N. 25 - 5 Giugno 1994
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N. 25 - 5 Giugno 1994
pro manuscripto Anno III - Numero 25 Parrocchia S. Maria della Visitazione Pace del Mela 5/94 Giugno v IL NICODEMO Fogli della Comunità Quale progetto, quale consenso? di Francesco Bartuccio gni appuntamento elettorale, provoca grandi attese nella gente, fa sorgere progetti nuovi e porta alla luce desideri e bisogni nascosti. Tanto più si parla di un nuovo modo di far politica a tutti i livelli sia nazionale, sia locale, tanto meno si scorge da parte del cittadino qualcosa di veramente nuovo, qualcosa che valga la pena di attirare l’attenzione di chi fatica nelle vicende quotidiane. Se davvero ci guardiamo negli occhi e se non vogliamo dire bugie a noi stessi, dobbiamo riconoscere che non ci fidiamo abbastanza di coloro che aspirano o sono al potere. Eppure del cittadino, non si può certamente dire che non ha il senso dello Stato o che non gli importa nulla di ciò che è politica. Semmai il cittadino avverte che lo Stato e la politica sono distanti dalla vita reale delle persone e delle famiglie, è scontento e sa perfettamente di volere uno Stato efficiente (che non lo usi, ma lo tuteli) ed una amministrazione corretta. Deve nascere una idea diversa della politica, dove le persone siano rispettate sul serio, possano esprimersi liberamente, dove gli interessi di tutti (una giusta porzione di cultura, di lavoro, di casa, di tutela sociale) vengano prima di ogni preoccupazione partitica o settoriale, dove non si faccia un intruglio di proposte e programmi irrealizzabili, ma cose semplici alla portata di tutti. I discorsi pronunciati e i programmi elaborati, devono avere un peso e non dissolversi nel nulla. Occorre che i politici ascoltino ciò che pensa l’uomo della strada, il cittadino comune, il ragazzo, la O “Corpus Domini” Dono stupendo ed incomparabile. di Don Santino Colosi rede la Chiesa e canta, con le parole di Tommaso D’Aquino, nel giorno del “Corpus Domini”: “Questa è la festa solenne nella quale celebriamo la prima sacra cena. E’ certezza a noi cristiani: si trasforma il pane in carne, si fa sangue il vino". * * * Per questa fede il popolo devoto infiora le strade del paese, orna -con un costume tutto orientale- i balconi con le coperte e le lenzuola più belle, si prostra in silenzio adorando il “divino eucaristico Re” che passa a visitare, consolare, benedire, che si dà in cibo a coloro che di Lui sono affamati. Gioiscono oggi i fanciulli che, per la prima volta, siedono alla mensa del Pane della vita e diventano consapevoli che mangiando dell’unico Pane, Cristo, formano con tutti i battezzati l’unico Corpo, la Chiesa. Dono stupendo ed incomparabile: l’Eucaristia è presenza reale del Signore crocefisso e risorto in mezzo al suo popolo! Egli si fa nostro compagno di strada e nutre di sé noi viandanti verso la patria dei cieli. Nella cena pasquale, memoriale della liberazione della schiavitù dell’Egitto e del passaggio del Mar Rosso, Gesù stabilisce l’Alleanza nuova e dice ai suoi apostoli, secondo l’unanime testimonianza dei vangeli sinottici e poi di Paolo: “Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue, fate questo in memoria di me”. Il pane è carne, il vino è sangue. Gesti e parole davvero incomprensibili, quelli del Cenacolo, ma Cristo Gesù, dopo aver moltiplicato i pani ed i pesci a Cafarnao, aveva rivelato: “Chi C 1 2 Il Nicodemo (segue da pag. 1: Quale progetto...) donna, l’adulto, l’anziano, nel quale risiede una saggezza semplice, risorsa fondamentale di ogni politica. I politici dovrebbero ascoltare di più, non solo quello che si dice sugli autobus, nelle code agli sportelli, nei corridoi degli uffici, nelle sedi di lavoro – e già basterebbe a stupire per le tante critiche e per la notevole saggezza – ma anche ad ascoltare di più i bisogni morali, la sensibilità umana, la dignità del povero. Non credo possibile nessun programma, nessuna riforma sociale se questa non tiene in primo luogo il punto di vista delle persone semplici, degli “ultimi" che non devono essere soltanto oggetto, ma anche soggetto di progetti politici. Chi vive in mezzo alle realtà quotidiane sa benissimo che tra i tanti vi sono alcuni problemi che meritano di essere trattati con la massima precedenza. E sulle cose che contano si è disposti anche a fare sacrifici, rinunce, economie. Se c’è dunque una specie di progetto politico nascosto nel cuore della gente, non è forse giunto il momento di farlo esprimere e di ascoltarlo attentamente? L’uscita dalla crisi, è lì, nella capacità di tornare a leggere con vero interesse nell’opinione e nelle ansie della gente. E’ una questione di consenso, ma non si proclami dall’alto, bensì consenso del governo e dei partiti alle istanze dal basso. Solo chi ascolta offre speranza perché lascia intravedere di essere disposto a venire incontro all’altro. r In questo numero: Sì a Cristo . . . . . . . . . Famiglia aperta a Cristo . . Famiglia e scuola . . . . . Si è avverato un sogno . . Ruanda . . . . . . . . . . . Se vuoi, puoi . . . . . . . . Socializzare il territorio . . . Votare è un diritto-dovere . Il Bene comune . . . . . . Formula uno . . . . . . . . Telenovelas . . . . . . . . . Una gita da ricordare . . . Appunti di moda . . . . . . Festa del Grazie . . . . . . Unione nella musica . . . . Una profonda passione . . L’Agamennone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 3 4 5 6 6 7 8 9 10 11 12 13 13 14 14 15 N. 25 (segue da pag. 1: ”Corpus Domini") mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui" (Gv. 6,54.56). Nella santa cena, la Messa, in maniera inequivocabile, noi incontriamo il Signore della vita e come già gli occhi dei due discepoli di Emmaus i nostri occhi si dischiudono al riconoscimento nel gesto dello “spezzare il pane” (Lc. 24,35). Fedeli al comandamento del Signore i credenti, sin dall’età apostolica, sono assidui nella “frazione del pane” (At. 2,42). A Tròade, l’apostolo Paolo, “il primo giorno della settimana”, spezza il pane e ne mangia (At. 20,7-12). E così lungo i secoli, la Chiesa si riunisce di domenica in domenica per il banchetto eucaristico nell’attesa dell’ultima venuta del Signore. Lo svolgimento della celebrazione eucaristica domenicale è rimasto sostanzialmente invariato fino ai nostri giorni rispetto a quello testimoniatoci dagli albori della cristianità, tra gli altri, dal martire Giustino. La mensa è pronta: “Gustate e vedete quanto è buono il Signore”! “O figlio di Dio, fammi oggi partecipe del tuo mistico convito. Non svelerò il Mistero ai tuoi nemici, e neppure ti darò il bacio di Giuda. Ma, come il ladrone, io ti dico: ricordati di me, Signore, quando sarai nel tuo regno” r (Liturgia di S. Giovanni Crisostomo). Ai fanciulli di prima comunione. Ringraziate il Signore perchè è buono: per voi e per noi, oggi ha preparato il banchetto della vita, vera mensa della fraternità. Custodite, nel vostro cuore, il dono dell'Amore fatto cibo. Crescete nell'amicizia con Ges·, di giorno in giorno, e camminate con gioia con la Chiesa, per le vie del mondo. Benedica il Signore voi e le vostre famiglie. SI’ A CRISTO Una Catechista er dire sì a Cristo non basta sentir parlare di Lui, è necessario ‘incontrarLo’ e vivere per Lui. Il Cristo che incontriamo nella comunità non è soltanto il Cristo che parla, ma quello che vive, soffre, lavora, e ama i fanciulli, i malati, i peccatori e i poveri. E’ necessario conoscere la Parola di Cristo, incontrarlo nel Vangelo e, facendo viva la Sua Parola, mettersi a seguirlo. Come l’ho incontrato e seguito io? E’ da circa due anni che sto facendo l’esperienza della catechista e, da quest’anno, ai bambini che si preparano per la Prima Comunione: mi incontro con i ragazzi una volta alla settimana, il sabato dalle 3 alle 4 pomeridiane. Mi ricordo il primo giorno e non solo quello... Ero molto emozionata e piena di gioia, perchè mi trovavo insieme a ragazzi che per la prima volta si sarebbero accostati a ricevere il PANE DELLA VITA, CRISTO GESU’. P L’esperienza di catechista non è separata dalla mia esperienza di mamma, poichè si tratta di un incontro nel quale offro ai ragazzi non solo formule catechistiche, ma anche insegnamenti di vita, in quanto incontrare Gesù significa proprio cambiar vita. Ma come possiamo incontrare Gesù, se non tentiamo di conoscerLo? E dove conoscerLo meglio se non nella Comunità? Tutti indistintamente siamo chiamati ed abbiamo un dono che ci è stato dato nel nostro Battesimo: spetta a noi metterlo in pratica! Io, catechistadei vostri ragazzi, vorrei invitare voi genitori, in particolare le madri, a cogliere quest’esperienza per conoscere GESU’ VIVO E VERO insieme ai vostri figli. Mi auguro che l’incontro con Gesu’ Eucaristia possa così diventare una festa perenne. r Giugno '94 Il Nicodemo 3 Famiglia aperta a Cristo Con il Vescovo a Santa Lucia del Mela nell’Ascensione del Signore di Mimmo Reitano iorno 15 Maggio si è svolto a indicando come componenti principali ultimi, è necessario che tengano in conS. Lucia del Mela un incontro di un vero rapporto coniugale il dialo- siderazione la maturità e l’esperienza dei genitori, aiutarli sempre con amore tra le famiglie del nostro vica- go, l’amore e la preghiera. Bisogna riato avente come tema “fa- dialogare, parlare con l’altro e porsi e rispetto a far mutare le loro idee, risempre nell’atteggiamento di umiltà e cambiare il loro amore ed infine prestamiglia aperta a Cristo”. Nell’anno dedicato alla Famiglia vi mai scoraggiare chi ci ascolta né tentare re quelle attenzioni che piacciono tanto è una grande presa di coscienza della di imporre la propria volontà. Amore, ai genitori. Ha poi proposto le proprie riflessioni Chiesa verso quest’ultima affinché ne donarsi all’altro, sacrificarsi per il bene vengano rinnovati i valori e perché di- totale dell’altra persona. L’amore quan- di vita familiare, una coppia di Milazzo venti sempre più “Chiesa domestica”. do viene ricambiato diventa amicizia che ha raccontato un po’ della propria All’incontro, oltre all’Arcivescovo, quindi se noi amiamo Gesù siamo suoi esperienza nell’ambito della vita parsono intervenuti numerosi parroci delle amici. L’amore dev’essere disinteressa- rocchiale. La famiglia deve essere atvarie parrocchie da Gualtieri a Soccor- to e per sempre così come Cristo fa con tenta ai problemi degli altri e la so, da Archi a Giammoro, da Olivarella noi. La preghiera, infine, serve affinché parrocchia è il luogo concreto dove la a Pace del Mela. Nella prima parte vi è tutto questo, l’amore e il dialogo, siano famiglia può fare servizio verso gli altri stata, da parte del nostro Parroco Padre presenti nella coppia e nella famiglia. facendosi carico dei fratelli più bisoSantino, una breve ma ricca sintesi di Nella seconda parte, Padre Trifirò, pro- gnosi. Ogni famiglia deve allargare lo come la Chiesa guardi veramente con pone alcuni suggerimenti nel rapporto sguardo nel quartiere e nel rione per vespirito attento al problema famiglia. Ha genitori-figli: ai primi di evitare un su- dere le esigenze del vicinato. I genitori accennato quindi alla “Familiaris Con- perato paternalismo, di considerare devono impegnarsi nel sociale oltre che sortio”, la ormai famosa enciclica del l’autorità come servizio, dare fiducia ai nella parrocchia e questo è molto eduPapa dedicata appunto alla famiglia, per figli, essere amici dei figli; per questi cativo per i figli perché anche questi possano inserirsi nel servizio. finire con il “Direttorio di Dopo questi interventi è staPastorale Familiare”, ultimo documento approvato ta consegnata ad ogni famiPREGHIERA dall’Assemblea Generale glia, da parte dell’Episcopato italiano atdell’Arcivescovo, una rosa Noi ti lodiamo e ti benediciamo, o Padre, traverso il quale i vescovi con un messaggio. dal quale proviene ogni paternità intendono rilanciare e rinAl termine della consein cielo e in terra. novare la pastorale famigna dell’omaggio floreale si Fà che mediante il tuo Figlio Gesù Cristo, liare. è svolta la celebrazione linato da Donna per opera dello Spirito Santo, Padre Santino, contiturgica presieduta sempre ogni famiglia diventi un vero santuario nuando nella sua presentadall’Arcivescovo che nella della vita e dell’amore zione, ci dice che la sua omelia ha voluto ribadiper le generazioni che sempre si rinnovano. famiglia deve continuare a re alcuni punti di riflessione Fà che il tuo Spirito camminare con la Chiesa già precedentemente trattati orienti i pensieri e le opere dei coniugi perché ne segua sempre i come il dialogo continuo tra al bene della loro famiglia principi morali. Ha ribadii coniugi il servizio presso e di tutte le famiglie del mondo. to inoltre, citando passi sia gli altri, il volontariato. Fà che i figli trovino nella comunità domestica dell’Antico che del Nuovo Tutto l’incontro si è svolun forte sostegno per la loro crescita Testamento, come già dai to in un clima di amore e umana e cristiana. primordi Dio instaura un fratellanza che ha visto parFà che l’amore, rapporto tra l’uomo e la tecipi numerose famiglie del consacrato dal vincolo del matrimonio, donna nella familiarità nostro vicariato. Preghiamo si dimostri più forte di ogni debolezza e di ogni crisi. delle pareti domestiche. quindi perché attraverso Concedi alla tua Chiesa Vi è stato quindi un questo e, si spera, altri indi compiere la sua missione piccolo intervallo canoro contri, ogni famiglia possa per la famiglia e con la famiglia proposto da un gruppo di sempre più prendere coin tutte le nazioni della terra. bambini di Archi. E’ interscienza dei propri valori e Per Cristo nostro Signore. Amen. venuto in seguito Padre possa riscoprire la vocazioTrifirò che ha incentrato il (Dal Benedizionale) ne a cui è chiamata per essesuo intervento in due parti. re una delle tante pietre vive Nella prima parte ha parladell’edificio di Dio. r to del rapporto tra coniugi G 4 Il Nicodemo N. 25 FAMIGLIA E SCUOLA Il fatto educativo nelle moderne società assume sempre più i caratteri del “processo integrato” di Francesco Parisi (Preside) innegabile, anche sotto il profilo giuridico, che spetta alla famiglia l’esercizio primario del diritto all’educazione dei figli ed è legittimata a chiedere l’intervento dei pubblici poteri perché gliene assicurino l’esercizio. E’ La famiglia perciò a buon diritto viene considerata “madre dell’educazione” ed ogni altra istituzione opera per delega, tacita o espressa, della famiglia. Essa, cioè, è l’unico istituto “naturale” per la formazione dell’uomo, e gruppo “primario” della comunità sociale. La sua funzione educativa e le sue responsabilità, nei confronti dei figli, derivano dal fatto che l’atto della generazione deve trovare, nel tempo, il suo naturale compimento. Rispetto alla tradizionale impostazione ottocentesca, si è assistito e si assiste ad una progressiva riappropriazione del diritto-dovere all’educazione. Il recupero educativo-sociale della famiglia non cancella ma ridimensiona il ruolo della Scuola. La domanda che ci si pone da più parti è se sia più giusto che sia solo la famiglia a provvedere alla educazione dei ragazzi od anche la Scuola. E’ un problema mal posto. E’ pacifico che la famiglia ha il compito primario di educare i figli istruendoli. La scuola ha il compito di istruirli, educandoli. Le due funzioni, quella della fami- glia e quella della Scuola, si integrano, ma non sono le stesse. In ognuna c’è una dominante che non esclude ovviamente l’altra. Per la famiglia, la dominante è l’educazione, secondo i principi morali, religiosi, politici, comportamentali che ogni coppia di genitori sceglie per i propri figli. Per la scuola, la dominante è l’istruzione secondo i parametri che la comunità nazionale sceglie e che si esplicitano nei programmi di insegnamento. Il fatto educativo nelle moderne società assume sempre più i caratteri del “processo integrato” sia in senso spaziale (la Scuola non è l’unica sede educativa) sia nel senso che gli “esperti” dell’insegnamento non possono rivendicare il monopolio della funzione educativa né, d’altra parte, rinunciare ad esercitarla. Per un compiuto progetto educativo, famiglia e Scuola devono lavorare insieme: è questo, sotto il profilo pedagogico, il significato di “partecipazione”. Purtroppo, la famiglia, oggi, sta attraversando una notevole crisi, soprattutto perché non valorizzata e protetta, ma ridotta ad una sorta di perenne assistita. E’ evidente, di conseguenza, che tale crisi si ripercuota sui figli, specialmente in età adolescenziale, in quanto la maggioranza dei genitori, anche se si accorgono, attraverso le manifestazioni esterne facilmente individuabili, del passaggio all’età della preadolescenza dei loro figli, non colgono tuttavia le nuove implicanze educative e la loro complessità. E’ soprattutto questa la fase in cui la Scuola deve porsi il problema di come aiutare la famiglia a mantenere e potenziare il suo ruolo, nonché di come svolgere la Sua funzione educativa, di fronte alla quale troppo spesso la famiglia si pone in posizione passiva e di disimpegno. In questa prospettiva, la Scuola, in particolare la Scuola Media, si fa anche Scuola dei genitori. D’altronde, proprio di fronte al disorientamento di molte famiglie nel produrre un proprio progetto educativo, incapacità o impossibilità per i genitori, entrambi lavoratori, a seguire i figli; di fronte all’emergere a livello di massa del disagio giovanile, è da tempo in atto un lento processo volto ad attribuire alla Scuola una funzione sociale ed educativa assai più ampia ed articolata rispetto alla pura trasmissione ed elaborazione di cultura. La situazione socio-culturale di oggi, il dilagante disagio giovanile nelle sue varie forme, l’individualismo esasperato, il rampantismo spregiudicato, l’arrivismo ed il carrierismo a tutti i costi scuotono il mondo della Scuola e stanno producendo nuovi “bisogni” educativi per cui quell’idea, che in genere si ha della Scuola, di un luogo in cui si svolge una determinata attività didattica, secondo precisi ambiti disciplinari, organizzati intorno ad un curricolo di studi che ha il suo fine nella acquisizione di un titolo finale, spinge da una parte verso una riprogettazione in termini educativi di tutti i tempi e gli spazi che la Scuola in quanto tale presenta al suo interno, dall’altra a farsi carico globalmente ed in collaborazione con gli altri soggetti “educativi” presenti sul territorio (famiglie, servizi sociali, volontariato, oratori...) delle situazioni di disagio manifestate dalle nuove generazioni. Si tratta di intendere lo “scolastico” come una complessa modulazione di proposte formative utili a stimolare la crescita globale, personale, di un soggetto che non solo deve “imparare” un sapere ed un saper fare, bensì deve riuscire a reinterpretare sé stesso, i suoi sistemi di significati, i valori cui fa riferimento poiché, come sostiene Bruner, conoscere significa prima di tutto trovare il senso delle cose e quindi sé stessi. Sulla base di quanto sopra detto, è chiaro che la Scuola non può essere considerata soltanto come sede peculiare di istruzione e di animazione culturale ma anche di educazione, cioè di contributo alla formazione della personalità. Non vi è predominio dell’una (istruzione) sull’altra (educazione). In realtà, esiste interazione fra queste due 1 Giugno '94 finalità della Scuola: non esiste cultura che non arricchisca anche la dimensione della personalità, diversamente si tratterebbe solo di erudizione, e non c’è educazione che non si suffraghi anche di valori culturali, che aprano spirito e mente verso prospettive di ampio spazio nell’accostarsi alle vicende Il Nicodemo dell’uomo nel bene e nel male, di quell’esercizio di maturazione personale, prezioso supporto per quanto la vita chiederà a ciascuno nel lavoro, nella famiglia, nell’impegno sociale. Le difese della libertà, della salute, dell’equilibrio, della democrazia, della felicità, intesa questa come forza che ci 5 consente di affrontare coraggiosamente difficoltà e tensioni, vanno edificate nella mente degli uomini, come ottimamente sintetizzato in una famosa frase dell’UNESCO “Dato che la guerra comincia nella mente degli uomini, è nella mente degli uomini che devono essere edificate le difese della pace”. r Si è avverato un sogno. Non è retorica. di Nino Caminiti N ell’ultima settimana dello scorso aprile, in Sud Africa, per milioni di persone si è avverato un sogno lungo tutta una vita. Ma iniziamo abbozzando alcuni tratti di questo sogno, o meglio delle sue origini. Ricordando date, nomi, circostanze, contraddizioni. Come la contraddizione di un paese del continente africano, il cosiddetto continente “nero”, governato da e solo da bianchi, in cui la maggioranza nera è relegata ai margini, nelle riserve, o “ho- meland” come vengono chiamate. Come la successiva contraddizione di un paese che si considera, ed è considerato, tra i più civili, pur calpestando i diritti umani, pur basandosi su leggi razziali: leggi sancite nel 1948 che vanno comunemente racchiuse nella parola “apartheid - separazione”, ma di fatto la discriminazione razziale in Sud Africa vi è sempre stata, da quando nel 1652 arrivarono i primi colonizzatori, i boeri. Ricordando che il 21 marzo si celebra la giornata internazionale contro la discriminazione razziale, perché proprio in Sud Africa, il 21 marzo 1960, una manifestazione di un’organizzazione anti-apartheid fu repressa nel sangue dalla polizia sudafricana. Ricordando Soweto-day (il giorno di Soweto) che nel 1976 segnò l’inizio degli scontri tra la polizia e migliaia di giovani studenti neri che protestavano contro l’obbligo, imposto dal governo, di studiare l’afrikaans, la lingua dei boeri. Più di 800 tra ragazze e ragazzi furono uccisi. Ricordando Biko, maggior esponente del Movimento della consapevolezza nera, che si ispirava all’insegnamento di Malcom X e del Black Power dei neri statunitensi: fu torturato e ucciso in prigione. Ricordando l’impegno della Chiesa e del suo pastore Desmond Tutu, a cui fu assegnato un premio Nobel per la pace. Ricordando l’African National Congress, il maggiore dei movimenti anti-apartheid, fondato nel lontano 1912, d’ispirazione nonviolenta rifacentesi proprio all’insegnamento di Gandhi che in Sud Africa visse a lungo. Ed i maggiori esponenti di questo movimento, tra i quali spicca su tutti uno dei fautori di questo sogno: Nelson Mandela. Ed oggi il sogno si è avverato. Milioni di persone, che prima ne erano escluse, hanno potuto esercitare uno dei più elementari diritti: quello del voto. Ma ancor di più, uno di loro, un nero, Nelson Mandela, uno che ha subito, con una carcerazione lunga quasi 28 anni, la repressione di questo Stato, ne è ora presidente, o meglio presidente del nuovo Stato che è oggi il Sud Africa, così come nuova è la bandiera (c’è ancora l’arancio dei boeri, l’azzurro degli anglofoni, ma anche l’oro, il verde ed il nero dell’African National Congress), come nuova sarà la Costituzione in cui verranno abolite le oltre 1000 leggi razziali. Testimonierà uno dei 5000 osserva- tori che hanno garantito la “libertà di voto”: “Vedo gente che si mette a piangere, dopo aver votato. O muove i pugni in segno di vittoria. O scoppia in una grande risata. E’ un momento che abbiamo aspettato per tutta la vita”. Certo, questo sogno, per realizzarsi ha avuto un lungo travaglio, e ancora lungo sarà il percorso, questa volta culturale, di integrazione tra bianchi e neri. E’ vero anche che rimane un sogno il fatto che tutto ciò sia avvenuto per un effettivo riconoscimento dei diritti umani, per un reale disconoscimento della superiorità di una razza sull’altra. Molto probabilmente, se non vi fosse stato un intervento internazionale che avesse sancito sanzioni economiche contro il Sud Africa per il suo apartheid, isolandolo dal resto del mondo, provocando una profonda crisi economica, beh, probabilmente Nelson Mandela e i suoi compagni non sarebbero stati liberati, e quel sogno sarebbe rimasto tale, soffocato da quegli incubi che spesso sono stati drammatica realtà. Vogliamo crederlo comunque: il sangue dei martiri in Sud Africa, ma anche nel resto del mondo, versato a duro prezzo per la sete di giustizia, già ora inaugura un mondo nuovo! r 6 Il Nicodemo N. 25 Ruanda: il dramma dell’ipocrisia di Nino Caminiti ean Goss, un uomo che ha partecipato alla violenza della guerra prima di diventare un apostolo della nonviolenza, spesso diceva: “Una ingiustizia, una guerra non arriva mai all’improvviso. E’ il frutto, la conseguenza di molte infedeltà alla giustizia, alla verità, all’amore. Tutto è intrinsecamente legato”. J per quelle immagini che turbano il nostro quieto vivere, e che piuttosto incominci la vergogna di quei paesi (quasi tutti europei) responsabili di un più grande delitto: la vendita delle armi. Penso ai mercanti d’armi. Sono loro i veri signori della guerra, e non i vari generali, capi delle varie fazioni in lotta tra di loro (vedi Aidid). Penso come si possa incidere sul bilancio di uno Stato, considerato tra i più poveri del mondo, così come si incide con la voce armamenti. Penso alla funzione, al peso, alla for- za, alla potenza di una organizzazione come la Banca mondiale. A chi la gestisce. Penso allo strozzinaggio della stessa verso i Paesi del Terzo mondo. Penso all’immane debito di quei paesi. Penso al rimedio che anni fa un incaricato dell’ONU ebbe il coraggio di proporre per risolvere quel debito: “l’unica soluzione è annullare il debito”. Il debito, e quindi lo strozzinaggio, non è stato annullato. r Se vuoi, puoi. La mia esperienza di “volontariato" di Danilo Vitale In questi giorni siamo colpiti dalle incredibili ed apocalittiche immagini provenienti dal Ruanda. Mi chiedo quali siano state le ingiustizie che hanno generato quelle situazioni sfociate nella guerra e nel dramma. Prendo l’atlante geografico e cerco questo paese. E’ al centro dell’Africa, di questo enorme continente. Osservo i confini degli Stati: sembrano tracciati con le squadrette da disegno. Penso a quella che è stata la colonizzazione dell’Africa in passato (per distinguerla da quella attuale, presente in altre forme), e a ciò che essa ha prodotto. E so per certo che quelle linee di confine sono tra le opere migliori, incluse le strade e gli edifici italiani in Etiopia e Somalia tanto decantati, che i colonizzatori europei hanno lasciato in quel continente. Ma chi ha tracciato quei confini, ponendo poi dei governi di comodo che via via si sono per lo più sfaldati, che discrezionalità ha usato? C’erano in Africa già dei confini naturali, territoriali tra le varie tribù? E queste tribù, avevano voglia, interesse ed una storia tale da permettere loro poi di considerarsi una stessa nazione? O non avevano differenze tali che una convivenza, imposta o meno, era improponibile? Un quotidiano ha scritto che è ora di finirla con l’ipocrisia della commozione hiunque può far parte di una associazione di volontariato, basta avere buona volontà, disponibilità e un pizzico di pazienza. Quando otto mesi fa, ho sentito dire che c’era bisogno di personale che potesse compiere questo servizio, mi sono posto una domanda: qual è il mio ruolo nella società? Avendo solo 17 anni, ho pensato che potevo rendermi utile aiutando la gente meno fortunata di me. Così, il giorno fissato per la riunione generale con i vari coordinatori, mi sono presentato con altri due ragazzi; tutti eravamo pronti a prendere parte a quello che comunemente viene chiamato “volontariato”. Dopo il necessario colloquio sulla condotta che avremmo dovuto tenere, ci hanno letto i vari casi che si potevano assistere. Io e gli altri componenti del mio gruppo eravamo concordi nella decisione: volevamo a tutti i costi aiutare un ragazzo di 16 anni il quale presentava alcuni lievi disturbi mentali. Finalmente è arrivato il giorno che potevamo incontrare il nostro nuovo amico. Comunque, non nascondo che nei giorni che hanno preceduto questa data, io ero molto teso perché avevo timore di sbagliare e di non esse- C re in grado di affrontare una situazione così delicata. Fortunatamente tutte le mie preoccupazioni si sono spente nel momento in cui ho salutato G., il nuovo amico. Ma col passar del tempo, mi sono reso conto che il ragazzo aveva qualche problema in più di quanto me ne avevano parlato i coordinatori. Così abbiamo chiesto alla madre di poter parlare con il pedagogista che lo aveva in cura. L’incontro con lo specialista ci è servito per chiarirci le idee, ci ha messi sulla retta via entro la quale dovevamo operare ed insieme abbiamo concordato un programma da svolgere con G. 1 Giugno '94 Adesso posso essere fiero del lavoro compiuto perché il ragazzo, anche se con molta fatica, è riuscito a sentirsi un normale elemento della società; cosa che non gli riusciva in precedenza. Tramite il mio contatto settimanale con G. ho potuto apprezzare davvero la bellezza della vita e la mia relativa fortuna. E riflettendo... il mio compito è stato quello di tenergli compagnia nel mio tempo libero, credo che non ci sia niente di più facile. All’inizio di questa mia avventura non immaginavo neppure che potesse essermi di così grande aiuto per capire dei valori così grandi. Così, alla domanda se sono io a dare qualcosa a G. o viceversa, senza alcun dubbio rispondo che è il mio nuovo amico a dare qualcosa a me. Tengo a sottolineare una cosa in particolare: chi si accosta a questo tipo di esperienza lo deve fare con la massima serietà e deve capire che l’impegno che si è assunto deve andare ben oltre il semplice rapporto di amicizia, perché l’assistito veda più che un amico in noi, si confidi, parli dei suoi timori e dei suoi sogni e, perché no, anche della sua vita sentimentale. Spero che questo mio piccolo esempio possa servire da insegnamento per quelle persone che hanno voglia di rendersi utili nel sociale: potrete constatare che si ottengono ottime soddisfazioni con una fatica quasi nulla. Credetemi: sono queste le cose che riescono a contraddistinguere un uomo da un altro ed, al tempo stesso, a nobilitarlo. r 7 Il Nicodemo SOCIALIZZARE IL TERRITORIO Oltre l’emarginazione, i nuovi itinerari di autorganizzazione di impegno del volontariato di Franca e Melino Sergi stato il tema del convegno, che si è svolto a Salerno dal 6 all’8 maggio ed ha visto protagonisti gruppi, comunità di volontariato, istituzioni che si sono confrontati su problematiche di particolare rilevanza sociale nell’odierno contesto del Mezzogiorno. Scopo del suddetto convegno è stato quello di una verifica sulle capacità dei gruppi di rendere protagonisti i volontari al proprio interno, di sapersi autorganizzare e produrre cambiamento e socializzazione del territorio. Le associazioni di volontariato nel Sud stanno vivendo un momento di sviluppo, ma il problema di un volontariato maturo non è tanto di aumentare il numero dei volontari all’interno dei gruppi e le loro attività, bensì quello di puntare alla qualità dell’azione volontaria, che sia caratterizzata da gratuità, da impegno culturale e politico, che sia capace di cambiare mentalità e strutture con il coinvolgimento di tutta la popolazione di quel territorio e delle istituzioni. Il volontariato inoltre deve superare la fase dello spontaneismo e passare ad una fase di organizzazione tenendo presente che volontariato non è un “insieme per” ma un “insieme con gli altri”. La caratteristica più significativa della organizzazione del gruppo di volontari è la relazionalità, cioè la capacità di creare crescita umana all’interno e nel territorio rendendo protagonisti nelle varie fasi dell’intervento i soggetti a cui il volontariato si rivolge. La realtà economica e sociale che oggi viviamo, crea molta emarginazione e poca solidarietà: servizi elementari che non funzionano, evasione della scuola dell’obbligo, disoccupazione, violenza. Già molti gruppi di volontariato hanno scelto di non fare assistenzialismo, ma di condividere e responsabilizzare famiglie, cittadini, comunità ed istituzioni in modo da rendere tutti soggetti a cambiamenti sia nei confronti della società civile che delle istituzioni. E’ Si tratta di creare autentiche relazioni di comunità, permettere a tutti di accedere ai diritti fondamentali!! Durante il convegno ci sono state di- verse tavole rotonde, seguite sempre da gruppi di studio per l’approfondimento delle tematiche trattate. Molti interrogativi sono scaturiti alla fine dei lavori. Fra di essi vogliamo proporne alcuni: che tipo di rapporto esiste tra il volontariato e l’amministrazione comunale? Sono stati mai elaborati progetti con le istituzioni locali? Quali analisi sul bilancio comunale per capire la spesa sociale? Quali politiche sociali son necessarie per favorire la solidarietà umana, lo sviluppo del territorio, etc.? La scuola, la famiglia, la parrocchia, sono luoghi di educazione alla comunità civile, alla solidarietà ed al cambiamento o sono luoghi di educazione al senso individualistico, egoistico e di adattamento al presente? A noi, quindi, il compito di mettere in discussione le domande di intervento sul territorio, coscienti di poter essere protagonisti attivi e capaci. Il territorio attende sempre risposte concrete da ognuno di noi. r 8 Il Nicodemo N. 25 AMMINISTRATIVE Votare è un diritto-dovere di Maria Grazia Tuttocuore l quanto mai confuso panorama politico nazionale degli ultimi mesi, nei quali gli Italiani sono stati chiamati alle urne non poche volte (nel novembre scorso per un turno di amministrative e il 27 marzo per le politiche), si affianca un’altrettanta indecisa e, sicuramente, poco convincente situazione politica a livello locale. Il prossimo 12 giugno, infatti, Pace del Mela sarà chiamata a votare per il consiglio provinciale, per il parlamento europeo, per il rinnovo del consiglio comunale ed anche ad eleggere per la prima volta direttamente, se- A Per il consiglio comunale Lista n.1: Merulla Santi Emilio, Brancati Michele, Pagano Pietro, Costa Antonio, Bartolone Antonino, Capone Giuseppe, Torrisi Angela Antonella Giuseppa; Trifiletti Marco Cristiano, Saja Giuseppe Santo, Miceli Angelo, Alleruzzo Giovanni, Liggeri Lucia Salvina, Parisi Riccardo, Amendolia Giuseppe, Bertè Salvatore. condo il nuovo sistema elettorale, il sindaco. Se in Italia per le politiche si è vista la netta contrapposizione tra le “due scatole vuote”, come diceva Sartre, “di destra e sinistra”, non possiamo, quasi certamente però, aspettarci la medesima cosa per la campagna elettorale di un comune di circa 5500 abitanti come il nostro, dove, messe da parte ideologie partitiche, si voterà come si è sempre fatto: prediligendo, cioè la “persona” (forse l’amico?) alle idee e alla competenza dei candidati. D’altronde, non per una marcata contrapposizione di programmi o idee, come la destra e la sinistra nazionale o, meglio, come le “destre” e le “sinistre” nazionali, sembrano evidenziarsi gli schieramenti politici presentatisi per le amministrative ‘94, bensì per alleanze fatte e disfatte, litigi e in- Tra i candidati a sindaco: Lista n.1: Capilli Giuseppe, «Città Nuova»; n.2 Calderone Natale, «Per Pace del Mela»; n.3 Sgrò Antonino, «Insieme per cambiare il tuo paese». Assessori: Lista n.1: Aragona Giuseppe, Corso Antonino, Galvagno Antonino, Italiano Antonino; n.2 Caminiti Giovanni, Grasso Nicola, La Rosa Francesco, Torre Salvatore; n.3 Non Comunicati Per il consiglio comunale Lista n.2: Catalfamo Antonio Franco, Bonasera Giovanni, Bongiovanni De Gaetano Maria, Calderone Tiziana, De Gaetano Francesco, Donato Lorenzo, Ficarra Santi, Lucchesi Claudio, Marsala Grillo Gioacchina, Marsala Maria Marina, Pirrone Antonino, Rera Ignazia, Russo Francesco, Sgrò Pietro Antonio Tindaro, Torre Francesco. trighi, rimescolamenti di nomi da sempre in politica, che forse poca fiducia ispirano agli elettori. Poi, le promesse delle tre liste vengono ascoltate con poca convinzione e con la certezza che poco, di quello che è stato detto, sarà, di fatto, realizzato. Si ritorna, quindi, al discorso iniziale, in cui si parla del voto dato alla persona e non alle idee, cosa certamente errata, ma che, purtroppo, resta forse la sola soluzione possibile, in quanto dare credito ad un candidato che si conosce e che si distingue per rettitudine ed impegno e, si spera, non perché potrebbe fare qualche favore, è sempre meglio che supporre vere, utopistiche promesse o bei programmi. Se si provasse, infatti, ad esaminare i programmi delle varie amministrazioni che si sono succedute, si può certamente notare quanto è stato mantenuto di ciò che si proclamava dai balconi nei comizi. Così, dunque, come potrebbe essere diverso il modo di votare degli elettori? Elettori che, purtroppo, appaiono più disorientati che convinti, leggendo i nomi delle tre liste contendenti e che, ascoltando la maggior parte di loro, si sentono addirittura indignati, ma nulla può più, ormai, questa loro inconcludente indignazione! C’era da muoversi prima e non da parlare sottobanco, c’era da agire concretamente e personalmente, cosa che an- Per il consiglio comunale Lista n.3: Cavallaro Guido, Amalfi Rita, Busacca Giuseppe, Buta Antonino Francesco, Caminiti Giuseppa, Cuzzupè Placido, Donato Giuseppe, Giuffrè Illuminato, Iarrera Loredana, Pagano Vincenzo, Pagano Giorgianni Grazia, Parisi Giuseppe, Scibilia Lorenzo, Sindoni Natale, Trimboli Giovanni. cora può essere fatta, ma no non andando a votare... Non votare non è giusto, dobbiamo far valere ciò che, oltre ad essere un dovere, è pure un nostro diritto, il più importante che abbiamo per farci ascoltare come forza popolare attiva e critica contro chi crede di poterci manovrare. Bisogna, quindi, rendersi responsabili, prendendo, giusta o sbagliata che sia, una decisione. Il “lavarsi le mani” non implica nessuna presa di posizione, ma delinea da parte dei cittadini una sicura indifferenza e passività. E queste non porteranno mai il paese, in cui viviamo come se non fosse il nostro, a qualcosa di costruttivo e a dei veri e propri cambiamenti, cambiamenti che, dovrebbero innanzitutto avvenire nella mentalità della gente. r Giugno '94 9 Il Nicodemo IL BENE COMUNE La politica è il progetto del bene comune e non può ridursi al semplice tecnicismo ma ha bisogno di impregnarsi di spirito di Carmelo Pagano n questo particolare periodo in cui l’argomento principale di discussione è la politica, ciascuno, più o meno apertamente, tenta di dare il proprio contributo ai dialoghi ed ai dibattiti che hanno come fine la creazione di una comunità di “valori”, governata con criteri di giustizia ed equità. Alla luce di questo primario obiettivo è fondamentale sottolineare l’importanza della politica come insieme di norme che devono scaturire sia dall’esperienza sia, soprattutto, dalle idee e dai progetti. Il concetto basilare è che la politica è il progetto del bene comune e non può ridursi al semplice tecnicismo ma ha bisogno di impregnarsi di spirito. I L’idea di comunità deve essere tenuta presente in ogni azione del politico e questi deve necessariamente spogliarsi della considerazione del potere come successo e meta della propria ambizione. Il politico che agisse solo per ambire, metterebbe a nudo infatti, prima o poi, la vacuità del proprio progetto ai fini del benessere della comunità. A differenza di quanto sostenuto dal Machiavelli e da Hobbes, la natura umana non è corrotta ab origine, tuttavia, si abbandona facilmente alle brame più varie. Il rimedio non sta solo nella ragione ma, soprattutto, nel perseguimento di quei valori che soltanto lo spirito può dettare. La capacità e la credibilità del soggetto politico si misurano sulla sua capacità di affrontare gli eventi con la forza delle proprie idee e nella loro difesa dalle strumentalizzazioni materiali. Il sistema politico che è crollato fragorosamente ha posto le basi della propria rovina quando è sceso a patti con il puro interesse materiale. Questa miscellanea non è nata di recente nella nostra Nazione ma si è instaurata già nei primi anni sessanta quando sono venute a cadere quelle tensioni ideali e quel patrimonio di idee e di volontà di riscatto tipiche della società post-bellica italiana ed europea degli anni ‘50. La seconda repubblica, checchè se ne dica, non è ancora nata, almeno come strutture istituzionali, ma già ci preoccupa l’accentuata presenza di un materialismo che non lascia presagire niente di buono. La concezione della politica come affarismo è il “vecchio”, da tutti vituperato e ripudiato; il “nuovo” è, invece, la riscoperta del servizio e di quegli ideali di giustizia e di libertà validi oggi così come in tutti i tempi. La cultura dell’apparire, tanto cara al Machiavelli e tanto di moda negli anni scorsi, ha portato in trionfo l’immagine e non il contenuto. Ciò spiega la crisi attuale delle strutture sia politiche che economiche. Questa cultura dovrebbe lasciare ora il campo a quell’onestà spirituale di cui più volte abbiamo parlato. Chi non è onesto di spirito, chi appare più che essere, chi accusa più che proporre, anche se dotato di competenza, non merita fiducia. L’uomo di governo, a differenza di quanto sostenuto da Hobbes, non può essere “legibus solutus” bensì vincolato non soltanto alle leggi scritte ma, soprattutto, alle norme non scritte. Il bene della collettività non può scaturire da qualsiasi mezzo, anzi, il fine non giustifica affatto quei mezzi immorali che al- lontanano dalla via maestra per raggiungere la meta del bene comune. Il famoso “contratto” di Hobbes, mediante il quale gli uomini, accordandosi tra di loro solo per interesse o per bisogno, danno vita alla società politica, nega totalmente che l’uomo è, soprattutto, spirito. La forza e la legittimazione del buon governo, invece, non possono derivare dal timore materiale che incutono le sue leggi ma dal riconoscimento di queste ultime, da parte della collettività, come le più consone per il bene generale. La politica non è imposizione della forza ma incontro, dialogo, libertà, morale, giustizia: in una parola è vita di spirito. Chi propugna, invece, la netta separazione della politica dalla spiritualità non ha compreso che la sola materia non porterà al bene comune. All’impegno ed al servizio dei soggetti politici dovranno corrispondere la collaborazione e le proposte dei cittadini per una comunità unita ed in cammino. In quest’ottica bisognerà lottare per instaurare la cultura del bene comune, soprattutto fra i governati, i quali sono più portati a premere per il riconoscimento solo del proprio “particolare”. Qui si misura l’abilità del buon amministratore: nel non perdere di vista il bene collettivo e nell’educare al “comune”. La forza e la credibilità futura di coloro che verranno chiamati alla funzione di governo si sperimenterà su questi progetti e sulla loro realizzazione. Toccherà ai cittadini vagliare le varie proposte e dare poi fiducia a quelle idee che meglio garantiranno “l’impegno” per il soddisfacimento del bene comune. Con questo obiettivo finale, quanta più collaborazione ed unità di intenti ci sarà fra governanti e governati, tanto più saremmo vicini ad una forma di società civile perfetta. r 10 Il Nicodemo N. 25 “FORMULA UNO: GIOCO DI MORTE” di Santina Parisi ormula uno” è una denominazione nata alla fine degli anni `40 per distinguere quelle vetture monoposto di grandi prestazioni, costruite esclusivamente per le competizioni di velocità su circuito. Durante il 1950 nasce il Campionato Mondiale per conduttori, com- “F prendente inizialmente, solo sette gare (Gran Premi), le quali non erano parte di un campionato, ma costituivano delle singole prove. Le caratteristiche delle automobili venivano dettate dall’Aiacr (Associazione Internazionale Automobili Riconosciute), in seguito sostituite dall’attuale FIA (Federazione Internazionale dell’Automobile). Fin da allora purtroppo la F1 ha dovuto conoscere momenti terribili a causa di gravi incidenti che hanno costato la vita a numerosi piloti o li hanno resi definitivamente disabili. Una cosa strana però è che il mondiale che stiamo seguendo sta vivendo tanti di quegli eventi tragici che viene spontaneo chiedersi, per chi come me segue con passione il mondo dei motori, se siamo spettatori di un gioco di morte. E’ ironia della sorte quasi tutte le tragedie si sono consumate in un unico circuito, quello di Imola svoltosi il 1° maggio. Infatti durante i tre giorni di gara sono stati ben quattro gli incidenti gravi: venerdì, il pilota brasiliano Barrichello, alla variante Bassa, vola contro le protezioni, ma fortunatamente esce dall’urto quasi illeso; sa- bato, il pilota austriaco Roland Ratzenberger muore dopo un impatto violentissimo alla curva Villeneuve; domenica, durante la partenza alcuni spettatori vengono gravemente feriti da una ruota delle autovetture, successivamente anche la Minardi di Alboreto dopo il cambio gomme ai box perde una ruota ferendo alcuni meccanici. Già questa lunga serie di incidenti avrebbe dovuto interrompere la corsa, ma purtroppo i grandi interessi che erano in gioco non lo hanno permesso e la gara è continuata lasciando che avvenisse un’altra mostruosità: la morte di Ayrton Senna, sbattendo contro il muro della curva Tamburello. Già la morte di Ratzenberger aveva lasciato stravolto tutto il mondo della F1, ma quella di Senna ha toccato veramente il cuore di tutti ma non perché era il campione ma perché era la persona che più spesso ricadeva sotto il nostro sguardo, per coloro che seguono questo sport Ayrton era una figura familiare mentre Roland era la prima volta che lo vedevamo e se si è discusso più di Senna anziché di Ratzenberger è stato soltanto per questo motivo, è vero che entrambi erano degli esseri umani ma uno di loro lo conoscevamo da tanti anni ed era stato il protagonista delle nostre speranze. Personalmente non ero una tifosa di Senna, non ammettevo la sua folle corsa per ottenere la gloria a tutti i costi, un quotidiano ha scritto di lui che era nato per essere il numero uno, e lo è diventato ma ciò gli è costato la vita. Dopo tutto questo il dolore si somma alla rabbia e si ripropone, sempre più drammaticamente, il problema della sicurezza dei tracciati. Ma questa volta non sembrano essere loro i veri colpevoli ma piuttosto sotto accusa sono le autovetture, definite “missili che mettono a dura prova la capacità fisica di reazione dei piloti”. Infatti la loro potenza è aumentata notevolmente e nello stesso tempo le modifiche aerodinamiche, l’eliminazione dell’elettronica con le sospensioni attive, hanno accresciuto l’instabilità delle macchine e di conseguenza i rischi. Nel Gran Premio successivo a quello di Imola, svolto a Monaco, un’altra sventura segna la gara: Wendlinger a causa di un grave incidente entra in coma profondo e solo in questi giorni sembra che ne sia uscito. Ma quello che sembra più strano è che si faccia molto poco per cercare di ovviare a queste disgrazie. I piloti cercano di aiutarsi come meglio possono e lottano contro quelle figure maggiori che hanno voluto che la F1 si “mondanizzasse”. Nel Gran Premio che si è svolto in Spagna (dove peraltro un giovane pilota ha subito un altro incidente) gli stessi piloti hanno preso alcune misure di sicurezza, facendo costruire una variante di gomme in una curva piuttosto veloce, una sorta di zona di rallentamento per le vetture troppo veloci. Ma tutto questo non basta, è ancora lontano ciò a cui i piloti aspirano e senza dubbio davanti a loro avranno dure battaglie da combattere ma devono cercare di uscirne vittoriosi; solo così la morte di Ratzenberger e di Senna avrà un motivo.r Giugno '94 La F.1 Circo dei motori o circo di denaro? di Carmelo Ficarra ggi il circo dei motori è offuscato da un giro di denaro che lo circonda aumentandone lo spettacolo. Certe persone direbbero: “Ma come lo spettacolo dovrebbe diminuire, no invece! Perché con gli sponsor la macchina deve essere più veloce e più competitiva ed alcune volte provoca dolorosi incidenti sia per il pubblico che per i parenti dei piloti.” Le morti di Senna e Ratzenberger sono soltanto dei piccoli esempi di quello che potrebbe succedere, senza dimenticare Vendlinger uscito dal coma in seguito a un banale incidente sul circuito di Montecarlo. Sull’incidente di Ratzenberger si è parlato poco a confronto di quello di Senna, egli si è schiantato a 314 Km/h e tutto ciò si pensa sia dovuto ad un pezzo di alettone staccatosi nel rettilineo che precedeva la curva assassina “Villeneuve - Imola”. Il suo collega Senna si è fatto conoscere anche dalla morte e la notizia dell’accaduto ha riempito per giorni interi i giornali di tutto il mondo e specialmente quelli italiani e quelli brasiliani. Si è detto fino ad oggi che la colpa è della pista, ma maggiormente questa è dei dirigenti della F.I.A. (Federazione Internazionale Automobilistica). In questo articolo molto breve non c’è molto da dire, perché voi lettori in questo momento che lo state leggendo saprete e avete commentato tutti gli incidenti accaduti fino ad ora. Perciò lo scopo di questo era più che altro far capire al pubblico il “giro di soldi” che c’è nella F.1 e in tutti gli sport esistenti nel mondo; io personalmente vedo questo circo dei motori molto affascinante, ma allo stesso tempo molto pericoloso. r O 11 Il Nicodemo TELENOVELAS: SCENE DA UN SOGNO di Patrizia Donato on so quanti di voi abbiano fatto l’esaltante esperienza di seguire un teleromanzo in televisione. Francamente, data la loro ossessiva presenza sugli schermi e la pressante pubblicità che li attornia, è difficile non rimanerne intrappolati. La mia insegnante, al liceo, ci diceva sempre che non importa quali programmi si seguono in televisione, purché lo si faccia con lo spirito giusto, quello, non di semplice ascoltatore passivo, bensì di un attento ascoltatore, critico e aperto. E sotto Katherine Kelly Lang nel ruolo di questo profilo, seguire un teleromanBrooke per Beautiful. zo come “Beautiful” è una delle esperienze più istruttive fra quelle televisive: più di uno stesso Quark di Pie- spettatore che non si sofferma alle apparenze: tutto rimane in quel modo, le ro Angela. Gli impegni della giornata sono tanti, azioni, i gesti sono tutti finalizzati ad ma alle 13,45 il mondo intero si ferma, esso, tanto che la semplicità di un gesto tutto tace: inizia “Beautiful”, 856° punta- quotidiano come fare la spesa e la coda ta! E non importa se è ora di pranzo, se all’ufficio postale è impensabile, perché squilla il telefono e, che rabbia, se, a ta- suonerebbe quasi come un insulto di vola, qualcuno cerca di dialogare distra- fronte a tanta perfezione. endoti durante una scena importantissima, E, contrariamente a quanto si potrebproprio quella che aspettavi da giorni. be pensare, la vera violenza di certa teleQuesto genere televisivo è chiaravisione non è tanto da ricercarsi nei falsi mente rivolto ad un certo tipo di pubblisentimenti nei continui tradimenti, nella co, che esige dallo schermo stimoli ben precisi, infatti, il tutto è presentato sotto mancanza, a volte, di un senso logico un profilo marcatamente estetico, fina- realistico degli eventi, quanto quella velizzato a colpire lo spettatore, il quale, lata accusa di non essere perfetti. Tutto questo, in uno stillicidio di di fronte a tanta perfezione, non ha dubmovimenti: la scena manca completabi, non si ferma neanche a riflettere. mente di dinamismo tanto che, un diaGià lo stesso titolo “Beautiful” (Meraviglioso) risponde a questa esigenza. I logo della durata media di 3 - 4 minuti, protagonisti sono, ovviamente tutti bel- dura 3 - 4 puntate da venti minuti cialissimi, d’altronde, qualche donna, inse- scuna: non fai in tempo a sederti che la guita dagli anni e dai problemi di ogni puntata è già finita e non vedi l’ora che giorno, non ha desiderato, almeno una arrivi l’indomani per inchiodarti nuovavolta, che, morbidamente, si adagiano mente davanti allo schermo. Ma la tua su delle spalle seducenti e uno sguardo pazienza è ricompensata: il venerdì, alle così penetrante da lasciare folgorata 20,30 una puntata inedita di ben “due metà dell’umanità? ore” ti aspetta su rete quattro. Per non parlare poi delle abitazioni, E non dimenticare l’ 144 - linea attrici, chalets per le vacanze invernali e “Beautiful”, per chiedere informazioni ville fornite di piscine, palestra e persisui protagonisti del tuo serial televisivo; no la sauna! E che dire degli abiti? Ma per forza devono essere belli: la domanda della settimana è: «Sappiamo tutti di quali intrighi è capace Schisono tutti stilisti! In tutto questo “Beautiful” una nota la, ma, nonostante tutto, è veramente r dissonante non sfugge, però, ad uno innamorata di Eric?» N 12 Il Nicodemo N. 25 Una gita da ricordare di Micaela Parisi on è certo facile fare la cronaca precisa di una giornata in cui abbiamo visitato diverse località, tutte con caratteristiche degne di nota; ma l’aspetto che più mi ha colpito di questa gita è stata la relativa vicinanza fra loro di queste località, quasi fossero state messe lì proprio per facilitare una visita che le comprendesse tutte. L’appuntamento per i partecipanti era fissato alle 3:45 del mattino in piazza Municipio e al mio arrivo, per la verità un po’ in ritardo, ho trovato tutti ansiosi di partire e per niente vinti dal sonno. Dopo l’arrivo del pullman siamo partiti verso le 4:10 e procedendo ad una velocità “andante ma non troppo” siamo giunti dopo circa cinque ore alla prima tappa del nostro viaggio: Trapani. La città ci ha accolto con quella tranquillità tipica dei grandi centri nei week-end e soprattutto di domenica mattina: sembrava quasi fosse addormentata e si stesse svegliando, proprio come noi, gradualmente. Ci siamo fermati davanti al Santuario dell’Annunziata in cui alcuni di noi hanno partecipato alla Santa Messa, mentre altri hanno fatto un giro nei dintorni per sgranchirsi le gambe. Subito dopo ci siamo ritrovati tutti nel piccolo parco antistante la Chiesa, dove molti si sono scatenati con le macchine fotografiche, nell’attesa della guida che ci avrebbe accompagnati per l’intera giornata. Appena arrivata, ci ha condotto al “Museo Pepoli”, che si trova proprio all’interno del parco. Non so cosa si aspettasse ognuno di noi, ma quello che siamo riusciti a vedere è andato sicuramente al di là delle nostre aspettative. Trapani si è sempre caratterizzata nei secoli come città di mare abitata da pescatori ma soprattutto facilmente raggiungibile, attraverso i suoi due porti, da numerose genti che hanno portato una ricchezza di esperienze che è emersa proprio dalla nostra visita al museo. L’attenzione di tutti noi si è riversata soprattutto sulla raccolta di gioielli di alto valore e lavorati in modo minuzioso che, sotto forma di dono votivo, venivano offerti alla Madonna dell’Annunziata dalle nobili famiglie spagnole del tempo perché Ella proteg- N gesse le navi impegnate nella pesca, soprattutto del corallo. E proprio di questo materiale sono altri pezzi importanti del museo, fra i quali un piccolo Crocifisso ed una lampada ad olio dello stesso artista, Fra Matteo Bavera. Procedendo poi per le varie sale del museo abbiamo ammirato dei pavimenti in maiolica di età molto antica che conservano dei colori quasi originali; la Erice: Il campanile del Duomo guida ci ha fatto notare che uno di essi illustra la “mattanza dei tonni”, una delle attrattive principali della provincia di Trapani, che si svolge negli ultimi giorni di maggio nelle acque antistanti l’isola di Favignana. Appena usciti dal museo e saliti sul pullman ci siamo diretti ad Erice, distante circa una mezz’ora da Trapani. Anche qui la breve visita ci ha rivelato luoghi incantevoli, a partire dalle caratteristiche viuzze della cittadina, fino alle antiche costruzioni delle diverse Chiese e del Castello. Arrivati in cima al monte su cui è posta Erice abbiamo potuto ammirare un panorama bellissimo costituito dagli agglomerati urbani di Marsala e Trapani, dalle saline di quest’ultima e soprattutto dalle isole Egadi: Favignana, Levanzo, Marettimo. Verso le 14:00 ci siamo concessi un meritato riposo e nel verde della pineta di Erice abbiamo consumato la nostra colazione a sacco e ci siamo preparati per la prosecuzione della gita. La successiva tappa infatti è stata la visita alle saline, costituite dalle vasche per la desalinizzazione delle acque e dai mulini a vento che, prima dell’industrializzazione del settore, erano serviti per pompare l’acqua da una vasca all’altra. Proprio all’interno di uno di essi si trova un piccolo “museo del sale”, in cui sono conservati i vecchi attrezzi del mestiere usati più di cinquanta anni fa. Subito dopo ci siamo recati a Segesta, che ci ha accolto nell’incanto dello splendido tempio dorico, conservato quasi perfettamente da più di 2000 anni, immerso nella natura che lo circonda e parte integrante di essa, perché la valorizza e la rispetta. Sempre nell’antica città della Magna Grecia abbiamo ammirato il Teatro Greco, anch’esso quasi intatto e attorno al quale continuano gli scavi archeologici impegnati a cercare altre testimonianze di civiltà passate. Al termine di questa bella e impegnativa giornata, abbiamo salutato calorosamente la nostra bravissima guida che ha dimostrato amore per il proprio lavoro, spiegando approfonditamente ogni dettaglio dei luoghi da noi visitati. Vorrei ora concludere con una breve riflessione: sia all’andata che al ritorno del nostro lungo tragitto abbiamo percorso quel tratto di autostrada in cui hanno perso la vita i giudici Giovanni Falcone e Francesca Morvillo e gli agenti Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo, Vito Schifani. La nostra terra è spesso ricordata esclusivamente a causa dei tragici fatti di mafia che vi accadono e questo avviene forse anche a causa nostra perché nel corso degli anni non abbiamo saputo valorizzare le risorse turistiche di essa e non ci siamo mai riscattati dalla rassegnazione. Luoghi come quelli che il nostro gruppo ha visitato devono insegnarci ad amare la nostra regione e a difenderla da chi l’ha sempre insanguinata. r Giugno '94 13 Il Nicodemo Appunti di moda di Emanuela Fiore ccoci al primo appuntamento semestrale con le nuove collezioni moda, per “fare il punto" sulle tendenze e sulle indicazioni che vengono dal mondo degli addetti ai lavori. Noi della redazione del NICODEMO abbiamo pensato di capovolgere per una volta la situazione e di fare una piccola indagine “semi-seria”, chiedendo direttamente l’opinione ad alcuni protagonisti: i bambini. Com’è il tuo vestito ideale? Abbiamo chiesto a qualche piccolo amico. Paola, 9 anni, non ha dubbi: è a fiori rosa, con una bella cintura e fiocco e la gonna larga, dice. Andrea, 7 anni, invece ama i pantaloni un po’ larghi e i maglioni con la camicia che spunta sotto. Francesco ha quasi 4 anni e non ha ancora un’opinione definita ma si separa malvolentieri dalle sue maglie coloratissime. E’ soltanto un mini test, ma se ne può dedurre che la moda proposta dagli stilisti è proprio a misura di bambino ed è studiata in base alle loro esigenze pratiche ed ai loro gusti. Infatti, se ogni collezione si caratterizza per la gamma dei colori scelti ed accostati con la più ampia libertà (e si spazia dai superclassici blu-rosso-verde alle tonalità naturali, dolci tinte vitaminiche e segnaletiche, ai morbidi melange pastello) sulle lenee di base c’è una E sostanziale coincidenza. Infatti per tutti si privilegiano le forme comode e destrutturate per l’abbigliamento destinato alle attività quotidiane, ma ci sono anche le proposte più speciali, a tutta eleganza... Così la donna 1994 ama vestirsi molto chic con eleganza femminilmente discreta. Esprime intenzioni di estrema semplicità e di moderazione mediata da scelte di tessuti finissimi e da una cura particolare per i dettagli e gli accessori, ama le linee scivolate ed essenziali o aderenti con la vita segnata, o a trapezio a partire dalla spalla. La sua gonna è in via ottimale, quat- tro dita sotto il ginocchio. Ha perso quella strizzata elasticità per farsi diritta, a pieghe, svasata. E’ ben modellata sul fianco per ben accostarsi a giacchini corti o comunque segnati da pinces e sciancrature. La giacca sempre protagonista si trasforma in tante proposte: corta, quasi bolero per ruoli eleganti, guarnita da bottoni gioiello e ricami, scivolata, con spalla piccola e manica sottile per il giorno e per la sera, da portare con tutto; allungata, classica, spesso a doppio petto. Molti i pantaloni, lunghi, corti, indossati in ogni occasione, dal mattino fino a notte inoltrata. Sono in tante versioni: il classico, con pinces, il verticale asciutto e il “palazzo”. Gli stilisti non hanno intenti di pura frivolezza, ma vogliono interpretare i desideri delle donne nei momenti più diversi della loro vita quotidiana: scelte articolate per tutte le esigenze. Una prepotente voglia di tagli essenziali caratterizza invece le ultime tendenze per la moda maschile. Libero sfogo così alle fantasie sempre nel campo del lineare, del pulito. Con possibili trasgressioni, naturalmente eleganti, per quanto riguarda anche gli accessori. L’importante è che i tessuti impiegati non trasgrediscano mai le aspettative: qualità e originalità, in prima fila. r FESTA DEL GRAZIE: 22 Maggio Da alcuni anni, la festa della mamma è stata sostituita, nel nostro paese, dalla festa del “Grazie”. Con questo, le suore della Sacra Famiglia, che tanto si prodigano per i ragazzi, vogliono far dire “grazie” non solo alle mamme, ma a tutti coloro che partecipano alla crescita e alla formazione dei ragazzi. Quest’anno la festa del “Grazie”, svoltasi nel nuovo salone-teatro dell’Istituto S. Francesco Caracciolo domenica 22 maggio, si è basata su un recital che si ispirava alla Sacra Famiglia, essendo appunto questo l’anno dedicato alla famiglia. E’ stato molto significativo tutto l’insieme, emozionatissimi i giovanissimi interpreti guidati anche da Marzia Tuttocuore, e mi auguro che i ragazzi stessi ed i loro genitori facciano tesoro di queste esperienze, fondano quindi le loro famiglie sull’esempio della famiglia di Nazaret. Grazie alle suore che ci hanno offerto l’opportunità di stare insieme piacevolmente ed in modo istruttivo. r Nerelli Orsola e Leonardo Capilli Nei primi giorni del mese di maggio suor Barbara è venuta nella nostra classe, ella ci ha invitati a preparare alcuni canti e una recita sulla “famiglia”. Nei giorni di lunedì e venerdì, con assiduità, serietà e tanta voglia di riuscire ci recavamo nel salone dell’istituto S. Francesco Caracciolo, dove Marzia, una simpatica ragazza, ci ha preparati alla recita. Domenica 22 c.m., alle 17:30, alla presenza di molte persone e tra esse i nostri genitori, il Sig. De Gregorio ha presentato lo spettacolo. La recita è ben riuscita, gli spettatori hanno applaudito e noi felici ricorderemo sempre questa meravigliosa esperienza. Con tutto il cuore ringraziamo quelli che ci hanno preparato. r Riccardo Ficarra e Fabrizio Cannistrà. 14 Il Nicodemo N. 25 Unione nella Musica Esiste ancora il pentagramma della vita come realtà da vivere con gli altri e per gli altri di Oriana Imbesi ibertà, uguaglianza, fraternità”, supremi ideali di cui si sente poco parlare. “Violenza, intolleranza, razzismo”. Non si parlò a d’altro. I telegiornali e i quotidiani, solo raramente riportano testimonianze di amore, di pace e di fratellanza. Credevo quasi di aver dimenticato l’intimo significato della parola “unione”; ora l’ho riscoperto. In Francia, al centro musicale Internazionale di Annecy, grazie ad uno stage di due settimane, ho avuto la possibilità di vivere una nuova esperienza, nella splendida cornice naturale che è l’Alta Savoia. Sempre sostenuta dalla fiducia e dall’affetto di altri miei colleghi e amici “L italiani, ho vissuto momenti indimenticabili e molto appaganti, ma anche di meno incoraggianti. Nelle situazioni più difficili, mettendo da parte il tipico egocentrismo pianistico, ci si incoraggiava a vicenda, e si riscopriva insieme una sincera e profonda umiltà, ahimè troppo spesso mancante non solo nei musicisti ma in ognuno di noi. Ad Annecy, ho imparato a conoscere meglio me stessa e gli altri, che erano solo pianisti francesi, ma anche giapponesi, russi, cinesi, tutti ragazzi che come me si accingevano ad affrontare con grande emozione, una prova molto importante. Non contavano le diversità di razza e di religione, perché tutti eravamo accomunati da una stessa passione, da uno stesso amore: “la musica”. Sul piano umano, non si badava alle differenti culture; era invece importante scherzare, ridere, capirsi, in un modo o nell’altro, magari con l’aiuto di un vagabondo e soprattutto non creare inutili barriere che potessero impedirci di comunicare normalmente. Le uniche diversità riguardavano esclusivamente la poliedricità delle interpretazioni pianistiche, molto personali e soggettive; da un lato la sensibilità musicale e il virtuosismo francese, dall’altro la calda partecipazione e la passionalità tipicamente mediterranea. Difficile sarebbe dimenticare tutto questo, tutte le emozioni, le gioie, le piccole conquiste, ma soprattutto quella naturale armonia, che in Francia, come a casa mia, mi ha semplicemente unito agli altri. r Una profonda passione Imparare a suonare uno strumento, imparare a suonare con gli altri è una grande scuola di vita di Angelo Tripodo i chiamo Angelo Tripodo, ho quasi quaranta anni, vivo e lavoro a Messina. Venti anni fa ho cominciato a suonare la batteria. Erano i primi anni `70, fortemente segnati dalle contestazioni del `68 ed il rock inglese e americano erano ancora il segno vivo e suggestivo della rivolta giovanile. Spesso dai palchi dei primi grandi raduni si inneggiava alla libertà e alla rivoluzione, c’erano tante illusioni e tanta ingenuità, ma anche tante speranze e tante idee. Poteva ancora succedere di mettersi a suonare per dare voce e concretezza ad una grande passione e non soltanto per andare alla ricerca di fama, soldi e successo. Vi dico questo perché oggi come ieri pensare di vivere in provincia soltanto di musica, al di fuori quindi dei canali ufficiali, è molto difficile e M può essere fonte di frustrazioni profonde e di piccole umane illusioni che rischiano di allontanarvi dalla realtà. Una grande profonda passione è l’unica vera assicurazione affinché l’intraprendere questa avventura (sia che si riesca a farlo professionalmente o no) divenga una fonte di arricchimento interiore ed un aiuto concreto per crescere meglio e con qualcosa di più da portarsi nel cuore e nella mente. Imparare a suonare uno strumento, imparare a suonare con gli altri è una grande scuola di vita. Un gruppo musicale è un piccolo laboratorio di rapporti umani, dove amicizia, solidarietà, competizione e capacità si intrecciano continuamente, sempre rispetto a un referente concreto: la necessità di fare musica insieme. Allora se suonare vi interes- sa veramente, basta che lasciate verificare gli eventi alle orecchie e al cuore, un brano o viene bene, o viene male, o non viene per niente. La musica può insegnare ad evitare le discussioni da bar o da piazza che servono soltanto agli stupidi o ai furbi, può insegnarci a parlare delle cose concrete che servono a dar corpo e sostanza alle vostre speranze e alle vostre idee. Imparare a suonare, è prima di tutto un impegno con se stessi, oltre a una grande voglia, richiede un grande spirito di sacrificio, ma riempie di gioia vera e profondo il cuore. Con la musica si può giocare, ma non si può barare; coloro che lo fanno, e sono tanti, tradiscono le vostre speranze con immagini false e suggestive di un mondo di successo e di potere, privo completamente di valori, di passione e di amore. r Giugno '94 15 Il Nicodemo Teatro a Siracusa L’AGAMENNONE di Pina Tuttocuore ue delle tre opere teatrali, che in questi giorni e per tutto giugno si rappresentano al teatro greco di Siracusa, appartengono alla produzione di Eschilo e sono l’"Agamennone" e il “Prometeo incatenato”. La prima tragedia è forse tra le più belle della storia del teatro, vi si trovano, infatti, elementi storici e mitologici coniugati in maniera particolarmente interessante. Mitologico è il motivo del ‘nostos’, del viaggio di ritorno, che è quello che Agamennone sta compiendo per raggiungere la sua patria, Argo. La tragedia si apre con la sentinella, posta sul tetto, che avvista il segnale di fuoco mandato dal re per annunciare il suo arrivo. Dopo dieci anni di guerra tutta la città è in attesa di Agamennone, Clitennestra in particolare, pronta a vendicarsi del marito che, pur di permettere alle navi achee di partire per Troia, non ha esitato a far sacrificare la figlia. In scena c’è ora il coro, costituito da vecchi argivi, essi, non ancora informati della lieta notizia, rivivono i tragici momenti dello scoppio della guerra, ne rivedono i motivi, i presagi, il sacrificio di Ifigenia. Il clima non è molto adatto ad accogliere un re che ritorna trionfante dalla guerra, infatti, sembra quasi che un’aura di sospensione inizi a penetrare nella reggia, preannunciando le dolorose vicende future. Fa il suo ingresso la regina, tutta felice, ma i motivi della sua gioia non sono quelli apparenti: la donna che ha atteso lungamente il ritorno dell’uccisore di sua figlia, potrà finalmente vendicarsi; nessuno ad Argo conosce il suo progetto, nessuno a parte Egisto, amante di Clitennestra, che però, apparirà solo al termine della tragedia. Quale migliore vendetta che il ripagare con la stessa punizione il colpevole? La regina, infatti decide di uccidere Agamennone, ma soltanto dopo avergli fatto credere di essergli rimasta fedele e di amarlo ancora, nonostante egli abbia portato con sé Cassandra, una prigioniera di guerra. Agamennone è, dunque, giunto ad Argo, non sospetta nulla, non ha alcun D dubbio sulla buona fede della moglie; accetta addirittura, su insistente richiesta di Clitennestra, di calpestare i tappeti di porpora, chiaro segno di hybris, di tracotanza nei confronti degli dei. La regina è abile nel simulare, nel tessere trame di lodi ipocrite e nell’ingannare tutti; soltanto Cassandra, la profetessa di sventure mai credute, riesce a leggere la verità e a prevedere, in un momento carico di pathos, la sua sorte e quella di Agamennone. Anche la schiava entra nella reggia e la scena si svuota, lasciando spazio ad un bellissimo canto: “Oh, la sorte degli uomini! E’ come il sogno di un’ombra tre il dio non manda il dolore perché prova invidia della felicità umana, anzi il suo atto è dettato dall’amore per gli uomini, in quanto soltanto attraverso il pathos “dolore”, essi potranno giungere al mathos “la conoscenza”. L’adattamento moderno, che il regista De Simone ha fatto della tragedia, ha colto di sorpresa un po’ tutti; innanzitutto per la coraggiosa –anzi azzardata — scelta dei costumi, ma soprattutto per l’interpretazione delle parti corali. A dire il vero questa rende un po’ difficile la comprensione del testo: il coro ha in Eschilo un ruolo fondamentale e privare a priori la tragedia di tale sup- Il ritorno di Agamennone in patria (J. Flaxman) la loro felicità. Se viene sventura, anche quel sogno svanisce come tratto di umida spugna cancella un dipinto. Dolore e pietà. Della buona fortuna nessuno dei mortali è sazio; nessuno c’è che a felicità, dalla soglia della casa levando la mano, ‘no, non entrare’ dica, e la tenga lontana.” E’ questo il momento più drammatico dell’intera tragedia, si sentono delle urla provenire dall’interno della reggia (sostituite, nella rappresentazione moderna, dal suono delle campane): Clitennestra ha compiuto la sua vendetta. I coreuti comprendono immediatamente l’accaduto e rimproverano aspramente gli artefici del delitto, ma questo non è che l’inizio di una catena di morti (infatti, nelle “Coefore” e nelle “Eumenidi”, le altre due tragedie della ‘trilogia legata’, si assisterà ad una lunga serie di omicidi), tutte necessarie perché si possa giungere a ristabilire quell’ordine cosmico fatto di rispetto assoluto dei diritti degli altri e delle leggi divine. Inol- porto significa quasi mutilarla. Forse ci sarà anche chi apprezzerà il fatto che le basi musicali si alternino dal genere gregoriano al jazz, e forse a molti farà piacere vedere sfilare i protagonisti in costumi tribali, d’altronde la cristallizzazione di forme artistiche non avrebbe alcun senso; al contrario è necessario interpretare in maniera originale e attualizzare un’opera artistica del passato. Soltanto: che senso avrebbe ricreare ai nostri giorni le braccia alla Venere di Milo? r Pina Tuttocuore, insieme ad una sua compagna di classe Gaia Di Bella, è stata segnalata seconda al concorso a Siracusa patrocinato dall’INDA (Istituto Nazionale del dramma antico) e indirizzato a giovani liceali di tutto il territorio nazionale. E’, quindi, con grande soddisfazione che porgiamo le nostre sincere congratulazioni a Pina e a Gaia. Il Nicodemo Per Maria Cutelli N. 25 Un ragazzo discute Cara indimenticabile maestra di Emanuela Fiore ulla, nulla si può dimenticare, tutto è impresso, scolpito nel cuore e nella mente, soprattutto quegli anni quelli che mi hanno permesso di gioire e di imparare, precisamente dal settembre ‘83 al 1988 frequentando le scuole elementari con l’insegnante Maria Picciolo Cutelli. Che creatura! Infinitamente buona, colta, intelligente, terziaria francescana. Non posso scrivere di lei senza disagio, ma sono direttamente sollecitata dalle avvertite esigenze di rivelare, dopo la sua morte, quanto di lei gelosamente conservo nell’intimo. Per questo mi accingo a scrivere su Maria Cutelli. No, cara indimenticabile maestra, non parlerò di te per esprimere giudizi, per dire quello che sei stata, come e perché hai operato in un certo modo, quali sono stati gli effetti della tua opera tanto silenziosa ed umile, e le lotte, le incomprensioni che ti hanno accompagnata. Carissima, parlerò invece, delle cose mie legate a te. E lo farò, con semplicità e verità, vincendo quella resistenza che genera la dolcezza di tenere tutto per sé. Oh no! Tu lo sai, non lo faccio di certo per il magro gusto di associare anche il mio povero dire a quanti hanno detto di te. Ma è doveroso da parte mia, per il bene ricevuto, mettere a disposizione questo mio granello per il tuo meditato agire. N Ricordo eravamo a primavera ‘87 e venti bambini facevamo parte della tua IV classe. Tra quei venti c’era anche Antonella, una nostra compagnetta, che non poteva avere la gioia di ricevere Gesù Eucaristia per ragioni famigliari. Ad un certo momento avesti una delle tue geniali idee, suggeritati certamente dalla premura e dall’affetto materno che avevi per noi: avresti fatto fare la prima comunione ad Antonella. Questo avvenimento ci ha riuniti nella Chiesa madre di Milazzo. Rimanemmo tutti comprensibilmente commossi, tu più di tutti. Poi ci furono confetti, focacce e rinfresco in un ristorante di Milazzo dove particolarmente gioiosa è stata Lucia, anche lei tua alunna che faceva parte dell’Istituto S. Francesco Caracciolo e che tu, durante i cinque anni di elementari, hai curato nella crescita e negli affetti. Era il tempo in cui la tua salute cominciava a venir meno. Le ansie e le sofferenze però erano intercalate sempre da quel tuo buon umore, che ti faceva distogliere il pensiero dal tuo soffrire. La tua bella voce di soprano cantava ultimamente solo per il Signore. Anche adesso che sorella morte ti ha spalancato il Regno dei cieli, non ha interrotto anzi ha infittito il dialogo fra te e Lui, e noi certi di questo continuiamo ad ascoltare, imparare, apprendere... r L’A.S. “BLUE STARS” PROPONE A RAGAZZE (minimo 14 anni) ALLENAMENTI SERALI DALLE 20.30 ALLE 22.30 c.a OGNI MERCOLEDI’ E VENERDI’ NEL CAMPO SPORTIVO DI GIAMMORO PER EVENTUALE FORMAZIONE DI UNA SQUADRA DI SOFTBALL (baseball femminile). PER INFORMAZIONI RIVOLGERSI A: JOSE’ SCHEPIS FRANCA CALDERONE PINA TUTTOCUORE SIMONA ARAGONA 9339090 933062/933427 933256 933443 di Gianluca Busacca e sostanze stupefacenti, venivano usate sin dai tempi antichi, e questo lo dimostrano gli esperti che studiano questo grosso problema che riguarda tutto il mondo: la “droga”. Gli esperti dimostrano che già al tempo degli egiziani veniva usata una droga per lenire le malattie e il dolore durante le operazioni, questa sostanza velenosa veniva chiamata oppio. In pochi decenni (o forse ancora meno) l’oppio cambiò sistema, quello che veniva chiamato oppio si trasformò in droga e non fu più usata per lenire i dolori ma fu usata per provare piacere. In tal modo si diffuse quasi in tutto il mondo, trasformandosi in una sostanza pericolosa e mortale. Il fenomeno droga, tuttavia, è oggi completamente diverso che nei secoli passati. Per il drogato si allontanano i problemi della vita: il lavoro, il rapporto familiare e sessuale, il futuro, vivendo secondo lui in un mondo inutile e crudele. Egli vive con gli altri ma senza gli altri. E’ come una favola: “La bella addormentata nel bosco”, misteriosa e preoccupante. In un programma televisivo ho sentito dire: «A noi piace morire non subito ma a poco a poco». Queste sono parole che ci spaventano, ci turbano e credo anche che ci aiutano a riflettere su quella sostanza che si chiama droga. In moltissimi giovani, adolescenti, nel momento in cui la assumono per la prima volta, scatta un processo che porta all’autodistruzione del loro organismo. Da quel momento il ragazzo dipende soltanto e solamente dalla droga, intendendo così deliberatamente autodistruggersi. Ma in realtà l’autodistruzione sarebbe una finzione, il giovane colpendo se stesso, vorrebbe punire gli altri come i genitori, la scuola, i professori, la società. Io non credo che un adolescente di normale salute, con interesse di studio, di lavoro, di relazione sociale vada da sé alla droga. Il problema diventa completamente diverso se qualcuno, in un momento particolare e sotto la forma di un allettamento, offre la droga a quell’adolescente. E’ questa la strategia di come anche un ragazzo normale viene attirato dalla droga. r L Redazione e stampa presso Parrocchia S. Maria della Visitazione - Pace del Mela - Anno III n. 25 - 5 Giugno 1994 16