1 Apocalisse 22 - Parrocchia di Formigine
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1 Apocalisse 22 - Parrocchia di Formigine
Apocalisse 22 - Vieni Signore Gesù Premessa Coloro i quali, hanno affrontato con me lo studio del libro dell’Apocalisse, si saranno accorti, a questo punto, di aver “percorso un lungo viaggio”, e talvolta travagliato! Infatti, ci siamo trovati insieme “affacciati” sul tumulto della storia umana e delle sue contraddizioni, ci siamo trovati immersi in una – atmosfera – di pace e di semplicità del Regno di Dio. E’ come se si fosse presentato davanti ai nostri occhi tutto il cammino dell’umanità! Dal passato, il presente, e proiettati verso il futuro! Introduzione al capitolo ventiduesimo Il capitolo che studieremo ora è il punto – terminale – verso cui l’umanità è incamminata! Anche in questa parte conclusiva ritroviamo generi letterari e toni apocalittici già conosciuti in precedenza : narrazione e canto liturgico, visione del futuro, quadro positivo e negativo. Soprattutto il simbolo : tre visioni (la nuova creazione, la nuova Gerusalemme, il fiume dalle acque abbondanti), che ribadiscono lo stesso concetto. Al centro, come sempre, troviamo il «trono di Dio». Infatti, è dal trono che proviene la voce che spiega il contenuto della visione. E’ dal trono di Dio che “scaturisce il fiume di acqua viva”. L’immagine del trono di Dio è importante e ricorrente, è spesso contrapposta polemicamente ai molti troni di falsi dei. C’è una profonda differenza tra il trono di Dio e il trono degli uomini, quest’ultimo innalzato ed utilizzato per dominare e piegare gli altri ai propri interessi. Ma la tesi della Apocalisse è chiara : soltanto il trono di Dio ha diritto di essere innalzato nella città dell’uomo, in quanto soltanto davanti al trono di Dio l’uomo deve inchinarsi, e soltanto a Dio è dovuta l’adorazione (l’Alfa e l’Omega, il Principio e la Fine). Se la pienezza è futura, però, la possibilità di – anticipazione – è un fatto presente! 1 [1]Mi mostrò poi un fiume d’acqua viva limpida come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell’Agnello. [2]In mezzo alla piazza della città e da una parte e dall’altra del fiume si trova un albero di vita che dà dodici raccolti e produce frutti ogni mese; le foglie dell’albero servono a guarire le nazioni. [3]E non vi sarà più maledizione. Il trono di Dio e dell’Agnello sarà in mezzo a lei e i suoi servi lo adoreranno; [4]vedranno la sua faccia e porteranno il suo nome sulla fronte. [5]Non vi sarà più notte e non avranno più bisogno di luce di lampada, né di luce di sole, perché il Signore Dio li illuminerà e regneranno nei secoli dei secoli. [6]Poi mi disse: «Queste parole sono certe e veraci. Il Signore, il Dio che ispira i profeti, ha mandato il suo angelo per mostrare ai suoi servi ciò che deve accadere tra breve. [7]Ecco, io verrò presto. Beato chi custodisce le parole profetiche di questo libro». [8]Sono io, Giovanni, che ho visto e udito queste cose. Udite e vedute che le ebbi, mi prostrai in adorazione ai piedi dell’angelo che me le aveva mostrate. [9]Ma egli mi disse: «Guardati dal farlo! Io sono un servo di Dio come te e i tuoi fratelli, i profeti, e come coloro che custodiscono le parole di questo libro. È Dio che devi adorare». [10]Poi aggiunse: «Non mettere sotto sigillo le parole profetiche di questo libro, perché il tempo è vicino. [11]Il perverso continui pure a essere perverso, l’impuro continui ad essere impuro e il giusto continui a praticare la giustizia e il santo si santifichi ancora. [12]Ecco, io verrò presto e porterò con me il mio salario, per rendere a ciascuno secondo le sue opere. [13]Io sono l’Alfa e l’Omega, il Primo e l’Ultimo, il principio e la fine. [14]Beati coloro che lavano le loro vesti: avranno parte all’albero della vita e potranno entrare per le porte nella città. [15]Fuori i cani, i fattucchieri, gli immorali, gli omicidi, gli idolàtri e chiunque ama e pratica la menzogna! 2 Epilogo Apocalisse 22 [16]Io, Gesù, ho mandato il mio angelo, per testimoniare a voi queste cose riguardo alle Chiese. Io sono la radice della stirpe di Davide, la stella radiosa del mattino». [17]Lo Spirito e la sposa dicono: «Vieni!». E chi ascolta ripeta: «Vieni!». Chi ha sete venga; chi vuole attinga gratuitamente l’acqua della vita. [18]Dichiaro a chiunque ascolta le parole profetiche di questo libro: a chi vi aggiungerà qualche cosa, Dio gli farà cadere addosso i flagelli descritti in questo libro; [19]e chi toglierà qualche parola di questo libro profetico, Dio lo priverà dell’albero della vita e della città santa, descritti in questo libro. [20]Colui [21]La che attesta queste cose dice: «Sì, verrò presto!». Amen. Vieni, Signore Gesù. grazia del Signore Gesù sia con tutti voi. Amen! “un fiume di acqua viva (22,1)” : le acque vive e vivificanti simboleggiano lo Spirito (cf. Gv 4,1; 7,37-39), Giovanni intravede qui la Trinità. “Un fiume di acqua viva” è propriamente “il fiume dell’acqua della vita”. L’immagine espressa dalla Genesi (2,9; 22,5) e rielaborata da Ezechiele (cf Ez 47,1-12) ci dice che la Gerusalemme celeste realizzerà di fatto lo stato ideale indicato come “paradiso terrestre” nella Genesi stessa. La vita divina senza più interruzione, viene assicurata mediante la partecipazione all’ “albero della vita”. L’espressione si basa su Genesi 2,9, ma ha tutto un suo valore particolare e forse allude anche all’ “albero della croce”. Si hanno adesso, nella assenza di ogni maledizione e nella pienezza della vita, i frutti completi dell’opera redentiva. “dell’Agnello (22,1) ” : il luogo del nuovo culto spirituale è ormai il Corpo del Cristo immolato e risuscitato. “In mezzo … (22,2) ” : Il veggente di Patmos descrive, ora, la Gerusalemme celeste come la dimora della vita divina. Qui sgorga un fiume da cui tutti possono bere l’acqua della vita; sul suo argine fiorisce l’albero del frutto che dà la vita. Dio e l’Agnello prendono il posto del tempio in quanto essi sono ora l’unica fonte (Gen. 2, 10-14; Sal. 46,4; Ger. 2,13 Ez. 47, 1-12; Gioele 3,18; Zc. 14,8). “un albero di vita (22,2)” : poiché questa visione è essenzialmente ispirata da Ez. 47,7.12, la parola “xjlon” = “albero” dovrebbe essere interpretata al singolare. Anziché un solo albero della vita, come in Gen. 2,9; 3,22 la città escatologica contiene molti alberi che offrono la pienezza della vita (12 tipi di frutto, 12 volte l’anno; infatti il numero 12 indica pienezza), e tutti i suoi cittadini possono coglierne liberamente i frutti. 3 “Le foglie dell’albero servono a guarire le nazioni (22,2)” : coloro che faranno parte di questo nuovo mondo non conosceranno sofferenza, malattia, o morte (21,4). “E non vi sarà più maledizione … (22,3)” : i versetti 3 e 5 devono essere inseriti dopo 21,4 (cf. introduzione). Questi versetti sono al futuro, sicura promessa del regno e della visione senza fine (cf 1°Cor 13,12; 1°Gv 3,2) dei servi di Dio e dell’Agnello. Vedi anche Zc. 14,11. Nessuna cosa sarà occasione di peccato (Deut. 7,26); nessuno incorrerà nell’ira di Dio a motivo del peccato. “Il trono di Dio (22,3)” : è il centro della divina presenza, che sostituisce ora il tempio; segue pertanto immediatamente un servizio liturgico per dare un’idea dell’intima comunione con Dio e con Cristo di cui goderanno i santi. “Vedranno la sua faccia (22,4) ” : un privilegio negato a Mosè (Es. 33,20.23), perché inaccessibile in questo mondo (Gv. 1,18). Eppure le persone pie aspiravano alla visione di Dio, perlomeno nel tempio in cui egli dimorava (Sal. 17,15; 42,2). Tale aspirazione sarà realizzata nell’èra escatologica (Mt. 5,8, 1 Cor. 13,12; 1 Gv. 3,2; Eb. 12,14). “e porteranno il suo nome sulla fronte (22,4) ” : ora essi gli appartengono in maniera definitiva (3,12; 7,2 ss.). Il regno dei santi sarà eterno (Dan. 7,18.27) come eterna sarà la condanna degli empi (20,10). “Non avranno più bisogno di luce di … (22,5)” : è il Risorto che irradia la sua luce su tutte le nazioni riunite (22,5, Gv. 8,12; 2 Cor. 4,6). “Poi mi disse … (22,6)” : tutto il seguito appare come “epilogo”. E’ una specie di “conversazione” fra l’angelo (o Gesù) e il veggente di Patmos, commento alle visioni riportate alle visioni riportate nel libro e all’uso che bisogna farne. La maggior parte delle espressioni si trova disseminata nel libro. La finale è nettamente attribuita a Gesù. Ancora : cf. l’angelo di 21,9.15; 22,1 parla ancora una volta. Questo angelo è probabilmente lo stesso menzionato in 1,1. “il Dio che ispira i profeti (22,6)” : lo Spirito di Dio parla attraverso i profeti elevando le loro facoltà naturali. Giovanni associa costantemente se stesso all’intero gruppo dei profeti cristiani (10,7; 22,9), senza mai isolarli dal resto della comunità (11,18; 16,6, 18,20.24). “Queste parole sono certe e veraci dell’intero libro, non solamente i vv. 3-5. (22,6)” : è il contenuto “… mi prostrai in adorazione ai piedi dell’angelo (22,8)” : Dio è presentato nell’apocalittica come un essere talmente trascendente che 4 è impossibile accedere a lui direttamente! E’ attraverso gli angeli che egli si rivela agli uomini e riceve il loro omaggio e la loro adorazione. Tuttavia questa insistenza sul potere mediatore degli angeli potrebbe facilmente aver originato equivoci. “Non mettere sotto sigillo (22,10)” : le parole di Giovanni si avvereranno presto, devono quindi essere proclamate alle Chiese. Diversamente da Dan. 8,26; 12,4.9 (cfr. Ap. 10,4), non c’è qui alcuna attesa di una qualche èra futura in cui il messaggio possa essere reso noto. “Il perverso ... l’impuro ... (22,11)” : Ez. 3,27. Tale invito a perseverare sia nel male che nel bene può essere spiegato dal fatto che il giudizio è ormai imminente; negli ultimi giorni non esiste più alcuna opportunità di pentimento (Mt. 25,10; Lc. 13,25). Ogni uomo deve ora accettare le conseguenze di una decisione liberamente presa, e la dannazione non sarà altro che la retribuzione del ripetuto e definitivo rifiuto degli inviti di Dio. Ancora : qualunque sia la condotta dell’uomo, il piano divino si compirà! “Ecco, io verrò presto (22,12)” : la voce di Cristo annuncia che la sua venuta in qualità di giudice supremo è imminente (2,16; 3,11; 22,12.20). “Beati coloro che lavano le loro vesti (22,14)” : il perdono per il peccato e la purificazione del cuore sono donati con abbondanza dal sangue dell’Agnello, attraverso la partecipazione alla sua morte. “ … all’«albero della vita» … (22,14)”: Allusione a Genesi 2,9 e agli inizi della storia della salvezza, che giunge al suo pieno compimento nella Gerusalemme nuova e celeste. «Lavare le vesti» è un simbolo battesimale. Nel versetto 15 è presentato l’elenco delle cinque specie principali di peccatori. “… nella città (22,14)” : Gerusalemme (descritta in 21,9s). “Fuori i cani ... (22,15)” : gli increduli non sono ammessi al banchetto del Signore e solo i fedeli possono ricevere il corpo e il sangue di Cristo, similmente i peccatori e gli empi saranno esclusi dai benefici della salvezza. Saranno tenuti fuori dalla Gerusalemme celeste, i “cani”: questa parola, con le sue forti connotazioni d’impurità, è spesso applicata ai pagani (Deut. 23,19; Mt. 7,6; 15,26; 2 Pt. 2,22). “ … i cani (22,15)”: con questo termine si indicano i “depravati” (vedi Filippesi 3,2). Ancora : I «cani» sono gli infedeli (vedi 21,8). “Io, Gesù ... (22,16)” : Cristo stesso si fa garante degli oracoli contenuti nel libro e rievoca due profezie messianiche che gli stesso portò a compimento. 5 “ cose riguardo le chiese alla chiese. (22,16)” : riguardo alle chiese o in mezzo “Io sono la radice della stirpe di Davide (22,16)” : Gesù riassume e porta al massimo sviluppo le promesse divine dell’Antico Testamento, incentrate su Davide e sulla sua dinastia. Egli è la «stella radiosa del mattino»!. Con questa espressione poetica si designa Cristo presente nei cuori dei cristiani (cf 2°Piet 2,19) : infonde loro la speranza che li mette in contatto col futuro escatologico. Cf. : Is. 11,1 ss.; Mt. 1,1 ss.; Rom. 1,3, 2 Tim. 2,8; egli non è solo il figlio di Davide, ma suo Signore (Mt. 22,42 ss.). In Cristo, Re dei re, tutte le speranze sono realizzate. “la stella radiosa del mattino … (22,16)” : tra gli antichi era un simbolo di dominazione (2,28). Questo brano è probabilmente inteso come un’allusione a Num. 24,17 che il tardo giudaismo interpretò come una profezia messianica. Cristo, la stella del mattino, è il Re dei re, e ha il controllo dell’universo. “Lo Spirito e la sposa … (22,17)” : è lo Spirito Santo che anima la preghiera invocatrice dell’assemblea – la sposa – e la fa sua!. Ancora: si riferisce ai “profeti” e ai “santi” (16,6; 18,24); è dunque la Chiesa che risponde alla chiamata di Cristo. Ancora : lo Spirito presente nella Chiesa, sposa del Cristo (21,2.9-10), le ispira questo richiamo che corrisponde al messaggio del libro. “E chi ascolta ripeta : … (22,17)” : la preghiera dell’intera Chiesa (la sposa) è il dovere personale di ciascun cristiano presente nell’assemblea liturgica. “Vieni! (22,17)” : questa supplica si rivolge al Signore Gesù (v 20): è il «Maranà tha» che si ripeteva durante le riunioni liturgiche (1°Cor 16,22) per esprimere l’attesa impaziente della parusia (vedi 1°Ts 5,1). “Chi ha sete venga (22,17)” : Cristo ci chiede non solo di accoglierlo quando viene, ma di accostarsi attivamente a lui (Gv. 6,35; 7,37). “Dichiaro a chiunque … (22,18)” : schema molto antico per proteggere uno scritto sacro da ogni falsificazione (Dt 4,2; 13,1; Pr 30,6). “e chi toglierà qualche parola … (22,19)” : Gesù stesso enuncia l’avvertimento - ispirato a Deut. 4,2 – contro il falsificatore cosciente. “Sì, verrò presto! (22,20)” : è la promessa solenne, conclusiva da parte di Gesù all’invocazione dell’assemblea liturgica. Per la terza volta nell’epilogo Gesù annuncia che ritornerà presto. E’ un tema principale del libro, e rappresenta una conclusione particolarmente adatta all’intera Bibbia. La storia della salvezza, tema centrale della 6 Scrittura, deve essere portata a compimento dal ritorno trionfale di Cristo. “Vieni, Signore Gesù (22,20)” : tramite la sua fede e la sua speranza, il cristiano testimonia di avere il suo ruolo nella storia della salvezza. Tre sono le parole ricorrenti nell’intero libro dell’Apocalisse : ascolto conversione - testimonianza profetica. Non c’è conversione senza ascolto, come non c’è testimonianza senza conversione. Ancora : vedi 1°Corinzi 16,22 e nota. “ Amen. Vieni, Signore Gesù. (22,20)” : è l’invocazione con cui si conclude l’Apocalisse! Questa invocazione sembra richiamare quella aramaica: Maranà tha, “Signore, vieni!”, assai frequente nelle prime comunità cristiane, che così esprimevano la loro speranza nella venuta definitiva del Signore Gesù (vedi 1°Corinzi 16,22). Ancora : Gesù conferma che la venuta è prossima (vv 7,12 e già 1,3.7, ecc.). L’Amen di questi (Rm 1,25) esprime il desiderio e la fede gioiosa. Ancora : la chiesa, sposa, esprime la sua aspirazione all’incontro con Cristo. Tale incontro, che già si realizza nell’Eucaristia, rimane il desiderio costante della chiesa-sposa. Avrà luogo, in tutta la sua pienezza, nella fase escatologica. “ … sia con tutti voi. (22.21)” : altre traduzioni leggono : “con tutti i santi”. “Amen ! (22,21)” : L’Apocalisse e la Bibbia intera si chiudono con una parola di completa sottomissione alla sua volontà. “Amen”. 7 Approfondimenti 1. L’albero della vita La lettera alla chiesa di Efeso si chiude così : «Al vincitore darò da mangiare dell’albero della vita, che sta nel paradiso di Dio» (2,7). Altre tre volte, nell’ultimo capitolo, è menzionato l’albero della vita. Esso fruttifica straordinariamente nella piazza della nuova Gerusalemme dove si trova sulle due rive, verosimilmente, del fiume che sgorga dal trono divino (Apocalisse 22,2). A coloro che «avranno parte dell’albero della vita» è riservata la settima e ultima beatitudine (Apocalisse 22,14). Ma Dio priverà «dell’albero della vita» chi toglie qualcosa dalle parole dell’ Apocalisse (Apocalisse 22,19). In Genesi 2,9 il Signore Dio fa spuntare l’albero dal suolo «in mezzo al giardino». E dopo il peccato, per mezzo dei Cherubini e della fiamma della spada folgorante, provvede a sbarrarne la strada all’uomo perché non «ne mangi e viva sempre» (3,22). Nei tempi messianici Dio non farà più sbarrare l’accesso dell’albero della vita come dopo il peccato di Adamo. Ammetterà nel paradiso i santi e offrirà loro i frutti dell’albero. Anche alla luce dei testi giudaici è chiaro che al vincitore di Apocalisse 2,6 è promesso il ricupero di quello che Adamo aveva perduto, il dono dell’immortalità. Un’immortalità che, come ogni altra realtà dei tempi messianici, è ben superiore a quella dei tempi primordiali. Un’immortalità inoltre, di cui il cristiano vive già oggi pregustandone la beatitudine piena di domani. (↓ continu a) 8 2. L’acqua della vita Con «l’acqua di vita o della vita» si passa dai castighi ai doni divini. «Non avranno più sete» gli eletti (7,16) perché l’Agnello li guiderà «alle sorgenti di acqua di vita» (v. 17). «A colui che ha sete» promette Dio nella novità dei cieli e della terra «darò gratuitamente acqua della fonte della vita» (Apocalisse 21,6). «Un fiume di acqua viva, limpida come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell’Agnello» (Apocalisse 22,1) è quanto un angelo mostra nella nuova Gerusalemme al veggente di Patmos. Che in una delle ultime battute dell’Apocalisse rivolge l’invito: «Chi ha sete, venga; chi vuole, attinga gratuitamente l’acqua della vita» (22,17). Si tratta, in questi passi, dell’acqua viva che scorre direttamente dalla sorgente, sorgente che ha origine — secondo 22,1 — dal trono di Dio e dell’Agnello. E’ acqua viva opposta all’acqua morta, stagnante delle paludi; è acqua più pregiata di quella raccolta nelle cisterne. Chi è ammesso a bere quest’acqua viva e vivificante, non soffre più la sete. E gode in pienezza la vita divina. Ormai non c’è più dubbio che nell’Apocalisse (da noi fin qui studiata) i cibi e le bevande sono generalmente tratteggiati a “tinte fosche”. Il grano, l’orzo e il vino scarseggiano. Gli alberi e le verdure sono seccati per un terzo. Muore la terza parte dei pesci. Si mangia carn e di animali immolati agli idoli. Anche la carne umana è divorata; dagli uccelli rapaci quella dei re e del loro esercito; quella della prostituta è consumata dagli uomini in un autentico cannibalismo! Si beve sangue umano: quello dei martiri ubriaca la prostituta. L’acqua potabile, infine, o è mutata in sangue, o scarseggia perché l’Eufrate è prosciugato e un terzo dei fiumi e le sorgenti diventano tossiche e amare. Ma non è sempre così! Una luce solare piove su altri cibi e bevande, sulla manna, sull’albero della vita e sull’acqua della vita. 9 Allora, perché questi contrasti di colore? Nella Bibbia l’approvazione e la riprovazione divina della condotta umana si manifestano anche nelle realtà concrete degli alimenti. Essi vengono donati a profusione o, al contrario, vengono negati in parte o del tutto. Esemplare il dittico (*) benedizione-maledizione di Deuteronomio 28,1.2.15 : «Se tu obbedirai fedelmente alla voce del Signore tuo Dio ... verranno su di te e ti raggiungeranno tutte queste benedizioni ... “Ma se non obbedirai alla voce del Signore tuo Dio, ... verranno su di te e ti raggiungeranno tutte queste maledizioni». L’Apocalisse è sulla stessa lunghezza d’onda quando delinea, da una parte, la beatitudine del popolo di Dio vincitore in Cristo, e dall’altra la sorte tragica degli «abitanti della terra» che si oppongono a Dio e al suo Cristo. (*) Il dittico (dal greco D is- "due" + ptychē "p ieg a") era una tavole tta f ormata d i due assicelle riunite a libro da un lato, con un a cerniera o un legaccio d i cuoio, usata dai Roman i per scrivervi, con lo stilo, sulle due f acce in terne spal mate di cera co me in un taccuino. Ve ne erano di piccolissimi che stav ano nel pugno (pug ill ares). Furono d apprima in legno se mplice, poi d'avorio artistic amen te in tagliato sulle f accie esterne. Il Dittico Consolare, per lo più in avor io od osso, costitu ito d a due tavole con iscriz ioni, decoraz ioni e immag in i, era usato, d al III secolo per celebrare l'elezioni de i consol i i qu ali usav ano regal arne agli amic i in occas ione della no min a. D al medioevo in poi il ter mine dittico è invece attr ibu ito a dip inti su tavola o tela (polittic i) costitu iti d a due parti unite con una cerniera, che in genere potevano aprirsi e chiudersi. 10 Approfondimenti (2) 1. La mappa della città di Dio Il «cielo luminoso dell’Ascensione» ci permette di aprire l’ultima, stupenda pagina di quel libro biblico così emozionante che è l’Apocalisse. Dopo un lungo e drammatico pellegrinaggio nei campi oscuri e insanguinati della storia, ove sembrano imperare la «bestialità » del male e la volgarità della Prostituta, ubriaca del sangue delle vittime, segni del demoniaco che intride la vicenda umana, ora si apre il sipario sul vero approdo a cui tutti siamo chiamati. È una città luminosa, la «Gerusalemme nuova», la città di Dio e dei giusti, cantata nei capitoli 21-22 dell’opera. Come diceva uno studioso, E.A. Hamman, è come se Giovanni qui presentasse la sua «sinfonia del Nuovo Mondo». Sorge l’aurora del giorno sperato e atteso quando si era nella notte della paura e dell’oppressione, in cui imperversavano appunto il drago, la Bestia, la Prostituta e la città imperiale terrena, Babilonia, che forse per l’autore dell’Apocalisse era Roma col suo impero. Il DioEmmanuele diventa cittadino della nuova Gerusalemme, con una sua «tenda» accanto alle case degli uomini. Egli passerà per le strade cancellando le lacrime che rigano i volti dei sofferenti. Dalla città saranno espulsi – oltre ai peccatori, elencati in un catalogo ideale di otto vizi (21,8) – anche quei lugubri abitanti delle nostre città terrene che portano i nomi di Morte, Lutto, Lamento, Fatica (21,3-4). Della Gerusalemme della speranza viene anche dipinto un affresco o, se si vuole, disegnata una mappa. È interessante notare che l’antica iconografia cristiana raffigurava questa pianta urbana non solo come un grande quadrato, come suggerisce il libro dell’Apocalisse, ma anche come un rombo e poi come un’eclisse, quasi a addolcire la forma in quelle di un grembo materno fecondo e sereno. Giovanni usa numeri colossali, tutti ritmati sul numero perfetto, il 12, che è anche quello delle tribù d’Israele ma pure degli apostoli, così da intrecciare il vero Israele fedele con la Chiesa (21,15-17). Ai numeri grandiosi si associa la preziosità delle pietre : tutte le gemme sono raccolte, sempre nel numero simbolico di 12, per rappresentare la gloria di questa città il cui «fulgore è simile a quello di una pietra preziosissima, come pietra di diaspro cristallino» (21,11; vedi 21,1821). Ma, in finale, ecco una sorpresa: «Non vidi in essa alcun tempio: il Signore Dio Onnipotente e l’Agnello sono il suo tempio » (21,22). (↓ continu a) 11 Facile, però, è comprendere questa assenza: tra Dio e uomo non ci sarà più bisogno della mediazione di un tempio e di un sacerdozio. L’incontro del Signore sarà diretto e assoluto, cadranno le distanze e si aprirà l’intimità. Si attuerà allora in pienezza l’annunzio di san Paolo secondo cui noi «siamo il tempio di Dio e lo Spirito di Dio abita in noi» (1Corinzi 3,16). Spariranno anche il sole e la luna (21,23-26). La stessa gloria luminosa di Dio s’irradierà in noi, trasfigurandoci, proprio come aveva cantato Isaia lanciando lo sguardo verso l’orizzonte delineato ora dall’Apocalisse : «Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla su di te ... Il Signore sarà per te luce eterna, il tuo Dio sarà il tuo splendore» (60,1-19), [Da vedere : La Gerus ale mme celeste - Min iatura f rancese, XIII secolo, T olosa - Bibliotec a munic ip ale]. Al centro del cerchio iscritto in un rettangolo sta Dio assiso in maestà, che domina il mondo con la Croce e l’Agnello. Ai quattro lati del cerchio compaiono i simboli dei quattro evangelisti. Come narra Giovanni nell’Apocalisse (Ap 21,12-14), intorno a questo centro ideale si snodano le mura di Gerusalemme, con tre porte su ciascun lato: a oriente, a occidente, a settentrione e a mezzogiorno. Ogni porta poi è custodita dai dodici rappresentanti delle dodici tribù d’Israele. Le mura della città poggiano infine su dodici basamenti, che sono gli apostoli che Cristo stesso si è scelto per edificare la sua Chiesa. (↓ continu a) 12 Appunti di «Teologia Apocalittica» (*) (*) Bibliograf ia generale, vedi in particolare : Rich ard Bauck am – La T eologia della Apocal isse – Collan a Letture Bibliche n.12 – Edizion i P aideia - 1994 La struttura simbolica dell’Apocalisse rende complessa ed ardua la sua interpretazione: è praticamente impossibile esaurire il significato delle varie immagini e determinare con precisione il loro messaggio teologico. Se, a livello generale, la celebrazione del mistero pasquale di Cristo e la riflessione sul senso della storia possono considerarsi punti chiari e sicuri, lo stesso non può dirsi per moltissimi particolari dell’opera. E’ quindi rischioso costruire una sintesi di teologia dell’Apocalisse, basata sull’ipotetica interpretazione di alcune immagini; mentre è via più sicura far emergere dal testo quei frammenti di teologia, costituiti dalle esplicite formule di fede presenti nell’ opera. Tentiamo, dunque, di comprendere il messaggio teologico dell’Apocalisse analizzando tali frammenti di teologia: i titoli attribuiti a Dio e al suo Cristo, gli inni liturgici inseriti nella struttura simbolica e le sette beatitudini. I titoli divini e cristologici Una formula tipica dell’Apocalisse è quella che presenta Dio come «Colui che è e che era e che viene» (1,4.8; 4,8) oppure «Colui che è e che era» (11,17; 16,5). Tale modo di indicare il nome di Dio deriv a dalla formula antica «Io sono colui che sono» (Es 3,14) ed era comunemente specificata in tre tempi nella tradizione liturgica giudaica, secondo la testimonianza del Targum Palestinese; ma nell’Apocalisse è degno di nota il fatto che il terzo elemento non sia al futuro e nemmeno caratterizzato dal verbo “essere”: Dio non solo esiste da sempre, ma soprattutto è colui che interviene attivamente e attualmente nella storia. Inoltre Dio è detto «l’alfa e l’omega» (1,8): con l’immagine della prima e dell’ultima lettera dell’alfabeto greco il Signore Dio si presenta come Colui che determina l’inizio, lo sviluppo e la conclusione di ogni storia; lo stesso afferma il titolo «Pantokràtor», l’Onnipotente, che ricorre frequentemente nei testi lirici (1,8; 4,8; 11,17; 15,3; 16,7.14, 18,8; 19,6.15; 21,22; 22,5.6). A partire dalla grande visione del trono, Dio viene comunemente evocato come «Colui che siede sul trono» (4,2.3.9.10; 5,1.7.13; 6,16; 7,10.15; 11,16; 19.4; 20,11; 21.5) significando con questa immagine il reale controllo esercitato da Dio sul cosmo e sulla storia; egli, inoltre, «vive nei secoli dei secoli» (4,9.10; 10,6; 15,7), non è limitato dal tempo, anzi ne è il signore, e, con il linguaggio dell’Antico Testamento, viene detto «santo» (4,8; 6,10) e «giusto» (16,5). 13 Alla sobrietà dei titoli divini si contrappone l’abbondante varietà delle formule che presentano e descrivono Gesù Cristo. Nel saluto iniziale (l,5a) egli è presentato come «testimone degno di fede» : cioè rivelatore credibile del mistero divino. Lo stesso titolo è ripreso in 3,14 con l’aggiunta dell’aggettivo «veritiero» : il compito di «testimone» è qualificato come «degno di fede, accreditato» (nei confronti di Dio) e come «rivelatore» (nei confronti dell’umanità); «primogenito dei morti» (cf Col 1,18; 1 Cor 15,20), in quanto ha condiviso la sorte mortale degli uomini ed ha dato origine alla nuova generazione dei viventi; «principe dei re della terra». cioè sovrano dominatore di tutte le potenze che continuano ad operare nel mondo e nella storia. Al saluto e all’augurio pronunciati dal lettore risponde l’assemblea con una dossologia in onore del Cristo (1 ,5b-6). Egli viene celebrato e ringraziato per tre motivi, espressi da tre verbi. I l primo («ci ama») è al presente e sottolinea lo stato abituale di relazione amorosa che lega il Cristo alla sua Chiesa; gli altri due verbi, invece, evocano l’evento storico fondatore ditale relazione con un probabile riferimento al battesimo, inteso come reale partecipazione alla morte e alla nuova vita di Gesù : «ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue» : l’aspetto negativo è presentato come scioglimento dai legami dei peccati per mezzo del sacrificio stesso di Cristo; «ha fatto di noi un regno, sacerdoti per Dio e Padre suo» : l’aspetto positivo è indicato come effettiva partecipazione dei cristiani alla regalità e alla mediazione sacerdotale del Signore risorto. Questo terzo elemento è particolarmente significativo. L’espressione, derivata da Es 19,6, ricorre in forma simile in altri due passi dell’Apocalisse (5,10; 20,6) e con essa l’autore esprime una innovativa visione teologica. La comunità cristiana, liberata dal Cristo, si sente un “regno”, sente cioè di appartenere totalmente al Padre di Gesù Cristo e di condividere con lui la funzione sacerdotale di mediazione e di salvezza: tutti i cristiani sono sacerdoti e condividono una responsabilità attiva, collaborano col Cristo per fare della storia il Regno di Dio. Nell’ apparizione iniziale il personaggio misterioso si presenta con cinque espressioni che lo qualificano come il “risorto” e lo identificano con Gesù Cristo (1,17-18) : «il Primo e l’Ultimo» : titolo attribuito a Dio, Creatore e Signore del cosmo e della storia (cf Is 44,6; 48,12), corrispondente a «Alfa e Omega» detto del Signore Dio (1,8): Gesù Cristo ha gli stessi attributi di YHWH; «il Vivente»: espressione cara alla teologia giovannea con cui si afferma che il Logos-Figlio ha la vita in se stesso indipendentemente dalla creazione (cf Gv 1,4; 5,26); il titolo deriva dalla formula vetero-testamentaria «il Dio vivente»; 14 «divenni morto»: è la sintesi del mistero di incarnazione con cui il Cristo ha partecipato storicamente alla morte dell’umanità; «sono vivente per i secoli dei secoli»: l’affermazione della risurrezione è sottolineata, per contrasto, dal verbo essere al presente con il participio che riprende «il vivente» : al momento storico della morte viene contrapposta l’eternità della vita e di Cristo viene detto ciò che altrove è detto del Padre; «ho le chiavi della morte e dell’Ade»: non solo è vivo, ma è signore della vita, giacché è il padrone chi ha le chiavi; con un’immagine corrente nel Giudaismo viene presentato il Cristo dominatore del «mondo sotterraneo dei morti» (in ebraico: Sheol). Nelle sette lettere, poi, il Cristo risorto si auto-presenta ogni volta riprendendo le stesse formule ed immagini della visione introduttiva e arricchendole con altre : «Figlio di Dio» (2,1 8b): questo titolo cristologico, così comune nel resto del Nuovo Testamento, compare solo questa volta nell’Apocalisse; «Io sono colui che scruta gli affetti e i pensieri degli uomini e darò a ciascuno secondo le proprie opere» (2,23): la formula deriva da un’espressione di Geremia (11,20; 17,10; vedi anche Sal 62,13), con cui il profeta presentava il Dio di Israele; l’attribuzione al Cristo comunica implicitamente la fede nella sua divinità; «il Santo» (3,7): è l’attributo stesso di Dio e nell’A.T. ne indica la trascendenza; «il Veritiero» (3,7) : è, invece, aggettivo tipicamente giovanneo ed esprime il compito rivelatore del Cristo; «Colui che ha la chiave di Davide» (3,7): l’immagine riprende un famoso oracolo di Isaia (cf Is 22,22) ed ha la funzione di evocare il potere assoluto ed universale del re messianico; «l’Amen» (3,14) :l’uso di questa formula ebraica applicata al Messia è assolutamente originale (forse dipendente da Is 65,16) e, sottolineando la caratteristica di stabilità, presenta Gesù Cristo come il fondamento ed il compimento (cf 2 Cor 1,19-20); 15 «il principio della creazione di Dio» (3,14) : è un titolo particolarmente importante e teologico; si avvicina alle formule di un inno cristologico (cf Col 1,15.18), certamente descrive il Cristo risorto come l’inizio dell’azione creatrice di Dio, il principio della novità, dei cieli nuovi e della terra nuova annunciati da Is 65,17. Nel corpo del libro compaiono esplicitamente solo pochi titoli cristologici. Il cavaliere sul cavallo bianco, descritto con particolari che lo fanno identificare con il Cristo, viene presentato come «il Logos di Dio» (19,13), ovvero la Parola di Dio: il riferimento al prologo di Giovanni (Gv 1,1.14) è inevitabile, per cui questa figura è chiaramente indicata come “il rivelatore”; ma un altro riferimento importante, che offre una colorazione pasquale alla scena, può essere 1’immagine apocalittica con cui il libro della Sapienza evoca l’intervento di Dio nella Pasqua dell’Esodo (cf Sap 18,14-16). Lo stesso cavaliere porta scritto come nome: «re dei re e signore dei signori» (19,16); un titolo analogo «signore dei signori e re dei re» (17,14), sinonimo di grande autorità universale, è attribuito anche all’Agnello nel contesto della lotta contro le corna della bestia. Nell’epilogo finale di tipo liturgico riprende la parola Gesù stesso, per riaffermare l’origine divina di questa rivelazione, la sua destinazione all’assemblea liturgica e il suo interesse alla comunità cristiana (22,16); una nuova auto-presentazione spiega il valore della testimonianza profetica, offerta da Giovanni al gruppo d’ascolto, la quale si fonda proprio sulle qualità di Gesù («la radice e la stirpe di Davide, la stella radiosa del mattino»), punto di incontro e realizzazione dell’Antico e del Nuovo Testamento: egli viene prima di Davide (radice), ne continua l’opera (stirpe) ed inaugura il giorno nuovo della Pasqua (stella del mattino: cf 2,28; Nm 24,17). Gli inni liturgici Gli interventi lirici nel corso dell’Apocalisse sono particolarmente significativi, perché riportano con buona probabilità frammenti di testi liturgici effettivamente adoperati nella comunità giovannea e testimoniano quindi in modo esplicito la fede di quella chiesa. Nella visione iniziale del trono e dell’Agnello compaiono alcuni brani lirici, ma due hanno un rilievo speciale, perché evidenziano chiaramente il tema teologico: hanno entrambi la forma innica del riconoscimento di dignità e mettono in evidenza i motivi fondanti di questo valore. Il primo è indirizzato a «Colui che siede sul trono», cioè al Dio della rivelazione vetero-testamentaria : 16 «Tu sei degno... perché tu hai creato tutte le cose, per la tua volontà furono create e sussistono» (4,11); il secondo è rivolto all’ Agnello, cioè a Gesù Cristo portatore della rivelazione neotestamentaria: «Tu sei degno ... perché sei stato immolato e hai riscattato per Dio con il tuo sangue uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione e li hai costituiti per il nostro Dio un regno e sacerdoti e regneranno sopra la terra» (5,9). L’opera della creazione tende alla salvezza e l’evento della redenzione è il vertice del piano di Dio: la grande scena simbolica mostra come, di fronte all’umanità incapace e impotente, si presenti il Cristo risorto, l’unico capace, colui che può aprire il libro del mistero, perché ha accolto perfettamente il piano di Dio fino ad essere ucciso; la sua “capacità” viene offerta a tutti gli uomini senza alcuna distinzione, in modo tale che li abilita a collaborare all’instaurazione del Regno con una mediazione tipicamente sacerdotale. L’insieme di questa visione fondamentale dice che l’interesse teologico dell’Apocalisse è concentrato sulla creazione e sulla redenzione considerate in stretta relazione, come strettamente uniti dalla lode liturgica sono Dio Padre e Gesù Cristo : «La salvezza appartiene all’Agnello» (7,10; cf 5,13). al nostro Dio seduto sul trono e Gli altri interventi lirici nel corso del libro mettono in particolare evidenza l’instaurazione del regno di Dio attraverso l’opera del Cristo: in questi casi le formule sono molto vicine alle corrispondenti espressioni usate comunemente nel resto del Nuovo Testamento. Al suono della settima tromba si compie il «mistero di Dio» (cf 10,7) e tale compimento è espresso da un canto : «Il regno del mondo è diventato del nostro Signore e del suo Cristo e regnerà per i secoli dei secoli» (11,16). Viene così celebrata la realizzazione della signoria di Dio e del suo Cristo sul mondo intero e l’inizio di un regno che non avrà più termine, come aveva annunciato Gabriele a Maria (cf Lc 1,33) e come i Padri della Chiesa hanno riportato nel simbolo di fede. (↓ continu a) 17 Il versetto finale del cantico del mare (Es 15,18) era divenuto formula tecnica nel linguaggio apocalittico per indicare la nuova situazione che si sarebbe realizzata con l’intervento decisivo di Dio (cf Dn 2,44; 7,14.27; Zc 14,9) e la tradizione cristiana ha visto nella risurrezione del Cristo l’inaugurazione del Regno : il Risorto è intronizzato alla destra del Padre (cf Mc 16,19; Eb 1,3), «deve regnare finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi» (1 Cor 15,25) e con lui «regnano» i redenti (cf 5,10). Giovanni, in modo particolare, celebra la Croce di Cristo come il momento solenne della intronizzazione del Re definitivo (cf Gv 12,3 132; 18,38; 19,2-3.13-14) e l’ultima parola del Cristo in croce è proprio l’annuncio del compimento (cf Gv 19,30); l’Apocalisse canta, a sua volta, l’inizio glorioso di questo regno e il compimento del mistero di Dio. Nello stesso contesto, intervengono nella celebrazione i 24 anziani ed intonano un inno di ringraziamento rivolto direttamente a Dio ed esprime chiaramente il motivo della lode : «perché hai messo mano alla tua grande potenza e hai instaurato il tuo regno» (11,17). Con pochi tratti essenziali vengono poi evocate le fasi dell’evento escatologico: la corruzione del mondo è solo evocata con la citazione del salmo 2, v. 1 (testo adoperato anche negli Atti per spiegare l’uccisione di Gesù: cf At 4,25-28); l’intervento di Dio è espresso con una formula sintetica e classica nell’apocalittica («venne l’ira»: cf 6,17; Mt 3,7; Rm 1,18; 1 Ts 1,10; Dn 8,19; 11,36); tale intervento, qualificato come il momento opportuno e decisivo, è il vertice della storia ed è segnato dal giudizio. Nel Vangelo di Giovanni il mistero pasquale di Cristo coincide con il giudizio di questo mondo, che comporta due opposte conseguenze: l’eliminazione del potere satanico ed il dono dello Spirito (cf Gv 12,3 1-32). Tale schema apocalittico del giudizio come separazione fra buoni e cattivi è sintetizzato nel finale del canto: «giudicare i morti» significa «dare la ricompensa» ai servi di Dio e «distruggere» quelli che rovinano la terra. Il quadro narrativo della cacciata di satana dal cielo (12,7-13) si interrompe bruscamente, per lasciare spazio ad un altro intermezzo lirico, che rispecchia probabilmente un inno liturgico cristiano in uso nella comunità giovannea per celebrare il trionfo pasquale di Cristo e la sconfitta del «principe di questo mondo» (cf Gv 12,31). (↓ continu a) 18 L’evocazione della primordiale caduta degli angeli ribelli viene così commentata con il canto cristiano della sconfitta definitiva di satana : «Ora si è compiuta la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo» (12,10). Il poema liturgico inizia con un deciso avverbio di tempo («adesso») per celebrare la realizzazione del regno di Dio e l’intronizzazione del Cristo risorto che significa la rovina di satana, l’accusatore. Satana viene evocato in 12,10 con un termine unico nel Nuovo Testamento : ”accusatore”. Questa immagine deriva da alcune scene bibliche (cf Gb 1,6-12;2,1-7; Zc 3,1-2) e dalla mentalità apocalittica che considera le potenze angeliche strettamente coinvolte nella conduzione delle vicende terrene (cf Dn 10,13.20). Per mezzo del sangue dell’Agnello, infatti, cioè grazie al mistero pasquale del Cristo morto e risorto, i fedeli hanno avuto ragione dell’avversario demoniaco con la parola e con i fatti, grazie all’imitazione dell’atteggiamento che fu di Gesù, cioè la totale fiducia in Dio fino alla morte. Coloro che dimorano in cielo possono gioire pienamente di questa vittoria, ma per gli abitanti della terra l’influenza demoniaca può recare ancora danni : con immagine mitica, questi danni sono attribuiti alla rabbia dello sconfitto e alla sua consapevolezza di aver poco tempo (12,11-12). In altre parole, l’inno sembra riconoscere che anche dopo la Pasqua di Cristo il male è rimasto nel mondo, seppur definitivamente sconfitto alla radice: per raggiungere la vittoria piena, ai fedeli della terra è chiesto il coraggio della testimonianza. L’inno dei vincitori sul mare di cristallo (15.3-4) è il canto del nuovo esodo che, con molte espressioni bibliche, celebra Dio «Re delle genti» non tanto per l’opera della creazione, quanto per i suoi interventi storici; l’insistenza cade sulle «genti», cioè i non-israeliti, e la gioia del canto consiste proprio in questa certezza : «i tuoi giusti giudizi si sono manifestati», cioè è stata rivelata la volontà divina di salvare tutta l’umanità e la comunità è certa che questo progetto si realizzerà. L’ultimo intermezzo lirico compare prima della scena del Cavaliere-Logos di Dio ed è il grande inno dell’«alleluia» (19,1-8), derivato dall’uso liturgico giudaico secondo l’adattamento teologico della comunità cristiana. (↓ continu a) 19 La prima strofa (vv. 1-2) riconosce a Dio una presenza (gloria) potente (forza) e operante per il bene (salvezza): i suoi interventi nella storia (giudizi) rivelano il suo volto (veri) e ristabiliscono l’ordine (giusti). La rovina della prostituta è il segno di questo intervento salvifico. La seconda strofa (v. 3) ripete l’alleluia e, con l’immagine delle macerie fumanti, celebra l’intervento divino come definitivo. Nella terza strofa, quella centrale (v. 4), la ripresa del gesto di prostrazione e adorazione ha l’intento strutturale di collegare questo inno agli altri canti e di evidenziare l’unicità del mistero celebrato: nel centro della composizione, all’acclamazione di lode viene premessa un’ altra formula ebraica («amen») per indicare che, solo l’accoglienza piena e fiduciosa del progetto divino fa sgorgare il canto di lode. La quarta strofa (v. 5) traduce la parola ebraica con «lodate il nostro Dio» e rivolge questo invito a tutti i timorati di Dio con una formula che era già comparsa nell’inno della settima tromba, dove si celebrava il giudizio e la salvezza. La quinta strofa (vv. 6-8a), infine, corrisponde, in modo inclusivo, alla prima : ma, in opposizione alla rovina della prostituta, viene evidenziato l’aspetto positivo della preparazione della sposa per le nozze con l’Agnello. Il canto dell’alleluia è giustificato da due cause : l’inaugurazione del regno messianico («Ha preso possesso del suo regno il Signore», 19,6) e la celebrazione delle nozze fra l’Agnello e la «sua donna»: l’intervento escatologico dell’Agnello divino, infatti, distrugge il mondo corrotto e trasforma l’umanità (la «donna» : da prostituta a sposa), rendendola capace di una autentica comunione con Dio (le nozze). Le sette beatitudini Alcune formule di macarismo, forse non casualmente in numero di sette, compaiono disseminate nel corso dell’Apocalisse; manifestano chiaramente il pensiero dell’autore e rivelano, anche se solo per allusioni ed accenni, un ricco messaggio teologico. «Beato chi legge e beati coloro che ascoltano le parole di questa profezia e mettono in pratica le cose che vi sono scritte. Perché il tempo è vicino» (1,3). (↓ continu a) 20 Inserita fra il titolo e l’inizio epistolare, di carattere tipicamente liturgico, questa prima formula definisce l’opera come «la profezia» e celebra la felicità che nasce dalla sua proclamazione comunitaria e dalla perseverante custodia del suo messaggio, giacché il momento buono, l’occasione decisiva è a portata di mano. L’ ambiente liturgico originario è fondamentale ed indispensabile anche per tutti i futuri lettori, perché l’opera venga compresa ed arrechi un beneficio. «Beati fin d’ora i morti che muoiono nel Signore. Sì, dice lo Spirito, riposeranno dalle loro fatiche, perché le loro opere li seguono» (14,13). Un’ esplicita comunicazione divina ordina a Giovanni di mettere per iscritto una nuova beatitudine: l’attenzione cade sull’ inciso «fin d’ora» e sembra riferirsi ai santi dell’antica alleanza, vittime di forze anti-divine come Babilonia ed Antioco Epifane (cf Dn 12,1-3; 2 Mac 7,9-14.23-36). L’intervento rafforzativo dello Spirito garantisce per questi fedeli il riposo dopo la persecuzione ed il premio della loro costanza : in sottofondo emerge la fede “apocalittica” nella risurrezione dei giusti e l’annuncio di questa realtà connessa con il mistero pasquale di Cristo. «Ecco, io vengo come un ladro. Beato chi è vigilante e conserva le sue vesti per non andar nudo e lasciar vedere le sue vergogne» (16,15). Il Cristo risorto, presente e operante nella sua Chiesa, prende improvvisamente la parola e, con l’immagine della “venuta”, riporta l’attenzione alle lettere iniziali e prepara l’insistenza dei finale; sembra così che questo versetto voglia indicare il centro ideale della rivelazione, proprio perché incuneato nella serie delle coppe, simbolo della morte di Cristo. L’immagine del ladro che giunge inatteso risale a Gesù stesso (cf Mt 24,43-44; Lc 12,39-40) ed è diffusa nella predicazione cristiana (cf i Ts 5,2.4; 2 Pt 3,10). Nell’Apocalisse stessa è già stata adoperata; ciò che nella lettera a Sardi era detto come esortazione (3,3), ora assume la forma di una beatitudine e sottolinea il grande tema della vigilanza cristiana. L’immagine dei vestiti ricorda da vicino l’esortazione rivolta alla tiepida chiesa di Laodicea (3,18) ed allude alla partecipazione, reale e continuata, al mistero salvifico del Cristo, da cui è stata superata la nudità e la vergogna dell’uomo peccatore (cf Gn 3,7-10) : il dono battesimale della vita nuova simboleggiato dalle vesti (cf 7,14) produce e richiede un comportamento di conseguenza. (↓ continu a) 21 «Beati gli invitati al banchetto delle nozze dell’ Agnello» (19,9). Il canto dell’alleluia ha annunciato le nozze dell’Agnello e queste comportano un banchetto a cui gli uomini sono invitati. La parabola evangelica degli invitati al banchetto (cf Mt 22,2-14; Lc 14,16-24) è forse all’origine di questo macarismo (vedi anche Lc 14,15) ed evoca drammaticamente il rifiuto dei primi invitati (Israele) e l’allargamento dell’invito a tutte le genti (la Chiesa): la comunità liturgica deve, quindi, essere riconoscente per questo beneficio e guardarsi bene dal rifiutare l’invito. Ancora una volta la prospettiva teologica è quella dell’incontro personale con Dio attraverso Gesù Cristo: i simboli delle nozze e del banchetto sottolineano proprio la dimensione della nuova comunione offerta in dono (cf 3,20). «Beati e santi coloro che prendono parte alla prima risurrezione: su di loro non ha potere la seconda morte, ma saranno sacerdoti di Dio e del Cristo e regneranno con lui per mille anni» (20,6). La quinta beatitudine, affine alla seconda, è riservata alle vittime della persecuzione a motivo della fede, definiti in aggiunta «santi» (cf Dn 7,27): la loro situazione li mette al sicuro dal fallimento totale che, con formula diffusa nella letteratura targumica, Giovanni chiama «morte seconda». Ma tale situazione non è esclusiva di questo gruppo di eletti, è solo una anticipazione: infatti, la stessa promessa di evitare la morte seconda è stata rivolta alla chiesa di Smirne (cf 2,11) e di costoro si dice che svolgono una mediazione sacerdotale in vista del regno proprio come i cristiani (cf 1,6; 5,10). La certezza della risurrezione e della partecipazione attiva al regno messianico è un punto teologico fermo della comunità giovannea. «Ecco, io vengo presto. Beato chi custodisce le parole profetiche di questo libro» (22,7). Nel dialogo liturgico finale, senza essere annunziato, interviene Gesù stesso : lo si riconosce dal contenuto dell’affermazione. Riprende, infatti, la formula del Cristo risorto rivolta alle Chiese (cf 2,16; 3,11) ed annuncia così il suo intervento «escatologico» e la sua presenza operante nella comunità. Il Cristo, quindi, o, forse, l’angelo interprete, pronuncia la sesta beatitudine, strettamente legata alla prima (1,3): la lettura liturgica del testo rende beato colui che ne fa tesoro e ne assimila il messaggio, per poterlo tradurre in scelte di vita. (↓ continu a) 22 «Beati coloro che lavano le loro vesti: avranno parte all’albero della vita e potranno entrare per le porte della città» (22,14). La settima ed ultima beatitudine, con l’immagine delle vesti lavate, richiama la definizione dei salvati del sesto sigillo e, conservando il riferimento al battesimo, sottolinea la continuità esistenziale (Apocalisse 22,14: «lavano») dell’evento sacramentale (Apocalisse 7,14: «lavarono»). Da questo dono-impegno nasce, come beatitudine, la possibilità di mangiare dell’albero della vita (probabile allusione all’ Eucaristia: cf 2,7) e di entrare nella nuova comunione con Dio, simboleggiata dalla nuova città santa. Una chiesa ad immagine della Madre di Gesù La tradizione giovannea relativa alla Madre di Gesù è contenuta principalmente nel Quarto Vangelo. Oltre al cenno fugace di Gv 6,42 («Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui conosciamo il padre e la madre. Come può dunque dire : Sono disceso dal cielo?»), vi è soprattutto la presenza di Maria alle nozze di Cana (Gv 2,1-12) e accanto alla croce di Gesù (Gv l9,25~27).1 In senso lato, potremmo includere anche Apocalisse 12, qualora si ammetta (come riconoscono molti autori) che il libro dell’Apocalisse abbia visto la luce in una comunità sensibilmente influenzata dalla catechesi giovannea. A rigore, tra i versetti mariani del Quarto Vangelo dovremmo includere anche Gv 1,13 letto al singolare. Questo tipo di lezione è pili antica di quella al plurale, ed anche la più diffusa nell’antichità cristiana. Interpretato così, questo versetto del prologo giovanneo attesta la concezione verginale di Cristo, «...il quale non da sangue [lett. né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio è stato generato». (↓ continu a) 23 Conclusione del ventiduesimo capitolo Il fiume di acqua viva che sgorga dal trono di Dio e dell’Agnello e l’albero della vita (22,1-2) Fine delle maledizioni e visione del volto di Dio da parte dei suoi servi (vv. 3-5). La Gerusalemme Nuova 22,6-21 : Epilogo Giovanni non deve sigillare le parole profetiche che ha scritto perché il tempo è vicino (vv.6-11). Geù annunzia che verrà presto, e lo Spirito e la sposa implorano : «Vieni» (vv.12-17). Minacciati da Giovanni i flagelli di Dio contro chi aggiunga o sottragga qualcosa al libro (vv.18-19). A Gesù che assicura : «Sì, verrò presto» la sposa ripete : «Vieni, Signore Gesù» (v.20). Auguri finale (v.21). Giunti al termine della lettura del nostro libro, ci dovrebbe apparire chiaro che l’Apocalisse è un libro dalle molte fisionomie. Non dimentichiamoci che è una «rivelazione profetica», che dischiude alla comunità credente il senso profondo (e nascosto) delle cose che accadono. L’Apocalisse è anche una «lettera di ammonizione», che invita la Chiesa (ovvero ciascuno di noi) a rimanere fedele alla propria tradizione, a stare salda di fronte alle difficoltà e a rifiutare energicamente le trattative o le minacce del mondo! E’ la proclamazione di una notizia consolante, ma anche impegnativa, esattamente come il Vangelo di Gesù di Nazareth. Il messaggio dell’Apocalisse è un messaggio di consolazione (vedi Apocalisse 14,6) rivolto ad ogni uomo di buona volontà ma contemporaneamente è anche un avvertimento! La notizia consolante è la certezza che la Parola del Signore è vittoriosa e che i martiri sono i veri protagonisti della storia di tutti i tempi. 24 Tutte le idolatrie e i falsi miti che l’uomo ostinatamente va costruendo sono (ancora oggi come ieri) causa di contraddizioni, oppressioni, guerre. Ma tutte queste sono destinate a crollare e frantumarsi, perché il mondo rinnovato e purificato è già pronto, al sicuro nelle mani del Signore. Da qui, l’avvertimento impegnativo, è il pressante invito ad abbandonare – subito – la città idolatra, le sue illusioni, il suo lusso sfacciato, la sua prepotenza. Infine, “assemblea” ringiovanisce comprendere conseguenze. l’Apocalisse è un «libro liturgico», da leggere in radunata per l’ascolto e la preghiera, perché così la propria speranza, e trova luce per illuminare e i fatti che accadono e il coraggio per assumerne le (↓ continu a) 25 *** Avvertenze *** Le schede che andranno in pubblicazione sono frutto del “lavoro di sintesi” di pregevole «capitale letterario» che la Chiesa ci ha offerto nel corso della storia, affascinanti riso rse di autorevoli «maestri» di sacra scrittura, teologia dogmatica e teologia morale. Per coloro i quali desiderano invece intraprendere un «viaggio più approfondito» all’ i nterno dell’Apocalisse, più di quanto stiamo tentando di fare noi, umilmente (ma anche “grossolanamente”) attraverso queste schede, suggerisco loro di studiare direttamente i testi originali estratti da: Fonti Letterarie : Adinolfi Marco – A pocalisse. Testo, si mboli e visioni – Ed. Piemme (2001). Autori Vari – Apo calypsis. Percorsi nell’ Apocalisse di Giovanni – Ed. Cittadella (2005) . Autori Vari – Logos – Corso di Studi Biblici – Ed. Elle Di Ci (2003) . Autori Vari – Dizio nario Teologico Enciclopedico – Ed. Piemme (2004). Autori Vari – Apocalisse di Giovanni. Nella prova un messaggio di luce e di speranza – Ed. G regoriana (2005) . Autori Vari – Testi moniare la Speranza – Ed. Eta (2006) . Bettazzi Luigi – Pregare l’Apocalisse – Ed. Piemme (2002) . Bianchi Enzo – L’A pocalisse di Giovanni – Commento esegetico spirituale – Ed. Qiqajon (2000). Biguzzi Gian Carlo – I settenari nella struttura della Apocalisse. Analisi, storia della ricerca, interpretazione – Ed. EDB (1996) . Biguzzi Gian Carlo – L’Apocalisse e i suoi enigmi – Ed. Paideia (2004) . Bonhomme Manuel J. – L’Apocalisse. La storia illuminata dalla Gloria di Cristo – Ed. Cittadella (1997). Bosio Enrico – Epistola agli ebrei – Epistole cattoliche – Apocalisse – Ed. Claudiana (2002) . Bruguès Jean Louis – Dizionario di Morale Cattolica – Ed. 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