Sono una voce che grida nel deserto.

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Sono una voce che grida nel deserto.
14.12.08 – III AVVENTO
Sono una voce che grida nel deserto.
Gv 1,6-8.19-28
Ogni giorno cerco di leggere il giornale. Abbondano sempre articoli che raccontano come non sia
infrequente trovarsi in situazione di abbandono (un caso “ospedaliero” su Specchio dei Tempi), di
sfruttamento (come essere sottopagati lavorando nei bar), di furto continuato a danno dei più deboli
ecc. Uno spaccato della società, decisamente deprimente. Ci sono sempre anche racconti di
giovani vite spezzate, di innocenti travolti dalla cattiveria umana. Dopo la lettura di queste notizie
viene spontaneo affermare che questo mondo è proprio una valle di lacrime. Certo lacrime di dolore
troppo spesso si insediano prepotentemente nella vita di tante persone. Ma perché? A questa
domanda dobbiamo dare una risposta altrimenti diamo ragione a Saint Exupery che nel Piccolo
Principe afferma: “Gli uomini? Non si sa mai dove trovarli: il vento li spinge qua e là. Non hanno
radici e questo li imbarazza molto”.
Uno dei motivi che mi ha fatto desiderare ardentemente di essere sacerdote è pensare che avrei
potuto aiutare le persone ad amare e accettare la vita così come è. In seminario, avrò avuto quindici
o sedici anni, i miei compagni mi prendevano in giro perché io ripetevo spesso: ”E’ la vita”. Già
allora mi dava fastidio che molti, dopo tanto studiare storia e antropologia, dopo tanto parlare di
volontà di Dio e dopo tanto aggrapparsi a “maestri” di sapienza, si dimostrassero poi così
sprovveduti di fronte agli avvenimenti umani. Ma la realtà è proprio tanto difficile da interpretare?
Perché la vita ogni volta sembra coglierci di sorpresa? La risposta al problema “insoluto” della
sofferenza per me non dipende dal credere o meno in Dio. Se Dio non esistesse io continuerei a
credere in ciò in cui in questo momento credo e continuerei a comportarmi allo stesso modo. Per
me, noi soffriamo inevitabilmente perché non siamo onnipotenti e non essere onnipotenti significa
tutta una serie di conseguenze drammatiche per noi umani. Soprattutto che soffriamo e facciamo
soffrire altri. Inevitabilmente. Di questa non-onnipotenza tutti facciamo esperienza nella vita anche
se in maniera diversa e tutti, nessuno escluso, un giorno faremo l’esperienza radicale della nostra
non-onnipotenza, cioè moriremo.
Posso filosofeggiare tutto quello che voglio, posso dire che è colpa del diavolo, posso bestemmiare
Dio, ma la realtà non cambia. Noi non siamo onnipotenti e dimenticarlo è causa di tanta ulteriore
sofferenza. Bisogna accettare la condizione umana, cioè la nostra non-onnipotenza. Questo è
l’unico segno di “saggezza” che a volte nemmeno le religioni insegnano, forse perché temono di
perdere consenso e potere. Tutti quelli che si sono preoccupati della nostra educazione religiosa e
umana si sono mai preoccupati che conoscessimo la realtà della vita in modo che fossimo attrezzati
a rispondere alla vita così come è veramente, non a quella delle favole o dei sogni, dei riti e delle
cerimonie, delle risposte prefabbricate e delle preghiere miracolistiche?
Io prima di andare all’Ospedale Regina Margherita di Torino non conoscevo completamente la
vera vita. Essere stato davanti alla morte, a causa di un incidente in macchina, nel gennaio del 1973
mi aveva obbligato a dare una risposta al perché della mia sofferenza. Eppure intuivo che mi
mancava ancora l’esperienza vitale, la risposta completa e definitiva che avrebbe annullato le altre
risposte, tutte “classiche”, ma anche tutte “teoriche” e parziali. Adesso, dopo venticinque anni di
ospedale, sono certo che posso accogliere il dolore di tutti perché la verità della nostra vita è che noi
non siamo onnipotenti, non lo saremo mai e sperimentarlo ogni giorno è la causa della nostra
sofferenza. Possiamo augurarci che la nostra non-onnipotenza non ci faccia soffrire troppo,
dobbiamo certo lottare contro tutte le sofferenze, abbiamo tutti i diritti di dire che questa
nononnipotenza
non ci piace e che forse era meglio non nascere, ma essa è l’unica realtà della vita ed è
dobbiamo accettarla, visto che scegliamo noi liberamente, non per obbligo, di continuare a vivere.
“Il dolore umano? Preferisco diminuirlo, invece di spiegarlo”- così scriveva Malraux. Noi non
possiamo evitare che i bambini continuino a morire, ma possiamo fare tanto, perché, ad esempio, gli
ammalati diventino, come ripeteva Camillo de Lellis, “i nostri padroni” o perchè non si speculi sul
dolore di nessuno. Migliorare il mondo è completamente in nostro potere. Non sarebbe il caso che
avessimo come ci insegna ancora il Piccolo Principe “un po’ di radici, che non ci facessimo
spingere dal vento qua e là e che sapessimo tutti un po' di più dove ritrovare la verità delle cose?”.
Si chiamava Alexandra e, dalla vigilia. del primo compleanno, un tumore del tessuto nervoso. Ma.
anche una volontà di ferro, una voglia di combattere per gli altri bambini, straziati come lei dal
male: In 4 anni, grazie al suo baracchino per vendere limonate, ha raccolto 700 mila dollari ed è'
divenuta un'immagine notissima negli Stati Uniti e in Europa, dove i «chioschi delle limonate di
Alex» si sono moltiplicati “Quando avevo 4 anni chiesi alla mamma di mettere su un banchetto per
vendere limonate e devolvere il ricavato al "mio ospedale". Mamma mi rispose che sarebbe stato
molto arduo. Replicai: ''Non mi interessa; io ci provo lo stesso". E nel luglio 2000 ho raggranellato
2.000 dollari, Nel marzo 2001 siamo venuti nella zona di Philadelphia per sottopormi una nuova
terapia. Ho messo su un altro stand di limonate e ho racimolato 600 dollari per il mio ospedale. Nel
giugno 2002, ho piazzato un altro stand in memoria del mio amico Toireasa, e ho recuperato
18.000 dollari. Ora è stata istituita una fondazione dedicata alla "mia limonata" e nel giugno 2003,
nonostante una pioggia battente, la gente s‘è accalcata intorno al mio chiosco e ho accumulato
addirittura 200 mila dollari". La sua più grande vittoria, in realtà, è aver mobilitato il 12 giugno
scorso, la Pennsylvania e, a catena, l'intera America, il Canada, la Francia. Per questo i genitori di
Alex, pur nel dolore, sono fieri della loro bimba: «Si parla tanto - hanno dichiarato -della necessità
di avere un nobile scopo per cui battersi nella vita. Crediamo che nostra figlia abbia dato prova di
che cosa sia un nobile scopo>>.
Tra l’altro sono convinto per esperienza che le reazioni difensive risultano paradossalmente ancor
più dolorose del dolore al quale si cerca di sfuggire. Come dice R.D. Laing: ”nella vita c’è molta
sofferenza, e forse l’unica sofferenza che si può evitare è la sofferenza di cercar di evitare la
sofferenza. Ogni anno in Italia muoiono solo di cancro almeno 150.000 persone e 6.500 muoiono
per incidenti. Se crediamo che è colpa di Dio cacciamolo dalla nostra vita una volta per tutte. Ma se
questa è la “condizione umana”, troviamo la forza e il coraggio di amarla e di difenderla dalle
nostre paure e dalle nostra false sicurezze.
Egli non era la luce, ma doveva render testimonianza alla
luce.
Anch’io non sono la luce, Signore,
ma ho visto la luce
attraverso le fessure
della mia finestra sul mondo.
La luce era forte e dirompente,
a tratti fastidiosa per chi, come me,
non voleva perdersi nel suo abbraccio.
Eppure
la luce colorava la natura,
faceva splendere la bellezza,
ma svelava i segreti più nascosti.
La luce apriva le menti,
infervorava i cuori,
ma evidenziava le colpe.
La luce veniva da fuori,
veloce come il lampo,
senza bussare o preavvisare.
La luce non poteva essere
inventata, catturata, svilita.
La luce già c’era
e l’uomo poteva soltanto indicarla.
Così sei tu, Signore:
Luce che posso amare
e testimoniare perché altri ne fruiscano.
Luce che non sempre amo,
perché riempie di doni
che interpellano la responsabilità.
Luce che mi sfida a vivere pienamente,
perché la gioia si moltiplica dividendola con gli altri.
Ricordami sempre
che un cristiano racconta e vive di Te,
consapevole di brillare - quando riesce - di luce riflessa.
Caro Antonio,
quando penso a te provo grande stima, ma anche alcuni interrogativi. Mi stupisce che un ragazzo della
tua intelligenza e sensibilità si perda in alcune “cavolate” che rimangono nella mia memoria e in quella di
giovani ed adulti che ti conoscono. Io credo nelle tue potenzialità, nel tuo spirito critico, nella voglia di
filosofeggiare a 12 anni. E credo che le ombre sono soltanto passeggere, fanno parte di chi sta salendo
una montagna di fretta, rischiando di perdere di vista il sentiero.
E’ questa l’unica grande attenzione che devi fare: avere ben chiara la meta e deciderti risolutamente
per il tuo bene. E’ quello che ai campi estivi chiamano “vocazione”. Per questo il Vangelo di oggi parla
anche a te: “Chi sei?”. E’ questa la domanda fondamentale.
In essa ci sta il passato che ti ha costruito e il futuro che ti aspetta. In essa ci sta la tua professione,
quello per cui sarai ricordato, i valori che fonderanno le tue scelte.
Scoprirai che ogni esperienza può essere raccolta ed reinterpretata, fornendoti segnali chiari per il tuo
futuro, per consolidare la felicità che ognuno desidera.
Cosa c’entra Dio in tutto questo? Lui ha regalato agli uomini la vita, Lui rafforza la loro capacità di
trovare il Bene, Lui veglia su di essi e garantisce un posto per tutti nella sua Casa, nel suo Regno, nel suo
Paradiso.
Lui adesso sta facendo il tifo per te, cosparge il tuo cammino di segni, ti chiede di sceglierLo anche se
non lo conosci ancora bene. Ti hanno detto che è Luce, quindi Conoscenza e Amore.
E, per un cercatore come te, la Luce è la cosa più preziosa.