N. 25 - 5 Giugno 1994

Transcript

N. 25 - 5 Giugno 1994
pro manuscripto
Anno III - Numero 25
Parrocchia
S. Maria
della Visitazione
Pace del Mela
5/94 Giugno
v
IL NICODEMO
Fogli della Comunità
Quale
progetto,
quale
consenso?
di Francesco Bartuccio
gni appuntamento elettorale, provoca grandi attese
nella gente, fa sorgere
progetti nuovi e porta alla
luce desideri e bisogni nascosti.
Tanto più si parla di un nuovo modo
di far politica a tutti i livelli sia nazionale, sia locale, tanto meno si
scorge da parte del cittadino qualcosa di veramente nuovo, qualcosa che
valga la pena di attirare l’attenzione
di chi fatica nelle vicende quotidiane.
Se davvero ci guardiamo negli
occhi e se non vogliamo dire bugie
a noi stessi, dobbiamo riconoscere
che non ci fidiamo abbastanza di coloro che aspirano o sono al potere.
Eppure del cittadino, non si può
certamente dire che non ha il senso
dello Stato o che non gli importa
nulla di ciò che è politica. Semmai il
cittadino avverte che lo Stato e la
politica sono distanti dalla vita reale
delle persone e delle famiglie, è
scontento e sa perfettamente di volere uno Stato efficiente (che non lo
usi, ma lo tuteli) ed una amministrazione corretta. Deve nascere una
idea diversa della politica, dove le
persone siano rispettate sul serio,
possano esprimersi liberamente,
dove gli interessi di tutti (una giusta
porzione di cultura, di lavoro, di
casa, di tutela sociale) vengano prima di ogni preoccupazione partitica
o settoriale, dove non si faccia un
intruglio di proposte e programmi
irrealizzabili, ma cose semplici alla
portata di tutti. I discorsi pronunciati e i programmi elaborati, devono
avere un peso e non dissolversi nel
nulla. Occorre che i politici ascoltino
ciò che pensa l’uomo della strada, il
cittadino comune, il ragazzo, la
O
“Corpus Domini”
Dono stupendo ed
incomparabile.
di Don Santino Colosi
rede la Chiesa e canta, con le
parole di Tommaso
D’Aquino, nel giorno del
“Corpus Domini”:
“Questa è la festa solenne
nella quale celebriamo
la prima sacra cena.
E’ certezza a noi cristiani:
si trasforma il pane in carne,
si fa sangue il vino".
* * *
Per questa fede il popolo devoto infiora le strade del paese, orna -con un
costume tutto orientale- i balconi con le
coperte e le lenzuola più belle, si prostra in silenzio adorando il “divino eucaristico Re” che passa a visitare,
consolare, benedire, che si dà in cibo a
coloro che di Lui sono affamati.
Gioiscono oggi i fanciulli che, per la
prima volta, siedono alla mensa del
Pane della vita e diventano consapevoli
che mangiando dell’unico Pane, Cristo,
formano con tutti i battezzati l’unico
Corpo, la Chiesa.
Dono stupendo ed incomparabile:
l’Eucaristia è presenza reale del
Signore crocefisso e risorto in mezzo
al suo popolo! Egli si fa nostro compagno di strada e nutre di sé noi viandanti
verso la patria dei cieli.
Nella cena pasquale, memoriale della
liberazione
della
schiavitù
dell’Egitto e del passaggio del Mar
Rosso, Gesù stabilisce l’Alleanza nuova
e dice ai suoi apostoli, secondo
l’unanime testimonianza dei vangeli sinottici e poi di Paolo: “Questo è il mio
corpo, questo è il mio sangue, fate questo in memoria di me”.
Il pane è carne, il vino è sangue.
Gesti e parole davvero incomprensibili,
quelli del Cenacolo, ma Cristo Gesù,
dopo aver moltiplicato i pani ed i pesci
a Cafarnao, aveva rivelato: “Chi
C
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(segue da pag. 1: Quale progetto...)
donna, l’adulto, l’anziano, nel quale
risiede una saggezza semplice, risorsa fondamentale di ogni politica. I
politici dovrebbero ascoltare di più,
non solo quello che si dice sugli autobus, nelle code agli sportelli, nei
corridoi degli uffici, nelle sedi di lavoro – e già basterebbe a stupire per
le tante critiche e per la notevole saggezza – ma anche ad ascoltare di più
i bisogni morali, la sensibilità umana, la dignità del povero.
Non credo possibile nessun programma, nessuna riforma sociale se
questa non tiene in primo luogo il
punto di vista delle persone semplici,
degli “ultimi" che non devono essere
soltanto oggetto, ma anche soggetto
di progetti politici.
Chi vive in mezzo alle realtà quotidiane sa benissimo che tra i tanti vi
sono alcuni problemi che meritano di
essere trattati con la massima precedenza. E sulle cose che contano si è
disposti anche a fare sacrifici, rinunce, economie.
Se c’è dunque una specie di progetto politico nascosto nel cuore della gente, non è forse giunto il
momento di farlo esprimere e di
ascoltarlo attentamente?
L’uscita dalla crisi, è lì, nella capacità di tornare a leggere con vero
interesse nell’opinione e nelle ansie
della gente. E’ una questione di consenso, ma non si proclami dall’alto,
bensì consenso del governo e dei
partiti alle istanze dal basso. Solo chi
ascolta offre speranza perché lascia
intravedere di essere disposto a venire incontro all’altro.
r
In questo numero:
Sì a Cristo . . . . . . . . .
Famiglia aperta a Cristo . .
Famiglia e scuola . . . . .
Si è avverato un sogno . .
Ruanda . . . . . . . . . . .
Se vuoi, puoi . . . . . . . .
Socializzare il territorio . . .
Votare è un diritto-dovere .
Il Bene comune . . . . . .
Formula uno . . . . . . . .
Telenovelas . . . . . . . . .
Una gita da ricordare . . .
Appunti di moda . . . . . .
Festa del Grazie . . . . . .
Unione nella musica . . . .
Una profonda passione . .
L’Agamennone . . . . . . .
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(segue da pag. 1: ”Corpus Domini")
mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò
nell’ultimo giorno. Chi mangia la mia
carne e beve il mio sangue dimora in
me e io in lui" (Gv. 6,54.56).
Nella santa cena, la Messa, in maniera inequivocabile, noi incontriamo il
Signore della vita e come già gli occhi
dei due discepoli di Emmaus i nostri
occhi si dischiudono al riconoscimento
nel gesto dello “spezzare il pane” (Lc.
24,35).
Fedeli al comandamento del Signore
i credenti, sin dall’età apostolica, sono
assidui nella “frazione del pane” (At.
2,42).
A Tròade, l’apostolo Paolo, “il primo giorno della settimana”, spezza il
pane e ne mangia (At. 20,7-12). E così
lungo i secoli, la Chiesa si riunisce di
domenica in domenica per il banchetto
eucaristico nell’attesa dell’ultima venuta del Signore.
Lo svolgimento della celebrazione
eucaristica domenicale è rimasto sostanzialmente invariato fino ai nostri
giorni rispetto a quello testimoniatoci
dagli albori della cristianità, tra gli altri, dal martire Giustino.
La mensa è pronta: “Gustate e vedete quanto è buono il Signore”!
“O figlio di Dio, fammi oggi partecipe
del tuo mistico convito. Non svelerò il
Mistero ai tuoi nemici, e neppure ti darò
il bacio di Giuda. Ma, come il ladrone, io
ti dico: ricordati di me, Signore, quando
sarai nel tuo regno”
r
(Liturgia di S. Giovanni Crisostomo).
Ai fanciulli di prima comunione.
Ringraziate il Signore perchè è buono: per voi e per noi, oggi ha
preparato il banchetto della vita, vera mensa della fraternità.
Custodite, nel vostro cuore, il dono dell'Amore fatto cibo.
Crescete nell'amicizia con Ges·, di giorno in giorno, e camminate
con gioia con la Chiesa, per le vie del mondo.
Benedica il Signore voi e le vostre famiglie.
SI’ A CRISTO
Una Catechista
er dire sì a Cristo non basta
sentir parlare di Lui, è necessario ‘incontrarLo’ e vivere
per Lui. Il Cristo che incontriamo nella comunità non è soltanto
il Cristo che parla, ma quello che
vive, soffre, lavora, e ama i fanciulli, i
malati, i peccatori e i poveri.
E’ necessario conoscere la Parola
di Cristo, incontrarlo nel Vangelo e,
facendo viva la Sua Parola, mettersi
a seguirlo. Come l’ho incontrato e
seguito io?
E’ da circa due anni che sto facendo l’esperienza della catechista e,
da quest’anno, ai bambini che si preparano per la Prima Comunione: mi
incontro con i ragazzi una volta alla
settimana, il sabato dalle 3 alle 4 pomeridiane. Mi ricordo il primo giorno
e non solo quello... Ero molto emozionata e piena di gioia, perchè mi
trovavo insieme a ragazzi che per la
prima volta si sarebbero accostati a
ricevere il PANE DELLA VITA,
CRISTO GESU’.
P
L’esperienza di catechista non è
separata dalla mia esperienza di
mamma, poichè si tratta di un incontro nel quale offro ai ragazzi non solo
formule catechistiche, ma anche insegnamenti di vita, in quanto incontrare Gesù significa proprio cambiar
vita.
Ma come possiamo incontrare
Gesù, se non tentiamo di conoscerLo? E dove conoscerLo meglio se
non nella Comunità?
Tutti indistintamente siamo chiamati ed abbiamo un dono che ci è
stato dato nel nostro Battesimo: spetta a noi metterlo in pratica!
Io, catechistadei vostri ragazzi,
vorrei invitare voi genitori, in particolare
le
madri,
a
cogliere
quest’esperienza
per
conoscere
GESU’ VIVO E VERO insieme ai vostri figli. Mi auguro che l’incontro con
Gesu’ Eucaristia possa così diventare
una festa perenne.
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Famiglia aperta a Cristo
Con il Vescovo a Santa Lucia del Mela nell’Ascensione del Signore
di Mimmo Reitano
iorno 15 Maggio si è svolto a indicando come componenti principali ultimi, è necessario che tengano in conS. Lucia del Mela un incontro di un vero rapporto coniugale il dialo- siderazione la maturità e l’esperienza
dei genitori, aiutarli sempre con amore
tra le famiglie del nostro vica- go, l’amore e la preghiera. Bisogna
riato avente come tema “fa- dialogare, parlare con l’altro e porsi e rispetto a far mutare le loro idee, risempre nell’atteggiamento di umiltà e cambiare il loro amore ed infine prestamiglia aperta a Cristo”.
Nell’anno dedicato alla Famiglia vi mai scoraggiare chi ci ascolta né tentare re quelle attenzioni che piacciono tanto
è una grande presa di coscienza della di imporre la propria volontà. Amore, ai genitori.
Ha poi proposto le proprie riflessioni
Chiesa verso quest’ultima affinché ne donarsi all’altro, sacrificarsi per il bene
vengano rinnovati i valori e perché di- totale dell’altra persona. L’amore quan- di vita familiare, una coppia di Milazzo
venti sempre più “Chiesa domestica”. do viene ricambiato diventa amicizia che ha raccontato un po’ della propria
All’incontro, oltre all’Arcivescovo, quindi se noi amiamo Gesù siamo suoi esperienza nell’ambito della vita parsono intervenuti numerosi parroci delle amici. L’amore dev’essere disinteressa- rocchiale. La famiglia deve essere atvarie parrocchie da Gualtieri a Soccor- to e per sempre così come Cristo fa con tenta ai problemi degli altri e la
so, da Archi a Giammoro, da Olivarella noi. La preghiera, infine, serve affinché parrocchia è il luogo concreto dove la
a Pace del Mela. Nella prima parte vi è tutto questo, l’amore e il dialogo, siano famiglia può fare servizio verso gli altri
stata, da parte del nostro Parroco Padre presenti nella coppia e nella famiglia. facendosi carico dei fratelli più bisoSantino, una breve ma ricca sintesi di Nella seconda parte, Padre Trifirò, pro- gnosi. Ogni famiglia deve allargare lo
come la Chiesa guardi veramente con pone alcuni suggerimenti nel rapporto sguardo nel quartiere e nel rione per vespirito attento al problema famiglia. Ha genitori-figli: ai primi di evitare un su- dere le esigenze del vicinato. I genitori
accennato quindi alla “Familiaris Con- perato paternalismo, di considerare devono impegnarsi nel sociale oltre che
sortio”, la ormai famosa enciclica del l’autorità come servizio, dare fiducia ai nella parrocchia e questo è molto eduPapa dedicata appunto alla famiglia, per figli, essere amici dei figli; per questi cativo per i figli perché anche questi
possano inserirsi nel servizio.
finire con il “Direttorio di
Dopo questi interventi è staPastorale Familiare”, ultimo documento approvato
ta consegnata ad ogni famiPREGHIERA
dall’Assemblea Generale
glia,
da
parte
dell’Episcopato italiano atdell’Arcivescovo,
una
rosa
Noi ti lodiamo e ti benediciamo, o Padre,
traverso il quale i vescovi
con un messaggio.
dal quale proviene ogni paternità
intendono rilanciare e rinAl termine della consein cielo e in terra.
novare la pastorale famigna dell’omaggio floreale si
Fà che mediante il tuo Figlio Gesù Cristo,
liare.
è svolta la celebrazione linato da Donna per opera dello Spirito Santo,
Padre Santino, contiturgica presieduta sempre
ogni famiglia diventi un vero santuario
nuando nella sua presentadall’Arcivescovo che nella
della vita e dell’amore
zione, ci dice che la
sua omelia ha voluto ribadiper le generazioni che sempre si rinnovano.
famiglia deve continuare a
re alcuni punti di riflessione
Fà che il tuo Spirito
camminare con la Chiesa
già precedentemente trattati
orienti i pensieri e le opere dei coniugi
perché ne segua sempre i
come il dialogo continuo tra
al bene della loro famiglia
principi morali. Ha ribadii coniugi il servizio presso
e di tutte le famiglie del mondo.
to inoltre, citando passi sia
gli altri, il volontariato.
Fà che i figli trovino nella comunità domestica
dell’Antico che del Nuovo
Tutto l’incontro si è svolun
forte
sostegno
per
la
loro
crescita
Testamento, come già dai
to in un clima di amore e
umana
e
cristiana.
primordi Dio instaura un
fratellanza che ha visto parFà che l’amore,
rapporto tra l’uomo e la
tecipi numerose famiglie del
consacrato
dal
vincolo
del
matrimonio,
donna nella familiarità
nostro vicariato. Preghiamo
si dimostri più forte di ogni debolezza e di ogni crisi.
delle pareti domestiche.
quindi perché attraverso
Concedi alla tua Chiesa
Vi è stato quindi un
questo e, si spera, altri indi compiere la sua missione
piccolo intervallo canoro
contri, ogni famiglia possa
per
la
famiglia
e
con
la
famiglia
proposto da un gruppo di
sempre più prendere coin
tutte
le
nazioni
della
terra.
bambini di Archi. E’ interscienza dei propri valori e
Per
Cristo
nostro
Signore.
Amen.
venuto in seguito Padre
possa riscoprire la vocazioTrifirò che ha incentrato il
(Dal Benedizionale)
ne a cui è chiamata per essesuo intervento in due parti.
re una delle tante pietre vive
Nella prima parte ha parladell’edificio di Dio.
r
to del rapporto tra coniugi
G
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Il Nicodemo
N. 25
FAMIGLIA E SCUOLA
Il fatto educativo nelle moderne società assume sempre più i caratteri
del “processo integrato”
di Francesco Parisi (Preside)
innegabile, anche sotto il
profilo giuridico, che spetta
alla famiglia l’esercizio primario del diritto
all’educazione dei figli ed è legittimata
a chiedere l’intervento dei pubblici poteri perché gliene assicurino l’esercizio.
E’
La famiglia perciò a buon diritto viene considerata “madre dell’educazione”
ed ogni altra istituzione opera per delega, tacita o espressa, della famiglia.
Essa, cioè, è l’unico istituto “naturale”
per la formazione dell’uomo, e gruppo
“primario” della comunità sociale. La
sua funzione educativa e le sue responsabilità, nei confronti dei figli, derivano
dal fatto che l’atto della generazione
deve trovare, nel tempo, il suo naturale
compimento.
Rispetto alla tradizionale impostazione ottocentesca, si è assistito e si assiste
ad
una
progressiva
riappropriazione del diritto-dovere
all’educazione. Il recupero educativo-sociale della famiglia non cancella
ma ridimensiona il ruolo della Scuola.
La domanda che ci si pone da più
parti è se sia più giusto che sia solo la
famiglia a provvedere alla educazione
dei ragazzi od anche la Scuola.
E’ un problema mal posto. E’ pacifico che la famiglia ha il compito primario di educare i figli istruendoli. La
scuola ha il compito di istruirli, educandoli. Le due funzioni, quella della fami-
glia e quella della Scuola, si integrano,
ma non sono le stesse. In ognuna c’è
una dominante che non esclude ovviamente l’altra. Per la famiglia, la dominante è l’educazione, secondo i principi
morali, religiosi, politici, comportamentali che ogni coppia di genitori sceglie
per i propri figli.
Per la scuola, la dominante è
l’istruzione secondo i parametri che la
comunità nazionale sceglie e che si
esplicitano nei programmi di insegnamento.
Il fatto educativo nelle moderne società assume sempre più i caratteri del
“processo integrato” sia in senso spaziale (la Scuola non è l’unica sede educativa) sia nel senso che gli “esperti”
dell’insegnamento non possono rivendicare il monopolio della funzione educativa né, d’altra parte, rinunciare ad
esercitarla. Per un compiuto progetto
educativo, famiglia e Scuola devono lavorare insieme: è questo, sotto il profilo
pedagogico, il significato di “partecipazione”. Purtroppo, la famiglia, oggi, sta
attraversando una notevole crisi, soprattutto perché non valorizzata e protetta,
ma ridotta ad una sorta di perenne assistita. E’ evidente, di conseguenza, che
tale crisi si ripercuota sui figli, specialmente in età adolescenziale, in quanto
la maggioranza dei genitori, anche se si
accorgono, attraverso le manifestazioni
esterne facilmente individuabili, del
passaggio all’età della preadolescenza
dei loro figli, non colgono tuttavia le
nuove implicanze educative e la loro
complessità.
E’ soprattutto questa la fase in cui la
Scuola deve porsi il problema di come
aiutare la famiglia a mantenere e potenziare il suo ruolo, nonché di come svolgere la Sua funzione educativa, di
fronte alla quale troppo spesso la famiglia si pone in posizione passiva e di disimpegno.
In questa prospettiva, la Scuola, in
particolare la Scuola Media, si fa anche
Scuola dei genitori. D’altronde, proprio
di fronte al disorientamento di molte famiglie nel produrre un proprio progetto
educativo, incapacità o impossibilità
per i genitori, entrambi lavoratori, a seguire i figli; di fronte all’emergere a livello di massa del disagio giovanile, è
da tempo in atto un lento processo volto
ad attribuire alla Scuola una funzione
sociale ed educativa assai più ampia ed
articolata rispetto alla pura trasmissione
ed elaborazione di cultura.
La situazione socio-culturale di
oggi, il dilagante disagio giovanile nelle
sue varie forme, l’individualismo esasperato, il rampantismo spregiudicato,
l’arrivismo ed il carrierismo a tutti i costi scuotono il mondo della Scuola e
stanno producendo nuovi “bisogni”
educativi per cui quell’idea, che in genere si ha della Scuola, di un luogo in
cui si svolge una determinata attività didattica, secondo precisi ambiti disciplinari, organizzati intorno ad un curricolo
di studi che ha il suo fine nella acquisizione di un titolo finale, spinge da una
parte verso una riprogettazione in termini educativi di tutti i tempi e gli spazi
che la Scuola in quanto tale presenta al
suo interno, dall’altra a farsi carico globalmente ed in collaborazione con gli
altri soggetti “educativi” presenti sul
territorio (famiglie, servizi sociali, volontariato, oratori...) delle situazioni di
disagio manifestate dalle nuove generazioni.
Si tratta di intendere lo “scolastico”
come una complessa modulazione di
proposte formative utili a stimolare la
crescita globale, personale, di un soggetto che non solo deve “imparare” un
sapere ed un saper fare, bensì deve riuscire a reinterpretare sé stesso, i suoi sistemi di significati, i valori cui fa
riferimento poiché, come sostiene Bruner, conoscere significa prima di tutto
trovare il senso delle cose e quindi sé
stessi.
Sulla base di quanto sopra detto, è
chiaro che la Scuola non può essere
considerata soltanto come sede peculiare di istruzione e di animazione culturale ma anche di educazione, cioè di
contributo alla formazione della personalità. Non vi è predominio dell’una
(istruzione) sull’altra (educazione). In
realtà, esiste interazione fra queste due
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finalità della Scuola: non esiste cultura
che non arricchisca anche la dimensione della personalità, diversamente si
tratterebbe solo di erudizione, e non c’è
educazione che non si suffraghi anche
di valori culturali, che aprano spirito e
mente verso prospettive di ampio spazio
nell’accostarsi
alle
vicende
Il Nicodemo
dell’uomo nel bene e nel male, di
quell’esercizio di maturazione personale, prezioso supporto per quanto la vita
chiederà a ciascuno nel lavoro, nella famiglia, nell’impegno sociale. Le difese
della
libertà,
della
salute,
dell’equilibrio, della democrazia, della
felicità, intesa questa come forza che ci
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consente di affrontare coraggiosamente
difficoltà e tensioni, vanno edificate
nella mente degli uomini, come ottimamente sintetizzato in una famosa frase
dell’UNESCO “Dato che la guerra comincia nella mente degli uomini, è nella
mente degli uomini che devono essere
edificate le difese della pace”.
r
Si è avverato un sogno. Non è retorica.
di Nino Caminiti
N
ell’ultima settimana dello
scorso aprile, in Sud Africa,
per milioni di persone si è avverato un sogno lungo tutta
una vita.
Ma iniziamo abbozzando alcuni tratti di questo sogno, o meglio delle sue
origini. Ricordando date, nomi, circostanze, contraddizioni.
Come la contraddizione di un paese
del continente africano, il cosiddetto
continente “nero”, governato da e solo
da bianchi, in cui la maggioranza nera è
relegata ai margini, nelle riserve, o “ho-
meland” come vengono chiamate.
Come la successiva contraddizione di
un paese che si considera, ed è considerato, tra i più civili, pur calpestando i
diritti umani, pur basandosi su leggi
razziali: leggi sancite nel 1948 che vanno comunemente racchiuse nella parola
“apartheid - separazione”, ma di fatto la
discriminazione razziale in Sud Africa
vi è sempre stata, da quando nel 1652
arrivarono i primi colonizzatori, i boeri.
Ricordando che il 21 marzo si celebra la giornata internazionale contro la
discriminazione razziale, perché proprio
in Sud Africa, il 21 marzo 1960, una
manifestazione di un’organizzazione
anti-apartheid fu repressa nel sangue
dalla polizia sudafricana.
Ricordando Soweto-day (il giorno di
Soweto) che nel 1976 segnò l’inizio degli scontri tra la polizia e migliaia di
giovani studenti neri che protestavano
contro l’obbligo, imposto dal governo,
di studiare l’afrikaans, la lingua dei boeri. Più di 800 tra ragazze e ragazzi furono uccisi.
Ricordando Biko, maggior esponente del Movimento della consapevolezza
nera, che si ispirava all’insegnamento di
Malcom X e del Black Power dei neri
statunitensi: fu torturato e ucciso in prigione.
Ricordando l’impegno della Chiesa
e del suo pastore Desmond Tutu, a cui
fu assegnato un premio Nobel per la
pace.
Ricordando l’African National Congress, il maggiore dei movimenti anti-apartheid, fondato nel lontano 1912,
d’ispirazione nonviolenta rifacentesi
proprio all’insegnamento di Gandhi che
in Sud Africa visse a lungo. Ed i maggiori esponenti di questo movimento,
tra i quali spicca su tutti uno dei fautori
di questo sogno: Nelson Mandela.
Ed oggi il sogno si è avverato. Milioni di persone, che prima ne erano
escluse, hanno potuto esercitare uno dei
più elementari diritti: quello del voto.
Ma ancor di più, uno di loro, un nero,
Nelson Mandela, uno che ha subito, con
una carcerazione lunga quasi 28 anni, la
repressione di questo Stato, ne è ora
presidente, o meglio presidente del nuovo Stato che è oggi il Sud Africa, così
come nuova è la bandiera (c’è ancora
l’arancio dei boeri, l’azzurro degli anglofoni, ma anche l’oro, il verde ed il
nero dell’African National Congress),
come nuova sarà la Costituzione in cui
verranno abolite le oltre 1000 leggi razziali.
Testimonierà uno dei 5000 osserva-
tori che hanno garantito la “libertà di
voto”: “Vedo gente che si mette a piangere, dopo aver votato. O muove i pugni in segno di vittoria. O scoppia in
una grande risata. E’ un momento che
abbiamo aspettato per tutta la vita”.
Certo, questo sogno, per realizzarsi
ha avuto un lungo travaglio, e ancora
lungo sarà il percorso, questa volta culturale, di integrazione tra bianchi e neri.
E’ vero anche che rimane un sogno
il fatto che tutto ciò sia avvenuto per un
effettivo riconoscimento dei diritti umani, per un reale disconoscimento della
superiorità di una razza sull’altra. Molto
probabilmente, se non vi fosse stato un
intervento internazionale che avesse
sancito sanzioni economiche contro il
Sud Africa per il suo apartheid, isolandolo dal resto del mondo, provocando
una profonda crisi economica, beh, probabilmente Nelson Mandela e i suoi
compagni non sarebbero stati liberati, e
quel sogno sarebbe rimasto tale, soffocato da quegli incubi che spesso sono
stati drammatica realtà.
Vogliamo crederlo comunque: il
sangue dei martiri in Sud Africa, ma anche nel resto del mondo, versato a duro
prezzo per la sete di giustizia, già ora
inaugura un mondo nuovo!
r
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Ruanda: il dramma dell’ipocrisia
di Nino Caminiti
ean Goss, un uomo che ha partecipato alla violenza della guerra prima di diventare un apostolo della
nonviolenza, spesso diceva: “Una
ingiustizia, una guerra non arriva mai
all’improvviso. E’ il frutto, la conseguenza di molte infedeltà alla giustizia,
alla verità, all’amore. Tutto è intrinsecamente legato”.
J
per quelle immagini che turbano il nostro quieto vivere, e che piuttosto incominci la vergogna di quei paesi (quasi
tutti europei) responsabili di un più
grande delitto: la vendita delle armi.
Penso ai mercanti d’armi. Sono loro
i veri signori della guerra, e non i vari
generali, capi delle varie fazioni in lotta
tra di loro (vedi Aidid).
Penso come si possa incidere sul bilancio di uno Stato, considerato tra i più
poveri del mondo, così come si incide
con la voce armamenti.
Penso alla funzione, al peso, alla for-
za, alla potenza di una organizzazione
come la Banca mondiale. A chi la gestisce.
Penso allo strozzinaggio della stessa
verso i Paesi del Terzo mondo.
Penso all’immane debito di quei paesi.
Penso al rimedio che anni fa un incaricato dell’ONU ebbe il coraggio di
proporre per risolvere quel debito:
“l’unica soluzione è annullare il debito”. Il debito, e quindi lo strozzinaggio,
non è stato annullato.
r
Se vuoi, puoi.
La mia esperienza di “volontariato"
di Danilo Vitale
In questi giorni siamo colpiti dalle
incredibili ed apocalittiche immagini
provenienti dal Ruanda.
Mi chiedo quali siano state le ingiustizie che hanno generato quelle situazioni sfociate nella guerra e nel
dramma.
Prendo l’atlante geografico e cerco
questo paese. E’ al centro dell’Africa,
di questo enorme continente. Osservo i
confini degli Stati: sembrano tracciati
con le squadrette da disegno.
Penso a quella che è stata la colonizzazione dell’Africa in passato (per distinguerla da quella attuale, presente in
altre forme), e a ciò che essa ha prodotto. E so per certo che quelle linee di
confine sono tra le opere migliori, incluse le strade e gli edifici italiani in
Etiopia e Somalia tanto decantati, che i
colonizzatori europei hanno lasciato in
quel continente.
Ma chi ha tracciato quei confini, ponendo poi dei governi di comodo che
via via si sono per lo più sfaldati, che
discrezionalità ha usato? C’erano in
Africa già dei confini naturali, territoriali tra le varie tribù? E queste tribù,
avevano voglia, interesse ed una storia
tale da permettere loro poi di considerarsi una stessa nazione? O non avevano differenze tali che una convivenza,
imposta o meno, era improponibile?
Un quotidiano ha scritto che è ora di
finirla con l’ipocrisia della commozione
hiunque può far parte di
una associazione di volontariato, basta avere buona
volontà, disponibilità e un
pizzico di pazienza.
Quando otto mesi fa, ho sentito
dire che c’era bisogno di personale
che potesse compiere questo servizio, mi sono posto una domanda:
qual è il mio ruolo nella società?
Avendo solo 17 anni, ho pensato
che potevo rendermi utile aiutando
la gente meno fortunata di me.
Così, il giorno fissato per la riunione generale con i vari coordinatori, mi sono presentato con altri
due ragazzi; tutti eravamo pronti a
prendere parte a quello che comunemente viene chiamato “volontariato”. Dopo il necessario colloquio
sulla condotta che avremmo dovuto
tenere, ci hanno letto i vari casi che
si potevano assistere. Io e gli altri
componenti del mio gruppo eravamo concordi nella decisione: volevamo a tutti i costi aiutare un ragazzo
di 16 anni il quale presentava alcuni
lievi disturbi mentali. Finalmente è
arrivato il giorno che potevamo incontrare il nostro nuovo amico. Comunque, non nascondo che nei
giorni che hanno preceduto questa
data, io ero molto teso perché avevo timore di sbagliare e di non esse-
C
re in grado di affrontare una
situazione così delicata. Fortunatamente tutte le mie preoccupazioni si
sono spente nel momento in cui ho
salutato G., il nuovo amico.
Ma col passar del tempo, mi
sono reso conto che il ragazzo aveva qualche problema in più di quanto me ne avevano parlato i
coordinatori.
Così abbiamo chiesto alla madre
di poter parlare con il pedagogista
che lo aveva in cura. L’incontro con
lo specialista ci è servito per chiarirci le idee, ci ha messi sulla retta via
entro la quale dovevamo operare ed
insieme abbiamo concordato un
programma da svolgere con G.
1
Giugno '94
Adesso posso essere fiero del lavoro compiuto perché il ragazzo,
anche se con molta fatica, è riuscito
a sentirsi un normale elemento della
società; cosa che non gli riusciva in
precedenza.
Tramite il mio contatto settimanale con G. ho potuto apprezzare davvero la bellezza della vita e la mia
relativa fortuna. E riflettendo... il mio
compito è stato quello di tenergli
compagnia nel mio tempo libero,
credo che non ci sia niente di più facile.
All’inizio di questa mia avventura
non immaginavo neppure che potesse essermi di così grande aiuto
per capire dei valori così grandi.
Così, alla domanda se sono io a
dare qualcosa a G. o viceversa,
senza alcun dubbio rispondo che è
il mio nuovo amico a dare qualcosa
a me.
Tengo a sottolineare una cosa in
particolare: chi si accosta a questo
tipo di esperienza lo deve fare con
la massima serietà e deve capire
che l’impegno che si è assunto deve
andare ben oltre il semplice rapporto di amicizia, perché l’assistito
veda più che un amico in noi, si
confidi, parli dei suoi timori e dei
suoi sogni e, perché no, anche della
sua vita sentimentale.
Spero che questo mio piccolo
esempio possa servire da insegnamento per quelle persone che hanno voglia di rendersi utili nel sociale:
potrete constatare che si ottengono
ottime soddisfazioni con una fatica
quasi nulla.
Credetemi: sono queste le cose
che riescono a contraddistinguere
un uomo da un altro ed, al tempo
stesso, a nobilitarlo.
r
7
Il Nicodemo
SOCIALIZZARE IL
TERRITORIO
Oltre l’emarginazione, i nuovi itinerari di
autorganizzazione di impegno del volontariato
di Franca e Melino Sergi
stato il tema del convegno,
che si è svolto a Salerno dal
6 all’8 maggio ed ha visto
protagonisti gruppi, comunità di volontariato, istituzioni che si
sono confrontati su problematiche di
particolare rilevanza sociale
nell’odierno contesto del Mezzogiorno.
Scopo del suddetto convegno è stato
quello di una verifica sulle capacità dei
gruppi di rendere protagonisti i volontari al proprio interno, di sapersi autorganizzare e produrre cambiamento e
socializzazione del territorio. Le associazioni di volontariato nel Sud stanno
vivendo un momento di sviluppo, ma il
problema di un volontariato maturo non
è tanto di aumentare il numero dei volontari all’interno dei gruppi e le loro
attività, bensì quello di puntare alla
qualità dell’azione volontaria, che sia
caratterizzata da gratuità, da impegno
culturale e politico, che sia capace di
cambiare mentalità e strutture con il coinvolgimento di tutta la popolazione di
quel territorio e delle istituzioni.
Il volontariato inoltre deve superare
la fase dello spontaneismo e passare ad
una fase di organizzazione tenendo presente che volontariato non è un “insieme per” ma un “insieme con gli altri”.
La caratteristica più significativa
della organizzazione del gruppo di volontari è la relazionalità, cioè la capacità di creare crescita umana all’interno e
nel territorio rendendo protagonisti nelle varie fasi dell’intervento i soggetti a
cui il volontariato si rivolge.
La realtà economica e sociale che
oggi viviamo, crea molta emarginazione e poca solidarietà: servizi elementari
che non funzionano, evasione della scuola dell’obbligo, disoccupazione, violenza. Già molti gruppi di volontariato
hanno scelto di non fare assistenzialismo, ma di condividere e responsabilizzare famiglie, cittadini, comunità ed
istituzioni in modo da rendere tutti soggetti a cambiamenti sia nei confronti
della società civile che delle istituzioni.
E’
Si tratta di creare autentiche relazioni di
comunità, permettere a tutti di accedere
ai diritti fondamentali!!
Durante il convegno ci sono state di-
verse tavole rotonde, seguite sempre da
gruppi di studio per l’approfondimento
delle tematiche trattate. Molti interrogativi sono scaturiti alla fine dei lavori.
Fra di essi vogliamo proporne alcuni:
che tipo di rapporto esiste tra il volontariato e l’amministrazione comunale?
Sono stati mai elaborati progetti con le
istituzioni locali? Quali analisi sul bilancio comunale per capire la spesa sociale? Quali politiche sociali son
necessarie per favorire la solidarietà
umana, lo sviluppo del territorio, etc.?
La scuola, la famiglia, la parrocchia,
sono luoghi di educazione alla comunità civile, alla solidarietà ed al cambiamento o sono luoghi di educazione al
senso individualistico, egoistico e di
adattamento al presente?
A noi, quindi, il compito di mettere
in discussione le domande di intervento
sul territorio, coscienti di poter essere
protagonisti attivi e capaci. Il territorio
attende sempre risposte concrete da
ognuno di noi.
r
8
Il Nicodemo
N. 25
AMMINISTRATIVE
Votare è un diritto-dovere
di Maria Grazia Tuttocuore
l quanto mai confuso panorama
politico nazionale degli ultimi
mesi, nei quali gli Italiani sono
stati chiamati alle urne non poche volte (nel novembre scorso per un turno
di amministrative e il 27 marzo per le politiche), si affianca un’altrettanta indecisa e, sicuramente, poco convincente situazione
politica a livello locale.
Il prossimo 12 giugno, infatti, Pace del
Mela sarà chiamata a votare per il consiglio
provinciale, per il parlamento europeo, per il
rinnovo del consiglio comunale ed anche ad
eleggere per la prima volta direttamente, se-
A
Per il consiglio comunale
Lista n.1: Merulla Santi Emilio,
Brancati Michele, Pagano Pietro,
Costa Antonio, Bartolone Antonino,
Capone Giuseppe, Torrisi Angela
Antonella Giuseppa; Trifiletti Marco
Cristiano, Saja Giuseppe Santo, Miceli Angelo, Alleruzzo Giovanni,
Liggeri Lucia Salvina, Parisi Riccardo, Amendolia Giuseppe, Bertè Salvatore.
condo il nuovo sistema elettorale, il sindaco.
Se in Italia per le politiche si è vista la netta
contrapposizione tra le “due scatole vuote”,
come diceva Sartre, “di destra e sinistra”,
non possiamo, quasi certamente però,
aspettarci la medesima cosa per la campagna elettorale di un comune di circa 5500
abitanti come il nostro, dove, messe da parte ideologie partitiche, si voterà come si è
sempre fatto: prediligendo, cioè la “persona”
(forse l’amico?) alle idee e alla competenza
dei candidati. D’altronde, non per una marcata contrapposizione di programmi o idee,
come la destra e la sinistra nazionale o, meglio, come le “destre” e le “sinistre” nazionali, sembrano evidenziarsi gli schieramenti
politici presentatisi per le amministrative ‘94,
bensì per alleanze fatte e disfatte, litigi e in-
Tra i candidati a sindaco:
Lista n.1: Capilli Giuseppe, «Città
Nuova»; n.2 Calderone Natale, «Per
Pace del Mela»; n.3 Sgrò Antonino,
«Insieme per cambiare il tuo paese».
Assessori:
Lista n.1: Aragona Giuseppe, Corso
Antonino, Galvagno Antonino, Italiano
Antonino; n.2 Caminiti Giovanni, Grasso Nicola, La Rosa Francesco, Torre
Salvatore; n.3 Non Comunicati
Per il consiglio comunale
Lista n.2: Catalfamo Antonio
Franco, Bonasera Giovanni, Bongiovanni De Gaetano Maria, Calderone
Tiziana, De Gaetano Francesco, Donato Lorenzo, Ficarra Santi, Lucchesi
Claudio,
Marsala
Grillo
Gioacchina, Marsala Maria Marina,
Pirrone Antonino, Rera Ignazia, Russo Francesco, Sgrò Pietro Antonio
Tindaro, Torre Francesco.
trighi, rimescolamenti di nomi da sempre in
politica, che forse poca fiducia ispirano agli
elettori. Poi, le promesse delle tre liste vengono ascoltate con poca convinzione e con
la certezza che poco, di quello che è stato
detto, sarà, di fatto, realizzato. Si ritorna,
quindi, al discorso iniziale, in cui si parla del
voto dato alla persona e non alle idee, cosa
certamente errata, ma che, purtroppo, resta
forse la sola soluzione possibile, in quanto
dare credito ad un candidato che si conosce
e che si distingue per rettitudine ed impegno
e, si spera, non perché potrebbe fare qualche favore, è sempre meglio che supporre
vere, utopistiche promesse o bei programmi. Se si provasse, infatti, ad esaminare i
programmi delle varie amministrazioni che
si sono succedute, si può certamente notare
quanto è stato mantenuto di ciò che si proclamava dai balconi nei comizi. Così, dunque, come potrebbe essere diverso il modo
di votare degli elettori? Elettori che, purtroppo, appaiono più disorientati che convinti,
leggendo i nomi delle tre liste contendenti e
che, ascoltando la maggior parte di loro, si
sentono addirittura indignati, ma nulla può
più, ormai, questa loro inconcludente indignazione! C’era da muoversi prima e non
da parlare sottobanco, c’era da agire concretamente e personalmente, cosa che an-
Per il consiglio comunale
Lista n.3: Cavallaro Guido,
Amalfi Rita, Busacca Giuseppe,
Buta Antonino Francesco, Caminiti
Giuseppa, Cuzzupè Placido, Donato
Giuseppe, Giuffrè Illuminato, Iarrera
Loredana, Pagano Vincenzo, Pagano
Giorgianni Grazia, Parisi Giuseppe,
Scibilia Lorenzo, Sindoni Natale,
Trimboli Giovanni.
cora può essere fatta, ma no non andando
a votare... Non votare non è giusto, dobbiamo far valere ciò che, oltre ad essere un dovere, è pure un nostro diritto, il più
importante che abbiamo per farci ascoltare
come forza popolare attiva e critica contro
chi crede di poterci manovrare. Bisogna,
quindi, rendersi responsabili, prendendo, giusta o sbagliata che sia, una decisione. Il “lavarsi le mani” non implica
nessuna presa di posizione, ma delinea
da parte dei cittadini una sicura indifferenza e passività. E queste non
porteranno mai il paese, in cui viviamo
come se non fosse il nostro, a qualcosa di costruttivo e a dei veri e propri
cambiamenti, cambiamenti che, dovrebbero innanzitutto avvenire nella
mentalità della gente.
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Giugno '94
9
Il Nicodemo
IL BENE COMUNE
La politica è il progetto del bene comune e non può ridursi al semplice
tecnicismo ma ha bisogno di impregnarsi di spirito
di Carmelo Pagano
n questo particolare periodo in cui
l’argomento principale di discussione è la politica, ciascuno, più o
meno apertamente, tenta di dare il
proprio contributo ai dialoghi ed ai dibattiti che hanno come fine la
creazione di una comunità di
“valori”, governata con criteri di
giustizia ed equità.
Alla luce di questo primario
obiettivo è fondamentale sottolineare l’importanza della politica
come insieme di norme che devono
scaturire
sia
dall’esperienza sia, soprattutto,
dalle idee e dai progetti.
Il concetto basilare è che la
politica è il progetto del bene
comune e non può ridursi al
semplice tecnicismo ma ha bisogno di impregnarsi di spirito.
I
L’idea di comunità deve essere tenuta presente in ogni
azione del politico e questi deve
necessariamente spogliarsi della considerazione del potere come successo e
meta della propria ambizione. Il politico
che agisse solo per ambire, metterebbe
a nudo infatti, prima o poi, la vacuità
del proprio progetto ai fini del benessere della comunità.
A differenza di quanto sostenuto dal
Machiavelli e da Hobbes, la natura
umana non è corrotta ab origine, tuttavia, si abbandona facilmente alle brame
più varie. Il rimedio non sta solo nella
ragione ma, soprattutto, nel perseguimento di quei valori che soltanto lo spirito può dettare.
La capacità e la credibilità del soggetto politico si misurano sulla sua capacità di affrontare gli eventi con la
forza delle proprie idee e nella loro difesa dalle strumentalizzazioni materiali.
Il sistema politico che è crollato fragorosamente ha posto le basi della propria rovina quando è sceso a patti con il
puro interesse materiale. Questa miscellanea non è nata di recente nella nostra
Nazione ma si è instaurata già nei primi
anni sessanta quando sono venute a cadere quelle tensioni ideali e quel patrimonio di idee e di volontà di riscatto
tipiche della società post-bellica italiana
ed europea degli anni ‘50.
La seconda repubblica, checchè se
ne dica, non è ancora nata, almeno
come strutture istituzionali, ma già ci
preoccupa l’accentuata presenza di un
materialismo che non lascia presagire
niente di buono.
La concezione della politica come
affarismo è il “vecchio”, da tutti vituperato e ripudiato; il “nuovo” è, invece, la
riscoperta del servizio e di quegli ideali
di giustizia e di libertà validi oggi così
come in tutti i tempi.
La cultura dell’apparire, tanto cara al
Machiavelli e tanto di moda negli anni
scorsi, ha portato in trionfo l’immagine
e non il contenuto. Ciò spiega la crisi
attuale delle strutture sia politiche che
economiche. Questa cultura dovrebbe
lasciare ora il campo a quell’onestà spirituale di cui più volte abbiamo parlato.
Chi non è onesto di spirito, chi appare più che essere, chi accusa più che
proporre, anche se dotato di competenza, non merita fiducia.
L’uomo di governo, a differenza di
quanto sostenuto da Hobbes, non può
essere “legibus solutus” bensì vincolato
non soltanto alle leggi scritte ma, soprattutto, alle norme non scritte. Il bene
della collettività non può scaturire da
qualsiasi mezzo, anzi, il fine non giustifica affatto quei mezzi immorali che al-
lontanano dalla via maestra per
raggiungere la meta del bene comune.
Il famoso “contratto” di Hobbes,
mediante il quale gli uomini, accordandosi tra di loro solo per interesse o per
bisogno, danno vita alla società
politica, nega totalmente che
l’uomo è, soprattutto, spirito.
La forza e la legittimazione del
buon governo, invece, non possono derivare dal timore materiale che incutono le sue leggi
ma dal riconoscimento di queste ultime, da parte della collettività, come le più consone per
il bene generale.
La politica non è imposizione della forza ma incontro, dialogo, libertà, morale, giustizia:
in una parola è vita di spirito.
Chi propugna, invece, la netta
separazione della politica dalla
spiritualità non ha compreso
che la sola materia non porterà
al bene comune.
All’impegno ed al servizio dei soggetti politici dovranno corrispondere la
collaborazione e le proposte dei cittadini per una comunità unita ed in cammino. In quest’ottica bisognerà lottare per
instaurare la cultura del bene comune,
soprattutto fra i governati, i quali sono
più portati a premere per il riconoscimento solo del proprio “particolare”.
Qui si misura l’abilità del buon amministratore: nel non perdere di vista il bene
collettivo e nell’educare al “comune”.
La forza e la credibilità futura di coloro che verranno chiamati alla funzione di governo si sperimenterà su questi
progetti e sulla loro realizzazione.
Toccherà ai cittadini vagliare le varie proposte e dare poi fiducia a quelle
idee
che
meglio
garantiranno
“l’impegno” per il soddisfacimento del
bene comune.
Con questo obiettivo finale, quanta
più collaborazione ed unità di intenti ci
sarà fra governanti e governati, tanto
più saremmo vicini ad una forma di società civile perfetta.
r
10
Il Nicodemo
N. 25
“FORMULA UNO: GIOCO DI MORTE”
di Santina Parisi
ormula uno” è una denominazione nata alla
fine degli anni `40 per
distinguere quelle vetture monoposto di grandi prestazioni, costruite esclusivamente per le
competizioni di velocità su circuito.
Durante il 1950 nasce il Campionato Mondiale per conduttori, com-
“F
prendente inizialmente, solo sette
gare (Gran Premi), le quali non erano parte di un campionato, ma costituivano delle singole prove.
Le caratteristiche delle automobili
venivano dettate dall’Aiacr (Associazione Internazionale Automobili Riconosciute), in seguito sostituite
dall’attuale FIA (Federazione Internazionale dell’Automobile).
Fin da allora purtroppo la F1 ha
dovuto conoscere momenti terribili a
causa di gravi incidenti che hanno
costato la vita a numerosi piloti o li
hanno resi definitivamente disabili.
Una cosa strana però è che il
mondiale che stiamo seguendo sta
vivendo tanti di quegli eventi tragici
che viene spontaneo chiedersi, per
chi come me segue con passione il
mondo dei motori, se siamo spettatori di un gioco di morte. E’ ironia
della sorte quasi tutte le tragedie si
sono consumate in un unico circuito, quello di Imola svoltosi il 1° maggio. Infatti durante i tre giorni di gara
sono stati ben quattro gli incidenti
gravi: venerdì, il pilota brasiliano
Barrichello, alla variante Bassa, vola
contro le protezioni, ma fortunatamente esce dall’urto quasi illeso; sa-
bato, il pilota austriaco Roland
Ratzenberger muore dopo un impatto violentissimo alla curva Villeneuve; domenica, durante la partenza
alcuni spettatori vengono gravemente feriti da una ruota delle autovetture, successivamente anche la
Minardi di Alboreto dopo il cambio
gomme ai box perde una ruota ferendo alcuni meccanici. Già questa
lunga serie di incidenti avrebbe
dovuto interrompere la corsa, ma
purtroppo i grandi
interessi che erano in gioco non lo
hanno permesso
e la gara è continuata lasciando
che
avvenisse
un’altra mostruosità: la morte di
Ayrton Senna, sbattendo contro il
muro della curva Tamburello.
Già la morte di Ratzenberger
aveva lasciato stravolto tutto il mondo della F1, ma quella di Senna ha
toccato veramente il cuore di tutti
ma non perché era il campione ma
perché era la persona che più spesso ricadeva sotto il nostro sguardo,
per coloro che seguono questo
sport Ayrton era una figura familiare
mentre Roland era la prima volta
che lo vedevamo e se si è discusso
più di Senna anziché di Ratzenberger è stato soltanto per questo motivo, è vero che entrambi erano degli
esseri umani ma uno di loro lo conoscevamo da tanti anni ed era stato il
protagonista delle nostre speranze.
Personalmente non ero una tifosa di
Senna, non ammettevo la
sua folle corsa per ottenere
la gloria a tutti i costi, un
quotidiano ha scritto di lui
che era nato per essere il
numero uno, e lo è diventato
ma ciò gli è costato la vita.
Dopo tutto questo il dolore si
somma alla rabbia e si ripropone, sempre più drammaticamente, il problema della
sicurezza dei tracciati. Ma questa
volta non sembrano essere loro i
veri colpevoli ma piuttosto sotto accusa sono le autovetture, definite
“missili che mettono a dura prova la
capacità fisica di reazione dei piloti”.
Infatti la loro potenza è aumentata
notevolmente e nello stesso tempo
le
modifiche
aerodinamiche,
l’eliminazione dell’elettronica con le
sospensioni attive, hanno accresciuto l’instabilità delle macchine e di
conseguenza i rischi.
Nel Gran Premio successivo a
quello di Imola, svolto a Monaco,
un’altra sventura segna la gara:
Wendlinger a causa di un grave incidente entra in coma profondo e
solo in questi giorni sembra che ne
sia uscito. Ma quello che sembra
più strano è che si faccia molto
poco per cercare di ovviare a queste disgrazie. I piloti cercano di aiutarsi come meglio possono e lottano
contro quelle figure maggiori che
hanno voluto che la F1 si “mondanizzasse”.
Nel Gran Premio che si è svolto
in Spagna (dove peraltro un giovane
pilota ha subito un altro incidente)
gli stessi piloti hanno preso alcune
misure di sicurezza, facendo costruire una variante di gomme in una
curva piuttosto veloce, una sorta di
zona di rallentamento per le vetture
troppo veloci. Ma tutto questo non
basta, è ancora lontano ciò a cui i
piloti aspirano e senza dubbio davanti a loro avranno dure battaglie
da combattere ma devono cercare
di uscirne vittoriosi; solo così la morte di Ratzenberger e di Senna avrà
un motivo.r
Giugno '94
La F.1
Circo dei motori
o circo di
denaro?
di Carmelo
Ficarra
ggi il circo dei motori è offuscato da un giro di denaro che lo circonda
aumentandone lo spettacolo. Certe persone direbbero: “Ma
come lo spettacolo dovrebbe diminuire, no invece! Perché con gli
sponsor la macchina deve essere
più veloce e più competitiva ed alcune volte provoca dolorosi incidenti
sia per il pubblico che per i parenti
dei piloti.”
Le morti di Senna e Ratzenberger sono soltanto dei piccoli esempi
di quello che potrebbe succedere,
senza dimenticare Vendlinger uscito
dal coma in seguito a un banale incidente sul circuito di Montecarlo.
Sull’incidente di Ratzenberger si
è parlato poco a confronto di quello
di Senna, egli si è schiantato a 314
Km/h e tutto ciò si pensa sia dovuto
ad un pezzo di alettone staccatosi
nel rettilineo che precedeva la curva
assassina “Villeneuve - Imola”.
Il suo collega Senna si è fatto conoscere anche dalla morte e la notizia dell’accaduto ha riempito per
giorni interi i giornali di tutto il mondo e specialmente quelli italiani e
quelli brasiliani.
Si è detto fino ad oggi che la colpa è della pista, ma maggiormente
questa è dei dirigenti della F.I.A.
(Federazione Internazionale Automobilistica).
In questo articolo molto breve
non c’è molto da dire, perché voi lettori in questo momento che lo state
leggendo saprete e avete commentato tutti gli incidenti accaduti fino ad
ora.
Perciò lo scopo di questo era più
che altro far capire al pubblico il “giro
di soldi” che c’è nella F.1 e in tutti gli
sport esistenti nel mondo; io personalmente vedo questo circo dei motori molto affascinante, ma allo
stesso tempo molto pericoloso. r
O
11
Il Nicodemo
TELENOVELAS:
SCENE DA UN SOGNO
di Patrizia Donato
on so quanti di voi abbiano
fatto l’esaltante esperienza
di seguire un teleromanzo
in televisione. Francamente, data la loro ossessiva presenza sugli schermi e la pressante pubblicità
che li attornia, è difficile non rimanerne intrappolati.
La mia insegnante, al liceo, ci diceva sempre che non importa quali
programmi si seguono in televisione,
purché lo si faccia con lo spirito giusto, quello, non di semplice ascoltatore passivo, bensì di un attento
ascoltatore, critico e aperto. E sotto
Katherine Kelly Lang nel ruolo di
questo profilo, seguire un teleromanBrooke per Beautiful.
zo come “Beautiful” è una delle
esperienze più istruttive fra quelle televisive: più di uno stesso Quark di Pie- spettatore che non si sofferma alle apparenze: tutto rimane in quel modo, le
ro Angela.
Gli impegni della giornata sono tanti, azioni, i gesti sono tutti finalizzati ad
ma alle 13,45 il mondo intero si ferma, esso, tanto che la semplicità di un gesto
tutto tace: inizia “Beautiful”, 856° punta- quotidiano come fare la spesa e la coda
ta! E non importa se è ora di pranzo, se all’ufficio postale è impensabile, perché
squilla il telefono e, che rabbia, se, a ta- suonerebbe quasi come un insulto di
vola, qualcuno cerca di dialogare distra- fronte a tanta perfezione.
endoti durante una scena importantissima,
E, contrariamente a quanto si potrebproprio quella che aspettavi da giorni.
be pensare, la vera violenza di certa teleQuesto genere televisivo è chiaravisione non è tanto da ricercarsi nei falsi
mente rivolto ad un certo tipo di pubblisentimenti nei continui tradimenti, nella
co, che esige dallo schermo stimoli ben
precisi, infatti, il tutto è presentato sotto mancanza, a volte, di un senso logico un profilo marcatamente estetico, fina- realistico degli eventi, quanto quella velizzato a colpire lo spettatore, il quale, lata accusa di non essere perfetti.
Tutto questo, in uno stillicidio di
di fronte a tanta perfezione, non ha dubmovimenti:
la scena manca completabi, non si ferma neanche a riflettere.
mente
di
dinamismo
tanto che, un diaGià lo stesso titolo “Beautiful” (Meraviglioso) risponde a questa esigenza. I logo della durata media di 3 - 4 minuti,
protagonisti sono, ovviamente tutti bel- dura 3 - 4 puntate da venti minuti cialissimi, d’altronde, qualche donna, inse- scuna: non fai in tempo a sederti che la
guita dagli anni e dai problemi di ogni puntata è già finita e non vedi l’ora che
giorno, non ha desiderato, almeno una arrivi l’indomani per inchiodarti nuovavolta, che, morbidamente, si adagiano mente davanti allo schermo. Ma la tua
su delle spalle seducenti e uno sguardo
pazienza è ricompensata: il venerdì, alle
così penetrante da lasciare folgorata
20,30 una puntata inedita di ben “due
metà dell’umanità?
ore” ti aspetta su rete quattro.
Per non parlare poi delle abitazioni,
E non dimenticare l’ 144 - linea
attrici, chalets per le vacanze invernali e
“Beautiful”,
per chiedere informazioni
ville fornite di piscine, palestra e persisui protagonisti del tuo serial televisivo;
no la sauna! E che dire degli abiti?
Ma per forza devono essere belli: la domanda della settimana è: «Sappiamo tutti di quali intrighi è capace Schisono tutti stilisti!
In tutto questo “Beautiful” una nota la, ma, nonostante tutto, è veramente
r
dissonante non sfugge, però, ad uno innamorata di Eric?»
N
12
Il Nicodemo
N. 25
Una gita da ricordare
di Micaela Parisi
on è certo facile fare la cronaca precisa di una giornata in
cui abbiamo visitato diverse
località, tutte con caratteristiche degne di nota; ma l’aspetto che più
mi ha colpito di questa gita è stata la relativa vicinanza fra loro di queste località, quasi fossero state messe lì proprio
per facilitare una visita che le comprendesse tutte.
L’appuntamento per i partecipanti
era fissato alle 3:45 del mattino in piazza Municipio e al mio arrivo, per la verità un po’ in ritardo, ho trovato tutti
ansiosi di partire e per niente vinti dal
sonno. Dopo l’arrivo del pullman siamo
partiti verso le 4:10 e procedendo ad
una velocità “andante ma non troppo”
siamo giunti dopo circa cinque ore alla
prima tappa del nostro viaggio: Trapani.
La città ci ha accolto con quella tranquillità tipica dei grandi centri nei week-end e soprattutto di domenica
mattina: sembrava quasi fosse addormentata e si stesse svegliando, proprio
come noi, gradualmente.
Ci siamo fermati davanti al Santuario dell’Annunziata in cui alcuni di noi
hanno partecipato alla Santa Messa,
mentre altri hanno fatto un giro nei dintorni per sgranchirsi le gambe.
Subito dopo ci siamo ritrovati tutti
nel piccolo parco antistante la Chiesa,
dove molti si sono scatenati con le macchine fotografiche, nell’attesa della guida che ci avrebbe accompagnati per
l’intera giornata. Appena arrivata, ci ha
condotto al “Museo Pepoli”, che si trova proprio all’interno del parco. Non so
cosa si aspettasse ognuno di noi, ma
quello che siamo riusciti a vedere è andato sicuramente al di là delle nostre
aspettative.
Trapani si è sempre caratterizzata
nei secoli come città di mare abitata da
pescatori ma soprattutto facilmente raggiungibile, attraverso i suoi due porti,
da numerose genti che hanno portato
una ricchezza di esperienze che è emersa proprio dalla nostra visita al museo.
L’attenzione di tutti noi si è riversata
soprattutto sulla raccolta di gioielli di
alto valore e lavorati in modo minuzioso che, sotto forma di dono votivo, venivano
offerti
alla
Madonna
dell’Annunziata dalle nobili famiglie
spagnole del tempo perché Ella proteg-
N
gesse le navi impegnate nella pesca, soprattutto del corallo. E proprio di questo
materiale sono altri pezzi importanti del
museo, fra i quali un piccolo Crocifisso
ed una lampada ad olio dello stesso artista, Fra Matteo Bavera.
Procedendo poi per le varie sale del
museo abbiamo ammirato dei pavimenti
in maiolica di età molto antica che conservano dei colori quasi originali; la
Erice: Il campanile del Duomo
guida ci ha fatto notare che uno di essi
illustra la “mattanza dei tonni”, una delle attrattive principali della provincia di
Trapani, che si svolge negli ultimi giorni di maggio nelle acque antistanti
l’isola di Favignana.
Appena usciti dal museo e saliti sul
pullman ci siamo diretti ad Erice, distante circa una mezz’ora da Trapani.
Anche qui la breve visita ci ha rivelato
luoghi incantevoli, a partire dalle caratteristiche viuzze della cittadina, fino
alle antiche costruzioni delle diverse
Chiese e del Castello. Arrivati in cima
al monte su cui è posta Erice abbiamo
potuto ammirare un panorama bellissimo costituito dagli agglomerati urbani
di Marsala e Trapani, dalle saline di
quest’ultima e soprattutto dalle isole
Egadi: Favignana, Levanzo, Marettimo.
Verso le 14:00 ci siamo concessi un
meritato riposo e nel verde della pineta
di Erice abbiamo consumato la nostra
colazione a sacco e ci siamo preparati
per la prosecuzione della gita.
La successiva tappa infatti è stata la
visita alle saline, costituite dalle vasche
per la desalinizzazione delle acque e dai
mulini
a
vento
che,
prima
dell’industrializzazione del settore, erano serviti per pompare l’acqua da una
vasca all’altra. Proprio all’interno di
uno di essi si trova un piccolo “museo
del sale”, in cui sono conservati i vecchi
attrezzi del mestiere usati più di cinquanta anni fa.
Subito dopo ci siamo recati a Segesta, che ci ha accolto nell’incanto dello
splendido tempio dorico, conservato
quasi perfettamente da più di 2000 anni,
immerso nella natura che lo circonda e
parte integrante di essa, perché la valorizza e la rispetta. Sempre nell’antica
città della Magna Grecia abbiamo ammirato il Teatro Greco, anch’esso quasi
intatto e attorno al quale continuano gli
scavi archeologici impegnati a cercare
altre testimonianze di civiltà passate.
Al termine di questa bella e impegnativa giornata, abbiamo salutato calorosamente la nostra bravissima guida
che ha dimostrato amore per il proprio
lavoro, spiegando approfonditamente
ogni dettaglio dei luoghi da noi visitati.
Vorrei ora concludere con una breve
riflessione: sia all’andata che al ritorno
del nostro lungo tragitto abbiamo percorso quel tratto di autostrada in cui
hanno perso la vita i giudici Giovanni
Falcone e Francesca Morvillo e gli
agenti Antonio Montinaro, Rocco Di
Cillo, Vito Schifani. La nostra terra è
spesso ricordata esclusivamente a causa
dei tragici fatti di mafia che vi accadono e questo avviene forse anche a causa
nostra perché nel corso degli anni non
abbiamo saputo valorizzare le risorse
turistiche di essa e non ci siamo mai riscattati dalla rassegnazione.
Luoghi come quelli che il nostro
gruppo ha visitato devono insegnarci ad
amare la nostra regione e a difenderla
da chi l’ha sempre insanguinata. r
Giugno '94
13
Il Nicodemo
Appunti
di
moda
di Emanuela Fiore
ccoci al primo appuntamento
semestrale con le nuove collezioni moda, per “fare il punto"
sulle tendenze e sulle indicazioni che vengono dal mondo degli addetti ai lavori.
Noi
della
redazione
del
NICODEMO abbiamo pensato di capovolgere per una volta la situazione e di
fare una piccola indagine “semi-seria”,
chiedendo direttamente l’opinione ad
alcuni protagonisti: i bambini.
Com’è il tuo vestito ideale? Abbiamo chiesto a qualche piccolo amico.
Paola, 9 anni, non ha dubbi: è a fiori
rosa, con una bella cintura e fiocco e la
gonna larga, dice. Andrea, 7 anni, invece ama i pantaloni un po’ larghi e i maglioni con la camicia che spunta sotto.
Francesco ha quasi 4 anni e non ha ancora un’opinione definita ma si separa
malvolentieri dalle sue maglie coloratissime.
E’ soltanto un mini test, ma se ne
può dedurre che la moda proposta dagli
stilisti è proprio a misura di bambino ed
è studiata in base alle loro esigenze pratiche ed ai loro gusti.
Infatti, se ogni collezione si caratterizza per la gamma dei colori scelti ed
accostati con la più ampia libertà (e si
spazia dai superclassici blu-rosso-verde
alle tonalità naturali, dolci tinte vitaminiche e segnaletiche, ai morbidi melange pastello) sulle lenee di base c’è una
E
sostanziale coincidenza. Infatti per tutti
si privilegiano le forme comode e destrutturate per l’abbigliamento destinato
alle attività quotidiane, ma ci sono anche le proposte più speciali, a tutta eleganza...
Così la donna 1994 ama vestirsi
molto chic con eleganza femminilmente
discreta.
Esprime intenzioni di estrema semplicità e di moderazione mediata da
scelte di tessuti finissimi e da una cura
particolare per i dettagli e gli accessori,
ama le linee scivolate ed essenziali o
aderenti con la vita segnata, o a trapezio
a partire dalla spalla.
La sua gonna è in via ottimale, quat-
tro dita sotto il ginocchio.
Ha perso quella strizzata elasticità
per farsi diritta, a pieghe, svasata.
E’ ben modellata sul fianco per ben
accostarsi a giacchini corti o comunque
segnati da pinces e sciancrature.
La giacca sempre protagonista si trasforma in tante proposte: corta, quasi
bolero per ruoli eleganti, guarnita da
bottoni gioiello e ricami, scivolata, con
spalla piccola e manica sottile per il
giorno e per la sera, da portare con tutto; allungata, classica, spesso a doppio
petto.
Molti i pantaloni, lunghi, corti, indossati in ogni occasione, dal mattino
fino a notte inoltrata. Sono in tante versioni: il classico, con pinces, il verticale
asciutto e il “palazzo”.
Gli stilisti non hanno intenti di pura
frivolezza, ma vogliono interpretare i
desideri delle donne nei momenti più
diversi della loro vita quotidiana: scelte
articolate per tutte le esigenze.
Una prepotente voglia di tagli essenziali caratterizza invece le ultime tendenze per la moda maschile.
Libero sfogo così alle fantasie sempre nel campo del lineare, del pulito.
Con possibili trasgressioni, naturalmente eleganti, per quanto riguarda anche gli accessori.
L’importante è che i tessuti impiegati non trasgrediscano mai le aspettative:
qualità e originalità, in prima fila. r
FESTA DEL GRAZIE: 22 Maggio
Da alcuni anni, la festa della mamma è stata sostituita, nel nostro
paese, dalla festa del “Grazie”. Con questo, le suore della Sacra Famiglia, che tanto si prodigano per i ragazzi, vogliono far dire “grazie” non
solo alle mamme, ma a tutti coloro che partecipano alla crescita e alla
formazione dei ragazzi.
Quest’anno la festa del “Grazie”, svoltasi nel nuovo salone-teatro
dell’Istituto S. Francesco Caracciolo domenica 22 maggio, si è basata
su un recital che si ispirava alla Sacra Famiglia, essendo appunto questo l’anno dedicato alla famiglia.
E’ stato molto significativo tutto l’insieme, emozionatissimi i giovanissimi interpreti guidati anche da Marzia Tuttocuore, e mi auguro che
i ragazzi stessi ed i loro genitori facciano tesoro di queste esperienze,
fondano quindi le loro famiglie sull’esempio della famiglia di Nazaret.
Grazie alle suore che ci hanno offerto l’opportunità di stare insieme piacevolmente ed in modo istruttivo.
r
Nerelli Orsola e Leonardo Capilli
Nei primi giorni del mese di maggio suor Barbara
è venuta nella nostra classe, ella ci ha invitati a preparare alcuni canti e una recita sulla “famiglia”.
Nei giorni di lunedì e venerdì, con assiduità, serietà e tanta voglia di riuscire ci recavamo nel salone
dell’istituto S. Francesco Caracciolo, dove Marzia,
una simpatica ragazza, ci ha preparati alla recita.
Domenica 22 c.m., alle 17:30, alla presenza di
molte persone e tra esse i nostri genitori, il Sig. De
Gregorio ha presentato lo spettacolo.
La recita è ben riuscita, gli spettatori hanno applaudito e noi felici ricorderemo sempre questa meravigliosa esperienza.
Con tutto il cuore ringraziamo quelli che ci hanno
preparato.
r
Riccardo Ficarra e Fabrizio Cannistrà.
14
Il Nicodemo
N. 25
Unione nella Musica
Esiste ancora il pentagramma della vita come realtà da vivere con gli altri e per gli altri
di Oriana Imbesi
ibertà, uguaglianza, fraternità”, supremi ideali
di cui si sente poco parlare.
“Violenza, intolleranza, razzismo”.
Non si parlò a d’altro.
I telegiornali e i quotidiani, solo raramente riportano testimonianze di
amore, di pace e di fratellanza.
Credevo quasi di aver dimenticato
l’intimo significato della parola “unione”; ora l’ho riscoperto.
In Francia, al centro musicale Internazionale di Annecy, grazie ad uno stage di due settimane, ho avuto la
possibilità di vivere una nuova esperienza, nella splendida cornice naturale
che è l’Alta Savoia.
Sempre sostenuta dalla fiducia e
dall’affetto di altri miei colleghi e amici
“L
italiani, ho vissuto momenti indimenticabili e molto appaganti, ma anche di
meno incoraggianti. Nelle situazioni più
difficili, mettendo da parte il tipico egocentrismo pianistico, ci si incoraggiava
a vicenda, e si riscopriva insieme una
sincera e profonda umiltà, ahimè troppo
spesso mancante non solo nei musicisti
ma in ognuno di noi.
Ad Annecy, ho imparato a conoscere
meglio me stessa e gli altri, che erano
solo pianisti francesi, ma anche giapponesi, russi, cinesi, tutti ragazzi che
come me si accingevano ad affrontare
con grande emozione, una prova molto
importante. Non contavano le diversità
di razza e di religione, perché tutti eravamo accomunati da una stessa passione, da uno stesso amore: “la musica”.
Sul piano umano, non si badava alle
differenti culture; era invece importante
scherzare, ridere, capirsi, in un modo o
nell’altro, magari con l’aiuto di un vagabondo e soprattutto non creare inutili
barriere che potessero impedirci di comunicare normalmente.
Le uniche diversità riguardavano
esclusivamente la poliedricità delle interpretazioni pianistiche, molto personali e soggettive; da un lato la
sensibilità musicale e il virtuosismo
francese, dall’altro la calda partecipazione e la passionalità tipicamente mediterranea.
Difficile sarebbe dimenticare tutto
questo, tutte le emozioni, le gioie, le
piccole conquiste, ma soprattutto quella
naturale armonia, che in Francia, come
a casa mia, mi ha semplicemente unito
agli altri.
r
Una profonda passione
Imparare a suonare uno strumento, imparare a suonare con gli altri è una grande scuola di vita
di Angelo Tripodo
i chiamo Angelo Tripodo,
ho quasi quaranta anni,
vivo e lavoro a Messina.
Venti anni fa ho cominciato a suonare la batteria. Erano i
primi anni `70, fortemente segnati
dalle contestazioni del `68 ed il rock
inglese e americano erano ancora il
segno vivo e suggestivo della rivolta
giovanile.
Spesso dai palchi dei primi grandi
raduni si inneggiava alla libertà e alla
rivoluzione, c’erano tante illusioni e
tanta ingenuità, ma anche tante speranze e tante idee. Poteva ancora succedere di mettersi a suonare per dare
voce e concretezza ad una grande
passione e non soltanto per andare
alla ricerca di fama, soldi e successo.
Vi dico questo perché oggi come
ieri pensare di vivere in provincia
soltanto di musica, al di fuori quindi
dei canali ufficiali, è molto difficile e
M
può essere fonte di frustrazioni profonde e di piccole umane illusioni
che rischiano di allontanarvi dalla realtà.
Una grande profonda passione è
l’unica vera assicurazione affinché
l’intraprendere questa avventura (sia
che si riesca a farlo professionalmente o no) divenga una fonte di arricchimento interiore ed un aiuto concreto
per crescere meglio e con qualcosa di
più da portarsi nel cuore e nella mente.
Imparare a suonare uno strumento,
imparare a suonare con gli altri è una
grande scuola di vita.
Un gruppo musicale è un piccolo
laboratorio di rapporti umani, dove
amicizia, solidarietà, competizione e
capacità si intrecciano continuamente, sempre rispetto a un referente concreto: la necessità di fare musica
insieme. Allora se suonare vi interes-
sa veramente, basta che lasciate verificare gli eventi alle orecchie e al
cuore, un brano o viene bene, o viene
male, o non viene per niente.
La musica può insegnare ad evitare le discussioni da bar o da piazza
che servono soltanto agli stupidi o ai
furbi, può insegnarci a parlare delle
cose concrete che servono a dar corpo e sostanza alle vostre speranze e
alle vostre idee.
Imparare a suonare, è prima di tutto un impegno con se stessi, oltre a
una grande voglia, richiede un grande
spirito di sacrificio, ma riempie di
gioia vera e profondo il cuore. Con la
musica si può giocare, ma non si può
barare; coloro che lo fanno, e sono
tanti, tradiscono le vostre speranze
con immagini false e suggestive di un
mondo di successo e di potere, privo
completamente di valori, di passione
e di amore.
r
Giugno '94
15
Il Nicodemo
Teatro a Siracusa
L’AGAMENNONE
di Pina Tuttocuore
ue delle tre opere teatrali, che
in questi giorni e per tutto
giugno si rappresentano al teatro greco di Siracusa, appartengono alla produzione di Eschilo e
sono l’"Agamennone" e il “Prometeo
incatenato”. La prima tragedia è forse
tra le più belle della storia del teatro, vi
si trovano, infatti, elementi storici e mitologici coniugati in maniera particolarmente interessante. Mitologico è il
motivo del ‘nostos’, del viaggio di ritorno, che è quello che Agamennone sta
compiendo per raggiungere la sua patria, Argo.
La tragedia si apre con la sentinella,
posta sul tetto, che avvista il segnale di
fuoco mandato dal re per annunciare il
suo arrivo. Dopo dieci anni di guerra
tutta la città è in attesa di Agamennone,
Clitennestra in particolare, pronta a
vendicarsi del marito che, pur di permettere alle navi achee di partire per
Troia, non ha esitato a far sacrificare la
figlia.
In scena c’è ora il coro, costituito da
vecchi argivi, essi, non ancora informati
della lieta notizia, rivivono i tragici momenti dello scoppio della guerra, ne rivedono i motivi, i presagi, il sacrificio
di Ifigenia. Il clima non è molto adatto
ad accogliere un re che ritorna trionfante dalla guerra, infatti, sembra quasi che
un’aura di sospensione inizi a penetrare
nella reggia, preannunciando le dolorose vicende future.
Fa il suo ingresso la regina, tutta felice, ma i motivi della sua gioia non
sono quelli apparenti: la donna che ha
atteso
lungamente
il
ritorno
dell’uccisore di sua figlia, potrà finalmente vendicarsi; nessuno ad Argo conosce il suo progetto, nessuno a parte
Egisto, amante di Clitennestra, che
però, apparirà solo al termine della tragedia. Quale migliore vendetta che il ripagare con la stessa punizione il
colpevole? La regina, infatti decide di
uccidere Agamennone, ma soltanto
dopo avergli fatto credere di essergli rimasta fedele e di amarlo ancora, nonostante egli abbia portato con sé
Cassandra, una prigioniera di guerra.
Agamennone è, dunque, giunto ad
Argo, non sospetta nulla, non ha alcun
D
dubbio sulla buona fede della moglie;
accetta addirittura, su insistente richiesta di Clitennestra, di calpestare i tappeti di porpora, chiaro segno di hybris, di
tracotanza nei confronti degli dei. La
regina è abile nel simulare, nel tessere
trame di lodi ipocrite e nell’ingannare
tutti; soltanto Cassandra, la profetessa
di sventure mai credute, riesce a leggere
la verità e a prevedere, in un momento
carico di pathos, la sua sorte e quella di
Agamennone.
Anche la schiava entra nella reggia e
la scena si svuota, lasciando spazio ad
un bellissimo canto: “Oh, la sorte degli
uomini! E’ come il sogno di un’ombra
tre il dio non manda il dolore perché
prova invidia della felicità umana, anzi
il suo atto è dettato dall’amore per gli
uomini, in quanto soltanto attraverso il
pathos “dolore”, essi potranno giungere
al
mathos
“la
conoscenza”.
L’adattamento moderno, che il regista
De Simone ha fatto della tragedia, ha
colto di sorpresa un po’ tutti; innanzitutto per la coraggiosa –anzi azzardata
— scelta dei costumi, ma soprattutto
per l’interpretazione delle parti corali.
A dire il vero questa rende un po’ difficile la comprensione del testo: il coro
ha in Eschilo un ruolo fondamentale e
privare a priori la tragedia di tale sup-
Il ritorno di Agamennone in patria (J. Flaxman)
la loro felicità. Se viene sventura, anche
quel sogno svanisce come tratto di umida spugna cancella un dipinto. Dolore
e pietà. Della buona fortuna nessuno
dei mortali è sazio; nessuno c’è che a
felicità, dalla soglia della casa levando
la mano, ‘no, non entrare’ dica, e la
tenga lontana.”
E’ questo il momento più drammatico dell’intera tragedia, si sentono delle
urla provenire dall’interno della reggia
(sostituite, nella rappresentazione moderna, dal suono delle campane): Clitennestra ha compiuto la sua vendetta. I
coreuti comprendono immediatamente
l’accaduto e rimproverano aspramente
gli artefici del delitto, ma questo non è
che l’inizio di una catena di morti (infatti, nelle “Coefore” e nelle “Eumenidi”, le altre due tragedie della ‘trilogia
legata’, si assisterà ad una lunga serie di
omicidi), tutte necessarie perché si possa giungere a ristabilire quell’ordine
cosmico fatto di rispetto assoluto dei diritti degli altri e delle leggi divine. Inol-
porto significa quasi mutilarla. Forse ci
sarà anche chi apprezzerà il fatto che le
basi musicali si alternino dal genere
gregoriano al jazz, e forse a molti farà
piacere vedere sfilare i protagonisti in
costumi tribali, d’altronde la cristallizzazione di forme artistiche non avrebbe
alcun senso; al contrario è necessario
interpretare in maniera originale e attualizzare un’opera artistica del passato.
Soltanto: che senso avrebbe ricreare
ai nostri giorni le braccia alla Venere di
Milo?
r
Pina Tuttocuore, insieme ad una sua
compagna di classe Gaia Di Bella, è stata
segnalata seconda al concorso a Siracusa
patrocinato dall’INDA (Istituto Nazionale del dramma antico) e indirizzato a giovani liceali di tutto il territorio nazionale.
E’, quindi, con grande soddisfazione che
porgiamo le nostre sincere congratulazioni a Pina e a Gaia.
Il Nicodemo
Per Maria Cutelli
N. 25
Un ragazzo
discute
Cara indimenticabile maestra
di Emanuela Fiore
ulla, nulla si può dimenticare, tutto è impresso, scolpito
nel cuore e nella mente, soprattutto quegli anni quelli
che mi hanno permesso di gioire e di
imparare, precisamente dal settembre
‘83 al 1988 frequentando le scuole
elementari con l’insegnante Maria
Picciolo Cutelli.
Che creatura! Infinitamente buona,
colta, intelligente, terziaria francescana. Non posso scrivere di lei senza disagio,
ma
sono
direttamente
sollecitata dalle avvertite esigenze di
rivelare, dopo la sua morte, quanto di
lei gelosamente conservo nell’intimo.
Per questo mi accingo a scrivere su
Maria Cutelli.
No, cara indimenticabile maestra,
non parlerò di te per esprimere giudizi, per dire quello che sei stata, come
e perché hai operato in un certo
modo, quali sono stati gli effetti della
tua opera tanto silenziosa ed umile, e
le lotte, le incomprensioni che ti hanno accompagnata.
Carissima, parlerò invece, delle
cose mie legate a te. E lo farò, con
semplicità e verità, vincendo quella
resistenza che genera la dolcezza di
tenere tutto per sé. Oh no! Tu lo sai,
non lo faccio di certo per il magro gusto di associare anche il mio povero
dire a quanti hanno detto di te. Ma è
doveroso da parte mia, per il bene ricevuto, mettere a disposizione questo
mio granello per il tuo meditato agire.
N
Ricordo eravamo a primavera ‘87
e venti bambini facevamo parte della
tua IV classe. Tra quei venti c’era anche Antonella, una nostra compagnetta, che non poteva avere la gioia di
ricevere Gesù Eucaristia per ragioni
famigliari. Ad un certo momento avesti una delle tue geniali idee, suggeritati certamente dalla premura e
dall’affetto materno che avevi per noi:
avresti fatto fare la prima comunione
ad Antonella. Questo avvenimento ci
ha riuniti nella Chiesa madre di Milazzo. Rimanemmo tutti comprensibilmente commossi, tu più di tutti. Poi ci
furono confetti, focacce e rinfresco in
un ristorante di Milazzo dove particolarmente gioiosa è stata Lucia, anche
lei tua alunna che faceva parte
dell’Istituto S. Francesco Caracciolo
e che tu, durante i cinque anni di elementari, hai curato nella crescita e
negli affetti.
Era il tempo in cui la tua salute cominciava a venir meno. Le ansie e le
sofferenze però erano intercalate sempre da quel tuo buon umore, che ti faceva distogliere il pensiero dal tuo
soffrire.
La tua bella voce di soprano cantava ultimamente solo per il Signore.
Anche adesso che sorella morte ti ha
spalancato il Regno dei cieli, non ha
interrotto anzi ha infittito il dialogo
fra te e Lui, e noi certi di questo continuiamo ad ascoltare, imparare, apprendere...
r
L’A.S. “BLUE STARS” PROPONE A RAGAZZE (minimo 14 anni)
ALLENAMENTI SERALI DALLE 20.30 ALLE 22.30 c.a OGNI
MERCOLEDI’ E VENERDI’ NEL CAMPO SPORTIVO DI GIAMMORO
PER EVENTUALE FORMAZIONE DI UNA SQUADRA DI SOFTBALL
(baseball femminile).
PER INFORMAZIONI RIVOLGERSI A:
JOSE’ SCHEPIS
FRANCA CALDERONE
PINA TUTTOCUORE
SIMONA ARAGONA
9339090
933062/933427
933256
933443
di Gianluca Busacca
e sostanze stupefacenti, venivano usate sin dai tempi antichi, e
questo lo dimostrano gli esperti
che studiano questo grosso problema che riguarda tutto il mondo: la
“droga”. Gli esperti dimostrano che già
al tempo degli egiziani veniva usata una
droga per lenire le malattie e il dolore
durante le operazioni, questa sostanza
velenosa veniva chiamata oppio. In pochi decenni (o forse ancora meno)
l’oppio cambiò sistema, quello che veniva chiamato oppio si trasformò in
droga e non fu più usata per lenire i dolori ma fu usata per provare piacere. In
tal modo si diffuse quasi in tutto il mondo, trasformandosi in una sostanza pericolosa e mortale. Il fenomeno droga,
tuttavia, è oggi completamente diverso
che nei secoli passati. Per il drogato si
allontanano i problemi della vita: il lavoro, il rapporto familiare e sessuale, il
futuro, vivendo secondo lui in un mondo inutile e crudele. Egli vive con gli
altri ma senza gli altri. E’ come una favola: “La bella addormentata nel bosco”, misteriosa e preoccupante. In un
programma televisivo ho sentito dire:
«A noi piace morire non subito ma a
poco a poco». Queste sono parole che ci
spaventano, ci turbano e credo anche
che ci aiutano a riflettere su quella sostanza che si chiama droga. In moltissimi giovani, adolescenti, nel momento in
cui la assumono per la prima volta,
scatta un processo che porta
all’autodistruzione del loro organismo.
Da quel momento il ragazzo dipende
soltanto e solamente dalla droga, intendendo così deliberatamente autodistruggersi. Ma in realtà l’autodistruzione
sarebbe una finzione, il giovane colpendo se stesso, vorrebbe punire gli altri
come i genitori, la scuola, i professori,
la società. Io non credo che un adolescente di normale salute, con interesse
di studio, di lavoro, di relazione sociale
vada da sé alla droga. Il problema diventa completamente diverso se qualcuno, in un momento particolare e sotto la
forma di un allettamento, offre la droga
a quell’adolescente. E’ questa la strategia di come anche un ragazzo normale
viene attirato dalla droga.
r
L
Redazione e stampa presso Parrocchia S. Maria della Visitazione - Pace del Mela - Anno III n. 25 - 5 Giugno 1994
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