Etichettatura prodotti tessili 2012
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Etichettatura prodotti tessili 2012
Etichettatura prodotti tessili – Quadro normativo comunitario e nazionale L’ 8 maggio 2012 è entrato in vigore il nuovo Regolamento (UE) n. 1007/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 settembre 2011 “relativo alle denominazioni delle fibre tessili e all'etichettatura e al contrassegno della composizione fibrosa dei prodotti tessili e che abroga la direttiva 73/44/CEE del Consiglio e le direttive del Parlamento europeo e del Consiglio 96/73/CE e 2008/121/CE”, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. l 272 del 18 ottobre 2011. Il nuovo regolamento, infatti, come si evince dalla stessa denominazione, abroga e si sostituisce alla precedente legislazione in materia, dettata dalle direttive 73/44/CEE, 96/73/CE e 2008/121/CE e, ai sensi dell’art. 28, dovrà essere applicato a decorrere dall’ 8 maggio 2012. Contestualmente, viene prevista una disciplina transitoria - per consentire alle imprese che operano sul mercato di adeguarsi al passaggio dal vecchio al nuovo regime - ai sensi della quale (art. 26) i prodotti tessili conformi alla richiamata previgente disciplina, immessi sul mercato prima della data sopra indicata, possono comunque continuare ad essere posti in vendita fino al 9 novembre 2014. Si riportano di seguito i punti principali del nuovo regolamento. INDICAZIONE PAESE D’ORIGINE Il testo finale del provvedimento in esame è il risultato di un compromesso tra il Consiglio e il Parlamento a seguito del quale le istituzioni comunitarie hanno deciso di non inserirvi la controversa disciplina dell’etichettatura d’origine dei prodotti tessili (il c.d. “Made in”, che prevedeva l’obbligo di indicazione del Paese d’origine). Tale compromesso è stato formalizzato dall’art. 24 (ed esplicitato anche nel considerando 26) che contiene una clausola di riesame ai sensi della quale la Commissione è tenuta a presentare, entro il 30 settembre 2013, una relazione riguardante possibili nuovi obblighi di etichettatura da introdurre a livello di Unione, al fine di fornire ai consumatori informazioni accurate, pertinenti, comprensibili e comparabili sulle caratteristiche dei prodotti tessili. La relazione sarà preceduta da una consultazione di tutte le parti interessate e, tenendo conto delle vigenti norme europee e internazionali in materia, potrà essere corredata, ove opportuno, da apposite proposte legislative. In particolare, essa dovrà fondarsi sulle seguenti questioni: a) un sistema di etichettatura di origine inteso a fornire ai consumatori informazioni accurate sul paese di origine e informazioni supplementari intese a garantire la piena tracciabilità dei prodotti tessili, tenendo conto dei risultati degli sviluppi su eventuali norme orizzontali relative al paese di origine; b) un sistema di etichettatura armonizzato riguardante la manutenzione del prodotto; c) un sistema di etichettatura uniforme su scala dell'Unione per i prodotti tessili interessati; d) l'indicazione di sostanze allergeniche; e) l'etichettatura elettronica e altre nuove tecnologie e l'uso di simboli o codici non linguistici per l'identificazione delle fibre. OGGETTO ED AMBITO D’APPLICAZIONE Il provvedimento in oggetto disciplina l’uso delle denominazioni delle fibre tessili, l’etichettatura e il contrassegno della composizione fibrosa dei prodotti tessili e, introducendo una rilevante novità, l’etichettatura o il contrassegno delle parti non tessili di origine Pag. 1 di 7 animale, nonché le norme per la determinazione della composizione fibrosa dei prodotti tessili mediante analisi quantitativa delle mischie binarie e ternarie di fibre tessili; La disciplina ivi riportata si applica ai prodotti tessili sul mercato europeo ed ai prodotti ad essi assimilati (specificamente indicati all’art. 2, paragrafo 2, come ad esempio i prodotti contenenti almeno l'80% in peso di fibre tessili). Restano invece esclusi dal campo d’applicazione del presente regolamento i prodotti tessili dati in lavorazione a lavoranti a domicilio o a imprese indipendenti che lavorano per conto terzi, o confezionati su misura da sarti operanti in qualità di lavoratori autonomi. L’art. 3 riporta una serie di definizioni mentre il successivo art. 4, riferendosi ai requisiti generali che devono possedere i prodotti tessili affinchè siano messi a disposizione sul mercato, specifica che gli stessi devono essere etichettati, contrassegnati o accompagnati da documenti commerciali conformi alle disposizioni riportate nel medesimo regolamento. DENOMINAZIONI TESSILI E CORRISPONDENTE ETICHETTE Gli articoli da 5 ad 11 contengono innanzitutto disposizioni specifiche relative alle denominazioni tessili, la cui elencazione è riportata nell’allegato I, nonchè alle procedure per la richiesta di nuove denominazioni da aggiungere a tale allegato. In quest’ultimo caso il richiedente deve allegare un fascicolo tecnico, conforme all’allegato II, che contenga determinati requisiti minimi, tra cui le “informazioni scientifiche disponibili riguardo a possibili reazioni allergiche o altri effetti negativi della nuova fibra tessile per la salute umana”. Le disposizioni successive riguardano invece i c.d. prodotti tessili puri, i prodotti di lana vergine o lana di tosa, l'etichettatura di prodotti composti da più fibre (indicati in ordine discendente in base alla percentuale), nel cui ambito viene disciplinato l'utilizzo dell’indicazione “altre fibre”, le fibre decorative e quelle ad effetto antistatico, nonché i prodotti tessili con più componenti. PRODOTTI DI ORIGINE ANIMALE Come anticipato, una dei principali aspetti innovativi introdotti dal regolamento in oggetto riguarda i Prodotti tessili contenenti parti non tessili di origine animale. A tal proposito, infatti, l’art. 12 dispone che la presenza di parti non tessili di origine animale deve essere espressamente indicata con la frase “Contiene parti non tessili di origine animale” sull'etichetta o sul contrassegno dei prodotti al momento della loro messa a disposizione sul mercato. Coerentemente con gli obblighi generali in materia di etichettatura, viene altresì specificato che l’etichettatura o il contrassegno non devono essere fuorvianti e devono essere presentati in modo che il consumatore possa facilmente comprenderli. OBBLIGHI DI ETICHETTATURA I prodotti tessili, affinchè possano essere messi a disposizione sul mercato, devono obbligatoriamente riportare un’etichetta saldamente fissata o un contrassegno che siano durevoli, facilmente leggibili, visibili e accessibili. Nei casi in cui i prodotti tessili sono forniti agli operatori economici nell’ambito della catena di fornitura o nell'ambito di aggiudicazioni pubbliche, l’etichetta o il contrassegno possono essere sostituiti o completati da documenti commerciali d'accompagnamento che, in ogni caso, devono indicare le denominazioni e le composizioni fibrose di cui alle disposizioni precedentemente richiamate. Pag. 2 di 7 Si evidenzia altresì che non sono consentite abbreviazioni ad eccezione di codici meccanografici o qualora esse siano definite secondo norme internazionali. Ai sensi dell’art. 15, l’obbligo di apporre l’etichetta conforme alla vigente legislazione e di garantire l’esattezza delle informazioni ivi riportata grava sul fabbricante o sull’importatore, se il fabbricante non è stabilito nell’Unione Europea. Per quanto concerne invece la responsabilità del distributore/venditore, questi incorre nei medesimi obblighi del fabbricante se immette sul mercato un prodotto con il proprio nome o marchio o vi apponga l’etichetta o ne modifichi il contenuto. Diversamente, il distributore/venditore è semplicemente tenuto a garantire che il prodotto rechi l’etichetta o il contrassegno in conformità alla vigente normativa. Inoltre, al momento della messa a disposizione di un prodotto tessile sul mercato, le denominazioni delle fibre tessili e le descrizioni della composizione fibrosa dei prodotti tessili devono essere “indicate nei cataloghi, nei prospetti, sugli imballaggi, sulle etichette e sui contrassegni in modo che risultino facilmente leggibili, visibili e chiare e con caratteri uniformi per quanto riguarda le dimensioni e lo stile” (art. 16). Tali informazioni devono essere chiaramente visibili per il consumatore prima dell’acquisto, anche se effettuato per via elettronica. I marchi di fabbrica o le ragioni sociali possono essere indicati immediatamente prima o dopo le descrizioni della composizione fibrosa salvo il caso in cui contengano, a titolo principale o a titolo di radice o di aggettivo, una denominazione delle fibre tessili di cui all'allegato I o una denominazione che può ingenerare confusione con essa. In quest’ultimo caso, infatti, il marchio o la ragione sociale dovranno essere obbligatoriamente indicati mentre le altre informazioni sono sempre indicate separatamente. L’etichetta o il contrassegno sono redatti nella lingua o nelle lingue ufficiali dello Stato membro sul cui territorio i prodotti tessili sono messi a disposizione del consumatore, a meno che lo Stato membro interessato disponga altrimenti (in Italia vige l’obbligo di etichettatura in lingua italiana). L’art. 17 prevede una serie di deroghe alla suddetta disciplina tra cui, in particolare, con riferimento ai prodotti tessili indicati nell’allegato V, nonché ulteriori disposizioni relative ai prodotti di cui all’allegato VI, rispetto ai quali viene prevista la possibilità di raggruppamento sotto un’etichetta globale, ed ai prodotti venduti a metraggio. Con riferimento a questi ultimi, il considerando 12 chiarisce inoltre che “i prodotti tessili soggetti unicamente all'obbligo di etichettatura globale e quelli venduti a metraggio o a taglio dovrebbero essere messi a disposizione sul mercato in modo tale da consentire al consumatore di poter effettivamente prendere conoscenza delle indicazioni apposte sull'imballaggio globale o sul rotolo”. DETERMINAZIONE DELLA COMPOSIZIONE FIBROSA L’art. 19 disciplina i metodi da seguire per la determinazione della composizione fibrosa rinviando all’apposito allegato VIII (Metodi per l’analisi quantitativa delle mischie di fibre tessili binarie e ternarie) così come modificato dal Regolamento delegato UE n. 286/2012 del 27 gennaio 2012 . Pag. 3 di 7 Viene altresì previsto che i laboratori incaricati del controllo delle mischie tessili per le quali non esiste un metodo d’analisi uniforme a livello di Unione determinano la composizione fibrosa di tali mischie indicando, nella relazione d'analisi, il risultato ottenuto, il metodo utilizzato e il grado di precisione. L’art. 20 prevede alcune soglie legali di tolleranza ai fini dell’applicazione della relativa disciplina mentre gli articoli 21 e ss. contengono disposizioni finali tra le quali quelle richiamate in materia di entrata in vigore, disciplina transitoria e clausola di riesame. QUADRO NORMATIVO NAZIONALE Ai fini di una più completa trattazione della questione, considerate altresì le segnalazioni da ultimo pervenute in merito ai controlli effettuati dagli organi competenti (in allegato, Protocollo d’intesa MISE-Unioncamere sui controlli, tra gli altri, in materia di etichettatura), si ritiene altresì opportuno sintetizzare anche alcune tra le altre principali disposizioni relative al vigente quadro normativo in materia di etichettatura dei prodotti tessili. Ad oggi, infatti, in attesa di definirne meglio il coordinamento con il regolamento da ultimo illustrato, sembrerebbero doversi ritenere ancora vigente, nella misura in cui compatibili, le disposizioni di cui al D.Lgs.n. 194/99, di attuazione della Direttiva 96/74/CE. Ai fini di un corretto adempimento degli specifici obblighi ivi prescritti, in particolare a carico dei rivenditori, occorre altresì far riferimento alle disposizioni generali in materia di etichettatura e sicurezza dei prodotti di cui, rispettivamente, agli articoli da 5 a 12 e da 102 a 113 del D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (Codice del consumo). Etichettatura Più specificamente, l’art. 5 Codice del consumo stabilisce che il contenuto essenziale degli obblighi di etichettatura è costituito dalle informazioni relative alla sicurezza, composizione e qualità dei prodotti e dei servizi. Tali informazioni devono essere fornite al consumatore in modo chiaro e comprensibile, tenuto anche conto delle modalità di conclusione del contratto o delle caratteristiche del settore (nel caso in esame quello tessile), e devono essere adeguate alla tecnica di comunicazione impiegata nonchè tali da assicurare la consapevolezza del consumatore. Il successivo art. 6 specifica quali sono le informazioni che devono essere obbligatoriamente riportate sulle confezioni o sulle etichette dei prodotti, con modalità tali da renderle chiaramente visibili e leggibili, nel momento in cui sono posti in vendita al consumatore sul territorio nazionale. Anche le etichette dei prodotti tessili, pertanto, devono obbligatoriamente riportare le indicazioni relative a: a) alla denominazione legale o merceologica del prodotto; b) al nome o ragione sociale o marchio e alla sede legale del produttore o di un importatore stabilito nell'Unione europea; c) al Paese di origine se situato fuori dell’Unione europea (obbligo mai entrato in vigore); d) all'eventuale presenza di materiali o sostanze che possono arrecare danno all’uomo, alle cose o all'ambiente; e) ai materiali impiegati ed ai metodi di lavorazione ove questi siano determinanti per la qualità o le caratteristiche merceologiche del prodotto; f) alle istruzioni, alle eventuali precauzioni e alla destinazione d'uso, ove utili ai fini di fruizione e sicurezza del prodotto. Pag. 4 di 7 Sono esclusi dai richiamati obblighi informativi (di etichettatura) i prodotti oggetto di specifiche disposizioni contenute in direttive o in altre disposizioni comunitarie e nelle relative norme nazionali di recepimento. Come già anticipato, tutte le informazioni destinate ai consumatori e agli utenti devono essere rese in lingua italiana, anche nel caso in cui siano apposte in più lingue, con caratteri di visibilità e leggibilità non inferiori a quelli usati per le altre lingue, fatta salva la possibilità di utilizzare espressioni non in lingua italiana divenute di uso comune. Appare altresì opportuno ribadire che il divieto di commercializzare sul territorio nazionale qualsiasi prodotto o confezione di prodotto che non riporti, in forme chiaramente visibili e leggibili, le indicazioni sopra richiamate, oggetto di sanzioni amministrative pecuniarie, riguarda non solo i produttori ma anche i semplici commercianti. Questi ultimi, infatti, anche nel caso in cui non siano importatori o distributori a marchio proprio (nel qual caso sono a tutti gli effetti equiparati ai produttori), sebbene non sono tenuti a garantire l’autenticità e la veridicità delle informazioni riportate nelle etichette, contrassegni, pacchi/confezioni ovvero nei documenti amministrativo/contabili e d’accompagnamento, sono comunque tenuti a verificare che i prodotti venduti siano conformi alla disciplina sull’etichettatura (relativamente alle modalità ed alle informazioni minime riportate). Sicurezza generale dei prodotti Un simile obbligo generale di diligenza professionale, anche se rispondente alla diversa ratio di garantire la sicurezza del prodotto, è altresì prescritto a carico dei rivenditori dall’art. 104 Codice del consumo ai sensi del quale “Il distributore deve agire con diligenza nell'esercizio della sua attività per contribuire a garantire l'immissione sul mercato di prodotti sicuri; in particolare è tenuto: a) a non fornire prodotti di cui conosce o avrebbe dovuto conoscere la pericolosità in base alle informazioni in suo possesso e nella sua qualità di operatore professionale; b) a partecipare al controllo di sicurezza del prodotto immesso sul mercato, trasmettendo le informazioni concernenti i rischi del prodotto al produttore e alle autorità competenti per le azioni di rispettiva competenza; c) a collaborare alle azioni intraprese di cui alla lettera b), conservando e fornendo la documentazione idonea a rintracciare l'origine dei prodotti per un periodo di dieci anni dalla data di cessione al consumatore finale. La medesima norma prevede altresì l’obbligo di informare immediatamente le amministrazioni competenti, e di collaborare con le medesime, qualora vengano a conoscenza di particolari rischi per i consumatori. In tali casi, infatti, si attiva una procedura (RAPEX) volta a tracciare la filiera del prodotto pericoloso al fine di ritirarlo dal mercato ed accertare le eventuali responsabilità. In caso di rischio grave, infatti, le informazioni da fornire comprendono almeno: a) elementi specifici che consentano una precisa identificazione del prodotto o del lotto di prodotti in questione; b) una descrizione completa del rischio presentato dai prodotti interessati; c) tutte le informazioni disponibili che consentono di rintracciare il prodotto; d) una descrizione dei provvedimenti adottati per prevenire i rischi per i consumatori. Pag. 5 di 7 Made-in Riguardo all’obbligo di indicare il Paese d’origine del prodotto, se situato fuori dall’Unione Europea, di cui all’art. 6, comma 1, lettera c), Codice del consumo sopra richiamato, si segnala, come già evidenziato, che lo stesso non è mai entrato in vigore in quanto l’art. 31-bis D.L. 273/05, convertito nella legge n. 51/06, ne rinviava l’efficacia all’entrata in vigore del decreto del Ministro delle attività produttive (oggi MISE), che, ai sensi dell’art. 10 Codice del consumo, avrebbe dovuto dare piena attuazione alle prescrizioni di cui al richiamato art. 6. Parimenti, sempre in tema di indicazione obbligatoria del Paese d’origine, la Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 30 settembre 2010 - Indirizzi interpretativi relativi all'applicazione della legge 8 aprile 2010, n. 55 (c.d. Legge Reguzzoni-Versace sul made-in), recante disposizioni concernenti la commercializzazione di prodotti tessili, della pelletteria e calzaturieri - con riferimento alla concreta applicabilità di quest’ultima normativa, sentiti i Ministeri competenti, ha confermato il precedente orientamento dell’Agenzia delle dogane ribadendo “che le nuove disposizioni sull'etichettatura dei prodotti finiti ed intermedi e sull'impiego dell'indicazione «Made in Italy» nei settori tessile, della pelletteria e calzaturiero potranno considerarsi effettivamente applicabili solo dopo l'adozione del decreto interministeriale previsto dall'art. 2 della legge in argomento”, in attesa del quale “continueranno ad applicarsi le norme del codice doganale comunitario (Reg. CEE n. 2913/92) e delle relative disposizioni di applicazione (Reg. CEE n. 2454/93)”. In definitiva, pertanto, ad oggi non sussiste alcun obbligo comunitario o nazionale di indicare il Paese d’origine di un prodotto non alimentare. Contraffazione Una trattazione a parte, in quanto afferenti ad un piano di responsabilità penale che si fonda su presupposti completamente differenti rispetto alle prescrizioni sin qui illustrate (diverse sono le fattispecie rispetto alle quali è necessario dimostrare il dolo o la colpa dell’autore del reato, di conseguenza il commerciante diligente, che sia in buona fede, non è responsabile), meritano infine le fattispecie di contraffazione di cui agli articoli art. 517 e 517-ter del Codice penale che sanzionano, rispettivamente, la vendita di prodotti industriali con segni mendaci e la Fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale. Nel primo caso, viene sanzionato penalmente “Chiunque pone in vendita o mette altrimenti in circolazione opere dell'ingegno o prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi nazionali o esteri, atti a indurre in inganno il compratore sull'origine, provenienza o qualità dell'opera o del prodotto” Nella seconda ipotesi, invece viene punito “chiunque, potendo conoscere dell’esistenza del titolo di proprietà industriale, fabbrica o adopera industrialmente oggetti o altri beni realizzati usurpando un titolo di proprietà industriale o in violazione dello stesso” nonché “chi, al fine di trarne profitto, introduce nel territorio dello Stato, detiene per la vendita, pone in vendita con offerta diretta ai consumatori o mette comunque in circolazione” i beni di cui sopra. Alla medesima ratio rispondono altresì le fattispecie previste dall’articolo 16 del D.L. 25 settembre 2009 n. 135 (che ha abrogato l’articolo 17 della Legge 99 del 23 luglio 2009) relativo ai prodotti o merci realizzati “interamente in Italia”, vale a dire quelli per i quali il disegno, la progettazione, la lavorazione ed il confezionamento avvengono esclusivamente sul territorio italiano. Con riferimento a tale specifica ipotesi, infatti, viene prevista una nuova fattispecie di reato nel caso in cui venga utilizzata una mendace indicazione di vendita che presenti il prodotto Pag. 6 di 7 come interamente realizzato in Italia (“100% made in italy”, “100% Italia”, “tutto italiano” o altra indicazione che crei nel consumatore tale convinzione). Il medesimo articolo 16, inoltre, integrando la disciplina sul Made in Italy di cui all’art. 4, commi 49-bis e 49-ter, della Legge 24 dicembre 2003, n. 350, prevede che, nei casi di fallace indicazione, debbano essere applicate sanzioni amministrative pecuniarie, da euro 10.000 a 250.000, e la confisca amministrativa dei prodotti o delle merci. A tal fine, “costituisce fallace indicazione l'uso del marchio, da parte del titolare o del licenziatario, con modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana ai sensi della normativa europea sull'origine, senza che gli stessi siano accompagnati da indicazioni precise ed evidenti sull'origine o provenienza estera o comunque sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull'effettiva origine del prodotto, ovvero senza essere accompagnati da attestazione, resa da parte del titolare o del licenziatario del marchio, circa le informazioni che, a sua cura, verranno rese in fase di commercializzazione sulla effettiva origine estera del prodotto.” E’ evidente, pertanto, come in tutti questi casi non sussista un obbligo di fornire specifiche indicazioni (tanto più in merito al luogo d’origine dei prodotti) ma, laddove si forniscano comunque informazioni ai consumatori, queste dovranno essere veritiere e non ingannevoli per i medesimi. A tal proposito, appare utile richiamare una recente sentenza della Cassazione (Sez. III, sent. n. 19746 del 09 febbraio 2010), relativa al sequestro di camicie prodotte in Serbia, trovate prive di indicazioni sul luogo di produzione ma recanti la marca di una nota casa italiana d’abbigliamento e la dicitura di “prodotto e distribuito” da società italiana. Secondo la Suprema Corte “L'omessa indicazione del luogo di fabbricazione degli oggetti prodotti all'estero su cui siano apposti marchi di aziende italiane, prevista come delitto dall'art. 4, comma 49, L. 24 dicembre 2003, n. 350 come modificato dall'art. 17, comma quarto, lett. a) L. 23 luglio 2009, n. 99, non è più prevista dalla legge come reato ma configura l'illecito amministrativo di cui all'art. 4, comma 49 bis, L. n. 350 del 2003.” Pag. 7 di 7