legge di questa tecnica di trasferimento di fondi, ed in accordo con le usanze indiane e pachistane, il termine «white hawala» viene, ad oggi, utilizzato per riferirsi alle transazioni legittime, mentre il termine «black hawala» si ricollega alle transazioni illecite, con particolare riferimento al c.d. «hawala money laundering» (Jost & Sandhu, 2000). Si ritiene, infatti, che tale metodologia sia stata – e venga tutt’ora – utilizzata per rendere non tracciabili spostamenti di fondi per fini di riciclaggio di denaro, frode, traffico di stupefacenti e come copertura per il finanziamento di atti di terrorismo internazionale (Müller, 2006). Il concetto di Islamic Banking, pertanto, è nato innanzitutto come miglior soluzione – seppur rivoluzionaria per il contesto di realizzazione – all’esigenza di mettersi al pari con l’evoluzione del sistema creditizio occidentale, in un contesto sempre più globalizzato in cui l’assenza di un comparto bancario opportunamente sviluppato non era più tollerabile, ma pur sempre cercando di coniugare l’esercizio professionale dell’attività bancaria con il rispetto della Sharīca. In ogni caso occorre precisare che l’assunto principale su cui si basa il sistema economico islamico, «in accordo con la Sharīca», è che il denaro non è, in alcun modo, uno strumento di guadagno. Proprio per via della peculiarità di tale argomentazione, sarà opportuno approfondire il dettaglio degli elementi ammessi e proibiti nel commercio islamico, per poi passare alla definizione del ruolo della moneta all’interno di questo particolare contesto economico, analizzandone il nesso con la sfera teologica – nonché sociale – in cui esso si sviluppa. 1.2 Divieti e doveri nell’Islamic business Il Corano e la Sunna, come già ampiamente esposto, rappresentano i testi alla base della più precisa Ash-Sharīca al-Islamiyya, ovvero l’interpretazione della conoscenza religiosa effettuata dai dottori della legge, chiamati Ulema. 14 È importante notare come, non potendo considerare la Sharīca come una vera e propria raccolta di norme codificate, tale termine viene spesso tradotto ed interpretato anche come sinonimo di Ahkam (ovvero la legge), suddivisa dagli Ulema in due principali unità: la Sharīca 'Ibadat, riguardante le norme sulla devozione religiosa; la Sharīca Mu'amalat, inerente le attività economiche, giuridiche e sociali. Con preciso riferimento a quest’ultima, pertanto, si procederà col porre l’accento su due delle cinque categorie di azioni umane che essa annovera – gli haram, ovvero gli atti proibiti, e gli halāl, ovvero gli atti leciti – per concludere con l’analisi di uno dei pilastri della religione musulmana avente particolare rilevanza in ambito economico: la zakāt, ovvero la tassa annuale imposta a ciascun musulmano per aiutare i poveri. 1.2.1 Al ribā: divieto di interesse Il termine arabo ribā significa letteralmente “eccesso”, “incremento”, “sovrappiù” ma, se analizzato all’interno del contesto economico islamico, viene più comunemente tradotto come “usura”, in quanto rappresenta qualsiasi surplus di denaro che un debitore è tenuto a corrispondere al proprio creditore, unitamente all’importo prestato, come compenso volto al pagamento del prestito. Sebbene tale ultima definizione risulti più conforme alla ben nota nozione di interesse, appare opportuno specificare che, essendo il ribā espressamente vietato dal Corano4, nel lessico tradizionale e nell’ambito della dottrina economica, si è ritenuto più corretto associarlo ad una pratica avente sempre ad oggetto l’interesse, ma illecita dal punto di vista giuridico. Il ribā è stato classificato dai giuristi islamici in due tipologie principali: ribā al-fadl, ovvero interessi su beni fatti in natura; ribā al-nasi'ah, ovvero interessi su un prestito economico. 4 «Ma Allāh ha permesso il commercio e ha proibito l’usura. Chi desiste dopo che gli è giunto il monito del suo Signore, tenga per sé quello che ha e il suo caso dipenderà da Allāh. Quanto a chi persiste, essi saranno gente del Fuoco, nel quale rimarranno in eterno» [Corano, Sura II:275]. 15 La prima classificazione, pertanto, rappresenta l’interesse percepito su qualsiasi transazione commodity-for-commodity come un prestito in grano o di riso. A tal proposito occorre precisare che la Sunna sancisce che i prestiti fatti in beni naturali devono essere ripagati con gli stessi beni e nella stessa misura5. La seconda suddivisione, invece, si riferisce agli interessi applicati ad un prestito economico e concordati al momento di concessione dello stesso. L’interesse, pertanto, avrà lo scopo di rimborsare il creditore per il tempo in cui si è privato del proprio denaro, rappresentando, così, una pratica assolutamente proibita dalla legge islamica6. L’assoluta proibizione coranica di applicare l’interesse è un imperativo che serve a statuire un sistema economico dal quale sia bandita ogni forma di sfruttamento, con particolare riferimento allo squilibrio esistente tra i due soggetti che prendono parte all’operazione di prestito: il datore ed il prenditore di fondi. Difatti, il primo avrà la garanzia di un guadagno non commisurato ad alcuno sforzo operativo o alla condivisione di alcun rischio d’impresa7, mentre il secondo, legato al perseguimento dei risultati attesi dell’investimento posto in essere, non avrà, invece, alcuna certezza del suo effettivo esito positivo. Il riferimento coranico piuttosto vago alla liceità del commercio, tuttavia, lascia aperta ai fedeli la possibilità di ricorrere a tipologie contrattuali maggiormente conformi alla Sharīca, la cui legittimità viene supervisionata dagli Ulema. Il divieto alla percezione di interessi implica, pertanto, che il denaro possa essere prestato legalmente soltanto in due casi: per scopi caritatevoli e senza alcuna aspettativa di rientro addizionale; con lo scopo di porre in essere affari legali, ovvero investimenti basati sul principio di condivisione di profitti e perdite (profit and loss sharing). Secondo Abu Sa‘id al-Khudri, il Profeta ha detto: «Oro in cambio di oro, argento in cambio di argento, grano in cambio di grano, orzo in cambio di orzo, datteri in cambio di datteri e sale in cambio di sale, misura contro misura, di medesima natura e di mano in mano. Chi paga di più o prende di più pratica l’usura.» 6 Secondo Anas ibn Malik, il Profeta ha detto: «Se un uomo concedesse un prestito a qualcuno, non dovrebbe accettare nessun regalo.» 7 Si fa riferimento ad operazioni non basate sul principio di profit and loss sharing (non-PLS), ovvero di non condivisione del rischio di impresa. 5 16 L’incremento del capitale, quindi, risulta conforme alla Sharīca esclusivamente se inserito in un contesto produttivo reale, ovvero solo se la crescita reale genera profitto e non la mera aspettativa di una remunerazione priva di causa, capace di confluire nella più ampia sfera della speculazione monetaria. Altro aspetto da non sottovalutare è la necessaria conformità dei rapporti debitori al principio di profit and loss sharing (PLS), in assenza del quale si incorrerebbe nella illiceità contrattuale. Infatti, secondo la Sharīca, soltanto l’assunzione di un rischio può giustificare una forma di ritorno economico positivo predeterminato, e non la mera attesa della conclusione del prestito. Breve puntualizzazione, a tal proposito, va fatta in merito al rischio di insolvenza ed al rischio di default del debitore, non considerati realmente tali in quanto economisti e giuristi islamici sostengono che le garanzie che accompagnano i prestiti tutelano maggiormente il creditore, mentre il debitore rimane la controparte più debole della transazione. Va, in ogni caso, abbattuto il tabù che porta a connotare la finanza islamica come una tipologia di sistema finanziario che non riconosce il valore del denaro nel tempo per il solo motivo di non legittimare il tasso d’interesse. Infatti, nella tradizione islamica, l’accumulo di ricchezza trova legittimazione di fronte a Dio soltanto se deriva dall’attività operosa dell’uomo, poiché solo il lavoro legittima il profitto e l’accrescimento del capitale. Si ponga il seguente esempio: «se partecipassi con 100 euro ad una attività commerciale, e guadagnassi 10 euro dopo un anno, […] il 10% rappresenta senza dubbio un tasso d’interesse, ma dal momento che non è stato stabilito ex ante e deriva dal risultato economico, non si incorre nel ribā» (Miglietta, 2009). Solo recentemente la dottrina musulmana ha istituito un modello economico capace di rappresentare una valida alternativa – soprattutto per i fedeli – all’abolizione dell’interesse, e imperniata sulla sostituzione di quest’ultimo con un sistema di compartecipazione societaria, da parte del creditore, a profitti e rischi dell’attività da egli finanziata. 17 Un vero e proprio punto di inizio, questo, verso una propensione alla cosiddetta customer-centric vision (ovvero una visione cliente-centrica), che rappresenterà il maggior punto di forza degli istituti bancari islamici, rispetto a quelli occidentali, accrescendone la capacità competitiva mediante l’elaborazione di peculiari prodotti finanziari conformi al rispetto dei valori, dei princìpi e dei precetti etici e giuridici dell’Islām. 1.2.2 Al gharār: divieto di asimmetria informativa La parola araba gharār, letteralmente, è traducibile come “incertezza”, “ambiguità”. Tuttavia, nella sua accezione più ampia, tale termine viene ricondotto al concetto di “informazione incompleta” o, per meglio dire – in senso prettamente economico – di asimmetria informativa8. A differenza del ribā, il gharār non è definito con precisione né dal Corano, né dalla Sunna, in quanto considerato di minore importanza. La principale conseguenza di tale distinzione è che, a differenza del ribā che è tassativamente vietato, un certo grado di gharār resta accettabile, mentre vengono vietate solo le condizioni di completa incertezza. Data l’assenza di una chiara definizione, il gharār è stato ampiamente studiato nel corso degli anni, giungendo alla conclusione per cui si ha gharār quando vi è: in primo luogo, incertezza; in secondo luogo, inganno. Relativamente al primo tratto connotativo, si può pensare che nella Sharīca esiste il principio secondo il quale bisogna evitare qualsiasi incompletezza d’informazione legata alla transazione che si intende porre in essere, sia che essa riguardi l’oggetto di scambio9, sia che riguardi il suo prezzo, il luogo dello scambio, o altre informazioni attinenti al contratto stesso. Per “asimmetria informativa” si intende la condizione che si verifica nel mercato quando uno o più operatori dispongono di informazioni più precise di altri. [G. NICODANO, Asimmetria informativa, in Dizionario di Economia e Finanza, Treccani, Roma, 2012]. 9 Ibn Abidin definisce il gharār come «incertezza sull’esistenza della materia di vendita» Cfr. (Al-Saati, 2003). 8 18 A tal proposito, appare esplicativo identificare i cosiddetti contingent claims10 (contratti contingenti), che nella finanza convenzionale vengono utilizzati in condizioni di incertezza, come esempio di contratti gharār espressamente vietati. In riferimento al secondo tratto distintivo del divieto di gharār, invece, si può sottolineare come il Corano vieti chiaramente tutte le operazioni commerciali che rappresentino causa di ingiustizia, in qualsiasi forma essa si manifesti, dove per ingiustizia si intende eccessivo rischio o pericolo di inganno, frode o indebito vantaggio. Gli Ulema concordano sul fatto che solo l’eccessivo gharār sia vietato in quanto ostacola la validità del contratto. Essi danno come esempi di cosiddetto “eccessivo gharār” contratti aventi ad oggetto (Al-Saati, 2003): vendita di animali non ancora nati; vendita di frutti prima della loro raccolta; vendita di un oggetto di identità ignota o genere sconosciuto; differimento del prezzo ad una data futura sconosciuta. Esempi di contratti in cui gli Ulema, invece, accettano il cosiddetto “gharār lieve” possono essere quelli aventi ad oggetto (Al-Saati, 2003): vendita di un cappotto foderato anche se il suo rivestimento non si vede; vendita di una casa anche se le sue fondamenta non sono state viste; affitto mensile di una casa, dove il mese può essere 30 giorni o 31. Pertanto, è possibile concludere che, di norma, i contratti che si basano su eventi futuri in cui l’oggetto ancora non esiste al momento della loro stipulazione, non sono permessi, a meno che non vi sia la garanzia della loro esistenza alla data stabilita per la consegna. 10 Il contingent claim rappresenta una particolare formula contrattuale in condizioni di incertezza, con la quale ci si assicura contro un evento negativo o si scommette in favore di un evento positivo [A. NICITA, Contingent claim, in Dizionario di Economia e Finanza, Treccani, Roma, 2012]. 19 1.2.3 Al maysir: divieto di azzardo e speculazione Il termine maysir si riferisce alla speculazione, alle scommesse, e al gioco d’azzardo. Un’attività economica conforme ai principi islamici, pertanto, non deve contenere nessuno di questi elementi e, in via generale, nessun presupposto che comporti un accrescimento economico derivante esclusivamente dalla fortuna o basato su congetture astratte. Questo terzo divieto, pertanto – come è facile desumere – assume particolare importanza soprattutto poiché è in netta contrapposizione con i contratti assicurativi di finanza convenzionale, basati interamente sulla probabilità che un evento futuro si possa verificare o meno. Tuttavia, gli strumenti di finanza convenzionale in cui vi è una chiara presenza di maysir sono molteplici e, fra questi, in particolar modo, si può pensare ai contratti derivati11. Infatti, contratti come swaps e futures, vengono assimilati all’altrettanto proibito gioco d’azzardo12. Più in generale, quindi, risulta interdetto l’esercizio di attività che implichino informazioni asimmetriche ed eccesso di incertezza o di rischio, in piena conformità al divieto di gharār. Sebbene il maysir abbia elementi di gharār, non è sempre vero l’inverso. Infatti, principale motivazione di tale affermazione è che, come già precisato precedentemente, per il gharār sono ammesse deroghe, mentre il maysir – così come il ribā – è sempre vietato. 11 Per contratti derivati si intendono «contratti il cui valore deriva (cioè dipende) dal prezzo di una “attività finanziaria sottostante”, ovvero del valore di un parametro finanziario di riferimento (indice di borsa, tasso d'interesse, cambio)» (Ferrarini, 1993). 12 «O voi che credete, in verità, il vino, il gioco d’azzardo, le pietre idolatriche, le frecce divinatorie sono immonde opere di Satana. Evitatele perché possiate prosperare. In verità con il vino e il gioco d’azzardo, Satana vuole seminare inimicizia e odio tra voi e allontanarvi dal ricordo di Allāh e dalla preghiera» [Corano, Sura V:90-91]. 20 Figura 1.2 – Principali divieti della finanza islamica Fonte: Borsa Italiana, Notizie e Finanza, disponibile su www.borsaitaliana.it, Dicembre 2008. Gli strumenti finanziari negoziati in borsa, per concludere, restano ammissibili solo se conservano un qualche legame con un’attività economica reale sottostante (Iqbal & Mirakhor, 2007). 1.2.4 Altri elementi proibiti residuali Gli elementi sopra elencati rappresentano i principali divieti nelle transazioni economiche basate sui princìpi della finanza islamica. Bisogna, però, tener presente che essi non sono i soli e, a tal proposito, si possono segnalare – come più rilevanti – anche il darār e il dhulm. Per darār si intende qualsiasi fonte di danno o perdita che potrebbe essere eventualmente arrecata dall’attività che si sta intraprendendo13. Più in particolare, costituiscono darār tutti quei fattori che influenzano negativamente i diritti di terzi connessi con ad un contratto. Per dhulm ci si riferisce, invece, alla “iniquità”, ossia all’ingiustizia verso un qualunque essere vivente, consistente nell’usurpazione dei diritti altrui, e nella non concessione di un’adeguata ricompensa in uno scambio dovuta a qualsiasi atto illegale o coercizione. 13 Secondo Al-Nawawi, il Profeta ha detto: «Né infliggere danno, né ripagare un’ingiustizia con un’altra.» 21 Pertanto, per essere conforme alla Sharīca, un’attività economica deve anche evitare di trattare tutto ciò che sia in contrasto con gli insegnamenti della religione musulmana, come la pornografia, il gioco d’azzardo, l’industria delle armi e le sostanze che la religione islamica considera impure, come carne di maiale, bevande alcoliche e tabacco. 1.2.5 Al zakāt: obbligo di elemosina La zakāt rappresenta uno dei cinque pilastri dell’Islām (Arkān al-Islām), ovvero i cinque obblighi fondamentali che ogni musulmano devoto è tenuto ad osservare. Sebbene nel linguaggio comune essa venga erroneamente percepita come “elemosina”, il termine che maggiormente ne esprime il reale significato è “decima”, in quanto essa consiste nel pagamento di una quota delle proprie ricchezze, a beneficiari particolari, a titolo “purificatorio” delle medesime14. Il ruolo principale della zakāt, infatti, è quello di evitare l’accentramento del surplus di denaro nelle mani di pochi andando, così, ad identificarsi come strumento utile non solo per la purificazione dei peccati del singolo fedele, ma come vero e proprio meccanismo volto a debellare l’egoismo della società intera attraverso l’esercizio di un’opera di altruismo e di generosità. La zakāt si configura, quindi, come uno elemento di fondamentale importanza per lo sviluppo armonioso della società, in cui giustizia sociale, solidarietà e fratellanza vengono eretti a norma generale e regola di vita civile. Attraverso questo atto “purificatorio”, infatti, l’accumulo della ricchezza da parte delle fasce forti della società viene scoraggiato e prevenuto, così come lo sviluppo del rancore e del risentimento sociale da parte delle fasce più deboli. Il presupposto che è alla base della zakāt – e ne giustifica l’esistenza – è la consapevolezza che tutti gli uomini sono solo dei servi di Dio, il quale è l’Unico Padrone del mondo e delle ricchezze che esso contiene, decretandone, così, la loro distribuzione nel modo che Egli ritiene maggiormente opportuno. 14 «Preleva sui loro beni un’elemosina che li purifichi e li mondi» [Corano, Sura IX:103]. 22 In conformità con tale affermazione, quindi, diventa ragionevole pensare che: il ricco ha ricevuto da Dio un surplus di ricchezza solo perché egli lo ridistribuisse, poiché non ne ha bisogno né per sopravvivere, né per mantenere l’agiatezza derivante dalle proprie fatiche; il povero diventa fruitore di un diritto per cui, secondo la tradizione, non deve ringraziare, in quanto rappresenta qualcosa che Dio aveva destinato a lui da sempre, designando colui che ha versato la zakāt come mero custode ed amministratore della stessa fino a quel momento. L’importanza della zakāt è sottolineata dal fatto che essa è una delle voci maggiormente menzionate nel Corano in associazione con la salat, ossia la preghiera rituale che ogni musulmano compie in direzione della Mecca almeno cinque volte al giorno. Dal punto di vista giuridico, si distinguono due tipologie di zakāt: zakāt al-mal, ovvero la decima sulle ricchezze; zakāt al-fitr, ovvero una quota fissa (di cibo o di equivalente in denaro) che ciascun capo-famiglia è tenuto a pagare, per se stesso e per i membri della propria famiglia che sono a suo carico, a conclusione del digiuno nel mese di Ramadan. Nel contesto della finanza islamica, pertanto, assume particolare rilevanza la prima tipologia di zakāt, in quanto equivale ad una porzione fissa del patrimonio del fedele eccedente un valore minimo di ricchezza – detto nisab – che è necessario aver accumulato nel corso di un anno affinché il pagamento della zakāt diventi obbligatorio. Infatti, il nisab rappresenta l’ammontare del patrimonio del fedele risultante dopo che egli abbia assolto a tutte le spese necessarie per se stesso e per la propria famiglia. Il nisab è calcolato in base al valore dell’oro o dell’argento – più precisamente 85 grammi d’oro o 600 grammi d’argento (Jonsson, 2006). 23 Nel calcolo del nisab rientrano, quindi, tutti i beni che producono ricchezza o derivano da attività produttive, come i depositi in denaro su conti correnti bancari, l’oro, l’argento, le merci di scambio destinate ad attività commerciali, i capi di bestiame ed il raccolto, mentre, tutti i beni che non producono ricchezza (come automobili, utensili, abbigliamento, cibo, mobili, prima abitazione), non vanno inclusi nel calcolo della zakāt. L’importo della zakāt è pari al 2,5% del reddito netto dell’anno lunare (se si tiene conto del calendario islamico) altrimenti 2,75 % dell’anno solare (se si fa riferimento al calendario gregoriano). Le somme possono affluire ad un fondo nazionale istituito per legge, alle moschee locali, ad associazioni caritatevoli, o direttamente ai fedeli meno abbienti. Secondo il Corano, possono beneficiare della zakāt: poveri e bisognosi che non raggiungono una soglia minima di ricchezza tale da poter compensare la nisab; indigenti, ovvero fedeli che non possiedono i beni di base; viandanti che e non hanno modo di raggiungere la propria destinazione senza aiuto, poiché sprovvisti di sufficiente denaro; personale addetto alla raccolta e alla distribuzione della zakāt; gli schiavi, per essere liberati; coloro che sono indebitati, poiché incapaci di provvedervi autonomamente; coloro di cui bisogna «conquistare i cuori» alla causa di Dio, ovvero coloro che si sono convertiti da poco alla religione islamica e divenuti poveri a causa della loro decisione; coloro che lottano sul sentiero di Dio. L’interesse nei confronti della zakāt è diventato, nel corso degli anni, sempre più crescente in quanto essa rappresenta, ad oggi, una vera e propria pratica riconosciuta giuridicamente avente come principale obiettivo ridurre la povertà. Per tale motivo, alla fine del 1980, i governi di tutto il mondo islamico hanno dato il via alla creazione di agenzie ufficiali volte alla gestione, alla raccolta e alla distribuzione della zakāt. 24 Tale tendenza ha visto una rapida accelerazione nel corso degli ultimi 15 anni, come mostrato dalla Figura 1.3. Figura 1.3 – Numero di agenzie ufficiali di riscossione e gestione della zakāt dal 1970 al 2013 Fonte: (Minor, 2014) Il notevole sviluppo che ha visto protagoniste queste peculiari agenzie istituzionali può fornire – già a prima vista – una seppur approssimativa idea dell’ingente entità di flussi finanziari movimentati dal zakāt, avvalorando, quindi, la tesi che vede in questa inconsueta tipologia di strumento un elemento di fondamentale importanza per accrescere l’assistenza, lo sviluppo ed il benessere sociale nei Paesi islamici. 1.3 Il ruolo della moneta nell’Islām Ci sono forti differenze tra un sistema economico di finanza islamica ed uno di c.d. «finanza convenzionale15» e, indubbiamente, la più evidente fra tutte si riferisce alla percezione del denaro. In un sistema economico convenzionale, infatti, il denaro rappresenta una vera e propria merce di scambio e, come tale, può essere oggetto di compravendita e speculazione. 15 Per «finanza convenzionale» si intende l’insieme dei sistemi finanziari in accordo con le tradizionali teorie macroeconomiche di politica economica non basate sulla Sharīca. 25 Si può agilmente parlare, pertanto, del concetto di Time Value of Money (TVM)16 in riferimento alla prassi per cui il denaro vede modificarsi il proprio valore nel tempo comportando, così, una remunerazione, sottoforma di interesse, dovuta a chi presta il proprio denaro privandosene per un cerco arco temporale. Al contrario, l’Islām vede il denaro non solo come un qualcosa che non può essere accumulato, ma anche come un elemento che non può essere sperperato. Alla luce di questi due limiti, pertanto, è facile notare come un modello di finanza convenzionale risulti totalmente contrario ai precetti cardine della Sharīca, poiché l’Islām vede il denaro semplicemente come unità di conto e mezzo di scambio per acquistare beni, servizi o attività reali, e non come una riserva di ricchezza al fine di farne accrescere il valore nel tempo. Sulla base di queste discrepanze si può, pertanto, dare risalto a come la Sharīca guardi al denaro – e più precisamente, in questo caso, alle valute – in modo nettamente differente rispetto alle altre tipologie di materie prime comunemente commerciate anche nei mercati finanziari regolamentati. Le principali ragioni che motivano tale affermazione riguardano, in primo luogo, il fatto che il denaro non rappresenta oggetto di scambio, come le altre commodities, poiché il suo uso è limitato al suo scopo di base, ovvero all’utilizzo come mezzo di scambio e come misura di valore. In secondo luogo, se il denaro deve essere ceduto in cambio di altro denaro, o necessita di essere preso in prestito per motivi eccezionali, la corresponsione da entrambe le parti deve essere di uguale entità, in modo tale da non utilizzare il denaro per scopi differenti rispetto a quelli di origine, già nominati in precedenza. A questo punto, tuttavia, è lecito domandarsi come sia possibile per i fedeli accrescere i propri capitali se il denaro viene visto solo come mezzo di scambio. Gli Ulema si sono espressi su tale punto affermando che è possibile guardare al denaro in ottica di capitale solo quando questo viene investito in attività reali. 16 Il TVM, ovvero il valore temporale del denaro, è una delle teorie alla base del concetto di interesse. Tale teoria afferma che il valore del denaro oggi è maggiore rispetto ad una promessa (seppur affidabile) di ricevere la stessa quantità di denaro in una data futura. 26 Di conseguenza, se un surplus di denaro deriva da un business come conseguenza di un prestito, questo verrà considerato come mero debito commerciale e non come capitale da poter distribuire, mentre sarà possibile cederlo a quanti partecipano all’attività commerciale solo se esso risulta derivante dal processo produttivo posto in essere dalla stessa. Per ciò che concerne i prestiti e le altre operazioni generatrici di reddito, la filosofia che è alla base della finanza islamica è che, colui che offre denaro ad un altro soggetto deve decidere se il denaro: viene prestato a fini solidali; viene prestato per scopi mutualistici; rappresenta un utile da distribuire come partecipazione societaria. Nel primo e nel secondo caso, il creditore non potrà percepire alcun importo aggiuntivo al di là del capitale stesso prestatogli, in quanto l’assistenza finanziaria è espressamente sancita dal Corano attraverso il principio della succitata zakāt, o perché unico scopo del prestatore è di risparmiare denaro e non guadagnare alcun reddito extra. Tuttavia, se il creditore intende partecipare agli utili del debitore, come nel terzo caso, egli dovrà anche condividere qualsiasi perdita conseguente all’attività posta in essere, secondo il principio del profit and loss sharing. In conclusione, è unanime affermare come il concetto di valore temporale del denaro, analizzato nel contesto islamico, possa essere individuato solo come dato ex-post, ovvero come mero rendimento di capitale derivante dalla partecipazione in attività imprenditoriali capaci di riconoscerne un valore puro e, soprattutto, conforme alla legge shariatica. 27 CAPITOLO 2 – LO SVILUPPO DELL’ISLAMIC BANKING NEL CONTESTO OCCIDENTALE 2.1 Politica economica ed integrazione monetaria secondo l’Islām Sebbene il concetto di finanza islamica sia stato già ampiamente esposto nel corso del primo capitolo, appare opportuno, ora, individuarne un’enunciazione formale che, nella fattispecie, porta a definire tale modello come «l’insieme delle attività finanziarie che, seppur soggette alle leggi statali di ogni singolo paese, sono svolte senza infrangere i princìpi della Sharīca» (Alvaro, 2014). Tuttavia, l’individuazione del perfetto incastro tra i princìpi shariatici ed il quadro macroeconomico in cui questi necessitano di essere sviluppati ed applicati, non sempre risulta agevole, soprattutto se si pensa al contesto occidentale. L’outlook economico che caratterizza i Paesi arabi con maggior livello di islamizzazione ed estensione territoriale – quali Arabia Saudita ed Iran, come mostrato nella Figura 2.1 – risulta fortemente dipendente dagli strumenti di politica monetaria adottati, nel caso in esame, dalla Saudi Arabian Monetary Agency (SAMA) e dalla Central Bank of Iran (CBI). Figura 2.1 - Sviluppo della finanza islamica per aree geografiche Fonte: Deloitte Consulting, Finanza islamica. Niente interessi, ma grande interesse, disponibile su www.deloitte.com, 2010. 28 Proprio la SAMA e la CBI, in quanto Banche Centrali dei due principali Paesi arabi appartenenti all’area primaria per livello di islamizzazione, meritano una, seppur breve, analisi esplicativa, visto l’importante ruolo che attualmente giocano nel contesto economico-finanziario islamico. 2.1.1 Saudi Arabian Monetary Agency (SAMA) La Banca Centrale del Regno dell’Arabia Saudita è stata fondata nel 1952 con lo specifico intento di svolgere diverse funzioni in piena conformità con le leggi ed i regolamenti propri del Paese in cui opera. Fra le principali attività che essa annovera è opportuno mettere in risalto: affrontare le questioni bancarie del Governo Centrale; coniare la moneta nazionale (il Riyal saudita), ed operare per il rafforzamento della stessa, stabilizzandone il valore interno ed esterno; gestire le riserve valutarie del Regno; gestire la politica monetaria per mantenere la stabilità dei prezzi e dei tassi di cambio; promuovere la crescita del sistema finanziario, garantendone la solidità; supervisionare e vigilare sull’operato di banche commerciali, compagnie di assicurazione cooperative e società finanziarie in generale. Per ciò che attiene alla gestione della politica monetaria, in particolar modo, è fondamentale sottolineare come la SAMA si ponga, come principale obiettivo, al pari della maggior parte dei sistemi occidentali, il mantenimento del livello di stabilità dei prezzi ed il controllo del tasso di cambio del Riyal saudita nei confronti delle altre valute. A tal proposito, è opportuno dare risalto alla decisione, risalente al 1986, del Regno dell’Arabia Saudita, di adottare un tasso di cambio fisso del Riyal rispetto al dollaro americano, mentre il tasso di cambio della valuta saudita rispetto alle altre valute cambia a seconda delle consuete dinamiche di domanda e di offerta. 29 Altro obiettivo di politica monetaria della SAMA è mantenere la stabilità e lo sviluppo del settore finanziario, fondamentali per potenziare il risparmio ed attrarre ulteriori investimenti. Per raggiungere gli obiettivi di politica monetaria, la SAMA utilizza diversi strumenti che le permettono di gestire la liquidità in modo efficiente, nonché di monitorare le posizioni del mercato monetario. I più importanti di questi strumenti sono: obblighi di riserva; pronti contro termine; contratti Foreign exchange swap (Fx swap) nel mercato dei cambi. Il primo strumento è ulteriormente scindibile in due sottocategorie, in quanto fa riferimento a riserve statutarie e riserve di liquidità. Ai sensi dell’articolo 7 della Legge sul Controllo Bancario emanata con Regio Decreto n. M/5 del 11/06/1966, le banche che operano in Arabia Saudita sono obbligate a mantenere con la SAMA delle riserve statutarie, ovvero una percentuale di depositi bancari. Il rapporto delle riserve statutarie cambia a seconda degli sviluppi economici che si verificano all’interno del Paese, ed assume particolare importanza in quanto risulta fortemente efficace per il controllo del credito bancario, poiché interessa la liquidità monetaria. Oltre alla riserva legale, e sempre in conformità all’articolo 7 della Legge sul Controllo Bancario di cui sopra, gli istituti bancari operanti in Arabia Saudita mantengono con la SAMA una riserva di liquidità, vale a dire una certa percentuale del totale dei depositi bancari a breve termine che possono essere convertiti in contanti entro un mese. Ne consegue, pertanto, che la liquidità disponibile per le banche operanti nel Regno, che può essere utilizzata in operazioni di prestito, è rappresentata dalla differenza tra il totale dei depositi ed il totale degli obblighi di riserva. Per quanto attiene ai contratti di pronti contro termine su titoli di Stato, essi rappresentano uno strumento importante a disposizione della SAMA per gestire la liquidità interna. 30 Tale strumento, difatti, può essere utilizzato con il preciso obiettivo di iniettare liquidità nel sistema bancario o di assorbire liquidità da esso. Infine, i contratti Fx swap e Reverse Fx swap nel mercato dei cambi, valutati sulla base dei tassi di interesse di mercato, hanno lo scopo di influenzare i flussi di capitali riducendo le turbolenze di politica monetaria, in quanto caratterizzati da una maggiore flessibilità in termini sia di maturity che di volume. In particolar modo, tali contratti vengono utilizzati quando il Riyal saudita è esposto a pressioni speculative, fornendo al sistema bancario la liquidità necessaria per far fronte a questi casi improvvisi. Inoltre i contratti Fx swap vengono utilizzati in modo efficace anche dalle banche commerciali al fine di gestire al meglio la propria liquidità e proteggere dal rischio di cambio le proprie posizioni finanziarie già aperte sui mercati valutari. 2.1.2 Central Bank of Iran (CBI) La “Bank Markazi Jomhouri Islami Iran” è la Banca Centrale della Repubblica Islamica dell’Iran, più comunemente nota come Central Bank of Iran (CBI). È stata istituita nel 1960 e, come precisato dal Monetary and Banking Act of Iran (MBAI), la CBI è responsabile per la progettazione e l’attuazione delle politiche monetarie e creditizie nel rispetto della politica economica generale del Paese in cui opera. I quattro obiettivi principali della CBI, indicati dal MBAI, sono: mantenere stabile il valore della moneta nazionale (Riyal iraniano); mantenere l’equilibrio della bilancia dei pagamenti; agevolare le transazioni commerciali; migliorare il potenziale di crescita del Paese. Per raggiungere tali obiettivi, la CBI può svolgere le seguenti funzioni: emettere banconote e monete; vigilare su banche ed istituti di credito; emanare disposizioni in merito alle operazioni di politica monetaria. 31 La Banca Centrale dell’Iran può, pertanto, ricorrere direttamente alla propria autorità o influenzare le condizioni del mercato monetario indirettamente in qualità di emittente di denaro. Difatti, la CBI ricorre a due differenti tipologie di strumenti di politica monetaria: strumenti diretti (non market-oriented); strumenti indiretti (market-oriented). I primi comprendono: tassi di profitto bancari; massimali per il credito. Entrambi sono opportunamente regolati dall’articolo 14 della Legge bancaria antiusura iraniana la quale precisa, rispettivamente, che la determinazione dei tassi di profitto bancari o dei tassi di rendimento attesi sui servizi bancari viene affidata al Money and Credit Council (MCC) ma che, tuttavia, la CBI può intervenire per determinare questi tassi, sia per progetti di investimento, sia per altri servizi prestati dal sistema bancario in genere. Inoltre, la CBI può supervisionare le relazioni monetarie e bancarie degli operatori del settore precisandone, nella fattispecie, le modalità di utilizzo dei fondi, nonché il calcolo dei massimali per investimenti e finanziamenti. Per quanto attiene agli strumenti indiretti, invece, essi comprendono: Reserve Requirement Ratio (RRR); CBI Partecipation Papers; Open Deposit Account (ODA). Nel dettaglio, la Legge monetaria e bancaria dell’Iran stabilisce chiaramente che le banche hanno l’obbligo di depositare una parte delle proprie passività sottoforma di deposito presso la CBI la quale, attraverso l’aumento o la diminuzione di tale rapporto, può contrarre o espandere il mercato monetario. Inoltre, la Banca Centrale Iraniana è autorizzata a determinare il RRR in un range che va dal 10 al 30 per cento, a seconda della composizione delle passività delle banche e del loro specifico comparto di attività. 32 Per quanto concerne i Partecipation Papers, occorre precisare che gran parte delle decisioni di politica monetaria individuate dalla CBI vengono attuate attraverso operazioni di mercato aperto. Tuttavia, dopo l’attuazione della Legge bancaria antiusura, si è resa sempre più necessaria la creazione di strumenti finanziari conformi alla Sharīca e volti allo sviluppo di operazioni di mercato per una corretta gestione della liquidità. In particolar modo, il principale problema si è riscontrato con gli strumenti obbligazionari, poiché in netto contrasto con la Sharīca a causa della loro natura di strumenti volti a corrispondere ai propri possessori un tasso di interesse prefissato. Si è deciso, quindi, di ovviare a questa rilevante problematica attraverso la promozione di partecipazioni societarie in attività economiche. Inizialmente solo il MCC era autorizzato a rilasciare i titoli di partecipazione ma, con l’attuazione della quarta Legge FYDP (Five-Year Development Plan), l’emissione dei Partecipation Papers fu concessa anche alla CBI, previa autorizzazione del Parlamento. Una decisione, questa, che si è rivelata di fondamentale importanza in quanto, con tale strumento, la CBI può influenzare il mercato monetario (in particolar modo, l’aggregato M217) modificando, così, la base monetaria e tenendo sotto controllo il tasso di inflazione. Infine, una delle misure più innovative compresa negli strumenti indiretti di politica monetaria è la possibilità, per le banche, di aprire un conto di deposito speciale con la CBI. Il regolamento relativo all’ODA è stato approvato dal MCC a cavallo tra il 1998 ed il1999 con l’obiettivo principale di adottare adeguate politiche monetarie per controllare la liquidità attraverso l’assorbimento del surplus delle risorse bancarie in circolazione e garantendo, alle banche che decidono di concorrere allo sviluppo di questo strumento, un profitto depositario regolato da norme specifiche. 17 Secondo una definizione della BCE, l’aggregato M2 è un aggregato monetario “intermedio” che comprende M1 più i depositi con durata prestabilita fino a due anni e depositi rimborsabili con preavviso fino a tre mesi. 33 2.2 Islamic Banking e politica monetaria europea Lasciando temporaneamente da parte le soluzioni di politica monetaria adottate negli Stati con economie completamente islamizzate, nei contesti convenzionali occidentali si è posto il problema di come sia possibile armonizzare il rispetto dei principi religiosi della Sharīca con le esigenze di gestione della liquidità comuni a tutti gli intermediari bancari, e quindi anche a quelli islamici. Identificando – a mero titolo esemplificativo – il sistema finanziario europeo come peculiare modello di finanza convenzionale occidentale oggetto di analisi, risulta importante individuare come, a livello di Eurosistema, si possano concretamente conciliare le esigenze legislative imposte dai Regolamenti BCE con le peculiari necessità che il modello islamico richiede. In diretto riferimento agli strumenti di politica monetaria previsti dalla Banca Centrale Europea (BCE), appare opportuno ricordare come la gestione operativa della European monetary policy si basi generalmente su tre strumenti: gestione delle riserve bancarie presso la Banca Centrale Europea; operazioni di mercato aperto; standing facilities, ovvero operazioni su iniziativa delle controparti18. Ciascuno di questi strumenti è rivolto, seppur con contributi differenti, al perseguimento dell’obiettivo principale di politica monetaria – fissato nel Trattato sul funzionamento dell’Unione europea19, prima, e concretamente definito dal Consiglio direttivo della BCE il 13 ottobre 1998, poi – di stabilità dei prezzi. Il riferimento della finanza convenzionale europea a strumenti di politica monetaria interest-based, pertanto, porta ad un’inevitabile incompatibilità con la proibizione, sancita dai precetti islamici, del ribā, ovvero della corresponsione di interessi, fissi o pre-fissabili, su fondi prestati ma non legati ad un’attività economica reale. 18 Sono operazioni attivate dalle istituzioni creditizie abilitate ad operare con il SEBC. Comprendono le operazioni di deposito overnight e le operazioni di rifinanziamento marginale. 19 art. 127 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), ex articolo 105 del Trattato che istituisce la Comunità Europea (TCE). 34 Tale problematica, infatti, determina non poche criticità nella gestione della banca islamica, che corre sovente il rischio di trovarsi di fronte al problema della difficoltà di procacciarsi liquidità e di mantenere elevati livelli prudenziali di riserve in eccesso. Nella fattispecie, la disposizione del Regolamento BCE/2003/9 di prevedere, al pari della Saudi Arabian Monetary Agency, un regime di riserva obbligatoria presso la Banca Centrale, con remunerazione al tasso ufficiale della BCE, trova la sua peculiarità nella possibilità, riservata alla BCE stessa, di esentare delle istituzioni, in via eccezionale e residuale, o di detenere la riserva obbligatoria presso la Banca Centrale in via indiretta, tramite un intermediario. Alla luce di tale previsione, appare subito evidente come tale disposizione sia del tutto in contrasto con il suddetto divieto di ribā, in quanto viene espressamente prevista una remunerazione ad un tasso di interesse prefissato. Pertanto, vista l’impossibilità, per gli intermediari islamici, di usufruire dell’esenzione dettata dal suddetto Regolamento BCE per assenza di opportuni e specifici requisiti, risulta vincolante la necessità di adempiere all’obbligo di costituire la riserva obbligatoria da parte di questi soggetti per via diretta, o per il tramite di un intermediario, con esplicita rinuncia alla remunerazione della stessa. Per quanto riguarda, invece, gli altri strumenti di politica monetaria, ed in particolare le operazioni di rifinanziamento principale e di mercato aperto – per le quali è richiesto il requisito dell’adesione al regime della riserva – anch’esse risulterebbero in contrasto con il divieto di ribā, ma la conseguenza di tale conflitto apparirebbe ancora più preoccupante. Infatti, la non fruibilità di tale specifico strumento di politica monetaria comporterebbe, per le banche islamiche operanti nell’Eurozona, da un lato maggiori criticità in relazione al rischio liquidità, ma tuttavia non sarebbe impedito loro di operare nello Spazio Economico Europeo al pari degli istituti finanziari appartenenti ai Paesi membri dell’Unione (Miraglia, 2013). Stesso vale per le standing facilities e le lending o deposit facilities, tutte sempre basate su tassi di interesse calcolati applicando uno spread al tasso ufficiale. 35 Ne risulta, pertanto, che le banche islamiche possono arginare tale problematica ricorrendo a meccanismi di business-combination con banche occidentali tradizionali per far fronte ad improvvise crisi di liquidità o bisogni di cassa. In tal caso, infatti, spetterebbe alla holding contrastare le impreviste esigenze di disponibilità immediate delle partecipate. Altra modalità molto diffusa nella pratica, commerciale e finanziaria, per il reperimento di fonti è il ricorso a contratti di finanziamento, Sharīca-compliant, dei quali si parlerà più dettagliatamente nel corso del terzo capitolo dedicato ai prodotti ed agli strumenti finanziari islamici. 2.3 Sviluppo dell’Islamic Banking a livello globale Ad oggi, nel mondo, il numero di musulmani si aggira intorno a 2,04 miliardi, cioè circa il 28,3% della popolazione globale (Cfr. Tabella 2.1). A livello finanziario, invece, è possibile contare più di 350 Islamic Financial Institutions (IFI) in circa 50 paesi nel mondo, con asset stimati per il 2010 pari a 1000 miliardi di dollari, ed asset potenziali stimati per il 2020 pari a 5000 miliardi di dollari (Deloitte Consulting, 2010). La finanza islamica, dopo essersi sviluppata in Asia – con particolare riferimento ai Paesi del Gulf Cooperation Council (GCC)20 e alla Malesia – sta trovando sempre maggiore diffusione in altre aree del mondo come il Nord Africa, gli Stati Uniti d’America, l’Australia ed il Canada, oltre che in Europa dove molti Paesi, come è stato già visto, stanno trovando valide soluzioni per recepire tale operatività, e dei quali si parlerà con maggior cura nel corso del successivo paragrafo. Dove la presenza di immigrati di religione islamica è più rilevante, le banche occidentali si stanno, quindi, attrezzando per raggiungere direttamente la clientela musulmana, eliminando il passaggio attraverso intermediari bancari islamici operanti nei Paesi musulmani e meritando, così, una più accurata osservazione. 20 Il Consiglio per la Cooperazione nel Golfo è stato istituito nel maggio del 1981 dai Paesi arabi facenti parte del Golfo Persico (con eccezione dello Yemen), quali Arabia Saudita, Bahrain, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman e Qatar. 36 Tabella 2.1 - Popolazione musulmana nel mondo (2014) POPOLAZIONE TOTALE (MILIONI) NUMERO DI MUSULMANI (MILIONI) % MUSULMANI Africa 1096,60 581,58 53,04 Asia 4319,96 1389,50 32,16 Europa 739,31 56,18 7,60 Nordamerica 469,10 8,04 1,80 Sudamerica 488,50 2,07 0,42 Oceania 38,04 1,77 0,67 TOTALE 7151,51 2038,04 28,26 CONTINENTE Fonte: www.muslimpopulation.com Secondi solo all’Europa per numero di popolazione musulmana, gli Stati Uniti d’America hanno notevolmente ridimensionato l’esigenza di un approccio al sistema finanziario islamico a seguito degli eventi dell’11 settembre 2001 in quanto, incoraggiati dai pareri dei media, molti americani hanno spesso assimilato tale pratica operativa ad un vero e proprio sistema volto al finanziamento del terrorismo internazionale (Hassan & Lewis, 2007). Ciononostante, anche negli Stati Uniti sono presenti realtà finanziarie legate al mondo islamico e, fra tutte, merita una particolare menzione LARIBA, ovvero la più antica istituzione finanziaria islamica negli Stati Uniti. LARIBA, a dispetto di quanto sia facile pensare, è l’acronimo di Los Angeles Reliable Investment Bankers Association, e rappresenta la più antica American Finance House fondata da un gruppo di musulmani americani nel 1987 a Pasadena, una piccola comunità a nord di Los Angeles. Anche se inizialmente aveva la possibilità di operare solo in California, nel 2005 LARIBA ha ottenuto la licenza di condurre i propri affari in ogni Stato americano, fatta eccezione per il territorio di New York. Assieme ad essa, anche la Devon Bank di Chicago e la Guidance Financial Group della Virginia, forniscono al proprio bacino di clientela strumenti finanziari islamici, nonché servizi legati principalmente all’home finance ed al vehicle finance, volti a soddisfare le esigenze di clienti sia retail che corporate. 37 Tuttavia, per quanto attiene le altre aree geografiche appartenenti al territorio occidentale, non si rilevano attualmente forti sviluppi della pratica bancaria islamica a causa, per lo più, della scarsa diffusione di un ragguardevole indice di cultura finanziaria tra gli investitori non musulmani, nonché dell’esiguo livello di popolazione dei fedeli islamici nelle suddette aree. Di particolare valore, invece, appare l’analisi del territorio europeo che, vista l’alta concentrazione di popolazione musulmana presente al suo interno, rappresenta la zona occidentale ospitante il maggior numero di istituti finanziari islamici, frutto di importanti esperimenti di globalizzazione che hanno ottenuto un esito positivo, e capaci di rappresentare un valido esempio per il resto del mondo. 2.4 Sviluppo dell’Islamic Banking a livello europeo L’Europa rappresenta, già da diversi anni, il territorio appartenente all’area occidentale caratterizzato dal maggior numero di casi di istituzione di operatori finanziari islamici con più ampio bacino di clientela. Nel territorio europeo si evidenzia, tra l’altro, un crescente interesse per i prodotti finanziari islamici anche da parte della popolazione non musulmana, vista la sicurezza che i prodotti shariatici promettono di offrire sia in termini etici che di crescita e sviluppo dell’economia reale. I principali player europei per grado di sviluppo della finanza islamica sono il Regno Unito, la Germania, la Francia, il Lussemburgo, l’Irlanda, la Svizzera, la Spagna e Malta, sebbene anche la Francia e l’Italia stiano muovendo, seppur piccoli, passi positivi verso l’adozione di questo particolare modello bancario. Sicuramente, comunque, spetta al Regno Unito il primato europeo in tema di avanguardia nei confronti dell’istituzione di intermediari bancari islamici, con ben cinque Islamic Banks (1 retail e 4 wholesale) che operano in Gran Bretagna con la stessa licenza bancaria delle banche convenzionali (Deloitte Consulting, 2010). 38 La nascita, nel 2004, della Islamic Bank of Britain (IBB)21, ad opera di un gruppo di investitori del Golfo, ha rappresentato un cruciale punto di svolta per una vera e propria operazione pioneristica che ha dato avvio alla diffusione della finanza islamica in territorio europeo. L’iniziativa, partita nel 2002 e concretizzatasi nell’agosto del 2004 con l’autorizzazione della Financial Services Authority (FSA), ovvero l’autorità di vigilanza anglosassone, vede come fruitore principale dei propri servizi la comunità britannica musulmana ma, sicuramente degno di nota, è anche l’insieme di tutti i non-islamic custostomers che essa accoglie positivamente al suo interno. La Islamic Bank of Britain attualmente offre la più ampia gamma di prodotti Sharīca-compliant rivolti a clienti retail del Regno Unito. Fra questi sono compresi strumenti basilari come conti correnti e conti di deposito a risparmio, senza trascurare prodotti più complessi volti a soddisfare le molteplici esigenze di finanziamento della clientela. Ciò che rende particolarmente importante la IBB è il fatto di essere stata la prima banca del Regno Unito ad introdurre un tipo di attività incentrata sui precetti islamici e, per tale motivo, attualmente rappresenta un punto di riferimento per un’ampia gamma di consumatori, sia a livello privato che istituzionale. Un’altra realtà britannica degna di menzione è quella della HSBC Bank, la quale ha avuto come principale punto di forza la presenza, dal 1998 al 2012, di una divisione dedicata prettamente alla finanza islamica: la HSBC Amanah. La scelta di revisione strategica, come si può apprendere dal sito internet del Gruppo bancario, ha comportato «l’impossibilità di offrire prodotti e servizi conformi alla Sharīca in Paesi come Emirati Arabi Uniti, Regno Unito, Bahrain, Bangladesh, Indonesia, Singapore e Mauritius, restando attiva solo in Malesia ed in Arabia Saudita». Ciò nonostante, come si evince da un articolo del Financial Times risalente alla chiusura delle suddette sedi di HSBC Amanah, la banca rimane – secondo i dati Bloomberg – uno dei più grandi player dell’Islamic corporate and investment banking, soprattutto in termini di emissione di sukuk, ossia i bond islamici dei quali si parlerà meglio nel corso del prossimo capitolo (Jenkins & Hall, 2012). 21 Il 23 ottobre 2014 la Islamic Bank of Britain ha annunciato la decisione di cambiare il suo nome in Al Rayan Bank PLC. La modifica sarà completata nel dicembre 2014. 39 Passando alla Germania, la quale opera esclusivamente con Islamic Windows22, è opportuno sottolineare come essa sia stata il primo Paese in Europa ad emettere, nel 2004, un bond islamico governativo con valuta europea. Nel 2009, la Federal Financial Supervisory Authority (BaFin) tedesca ha accettato la richiesta, avanzata da un’istituzione finanziaria straniera, di effettuare operazioni bancarie all’interno del Paese europeo in accordo con i princìpi islamici. Tuttavia, senza una licenza bancaria completa, la gamma di prodotti offerti è rimasta decisamente limitata (di Mauro, 2013). Le prospettive di sviluppo della finanza islamica in Germania sono piuttosto solide per diverse motivazioni. In primo luogo, la Germania è la più grande economia europea e, anche per tale motivazione, rappresenta un territorio in cui il mercato islamico potrebbe avere una valida prospettiva di crescita sebbene non vanti una delle più grandi percentuali di popolazione islamica (4,03 milioni di musulmani, contro i 6,13 milioni della Francia e 2,95 milioni del Regno Unito)23. In secondo luogo, gli investitori tedeschi potrebbero utilizzare le istituzioni che offrono soluzioni di finanza islamica come fonti alternative di finanziamento e, quindi, migliorare e diversificare ulteriormente il proprio profilo di rischio. Infine, appare opportuno sottolineare come i prodotti islamici abbiano come principale vantaggio quello di rafforzare i legami commerciali con Paesi come la Turchia, partner commerciale attivamente impegnato con la Germania e caratterizzato da un mercato finanziario islamico in forte sviluppo. Spostando l’attenzione verso la Francia, invece, si può rilevare come lo sviluppo della finance islamique sia dovuto principalmente al forte sostegno che le autorità francesi hanno dato a questo particolare segmento in evoluzione, creando un ambiente adeguato ed accogliente volto al suo sviluppo in questo Paese europeo. 22 23 L’Islamic Window è il reparto di una banca tradizionale che offre servizi finanziari islamici. Fonte dei dati: www.islamicpopulation.com 40 Nel 2010, un accordo tra Paris Europlace e l’AAOIFI24 ha sancito un punto di partenza volto allo sviluppo dell’Islamic banking in Francia, vista anche la precedente istituzione, nel dicembre 2009, dell’Institut français de finance islamique, un’organizzazione che ha lo scopo di promuovere e sostenere lo sviluppo della finanza islamica in Francia e nel mondo. Tuttavia, rispetto agli altri Stati membri dell’Eurozona, la Francia si colloca ancora in una fase embrionale per lo sviluppo di tale pratica finanziaria. Negli ultimi anni, ciò nonostante, le autorità di regolamentazione francesi hanno adottato una serie di misure, soprattutto fiscali, volte a promuovere il finanziamento islamico nel Paese, anche per mezzo della contrattazione di strumenti finanziari islamici sui mercati regolamentati. Nel giugno del 2011, la Francia ha assistito all’introduzione del primo sistema di deposito islamico gestito da una banca tradizionale, il quale è stato accolto in maniera nettamente positiva da parte dei clienti retail francesi (di Mauro, 2013). Col passare degli anni, in ogni caso, la finanza islamica sembra avere un buon potenziale di crescita nel territorio francese. Infine, sicuramente degna di nota è la situazione italiana che, seppur dai tratti incerti, vanta già diverse realtà finanziarie shariatiche che promettono un concreto ed imminente sviluppo del fiorente mercato islamico capace di distinguersi verosimilmente finanche a livello europeo. 2.5 Sviluppo dell’Islamic Banking in Italia Il recente Turin Islamic Economic Forum, tenutosi nel capoluogo Piemontese il 17 e 18 novembre 2014, ha confermato la concreta volontà, da parte del mercato economico italiano, di aprire i propri orizzonti a realtà finanziarie differenti da quelle convenzionali. L’iniziativa, organizzata dal Comune di Torino, dimostra, infatti, che il tema è di saliente importanza non soltanto nel mondo accademico, vista l’alta affluenza di rappresentanti di aziende ed istituzioni bancarie già operanti in tale direzione. 24 L’Accounting & Auditing Organization for Islamic Financial Institutions (AAOIFI) è un organismo non-profit con la funzione di elaborare ed emettere standard contabili, etici e di governance societaria relativi alle attività svolte dalle istituzioni finanziarie islamiche. 41 Come evidenziano le parole di Maurizio Tamagnini – CEO del Fondo Strategico Italiano (FSI) nonché Presidente della IQ Made in Italy Investment Company, recente Joint Venture tra Fondo Strategico Italiano e Qatar Holding: «L’asse tra finanza islamica e Made in Italy è funzionale ai nostri interessi e complementare ai loro obiettivi» (Ferrando, 2014). Inoltre, la crescente nascita di web magazines in lingua italiana dedicati alla finanza islamica, nonché di centri di ricerca accademici e di corsi volti ad approfondire tale tematica, testimoniano il forte interesse verso questo nuovo modello economico-finanziario che sta prendendo sempre più piede nel contesto italiano viste, soprattutto, le prospettive di sviluppo che esso può generare. Afferma, infatti, Paolo Biancone – direttore del Centro di Ricerca Osservatorio sulla Finanza Islamica all’Università degli Studi di Torino, nonché Editor in Chief dello European Journal of Islamic Finance: «Conoscere la finanza islamica è un presupposto fondamentale per essere competitivi e produttori di ricchezza» (Habibeddine, 2014). Un dato, questo, che può trovare conferma nell’evidente presenza di una forte concentrazione, già nel 2010, della popolazione musulmana nelle regioni italiane. Figura 2.2 - Musulmani per regione su totale musulmani in Italia Fonte: Deloitte Consulting (2010), Finanza islamica. Niente interessi, ma grande interesse, disponibile su www.deloitte.com. 42 Indubbio è che ad oggi l’Italia, sebbene non ospiti istituti finanziari islamici indipendenti rispetto agli attuali operatori convenzionali, pone sempre più l’attenzione verso il mondo finanziario islamico, in quanto interessata ad espandere tale segmento dell’economia al proprio interno soprattutto sotto tre differenti profili (Alvaro, 2014): offerta di prodotti e servizi finanziari islamici; raccolta di capitali da soggetti islamici mediante l’utilizzo di prodotti di finanza convenzionale capaci di rispettare le regole di finanza islamica; investimenti effettuati in Italia da soggetti appartenenti al mondo islamico, nel rispetto delle regole di finanza convenzionale, senza vincoli islamici. Ciò nonostante, il principale settore in cui la finanza islamica al momento risulta particolarmente sviluppata nel contesto italiano è sicuramente quello dei mercati mobiliari, vista la presenza delle italiane Diasorin, Luxottica, Moncler, Parlmalat, Recordati, Salvatore Ferragamo e Tod’s nel Dow Jones Islamic Index, ovvero l’indice mondiale delle 2510 società capaci di rientrare nei canoni halāl fissati dalla finanza islamica (Massaro, 2014). Il team di appena trenta dottori, considerati fra i più autorevoli sul tema a livello internazionale, ha emesso il proprio parare legale positivo nei confronti delle suddette società italiane, il quale vale come vera e propria garanzia per gli investitori musulmani. Ma il Dow Jones Islamic Index non rappresenta l’unica realtà finanziaria in cui sono presenti delle società italiane. Infatti, spostando l’attenzione sul Ftse Shariah All World è possibile trovare ben tredici società italiane conformi ai princìpi della Sharīca, quali Buzzi Unicem, Enel, Enel Green Power, Eni, Exor, Fiat, Luxottica, Parmalat, Pirelli, Prysmian, Saipem, STMicroelectronics e Tenaris (Massaro, 2014). Come è facile evincere dalla Figura 2.3, a dispetto di quanto accaduto ai mercati mobiliari a seguito dello scoppio della bolla finanziaria del settembre 2008, il settore della finanza islamica ha sempre proseguito il suo trend positivo, con performance finanche superiori rispetto a quelle del mercato tradizionale. 43 Figura 2.3 – Confronto tra il DJIM ed il GDOW Fonte: MASSARO F. (2014), La Consob studia la finanza islamica. Ecco la lista dei titoli italiani certificati, Corriere della Sera, 20 Luglio 2014. Di conseguenza, vista la situazione attuale nel contesto italiano, risulta sicuramente encomiabile la persistente presenza di alcune delle principali società italiane a maggiore capitalizzazione in indici di finanza islamica ma, ciò nonostante, il superamento delle difficoltà normative riguardanti il sistema bancario italiano risulta sempre più necessario ed auspicabile, non solo per attrarre nuovi investimenti, ma soprattutto per apportare maggiore liquidità al sistema economico con la conseguente riduzione del costo del capitale per le aziende. Un’intesa, quella tra economia italiana e finanza islamica, che si prospetta essere un vero e proprio punto di svolta per la rinascita dell’economia reale del Paese. 44 CAPITOLO 3 – CONTRATTI E STRUMENTI FINANZIARI ISLAMICI 3.1 I principali contratti di finanza islamica Gli istituti bancari islamici operanti nel mercato finanziario internazionale sono parte integrante, ad oggi, di una vasta gamma di accordi giuridici, conformi alla Sharīca, architettati sulla base di alcune delle più note forme contrattuali tipiche della finanza islamica, che verranno qui di seguito esaminate dettagliatamente. 3.1.1 Musharakah: accordo di joint venture Il termine arabo musharakah è letteralmente traducibile in lingua italiana come “associazione” e, per questo motivo, è riconducibile ad una delle basilari forme contrattuali pienamente conformi al principio coranico del profit and loss sharing (PLS), di cui si è già detto nel corso del primo capitolo. In termini economici, questa particolare tipologia contrattuale può essere ricondotta alla partecipazione societaria in cui due o più soggetti apportano il proprio capitale di rischio, finalizzato alla realizzazione di un’attività, affidandone la gestione al prenditore di fondi, così come evidenziato dalla Figura 3.1. Figura 3.1 – Schema di funzionamento del contratto di musharakah Fonte: www.deloitte.com. 45 La principale particolarità di questo contratto è che i profitti derivanti da tale compartecipazione vengono distribuiti in base ad un accordo, mentre le perdite sono ripartite secondo quanto conferito dai soggetti che vi prendono parte, motivo per cui il musharakah è considerato un contratto a partecipazione di parità. Altro importante vantaggio legato al contratto di musharakah è rappresentato dal fatto che il soggetto finanziatore che apporta il proprio capitale può contribuire all’investimento non solo mediante versamenti in denaro, ma anche con il proprio lavoro, attraverso la locazione di macchinari o attrezzature, oppure direttamente con beni conferiti in natura. Identificati i principali tratti distintivi di tale contratto è, quindi, facile identificare la banca come principale entità capace di destinare la quota capitale necessaria a finanziare l’attività dando vita, così, ad una vera e propria partnership con l’imprenditore. È opportuno precisare, tuttavia, che nel musharakah la banca potrebbe non essere la sola finanziatrice del progetto, come invece avviene in altre tipologie contrattuali delle quali si parlerà a breve. Il contratto, inoltre, può prevedere un potere di esercizio di voto, nonché di partecipazione alla gestione, da parte dei soggetti finanziatori, determinato sulla base delle quote detenute dagli stessi, motivo per cui il musharakah viene più comunemente assimilato ad un accordo di joint venture o di project financing. Un tipico esempio di contratto musharakah può essere quello in cui «la banca mette a disposizione di un contadino un certo patrimonio di base, come aratri, trattori, pompe di irrigazione, e così via, nonché una parte di capitale d’avvio sottoforma di carburante, sementi, pesticidi e fertilizzanti. Il capitale del contadino è limitato alla fornitura della terra, del proprio lavoro e della gestione. Trattandosi di un contratto di associazione, non vi è bisogno di collaterals o di altre garanzie oltre a quelle personali. I profitti vengono divisi tra il contadino e la banca, in modo tale che l’agricoltore venga pagato dapprima col 30% del profitto netto per la sua gestione, mentre il restante 70% viene diviso tra la banca e il contadino con una rateizzazione basata sulla ripartizione dell’equity» (Ahmad, 1993). 46 3.1.2 Mudarabah: società in accomandita semplice Anche il mudarabah si configura come un contratto basato sul principio coranico del profit and loss sharing (PLS) e, per tale motivo, come si vedrà a breve, presenterà molti tratti in comune con il contratto di musharakah. Il mudarabah coinvolge due soggetti: il Rabb-ul-Maal, ovvero il finanziatore, proprietario del capitale; il Mudarib, ossia l’imprenditore, cui è affidata la gestione. Il finanziatore fornisce il capitale per intero, mentre l’imprenditore apporta la propria esperienza e capacità operativa, idonee per investire il capitale in un progetto economico volto all’ottenimento di un ritorno redditizio, senza pretendere alcun compenso per la concreta gestione dell’operazione. Figura 3.2 – Schema di funzionamento del contratto di mudarabah Fonte: www.deloitte.com. Gli utili realizzati vengono ripartiti tra il finanziatore e l’imprenditore secondo una proporzione stabilita ex ante, nel momento della stipulazione del contratto. Tuttavia è opportuno precisare che, in caso di profitto, viene condivisa tra i due soggetti solo una percentuale del margine di utile, e non l’intera somma. 47 In caso di perdita, invece, di distinguono due casi: se questa è legata alla normale incertezza presente nelle operazioni di investimento, il Rabb-ul-Maal perde tutto il capitale apportato, mentre l’imprenditore subisce una perdita in termini di tempo e sforzi impiegati; se la perdita è causa di una comprovata negligenza o cattiva gestione del Mudarib, questo può essere ritenuto responsabile del danno economico e, pertanto, identificato come unico responsabile tenuto a ricompensare il finanziatore delle perdite subite. Per tale motivo, i contratti mudarabah sono considerati ad alto rischio e, dunque, oltre ad essere assimilati ad un più convenzionale schema di società in accomandita semplice, vengono spesso ricondotti, da molti studiosi, ad accordi volti alla gestione finanziaria di fondi comuni di investimento. Essendo mudarabah e musharakah basati sul principio di PLS, è opportuno sottolinearne alcune differenze, così come esposto nella Tabella 3.1: Tabella 3.1 – Principali differenze tra mudarabah e musharaka MUSHARAKAH MUDARABAH Investimento Effettuato da tutti i soggetti che prendono parte al contratto Effettuato soltanto dal Rabb-ul-Maal Gestione Possono prendervi parte tutti i soggetti partecipanti Solo il Mudarib ha diritto di gestione Responsabilità Illimitata per tutti i partners Limitata al finanziatore per la parte del suo investimento Profitti distribuiti secondo accordi PLS Perdite distribuite in base alle quote di partecipazione dei partners Rabb-ul Maal: beneficia di margini di profitto o perde l’intero capitale Mudarib: beneficia di margini di profitto, ma non incorre in perdite economiche se non per negligenza Fonte: elaborazione propria. 48 3.1.3 Murabahah: contratto di mutuo bancario atipico Il murabahah rappresenta la principale forma di finanziamento islamico rientrante nella categoria dei contratti non-profit and loss sharing (non-PLS). Nella fattispecie, esso si configura come un contratto del tutto particolare in quanto capace di eludere una delle problematiche principali affrontate dalle Islamic banks, ovvero il divieto, stabilito dalla Sharīca, di non poter prestare direttamente alcuna somma di denaro ricavandone un surplus economico. Per tale motivo, la banca ovvia a tale questione acquistando direttamente il bene che il cliente avrebbe comprato con il denaro ricevuto in prestito, per poi rivenderlo al cliente stesso aggiungendo un margine di utile (spesso indicato come mark-up) ad un prezzo più alto, concordato ex ante, che può essere corrisposto anche ratealmente. Figura 3.3 – Schema di funzionamento del contratto di murabahah Fonte: www.deloitte.com. Questa tecnica, pertanto, risulta ammissibile in quanto la banca, acquistando il bene oggetto del contratto, non solo sopporta un rischio legato all’acquisizione del bene prima della concreta controproposta di vendita al cliente specifico, ma soprattutto perché essa è vincolata a tenere un alto livello di trasparenza con i propri clienti ai quali deve comunicare, ex ante, l’ammontare esatto del proprio ritorno economico per accordare questo tipo di operazione. 49 Nella realtà operativa, pertanto, si ricorre molto spesso a questa tipologia contrattuale per finanziare l’acquisizione di cespiti o di investimenti relativi ad attività imprenditoriali. La specificità di questa forma contrattuale è legata al rispetto del principio shariatico secondo cui, una delle condizioni più importanti per la validità di un contratto di vendita, è che l’oggetto di scambio sia di proprietà del venditore, che deve detenerne anche il possesso fisico, poiché la merce deve già esistere al momento della stipula contrattuale, come fissato dal divieto di gharār del quale si è parlato nel corso del primo capitolo. L’elemento essenziale della transazione, pertanto, è legato alla proprietà della merce la quale resta del finanziatore dal momento dell’acquisto del bene fino all’atto della sua concreta rivendita al cliente specifico, con tutti i rischi annessi. 3.1.4 Salam e Istisna’: eccezioni al divieto di gharār Nonostante il suddetto divieto di gharār, nel contesto islamico esistono due particolari eccezioni ad esso, ovvero i contratti di salam e istisna’. Il contratto salam consiste in una compravendita in cui il venditore si impegna a fornire all’acquirente, ad una data futura ed in un luogo prestabiliti, dei beni specifici in cambio di un pagamento immediato (o entro un massimo di tre giorni), da effettuarsi in sede contrattuale. Lo scopo di tale contratto è quello di soddisfare l’immediato bisogno di liquidità da parte del venditore, il che collima con l’impossibilità contrattuale di provvedere ad un pagamento rateale. Inoltre, la merce oggetto del contratto deve essere definita puntualmente, nel modo più dettagliato possibile, specificandone l’esatta quantità e qualità. Questo tipo di contratto, in passato, veniva applicato soprattutto al commercio di prodotti agricoli, in quanto offriva il duplice vantaggio di aiutare i piccoli contadini che necessitavano di denaro per coltivare i propri terreni, oltre a fornire la possibilità, per l’acquirente, di bloccare il prezzo del bene, proteggendolo da futuri incrementi. 50 Il contratto salam, recentemente, ha conosciuto un ulteriore sviluppo nella pratica finanziaria con il c.d. salam parallelo, che consiste nella simultanea applicazione di due contratti indipendenti di tipo salam riguardanti lo stesso bene. Figura 3.4 – Schema di funzionamento del contratto di salam parallelo Fonte: www.deloitte.com. Nel salam parallelo la banca si impegna – con un primo contratto salam – a ricevere, da un fornitore terzo, una merce la cui descrizione è identica a quella dei beni che devono essere acquistati – mediante un secondo contratto salam, indipendente dal primo – dall’acquirente finale con cui si è stipulato il secondo contratto. Pertanto, quando l’acquirente principale necessita di finanziamenti, ricorre ad un istituto bancario che stipula con esso un contratto in cui si impegna a procurarsi, e a consegnare, una determinata merce all’acquirente, a fronte di un pagamento immediato in loco. Successivamente, con un altro contratto indipendente dal primo, la banca, in qualità di acquirente, si rivolge al produttore della merce oggetto del primo contratto, ordinandone la consegna, ad una data stabilita, a fronte di un pagamento immediato in un’unica soluzione. Essendo formato in due transazioni commerciali complete ed indipendenti, il salam parallelo rende entrambi gli accordi leciti dal punto di vista coranico. 51 Il prezzo pagato dall’acquirente principale è superiore rispetto a quello pagato dall’ente finanziario nel secondo contratto e, pertanto, la differenza tra i due importi rappresenta il compenso di quest’ultimo per il servizio reso. Il contratto istisna’, invece, consta in un accordo di vendita in cui la merce viene negoziata prima che essa esista fisicamente. Pertanto l’acquirente commissiona ad un fornitore la produzione di un determinato bene, fissandone le caratteristiche, il prezzo e le modalità di pagamento, dal momento che non è richiesto in via anticipata. Altra differenza con il contratto salam è che la consegna non deve essere fissata nel momento in cui viene stipulato il contratto, ma si può prevedere una durata massima entro la quale essa deve avvenire, e finanche una penale in caso di ritardo di quest’ultima. Ciascuna parte gode del diritto di recedere dal contratto prima che inizino i lavori di produzione mentre, sul produttore, vige l’obbligo morale di fornire il bene come da preciso accordo, utilizzando materiali di sua specifica proprietà in quanto, se appartenessero all’acquirente, si configurerebbe un’altra tipologia contrattuale (Ijarah), della quale si parlerà a breve. I contratti istisna’ si adattano, pertanto, molto bene al finanziamento di lavori in corso su ordinazione legati, per esempio, allo sviluppo di progetti infrastrutturali. Anche in questo caso è possibile individuare una particolare forma contrattuale di c.d. istisna’ parallelo – progettata secondo lo stesso schema, modificato solo per tipologia contrattuale, analizzato nella Figura 3.4 – in quanto il soggetto finanziatore è generalmente rappresentato da una banca, la quale ricorrerà ad un costruttore esperto poiché priva di specifiche competenze tecniche volte alla costruzione di un bene o di un immobile. Anche in questo caso, tuttavia, elemento essenziale per la liceità contrattuale è l’indipendenza tra i due contratti istisna’ condotti in parallelo. 52 3.1.5 Ijarah: contratto di leasing Il contratto ijarah rappresenta una particolare forma di istituto giuridico islamico suscettibile di una duplice interpretazione. Si distingue, infatti, in: Ijarah tul-amal, ovvero un contratto di lavoro; Ijarah tul-ain, ovvero un contratto di leasing. Nella sua prima accezione, l’ijarah si riferisce all’accordo relativo alla prestazione di un servizio professionale, opportunamente ricompensato, statuìto due soggetti: il musta’jir, ovvero il datore di lavoro; l’ajir, ovvero il lavoratore. In tale configurazione, pertanto, l’ijarah può essere agevolmente imputato a qualsiasi accordo nel quale si ricorre al servizio di un professionista come, ad esempio, un avvocato o un medico. Nella sua seconda accezione, invece, l’ijarah viene ricondotto ad un accordo di usufrutto su beni e proprietà, mobili o immobili, caratterizzato dalla presenza di tre elementi essenziali ed un elemento accessorio: il mu’jir, ovvero il proprietario del bene; il mustajir, ovvero il beneficiario del bene; l’ujra, ovvero il canone periodico che il beneficiario del bene deve corrispondere al proprietario dello stesso; l’eventuale presenza di un intermediario che regoli i rapporti tra il proprietario ed il beneficiario del bene. Nel caso in cui il contratto preveda esclusivamente la presenza dei primi tre elementi, esso verrà ricondotto ad un mero contratto di leasing diretto mentre, qualora vi sia la presenza accessoria di un intermediario finanziario, volta a regolare il rapporto, esso potrà essere assimilato ad un contratto di leasing finanziario, osservante lo schema di funzionamento mostrato nella Figura 3.5. 53 Figura 3.5 – Schema di funzionamento del contratto di ijarah tul-ain Fonte: www.deloitte.com. In ultimo, appare di basilare importanza sottolineare l’esistenza, nella pratica finanziaria, di una terza figura di tale istituto giuridico, ovvero l’Ijarah wa Iqtina. Questo tipo di ijarah coincide con la possibilità, accordata al beneficiario del bene, di riscattare la proprietà dello stesso al termine del periodo di locazione. La validità di tale accordo, tuttavia, è subordinata al rispetto di tre condizioni: la locazione ed il trasferimento del diritto di proprietà del bene, od il suo possesso, devono essere registrati in documenti separati; i contratti di leasing e di trasferimento del diritto di proprietà devono essere indipendenti l’uno dall’altro, ovvero l’accordo relativo al trasferimento finale della proprietà del bene non deve rappresentare una condizione preliminare per la firma del contratto di leasing; l’accordo relativo al trasferimento finale della proprietà del bene dovrebbe essere unilaterale e vincolante soltanto per il locatore. In relazione a quanto appena esposto, l’Ijarah wa Iqtina rappresenta la tipologia contrattuale maggiormente utilizzata, ad oggi, nella pratica finanziaria in quanto combina i benefici di finanziamento alla possibilità di acquisizione della proprietà del bene oggetto del contratto. 54 3.1.6 Takaful: contratto di assicurazione Il contratto takaful rappresenta, probabilmente, uno degli accordi più insoliti all’interno del contesto economico-finanziario islamico in quanto, essendo assimilabile al tradizionale contratto assicurativo, sorge spontaneo chiedersi come esso riesca ad eludere i rigorosi divieti coranici di gharār, maysir e ribā, già precisati nel corso del primo capitolo. Il termine arabo takaful deriva dalla parola araba kafala, la quale significa “garanzia”, il che giustifica tale tipologia contrattuale poiché relativa a contratti assicurativi strutturati secondo i seguenti princìpi di mutua assicurazione: Cooperazione: gli assicurati cooperano per il loro bene comune; Protezione: ogni assicurato versa la propria donazione per aiutare coloro che hanno bisogno di assistenza per un evento dannoso che ha colpito la propria salute o il proprio patrimonio; Responsabilità: non si beneficia di alcun vantaggio a scapito degli altri; PLS: le perdite subite vengono condivise tra gli assicurati. Per queste motivazioni, contrariamente alle assicurazioni convenzionali, il takaful non contiene alcun elemento proibito dalla legge islamica, in quanto garantisce il pieno rispetto dei tre elementi che rendono le assicurazioni tradizionali proibite (gharār, maysir e ribā,) poiché ha ad oggetto libere donazioni che non vengono investite in strumenti finanziari basati sull’applicazione dei tassi di interesse. Nella realtà operativa islamica, così come in quella tradizionale, si distinguono due tipologie di contratti takaful: family takaful, ovvero assicurazione vita; general takaful, ovvero assicurazione danni. Infine, appare utile sottolineare la possibilità, da parte delle compagnie cooperative di assicurazione, di poter usufruire anche di contratti di riassicurazione (retakaful), ovvero di strumenti con cui queste possono assicurarsi a loro volta per poter disporre dei mezzi necessari per indennizzare gli assicurati contro eventi dannosi legati a calamità di grandi dimensioni e portata. 55 3.2 I principali strumenti finanziari islamici L’attuale configurazione dei mercati mobiliari internazionali vede affacciarsi, al proprio interno, sempre maggiori strumenti finanziari basati sui precetti islamici sebbene questi ultimi siano fortemente limitati, in particolar modo, dal divieto di gharār che è in netto contrasto con la sempre più diffusa pratica di short selling25. In particolar modo, il debutto di importanti colossi bancari convenzionali nel mercato dei prodotti finanziari Sharīca-compliant26, dimostra quanto il settore della finanza islamica stia muovendo, sempre più, importanti passi positivi verso una sua affermazione a livello internazionale. Appare, dunque, necessario porre l’attenzione sul dettaglio dei principali strumenti finanziari islamici attualmente scambiati nei mercati regolamentati. 3.2.1 Sukuk: “bond” islamici Ancor più rispetto ai prodotti assicurativi islamici citati in precedenza, i sukuk rappresentano, senza ombra di dubbio, lo strumento di finanza islamica maggiormente diffuso, conosciuto ed analizzato in dottrina dato il suo enigmatico compromesso tra la corresponsione di un interesse prefissato ed il principale divieto coranico del ribā il quale proibisce, per l’appunto, tale pratica finanziaria. Nella realtà finanziaria, essi vengono spesso assimilati ai bond islamici, per quanto tale paragone sia tecnicamente scorretto. Infatti, sebbene i sukuk abbiano l’obiettivo di reperire liquidità per i possessori mediante la sottoscrizione di strumenti finanziari, è opportuno tener presente l’assunto per cui, nella pratica islamica, è del tutto inesistente una forma di finanziamento elargita sottoforma di debito, in quanto l’unica ritenuta lecita è relativa al prestito benevolo senza corresponsione di interessi. I sukuk, pertanto, si configurano precisamente come certificati di investimento. Con il termine short selling (o vendita allo scoperto) si intende un’operazione che prevede il prestito di un certo numero di strumenti finanziari venduti sul mercato senza averne, di fatto, la proprietà. I titoli vengono chiesti in prestito solitamente al proprio broker poiché l’investitore ritiene che la quotazione degli stessi possa scendere nell’immediato futuro (Fontanills, 2009). 26 Risale, infatti, a settembre 2014 l’ultimo approccio della finanza convenzionale al mercato islamico mediante l’emissione, da parte di Goldman Sachs, di sukuk quinquennali per $ 500mln. 25 56 In particolar modo, è possibile enunciare una definizione formale per cui i sukuk sono «certificati di pari valore rappresentanti quote indivisibili di proprietà di beni materiali, usufrutti e servizi, od il possesso di risorse relative a progetti specifici o particolari attività di investimento» (AAOIFI, 2008). I sukuk sono, di conseguenza, certificati di comproprietà che forniscono ai possessori il diritto di partecipare al finanziamento di un progetto finanziario specifico – purché esso abbia una ricaduta tangibile positiva sull’economia reale – ed di incassarne gli utili, senza far ricorso ad alcuna struttura interest-based. Per tale motivazione, i sukuk rappresentano uno strumento finanziario del tutto atipico in quanto, sebbene operino esattamente come i tradizionali titoli obbligazionari occidentali, sono capaci di arginare il divieto di interesse mediante l’adozione di una variabile da cui dipenderà il loro prezzo (c.d. underlying o sottostante) rappresentata da un contratto islamico (come, ad esempio, l’ijarah). Non essendo, quindi, il sottostante un’attività finanziaria ma un contratto giuridico, il sukuk resta principalmente assimilabile ad un’obbligazione e non ad uno strumento derivato27. Una delle caratteristiche principali che differenzia i sukuk dalle convenzionali obbligazioni è l’obbligo di trasparenza con i possessori rispetto al bene o al patrimonio che il certificato di debito va a finanziare. Difatti, contrariamente ai tradizionali bond, i sukuk non possono essere utilizzati per finanziare attività generiche o non specificate dell’emittente, vista anche la necessità di distribuire unicamente le risorse generate dall’attività finanziata, senza ricorrere a patrimoni esterni. Ciò rende i sukuk non concretamente assimilabili agli strumenti obbligazionari in quanto non presentano una garanzia di ritorno del capitale investito stabilita ex ante, ma bensì si impegnano esclusivamente a rispettare il principio di PLS al pari della maggior parte dei contratti islamici precedentemente analizzati. In particolar modo, è possibile riassumere brevemente i principali benefici che colpiscono sia le Islamic Financial Institutions (IFI) e le aziende emittenti di tali strumenti, sia gli investitori che decidono di aderirvi con il proprio capitale, così come evidenziato nella Tabella 3.2. 27 I derivati sono strumenti finanziari il cui valore dipende da un altro bene (azioni, indici, valute, tassi o materie prime). 57 Tabella 3.2 – Benefici dei sukuk per gli emittenti e per gli investitori ISLAMIC FINANCIAL INSTITUTIONS (IFI) INVESTITORI ED AZIENDE Liquidity Management Attività finanziarie Sharīca-compliant Fundraising Securitisation Negoziabilità Gestione patrimoniale Fonte: elaborazione propria. Innanzitutto si registra l’indubbio vantaggio per le IFI e per le aziende di poter gestire al meglio la propria liquidità attraverso l’emissione di tali prodotti che, rappresentando un utile strumento di raccolta fondi, presentano il principale beneficio di attenuare lo squilibrio presente nelle scadenze della raccolta e degli impieghi, rispettivamente, sempre più ridotte e maggiormente dilazionate. Inoltre, il ricorso a tecniche di cartolarizzazione per la negoziazione dei crediti sui mercati finanziari permette di ridurre la presenza di possibili deficit finanziari, nonché di ricorrere ad un più corretto approccio verso una gestione patrimoniale capace di rispondere alle molteplici esigenze aziendali in continuo mutamento. Per quanto attiene gli investitori, invece, l’alto grado di negoziabilità che caratterizza i sukuk, nonché la loro perfetta conformità ai princìpi coranici e alla Sharīca, rende tali prodotti altamente appetibili per molteplici fasce di finanziatori, tenuta conto la loro appartenenza ad una asset class del tutto particolare, capace di garantire un apprezzabile ritorno economico legato a progetti di finanziamento etici volti al raggiungimento di aiuti concreti per lo sviluppo dell’economia reale. Osservando il progetto che vanno a finanziare, si distinguono due tipi di sukuk: asset-based sukuk; asset-backed sukuk. Negli asset-based sukuk l’emittente trasferisce solo la proprietà effettiva del bene al titolare del sukuk, mentre ne trattiene la proprietà legale, il che è confermato dalla permanenza del sottostante del sukuk all’interno del bilancio dell’emittente. 58 In altre parole, dal punto di vista giuridico, non si configura un’effettiva vendita, il che comporta che i titolari del sukuk non possono vendere a loro volta il sottostante ad un soggetto terzo, ma possono solo ricorrere all’emittente. L’asset-backed sukuk, invece, può essere definito come un titolo emesso in virtù di un’operazione di securitisation (Securities Commission Malaysia, 2004). Sulla base di tale definizione, pertanto, appare chiaro come l’operazione di cartolarizzazione rappresenti la caratteristica più importante di tale strumento. A differenza dell’asset-based sukuk, questa differente struttura prevede una vera e propria vendita comportante il trasferimento della proprietà legale del sottostante legato al sukuk. In altre parole, i titolari dei sukuk basano i propri profitti esclusivamente sulle performance dell’attività sottostante, in quanto essa non risulta più di proprietà dell’emittente. Tabella 3.3 – Principali differenze tra asset-based sukuk e asset-backed sukuk ASSET-BASED ASSET-BACKED Fonte del pagamento Liquidità dell’emittente Entrate generate dal sottostante Collocazione degli assets Bilancio dell’emittente Non presente nel bilancio dell’emittente Proprietà da parte dei detentori del sukuk Usufrutto senza diritto di disposizione del bene Proprietà legale con diritto di disporre del bene Ricorso All’emittente All’underlying asset Fonte: elaborazione propria. In generale, dunque, è pacifico constatare come gli asset-based sukuk forniscono meno garanzie agli investitori rispetto agli asset-backed sukuk rappresentando, così, uno strumento caratterizzato da un più alto profilo di rischio. 59 3.2.2 Azioni, fondi comuni di investimento e derivati Come ultima analisi degli strumenti finanziari islamici da esaminare, appare indispensabile porre brevemente l’attenzione su asset come azioni, fondi comuni di investimento e derivati, sebbene siano di gran lunga meno diffusi sui mercati finanziari rispetto ai sopraccitati sukuk. Difatti, la sempre più sentita necessità di reperire capitali sui mercati borsistici, ha coinvolto anche le istituzioni e le principali organizzazioni societarie islamiche rendendo, così, doverosa una puntualizzazione in merito al corretto utilizzo di forme di finanziamento capaci di ricorrere al mercato dei capitali malgrado il pieno rispetto dei princìpi coranici. In generale, sebbene si differenzino dalla forma contrattuale del musharakah analizzata in precedenza, le azioni rappresentano una tipologia di ricorso al finanziamento di terzi ormai ampiamente approvata dagli Ulema. Tuttavia, essi sottolineano la principale diversità esistente tra una partnership di tipo islamico, la quale richiede un’adesione ed una piena partecipazione all’iniziativa economica, ed una partnership di tipo convenzionale, che non presuppone alcun tipo di coinvolgimento se non economico. Per tale motivazione, infatti, il modello finanziario islamico proibisce l’utilizzo di azioni privilegiate e di ogni altro strumento partecipativo che possa limitare il principio di PLS. Per quanto attiene ai fondi comuni di investimento, invece, essi vengono maggiormente ricondotti, dalla maggior parte degli studiosi, allo schema contrattuale dei mudarabah, in quanto prevedono la presenza di un soggetto che decide di affidare il proprio capitale ad un gestore, in cambio delle sue competenze e della propria esperienza professionale volta all’ottenimento di un profitto che andrà, poi, condiviso fra i due partecipanti al contratto. Naturalmente, presupposto imprescindibile per la validità di tale contratto nel contesto islamico, è la scrupolosità del gestore nell’effettuare scelte di investimento volte a finanziare progetti ed attività halāl, ovvero leciti dal punto di vista coranico. 60 Infine, breve accenno va fatto agli strumenti derivati, in quanto rappresentano l’unico prodotto di finanza convenzionale del tutto proibito nel contesto finanziario islamico. Difatti, futures, opzioni, swap e ogni altro genere di derivative rappresenta un prodotto in netto contrasto con i divieti di gharār e maysir che, invece, caratterizzano i suddetti prodotti all’interno di un contesto convenzionale. Unica lieve eccezione, come nei già accennati casi di salam e istisna’, è quella relativa al forex and commodity trading in quanto, avendo ad oggetto materie prime e monete di scambio legate all’economia reale, rende ammissibili acquisti e vendite28 dove il pagamento anticipato e la consegna del bene può avvenire anche fisicamente o, come nel solo nel caso delle valute, necessariamente a pronti. 28 Si ricorda l’inammissibilità di short selling ed il ricorso a meccanismi di leva finanziaria. 61 CAPITOLO 4 – CASE STUDY: CONFRONTO DI PORTAFOGLI FINANZIARI 4.1 Premessa Il tema della consulenza finanziaria sta attraversando, da tempi piuttosto recenti, un processo evolutivo di notevole portata innovativa volto a comprovarne la legittimità come servizio di pianificazione e monitoraggio di obiettivi e risorse economiche in materia di investimenti. In ambito europeo, in particolar modo, il servizio di consulenza finanziaria ha visto muovere i primi passi verso un riconoscimento normativo grazie all’introduzione della direttiva MiFID (Market in Financial Instruments Directive) la quale ha incluso ufficialmente tale attività nei servizi di investimento enunciati all’art. 1 comma 5 del TUF29. Da sottolineare, per di più, la scelta di affidare l’esercizio professionale di tale attività non solo ad imprese di investimento, banche ed SGR, ma anche a persone fisiche30, in possesso di determinati requisiti, ma svincolate da ogni tipo di intermediario finanziario (c.d. consulenti finanziari indipendenti o “fee only”). In ogni caso, appare opportuno rilevare come la prestazione di raccomandazioni personalizzate risponda alla forte esigenza di fornire alla clientela una precisa ed obiettiva indicazione in materia di investimenti basata su specifici obiettivi – non solo di rischio e rendimento, ma anche di conformità a precetti etici e culturali – capace di svincolarsi completamente dall’insieme dei restrittivi criteri discrezionali utilizzati da figure professionali contrattualmente legate ad un intermediario finanziario. In riferimento al contesto globalizzato in cui gli attuali operatori finanziari sono tenuti a destreggiarsi, pertanto, diventa ragionevole analizzare la crescente necessità degli stessi di fornire un servizio di consulenza capace di rispondere alle specifiche esigenze, analizzate nei precedenti capitoli, degli investitori islamici. 29 Il comma 5-septies del suddetto articolo, in particolar modo, ne fornisce una precisa definizione: «Il servizio di consulenza in materia di investimenti consiste nella prestazione di raccomandazioni personalizzate a un cliente, dietro sua richiesta o per iniziativa dell’impresa di investimento riguardo una o più operazioni relative a strumenti finanziari». 30 Art. 18-bis TUF. 62 Tuttavia, non essendovi vincoli, per l’insieme dei non-Muslims investors, per procedere ad un investimento in strumenti finanziari conformi ai princìpi shariatici, si renderà opportuno analizzare la convenienza, per tale tipologia di investitori, a rinunciare ad un’asset allocation tradizionale in favore di una basata su prodotti islamici. A tal proposito, pertanto, si creeranno due differenti portafogli finanziari così strutturati: portafoglio finanziario composto interamente da sukuk (bond) islamici (d’ora in avanti denominato Islamic Portfolio); portafoglio finanziario composto interamente da obbligazioni tradizionali (d’ora in avanti denominato Conventional Portfolio). Obiettivo di tale studio, di conseguenza, sarà la valutazione della perfomance dell’Islamic Portfolio – il quale avrà come benchmark il Conventional Portfolio – al fine di quantificare il potenziale vantaggio che anche un investitore non islamico potrebbe avere nel decidere di optare per un investimento in sukuk anziché in tradizionali bond occidentali. 4.2 Parametri di selezione e composizione dei portafogli La scelta di comporre entrambi i portafogli finanziari con strumenti aventi natura creditizia è dovuta alla preponderanza dei sukuk islamici come principali strumenti commerciati nei mercati regolamentati, nonché al loro elevato grado di assimilabilità ai convenzionali bond occidentali per effettuare un equo confronto. Entrambi i portafogli hanno seguito i seguenti parametri di selezione: arco temporale di rilevamento dei dati: 23/05/2014 – 21/11/2014; maturity dei titoli: fino a 5 anni (2019); tasso di rendimento cedolare: non inferiore al 3,00% annuo31; tasso cedolare: fisso; tipologia bond: corporate o governativi. 31 Si è ipotizzato un tasso di rendimento soglia. 63 Per la costruzione dell’Islamic Portfolio si è, quindi, proceduto con l’analisi dei sukuk emessi, attualmente in circolazione nei mercati regolamentati, così come rilevato dal web database dell’Islamic Finance Information Service (IFIS)32. Per la selezione dei titoli obbligazionari convenzionali, invece, si sono analizzati i bond quotati nei seguenti mercati33: MOT; DomesticMOT; EuroMOT; ExtraMOT; EuroTLX. La scelta finale, pertanto, ha avuto come risultato la selezione di quattro titoli per portafoglio – così come mostrato dettagliatamente nelle Tabelle 4.1 e 4.2 – conformi ai parametri di scelta nominati in precedenza e capaci di rappresentare, seppur in via esemplificativa, una possibile asset allocation ottimale in sukuk ed in titoli di obbligazionari convenzionali. Tabella 4.1 – Composizione dell’Islamic Portfolio ISIN XS1035007530 US71567RAB24 XS0999501538 XS1057852912 DESCRIZIONE CEDOLA PERIODICITÀ SCADENZA VALUTA DIB Sukuk Limited 4,291% Semestrale 20/02/2019 USD Mudarabah 6,125% Semestrale 15/03/2019 USD Ijarah 3,039% Semestrale 03/12/2018 USD Murabahah 5,375% Semestrale 24/04/2019 USD Murabahah Perusahaan Penerbit SBSN Indonesia Ooredoo Tamweel Limited TF Varlik Kiralama A.S. UNDERLYING Fonte: elaborazione propria Sono stati analizzati sukuk per un totale di 1885 (aventi scadenza fino al 2019), dai quali sono stati successivamente estrapolati i titoli rientranti nei suddetti parametri di investimento e per i quali è stato possibile rilevare uno storico delle quotazioni durante l’arco temporale indicato. 33 Sono stati analizzati bond per un totale di 3818 (aventi scadenza fino al 2019), dai quali sono stati successivamente estrapolati i titoli rientranti nei suddetti parametri di investimento e per i quali è stato possibile rilevare uno storico delle quotazioni durante l’arco temporale indicato. 32 64 Tabella 4.2 – Composizione del Conventional Portfolio ISIN DESCRIZIONE CEDOLA PERIODICITÀ SCADENZA VALUTA TIPOLOGIA IT0004489610 BTP 1st19 4,25% 4,25% Semestrale 01/09/2019 EUR Titolo di Stato XS0412826579 BEI Ap19 EUR 4,25 4,25% Annuale 15/04/2019 EUR Corporate NL0009054907 RBS Ap19 Royal 5,5 5,5% Semestrale 20/04/2019 EUR Corporate 6,7% Annuale 05/06/2018 EUR Corporate XS0367777884 UNICREDIT 6,7% Gi18 SUB UT2EUR Fonte: elaborazione propria Da sottolineare, infine, la scelta di procedere con un’analisi delle performance del portafoglio islamico rispetto al portafoglio convenzionale condotta secondo il punto di vista del consulente-gestore, in quanto non è stato considerato alcun profilo commissionale specifico (Pacelli, 2014). 4.3 Analisi di un portafoglio finanziario islamico Lo studio oggetto del presente capitolo è stato condotto sulla base dei principali indici di performance, in quanto una mera analisi del rendimento del portafoglio, in un’ottica di “one size fits all”, sarebbe risultata riduttiva e fuorviante, poiché non in grado di considerare l’insieme delle altre variabili capaci di giocare un ruolo importante all’interno del processo di valutazione . La valutazione della performance dell’Islamic Portfolio terrà in considerazione: il rendimento lordo, misurato sul periodo di rilevazione dei dati; il rischio, misurato dalla deviazione standard dei rendimenti semestrali; il beta storico dell’Islamic Portfolio rispetto al Conventional Portfolio. 65 Il confronto è stato condotto sul medesimo lasso temporale e con rilevazioni omogenee, per evitare una distorsione nella valutazione. Gli indicatori di performance analizzati sono stati i seguenti: indice di Sharpe (IS); indice Rap di Modigliani (RAPM); Trekking Error (TE); Information Ratio (IR); Alpha di Jensen; indice di Sortino. Si presentano, quindi, le rilevazioni ottenute dal calcolo dei suddetti indici di performance dell’Islamic Portfolio, in relazione al Conventional Porfolio considerato come benchmark – così come mostrato nella Tabella 4.3 – al fine di analizzarne successivamente, nel dettaglio, la significatività. Tabella 4.3 – Risultati degli indici di performance RENDIMENTO MEDIO ISLAMIC PORTFOLIO DEVIAZIONE STANDARD ISLAMIC PORTFOLIO RENDIMENTO MEDIO DEL BENCHMARK DEVIAZIONE STANDARD BENCHMARK 0,007% 0,001314 0,01125% 0,002097 IS -3,23% JENSEN 0,00622 RAPM 0,00858% IR -0,0181 TE 0,23481% SORTINO -7% Fonte: elaborazione propria Il processo di valutazione delle performance ha avuto ad oggetto, come primo indicatore, l’indice di Sharpe (Sharpe, 1994), in quanto rappresenta uno dei principali indicatori di performance corretta per il rischio. 66 Più tecnicamente, l’indice di Sharpe misura l’extra-rendimento, per unità di rischio, di un portafoglio titoli rispetto al rendimento di un benchmark ritenuto risk free (Conti, 2006). Si ritiene, difatti, che l’investitore possa scegliere, in qualsiasi istante, se impiegare il proprio capitale in un’attività priva di rischio oppure orientarsi su un investimento alternativo, purché l’incremento di rischio derivante da tale scelta sia ben compensato dall’extra-rendimento così ottenuto. Si è potuto quindi procedere al calcolo dell’indice di Sharpe, data l’omogeneità dei prodotti aventi rischiosità simile, attraverso la seguente formula: Dove: rappresenta il rendimento medio realizzato dal portafoglio; rappresenta il rendimento dell’attività risk free; rappresenta il rischio totale storico del portafoglio. Nel caso in analisi, pertanto, il rilevamento di un indice di Sharpe negativo (-3,23%) mostra l’incapacità del portafoglio islamico di battere il benchmark, il che conduce ad individuare, per lo stesso portafoglio, rendimenti nettamente inferiori rispetto a quelli generati dal portafoglio convenzionale indirizzando, così, la scelta del cliente verso un investimento di tipo tradizionale. Successivamente si è passati al calcolo dell’indice Risk-Adjusted Performance RAP di Modigliani (Modigliani & Modigliani, 1997), che si ricollega all’indice di Sharpe. Difatti, l’indice RAP di Modigliani corregge il rischio del portafoglio e lo rende uguale a quello del mercato per poi, in seguito, misurarne il rendimento. Tale indice, pertanto, determina il rendimento che il portafoglio avrebbe ottenuto se avesse assunto lo stesso livello di rischio del benchmark. 67 La formula dell’indice RAP di Modigliani adottata per il calcolo in esame è stata la seguente: Dove: rappresenta il rendimento medio realizzato dal portafoglio; rappresenta il rendimento dell’attività risk free; rappresenta il rischio totale storico del portafoglio; rappresenta il rischio totale storico del benchmark. Nel caso in analisi, pertanto, il rilevamento di un indice RAP di Modigliani pari a 0,00858% indica la capacità del portafoglio islamico di performare con un’accettabile misura di rendimento anche nell’ipotesi di assunzione del rischio connesso al portafoglio convenzionale benchmark. Si è poi giunti alla misurazione del Trekking Error in vista del successivo calcolo dell’Information Ratio. È da precisare, tuttavia, che sebbene il Trekking Error non risulti utile nel caso in analisi vista la sua attitudine a confrontare un insieme di assets caratterizzati da obiettivi di investimento differenti, ovvero da benchmark e livelli di rischio diversi, esso è stato introdotto nella valutazione dell’Islamic Portfolio in quanto è alla base del calcolo di un altro indicatore di performance analizzato: l’Information Ratio. Procedendo con ordine, è utile sottolineare come il Trekking Error sia stato calcolato attraverso l’utilizzo della seguente formula: Dove: rappresenta i rendimenti in eccesso rispetto al rendimento medio del portafoglio. 68 Poiché, tecnicamente, il Trekking Error rappresenta il valore aggiunto che il portafoglio ha prodotto rispetto al benchmark, ovvero la deviazione standard dei rendimenti in eccesso rispetto a quello medio dell’intero periodo, calcolando la media dei rendimenti in eccesso ed il Trekking Error, è possibile giungere alla misura dell’Information Ratio. In particolar modo, l’Information Ratio rappresenta un indice che ha la proprietà di sintetizzare non solo una misura di extra-rendimento, ma anche di extra-rischio del portafoglio rispetto al benchmark. Per il calcolo dell’Information Ratio, pertanto, si è proceduto come segue: Dove: rappresenta la media dei rendimenti in eccesso; rappresenta la deviazione standard dei rendimenti in eccesso rispetto a quello medio dell’intero periodo, ovvero il Trekking Error . Nel caso in analisi, quindi, il rilevamento di un Information Ratio negativo (-1,81%) sottolinea, nuovamente, l’incapacità del portafoglio islamico in analisi di battere il benchmark data la specificità della gestione condotta. L’Information Ratio, inoltre, risulta strettamente legato anche ad un altro indice di performance, ovvero l’indice di Jensen (Jensen, 1969). La c.d. alfa di Jensen, più dettagliatamente, misura l’extra-rendimento al netto del rischio imputabile ad un approccio gestionale del portafoglio attivo. L’obiettivo di tale indice, pertanto, è di valutare la capacità del portafoglio analizzato, caratterizzato da una gestione attiva, di “far meglio” rispetto al medesimo portafoglio contraddistinto da una gestione passiva. Tale indice deriva dal Capital Asset Pricing Model (CAPM) in quanto misura la performance del portafoglio aggiustata per il suo livello di rischio sistematico (o rischio di mercato), ovvero per il suo beta. 69 Per il calcolo dell’alfa di Jensen è stata utilizzata la seguente formula: Dove: rappresenta il rendimento del portafoglio gestito attivamente; rappresenta il beta storico del portafoglio; rappresenta il rendimento del portafoglio gestito passivamente. Nel caso in analisi, quindi, il rilevamento di un’alfa di Jensen maggiore di zero (0,00622%) rappresenta la capacità del portafoglio islamico di performare meglio con una gestione attiva rispetto ad una gestione passiva. Infine, si è analizzato l’indice di Sortino (Sortino & Price, 1994) in quanto non utilizza il beta come misura di rischio, bensì si avvale del c.d. Downside Risk (DSR, detto anche volatilità negativa) in quanto esprime la possibilità che il rendimento del portafoglio si posizioni al di sotto delle aspettative minime accettabili dall’investitore. Più dettagliatamente, l’indice di Sortino misura l’extra-rendimento, per unità di rischio, rispetto al tasso di rendimento minimo accettabile dall’investitore (Minimum Acceptable Return, MAR) per un portafoglio, ovvero la possibilità di conseguire rendimenti non soddisfacenti al disotto del MAR capaci di essere identificati come rischio. L’esigenza di formulare tale indice nasce dall’idea, comune tra molti accademici ed operatori, di ritenere carente misurare il rischio con la deviazione standard in quanto la statistica comprende sia una buona che una cattiva volatilità. Difatti, non è considerato un rischio realizzare un rendimento superiore alla media, ma lo è conseguire una performance inferiore ad un rendimento minimo o di un altro benchmark (Caparrelli & Camerini, 2004). 70 Per il calcolo dell’indice di Sortino, è stata utilizzata la seguente formula: Dove: rappresenta il rendimento medio del portafoglio gestito; rappresenta il rendimento medio del benchmark ritenuto risk free; rappresenta il Downside Risk inteso come misura di rischio. Nel caso in analisi, pertanto, il rilevamento di un indice di Sortino minore di zero (-7%) porta nuovamente a preferire il portafoglio convenzionale al portafoglio islamico, in quanto si conferma l’impossibilità di quest’ultimo a registrare un rendimento superiore rispetto a quello generato dal Conventional Portfolio, sebbene sia stata modificata la misura di rischio. 4.4 Valutazioni conclusive Gli obiettivi di rischio-rendimento relativi ad un investitore tipo non sempre trovano conferma nell’adozione di strumenti finanziari conformi a peculiari esigenze etico-culturali connesse all’investitore particolare. Non tutti gli investitori, tuttavia, si dimostrano necessariamente legati ad alcune caratteristiche qualitative di specifici strumenti finanziari e, pertanto, per questa categoria di clientela sorge inevitabilmente l’esigenza di optare per una scelta ponderata capace di essere maggiormente in linea con i propri obiettivi. Nel contesto di analisi del presente elaborato, pertanto, si è ritenuta doverosa la valutazione delle perfomance registrate da un portafoglio finanziario composto interamente da sukuk islamici utilizzando come benchmark un portafoglio finanziario strutturato in titoli obbligazionari convenzionali occidentali, al fine di valutare la possibile convenienza per l’investitore di optare per un’asset allocation alternativa a quella tradizionale. 71 Dall’analisi quantitativa condotta, tuttavia, è emerso come non sia di fatto vantaggioso per un investitore indirizzare le proprie risorse verso strumenti islamici – fatte salve particolari esigenze legate al contesto culturale di appartenenza – in quanto, questi ultimi, presentano prospettive di performance inferiori rispetto a quelle di un convenzionale investimento in bond occidentali. Di fatto, essendo i sukuk ancora relegati ad un comparto finanziario attualmente in fase embrionale, la stessa facilità di negoziazione degli stessi – spesso legata anche al basso livello di cultura finanziaria degli investitori, nonché all’effettiva possibilità dei broker di fornire questa particolare tipologia di strumenti – risulta essere nettamente inferiore rispetto a quella dei convenzionali bond, il che contribuisce a rendere i prodotti islamici, ad oggi, meno performanti e, quindi, meno appetibili per il più vasto pubblico di investitori non legati alle specifiche disposizioni imposte dalla legge islamica. 72 APPENDICE A – DATI STORICI DELL’ISLAMIC PORTFOLIO DATA 23/05/2014 26/05/2014 27/05/2014 28/05/2014 29/05/2014 30/05/2014 02/06/2014 03/06/2014 04/06/2014 05/06/2014 06/06/2014 09/06/2014 10/06/2014 11/06/2014 12/06/2014 13/06/2014 16/06/2014 17/06/2014 18/06/2014 19/06/2014 20/06/2014 23/06/2014 24/06/2014 25/06/2014 26/06/2014 27/06/2014 30/06/2014 01/07/2014 02/07/2014 03/07/2014 04/07/2014 07/07/2014 08/07/2014 09/07/2014 10/07/2014 11/07/2014 14/07/2014 15/07/2014 16/07/2014 17/07/2014 18/07/2014 21/07/2014 22/07/2014 23/07/2014 24/07/2014 25/07/2014 28/07/2014 29/07/2014 DIB SUKUK LIMITED 100,380 100,380 100,380 100,380 100,380 100,750 100,750 100,750 100,500 100,500 100,880 100,880 100,750 100,750 100,750 100,750 100,750 100,000 99,880 99,630 99,630 99,630 100,000 100,000 100,250 100,250 100,250 100,380 100,250 100,250 100,380 100,380 100,380 100,380 100,750 100,500 100,630 100,500 100,500 100,630 100,630 101,000 100,750 101,000 101,250 101,250 101,000 101,250 PERUSAHAAN PENERBIT SBSN INDONESIA 111,400 111,530 111,530 111,530 111,900 111,800 111,530 111,530 111,780 111,750 112,030 112,150 112,280 112,150 111,900 112,150 111,900 111,530 111,400 111,650 111,400 111,400 111,150 111,030 111,150 111,150 111,150 111,150 111,150 111,030 111,030 111,030 111,280 111,150 111,150 111,030 111,150 111,150 111,150 111,150 111,150 111,150 111,150 111,280 111,400 111,400 111,400 111,400 OOREDOO TAMWEEL LIMITED 102,880 102,880 102,880 102,880 102,880 103,250 103,250 103,250 103,250 103,250 103,250 103,250 103,250 103,250 103,250 103,250 103,250 103,250 103,250 103,250 103,250 102,630 102,630 102,630 103,000 103,000 103,000 103,000 103,000 103,000 103,000 103,000 103,000 103,000 103,000 103,000 103,130 103,130 103,130 103,130 103,130 103,130 103,130 103,130 103,130 103,130 103,130 103,130 TF VARLIK KIRALAMA A.S. 101,95 101,95 101,99 102,26 102,39 102,39 102,90 102,78 102,24 102,54 103,35 103,57 103,55 103,15 102,90 102,65 102,40 101,65 101,70 101,78 101,56 101,91 101,74 101,78 101,90 101,90 101,75 101,15 101,75 101,75 101,75 101,75 101,90 101,90 102,15 102,05 102,05 102,05 102,20 102,20 102,65 102,75 102,75 103,25 103,40 103,40 103,40 103,40 73 30/07/2014 31/07/2014 01/08/2014 04/08/2014 05/08/2014 06/08/2014 07/08/2014 08/08/2014 11/08/2014 12/08/2014 13/08/2014 14/08/2014 15/08/2014 18/08/2014 19/08/2014 20/08/2014 21/08/2014 22/08/2014 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113,71 113,98 113,80 113,42 113,20 113,46 113,28 113,46 113,74 113,86 113,95 113,96 113,93 114,05 113,70 113,93 114,13 114,20 113,94 113,80 113,48 113,64 113,76 113,92 114,02 114,17 114,10 114,24 114,17 114,25 114,29 114,50 114,77 BEI AP19 117,03 117,03 117,19 117,26 117,30 117,30 117,30 117,11 117,11 117,11 117,11 117,60 117,60 117,60 117,55 117,55 117,61 117,47 117,42 117,42 117,42 117,42 117,64 117,67 117,67 117,67 117,67 117,77 117,77 117,77 117,71 117,71 117,71 117,71 117,96 117,85 117,85 117,96 117,89 117,89 118,05 118,00 118,00 118,00 118,00 118,00 117,87 RBS AP19 116,30 116,37 116,46 116,45 116,50 116,34 116,46 116,32 116,10 116,30 116,80 116,51 116,40 116,42 116,47 116,52 116,66 116,99 115,98 116,08 116,25 116,68 116,30 116,14 116,16 116,13 116,36 116,35 116,39 116,61 116,61 116,73 116,75 116,64 116,60 116,69 116,38 116,12 116,20 116,25 116,10 116,20 116,15 116,23 116,50 116,23 116,48 UNICREDIT GI18 112,45 113,67 112,96 113,16 112,99 112,88 113,00 112,92 112,85 112,72 113,18 114,00 113,48 113,04 113,11 113,73 113,12 113,26 113,41 113,43 113,35 113,30 113,69 113,37 113,00 112,96 112,53 112,88 113,21 113,48 113,32 113,44 113,47 113,12 112,93 112,74 113,36 113,41 113,61 113,45 113,53 113,63 113,57 113,61 113,53 113,34 113,39 76 29/07/2014 30/07/2014 31/07/2014 01/08/2014 04/08/2014 05/08/2014 06/08/2014 07/08/2014 08/08/2014 11/08/2014 12/08/2014 13/08/2014 14/08/2014 15/08/2014 18/08/2014 19/08/2014 20/08/2014 21/08/2014 22/08/2014 25/08/2014 26/08/2014 27/08/2014 28/08/2014 29/08/2014 01/09/2014 02/09/2014 03/09/2014 04/09/2014 05/09/2014 08/09/2014 09/09/2014 10/09/2014 11/09/2014 12/09/2014 15/09/2014 16/09/2014 17/09/2014 18/09/2014 19/09/2014 22/09/2014 23/09/2014 24/09/2014 25/09/2014 26/09/2014 29/09/2014 30/09/2014 01/10/2014 02/10/2014 03/10/2014 06/10/2014 07/10/2014 114,81 114,50 114,44 114,32 114,46 114,27 114,00 113,77 113,90 114,22 114,41 114,37 114,63 114,63 114,62 114,85 114,87 114,90 114,95 115,55 115,57 115,48 115,11 115,06 115,12 114,97 115,05 115,58 115,92 115,74 115,42 115,22 115,00 114,84 114,93 114,97 115,29 115,33 115,53 115,48 115,35 115,35 115,52 115,40 115,20 115,42 115,70 115,49 115,43 115,29 115,20 117,80 117,80 117,80 117,79 117,78 117,78 117,68 117,68 117,68 117,77 117,77 117,77 117,77 117,77 117,77 117,77 117,77 117,77 117,99 118,23 118,23 118,26 118,26 118,26 118,26 118,26 118,26 118,26 118,26 118,26 118,26 118,24 118,24 118,22 118,23 118,23 118,17 118,02 118,02 118,02 118,17 118,13 118,21 118,21 118,21 118,21 118,27 118,27 118,19 118,22 118,18 116,58 116,58 116,58 116,58 116,59 116,58 116,38 116,59 116,28 116,28 116,25 116,50 116,61 116,61 116,23 116,25 116,26 116,58 116,58 116,74 117,04 116,78 116,73 116,73 116,80 118,00 120,22 117,33 117,05 117,41 116,80 116,80 116,34 116,29 116,70 116,76 116,33 116,15 116,29 116,71 116,98 116,56 116,80 116,75 116,71 116,90 116,77 116,98 116,95 116,72 116,95 113,46 113,69 113,37 112,99 113,49 113,59 112,89 113,32 112,80 112,86 113,10 113,10 113,17 113,17 112,81 112,95 113,00 112,92 113,10 113,61 113,32 113,32 112,99 113,37 113,25 113,10 113,27 113,26 113,09 113,20 113,21 112,89 113,06 112,88 113,33 113,08 113,17 113,06 113,29 114,05 113,69 113,85 113,65 113,49 113,56 113,86 113,57 113,58 113,60 113,65 113,40 77 08/10/2014 09/10/2014 10/10/2014 13/10/2014 14/10/2014 15/10/2014 16/10/2014 17/10/2014 20/10/2014 21/10/2014 22/10/2014 23/10/2014 24/10/2014 27/10/2014 28/10/2014 29/10/2014 30/10/2014 31/10/2014 03/11/2014 04/11/2014 05/11/2014 06/11/2014 07/11/2014 10/11/2014 11/11/2014 12/11/2014 13/11/2014 14/11/2014 17/11/2014 18/11/2014 19/11/2014 20/11/2014 21/11/2014 115,16 115,28 115,26 115,22 115,27 114,83 113,96 114,35 113,94 114,25 114,35 114,23 114,16 114,08 113,99 114,04 114,13 114,40 114,26 114,40 114,13 114,45 114,36 114,46 114,55 114,46 114,40 114,47 114,67 114,70 114,61 114,65 115,05 118,18 118,21 118,16 118,12 118,23 118,36 118,36 118,36 118,36 118,02 117,93 117,93 117,93 117,89 117,89 117,81 117,90 117,90 117,96 118,08 118,02 118,00 118,00 118,05 118,05 118,05 118,05 118,05 118,05 117,92 117,73 117,77 117,77 117,10 117,05 117,15 117,47 117,20 117,30 117,12 116,87 117,09 117,13 117,07 117,07 116,81 117,27 117,12 117,58 117,58 117,50 117,53 117,71 118,03 117,80 117,85 117,74 117,76 117,77 117,90 118,09 118,08 118,03 117,98 118,00 117,88 113,54 113,74 113,49 110,25 113,34 112,82 112,58 112,61 112,75 112,41 113,17 113,28 113,13 108,00 113,15 112,77 113,17 113,12 113,00 112,99 112,89 113,36 113,03 113,04 113,02 113,11 112,94 113,18 113,12 112,93 112,91 112,96 113,36 Dati di fine giornata. 78 CONCLUSIONI I. Reseach topics L’attenta analisi dei princìpi alla base del modello economico-finanziario islamico ha rilevato la presenza di nuovo sistema che, seppur ancora in fase embrionale, sta muovendo importanti passi verso una rapida espansione. La diffusione dei precetti religiosi alla base delle regole contrattuali islamiche sta destando sempre più l’interesse non solo di studiosi, ma anche di investitori – sia retail che corporate – che vedono, in questa nuova configurazione finanziaria, un possibile rifugio dalle attanaglianti condizioni imposte dalla crisi economica, nonché un’efficace metodologia per risollevare l’economia reale. II. Sintesi del lavoro di ricerca L’individuazione, nel corso del primo capitolo, dei principali elementi proibiti individuati dalla legge islamica (Sharīca), quali il divieto di interesse (ribā), il divieto di incertezza (gharār) ed il divieto di speculazione (maysir), non può che porsi indubbiamente in netto contrasto con le regole alla base del funzionamento dei tradizionali sistemi ed istituti finanziari attualmente operanti nel mercato occidentale. Tuttavia, l’analisi condotta sulle modalità adottate dalle Islamic Institutions per arginare tali vincoli, ha portato a delineare un sistema non completamente avulso da quello occidentale ma, semplicemente, di più complessa applicazione e caratterizzato da macchinose istruttorie, volte a rendere i più tradizionali prodotti e strumenti di finanza convenzionale interamente Sharīca-compliant. Inoltre, la capacità delle Islamic Banks di farsi strada all’interno dei contesti macroeconomici occidentali è stata attentamente esaminata, nel corso del secondo capitolo, al fine di delineare non solo le principali differenze tra i sistemi di politica monetaria caratterizzanti i due principali Paesi arabi per espansione territoriale e popolazione musulmana – quali Arabia Saudita e Iran – e quelli 79 occidentali, ma anche per individuare i possibili, e spesso già concreti, tentativi di diffondere tali realtà nel mercato globale e, più nel dettaglio, in quello europeo. L’individuazione del quadro europeo come territorio occidentale maggiormente all’avanguardia in fatto di diffusione dei princìpi e delle istituzioni di finanza islamica, in particolar modo, è stata più volte posta in rilievo data l’alta concentrazione di popolazione musulmana residente al suo interno, rispetto agli altri contesti territoriali occidentali. Nel terzo capitolo, dedicato ad un’approfondita descrizione dell’architettura e del funzionamento delle più diffuse forme contrattuali, nonché degli strumenti finanziari islamici maggiormente negoziati – con un particolare focus sui cosiddetti sukuk, ovvero certificati di investimento principalmente riconducibili ai tradizionali bond occidentali – sono stati tracciati i limiti ed i vantaggi che la clientela anche non islamica può trarre da tali prodotti. Ciò perché non bisogna pensare alla finanza islamica come realtà economica indirizzata esclusivamente ad un pubblico di fruitori legato alla legge coranica, bensì tale modello può pacificamente essere rivolto anche ad una più vasta clientela di non-Muslim investors capace di trarre benefici economici di rilevante portata etica e morale. Tuttavia, l’analisi quantitativa delle performance di un portafoglio finanziario composto interamente da sukuk islamici, condotta nel corso del quarto capitolo, ha prodotto interessanti risultati in merito a tale questione, capaci di evidenziare una non ancora perfetta correlazione tra i benefici attesi dai prodotti islamici e le loro effettive prestazioni. Più precisamente, è emerso come non sia di fatto vantaggioso per un investitore indirizzare le proprie risorse verso tali strumenti islamici – fatte salve particolari esigenze legate al contesto culturale e religioso di appartenenza – in quanto, questi ultimi, presentano prospettive di performance nettamente inferiori rispetto a quelle di un convenzionale investimento in bond occidentali. 80 III. Valutazioni in merito al case study Tale rilevazione può essere principalmente attribuibile alla non puntuale diffusione di un opportuno livello di cultura finanziaria relativamente a queste particolari forme contrattuali, spesso sconosciute o individuate eccessivamente complesse per l’insieme di investitori non appartenenti al contesto culturale di riferimento in cui sono sorti. Da ciò deriva, pertanto, una comprovata difficoltà nella negoziazione di tali strumenti, i quali risultano notevolmente meno liquidi rispetto ai corrispettivi titoli obbligazionari tradizionalmente intesi nel contesto occidentale, implicandone la comprovata difficoltà di individuazione di trend ben delineati derivanti da forti variazioni di prezzo, volumi di compravendita e performance. Dall’indagine svolta, pertanto, è possibile far emergere alcune importanti considerazioni. In primo luogo, si è indubbiamente rilevato il netto contrasto dei precetti islamici con i tradizionali assunti di finanza convenzionale, con particolare riferimento ai divieti di interesse e speculazione, attualmente principali responsabili, nel contesto occidentale, dei forti movimenti di prezzo che caratterizzano i mercati mobiliari. Tuttavia, le notevoli difficoltà affrontate dagli enti creditizi mondiali nell’attuare processi di ricerca per nuove soluzioni di sviluppo delle attuali tecniche non possono passare inosservate in quanto sono notevoli ed, in alcuni casi, del tutto pioneristiche, poiché volte a superare l’ostacolo della scarsa conoscenza del settore da parte degli investitori e delle istituzioni convenzionali. In particolar modo, l’atteggiamento ricco di pregiudizi da parte degli investitori occidentali nei confronti dell’Islamic Banking, dato il forte connubio che negli ultimi anni si è instaurato tra i concetti di Islām e terrorismo internazionale, tende molto a limitare la concreta diffusione di tale metodologia finanziaria, causandone una limitazione di valore non trascurabile. 81 IV. Proposte di ricerca Ciò nonostante, pensare alla finanza islamica come ad una particolare forma di finanza etica34 – soprattutto nel contesto italiano in cui sono particolarmente diffuse banche con caratteristiche di mutua cooperazione aventi lo scopo di sviluppare ed affiancare gli operatori economici nella la crescita di specifici progetti o territori – può essere indubbiamente un utile punto di partenza per promuovere la validità e la concreta efficacia di tale comparto finanziario. Anche il settore bancario, convenzionalmente identificato come volto esclusivamente a registrare introiti slegati dagli obiettivi di profitto e dalle opportunità di crescita economica dei singoli clienti, sicuramente potrebbe, attraverso la finanza islamica, puntare a far sì che l’obiettivo primario ritorni ad essere l’attenzione al cliente ed al territorio, mettendo in secondo piano l’ideologia capitalistica di creare valore soprattutto per i soci ed il management. Infatti, il modello islamico, basato sull’economia reale, destina anche all’attività bancaria la volontà di creare nuovo valore tangibile, dedicando notevole attenzione sia al cliente, sia ai benefici che nuove idee progettuali possono apportare all’intera comunità. Naturalmente, non si vuole affermare che le tecniche dell’Islamic Banking portino alla scoperta di un nuovo El Dorado, ma si vuole porre l’attenzione sulla possibilità di sfruttare le conoscenze pregresse dell’economia tradizionale, cercando di cogliere i lati migliori di questo nuovo modello economico, in modo tale da poter ritornare ad avere un’economia territoriale rosea e prolifica. Pertanto, resta indubbia la notevole affidabilità che gli strumenti finanziari ed i contratti islamici possono garantire, non essendo legati a forti movimenti di speculazione, poiché espressamente vietata dalla legge shariatica, nonché la concreta alternativa che essi rappresentano per garantire l’apporto di nuovi capitali da investire in attività direttamente connesse all’economia reale. 34 Per finanza etica si intendono quei processi economici finalizzati allo sviluppo di progetti in cui si riflettono i valori di riferimento di imprese e soggetti che si fanno carico di obiettivi etici socialmente rilevati. 82 Il modello economico-finanziario islamico, pertanto, lascia indubbiamente aperti molteplici percorsi di ulteriore approfondimento volti, in particolar modo, allo studio del confronto di tale modello bancario con il comparto della finanza etica, nonché all’analisi dei possibili punti di incontro tra l’insieme delle normative presenti nei sistemi giuridici occidentali volte a contenere il fenomeno dell’usura e del money laundering con i precetti shariatici già demandati a tale scopo. Un progetto, pertanto, quello dell’Islamic Banking, che sicuramente necessita di essere esaminato più a fondo al fine di consentirne una maggiore espansione anche a livello occidentale, volta a diffonderne i possibili benefici ad esso connessi nonostante il forte legame con il contesto teologico-culturale di riferimento, il quale andrebbe inteso come acceleratore, anziché freno, di un rivoluzionario progetto di rinascita e cooperazione che vede come attori principali l’insieme dei sistemi economici mondiali. 83 BIBLIOGRAFIA AAOIFI. (2008). Shari'a Standards for Financial Institutions. AHMAD, A. (1993). Contemporary practices of Islamic financing techniques. Islamic research and training institute - Islamic Development Bank (20), 43-44. AL-SAATI, A. R. (2003). The Permissible Gharar (Risk) in Classical Islamic Jurisprudence. J.KAU: Islamic Econ. , 16 (2). ALVARO, S. (2014). La finanza islamica nel contesto giuridico ed economico italiano. Quaderni giuridici Consob (6). BLANCHARD, O. 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