jacques prévert e l`amore sospeso

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jacques prévert e l`amore sospeso
 ® F RONTIERA
DI
P AGINE
LETTERATURA CONTEMPORANEA
FRONTIERA DI PAGINE
POESIA CONTEMPORANEA
JACQUES PRÉVERT
E L’AMORE SOSPESO
DI ANDREA GALGANO
HTTP://POLOPSICODINAMICHE.FORUMATTIVO.COM
PRATO, 14 GIUGNO 2012
R
accogliere il tempo di Jacques Prévert
(1900-1977), frequentare i toni lievi del
suo magma, abitare la sua stanza precaria,
determina una vocazione che riconosce il limite
della sospensione, la cifra etica di un mondo
sospeso.
Se è vero, quello che sosteneva Montale sulla
condizione
fragile
e
precaria
dell’uomo
contemporaneo, Jacques Prévert, smalta il suo
sottile orizzonte nell’abbandono, nella solitudine
degli uomini, nello slancio di un anelito spezzato,
come furia di stagione: «A digiuno sperduta
assiderata / tutta sola senza un soldo/ Ferma in
I
piedi una ragazza / Età sedici anni / In Place de la Concorde / Il quindici agosto a
mezzogiorno.»
Il passaggio dei suoi contorni è un flusso di rapide aperte alla pietas di un’umanità franta
e splendente, alla contestazione di una disparità sociale, quasi di invettiva, che sollecita
regioni terrene e celesti.
Si è discusso, spesso non a torto, della semplicità essenziale di Prévert, citato e
balbettato per il suo lirismo boulevardier, quasi che l’essenzialità, il tocco improvviso e il
lineamento del verso, non percepisca il tono maturo dell’espressività, si fermi – in
sostanza – ad un impulso fine a se stesso, immediatamente fruibile e percepibile, come
annota acutamente Roberto Rossi Precerutti: “In altre parole, siamo di fronte a uno
spregiudicato e, talvolta, geniale contrabbandiere del poetico, un piccolo Re Mida capace
di trasformare il metallo vile della banalità quotidiana nell’oro non insopportabilmente
adulterato di una parola fresca e vitale, che dica tanto la pena della vita quanto il suo
irripetibile incanto. Georges Bataille scrisse che la poesia di Prévert è tale in quanto “in
se stessa opera aspramente la rovina della poesia”. La strategia è, infatti, estremamente
chiara: si tratta di far conflagrare il senso comune mediante il ricorso a imprevedibili
accostamenti fra le immagini”.
II
L’imprevedibilità e l’assunzione allo splendore della quotidianità è una risorsa incidibile
della sua poesia, laddove la comunicazione privilegia la spontaneità, l’allegria di una
figura vitale: «Felici gli innamorati / sulle montagne russe / E la ragazza dai capelli
rossi/ Sul suo cavallo bianco/ Felice il ragazzo bruno/ Che l’aspetta sorridendo/ Felice
quell’uomo a lutto/ In piedi sulla sua barchetta /Felice la donna grassa / Con il suo
aquilone».
Nel movimento della situazione, nell’atmosfera sospesa nell’incanto dell’incontro, vibra
l’autentico mondo che riluce di dignità, converte il frammento in un’elementarità, dritta
sui gesti e sugli atti.
Nello sperdimento della trama affettiva la gemma eterna delle relazioni sfronda il reale,
non obliandolo: la pagina si fa creatura.
L’elogio dell’animo adolescente, l’austerità del tratto maturo di chi si ama è un
pulviscolo di ricordi in piena, come fiato di pioggia e sparizioni:«Ricordati Barbara /
Pioveva senza tregua quel giorno su Brest/ E tu camminavi sorridente/ Raggiante rapita
grondante/ Sotto la pioggia (…) E t’ho incontrata in rue de Siam/ Tu sorridevi / E
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sorridevo anch’io (…) Piove senza tregua su Brest/ Come pioveva prima/ Ma non è più
così e tutto si è guastato/ è una pioggia di morte desolata e crudele/ Non è nemmeno
più bufera/ Di ferro acciaio e sangue / Ma solamente nuvole/ Che schiattano come cani
/ Come cani che spariscono».
Il tempo, luogo dell’incontro, come una città, che, anche nel languore umido della
pioggia, mette il suo abito migliore per salvare quella strada, quella piazza, quel vicolo,
nell’invisibile limpidità di una voce bassa, dove l’io riscopre l’istante eterno, vissuto in un
atomo di luce: «Tre fiammiferi accesi uno per uno nella notte/ Il primo per vederti tutto
il viso/ Il secondo per vederti gli occhi/ L’ultimo per vedere la tua bocca/ E tutto il
buio per ricordarmi queste cose/ Mentre ti stringo fra le braccia.».
La ripetizione e l’enumerazione sono il suo bassorilievo, che incidono, in un gesto di
slargo, la sua poetica di minute e fenomeni.
L’immagine, con le sue fervide sceneggiature e regie, determina lo sconfinamento nel
cinema (famose le sue collaborazioni con Jean Renoir e Marcel Carnè) di una parola che
fa vedere, che mostra, figurando inquadrature e movimento.
La luce inquadra la scena, gira il suo angolo acceso, come il cuore di Vincent: «La
giovane nuda sola e senza tempo/ Guarda il povero Vincent/ Che folgorato dal proprio
uragano/ Crolla sul pavimento/Steso nel suo quadro più avvincente/ E se ne va il
temporale pago e indifferente/ facendo rotolare i suoi barili di sangue/ L’accecante
uragano del genio di Vincent/ E Vincent resta lì e dorme sogna rantola/ E il sole sopra
il bordello/ Come un’arancia folle su un deserto senza nome/ Sopra Arles il sole/
Urlando gira in tondo»
La materia su cui plana il poeta è la superficie dell’amore: chiusa di linee, abbandono,
nostalgia che si infiora, la sofferenza di una corsa, la ricerca vagabonda di una figura
lontana, come incrocio che sorveglia il sangue.
L’amore, che si declina nella sera che cala, esplode nella gioia dell’origine, ascolta le sue
migrazioni di volto, richiede salvezza, promette e invita a felicità improvvise.
La sorpresa di un attimo forte e luminoso, come la leggerezza degli uccelli, si concede
all’estrema libertà di ciò che spontaneamente si offre, nella gioiosa nomenclatura del
cuore che compone le sue trame fervide.
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III
Le Paroles di Jacques Prévert misurano le esperienze passate – vedi surrealismo – in un
concerto nuovo, in un temperamento che porge la sua esperienza al mondo, con gli
oggetti che gli sono consoni e le proprie sfaccettature di qualità.
Sono sfaccettature di gemme che si impossessano dei frammenti della vita per
inanellarli, per elencare indizi di scenari che ritagliano esistenze.
Ed ecco che il linguaggio si imperla di quotidianità, percorre viali essenziali, chine di
discorso varie e instabili, dove l’io propone sentimento e cammino, come scrive Picon:
“La sua è una dizione più che uno stile … parla a seconda della parola che gli sale alla
bocca…scrive come si parla camminando”.
In Italia la sua poesia, pur avendo notevole fascino e diffusione, ha trovato in Sergio
Solmi, Carlo Bo, Nelo Risi e poi lo stesso Montale, per citarne alcuni, acuti osservatori
di una prospettiva poetica, che insiste sul ‘parlato’, per diventare universale, per viverlo
nelle coniugazioni di composizioni, doppi sensi, giochi, proverbi, e ironiche sentenze.
Quando l’amore, rauco di pioggia e sole, concede le sue profondità, l’anima colora il
mondo, si offre al teatro splendido e misterioso dell’amata, con le solitudini e le onde
commosse.
IV
Vittorio Sereni – che nelle sue peregrinazioni si è occupato del “caso” Prévert – ha
messo in luce come l’effetto sovvertitore
del poeta “abbia reso alla poesia – ferma
restando ogni riserva sui modi e sulla
natura del successo – una affabilità e una
facoltà di divenire familiare quale da tempo
essa non conosceva in così alto grado”.
La città di Prévert sparpaglia le sue luci,
celebra il suo èvènement, come canto
odoroso, come furia che incide la sua gioia
e si fa promessa.
In una profonda inquietudine e biografia
vive la sua anima: ponte acceso e sospeso
tra amore e guerra.
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