1 Apocalisse 22 - Parrocchia di Formigine

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1 Apocalisse 22 - Parrocchia di Formigine
Apocalisse 22 - Vieni Signore Gesù
Premessa
Coloro i quali, hanno affrontato con me lo studio del libro
dell’Apocalisse, si saranno accorti, a questo punto, di aver “percorso
un lungo viaggio”, e talvolta travagliato! Infatti, ci siamo trovati
insieme “affacciati” sul tumulto della storia umana e delle sue
contraddizioni, ci siamo trovati immersi in una – atmosfera – di pace
e di semplicità del Regno di Dio. E’ come se si fosse presentato
davanti ai nostri occhi tutto il cammino dell’umanità! Dal passato, il
presente, e proiettati verso il futuro!
Introduzione al capitolo ventiduesimo
Il capitolo che studieremo ora è il punto – terminale – verso cui
l’umanità è incamminata! Anche in questa parte conclusiva ritroviamo
generi letterari e toni apocalittici già conosciuti in precedenza :
narrazione e canto liturgico, visione del futuro, quadro positivo e
negativo. Soprattutto il simbolo : tre visioni (la nuova creazione, la
nuova Gerusalemme, il fiume dalle acque abbondanti), che
ribadiscono lo stesso concetto. Al centro, come sempre, troviamo il
«trono di Dio». Infatti, è dal trono che proviene la voce che spiega il
contenuto della visione. E’ dal trono di Dio che “scaturisce il fiume di
acqua viva”. L’immagine del trono di Dio è importante e ricorrente, è
spesso contrapposta polemicamente ai molti troni di falsi dei. C’è una
profonda differenza tra il trono di Dio e il trono degli uomini,
quest’ultimo innalzato ed utilizzato per dominare e piegare gli altri ai
propri interessi. Ma la tesi della Apocalisse è chiara : soltanto il trono
di Dio ha diritto di essere innalzato nella città dell’uomo, in quanto
soltanto davanti al trono di Dio l’uomo deve inchinarsi, e soltanto a
Dio è dovuta l’adorazione (l’Alfa e l’Omega, il Principio e la Fine). Se
la pienezza è futura, però, la possibilità di – anticipazione –
è un
fatto presente!
1
[1]Mi
mostrò poi un fiume d’acqua viva limpida come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio
e dell’Agnello. [2]In mezzo alla piazza della città e da una parte e dall’altra del fiume si
trova un albero di vita che dà dodici raccolti e produce frutti ogni mese; le foglie dell’albero
servono a guarire le nazioni.
[3]E
non vi sarà più maledizione.
Il trono di Dio e dell’Agnello
sarà in mezzo a lei e i suoi servi lo adoreranno;
[4]vedranno
la sua faccia
e porteranno il suo nome sulla fronte.
[5]Non
vi sarà più notte
e non avranno più bisogno di luce di lampada,
né di luce di sole,
perché il Signore Dio li illuminerà
e regneranno nei secoli dei secoli.
[6]Poi
mi disse: «Queste parole sono certe e veraci. Il Signore, il Dio che ispira i profeti, ha
mandato il suo angelo per mostrare ai suoi servi ciò che deve accadere tra breve. [7]Ecco,
io verrò presto. Beato chi custodisce le parole profetiche di questo libro».
[8]Sono
io, Giovanni, che ho visto e udito queste cose. Udite e vedute che le ebbi, mi
prostrai in adorazione ai piedi dell’angelo che me le aveva mostrate. [9]Ma egli mi disse:
«Guardati dal farlo! Io sono un servo di Dio come te e i tuoi fratelli, i profeti, e come coloro
che custodiscono le parole di questo libro. È Dio che devi adorare».
[10]Poi
aggiunse: «Non mettere sotto sigillo le parole profetiche di questo libro, perché il
tempo è vicino. [11]Il perverso continui pure a essere perverso, l’impuro continui ad essere
impuro e il giusto continui a praticare la giustizia e il santo si santifichi ancora.
[12]Ecco,
io verrò presto e porterò con me il mio salario, per rendere a ciascuno secondo le
sue opere. [13]Io sono l’Alfa e l’Omega, il Primo e l’Ultimo, il principio e la fine. [14]Beati
coloro che lavano le loro vesti: avranno parte all’albero della vita e potranno entrare per le
porte nella città. [15]Fuori i cani, i fattucchieri, gli immorali, gli omicidi, gli idolàtri e chiunque
ama e pratica la menzogna!
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Epilogo
Apocalisse 22
[16]Io,
Gesù, ho mandato il mio angelo, per testimoniare a voi queste cose riguardo alle
Chiese. Io sono la radice della stirpe di Davide, la stella radiosa del mattino».
[17]Lo
Spirito e la sposa dicono: «Vieni!». E chi ascolta ripeta: «Vieni!». Chi ha sete venga;
chi vuole attinga gratuitamente l’acqua della vita.
[18]Dichiaro
a chiunque ascolta le parole profetiche di questo libro: a chi vi aggiungerà
qualche cosa, Dio gli farà cadere addosso i flagelli descritti in questo libro; [19]e chi toglierà
qualche parola di questo libro profetico, Dio lo priverà dell’albero della vita e della città
santa, descritti in questo libro.
[20]Colui
[21]La
che attesta queste cose dice: «Sì, verrò presto!». Amen. Vieni, Signore Gesù.
grazia del Signore Gesù sia con tutti voi. Amen!
“un fiume di acqua viva (22,1)” : le acque vive e vivificanti
simboleggiano lo Spirito (cf. Gv 4,1; 7,37-39), Giovanni intravede qui
la Trinità. “Un fiume di acqua viva” è propriamente “il fiume
dell’acqua della vita”. L’immagine espressa dalla Genesi (2,9; 22,5) e
rielaborata da Ezechiele (cf Ez 47,1-12) ci dice che la Gerusalemme
celeste realizzerà di fatto lo stato ideale indicato come “paradiso
terrestre” nella Genesi stessa. La vita divina senza più interruzione,
viene assicurata mediante la partecipazione all’ “albero della vita”.
L’espressione si basa su Genesi 2,9, ma ha tutto un suo valore
particolare e forse allude anche all’ “albero della croce”. Si hanno
adesso, nella assenza di ogni maledizione e nella pienezza della vita, i
frutti completi dell’opera redentiva.
“dell’Agnello (22,1) ” : il luogo del nuovo culto spirituale è ormai il
Corpo del Cristo immolato e risuscitato.
“In mezzo … (22,2) ” : Il veggente di Patmos descrive, ora, la
Gerusalemme celeste come la dimora della vita divina. Qui sgorga un
fiume da cui tutti possono bere l’acqua della vita; sul suo argine
fiorisce l’albero del frutto che dà la vita. Dio e l’Agnello prendono il
posto del tempio in quanto essi sono ora l’unica fonte (Gen. 2, 10-14;
Sal. 46,4; Ger. 2,13 Ez. 47, 1-12; Gioele 3,18; Zc. 14,8).
“un albero di vita (22,2)” : poiché questa visione è essenzialmente
ispirata da Ez. 47,7.12, la parola “xjlon” = “albero” dovrebbe essere
interpretata al singolare. Anziché un solo albero della vita, come in
Gen. 2,9; 3,22 la città escatologica contiene molti alberi che offrono
la pienezza della vita (12 tipi di frutto, 12 volte l’anno; infatti il
numero 12 indica pienezza), e tutti i suoi cittadini possono coglierne
liberamente i frutti.
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“Le foglie dell’albero servono a guarire le nazioni (22,2)” : coloro
che faranno parte di questo nuovo mondo non conosceranno
sofferenza, malattia, o morte (21,4).
“E non vi sarà più maledizione … (22,3)” : i versetti 3 e 5 devono
essere inseriti dopo 21,4 (cf. introduzione). Questi versetti sono al
futuro, sicura promessa del regno e della visione senza fine (cf 1°Cor
13,12; 1°Gv 3,2) dei servi di Dio e dell’Agnello. Vedi anche Zc. 14,11.
Nessuna cosa sarà occasione di peccato (Deut. 7,26); nessuno
incorrerà nell’ira di Dio a motivo del peccato.
“Il trono di Dio (22,3)” : è il centro della divina presenza, che
sostituisce ora il tempio; segue pertanto immediatamente un servizio
liturgico per dare un’idea dell’intima comunione con Dio e con Cristo
di cui goderanno i santi.
“Vedranno la sua faccia (22,4) ” : un privilegio negato a Mosè (Es.
33,20.23), perché inaccessibile in questo mondo (Gv. 1,18). Eppure le
persone pie aspiravano alla visione di Dio, perlomeno nel tempio in
cui egli dimorava (Sal. 17,15; 42,2). Tale aspirazione sarà realizzata
nell’èra escatologica (Mt. 5,8, 1 Cor. 13,12; 1 Gv. 3,2; Eb. 12,14).
“e porteranno il suo nome sulla fronte (22,4) ” : ora essi gli
appartengono in maniera definitiva (3,12; 7,2 ss.). Il regno dei santi
sarà eterno (Dan. 7,18.27) come eterna sarà la condanna degli empi
(20,10).
“Non avranno più bisogno di luce di … (22,5)” : è il Risorto che
irradia la sua luce su tutte le nazioni riunite (22,5, Gv. 8,12; 2 Cor.
4,6).
“Poi mi disse … (22,6)” : tutto il seguito appare come “epilogo”. E’
una specie di “conversazione” fra l’angelo (o Gesù) e il veggente di
Patmos, commento alle visioni riportate alle visioni riportate nel libro
e all’uso che bisogna farne. La maggior parte delle espressioni si
trova disseminata nel libro. La finale è nettamente attribuita a Gesù.
Ancora : cf. l’angelo di 21,9.15; 22,1 parla ancora una volta. Questo
angelo è probabilmente lo stesso menzionato in 1,1.
“il Dio che ispira i profeti (22,6)” : lo Spirito di Dio parla attraverso
i profeti elevando le loro facoltà naturali. Giovanni associa
costantemente se stesso all’intero gruppo dei profeti cristiani (10,7;
22,9), senza mai isolarli dal resto della comunità (11,18; 16,6,
18,20.24).
“Queste parole sono certe e veraci
dell’intero libro, non solamente i vv. 3-5.
(22,6)”
:
è
il
contenuto
“… mi prostrai in adorazione ai piedi dell’angelo (22,8)” : Dio è
presentato nell’apocalittica come un essere talmente trascendente che
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è impossibile accedere a lui direttamente! E’ attraverso gli angeli che
egli si rivela agli uomini e riceve il loro omaggio e la loro adorazione.
Tuttavia questa insistenza sul potere mediatore degli angeli potrebbe
facilmente aver originato equivoci.
“Non mettere sotto sigillo (22,10)” : le parole di Giovanni si
avvereranno presto, devono quindi essere proclamate alle Chiese.
Diversamente da Dan. 8,26; 12,4.9 (cfr. Ap. 10,4), non c’è qui alcuna
attesa di una qualche èra futura in cui il messaggio possa essere reso
noto.
“Il perverso ... l’impuro ... (22,11)” : Ez. 3,27. Tale invito a
perseverare sia nel male che nel bene può essere spiegato dal fatto
che il giudizio è ormai imminente; negli ultimi giorni non esiste più
alcuna opportunità di pentimento (Mt. 25,10; Lc. 13,25). Ogni uomo
deve ora accettare le conseguenze di una decisione liberamente presa,
e la dannazione non sarà altro che la retribuzione del ripetuto e
definitivo rifiuto degli inviti di Dio. Ancora : qualunque sia la
condotta dell’uomo, il piano divino si compirà!
“Ecco, io verrò presto (22,12)” : la voce di Cristo annuncia che la
sua venuta in qualità di giudice supremo è imminente (2,16; 3,11;
22,12.20).
“Beati coloro che lavano le loro vesti (22,14)” : il perdono per il
peccato e la purificazione del cuore sono donati con abbondanza dal
sangue dell’Agnello, attraverso la partecipazione alla sua morte.
“ … all’«albero della vita» … (22,14)”: Allusione a Genesi 2,9 e agli
inizi della storia della salvezza, che giunge al suo pieno compimento
nella Gerusalemme nuova e celeste. «Lavare le vesti» è un simbolo
battesimale. Nel versetto 15 è presentato l’elenco delle cinque specie
principali di peccatori.
“… nella città (22,14)” : Gerusalemme (descritta in 21,9s).
“Fuori i cani ... (22,15)” : gli increduli non sono ammessi al
banchetto del Signore e solo i fedeli possono ricevere il corpo e il
sangue di Cristo, similmente i peccatori e gli empi saranno esclusi dai
benefici della salvezza. Saranno tenuti fuori dalla Gerusalemme
celeste, i “cani”: questa parola, con le sue forti connotazioni
d’impurità, è spesso applicata ai pagani (Deut. 23,19; Mt. 7,6; 15,26;
2 Pt. 2,22).
“ … i cani (22,15)”: con questo termine si indicano i “depravati” (vedi
Filippesi 3,2). Ancora : I «cani» sono gli infedeli (vedi 21,8).
“Io, Gesù ... (22,16)” : Cristo stesso si fa garante degli oracoli
contenuti nel libro e rievoca due profezie messianiche che gli stesso
portò a compimento.
5
“ cose riguardo le chiese
alla chiese.
(22,16)” : riguardo alle chiese o in mezzo
“Io sono la radice della stirpe di Davide (22,16)” : Gesù riassume e
porta al massimo sviluppo le promesse divine dell’Antico Testamento,
incentrate su Davide e sulla sua dinastia. Egli è la «stella radiosa del
mattino»!. Con questa espressione poetica si designa Cristo presente
nei cuori dei cristiani (cf 2°Piet 2,19) : infonde loro la speranza che li
mette in contatto col futuro escatologico. Cf. : Is. 11,1 ss.; Mt. 1,1
ss.; Rom. 1,3, 2 Tim. 2,8; egli non è solo il figlio di Davide, ma suo
Signore (Mt. 22,42 ss.). In Cristo, Re dei re, tutte le speranze sono
realizzate.
“la stella radiosa del mattino … (22,16)” : tra gli antichi era un
simbolo di dominazione (2,28). Questo brano è probabilmente inteso
come un’allusione a Num. 24,17 che il tardo giudaismo interpretò
come una profezia messianica. Cristo, la stella del mattino, è il Re dei
re, e ha il controllo dell’universo.
“Lo Spirito e la sposa … (22,17)” : è lo Spirito Santo che anima la
preghiera invocatrice dell’assemblea – la sposa – e la fa sua!. Ancora:
si riferisce ai “profeti” e ai “santi” (16,6; 18,24); è dunque la Chiesa
che risponde alla chiamata di Cristo. Ancora : lo Spirito presente
nella Chiesa, sposa del Cristo (21,2.9-10), le ispira questo richiamo
che corrisponde al messaggio del libro.
“E chi ascolta ripeta : … (22,17)” : la preghiera dell’intera Chiesa (la
sposa) è il dovere personale di ciascun cristiano presente
nell’assemblea liturgica.
“Vieni! (22,17)” : questa supplica si rivolge al Signore Gesù (v 20): è
il «Maranà tha» che si ripeteva durante le riunioni liturgiche (1°Cor
16,22) per esprimere l’attesa impaziente della parusia (vedi 1°Ts 5,1).
“Chi ha sete venga (22,17)” : Cristo ci chiede non solo di accoglierlo
quando viene, ma di accostarsi attivamente a lui (Gv. 6,35; 7,37).
“Dichiaro a chiunque … (22,18)” : schema molto antico per
proteggere uno scritto sacro da ogni falsificazione (Dt 4,2; 13,1; Pr
30,6).
“e chi toglierà qualche parola … (22,19)” : Gesù stesso enuncia
l’avvertimento - ispirato a Deut. 4,2 – contro il falsificatore cosciente.
“Sì, verrò presto! (22,20)” : è la promessa solenne, conclusiva da
parte di Gesù all’invocazione dell’assemblea liturgica. Per la terza
volta nell’epilogo Gesù annuncia che ritornerà presto. E’ un tema
principale del libro, e rappresenta una conclusione particolarmente
adatta all’intera Bibbia. La storia della salvezza, tema centrale della
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Scrittura, deve essere portata a compimento dal ritorno trionfale di
Cristo.
“Vieni, Signore Gesù (22,20)” : tramite la sua fede e la sua speranza,
il cristiano testimonia di avere il suo ruolo nella storia della salvezza.
Tre sono le parole ricorrenti nell’intero libro dell’Apocalisse : ascolto conversione - testimonianza profetica. Non c’è conversione senza
ascolto, come non c’è testimonianza senza conversione. Ancora : vedi
1°Corinzi 16,22 e nota.
“ Amen. Vieni, Signore Gesù. (22,20)” : è l’invocazione con cui si
conclude l’Apocalisse! Questa invocazione sembra richiamare quella
aramaica: Maranà tha, “Signore, vieni!”, assai frequente nelle prime
comunità cristiane, che così esprimevano la loro speranza nella
venuta definitiva del Signore Gesù (vedi 1°Corinzi 16,22). Ancora :
Gesù conferma che la venuta è prossima (vv 7,12 e già 1,3.7, ecc.).
L’Amen di questi (Rm 1,25) esprime il desiderio e la fede gioiosa.
Ancora : la chiesa, sposa, esprime la sua aspirazione all’incontro con
Cristo. Tale incontro, che già si realizza nell’Eucaristia, rimane il
desiderio costante della chiesa-sposa. Avrà luogo, in tutta la sua
pienezza, nella fase escatologica.
“ … sia con tutti voi. (22.21)” : altre traduzioni leggono : “con tutti
i santi”.
“Amen ! (22,21)” : L’Apocalisse e la Bibbia intera si chiudono con
una parola di completa sottomissione alla sua volontà. “Amen”.
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Approfondimenti
1. L’albero della vita
La lettera alla chiesa di Efeso si chiude così :
«Al vincitore darò da mangiare dell’albero della vita, che sta
nel paradiso di Dio» (2,7).
Altre tre volte, nell’ultimo capitolo, è menzionato l’albero della
vita. Esso fruttifica straordinariamente nella piazza della nuova
Gerusalemme dove si trova sulle due rive, verosimilmente, del fiume
che sgorga dal trono divino (Apocalisse 22,2).
A coloro che «avranno parte dell’albero della vita» è riservata la
settima e ultima beatitudine (Apocalisse 22,14). Ma Dio priverà
«dell’albero della vita» chi toglie qualcosa dalle parole dell’ Apocalisse
(Apocalisse 22,19).
In Genesi 2,9 il Signore Dio fa spuntare l’albero dal suolo «in
mezzo al giardino». E dopo il peccato, per mezzo dei Cherubini e della
fiamma della spada folgorante, provvede a sbarrarne la strada
all’uomo perché non «ne mangi e viva sempre» (3,22).
Nei tempi messianici Dio non farà più sbarrare l’accesso
dell’albero della vita come dopo il peccato di Adamo. Ammetterà nel
paradiso i santi e offrirà loro i frutti dell’albero.
Anche alla luce dei testi giudaici è chiaro che al vincitore di
Apocalisse 2,6 è promesso il ricupero di quello che Adamo aveva
perduto, il dono dell’immortalità. Un’immortalità che, come ogni altra
realtà dei tempi messianici, è ben superiore a quella dei tempi
primordiali. Un’immortalità inoltre, di cui il cristiano vive già oggi
pregustandone la beatitudine piena di domani.
(↓ continu a)
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2. L’acqua della vita
Con «l’acqua di vita o della vita» si passa dai castighi ai doni
divini.
«Non avranno più sete» gli eletti (7,16) perché l’Agnello li guiderà
«alle sorgenti di acqua di vita» (v. 17). «A colui che ha sete» promette
Dio nella novità dei cieli e della terra «darò gratuitamente acqua della
fonte della vita» (Apocalisse 21,6).
«Un fiume di acqua viva, limpida come cristallo, che scaturiva
dal trono di Dio e dell’Agnello» (Apocalisse 22,1) è quanto un angelo
mostra nella nuova Gerusalemme al veggente di Patmos.
Che in una delle ultime battute dell’Apocalisse rivolge l’invito:
«Chi ha sete, venga; chi vuole, attinga gratuitamente l’acqua
della vita» (22,17).
Si tratta, in questi passi, dell’acqua viva che scorre direttamente
dalla sorgente, sorgente che ha origine — secondo 22,1 — dal trono di
Dio e dell’Agnello.
E’ acqua viva opposta all’acqua morta, stagnante delle paludi; è
acqua più pregiata di quella raccolta nelle cisterne.
Chi è ammesso a bere quest’acqua viva e vivificante, non soffre
più la sete. E gode in pienezza la vita divina.
Ormai non c’è più dubbio che nell’Apocalisse (da noi fin qui
studiata) i cibi e le bevande sono generalmente tratteggiati a “tinte
fosche”.
Il grano, l’orzo e il vino scarseggiano. Gli alberi e le verdure sono
seccati per un terzo. Muore la terza parte dei pesci. Si mangia carn e
di animali immolati agli idoli. Anche la carne umana è divorata; dagli
uccelli rapaci quella dei re e del loro esercito; quella della prostituta
è consumata dagli uomini in un autentico cannibalismo!
Si beve sangue umano: quello dei martiri ubriaca la prostituta.
L’acqua potabile, infine, o è mutata in sangue, o scarseggia
perché l’Eufrate è prosciugato e un terzo dei fiumi e le sorgenti
diventano tossiche e amare.
Ma non è sempre così!
Una luce solare piove su altri cibi e bevande, sulla manna,
sull’albero della vita e sull’acqua della vita.
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Allora, perché questi contrasti di colore?
Nella Bibbia l’approvazione e la riprovazione divina della
condotta umana si manifestano anche nelle realtà concrete degli
alimenti. Essi vengono donati a profusione o, al contrario, vengono
negati in parte o del tutto.
Esemplare il dittico (*) benedizione-maledizione di Deuteronomio
28,1.2.15 :
«Se tu obbedirai fedelmente alla voce del Signore tuo Dio ... verranno
su di te e ti raggiungeranno tutte queste benedizioni ... “Ma se non
obbedirai alla voce del Signore tuo Dio, ... verranno su di te e ti
raggiungeranno tutte queste maledizioni».
L’Apocalisse è sulla stessa lunghezza d’onda quando delinea, da
una parte, la beatitudine del popolo di Dio vincitore in Cristo, e
dall’altra la sorte tragica degli «abitanti della terra» che si oppongono
a Dio e al suo Cristo.
(*) Il dittico (dal greco D is- "due" + ptychē "p ieg a") era una tavole tta
f ormata d i due assicelle riunite a libro da un lato, con un a cerniera o
un legaccio d i cuoio, usata dai Roman i per scrivervi, con lo stilo, sulle
due f acce in terne spal mate di cera co me in un taccuino. Ve ne erano di
piccolissimi che stav ano nel pugno (pug ill ares). Furono d apprima in
legno se mplice, poi d'avorio artistic amen te in tagliato sulle f accie
esterne. Il Dittico Consolare, per lo più in avor io od osso, costitu ito d a
due tavole con iscriz ioni, decoraz ioni e immag in i, era usato, d al III
secolo per celebrare l'elezioni de i consol i i qu ali usav ano regal arne agli
amic i in occas ione della no min a. D al medioevo in poi il ter mine dittico è
invece attr ibu ito a dip inti su tavola o tela (polittic i) costitu iti d a due
parti unite con una cerniera, che in genere potevano aprirsi e chiudersi.
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Approfondimenti (2)
1. La mappa della città di Dio
Il «cielo luminoso dell’Ascensione» ci permette di aprire l’ultima,
stupenda pagina di quel libro biblico così emozionante che è
l’Apocalisse. Dopo un lungo e drammatico pellegrinaggio nei campi
oscuri e insanguinati della storia, ove sembrano imperare la
«bestialità » del male e la volgarità della Prostituta, ubriaca del
sangue delle vittime, segni del demoniaco che intride la vicenda
umana, ora si apre il sipario sul vero approdo a cui tutti siamo
chiamati.
È una città luminosa, la «Gerusalemme nuova», la città di Dio e
dei giusti, cantata nei capitoli 21-22 dell’opera. Come diceva uno
studioso, E.A. Hamman, è come se Giovanni qui presentasse la sua
«sinfonia del Nuovo Mondo».
Sorge l’aurora del giorno sperato e atteso quando si era nella
notte della paura e dell’oppressione, in cui imperversavano appunto il
drago, la Bestia, la Prostituta e la città imperiale terrena, Babilonia,
che forse per l’autore dell’Apocalisse era Roma col suo impero. Il DioEmmanuele diventa cittadino della nuova Gerusalemme, con una sua
«tenda» accanto alle case degli uomini. Egli passerà per le strade
cancellando le lacrime che rigano i volti dei sofferenti. Dalla città
saranno espulsi – oltre ai peccatori, elencati in un catalogo ideale di
otto vizi (21,8) – anche quei lugubri abitanti delle nostre città terrene
che portano i nomi di Morte, Lutto, Lamento, Fatica (21,3-4). Della
Gerusalemme della speranza viene anche dipinto un affresco o, se si
vuole, disegnata una mappa. È interessante notare che l’antica
iconografia cristiana raffigurava questa pianta urbana non solo come
un grande quadrato, come suggerisce il libro dell’Apocalisse, ma
anche come un rombo e poi come un’eclisse, quasi a addolcire la
forma in quelle di un grembo materno fecondo e sereno. Giovanni usa
numeri colossali, tutti ritmati sul numero perfetto, il 12, che è anche
quello delle tribù d’Israele ma pure degli apostoli, così da intrecciare
il vero Israele fedele con la Chiesa (21,15-17). Ai numeri grandiosi si
associa la preziosità delle pietre : tutte le gemme sono raccolte,
sempre nel numero simbolico di 12, per rappresentare la gloria di
questa città il cui «fulgore è simile a quello di una pietra
preziosissima, come pietra di diaspro cristallino» (21,11; vedi 21,1821). Ma, in finale, ecco una sorpresa: «Non vidi in essa alcun tempio:
il Signore Dio Onnipotente e l’Agnello sono il suo tempio » (21,22).
(↓ continu a)
11
Facile, però, è comprendere questa assenza: tra Dio e uomo non
ci sarà più bisogno della mediazione di un tempio e di un sacerdozio.
L’incontro del Signore sarà diretto e assoluto, cadranno le distanze e
si aprirà l’intimità. Si attuerà allora in pienezza l’annunzio di san
Paolo secondo cui noi «siamo il tempio di Dio e lo Spirito di Dio abita
in noi» (1Corinzi 3,16). Spariranno anche il sole e la luna (21,23-26).
La
stessa
gloria
luminosa
di
Dio
s’irradierà
in
noi,
trasfigurandoci, proprio come aveva cantato Isaia lanciando lo
sguardo verso l’orizzonte delineato ora dall’Apocalisse : «Alzati,
rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla
su di te ... Il Signore sarà per te luce eterna, il tuo Dio sarà il tuo
splendore» (60,1-19), [Da vedere : La Gerus ale mme celeste - Min iatura
f rancese, XIII secolo, T olosa - Bibliotec a munic ip ale].
Al centro del cerchio iscritto in un rettangolo sta Dio assiso in
maestà, che domina il mondo con la Croce e l’Agnello. Ai quattro lati
del cerchio compaiono i simboli dei quattro evangelisti. Come narra
Giovanni nell’Apocalisse (Ap 21,12-14), intorno a questo centro ideale
si snodano le mura di Gerusalemme, con tre porte su ciascun lato: a
oriente, a occidente, a settentrione e a mezzogiorno. Ogni porta poi è
custodita dai dodici rappresentanti delle dodici tribù d’Israele. Le
mura della città poggiano infine su dodici basamenti, che sono gli
apostoli che Cristo stesso si è scelto per edificare la sua Chiesa.
(↓ continu a)
12
Appunti di «Teologia Apocalittica» (*)
(*) Bibliograf ia generale, vedi in particolare :
Rich ard Bauck am – La T eologia della Apocal isse –
Collan a Letture Bibliche n.12 – Edizion i P aideia - 1994
La struttura simbolica dell’Apocalisse rende complessa ed ardua
la sua interpretazione: è praticamente impossibile esaurire il
significato delle varie immagini e determinare con precisione il loro
messaggio teologico. Se, a livello generale, la celebrazione del mistero
pasquale di Cristo e la riflessione sul senso della storia possono
considerarsi punti chiari e sicuri, lo stesso non può dirsi per
moltissimi particolari dell’opera. E’ quindi rischioso costruire una
sintesi di teologia dell’Apocalisse, basata sull’ipotetica interpretazione
di alcune immagini; mentre è via più sicura far emergere dal testo
quei frammenti di teologia, costituiti dalle esplicite formule di fede
presenti nell’ opera.
Tentiamo, dunque, di comprendere il messaggio teologico
dell’Apocalisse analizzando tali frammenti di teologia: i titoli
attribuiti a Dio e al suo Cristo, gli inni liturgici inseriti nella
struttura simbolica e le sette beatitudini.
I titoli divini e cristologici
Una formula tipica dell’Apocalisse è quella che presenta Dio
come «Colui che è e che era e che viene» (1,4.8; 4,8) oppure «Colui che
è e che era» (11,17; 16,5). Tale modo di indicare il nome di Dio deriv a
dalla formula antica «Io sono colui che sono» (Es 3,14) ed era
comunemente specificata in tre tempi nella tradizione liturgica
giudaica, secondo la testimonianza del Targum Palestinese; ma
nell’Apocalisse è degno di nota il fatto che il terzo elemento non sia al
futuro e nemmeno caratterizzato dal verbo “essere”: Dio non solo
esiste da sempre, ma soprattutto è colui che interviene attivamente e
attualmente nella storia. Inoltre Dio è detto «l’alfa e l’omega» (1,8):
con l’immagine della prima e dell’ultima lettera dell’alfabeto greco il
Signore Dio si presenta come Colui che determina l’inizio, lo sviluppo
e la conclusione di ogni storia; lo stesso afferma il titolo
«Pantokràtor», l’Onnipotente, che ricorre frequentemente nei testi
lirici (1,8; 4,8; 11,17; 15,3; 16,7.14, 18,8; 19,6.15; 21,22; 22,5.6).
A partire dalla grande visione del trono, Dio viene comunemente
evocato come «Colui che siede sul trono» (4,2.3.9.10; 5,1.7.13; 6,16;
7,10.15; 11,16; 19.4; 20,11; 21.5) significando con questa immagine
il reale controllo esercitato da Dio sul cosmo e sulla storia; egli,
inoltre, «vive nei secoli dei secoli» (4,9.10; 10,6; 15,7), non è limitato
dal tempo, anzi ne è il signore, e, con il linguaggio dell’Antico
Testamento, viene detto «santo» (4,8; 6,10) e «giusto» (16,5).
13
Alla sobrietà dei titoli divini si contrappone l’abbondante varietà
delle formule che presentano e descrivono Gesù Cristo. Nel saluto
iniziale (l,5a) egli è presentato come «testimone degno di fede» : cioè
rivelatore credibile del mistero divino. Lo stesso titolo è ripreso in
3,14 con l’aggiunta dell’aggettivo «veritiero» : il compito di «testimone»
è qualificato come «degno di fede, accreditato» (nei confronti di Dio) e
come «rivelatore» (nei confronti dell’umanità); «primogenito dei morti»
(cf Col 1,18; 1 Cor 15,20), in quanto ha condiviso la sorte mortale
degli uomini ed ha dato origine alla nuova generazione dei viventi;
«principe dei re della terra». cioè sovrano dominatore di tutte le
potenze che continuano ad operare nel mondo e nella storia.
Al saluto e all’augurio pronunciati dal lettore risponde
l’assemblea con una dossologia in onore del Cristo (1 ,5b-6). Egli
viene celebrato e ringraziato per tre motivi, espressi da tre verbi. I l
primo («ci ama») è al presente e sottolinea lo stato abituale di
relazione amorosa che lega il Cristo alla sua Chiesa; gli altri due
verbi, invece, evocano l’evento storico fondatore ditale relazione con
un
probabile
riferimento
al
battesimo,
inteso
come
reale
partecipazione alla morte e alla nuova vita di Gesù : «ci ha liberati dai
nostri peccati con il suo sangue» : l’aspetto negativo è presentato
come scioglimento dai legami dei peccati per mezzo del sacrificio
stesso di Cristo; «ha fatto di noi un regno, sacerdoti per Dio e Padre
suo» : l’aspetto positivo è indicato come effettiva partecipazione dei
cristiani alla regalità e alla mediazione sacerdotale del Signore
risorto.
Questo
terzo
elemento
è
particolarmente
significativo.
L’espressione, derivata da Es 19,6, ricorre in forma simile in altri due
passi dell’Apocalisse (5,10; 20,6) e con essa l’autore esprime una
innovativa visione teologica. La comunità cristiana, liberata dal
Cristo, si sente un “regno”, sente cioè di appartenere totalmente al
Padre di Gesù Cristo e di condividere con lui la funzione sacerdotale
di mediazione e di salvezza: tutti i cristiani sono sacerdoti e
condividono una responsabilità attiva, collaborano col Cristo per fare
della storia il Regno di Dio.
Nell’ apparizione iniziale il personaggio misterioso si presenta
con cinque espressioni che lo qualificano come il “risorto” e lo
identificano con Gesù Cristo (1,17-18) :
«il Primo e l’Ultimo» : titolo attribuito a Dio, Creatore e
Signore del cosmo e della storia (cf Is 44,6; 48,12),
corrispondente a «Alfa e Omega» detto del Signore Dio (1,8):
Gesù Cristo ha gli stessi attributi di YHWH;
«il Vivente»: espressione cara alla teologia giovannea con cui
si afferma che il Logos-Figlio ha la vita in se stesso
indipendentemente dalla creazione (cf Gv 1,4; 5,26); il titolo
deriva dalla formula vetero-testamentaria «il Dio vivente»;
14
«divenni morto»: è la sintesi del mistero di incarnazione con
cui il Cristo ha partecipato storicamente alla morte
dell’umanità;
«sono vivente per i secoli dei secoli»: l’affermazione della
risurrezione è sottolineata, per contrasto, dal verbo essere al
presente con il participio che riprende «il vivente» : al
momento storico della morte viene contrapposta l’eternità
della vita e di Cristo viene detto ciò che altrove è detto del
Padre;
«ho le chiavi della morte e dell’Ade»: non solo è vivo, ma è
signore della vita, giacché è il padrone chi ha le chiavi; con
un’immagine corrente nel Giudaismo viene presentato il
Cristo dominatore del «mondo sotterraneo dei morti» (in
ebraico: Sheol).
Nelle sette lettere, poi, il Cristo risorto si auto-presenta ogni
volta riprendendo le stesse formule ed immagini della visione
introduttiva e arricchendole con altre :
«Figlio di Dio» (2,1 8b): questo titolo cristologico, così comune
nel resto del Nuovo Testamento, compare solo questa volta
nell’Apocalisse;
«Io sono colui che scruta gli affetti e i pensieri degli uomini e
darò a ciascuno secondo le proprie opere» (2,23): la formula
deriva da un’espressione di Geremia (11,20; 17,10; vedi anche
Sal 62,13), con cui il profeta presentava il Dio di Israele;
l’attribuzione al Cristo comunica implicitamente la fede nella
sua divinità;
«il Santo» (3,7): è l’attributo stesso di Dio e nell’A.T. ne indica
la trascendenza;
«il Veritiero» (3,7) : è, invece, aggettivo tipicamente giovanneo
ed esprime il compito rivelatore del Cristo;
«Colui che ha la chiave di Davide» (3,7): l’immagine riprende
un famoso oracolo di Isaia (cf Is 22,22) ed ha la funzione di
evocare il potere assoluto ed universale del re messianico;
«l’Amen» (3,14) :l’uso di questa formula ebraica applicata al
Messia è assolutamente originale (forse dipendente da Is
65,16) e, sottolineando la caratteristica di stabilità, presenta
Gesù Cristo come il fondamento ed il compimento (cf 2 Cor
1,19-20);
15
«il principio della creazione di Dio» (3,14) : è un titolo
particolarmente importante e teologico; si avvicina alle
formule di un inno cristologico (cf Col 1,15.18), certamente
descrive il Cristo risorto come l’inizio dell’azione creatrice di
Dio, il principio della novità, dei cieli nuovi e della terra
nuova annunciati da Is 65,17.
Nel corpo del libro compaiono esplicitamente solo pochi titoli
cristologici. Il cavaliere sul cavallo bianco, descritto con particolari
che lo fanno identificare con il Cristo, viene presentato come «il Logos
di Dio» (19,13), ovvero la Parola di Dio: il riferimento al prologo di
Giovanni (Gv 1,1.14) è inevitabile, per cui questa figura è
chiaramente indicata come “il rivelatore”; ma un altro riferimento
importante, che offre una colorazione pasquale alla scena, può essere
1’immagine apocalittica con cui il libro della Sapienza evoca
l’intervento di Dio nella Pasqua dell’Esodo (cf Sap 18,14-16).
Lo stesso cavaliere porta scritto come nome: «re dei re e signore
dei signori» (19,16); un titolo analogo «signore dei signori e re dei re»
(17,14), sinonimo di grande autorità universale, è attribuito anche
all’Agnello nel contesto della lotta contro le corna della bestia.
Nell’epilogo finale di tipo liturgico riprende la parola Gesù
stesso, per riaffermare l’origine divina di questa rivelazione, la sua
destinazione all’assemblea liturgica e il suo interesse alla comunità
cristiana (22,16); una nuova auto-presentazione spiega il valore della
testimonianza profetica, offerta da Giovanni al gruppo d’ascolto, la
quale si fonda proprio sulle qualità di Gesù («la radice e la stirpe di
Davide, la stella radiosa del mattino»), punto di incontro e
realizzazione dell’Antico e del Nuovo Testamento: egli viene prima di
Davide (radice), ne continua l’opera (stirpe) ed inaugura il giorno
nuovo della Pasqua (stella del mattino: cf 2,28; Nm 24,17).
Gli inni liturgici
Gli
interventi
lirici
nel
corso
dell’Apocalisse
sono
particolarmente significativi, perché riportano con buona probabilità
frammenti di testi liturgici effettivamente adoperati nella comunità
giovannea e testimoniano quindi in modo esplicito la fede di quella
chiesa.
Nella visione iniziale del trono e dell’Agnello compaiono alcuni
brani lirici, ma due hanno un rilievo speciale, perché evidenziano
chiaramente il tema teologico: hanno entrambi la forma innica del
riconoscimento di dignità e mettono in evidenza i motivi fondanti di
questo valore. Il primo è indirizzato a «Colui che siede sul trono», cioè
al Dio della rivelazione vetero-testamentaria :
16
«Tu sei degno... perché tu hai creato tutte le cose, per la tua volontà
furono create e sussistono» (4,11);
il secondo è rivolto all’ Agnello, cioè a Gesù Cristo portatore della
rivelazione neotestamentaria: «Tu sei degno ... perché sei stato
immolato e hai riscattato per Dio con il tuo sangue uomini di ogni
tribù, lingua, popolo e nazione e li hai costituiti per il nostro Dio un
regno e sacerdoti e regneranno sopra la terra» (5,9).
L’opera della creazione tende alla salvezza e l’evento della
redenzione è il vertice del piano di Dio: la grande scena simbolica
mostra come, di fronte all’umanità incapace e impotente, si presenti il
Cristo risorto, l’unico capace, colui che può aprire il libro del mistero,
perché ha accolto perfettamente il piano di Dio fino ad essere ucciso;
la sua “capacità” viene offerta a tutti gli uomini senza alcuna
distinzione, in modo tale che li abilita a collaborare all’instaurazione
del Regno con una mediazione tipicamente sacerdotale.
L’insieme di questa visione fondamentale dice che l’interesse
teologico dell’Apocalisse è concentrato sulla creazione e sulla
redenzione considerate in stretta relazione, come strettamente uniti
dalla lode liturgica sono Dio Padre e Gesù Cristo :
«La salvezza appartiene
all’Agnello» (7,10; cf 5,13).
al
nostro
Dio
seduto
sul
trono
e
Gli altri interventi lirici nel corso del libro mettono in
particolare evidenza l’instaurazione del regno di Dio attraverso l’opera
del Cristo: in questi casi le formule sono molto vicine alle
corrispondenti espressioni usate comunemente nel resto del Nuovo
Testamento.
Al suono della settima tromba si compie il «mistero di Dio» (cf
10,7) e tale compimento è espresso da un canto :
«Il regno del mondo è diventato del nostro Signore e del suo
Cristo e regnerà per i secoli dei secoli» (11,16).
Viene così celebrata la realizzazione della signoria di Dio e del
suo Cristo sul mondo intero e l’inizio di un regno che non avrà più
termine, come aveva annunciato Gabriele a Maria (cf Lc 1,33) e come i
Padri della Chiesa hanno riportato nel simbolo di fede.
(↓ continu a)
17
Il versetto finale del cantico del mare (Es 15,18) era divenuto
formula tecnica nel linguaggio apocalittico per indicare la nuova
situazione che si sarebbe realizzata con l’intervento decisivo di Dio (cf
Dn 2,44; 7,14.27; Zc 14,9) e la tradizione cristiana ha visto nella
risurrezione del Cristo l’inaugurazione del Regno : il Risorto è
intronizzato alla destra del Padre (cf Mc 16,19; Eb 1,3), «deve regnare
finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi» (1 Cor 15,25)
e con lui «regnano» i redenti (cf 5,10).
Giovanni, in modo particolare, celebra la Croce di Cristo come il
momento solenne della intronizzazione del Re definitivo (cf Gv 12,3 132; 18,38; 19,2-3.13-14) e l’ultima parola del Cristo in croce è proprio
l’annuncio del compimento (cf Gv 19,30); l’Apocalisse canta, a sua
volta, l’inizio glorioso di questo regno e il compimento del mistero di
Dio.
Nello stesso contesto, intervengono nella celebrazione i 24
anziani ed intonano un inno di ringraziamento rivolto direttamente a
Dio ed esprime chiaramente il motivo della lode :
«perché hai messo mano alla tua grande potenza e hai instaurato
il tuo regno» (11,17).
Con pochi tratti essenziali vengono poi evocate le fasi dell’evento
escatologico: la corruzione del mondo è solo evocata con la citazione
del salmo 2, v. 1 (testo adoperato anche negli Atti per spiegare
l’uccisione di Gesù: cf At 4,25-28); l’intervento di Dio è espresso con
una formula sintetica e classica nell’apocalittica («venne l’ira»: cf
6,17; Mt 3,7; Rm 1,18; 1 Ts 1,10; Dn 8,19; 11,36); tale intervento,
qualificato come il momento opportuno e decisivo, è il vertice della
storia ed è segnato dal giudizio.
Nel Vangelo di Giovanni il mistero pasquale di Cristo coincide
con il giudizio di questo mondo, che comporta due opposte
conseguenze: l’eliminazione del potere satanico ed il dono dello
Spirito (cf Gv 12,3 1-32). Tale schema apocalittico del giudizio come
separazione fra buoni e cattivi è sintetizzato nel finale del canto:
«giudicare i morti» significa «dare la ricompensa» ai servi di Dio e
«distruggere» quelli che rovinano la terra.
Il quadro narrativo della cacciata di satana dal cielo (12,7-13) si
interrompe bruscamente, per lasciare spazio ad un altro intermezzo
lirico, che rispecchia probabilmente un inno liturgico cristiano in uso
nella comunità giovannea per celebrare il trionfo pasquale di Cristo e
la sconfitta del «principe di questo mondo» (cf Gv 12,31).
(↓ continu a)
18
L’evocazione della primordiale caduta degli angeli ribelli viene
così commentata con il canto cristiano della sconfitta definitiva di
satana :
«Ora si è compiuta la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio
e la potenza del suo Cristo» (12,10).
Il poema liturgico inizia con un deciso avverbio di tempo
(«adesso») per celebrare la realizzazione del regno di Dio e
l’intronizzazione del Cristo risorto che significa la rovina di satana,
l’accusatore.
Satana viene evocato in 12,10 con un termine unico nel Nuovo
Testamento : ”accusatore”. Questa immagine deriva da alcune scene
bibliche (cf Gb 1,6-12;2,1-7; Zc 3,1-2) e dalla mentalità apocalittica
che considera le potenze angeliche strettamente coinvolte nella
conduzione delle vicende terrene (cf Dn 10,13.20).
Per mezzo del sangue dell’Agnello, infatti, cioè grazie al mistero
pasquale del Cristo morto e risorto, i fedeli hanno avuto ragione
dell’avversario demoniaco con la parola e con i fatti, grazie
all’imitazione dell’atteggiamento che fu di Gesù, cioè la totale fiducia
in Dio fino alla morte.
Coloro che dimorano in cielo possono gioire pienamente di
questa vittoria, ma per gli abitanti della terra l’influenza demoniaca
può recare ancora danni : con immagine mitica, questi danni sono
attribuiti alla rabbia dello sconfitto e alla sua consapevolezza di aver
poco tempo (12,11-12). In altre parole, l’inno sembra riconoscere che
anche dopo la Pasqua di Cristo il male è rimasto nel mondo, seppur
definitivamente sconfitto alla radice: per raggiungere la vittoria piena,
ai fedeli della terra è chiesto il coraggio della testimonianza.
L’inno dei vincitori sul mare di cristallo (15.3-4) è il canto del
nuovo esodo che, con molte espressioni bibliche, celebra Dio «Re delle
genti» non tanto per l’opera della creazione, quanto per i suoi
interventi storici; l’insistenza cade sulle «genti», cioè i non-israeliti, e
la gioia del canto consiste proprio in questa certezza : «i tuoi giusti
giudizi si sono manifestati», cioè è stata rivelata la volontà divina di
salvare tutta l’umanità e la comunità è certa che questo progetto si
realizzerà.
L’ultimo intermezzo lirico compare prima della scena del
Cavaliere-Logos di Dio ed è il grande inno dell’«alleluia» (19,1-8),
derivato dall’uso liturgico giudaico secondo l’adattamento teologico
della comunità cristiana.
(↓ continu a)
19
La prima strofa (vv. 1-2) riconosce a Dio una presenza (gloria)
potente (forza) e operante per il bene (salvezza): i suoi interventi
nella storia (giudizi) rivelano il suo volto (veri) e ristabiliscono
l’ordine (giusti). La rovina della prostituta è il segno di questo
intervento salvifico.
La seconda strofa (v. 3) ripete l’alleluia e, con l’immagine delle
macerie fumanti, celebra l’intervento divino come definitivo.
Nella terza strofa, quella centrale (v. 4), la ripresa del gesto di
prostrazione e adorazione ha l’intento strutturale di collegare
questo inno agli altri canti e di evidenziare l’unicità del mistero
celebrato: nel centro della composizione, all’acclamazione di lode
viene premessa un’ altra formula ebraica («amen») per indicare
che, solo l’accoglienza piena e fiduciosa del progetto divino fa
sgorgare il canto di lode.
La quarta strofa (v. 5) traduce la parola ebraica con «lodate il
nostro Dio» e rivolge questo invito a tutti i timorati di Dio con
una formula che era già comparsa nell’inno della settima
tromba, dove si celebrava il giudizio e la salvezza.
La quinta strofa (vv. 6-8a), infine, corrisponde, in modo
inclusivo, alla prima : ma, in opposizione alla rovina della
prostituta, viene evidenziato l’aspetto positivo della preparazione
della sposa per le nozze con l’Agnello.
Il canto dell’alleluia è giustificato da due cause : l’inaugurazione
del regno messianico («Ha preso possesso del suo regno il Signore»,
19,6) e la celebrazione delle nozze fra l’Agnello e la «sua donna»:
l’intervento escatologico dell’Agnello divino, infatti, distrugge il
mondo corrotto e trasforma l’umanità (la «donna» : da prostituta a
sposa), rendendola capace di una autentica comunione con Dio (le
nozze).
Le sette beatitudini
Alcune formule di macarismo, forse non casualmente in numero
di
sette,
compaiono
disseminate
nel
corso
dell’Apocalisse;
manifestano chiaramente il pensiero dell’autore e rivelano, anche se
solo per allusioni ed accenni, un ricco messaggio teologico.
«Beato chi legge e beati coloro che ascoltano le parole di questa
profezia e mettono in pratica le cose che vi sono scritte. Perché il
tempo è vicino» (1,3).
(↓ continu a)
20
Inserita fra il titolo e l’inizio epistolare, di carattere tipicamente
liturgico, questa prima formula definisce l’opera come «la profezia» e
celebra la felicità che nasce dalla sua proclamazione comunitaria e
dalla perseverante custodia del suo messaggio, giacché il momento
buono, l’occasione decisiva è a portata di mano. L’ ambiente liturgico
originario è fondamentale ed indispensabile anche per tutti i futuri
lettori, perché l’opera venga compresa ed arrechi un beneficio.
«Beati fin d’ora i morti che muoiono nel Signore. Sì, dice lo Spirito,
riposeranno dalle loro fatiche, perché le loro opere li seguono»
(14,13).
Un’ esplicita comunicazione divina ordina a Giovanni di mettere
per iscritto una nuova beatitudine: l’attenzione cade sull’ inciso «fin
d’ora» e sembra riferirsi ai santi dell’antica alleanza, vittime di forze
anti-divine come Babilonia ed Antioco Epifane (cf Dn 12,1-3; 2 Mac
7,9-14.23-36). L’intervento rafforzativo dello Spirito garantisce per
questi fedeli il riposo dopo la persecuzione ed il premio della loro
costanza : in sottofondo emerge la fede “apocalittica” nella
risurrezione dei giusti e l’annuncio di questa realtà connessa con il
mistero pasquale di Cristo.
«Ecco, io vengo come un ladro. Beato chi è vigilante e conserva le sue
vesti per non andar nudo e lasciar vedere le sue vergogne» (16,15).
Il Cristo risorto, presente e operante nella sua Chiesa, prende
improvvisamente la parola e, con l’immagine della “venuta”, riporta
l’attenzione alle lettere iniziali e prepara l’insistenza dei finale;
sembra così che questo versetto voglia indicare il centro ideale della
rivelazione, proprio perché incuneato nella serie delle coppe, simbolo
della morte di Cristo. L’immagine del ladro che giunge inatteso risale
a Gesù stesso (cf Mt 24,43-44; Lc 12,39-40) ed è diffusa nella
predicazione cristiana (cf i Ts 5,2.4; 2 Pt 3,10). Nell’Apocalisse stessa
è già stata adoperata; ciò che nella lettera a Sardi era detto come
esortazione (3,3), ora assume la forma di una beatitudine e sottolinea
il grande tema della vigilanza cristiana. L’immagine dei vestiti ricorda
da vicino l’esortazione rivolta alla tiepida chiesa di Laodicea (3,18) ed
allude alla partecipazione, reale e continuata, al mistero salvifico del
Cristo, da cui è stata superata la nudità e la vergogna dell’uomo
peccatore (cf Gn 3,7-10) : il dono battesimale della vita nuova
simboleggiato
dalle
vesti
(cf
7,14)
produce
e
richiede
un
comportamento di conseguenza.
(↓ continu a)
21
«Beati gli invitati al banchetto delle nozze dell’ Agnello» (19,9).
Il canto dell’alleluia ha annunciato le nozze dell’Agnello e queste
comportano un banchetto a cui gli uomini sono invitati. La parabola
evangelica degli invitati al banchetto (cf Mt 22,2-14; Lc 14,16-24) è
forse all’origine di questo macarismo (vedi anche Lc 14,15) ed evoca
drammaticamente il rifiuto dei primi invitati (Israele) e l’allargamento
dell’invito a tutte le genti (la Chiesa): la comunità liturgica deve,
quindi, essere riconoscente per questo beneficio e guardarsi bene dal
rifiutare l’invito. Ancora una volta la prospettiva teologica è quella
dell’incontro personale con Dio attraverso Gesù Cristo: i simboli delle
nozze e del banchetto sottolineano proprio la dimensione della nuova
comunione offerta in dono (cf 3,20). «Beati e santi coloro che
prendono parte alla prima risurrezione: su di loro non ha potere la
seconda morte, ma saranno sacerdoti di Dio e del Cristo e regneranno
con lui per mille anni» (20,6). La quinta beatitudine, affine alla
seconda, è riservata alle vittime della persecuzione a motivo della
fede, definiti in aggiunta «santi» (cf Dn 7,27): la loro situazione li
mette al sicuro dal fallimento totale che, con formula diffusa nella
letteratura targumica, Giovanni chiama «morte seconda». Ma tale
situazione non è esclusiva di questo gruppo di eletti, è solo una
anticipazione: infatti, la stessa promessa di evitare la morte seconda
è stata rivolta alla chiesa di Smirne (cf 2,11) e di costoro si dice che
svolgono una mediazione sacerdotale in vista del regno proprio come i
cristiani (cf 1,6; 5,10). La certezza della risurrezione e della
partecipazione attiva al regno messianico è un punto teologico fermo
della comunità giovannea.
«Ecco, io vengo presto. Beato chi custodisce le parole profetiche di
questo libro» (22,7).
Nel dialogo liturgico finale, senza essere annunziato, interviene
Gesù stesso : lo si riconosce dal contenuto dell’affermazione.
Riprende, infatti, la formula del Cristo risorto rivolta alle Chiese (cf
2,16; 3,11) ed annuncia così il suo intervento «escatologico» e la sua
presenza operante nella comunità. Il Cristo, quindi, o, forse, l’angelo
interprete, pronuncia la sesta beatitudine, strettamente legata alla
prima (1,3): la lettura liturgica del testo rende beato colui che ne fa
tesoro e ne assimila il messaggio, per poterlo tradurre in scelte di
vita.
(↓ continu a)
22
«Beati coloro che lavano le loro vesti: avranno parte all’albero della
vita e potranno entrare per le porte della città» (22,14).
La settima ed ultima beatitudine, con l’immagine delle vesti
lavate, richiama la definizione dei salvati del sesto sigillo e,
conservando il riferimento al battesimo, sottolinea la continuità
esistenziale (Apocalisse 22,14: «lavano») dell’evento sacramentale
(Apocalisse 7,14: «lavarono»). Da questo dono-impegno nasce, come
beatitudine, la possibilità di mangiare dell’albero della vita (probabile
allusione all’ Eucaristia: cf 2,7) e di entrare nella nuova comunione
con Dio, simboleggiata dalla nuova città santa.
Una chiesa ad immagine della Madre di Gesù
La tradizione giovannea relativa alla Madre di Gesù è contenuta
principalmente nel Quarto Vangelo. Oltre al cenno fugace di Gv 6,42
(«Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui conosciamo il
padre e la madre. Come può dunque dire : Sono disceso dal cielo?»),
vi è soprattutto la presenza di Maria alle nozze di Cana (Gv 2,1-12) e
accanto alla croce di Gesù (Gv l9,25~27).1
In senso lato, potremmo includere anche Apocalisse 12, qualora
si ammetta (come riconoscono molti autori) che il libro dell’Apocalisse
abbia visto la luce in una comunità sensibilmente influenzata dalla
catechesi giovannea.
A rigore, tra i versetti mariani del Quarto Vangelo dovremmo
includere anche Gv 1,13 letto al singolare. Questo tipo di lezione è
pili antica di quella al plurale, ed anche la più diffusa nell’antichità
cristiana. Interpretato così, questo versetto del prologo giovanneo
attesta la concezione verginale di Cristo, «...il quale non da sangue
[lett. né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio è stato
generato».
(↓ continu a)
23
Conclusione del ventiduesimo capitolo
Il fiume di acqua viva che sgorga dal trono di Dio e dell’Agnello e
l’albero della vita (22,1-2)
Fine delle maledizioni e visione del volto di Dio da parte dei suoi
servi (vv. 3-5).
La Gerusalemme Nuova
22,6-21 : Epilogo
Giovanni non deve sigillare le parole profetiche che ha scritto
perché il tempo è vicino (vv.6-11).
Geù annunzia che verrà presto, e lo Spirito e la sposa implorano :
«Vieni» (vv.12-17).
Minacciati da Giovanni i flagelli di Dio contro chi aggiunga o
sottragga qualcosa al libro (vv.18-19).
A Gesù che assicura : «Sì, verrò presto» la sposa ripete : «Vieni,
Signore Gesù» (v.20).
Auguri finale (v.21).
Giunti al termine della lettura del nostro libro, ci dovrebbe
apparire chiaro che l’Apocalisse è un libro dalle molte fisionomie.
Non dimentichiamoci che è una «rivelazione profetica», che
dischiude alla comunità credente il senso profondo (e nascosto) delle
cose che accadono.
L’Apocalisse è anche una «lettera di ammonizione», che invita la
Chiesa (ovvero ciascuno di noi) a rimanere fedele alla propria
tradizione, a stare salda di fronte alle difficoltà e a rifiutare
energicamente le trattative o le minacce del mondo!
E’ la proclamazione di una notizia consolante, ma anche
impegnativa, esattamente come il Vangelo di Gesù di Nazareth.
Il messaggio dell’Apocalisse è un messaggio di consolazione (vedi
Apocalisse 14,6) rivolto ad ogni uomo di buona volontà ma
contemporaneamente è anche un avvertimento!
La notizia consolante è la certezza che la Parola del Signore è
vittoriosa e che i martiri sono i veri protagonisti della storia di tutti i
tempi.
24
Tutte le idolatrie e i falsi miti che l’uomo ostinatamente va
costruendo sono (ancora oggi come ieri) causa di contraddizioni,
oppressioni, guerre. Ma tutte queste sono destinate a crollare e
frantumarsi, perché il mondo rinnovato e purificato è già pronto, al
sicuro nelle mani del Signore.
Da qui, l’avvertimento impegnativo, è il pressante invito ad
abbandonare – subito – la città idolatra, le sue illusioni, il suo lusso
sfacciato, la sua prepotenza.
Infine,
“assemblea”
ringiovanisce
comprendere
conseguenze.
l’Apocalisse è un «libro liturgico», da leggere in
radunata per l’ascolto e la preghiera, perché così
la propria speranza, e trova luce per illuminare e
i fatti che accadono e il coraggio per assumerne le
(↓ continu a)
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*** Avvertenze ***
Le schede che andranno in pubblicazione sono frutto del “lavoro di
sintesi” di pregevole «capitale letterario» che la Chiesa ci ha offerto nel
corso della storia, affascinanti riso rse di autorevoli «maestri» di sacra
scrittura, teologia dogmatica e teologia morale.
Per coloro i quali desiderano invece intraprendere un «viaggio più
approfondito» all’ i nterno dell’Apocalisse, più di quanto stiamo tentando di
fare noi, umilmente (ma anche “grossolanamente”) attraverso queste
schede, suggerisco loro di studiare direttamente i testi originali estratti da:
Fonti Letterarie :
Adinolfi Marco – A pocalisse. Testo, si mboli e visioni – Ed. Piemme (2001).
Autori Vari – Apo calypsis. Percorsi nell’ Apocalisse di Giovanni – Ed.
Cittadella (2005) .
Autori Vari – Logos – Corso di Studi Biblici – Ed. Elle Di Ci (2003) .
Autori Vari – Dizio nario Teologico Enciclopedico – Ed. Piemme (2004).
Autori Vari – Apocalisse di Giovanni. Nella prova un messaggio di luce e di
speranza – Ed. G regoriana (2005) .
Autori Vari – Testi moniare la Speranza – Ed. Eta (2006) .
Bettazzi Luigi – Pregare l’Apocalisse – Ed. Piemme (2002) .
Bianchi Enzo – L’A pocalisse di Giovanni – Commento esegetico spirituale –
Ed. Qiqajon (2000).
Biguzzi Gian Carlo – I settenari nella struttura della Apocalisse. Analisi,
storia della ricerca, interpretazione – Ed. EDB (1996) .
Biguzzi Gian Carlo – L’Apocalisse e i suoi enigmi – Ed. Paideia (2004) .
Bonhomme Manuel J. – L’Apocalisse. La storia illuminata dalla Gloria di
Cristo – Ed. Cittadella (1997).
Bosio Enrico – Epistola agli ebrei – Epistole cattoliche – Apocalisse – Ed.
Claudiana (2002) .
Bruguès Jean Louis – Dizionario di Morale Cattolica – Ed. E.S.D. (1994).
Chieregatti Arrigo – Apocalisse. Lettura spi rituale – Ed. EDB (1993) .
Comastri Angelo – Apocalisse. Un libro che interpreta il presente – Ed.
Messaggero Padova (2000) .
Corsani Bruno – Introduzione al Nuovo Testamento – Vol. 2 : Epistole e
Apocalisse – Ed. Cl audiana (1998) .
Corsini Eugenio - Apocalisse di Gesù Cristo secondo Giovanni - Ed. SEI
(2002).
Corsini Eugenio - Apocalisse prima e dopo - Ed. SEI (1993
).
Croce Vittorio – Trattato sul Dio Cristiano – Ed. Elle Di Ci (2004) .
Crocetti Giuseppe – L’Apocalisse meditata e pregata – Ed. EDB (2003).
Dianich Severino – Sempre Apocalisse – Un testo biblico e le sue risonanze
storiche – Ed. Piemme (1998) .
Doglio Claudio - Il primogenito dei morti. La risurrezi one di Cristo e dei
cristiani nell'Apocalisse di Giovanni – Ed. EDB (2005) .
Feuillet Andrè – Mari a : madre del Messia, madre della Chiesa – Ed. Jaca
Book (2004).
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Forte Bruno – Apocalisse – Ed. S an Paolo (2000).
Grech Prosper e Giuseppe Segalla – Metologia per uno studio della teologia
del Nuovo Testamento – Ed. Paideia ( 1976).
Hengel Martin – La questione giovannea – Ed. Paideia (1998).
La Bibbia di Gerusalemme – Ed. EDB (1974).
La Bibbia per l a famiglia – Ed. San Paolo (1999).
Lancellotti Angelo – Apocalisse – Ed. San Paolo (2002).
Maggioni Bruno – Attraverso la Bibbia. Un cammino di iniziazione – Ed.
Cittadella (2005) .
Maggioni Bruno – La crun a e il cammello. Percorsi evangelici e umanità di
Gesù – Ed. Ancora (2006).
Maggioni Bruno – La Bibbia. Messaggio di Dio agli uomi ni – Ed. Tau (2005).
Maggioni Bruno – L’Apocalisse per una lettura profetica del tempo presente
– Ed. Cittadella (2003).
Mollat Donatien – L’Apocalisse. Una l ettura per oggi – Ed. Borla (1985).
Mollat Donatien – Giovanni. Maestro spirituale – Ed. Bo rla (1980) .
Perego Giacomo (e altri) – Password Bibbia Giovane – Lettere e Apocalisse –
Ed. San Paolo (2003).
Prèvost Jean Pierre – Apocalisse. Commento Pastorale – Ed. S an Paolo
(1997).
Prigent Pierre – Il messaggio della Apocalisse – Ed. Bo rla (1982).
Ravasi Gianfranco – Apocalisse – Ed. Piemme (2004).
Ravasi Gianfranco – Il libro dell’Apocalisse – Ciclo di conferenze – Centro
culturale San Fedele (Milano) – Ed. EDB (2001).
Sequeri Pierangelo
– Apocalisse – Ed. San Paolo (2002).
Segalla Giuseppe – Apocalisse di Giovanni – In un mondo ingiusto la
visione di un mondo giusto – Ed. San Lorenzo (2004).
Segalla Giuseppe – Panorama del Nuovo Testamento – Ed. Queriniana
(2001).
M. Serenthà – Gesù Cristo ieri, oggi e sempre – Ed. Elle Di Ci (1996) .
Spatafora Andrea - From the temple of God to God as the temple. A biblical
theological study of the temple in the book of revelation (in lingua
originale) – Ed. Po ntificia Università Gregoriana (1997) .
Vanni Ugo – L’Apocalisse. Ermeneutica, esegesi, teologia – Ed. EDB (2001).
Vanni Ugo – Divenire nello Spirito – L’Apocalisse guida di spiritualità – Ed.
Apostolato della Preghiera (2001).
Vanni Ugo - Apocalisse. Una assemblea liturgica interpreta la storia – Ed.
Queriniana (2005).
Zanella Danilo - Alle Sette chiese. Apocalisse epifania della speranza – Ed.
Paoline Editoriale Libri (2004) .
Werner G. Kummel – La Teologia del Nuovo Testamento. Gesù, Paolo,
Giovanni – Ed. Pai deia (1976).
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