Tesi Versino su cinesi a Torino

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Tesi Versino su cinesi a Torino
Università degli Studi di Torino
Facoltà di Lettere e Filosofia
C.d.L in Comunicazione Interculturale
Indirizzo Sociologico
Tesi di laurea in:
Sociologia delle Migrazioni
CINESI DI SECONDA
GENERAZIONE A TORINO
Candidato:
Versino Paola
matr. 236770
Relatore:
Prof. Sciarrone Rocco
Sessione invernale
a.a. 2005 - 2006
Indice
Introduzione
Capitolo 1
La migrazione cinese all’estero
1.1
La situazione della Cina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.8
1.2
Cronologia dell’emigrazione cinese verso l’estero . . . . . . . . . p.11
1.3
L’Europa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.13
1.4
L’Italia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.18
Capitolo 2
La questione delle seconde generazioni
2.1
Uno sguardo d’insieme . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.23
2.2
Problemi di metodo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.27
2.3
Il caso italiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.29
2.4
’Focus on’: le seconde generazioni cinesi in Italia . . . . . . . . p.32
Capitolo 3
Cinesi a Torino
3.1
Ritratto in breve . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.38
3.2
I dati dell’osservatorio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.41
3.2.1
Residenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.41
3.2.2
Il lavoro autonomo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.44
3.2.3
La scuola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.47
2
3
Capitolo 4
La ricerca esplorativa
4.1
La (difficile) ricerca dei contatti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.50
4.2
L’importanza della scuola e il lavoro autonomo . . . . . . . . . . p.52
4.3
La competenza linguistica e la comunicazione in famiglia p.56
4.4
I due nomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.59
4.5
Gli amici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.61
4.6
Il rapporto con il paese d’origine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.62
4.7
Il processo di attribuzione identitaria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.63
4.8
L’associazione e la comunità cinese di Torino . . . . . . . . . . . . p.64
4.9
Strane usanze e divieti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.67
4.10
Un valore ridimensionato: il risparmio . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.70
4.11
Temi politici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.71
Capitolo 5
Considerazioni conclusive
5.1
Prove di associazionismo in rete: associna.com . . . . . . . . . . . p.75
5.2
Tirando le fila . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.79
Bibliografia
Introduzione
‘Negli ultimi vent’anni un paese patria di quasi un quarto dell’umanità, la Cina, sta crescendo a ritmi del 10 per cento l’anno. [...] Una
crescita tumultuosa, senza precedenti nella storia umana... [...]
La Cina sta cercando di entrare nel mondo moderno adeguandosi ad
un modello di sviluppo occidentale ma anche portando nuove prospettive e certamente causando uno spostamento dell’equilibrio economico
internazionale. Tutto il mondo è trasformato da questo processo di
cambiamento... [...] Quello che è certo è che il Mondo dovrà adattarsi alla Cina e la Cina dovrà superare la tentazione di considerarsi un
mondo a parte. L’Occidente e l’Europa in particolare devono svolgere
un ruolo incisivo per non farsi travolgere e per gestire una transizione
che può avvicinare due culture diverse o generare conflitti dagli esiti
devastanti...’
Con queste parole si apre l’introduzione di Luca Cordero di Montezemolo
all’acuto saggio di Francesco Scisci, corrispondente de La Stampa a Pechino,
dal titolo Chi ha paura della Cina1 .
Sono d’accordo sul fatto che Occidente e Cina siano due mondi che si stanno
avvicinando sempre di più, volenti o nolenti, spinti da forze economiche e
sociali a cui non è facile sottrarsi, e credo che questo processo di avvicinamento vada gestito con molta consapevolezza, ‘prendendo in mano il timone’
per non correre il rischio di imboccare rotte dall’approdo incerto. La stessa
cosa vale, ancor di più se possibile, per l’Europa e l’Italia in particolare.
E i mediatori di questo difficile incontro-scontro con il gigante cinese saranno, necessariamente, i giovani immigrati cinesi. Già oggi gli studenti cinesi
1
L.Cordero di Montezemolo, Prefazione, in F.Scisci,Chi ha paura della Cina, Ponte alle
Grazie, Milano, 2006, p.5.
4
5
in Italia sono molto richiesti da aziende, agenzie di viaggio, agenzie di stampa e giornalistiche, ma scarseggiano terribilmente.
‘Nel 2003 gli studenti cinesi erano meno di seicento, un’inezia rispetto
alle decine di migliaia presenti in altri paesi europei, per non parlare
degli Stati Uniti. Per compensare questo vuoto strutturale si sono fatti
dei passi, ma ancora una volta dei passi non strutturali. Si sono messe
delle pezze, ma non è stato affrontato il problema principale: le università non hanno incentivi, quindi non sono interessate ad avere un numero maggiore di studenti cinesi. [...] Il problema non è stato affrontato perché tocca molti nervi scoperti del nostro sistema dell’istruzione; e
ancora una volta dimostra la strettissima interdipendenza di questioni
interne e internazionali. Per arricchirsi [e per stare al passo coi tempi] l’Italia deve andare in Cina; ma per farlo ha bisogno di cinesi che
conoscano l’Italia; ma perchè ciò accada occorre modificare il sistema
di istruzione universitaria2 .’
Dei passi si sono fatti, certo: ad esempio l’accordo firmato nel 2005 tra
Italia e Cina per il riconoscimento dei titoli di studio superiori; oppure la
prima istituzione, al Politecnico di Torino come in altre città italiane, di
corsi di laurea appositi per studenti stranieri. Di sicuro la strada da fare è
ancora molta, e richiede soprattutto una più generale svolta della politica estera italiana verso l’incentivazione dell’immigrazione di alto livello (‘skilled’)
rispetto all’attuale manodopera senza alcuna formazione (‘unskilled’).
Questo porterebbe dei generali benefici all’Italia, che avrebbe a disposizione
persone competenti per i rapporti, politici come economici e culturali, con
l’estero; gli italiani comincerebbero a percepire una figura del migrante diversa, degna di rispetto e ammirazione, non solo di carità, e questo gioverebbe in
generale a una convivenza pacifica e costruttiva nel nostro paese tra nazionalità diverse. Chissà, forse consentirebbe anche uno sblocco, auspicato da
anni, della politica migratoria dai topos della retorica politica, che ne impantanano a oggi i possibili sviluppi più innovativi e realistici.
L’idea di svolgere questo lavoro sui cinesi di seconda generazione a Torino
2
F.Scisci, Chi ha paura della Cina, cit., p.89.
6
è nata dal mio forte interesse personale per la Sociologia delle Migrazioni e
dalla consapevolezza che il futuro della disciplina e della storia stesse puntando decisamente verso il tema sempre più rilevante delle cosiddette ‘seconde
generazioni’, verso le problematiche e le novità che la loro evoluzione presenta. Specialmente in un paese di recente immigrazione come l’Italia.
In secondo luogo, la scelta di restringere ancor di più l’ambito di interesse
alla nazionalità cinese è dovuta alla spunto datomi dalla lettura di questa
frase, sullo stato della ricerca in Italia:
’...brillano alcune assenze, una in particolare: l’Asia. Cinesi, filippini,
srilankesi, indiani, pakistani sono tutte nazionalità con una diffusione
marcata in Italia. I primi in particolare sono presenti da molto tempo, e
mostrano concentrazioni territoriali forti che li rendono migrazioni ben
consolidate. Eppure esse risultano nel complesso assai poco studiate,
come mostra la rarità di studi su di esse...3 ’
Unita alle evidenti particolarità di questo gruppo nazionale, come il paradosso del buon inserimento economico e dei minimali livelli di inserimento
sociale, questa frase definı̀ un’altra parte del mio oggetto di studio.
Infine la scelta più ovvia, ovvero quella di svolgere un esercizio di ricerca a
Torino, capoluogo con la più elevata presenza nella mia regione di immigrati
cinesi.
Per quanto riguarda la decisione di utilizzare il metodo qualitativo, e in particolare la tecnica dell’intervista discorsiva, ho ritenuto che fosse il modo più
adatto per non spaventare i ragazzi con un’approccio formale (ad esempio
un questionario) e per saggiare le loro opinioni ed esperienze in maniera più
approfondita e soggettiva. Oltretutto è servito per calarmi per la prima volta nei panni del sociologo di professione, provando sulla mia pelle quanto sia
difficile condurre una buona intervista, e le mille insidie che si nascondono
dietro a ogni parola.
Ho poi deciso di selezionare un ‘range’ d’età, che andasse dai 19 ai 25 anni,
entro cui racchiudere i diversi casi. Quel periodo della vita mi sembra infatti particolarmente ricco di fermenti e decisioni cruciali per il futuro della
persona: la maggiore età, con il conseguente allargamento della propria
3
A.Colombo e G.Sciortino, a cura di, Assimilati ed esclusi, il Mulino, Bologna, 2002,
p.16
7
prospettiva sul mondo; la fine della scuola superiore e la scelta tra il lavoro
o la continuazione degli studi universitari, tra le proprie aspirazioni e i propri sogni... Per i giovani figli di immigrati, per di più, è il momento in cui
si comincia a selezionare con più decisione i valori da seguire nella vita e
gli obiettivi a cui tendere, sempre meno influenzati dalla famiglia, a volte
incalzati a risolvere la tensione identitaria anche dalla conquistata cittadinanza e dal conseguente diritto di voto (nel caso si sia nati in Italia).
I primi due capitoli di questo testo sono dedicati a un inquadramento teoricostorico degli argomenti chiamati in causa: la migrazione cinese, la questione
delle seconde generazioni. Naturalmente ho trattato solo i punti che mi
interessavano di più, e comunque in modo non esaustivo: per eventuali approfondimenti rimando ai libri citati a piè di pagina.
Il terzo capitolo cerca invece di descrivere, soprattutto attraverso dati statistici, la comunità cinese di Torino e la sua dislocazione occupazionale,
scolastica, ecc.
I commenti e le riflessioni sulle interviste da me condotte si trovano nel
quarto capitolo, e aiuteranno a conoscere meglio, oltre che la situazione dei
giovani cinesi di seconda generazione a Torino, anche la comunità cittadina
descritta attraverso le loro parole.
Infine un piccolo approfondimento su Associna, un sito che cerca di riunire le seconde generazioni italo-cinesi sul web, discutendo dei loro problemi
ed esigenze e tentando di dare una maggiore eco alla loro voce nella società. Un interessante esperimento che mostra come sia possibile anche da
noi l’espressione seria di una coscienza di gruppo delle seconde generazioni
immigrate.
Capitolo 1
La migrazione cinese
all’estero.
1.1
La situazione in Cina.
Il punto di svolta della storia recente della Cina è stato il 1979, con il nuovo
corso di Deng Xiaoping e l’abbandono della prospettiva maoista. Il governo da allora si è mosso sempre più esplicitamente verso la costituzione di
un’economia di mercato.
Inoltre, dopo ben trent’anni di blocco delle migrazioni sia interne sia esterne
a seguito della costituzione della Repubblica Popolare Cinese (nel 1949), la
popolazione ha ricominciato a circolare dalla campagna verso le grandi città
e verso l’estero. La politica migratoria del nuovo governo, che ha cercato di
indirizzare i flussi interni verso piccole e medie città per un maggior equilibrio, e di controllare quelli esterni tramite ‘contratti’ con i paesi riceventi,
non ha avuto tuttavia la stessa efficacia coercitiva dell’epoca maoista e lascia
intravedere sotto i piccoli numeri delle statistiche ufficiali un ben più alto
volume di traffico effettivo 1 .
Nell’immenso territorio cinese, tuttavia, alcune aree più di altre sono da
lungo tempo fonti di consistenti flussi verso l’estero. Il nostro interesse si
1
G.Campani, La diaspora cinese nel nuovo contesto delle migrazioni internazionali, in
G.Campani, F.Carchedi e A.Tassinari (a cura di), L’immigrazione silenziosa. Le comunità
cinesi in Italia, Fondazione Giovanni Agnelli, Torino, 1994, pp.21-22.
8
CAPITOLO 1. LA MIGRAZIONE CINESE ALL’ESTERO.
9
concentra in particolare su queste zone, per capire il motivo di quella che
sembra apparentemente una grande fuga, ma che è in realtà il risultato di
una gamma di opportunità più vasta.
Xiang Biao2 traccia un’accurata genesi storica della peculiarità di queste
aree, (specialmente dal punto di vista economico) che è all’origine dei loro
alti tassi di emigrazione. Durante il periodo maoista le aree di confine
rappresentavano la linea di frattura tra il mondo ‘socialista’ e quello ‘capitalista’, oltre che essere zone vulnerabili a possibili attacchi nemici, specialmente dal Kuomingtang di Taiwan. Per questi motivi il governo non investı̀
per lo svilppo economico di province come lo Zhejiang e il Fujian (vicine
a Taiwan), causandone l’impoverimento ma anche abituandole a poche interferenze amministrative dal centro. Questa relativa autonomia di fatto
venne ufficialmente incentivata con la fine della Rivoluzione Culturale e la
creazione, nel 1979, di quattro zone economiche speciali proprio nel sudest del paese. Nel 1984 seguı̀ l’apertura di quattordici città costiere all’investimento estero: in queste città3 l’iniziativa privata commerciale con altri
paesi era incoraggiata e beneficiava di poche interferenze burocratiche da
Pechino. Tutte le maggiori aree di emigrazione cinese sono proprio vicine a
queste città costiere, e le ragioni sono diverse: il debole controllo governativo
facilita l’emigrazione, e la lunga tradizione migratoria ha creato nel tempo
reti espanse e sicure a cui affidarsi; inoltre è più facile muovere capitali tra
luoghi d’arrivo e di partenza (e questo aiuta l’iniziativa economica dei migranti, verso qualsiasi delle due direzioni voglia rivolgersi).
Questi sono i maggiori fattori di spinta locali alla base della decisione di
emigrare. Senza pretese di esaustività, nel paragrafo sull’Italia4 tratterò sucessivamente di alcuni fattori di attrazione verso il nostro paese, lasciando
al capitolo di breve ricerca personale la riflessione, pure indispensabile, sulle
variabili micro e meso.
2
Xiang Biao, Emigration from China: a sending country perspective, in International
Migration, vol.41 , September 2003, p.24.
3
Tra cui Wenzhou, nella provincia dello Zhejiang, dalla cui municipalità proviene buona
parte dei cinesi oggi a Torino.
4
cfr. paragrafo 1.4 L’italia.
CAPITOLO 1. LA MIGRAZIONE CINESE ALL’ESTERO.
10
Purtroppo la maggior parte della letteratura disponibile sul controllo
delle migrazioni è focalizzata sui paesi riceventi. Con poche eccezioni, è stata prestata poca attenzione alle politiche di controllo migratorio nei paesi
d’origine. E’opportuno quindi fare un cenno, sempre seguendo Xiang Biao5 ,
ai trend più recenti della politica migratoria cinese, che possono essere sintetizzati nei seguenti quattro punti:
- Il controllo dei passaporti è sempre più basato sul riconoscimento dei
diritti individuali dei cittadini. Il governo a quanto sembra vuole
trasformare la gestione dell’emigrazione da materia di ‘controllo’ ad
area di ‘assistenza/servizio’6 . Questo implica una libertà senza precedenti per i cittadini cinesi.
- L’emigrazione dalla Cina è sempre più istituzionalizzata, e avviene
attraverso varie agenzie speciali di intermediazione. Il governo ne
riconosce il ruolo e ha emanato una serie di norme per regolarne
l’attività7 .
- Tuttavia le misure non sono ben bilanciate. Il governo ha incoraggiato l’emigrazione e il ritorno di alto profilo culturale (‘skilled’) ma ha
prestato poca attenzione all’esportazione di manodopera non qualificata.
- Un triplice legame si sta rafforzando: tra le autorità cinesi e le comunità emigrate all’estero, e tra queste ultime e i governi dei paesi
riceventi. E’ un avvenimento molto importante, che può portare a
una proficua collaborazione reciproca su molte problematiche, tra cui
proprio quella della gestione delle migrazioni. Ma ci vuole ancora
tempo perchè questo avvenga.
5
6
Xiang Biao, Emigration from China: a sending country perspective, cit., p.37.
Come dichiarato alla ‘National Conference on Exit-Entry Administration’, 2001, a
Pechino.
7
Ad esempio si sono moltiplicate in questi ultimi anni le agenzie di reclutamento studentesco: ‘More than 160 institutions from 22 countries recently took part in the China
International Higher Education Exhibition Tour’( ‘People’s Daily’, 2001). Su questo tema
vedi anche F.Laczko, Understanding migration between China and Europe, in International
Migration, vol.41, 2003, p.12.
CAPITOLO 1. LA MIGRAZIONE CINESE ALL’ESTERO.
11
Anche da questi brevi cenni si nota che ‘Study abroad is one of the four
main reasons for Chinese emigrating8 ’: la difficoltà di far studiare i figli in
Cina9 e le maggiori possibilità di lavoro qualificato all’estero si combinano.
Come entrano nei paesi di emigrazione i cinesi? Come la maggior parte
degli immigrati provenienti da altri paesi: legalmente.
‘The MPS10 reports that the majority of Chinese go abroad with legal
documents, either for tourism, to visit relatives, study, or to work/do
business. Many return, but a large, indeterminate number overstay
their visas
1.2
11
.’
Cronologia dell’emigrazione cinese
verso l’estero.
Date queste premesse di ordine generale, una breve cronologia dell’emigrazione cinese verso l’estero negli ultimi due secoli può essere opportuna
perchè ci permette di capire quanto cambino nel tempo le motivazioni, la
composizione e la meta dei flussi.
Non va dimenticato, anche se in questo lavoro l’attenzione è focalizzata sul
mondo occidentale, che l’area che ha sempre attratto storicamente (e ancora attrae) la maggior parte dell’emigrazione cinese è quella Asiatica: ad
esempio, all’inizio degli anni ’90 i cinesi all’estero si trovavano per l’83,5%
nelle altre nazioni asiatiche (in particolare Indonesia), e solo per il 12,5%
nelle Americhe, mentre l’Europa raggiungeva appena il 2,2% del totale12 .
La situazione da allora è in parte cambiata, e le percentuali relative alle
Americhe e all’Europa sono cresciute considerevolmente, senza riuscire però
8
I.Omelaniuk, Best practices to manage migration: China, in International Migration,
vol.43, 2005, p.193.
9
Su questo tema vedi F.Scisci,Chi ha paura della Cina, cit., pp.176-183.
10
Chinese Ministry of Public Security.
11
I.Omelaniuk, Best practices to manage migration: China, cit., p.190.
12
Secondo lo studio di Live (si veda G.Campani, La diaspora cinese nel nuovo contesto
delle migrazioni internazionali, cit., p.13).
CAPITOLO 1. LA MIGRAZIONE CINESE ALL’ESTERO.
12
a scalzare dal primo posto l’Asia.
Questa cronologia è tratta da un saggio di Giovanna Campani13 :
• Nel XIX secolo la migrazione cinese si è principalmente diretta (al di là
dello storico sbocco del Sudest Asiatico) verso le Americhe, in quanto
vi necessitavano contingenti importanti di manodopera non qualificata
e a basso salario. I cinesi erano impiegati soprattutto nelle miniere e
nella costruzione della ferrovia transamericana. Proprio l’accettazione
di condizioni di lavoro difficili e malpagate portò però in California al
conflitto con i lavoratori autoctoni e alla conseguente messa in atto di
politiche di stop: la Legge d’Esclusione Cinese (1882), durata fino alla
Seconda Guerra Mondiale, ridusse rapidamente i flussi in ingresso e
diede forma alle Chinatown d’America (luoghi segreti e chiusi proprio
in conseguenza delle pressioni ostili della popolazione locale).
• Dal 1850 circa anche l’Australia, con l’inizio della corsa all’oro, attrae
manodopera cinese per il lavoro nelle miniere. Ma già dal 1880 introduce anch’essa politiche restrittive e di regolazione degli ingressi,
che si protrarrano, anche in questo caso, fin dopo la Seconda Guerra
Mondiale.
• L’Europa rimane una destinazione marginale per i migranti cinesi fino
alla Prima Guerra Mondiale, quando un gran numero di lavoratori,
originari della provincia dello Zhejiang, vengono reclutati dalle forze
alleate per lavorare nelle fabbriche e soprattutto per scavare le trincee
sulla frontiera nord, tra la Francia e le Fiandre. Alla fine della guerra
sarebbero tutti obbligati a tornare in Cina, ma alcune migliaia di loro
rimangono in Francia.
L’attività economica a cui si dedicano in un primo momento, il commercio ambulante, favorisce la dispersione. Nel periodo tra le due
guerre piccole comunità si costituiscono cosı̀ nelle grandi città europee, e nel secondo dopoguerra saranno punti di riferimento per i
flussi migratori provenienti dallo Zejiang.
13
G.Campani, La diaspora cinese nel nuovo contesto delle migrazioni internazionali,
cit., pp.15-18.
CAPITOLO 1. LA MIGRAZIONE CINESE ALL’ESTERO.
13
Come nota giustamente Francesco Carchedi14 , ‘a queste grandi aree di insediamento, cioè America Settentrionale e Australia, Sudest asiatico ed Europa,
corrispondono altrettanti grandi zone di esodo: nel primo caso dal Fujian
(la regione situata di fronte a Taiwan), nel secondo caso dal Guandong e da
altre regioni del sud, e nel terzo caso da Canton e dallo Zhejiang’.
1.3
L’Europa
La cronologia delle migrazioni cinesi in Europa richiede un ulteriore passo
avanti, scandendo il periodo dal secondo dopoguerra a oggi15 :
• Dal 1949 al 1975, nonostante il blocco delle emigrazioni, il flusso di
cinesi verso l’Europa non si arresta. Anzi, è soprattutto dopo la Guerra d’Indocina e la conquista dell’indipendenza da parte del Vietnam,
del Laos e della Cambogia, nel primo quinquennio degli anni settanta,
che l’intera collettività cinese in Europa acquista maggiore significatività. I governi dei paesi sopracitati decretarono infatti la fuoriuscita
di una parte considerevole delle comunità cinesi presenti, perché considerate ‘capitaliste’16 , e parte dei cacciati si orientò verso l’emigrazione, considerandosi e acquisendo in maggioranza lo status di rifugiato
politico.
• Dal 1975, con il nuovo corso di Deng Xiaoping, riprendono con maggiore slancio le migrazioni sia interne che esterne e con esse i contatti
tra le comunità della diaspora insediate in Europa e le regioni di origine.
Con la creazione di quattro zone economiche speciali nella Cina meridionale, dove è ammessa l’iniziativa privata e vengono favoriti gli
14
F.Carchedi, La presenza cinese in Italia. Direzionalità dei flussi, dimensioni del
fenomeno e caratteristiche strutturali, in L’immigrazione silenziosa. Le comunità cinesi
in Italia, cit., p.43.
15
Cfr. G.Campani, La diaspora cinese nel nuovo contesto delle migrazioni internazionali, cit., pp. 18-21; e F.Carchedi, La presenza cinese in Italia. Direzionalità dei flussi,
dimensioni del fenomeno e caratteristiche strutturali, cit., pp. 44-46.
16
I paesi sopracitati erano collocati nell’area di influenza sovietica e quindi si trovarono
in una posizione conflittuale con gli interessi di politica estera della Cina, orientata a
trovare spazi di equidistanza dalle due superpotenze di allora.
CAPITOLO 1. LA MIGRAZIONE CINESE ALL’ESTERO.
14
investimenti stranieri, il processo di riforma economica investe progressivamente il Fujian e lo Zhejiang. Queste, come già detto, sono
aree di emigrazione in particolare verso l’Europa.
Volendo tracciare uno schema d’insieme, ricordo con Carchedi17 che le zone
storiche di maggior esodo dell’emigrazione cinese verso l’Europa sono: Canton in direzione della Gran Bretagna e, in misura minore, verso la Francia;
lo Zhejiang in direzione di Olanda, Francia e Italia. Ma negli ultimi anni la
situazione sta cambiando:
‘Chinese migrants are arriving in Europe from a wider range of source
regions in China. [...] An increasing number [...] now come from
North- Eastern China18 .’
Inoltre, per quel che riguarda i paesi di arrivo (e si veda a maggiore conferma
la Figura 1.1):
‘there has been a significant increase in Chinese migration to some of
the new immigration countries of southern and central Europe [...],
particularly Italy and Spain19 .’
Interessante è vedere perchè questo avviene. Il numero speciale di International Migration del Settembre 2003 presenta un ampia panoramica di
saggi raccolti sotto il titolo Understanding Migration between China and
Europe. E’ l’effetto della tragedia di Dover del Giugno 200020 , che ‘immediatly made policy makers much more aware of the rise in Chinese migration to Europe. [...] Since the Dover tragedy, cooperation between EU21
17
F.Carchedi, La presenza cinese in Italia. Direzionalità dei flussi, dimensioni del
fenomeno e caratteristiche strutturali, cit., p.44.
18
F.Laczko, Understanding migration between China and Europe, cit., p.8.
19
F.Laczko, op.cit., p.8.
20
Ecco in breve cosa accadde: ‘Il 19 Giugno 2000, nel porto di Dover, ispezionando un tir
proveniente dal Belgio, furono scoperti sessanta corpi di clandestini di origine cinese. Solo
due di loro respiravano ancora, gli altri erano tutti deceduti per asfissia. L’autista venne
arrestato e messo sotto interrogatorio [...]. Le forze dell’ordine inglesi compresero quindi,
di trovarsi di fronte a quello che si suol definire commercio di esseri umani. L’avvenimento
ebbe una grande risonanza in Cina e lo stesso ministro degli esteri dell’epoca condannò
fermamente le organizzazioni criminali che gestiscono questo turpe commercio.[...]’ Da:
www.cinaoggi.it
21
European Union.
CAPITOLO 1. LA MIGRAZIONE CINESE ALL’ESTERO.
15
Figura 1.1: Numero dei cittadini cinesi nei paesi europei, 2000-2001 eccetto per la
Francia (1991). Fonte: F.Laczko, Understanding migration between China and Europe, in
International Migration, vol.41, 2003, p.13.
Member States and China on measures to combat irregular migration has
improved22 ’; ma ancora nei documenti della Comunità Europea ‘there is virtually no discussion of the links between migration and other areas of policy
such as trade, education, or development23 .’
La messa a fuoco in Europa del problema è dunque cominciata, ma è ancora
troppo ristretta e lascia sfocate, sullo sfondo, le connessioni tra questo e il
resto della società (di arrivo come di partenza).
Infatti ci sono molte ragioni per l’aumento dell’immigrazione cinese in
Europa24 . Soprattutto in Europa meridionale, l’accettazione di fatto di un
gran numero di lavoratori immigrati irregolari e l’esistenza di molte opportunità occupazionali nell’economia informale sono fattori importanti.
I cinesi inoltre si possono inserire in nuove nicchie occupazionali. In Europa Occidentale il settore della ristorazione è diventato sempre più saturo
negli anni novanta, ma non sembra che l’imprenditoria cinese abbia trovato
nuovi sbocchi. Al contrario, i cinesi in Europa meridionale e orientale sono
22
F.Laczko, Understanding migration between China and Europe, cit., pp.5-7.
F.Laczko, op.cit., p.5-7.
24
F.Laczko, Understanding migration between China and Europe, cit., pp.11-12.
23
CAPITOLO 1. LA MIGRAZIONE CINESE ALL’ESTERO.
16
spesso occupati in attività di import-export con la madrepatria e anche nella
manifattura ( ad es. proprio l’industria della pelle e delle borse in Italia).
Un’altra concausa potrebbe risiedere nel recente aumento del numero di studenti cinesi in Europa. Non è chiaro però se questo rappresenti un vero cambiamento nella gerarchia di scelta o se sia un semplice riflesso dell’incremento
generale degli studenti cinesi all’estero25 . Di certo le istituzioni educative
dell’Europa occidentale stanno rapidamente esplorando questo nuovo redditizio mercato, impiantando in Cina centinaia di agenzie di reclutamento
studentesco.
Figura 1.2: Cittadini della Repubblica Popolare Cinese in percentuale, sul numero totale
di migranti regolarizzati. I dati sono del 1990-2000 eccetto per la Francia (1997-98). Fonte:
F.Laczko, Understanding migration between China and Europe, in International Migration,
vol.41, 2003, p.13.
25
Cfr. Paragrafo 1.1 La situazione in Cina.
CAPITOLO 1. LA MIGRAZIONE CINESE ALL’ESTERO.
17
Per quello che riguarda l’immigrazione irregolare in Europa, per tentare
una stima seppur a grandi linee del fenomeno prendiamo in esame l’indicatore statistico del numero di persone che hanno fatto domanda per provvedimenti di amnistia o regolarizzazione per migranti irregolari. Ci sono state
alcune importanti sanatorie nel corso degli anni ’90, prevalentemente in Europa meridionale. In diversi paesi, i cinesi sono stati tra le cinque maggiori
nazionalità ‘regolarizzate’ dai provvedimenti.
La figura 1.2 mostra che la Francia, l’Italia e la Spagna hanno regolarizzato
più di sessantamila cinesi dal 1990. Questi dati suggeriscono che gran parte
dell’aumento nella migrazione cinese verso l’Europa sia avvenuta (e ancora
avvenga) all’ombra della legge, nell’irregolarità. Naturalmente questo rientra negli effetti perversi di una politica migratoria basata su una quasi totale
assenza di opportunità d’ingresso legale e su una continua, ma non pianificata, regolarizzazione a posteriore dei migranti. I dati sulle richieste d’asilo
(Fig. 1.3) confermano questa visione: scarse e quasi inesistenti in Europa
meridionale, dove l’immigrato irregolare sa che potrà trovare abbastanza
facilmente opportunità di lavoro nero e, prima o poi, arriverà una sanatoria
a regolarizzare la sua posizione. In Europa è la Gran Bretagna il maggior
paese di destinazione per i richiedenti asilo cinesi26 .
Figura 1.3: Fonte: Understanding migration between China and Europe, in International
Migration, vol.41, 2003, p.13.
26
F.Laczko, Understanding migration between China and Europe, in International
Migration, vol.41, 2003, p.13-14.
CAPITOLO 1. LA MIGRAZIONE CINESE ALL’ESTERO.
1.4
18
L’Italia
In Italia quella cinese è una delle più ‘anziane’ nazionalità immigrate. Sulla
sua origine e sui primi decenni di insediamento si sa poco, dati i tempi:
la situazione economico-politica del paese e la mancanza di un interesse
disciplinare sull’argomento lo impedivano.
Tuttavia si può ricostruire una cronologia a grandi linee27 :
• Dagli anni ’30 prende avvio il flusso che ha determinato la formazione
della collettività cinese in Italia. All’emigrazione direttamente dalla madrepatria si aggiunge, a partire dagli anni ’80, lo spostamento
di individui provenienti già da altri paesi europei (in particolare la
Francia): questi ultimi si dirigono verso l’Italia secondo modalità interne alla diaspora e non certo attirati dal mercato del lavoro italiano
che, all’epoca, non necessita di manodopera straniera ed è anzi ad
alta disoccupazione. I cinesi si ritagliano abilmente spazi di attività,
attraverso il lavoro autonomo, l’impresa familiare, l’occupazione all’interno del gruppo etnico. I primi insediamenti avvengono a Milano, per
poi riprodursi a Bologna e Firenze e dopo la seconda guerra mondiale
anche a Roma. Ma comunque fino agli inizi degli anni ’70 la presenza
cinese non supera alcune centinaia di unità ed è pertanto ‘fisiologica’.
• Il gruppo etnico acquista man mano visibilità e consistenza con le
prime sanatorie del 1986 e del 1990 e soprattutto nel corso degli anni
novanta, per una serie di fattori: avvengono i primi ricongiungimenti
familiari; il trattato italo-cinese del 1985 fa sı̀ che cresca il numero delle
aziende a conduzione cinese nel paese; i gusti alimentari degli italiani
cominciano ad avvicinarsi alla cucina orientale, e questo dà una forte
spinta ai settori dell’importazione e della ristorazione.
Già nel 1993 la collettività cinese si attesta al sesto posto della gra27
Cfr. F.Carchedi, La presenza cinese in Italia. Direzionalità dei flussi, dimensioni del
fenomeno e caratteristiche strutturali e G.Campani, La diaspora cinese nel nuovo contesto
delle migrazioni internazionali: in L’immigrazione silenziosa. Le comunità cinesi in Italia,
cit., p. 20 e 48-49.
CAPITOLO 1. LA MIGRAZIONE CINESE ALL’ESTERO.
19
duatoria complessiva delle presenze straniere, con il 2,3% del totale.
In Italia gli immigrati dello Zhejiang rimangono per lungo tempo l’unica comunità cinese presente, in contrasto con altri paesi europei come la Francia,
la Gran Bretagna, l’Olanda, dove i cinesi provengono da diverse zone della
Cina e dell’Asia Orientale. Solo nei primi anni ’90 cominciano ad arrivare
nel nostro paese significativi gruppi di migranti dal Fujian e poi, alla fine
del decennio, anche dalle regioni del Nord-Est della Cina (per esempio la
Manciuria)28 .
1.4.1
Entità del fenomeno
Il numero degli immigrati di origine cinese in Italia - come per gli immigrati
da altri paesi - è cresciuto esponenzialmente dagli anni ’80 ad oggi; la figura
1.4 mostra la progressione di due decenni, per darne un’idea.
Ma ‘data collected at the local level seems to cast some doubt on the
reliability of the national data29 ’. Chiaramente, un certo numero di cinesi
vive in situazione irregolare in Italia. Stime del 2000 dicono che potrebbero
rappresentare dal dieci al quindici per cento del numero totale delle presenze
cinesi. Numeri non indifferenti, insomma30 . La nazionalità cinese è infatti
al quarto posto, alla fine del 2005, tra le più consistenti immigrate in Italia,
dopo l’Albania, il Marocco e la Romania. E in meno di quattro anni ha più
che raddoppiato la sua consistenza: da 47.000 a 112.000 unità dal 2001 al
2005 (incrementi maggiori sono solo quelli delle nazionalità ucraina, rumena
e albanese)31 .
Inoltre il rapporto tra sessi è sempre più equilibrato, e il numero dei minori
sta crescendo32 : tutto questo indica che la presenza cinese in Italia sta
diventando sempre più stabile e radicata.
28
A.Ceccagno, New Chinese migrants in Italy, in International Migration, vol.41, 2003,
p.197.
29
A.Ceccagno, op.cit., p. 195.
30
A.Ceccagno, op.cit., p.197.
31
Istat, Statistiche in breve, La popolazione straniera residente in Italia al 1◦ Gennaio
2005.
32
A.Ceccagno, New Chinese migrants in Italy, in ‘International Migration’, cit., p.197.
CAPITOLO 1. LA MIGRAZIONE CINESE ALL’ESTERO.
20
Figura 1.4: Fonte: A.Ceccagno, New Chinese migrants in Italy, in International
Migration, vol.41, 2003, p. 196.
1.4.2
Distribuzione territoriale
Nel 2005, secondo l’Istat33 ,in Italia c’erano circa 128.000 residenti provenienti dalla Repubblica Popolare Cinese, distribuiti per la maggior parte al
Nord-Ovest (41.459 presenze), seguito dal Centro (34.920) e dal Nord-Est
(34.002), mentre il Sud rimane molto distanziato (12.506). Nella graduatoria regionale al primo posto troviamo la Lombardia (30.335 presenze),
seguita dalla Toscana a una certa distanza (22.992), dal Veneto (16.418) e
dall’Emilia-Romagna (14.942); in coda il Piemonte (8.840) e il Lazio (6.390).
Le aree di insediamento maggiormente interessate sono i grandi centri urbani, in correlazione alle attività occupazionali classiche legate alla ristorazione. Le città con una maggiore concentrazione cinese sono Milano
(17.442), con molto stacco rispetto alle altre, seguita da Firenze (11.021) e
Prato (9.423), poi di nuovo staccate Roma (5.772), Treviso (5.074) e Torino
(4.869).
33
Istat, Cittadini stranieri, popolazione residente per sesso e cittadinanza al 31 Dicembre
2005.
CAPITOLO 1. LA MIGRAZIONE CINESE ALL’ESTERO.
21
Tali concentrazioni sono l’effetto delle catene migratorie (comuni anche nelle
altre collettività immigrate), ma soprattutto della peculiare forte propensione dei cinesi all’auto-occupazione. Le aziende a base etnica, gestite da
connazionali che danno lavoro a connazionali, rispondono a esigenze di solidarietà e ascesa occupazionale, ma fungono anche da polo di rafforzamento
identitario. Ne parlerò diffusamente più avanti.
La presenza di città minori come Prato e Treviso, non capoluoghi di regione,
indica
‘the redrawing of the geography of the Chinese presence in Italy [...]’
(also) ‘determined by increasing work opportunities outside the historical centres of settlement such as Milan, Rome, Florence. [...] New
productive sectors in a growing number of areas are also acctracting Chinese business, for example, the shoe-making industry along the
Brenta Riviera (close to Venice) or the production of curtains and sofas
in Varese or Brianza (Lombardy)34 ’.
Tuttavia la Toscana detiene ancora il primato nazionale delle presenze in
rapporto al totale delle collettività extracomunitarie dell’intera regione, con
il 10,7% a fronte del 5,1% del Veneto e del 4,5% della Lombardia. E a Prato
ben il 40% della popolazione immigrata residente è cinese35 .
1.4.3
Il lavoro
I dati sui permessi di soggiorno rilasciati per motivi di lavoro al 1◦ Gennaio
2004, elaborati dall’Istat36 , ci sono molto utili. La maggior parte di quelli
cinesi (ben il 75%) sono permessi per lavoro subordinato, mentre una percentuale comunque molto alta (20%), uno su cinque, è rilasciata per lavoro
autonomo.
Nel nostro paese l’accesso al lavoro autonomo è stato negato per molto tempo, dal 1990 al 1998, agli immigrati provenienti da paesi con cui l’Italia non
aveva siglato degli accordi di reciprocità, e questo ha frenato lo sviluppo di
34
35
A. Ceccagno, New Chinese migrants in Italy, in International Migration, cit., p.199.
Istat, Statistiche in breve, La popolazione straniera residente in Italia al 1◦ Gennaio
2005.
36
Istat, Permessi di soggiorno per motivi di lavoro, area geografica e principali paesi di
cittadinanza, per sesso, al 1◦ Gennaio 2004.
CAPITOLO 1. LA MIGRAZIONE CINESE ALL’ESTERO.
22
alcuni gruppi immigrati a forte vocazione imprenditoriale, come i cinesi37 .
Ma oggi la situazione si è sbloccata del tutto, e nel 2005 i cinesi sono al secondo posto (con l’11%) nella graduatoria nazionale degli imprenditori nati
all’estero, preceduti solo dai marocchini (con il 17,5%). Prato è la provincia
con la più solida vocazione multietnica, con il 18,8% delle ditte di immigrati
(quasi una su cinque), per la stragrande maggioranza provenienti proprio
dalla Cina38 .
Per quel che riguarda i settori di inserimento lavorativo, i principali sono
ovviamente quelli del lavoro autonomo, che consentono un reclutamento
etnico dei dipendenti. ‘Il settore tradizionale della ristorazione sul finire
degli anni ottanta ha raggiunto un limite alla propria capacità espansiva,
liberando cosı̀ risorse da reinvestire in altri settori39 ’.
In Toscana, in particolare nell’area fiorentina e pratese, si è affermato un
sistema di imprese nel settore pelli e cuoio e, più recentemente, nell’abbigliamento, che per le particolari caratteristiche di inserimento rappresenta un
caso unico nel panorama non solo nazionale40 . Infine l’import-export era,
ed è ancor oggi, senza dubbio uno dei settori più ambiti dai cinesi, ma anche
uno che richiede ‘exchange networks with the homeland and a great capacity
for interaction with the local environment41 ’. Per questo motivo, all’inizio il
settore fu occupato per lo più dai cinesi di Milano e Roma che erano arrivati
prima della grande ondata migratoria degli anni ’80; solo recentemente è
anche diventato un campo di investimento per alcuni degli uomini d’affari
arrivati dopo42 .
37
A.Ceccagno, New Chinese migrants in Italy, in International Migration, cit., p.201.
Probabilmente il fatto è da mettere in relazione anche con il congelamento di poco
precedente, nel 1989, del trattato italo-cinese in seguito ai fatti di T’ien-an-men.
38
Dal 39◦ Rapporto annuale Censis sulla situazione sociale del paese,2005.
39
F.Carchedi, La presenza cinese in Italia. Direzionalità dei flussi, dimensioni del
fenomeno e caratteristiche strutturali, in L’immigrazione silenziosa. Le comunità cinesi
in Italia cit., p.64.
40
Su questo tema
vedi
A.Tassinari,
L’immigrazione cinese in Toscana,
in
L’immigrazione silenziosa. Le comunità cinesi in Italia, cit., pp. 105-124.
41
A.Ceccagno, New Chinese migrants in Italy, in International Migration, cit., p.199.
42
A.Ceccagno, op.cit., p.199.
Capitolo 2
La questione delle seconde
generazioni
2.1
Uno sguardo d’insieme
‘L’integrazione delle seconde generazioni rappresenta non solo un nodo cruciale dei fenomeni migratori, ma anche una sfida per la coesione sociale e un fattore di trasformazione delle società riceventi. [...]
L’immigrato diventa il simbolo più eloquente delle difficoltà che le società avanzate incontrano nel costruire nuove forme di legame sociale
e di appartenenza a un destino comune...1 ’
I paesi occidentali stanno vivendo un momento di transizione, sotto più
aspetti: economico, religioso, valoriale... Socialmente sta di fatto tramontando l’epoca in cui l’idea di stato-nazione si fondava sul principio cinquecentesco ‘Cuius regio, eius religius’: su un’uniformità etnica, linguistica e
religiosa della popolazione data per scontata e senza eccezioni. La base su cui
si potrà costruire il futuro dell’esistenza delle comunità nazionali, perlomeno
europee, è tutta ancora da inventare e costruire (se possibile, consapevolmente e responsabilmente)2 .
Le seconde generazioni sono un fenomeno multisfaccettato in base a molti
1
M.Ambrosini, Il futuro in mezzo a noi, in M.Ambrosini e S.Molina (a cura di), Seconde
generazioni, Fondazione Giovanni Agnelli, Torino, 2004. Pag. 1, 5.
2
M.Ambrosini, op.cit., p.5.
23
CAPITOLO 2. SECONDE GENERAZIONI
24
fattori (età, provenienza, contesto e momento di arrivo, situazione socioeconomica dei genitori, ecc.), e di conseguenza difficile da cogliere nella sua
unità. E’ bene per questo accennare ad alcuni processi3 che accomunano i
percorsi di vita di molti di questi ragazzi, non perdendo di vista tuttavia
l’unicità di ogni singolo caso, che evita si possa parlare di esiti scontati:
- In primo luogo, un diverso sistema di aspettative distingue in genere i
figli degli immigrati dai loro genitori.
La frequentazione della scuola e di ambienti sociali più o meno diversi
da quelli del paese d’origine fa sı̀ che fin da piccoli acquisiscano molti
interessi, stili di vita e desideri in comune con gli autoctoni. Oltre a
divergenze con i genitori, questo può causare frustrazioni e problemi
se mancano sufficienti opportunità di mobilità sociale e occupazionale.
- La ricerca di identità è poi un passo obbligato per i giovani di seconda
generazione, che devono trovare un loro personale equilibrio nella terra
di mezzo del sentirsi contemporaneamente ‘uguali e diversi’.
Il periodo cruciale della vita in cui questo avviene è ovviamente quello
di passaggio tra l’adolescenza e l’età adulta, tra vicinanza e allontanamento dalla famiglia, tra mimesi familiare ed emancipazione individuale. Da questo difficile cammino di confronto e mescolanza, scoperta e paura, possono nascere crisi a diversi livelli, dall’individuale al
sociale passando per l’ambito familiare.
Naturalmente questi passaggi obbligati possono benissimo essere gestiti
dal soggetto come parte di una traiettoria di maturazione equilibrata, ma
non sempre questo avviene. I giovani di origine immigrata si trovano infatti
spesso di fronte a delle ‘dissonanze’ tra quadri cognitivi, aspettative e risorse
accessibili, che possono portarli a subire frustrazioni e delusioni pericolose
per una buona integrazione nella società ricevente4 :
- Una dissonanza occupazionale, innanzitutto, ovvero uno squilibrio tra
aspettative lavorative e possibilità di soddisfarle: gli alti livelli di
3
M.Demarie e S.Molina, Le seconde generazioni. Spunti per il dibattito italiano, in
Seconde generazioni, cit., pp. XIV-XV.
4
M.Demarie e S.Molina, op.cit, pp.XV-XVIII.
CAPITOLO 2. SECONDE GENERAZIONI
25
disoccupazione che ancora si registrano per le seconde generazioni nei
paesi europei di vecchia immigrazione ne sono un sintomo evidente. Le
ragioni possono essere molte, non ultima la discriminazione, ma l’esito è comunque un incapsulamento in comparti o posizioni lavorative
prive di ogni prospettiva.
- La seconda è una dissonanza generazionale, vissuta tra le pareti di
casa nel difficile compito di conciliare e mediare i rapporti tra culture,
valori e costumi spesso molto distanti tra loro.
- Terza e ultima, una dissonanza di tipo politico-civile, che investe la
dimensione della cittadinanza: inseriti di fatto nella realtà sociale e
culturale del paese, i figli degli immigrati hanno aspettative di partecipazione piena alla vita politica e ai diritti civili; un accesso alla cittadinanza troppo difficile o vissuto come una magnanima concessione
dall’alto può minare l’autoidentificazione nella comunità nazionale.
E’dunque realistico pensare che
‘...la fenomenologia secondo-generazionale sembra caratterizzata da nonlinearità. [...] In altre parole, inserimento economico, adesione culturale, partecipazione sociopolitica non sono di per sè necessariamente
coesistenti e coerenti, non vanno sempre di pari passo. Anzi, [...] possono prodursi scompensi e sbilanciamenti. Talvolta apparentemente
paradossali...5 ’
Come ad esempio proprio nel caso di popolazioni di origine cinese6 .
Nel dibattito internazionale degli ultimi anni sui percorsi e le modalità
di inclusione dei giovani di origine immigrata si confrontano visioni diverse7
ma che che si oppongono tutte, pur nella loro eterogeneità, alla vecchia idea
di assimilazione intesa come processo inevitabile e/o auspicabile. Le visioni strutturaliste, particolarmente diffuse in ambito europeo, sottolineano
la persistente discriminazione sofferta dalle seconde generazioni; mentre le
visioni neoassimilazioniste, più tipiche dei contesti extraeuropei sviluppati,
5
M.Demarie e S.Molina, op.cit., pp.XVIII-IX.
Cfr. paragrafo 2.3 Il caso specifico: le seconde generazioni cinesi in Italia.
7
M.Ambrosini, Sociologia delle Migrazioni, il Mulino, Bologna, 2005, pp.170-174.
6
CAPITOLO 2. SECONDE GENERAZIONI
26
rilevano come i processi di assimilazione di fatto avvengano anche senza progettarlo esplicitamente.
La prospettiva più interessante e innovativa è però, a mio parere, quella dell’assimilazione segmentata, basata sul differente successo delle diversi
componenti nazionali. Nata in riferimento all’ambiente americano per sottolineare le diverse alternative a un assimilazione rapida e totale, può essere
esportata con successo anche in molte situazioni europee8 . Quattro fattori
vengono considerati decisivi9 : 1) la storia della prima generazione; 2) la
velocità di acculturazione tra genitori e figli; 3) le barriere, culturali ed economiche, che la seconda generazione incontra nella ricerca di un inserimento
soddisfacente; 4) le risorse familiari e comunitarie, a cui essa si può appoggiare per superare tali barriere. Le reti etniche possono quindi essere pensate
come una forma di capitale sociale, che può influenzare l’integrazione dei
giovani nella società ricevente con azioni tanto di sostegno quanto di controllo.
Il concetto corollario a quello di assimilazione segmentata è quello di acculturazione selettiva. Molti genitori immigrati di oggi non vogliono più
che i figli adottino indiscriminatamente e acriticamente gli stili di vita dei
coetanei autoctoni. Molte minoranze incoraggiano dunque, in diverse forme,
questo tipo di acculturazione, che consiste
‘...nell’apprendere la lingua del paese di residenza in maniera corretta e fluente, nonchè altri elementi positivi della cultura del luogo,
pur mantenendo dimestichezza con la lingua dei genitori e continuando a rispettare norme, valori e legami derivanti dai contesti familiari
di provenienza. Questa forma di acculturazione non conduce, secondo Portes, alla frammentazione culturale temuta dai critici, bensı̀ a
un’integrazione più efficace [...], idonea a proteggere la seconda generazione dalla discriminazione esterna e dalla minaccia della downward
assimilation...10 ’
Aiuta inoltre i giovani a costruirsi più facilmente un’identità nuova, personale, ma equilibrata: tra il passato tradizionale, il presente in un nuovo
8
D. Thranhardt, Le culture degli immigrati e la formazione della seconda generazione,
in Seconde generazioni, cit., pp.160-164.
9
M.Ambrosini, Il futuro in mezzo a noi, in Seconde generazioni, cit., p.30.
10
M.Ambrosini, Sociologia delle Migrazioni, il Mulino, Bologna, 2005, p.176.
CAPITOLO 2. SECONDE GENERAZIONI
27
contesto e un futuro che rimane aperto a possibili ridefinizioni identitarie in
base all’esperienza.
Il bilinguismo delle seconde generazioni11 è un buon indicatore di questo
percorso, ed è molto utile per due ragioni:
- fa sı̀ che si mantenga viva la comunicazione tra le generazioni;
- offre ai giovani sia un modo di conoscere meglio il paese d’origine e la
loro storia, sia una preziosa lingua straniera grazie a cui possono veder
aprirsi nuove prospettive occupazionali e di vita.
Nel chiudere questa panoramica veloce sul tema notiamo che in tutto ciò che
riguarda le seconde generazioni rivestono sempre una grande importanza la
famiglia e la scuola, ovvero le principali agenzie di socializzazione nonchè
istituzioni mediatrici nel processo di integrazione dei giovani.
La costruzione delle mie interviste discorsive ne riconosce pienamente la
centralità12 .
2.2
Problemi di metodo
Il tema delle seconde generazioni è, come abbiamo visto, un tema difficile e
multisfaccetato, ambiguo in molti casi.
Già a partire dalla sua stessa definizione. Vi sono a questo proposito tre
importanti questioni di metodo, che sarebbe bene avere sempre presenti nel
trattare l’argomento13 :
• PLURALITA’. E’opportuno usare il concetto di ‘seconde generazioni’,
al plurale, per dare meglio conto di una situazione complessa, dove
sono normalmente presenti contemporaneamente fasi diverse di flussi
migratori diversi. L’ampio insieme delle 2G va infatti frammentato in
sottoinsiemi, secondo almeno tre caratteristiche: epoca storica della
11
Cfr. su questo tema A.Portes, P.Fernandez-Kelly e W.Haller, L’assimilazione segmen-
tata alla prova dei fatti, in Seconde generazioni, cit., pp.70,71; M.Ambrosini, Sociologia
delle migrazioni, cit., p.176.
12
Cfr. Capitolo 4.
13
M.Demarie e S.Molina, Le seconde generazioni. Spunti per il dibattito italiano, in
Seconde generazioni, cit., p.XI-XIV.
CAPITOLO 2. SECONDE GENERAZIONI
28
prima migrazione, origine etnico-nazionale dei flussi migratori, ambito nazionale o addirittura regionale di destinazione. Se non si segue
questa avvertenza si rischia di muoversi in un ambito troppo ampio e
maldefinito di indagine.
• LESSICO. Nella ricerca internazionale su questo tema non esiste ancora un vocabolario minimo condiviso: ogni termine utilizzabile si
porta dietro una serie di implicazioni storiche, ideologiche, anche emotive, spesso difficilmente rintracciabili; esse variano inoltre facilmente
a seconda del contesto linguistico di riferimento. Ad esempio gli inglesi parlano senza difficoltà di ‘relazioni di razza’ (race relations),
un’espressione che tradotta suona inaccettabile nella maggior parte
delle altre lingue europee: in italiano si preferisce chiamarle solitamente ‘relazioni etniche’. Anche se questi problemi non si possono
evitare, è bene tuttavia aver presente la questione; ad esempio nel
citare altri testi sul tema.
• IDENTIFICARE STATISTICAMENTE L’OGGETTO DI STUDIO.
Le modalità statistico-analitiche utilizzate nelle ricerche sulle seconde
generazioni oscillano sempre tra due rischi opposti. Da un lato c’è il
rischio di perdere la tracciabilità statistica delle seconde generazioni
adulte e naturalizzate, soprattutto a causa di sistemi statistici basati
solo sulla nazionalità. Dal lato opposto c’è invece il rischio di attribuire
una capacità esplicativa esaustiva al luogo di nascita dei genitori,
finendo per soffocare cosı̀ l’originalità e la particolarità dei percorsi
individuali.
Ambrosini ricorda poi un altro importante nodo problematico, relativo al
momento dell’arrivo: fino a che età è lecito parlare di ‘seconda generazione’ ?
Se è ovvio includere nella categoria i bambini nati all’estero e arrivati già
nei primi anni di vita in un nuovo paese, più controversa è l’appartenenza a essa per i ragazzi immigrati nell’adolescenza, tra i 15 e i 18 anni ad
esempio, specialmente quando non sono accompagnati dai genitori ma raggiungono altri parenti meno stretti. Questi ultimi sono infatti al margine
CAPITOLO 2. SECONDE GENERAZIONI
29
anche con la categoria dei ‘primo-migranti’. Rumbaut14 ha tentato di risolvere questa difficoltà introducendo una visione graduata, ‘decimale’, delle
seconde generazioni:
- GENERAZIONE 1,25: emigra tra i 13 e i 17 anni.
- GENERAZIONE 1,5: ha comiciato la socializzazione con i pari e
quindi la scuola primaria nel paese d’origine, ma ha poi proseguito
l’educazione scolastica in quello d’arrivo.
- GENERAZIONE 1,75 o NATIVA: si è trasferita all’estero in età prescolare.
C’è in altri termini, nelle situazioni reali,
‘una sorta di continuum, scandito da situazioni socioculturali e problematiche educative diverse, tra il soggetto nato nel paese ricevente da
genitori stranieri, e quello che arriva intorno alla maggiore età, dopo
aver ricevuto una prolungata socializzazione nel paese d’origine15 .
Sono questi i principali problemi di metodo che insistono sul tema delle
seconde generazioni, e cercherò di tenerli presenti nel mio esercizio di ricerca.
2.3
Il caso italiano.
‘Quale sarà il futuro delle seconde generazioni in Italia? Il cantiere, per
cosı̀ dire, è stato appena aperto e non è facile anticiparne gli esiti. I
paesi europei di più antica immigrazione offrono diversi approcci, non
necessariamente modelli da imitare. Tutti sembrano ancora alla ricerca
di una strada. [...] In ogni caso, sembra essere il paradigma nazionale nella sua complessità irriproducibile - a spiegare larga parte degli esiti
dell’integrazione; è vero però che molto dipende dalle risorse individuali
e familiari, dall’appartenenza a un gruppo etnico, dal genere.
Esisterà un paradigma nazionale italiano virtuoso? L’Italia si presenta
oggi ai nostri stessi occhi ambigua...16 ’
14
Si veda M.Ambrosini, Sociologia delle migrazioni, cit., pp.165-166.
M.Ambrosini,op.cit., p.165
16
M.Demarie e S.Molina, Introduzione a Seconde generazioni, cit., p.XXII-XXIII.
15
CAPITOLO 2. SECONDE GENERAZIONI
30
In breve tempo, poco più di due decenni, l’Italia si è trasformata da paese di
emigrazione a paese di immigrazione. Proprio per questo, forse, la politica
e la società stessa non sono state in grado di accorgersi del cambio di rotta
per lungo tempo. Nella memoria di molti italiani c’è ancora l’immagine di
un paese povero e sovrappopolato, che ha poco da offrire già alla gente del
luogo... figuriamoci a chi viene da fuori!17
Dal canto suo la politica, che dovrebbe governare i cambiamenti in atto,
fatica invece ancora a guardare in faccia il tema ‘immigrazione’. Piuttosto di affidarsi ad analisi serie di esperti del settore si preferisce spesso
indulgere in provvedimenti e discorsi demagogici, che a poco servono se
non a condizionare i sentimenti della gente (in senso buonista o nazionalista ma comunque controproducente), e a rimandare una adeguata soluzione
dei problemi. I media contribuiscono con la consueta spettacolarizzazione
degli eventi: prova ne sia il rilievo dato a notizie rituali, come lo sbarco di
clandestini sulle coste italiane (importante ma decisamente marginale nel
panorama del fenomeno dato che la maggior parte dei clandestini entra in
Italia molto più banalmente con visto turistico18 ).
L’insediamento degli immigrati nel nostro paese è poco programmato e
mal governato all’ingresso, ma legalizzato periodicamente da ripetute sanatorie a posteriori che vangono fatte passare come misure di emergenza.
Questo crea una situazione in cui è di fatto accettato e non ostacolato il
primo inserimento dei migranti nell’economia sommersa, nel lavoro nero,
soddisfando la sete di manodopera a basso costo di molte attività produttive senza tuttavia riconoscerla apertamente. Oggi in Italia gli immigrati
svolgono infatti soprattutto i cosidetti ‘lavori delle cinque P19 ’: pesanti, precari, pericolosi, poco pagati, penalizzati socialmente; lavori che la manodopera autoctona non vuole più svolgere.
Questo sistema di inclusione basato di fatto sull’integrazione subalterna giova all’accettazione dell’immigrazione nel breve periodo ma non prepara un
futuro sereno. Se infatti non si creeranno, in futuro, occasioni lavorative di
17
18
M.Ambrosini, Il futuro in mezzzo a noi, in Seconde generazioni, cit., p.11
Appunti del Corso di Sociologia delle Migrazioni di R.Sciarrone, Università di Torino,
a.a. 2005/06.
19
M.Ambrosini, Il futuro in mezzo a noi, in Seconde generazioni, cit., p.14
CAPITOLO 2. SECONDE GENERAZIONI
31
più alto contenuto professionale e prestigio sociale ed economico aperte anche alle seconde generazioni, si potrebbero generare situazioni esplosive20 .
Ovviamente questo non potrà comunque avvenire senza discriminazioni e
paure che oggi l’inserimento lavorativo dei migranti di prima generazione,
subalterno e non concorrenziale, non suscita ancora.
Condivido ad ogni modo l’idea che l’integrazione debba essere prima di tutto
perseguita sul piano economico, e non culturale.
L’altra questione chiave nel panorama italiano è quella della cittadinanza: il nostro codice è uno degli ultimi in Europa (insieme a Grecia e Lussemburgo) a basarsi sulla preminenza dello ‘ius sanguinis’ per l’attribuzione della
nazionalità21 . Negli ultimi tempi una riforma si è invocata da più parti,
ma i passi compiuti negli ultimi anni sul tema non sono confortanti: ai
discendenti degli italiani all’estero è stato attribuito il diritto di voto (2001)
dopo che già si era facilitato per loro il recupero della cittadinanza degli avi;
mentre sul fronte del diritto di voto agli immigrati un interessante dibattito
(2006) politico, il cui epicentro era proprio Torino, non ha portato ad alcuna
apertura, nemmeno a livello locale.
‘Sembra insomma che per vari aspetti le istituzioni italiane preferiscano
guardare indietro, al lascito del nostro passato di paese di emigranti,
anziché progettare il futuro, destinato inevitabilmente ad aprirsi verso
scenari multietnici22 .’
La situazione appare dunque difficile sul piano nazionale, ma non bisogna
dimenticare le profonde differenze territoriali e regionali, che insieme alla
presenza di appartenenze subculturali altamente differenziate a livello locale suggeriscono ad Andall23 la pertinenza della teoria dell’assimilazione
segmentata per l’Italia. E quindi la presenza di semi anche positivi per il
futuro.
20
M.Ambrosini, op.cit., pp.20-21
M.Ambrosini, op.cit., p.12
22
M.Ambrosini, op.cit., p.12.
23
J.Andall, Italiani o stranieri? La seconda generazione in Italia, in G.Sciortino e
21
A.Colombo (a cura di) Stranieri in Italia. Un’immigrazione normale, Fondazione Giovanni
Agnelli, Torino, 2003
CAPITOLO 2. SECONDE GENERAZIONI
2.4
32
‘Focus on’...
Le seconde generazioni cinesi in Italia.
Nel nostro paese, come abbiamo visto, il tema delle seconde generazioni ha
cominciato ad essere esplorato solo di recente. Per esso si può dire oggi la
stessa cosa che alcuni anni fa si diceva dell’immigrazione in generale:
‘In Italia gli studi e le ricerche sul fenomeno immigratorio si sono principalmente orientati nell’esplorazione e nell’inquadramento delle caratteristiche generali dello stesso, occupandosi in maniera marginale delle
singole e specifiche collettività. [...] Questo tipo di approccio, che
potremmo definire ’generalista’ [...] riflette, in qualche modo, le diverse tappe evolutive della presenza straniera in Italia e le necessità
conoscitive che da essa scaturivano. [...] Necessità che acquistano rilevanza soprattutto per l’attivazione di politiche e di interventi finalizzati
al governo e alla regolamentazione del fenomeno...24 ’
Per questo le ricerche sulle seconde generazioni di una nazionalità specifica
sono ancora molto rare.
La mia breve indagine tramite interviste discorsive25 si focalizzerà sulle seconde generazioni cinesi di un ambito anch’esso specifico: Torino e provincia.
Fare una breve ricognizione in ambito nazionale mi è utile per poter in seguito tentare una riflessione, per quanto poco esaustiva (data la consistenza
numerica veramente esigua delle interviste), tra somiglianze e differenze.
All’interno delle diverse nazionalità rappresentate dalle seconde generazioni
24
F.Carchedi, La presenza cinese in Italia., in L’immigrazione silenziosa. Le comunità
cinesi in Italia, cit., p.41.
25
Cfr. Capitolo 4.
CAPITOLO 2. SECONDE GENERAZIONI
33
in Italia, il caso dei giovani cinesi di origine immigrata è uno dei più interessanti per diverse peculiarità del gruppo nazionale
26 :
- la migrazione avviene per nuclei familiari, spesso ampi, con una rilevante presenza di minori: rispetto alla situazione generale italiana,
caratterizzata da una notevole polverizzazione delle presenze minorili,
si ha in questo caso un impatto forte sulle scuola e in genere sulle
strutture educative e di servizio per l’infanzia e l’adolescenza;
- le famiglie attribuiscono alla scuola una grande importanza; anche in
assenza di dati precisi sull’evasione, la frequenza è molto alta.
- il ruolo del minore di seconda generazione è rilevante all’interno della
famiglia, perchè rappresenta un canale di comunicazione importante
con l’ambiente sociale esterno conoscendo bene, grazie alla frequentazione della scuola, la lingua del paese di arrivo. Questo accade anche
per altre nazionalità immigrate, ma a maggior ragione per quella cinese
date le peculiari grosse difficoltà degli adulti nell’imparare la nuova
lingua;
- la popolazione cinese lavora spesso in una situazione di economia
etnica, il che favorisce una coesione sociale ambivalente: da un lato
accresce la costrittività del gruppo sull’individuo, dall’altro rafforza
il senso di appartenenza alla comunità rendendo più difficili le comunicazioni con l’ambiente sociale circostante. A seconda del momento
d’arrivo le seconde generazioni si adattano più o meno facilmente alle
costrizioni di questo ambiente;
- infine, come in ogni vicenda migratoria, si deve tener conto del progetto
che guida le persone e le famiglie lontane dal loro paese: non siamo di
fronte a una popolazione che fugge condizioni di vita o eventi disastrosi,
ma che persegue un progetto di autoaffermazione centrato su valori
economici ai quali si dedica totalmente. I giovani li recepiscono e li
rielaborano in modo diverso in rapporto alle loro esperienze di vita.
26
N.Barancani, La seconda generazione nella migrazione cinese in Toscana: scuola e
integrazione sociale, in L’immigrazione silenziosa. Le comunità cinesi in Italia, cit., p.
127-128.
CAPITOLO 2. SECONDE GENERAZIONI
34
Inquadrare statisticamente l’entità delle seconde generazioni cinesi in Italia
non è per niente facile. Infatti non esiste, nelle statistiche nazionali, un
indicatore ‘seconda generazione’; per questo motivo sono rintracciabili con
sicurezza solamente i minori, che ancora conservano per la legge italiana la
nazionalità dei genitori (se entrambi stranieri come nella maggioranza dei
casi). Dopo la maggiore età la tracciabilità statistica si perde, per la possibilità di acquisire la cittadinanza italiana e la confusione nelle statistiche
con i primo-migranti della stessa coorte d’età.
Guardando perciò solo alla fascia d’età 0-18, la Cina è comunque il paese
d’origine di un alto numero di minori stranieri in Italia: secondo il rapporto
Caritas Unicef del 200527 è inserita nella fascia delle nazionalità ‘ad alto tasso
di minori’, perché il 30,8% delle presenze cinesi nel nostro paese è costituito
appunto da minori; superata solo, ma di poco, da Pakistan (31,5%), Bosnia
Ertzegovina (31,7%), Jugoslavia (32,6%) e Macedonia (34%). Se è vero che
la presenza dei minori rappresenta uno degli indicatori più significativi di
un’immigrazione stabile, i cinesi sembrano essere fortemente votati ad un
insediamento familiare in Italia.
E’ anche vero che solo adesso le prime seconde generazioni italiane iniziano
ad entrare nel mondo del lavoro, che sarà un campo di prova cruciale per
la loro integrazione. Per questo finora le indagini più interessanti e produttive si sono svolte nell’ambito scolastico, focalizzando l’interesse sul delicato
momento dell’adolescenza e sull’istituzione mediatrice più importante nella
prima fase della vita dei ragzzi, oltre alla famiglia.
I dati del Ministero della Pubblica Istruzione28 ci dicono che sono circa
430.000 gli allievi con cittadinanza non italiana nell’anno scolastico 2005/06,
con un incidenza di quasi il 5% rispetto alla popolazione scolastica complessiva. La presenza è molto più elevata nelle aree del Centro e del Nord del
paese, ed investe non solo le grandi città ma anche i piccoli centri (in accordo
27
Uscire dall’invisibilità, Primo rapporto UNICEF-Caritas sulla condizione dei minori
stranieri in Italia, 2005.
28
Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione generale per i sistemi informativi, Alunni con cittadinanza non italiana. Scuole statali e non statali., Anticipazione dei principali
dati, anno scolastico 2005-2006.
CAPITOLO 2. SECONDE GENERAZIONI
35
con la concentrazione degli immigrati nella penisola). Al quarto posto tra le
cinque cittadinaze più rappresentate troviamo appunto la Cina, con il 6,2%
sul totale degli alunni stranieri.
Sappiamo inoltre che per gli studenti stranieri il percorso scolastico si presenta più difficile che per gli studenti italiani. Questo è dovuto al fatto che
spesso i bambini arrivano in età superiore ai sei anni, e a causa delle difficoltà linguistiche non possono essere inseriti nello stesso anno di corso dei
loro coetanei; in più, procedono comunque con più difficoltà all’interno di
tutto il percorso scolastico.
Tuttavia una recente ricerca29 ha riscontrato che a parità di condizione sociale bassa, la percentuale di studenti con valutazioni scolastiche scadenti
è più alta fra gli italiani (30%) che fra gli stranieri (23%). Questo sembra confermare i risultati di numerose ricerche internazionali. La principale
spiegazione di questi risultati positivi per gli stranieri va ricercata nelle aspirazioni educative più forti espresse dalle famiglie immigrate rispetto a quelle
autoctone dotate del medesimo livello di risorse materiali e culturali.
La stessa ricerca ha evidenziato alcune particolarità interessanti degli alunni cinesi (spesso però la categoria è confusa e sovrapposta con quella degli
asiatici):
- i cinesi risultano fortemente sovrarappresentati (come anche gli studenti immigrati dall’Est europeo) fra quanti vivono con entrambi i
genitori;
- tra le motivazioni segnalate della frequenza della scuola, vi è la necessità di imparare l’italiano, soprattutto per gli asiatici;
- a livello descrittivo, a parità di estrazione sociale, medio-alta, e considerando unicamente gli immigrati che hanno frequentato la scuola media in Italia, gli asiatici risultano sovrarappresentati fra quanti
hanno ottenuto delle ‘buone’ valutazioni (non ‘ottime’), seguiti dagli
studenti latinoamericani;
29
L.Fischer e M.G.Fischer, Scuola e società multietnica. Modelli teorici di integrazione
e studenti immigrati a Torino e Genova, Fondazione Giovanni Agnelli, Torino, 2002, pp.
92-93.
CAPITOLO 2. SECONDE GENERAZIONI
36
- rispetto al livello di integrazione con i coetanei, l’unica provenienza
geografica decisamente negativa è quella asiatica (mentre fortemente
positiva è quella dell’Europa dell’Est);
- all’opposto, la provenienza asiatica facilita il buon rapporto con gli
insegnanti (e, sempre all’opposto, provenire dall’Europa dell’Est - o
dall’America Latina - ha un’influenza decisamente negativa);
- è piuttosto basso il numero di ragazzi stranieri che preferirebbe frequentare istituti riservati a ragazzi della medesima etnia (23%) o della
stessa religione (29%). Ma tra questi sono soprattutto i marocchini e
gli asiatici a desiderare di non doversi mischiare con coetanei di altra
origine e religione. Sconcerta in particolare l’elevato numero di originari dell’Asia che preferirebbero frequentare scuole riservate ai correligionari: probabilmente la loro scelta è dovuta a un forte desiderio di
frequentare scuole esclusivamente cinesi, dove poter mantenere le proprie tradizioni culturali e dove non sia richiesta un’integrazione, poco
gradita, con coetanei di origine diversa. Coloro che esprimono questa
preferenza sono comunque soprattutto maschi, di bassa estrazione socioculturale, con valutazioni scolastiche di non buon livello e che non
intendono continuare gli studi;
- per quanto riguarda l’atteggiamento dei genitori nei confronti dell’istituzione scolastica, particolare è la situazione dei genitori asiatici, che
nel 51% dei casi non sono mai andati a parlare con i professori delle
figlie (ma, d’altra parte, un terzo di loro non si è mai neppure preoccupato di contattare i docenti dei figli maschi). Questa situazione è
facilmente spiegabile con il diverso investimento parentale nella carriera scolastica dei propri figli: infatti i cinesi, in larga prevalenza, particolarmente a Torino, progettano di inserirli in attività commerciali
per le quali l’assolvimento dell’obbligo è considerato sufficiente.
In conclusione dell’analisi, nella ricerca citata viene creata una tipologia,
dividendo gli studenti immigrati in tre tipi:
- abbastanza integrati di estrazione medio-bassa (comprende il 47% degli
immigrati);
CAPITOLO 2. SECONDE GENERAZIONI
37
- fortemente integrati di estrazione alta (comprende il 29% degli immigrati);
- poco integrati di estrazione bassa (comprende il 24% degli immigrati).
Il terzo tipo è formato prevalentemente da studenti, soprattutto ragazze, che
provengono dall’Africa mediterranea e dall’Asia. Un dato che è bene ricordare per il mio sucessivo esercizio di ricerca: in questo gruppo prevalgono
gli studenti immigrati a Torino.
Pur evitando accuratamente di generalizzare i risultati di un’indagine cosı̀
circoscritta (solo bambini frequentanti la terza media, questionario e nessuna intervista in profondità, nove città in tutta Italia ecc.), tuttavia alcune
osservazioni si ripetono nel discorso internazionale accademico ma anche di
senso comune, e le approfondiremo nel capitolo 4, rielaborandole alle luce
delle interviste discorsive condotte.
Capitolo 3
Cinesi a Torino.
3.1
Ritratto in breve.
La maggior parte degli immigrati cinesi che vivono a Torino, cosı̀ come in
tutta Italia, proviene dalla Cina sud-orientale, in particolare dalla provincia
di Zhejiang.
Situata nel sud-est della Cina e bagnata dal Mar cinese orientale, la
provincia dello Zhejiang si estende su 100 mila kmq (quasi un terzo dell’Italia
e quattro volte il Piemonte) ed è tra le aree più popolate del paese. Il 70% del
suo territorio è costituito da un’area montagnosa, dove le coltivazioni sono
state storicamente impiantate con grandi sforzi e assumono forme intensive
per utilizzare al meglio gli appezzamenti ‘a terrazzo’. Il resto è occupato
dagli altopiani e dalla pianura, formata dal fiume e dal suo estuario1 .
1
F. Carchedi, La presenza cinese in Italia. Direzionalità dei flussi, dimensioni del
38
CAPITOLO 3. CINESI A TORINO.
39
Il clima è molto mite e consente di coltivare il riso come maggior prodotto cerealicolo, il tè, il cotone, le arance e la canna da zucchero. Le risorse
ittiche sono anche abbondanti. Inoltre la provincia è una delle principali
produttrici di seta della Cina: l’allevamento dei bachi da seta qui ha una
storia millenaria, e questo tessuto è sempre stato un’importante merce di
esportazione. Il turismo è vivace, attratto da stupendi paesaggi e siti storici. Infine e soprattutto, la zona è anche uno dei centri chiave per l’industria
leggera del paese, con oltre tremila imprese operanti2 . Lo Zhejiang è, in
conseguenza di tutto ciò, una delle regioni più ricche della Cina, e allora
perché l’emigrazione?
Ci dice Carchedi che le zone di maggior esodo in direzione dell’Italia non sono
quelle montagnose (più povere e depresse), ma quelle dell’altipiano e della
pianura facenti parte della municipalità di Wenzhou (e di altre realtà urbane minori), cioè quelle zone che appaiono, nel loro insieme, maggiormente
dinamiche dal punto di vista economico-produttivo. In effetti la maggior
parte delle famiglie cinesi a Torino, emigrate da questa regione, provengono
anche dalle vicinanze di questa città.
Per la sua collocazione, Wenzhou è considerata, dal punto di vista economicocommerciale, un’area strategica in quanto fa parte - insieme ad altre tredici
città cinesi che si affacciano sul mare - delle cosiddette ‘città costiere aperte3 .
Nello Zhejiang un contado e una classe media prospera possiedono quindi
le risorse finanziarie e le capacità d’impresa necessarie allo sviluppo delle
attività artigianali e industriali, e questo grazie a due fattori concomitanti:
l’afflusso delle rimesse degli immigrati in quanto risorse da reinvestire nelle
attività produttive e commerciali e le politiche di liberalizzazione commerciale, apertura dei mercati e modernizzazione della produzione4 .
La lingua usata per la comunicazione tra cinesi a Torino e provincia è
quindi il dialetto locale; solo pochi, i più acculturati, conoscono anche la
fenomeno e caratteristiche strutturali, in L’immigrazione silenziosa. Le comunità cinesi
in Italia., cit., p. 46.
2
Da ‘CriOnline:enciclopedia cinese’: http://italian.cri.cn/
3
Su questo tema vedi il capitolo 1, par. 1.1
4
F.Carchedi, La presenza cinese in Italia. Direzionalità dei flussi, dimensioni del
fenomeno e caratteristiche strutturali, in L’immigrazione silenziosa. Le comunità cinesi
in Italia, cit., pp. 46-48.
CAPITOLO 3. CINESI A TORINO.
40
lingua ufficiale, il Mandarino, utile per comunicare con i connazionali provenienti da altre provincie.
Buona parte degli adulti primo-migranti non conosce bene l’italiano, ma non
per un rifiuto pregiudiziale a impararlo, dettato da una presunta chiusura
culturale (come tanti pensano), bensı̀ per un’oggettiva difficoltà di apprendimento. Il cinese è infatti una lingua molto lontana da quelle occidentali: non
è una lingua alfabetica, ha suoni molto diversi dai nostri e una struttura
grammaticale e sintattica particolare5 . Per questo la barriera linguistica è
forte e consistente, e se può essere superata dai bambini o dalla seconda generazione di immigrati resta un ostacolo quasi insormontabile per molti adulti,
anche se in Italia da molti anni. Un secondo fattore, che rende possibile ai
cinesi sopravvivere a lungo in un paese straniero senza conoscerne quasi per
niente la lingua, è l’usanza dell’auto-occupazione o economia etnica.
5
Cfr.su questo tema R.Pisu, Cina. Il drago rampante., Sperling&Kupfer, Milano, 2006,
pp.3-12.
CAPITOLO 3. CINESI A TORINO.
3.2
41
I dati dell’Osservatorio Interistituzionale
sugli Stranieri in Provincia di Torino.
Per dare un’idea della consistenza numerica della comunità cinese a Torino
e per fornire una base di dati affidabili alla riflessione, ho utilizzato i Rapporti annuali dell’Osservatorio Interistituzionale sugli Stranieri in Provincia
di Torino. Sono riuscita a reperire i Rapporti dal 1999 al 2005, sufficienti a creare un profilo abbastanza dettagliato della situazione attuale, senza
perdersi troppo indietro nel tempo6 .
Le tabelle sono quasi sempre mie elaborazioni, focalizzate sulla nazionalità
cinese ed escludenti le altre, se non nei casi dove è utile un confronto diretto.
In alcuni casi ho riscontrato una certa difficoltà a comparare i dati da un
anno all’altro, essendo cambiati nel frattempo i criteri di raccolta o i metodi di esposizione. In particolare nell’ambito scolastico la confusione regna
sovrana, tra categorie che cambiano (oggi Asia, poi Cina, poi Asia Orientale...), tra dati precisi o campionati in ambiti diversi (solo Torino, Torino
e Provincia insieme; scuola pubblica o pubblica e paritaria insieme...), ecc.
Ho tentato di fare del mio meglio.
In altri casi, invece, come per esempio per il Registro Imprese o l’Albo Artigiani, i dati sono molto dettagliati e analizzati sempre nella stessa maniera,
facilitando cosı̀ il mio compito.
Gli ambiti a cui ho voluto fornire una base statistica sono quelli più interessanti ed indagati: la dislocazione in città e la composizione del gruppo
nazionale, l’imprenditoria e la scuola.
3.2.1
Residenti.
Come ben si vede dalla Tabella 3.1, il rapporto di genere si va sempre più
equilibrando, verso il raggiungimento del pareggio quantitativo tra uomini e
donne. Il progressivo assottigliarsi della forbice tra i generi è d’altronde un
fenomeno che investe in generale tutta la popolazione immigrata italiana:
nei primi anni Novanta il numero degli uomini era quasi il doppio di quello
delle donne! Nel 2004 le nazionalità a preponderante presenza maschile in
6
I dati percentuali nelle tabelle sucessive si riferiscono tutti a questa fonte.
CAPITOLO 3. CINESI A TORINO.
42
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
848
917
1.011
1.117
1.269
1.457
1.675
maschi
53,4% 53%
53,2% 53%
51,9% 51,6% 52,1%
740
889
1.178
812
991
1.369
1.541
femmine
Totale
46,6% 47%
46,8% 47%
48,1% 48,5% 48%
1.568
1.900
2.447
1.729
2.108
2.826
3.216
Tabella 3.1: Residenti cinesi a Torino. Rapporto di genere e confronto annuo.
città erano quelle Nordafricane (Senegal, Tunisia, Egitto, Marocco), con
percentuali dal 60 al 90% di uomini. A presenza marcatamente femminile,
invece, soprattutto le provenienze da Perù e Nigeria, ma anche da Moldavia
e Brasile (dal 70 al 60% donne). I motivi sono ovviamente legati in primo
luogo alla richiesta di certe tipologie di lavoro nel mercato italiano; e in
secondo luogo al formarsi di nicchie occupazionali (il cosiddetto ‘incapsulamento’).
In questo senso, l’emigrazione cinese è tradizionalmente a base familiare
anche per lo stretto rapporto tra gruppo parentale e impresa (lavoro autonomo).
1998/99 1999/00 2000/01 2001/02 2002/03 2003/04
1998/2004
+8,9%
+102,5%
+9,89%
+10,9%
+16,1%
+15,5%
+13,8%
Tabella 3.2: Residenti cinesi a Torino. Incremento annuo e del periodo 1998-2004.
La Tabella 3.2 mostra l’incremento annuo della popolazione cinese a
Torino. Sono tutti incrementi uniformi, tra il 10 e il 14%, tutti al di sotto
della media complessiva. Indicano il superamento della fase delle grandi
ondate di arrivo, e per questo si ritrovano solitamente nei gruppi nazionali
CAPITOLO 3. CINESI A TORINO.
43
di più antica immigrazione: oltre ai cinesi, anche marocchini, peruviani ed
egiziani.
circoscrizione
1999
2000
2001
2002
2003
2004
7
380
404
489
640
812
925
6
219
269
299
359
448
607
3
264
316
312
315
331
338
1
346
307
311
313
327
338
Tabella 3.3: Distribuzione dei residenti cinesi nelle circoscrizioni cittadine. Prime
quattro per concentrazione ed evoluzione nel quinquennio.
Nella tabella 3.3 si vedono le circoscrizioni a maggior concentrazione di
cinesi in città, e l’evoluzione demografica-territoriale del gruppo negli ultimi
anni.
Le aree di maggior insediamento della comunità cinese in città non sono
cambiate nel periodo. Con qualche variazione di ‘peso’ demografico, sono
sempre la circoscrizione 7, la 6, la 3 e la 1. Tuttavia le circoscrizioni 6 e 7
sono quelle dove si sono diretti maggiormente i nuovi arrivati: la popolazione
cinese è aumentata di quasi due terzi in entrambe.
La circoscrizione 7 (al suo interno la zona marcatamente problematica di
Porta Palazzo-Borgo Dora) rimane, anche in generale, la zona di Torino a
maggior concentrazione di stranieri: 16,7% degli stranieri nel 1999; 16,1%
nel 2004.
CAPITOLO 3. CINESI A TORINO.
3.2.2
44
Il lavoro autonomo.
1999
2000
2001
Francia
15,8%
Francia
13,4%
Marocco
11,5%
Germania
7,2%
Marocco
8,9%
Francia
11,3%
Tunisia
5,9%
Germania
6,6%
Romania
5,8%
Svizzera
5,6%
Tunisia
5,1%
Germania
5,6%
Marocco
4,8%
Svizzera
4,8%
Tunisia
5,4%
Argentina
4,7%
Cina
4,5%
Svizzera
4,6%
Cina
4,5%
Cina
4,5%
2002
2003
2004
Marocco
12,4%
Marocco
14,2%
Marocco
15,4%
Francia
10,9%
Francia
10%
Romania
13,1%
Romania
6,3%
Romania
8,8%
Francia
8,4%
Germania
5,8%
Cina
5,6%
Cina
5,6%
Cina
5,2%
Tabella 3.4: Cittadini stranieri iscritti al Registro Imprese per stato di nascita, prime nazionalità sul totale degli iscritti stranieri.
Confronto annuo dati
percentuali. Dati dal Registro Imprese.
I cinesi sono oggi al terzo posto tra le nazionalità dell’imprenditoria extracomunitaria, dopo marocchini e rumeni (Tab. 3.4).
Le donne vanno da 1/3 a quasi 2/5 degli iscritti cinesi (Tab 3.5). Una
frazione significativa del rapporto di genere, che si riscontra in poche altre
nazionalità a vocazione imprenditoriale, soprattuto europee. Purtroppo i
Rapporti dell’Osservatorio non consentono un analisi delle cariche sociali
ricoperte (titolare, amministratore, socio...) per nazionalità e genere, ma
sarebbe interessante indagare i ruoli ricoperti dalle donne cinesi nelle imprese, a prevalente gestione familiare.
CAPITOLO 3. CINESI A TORINO.
Maschi
1999
211
45
Femmine
121
(4◦ dopo
Francia,
Germania
e
Svizzera)
2000
252
151 (3◦ dopo Francia e Germania)
2001
258
127 (5◦ dopo Francia, Germania, Nigeria e
Svizzera)
2002
365
214 (2◦ dopo Francia)
2003
421
236 (3◦ dopo Francia e Nigeria)
2004
475
290 (3◦ dopo Francia e Nigeria)
Tabella 3.5: Cittadini Cinesi iscritti al Registro Imprese per sesso. Confronto
annuo.
1999
Settori
Numero
2000
Settori
occupati
Numero
2001
Settori
occupati
Numero
occupati
H
149
H
190
H
136
D
78
G
87
G
124
G
54
D
83
D
97
K
21
K
26
K
17
2002
Settori
Numero
2003
Settori
occupati
Numero
2004
Settori
occupati
Numero
occupati
H
242
H
252
G
355
G
193
G
249
H
262
D
97
D
105
D
99
H
25
K
30
K
25
Tabella 3.6: Cittadini cinesi iscritti al Registro Imprese, per attività economica
(classificazione ATECO - vedi sotto). Confronto annuo.
CAPITOLO 3. CINESI A TORINO.
46
Classificazione ATECO
H
albergi e ristoranti.
D
attività manifatturiere.
G
commercio all’ingrosso e dettaglio, riparazione di autoveicoli,
motocicli e di beni personali e per la casa.
K
attività immobiliari, noleggio, informatica, ricerca, altre attività
professionali ed imprenditoriali.
Grazie alla Tabella 3.6 possiamo invece esaminare la suddivisione delle
imprese nei vari settori.
Il settore commerciale (G) ha visto aumentare il numero dei suoi occupati,
lentamente ma gradualmente, arrivando a essere nel 2004 la prima attività
economica delle imprese cinesi.
La ristorazione (H) perde invece punti, probabilmente per la saturazione del
mercato, annunciata già da tempo e a cui i cinesi in Italia avevano tentato
di ovviare, in un primo tempo, con il decentramento nei centri urbani più
piccoli.
Tabella 3.7:
Anno
Numero iscritti
1999
79
2000
80
2001
95
2002
93
2003
103
2004
125
2005
94
Cittadini cinesi iscritti all’albo artigiani (settore D: attività
manifatturiere). Confronto annuo, dati dall’Albo Artigiani.
Per quanto riguarda l’artigianato, il settore D (attività manifatturiere)
è praticamente l’unico in cui sono presenti i cinesi artigiani a Torino. Ma,
come si vede dalla Tabella 3.7, il numero degli occupati ha avuto negli ultimi
anni un incremento molto modesto.
CAPITOLO 3. CINESI A TORINO.
3.2.3
47
La scuola.
a.s.1997-98
a.s.1998-99
a.s.1999-00
Maghreb
27,7%
Maghreb
27,1%
Maghreb
27,3%
Centro Sud
16%
Centro Sud
15,2%
Centro Sud
15,6%
America
Ex
America
9%
Cina
Yugoslavia
Cina
America
9,1%
Romania
10,9%
Albania
9,5%
Cina
8,1%
(418)
7,8%
(289)
(473)
Tabella 3.8: Alunni con cittadinanza straniera nelle scuole (materne, elementari,
medie, superiori) di Torino e Provincia, statali e paritarie.
Maggiori aree geografiche di provenienza, percentuali sul totale degli alunni
stranieri. Confronto anni scolastici.
Per gli anni scolastici dal ’97 al 2000 (Tab 3.8) i rapporti dell’Osservatorio riportano i dati suddivisi per aree geografiche di provenienza, e non per
stati. Tuttavia la Cina è considerata a parte, e questo ci consente di avere
dei numeri confrontabili con quelli degli anni sucessivi.
E’ invece negli anni scolastici 2000-01 e 2001-02 che il ‘buco’di dati è irrisolvibile: il riferimento questa volta è l’Asia, un’area statistica troppo vasta
e frammentata per poter essere d’aiuto, e le cittadinanze più rappresentate
vengono conteggiate su un campione (5000 alunni, non in scuole materne
per di più).
I nostri confronti possono perciò riprendere solo con l’anno scolastico 200203, proseguendo poi (senza ulteriori bizze di costruzione dati) fino al 2005
(Tab 3.9).
CAPITOLO 3. CINESI A TORINO.
a.s.2002-03
a.s.2003-04
48
a.s.2004-05
a.s.2005-06
Romania
22,9%
Romania
30,6%
Romania
35,7%
Romania
37%
Marocco
18,5%
Marocco
19,4%
Marocco
16,8%
Marocco
17%
Albania
9%
Albania
8,7%
Albania
7,6%
Albania
7,6%
Perù
7%
Cina
5,9%
Perù
5,7%
Perù
5,6%
Cina
4,5%
Cina
4,8%
(851)
Cina
5,3%
(580)
(833)
(1002)
Tabella 3.9: Alunni con cittadinanza straniera nelle scuole (materne, elementari,
medie, superiori) di Torino e Provincia, statali e paritarie.
Maggiori aree geografiche di provenienza, percentuali sul totale degli alunni
stranieri. Confronto anni scolastici.
Scuole serali e CTP.
I CTP (Centri Territoriali Permanenti per l’istruzione e la formazione in età
adulta) sono stati istituiti per legge, in Italia, nel 1997. La loro utenza è
sempre più frequentemente costituita da adulti immigrati, con esigenze di
inserimento lavorativo e integrazione attraverso l’apprendimento della lingua italiana.
Dal Rapporto 2004 l’Osservatorio ha cominciato a analizzare separatamente
i dati sulla frequenza straniera provenienti dai CTP e dai corsi serali delle
secondarie di 2◦ grado. Il successo dei CTP è stato enorme a Torino, considerati i numeri degli stranieri che li frequentano (Tab 3.10); numeri molto
maggiori di quelli dei corsi serali delle secondarie di 2◦ grado. Le ragioni
sono molte, ad esempio il fatto che nelle serali sono richiesti titoli di studio pregressi riconosciuti, e che bisogna frequentare tutto il ciclo per poter
avere in mano un attestato, mentre nei CTP i corsi sono molto più brevi.
Questo significa comunque che la formula funziona, e che c’è una domanda
di istruzione e conoscenza della lingua da parte degli adulti stranieri non
indifferente.
Che questo esprima il tentativo di uscire dallo status vigente di manodopera
non qualificata e a basso costo, dal ruolo di ‘emarginati’ della società, per
CAPITOLO 3. CINESI A TORINO.
49
acquisire dignità e benessere? Lo spero vivamente.
a.s.2004-05
a.s.2005-06
469
550
CTP
6.856
7.309
Totali
7.325
7.859
Secondaria 2◦ gr. Serale
Tabella 3.10: Presenze allievi stranieri nelle scuole secondarie di 2◦ grado serali e
CTP, di Torino e Provincia. Anni scolastici 2004-05/2005-06.
La Tab 3.11 segnala le componenti nazionali più coinvolte nel successo
dei CTP. La Cina è la quarta.
Colpisce il divario, ancora più grande che per le altre nazionalità, tra i grandi
numeri delle frequenze cinesi ai CPT e quelli davvero esigui (addirittura
sotto la decina) delle frequenze alle serali.
a.s. 2004
Cittadinanze
CTP
a.s. 2005
Secondarie
Cittadinanze
CTP
2◦ gr.Serali
Secondarie
2◦ gr.Serali
Marocco
2.032
91
Marocco
2.112
69
Romania
739
92
Perù
762
148
Perù
674
131
Romania
743
141
Cina
482
6
Cina
641
9
Tabella 3.11: Maggiori cittadinanze per numero allievi CPT e secondarie di
2◦ grado serali, Torino e Provincia. Confronto anni scolastici 2004-05/2005-06.
Capitolo 4
La ricerca esplorativa.
4.1
La (difficile) ricerca dei contatti.
Quando ho iniziato, mesi fa, a cercare contatti all’interno della comunità
cinese di Torino, pensavo di stare peccando di anticipo. Non immaginavo
certo quanto sarebbe stato difficile e lungo trovare quei pochi ragazzi che mi
serviva intervistare...
In un primo momento ho tentato la via ufficiale, quella più ovvia a prima
vista, tramite l’associazionismo cinese che immaginavo esistesse in città.
Dopo essermi informata, ho scoperto che esistono due associazioni cinesi a
Torino:
- l’Associazione di Cinesi e Italiani di origine cinese: la più vecchia
e la più nota sia tra i cinesi di Torino e provincia, sia dalle autorità
(Comune, Provincia) quando devono organizzare eventi multiculturali;
ha a capo un presidente e un consiglio di soci, tutti grandi proprietari
di ristoranti cinesi; anche le riunioni si tengono sempre in uno dei loro
ristoranti.
- l’A.I.C.U.P, Associazione Immigrati Cinesi Uniti in Piemonte: più
recente e formatasi, sembra, in seguito alla separazione dell’odierno
presidente, parente di quello della prima associazione e ricco uomo
d’affari, per divergenze di opinioni non meglio definite.
Fonti attendibili me ne hanno parlato come di un paravento e insieme
cartellone pubblicitario per le attività imprenditoriali e immobiliari
50
CAPITOLO 4. LA RICERCA ESPLORATIVA.
51
del suo presidente; un’associazione ‘fantasma’ quindi, poco legata al
gruppo che dovrebbe rappresentare. In effetti non sono riuscita a contattarla, trovando su internet e altrove recapiti e numeri telefonici
sempre diversi, ma a cui non rispondeva invariabilmente nessuno.
Tuttavia devo dire, a onor del vero, che non sono riuscita a contattare con
i metodi tradizionali (e-mail, telefonate) nemmeno la prima associazione;
tramite il passaparola ho parlato alla fine con uno dei soci, che tuttavia mi
ha aiutato solo fornendomi, dopo molte insistenze, il recapito della figlia del
presidente per intervistarla (cosa che ho fatto).
Le spiegazioni a questo fatto potevano essere solo due: o non c’era l’intenzione di aiutarmi, oppure anche la prima associazione aveva solo deboli
legami con la popolazione cinese di Torino. Come spiegherò meglio più
avanti, opto per una concomitanza di entrambe le motivazioni, anche se le
interviste riveleranno maggiormente la fondatezza della seconda.
Dopo essermi trovata davanti a un vicolo cieco percorrendo la strada
ufficiale (l’unico contatto fornitomi dalla ragazza avrebbe poi rifiutato l’intervista), ho tentato una seconda via informale e immagino inusuale, scoprendo su internet un sito di ragazzi di seconda generazione cinesi in Italia:
www.associna.it. Mi sono iscritta e ho cosı̀ potuto partecipare alle discussioni del forum, nonchè ‘postare’ direttamente un messaggio in cui spiegavo
gli scopi della mia modesta ricerca e chiedevo se ci fosse qualcuno di Torino
disposto a farsi intervistare.
Il sito in sè mi è parso molto interessante, un esperimento ben riuscito di
comunità online che dà voce ai problemi e alle esigenze dei giovani cinesi in Italia, e più in generale delle seconde generazioni: lo descrivo meglio
più avanti1 . Purtroppo la maggior parte degli utenti di Associna si trova
in Lombardia, e ci sono ben pochi torinesi, ma i ragazzi che ho conosciuto
erano molto disponibili e ho ricevuto una netta impressione di apertura, opposta alla chiusura dei vecchi soci dell’associazione torinese. Tramite questo
canale ho trovato altre due persone da intervistare.
Infine ho provato a contattare le mediatrici culturali cinesi che operano a Torino, tramite le associazioni e le cooperative presso cui lavorano, e
1
Vedi Capitolo 5
CAPITOLO 4. LA RICERCA ESPLORATIVA.
52
dopo parecchia attesa, ma anche molta disponibilità dato che non rientrava
in alcun modo nei loro compiti professionali, ho ricevuto un altro paio di
nominativi e recapiti.
Queste sono state in breve le mie peripezie, durate mesi, per trovare pochi
soggetti da intervistare. Infatti, nonostante asseriscano che a Torino si
conoscono tutti tra di loro, nessn ragazzo è riuscito a reclutare, tra le sue
amicizie e conoscenze, qualcun’altro adatto a sua volta per l’intervista.
Naturalmente la difficoltà nel reperire contatti potrebbe essere dovuta anche
ad altro. E’ stato ad esempio osservato da qualche operatrice delle associazioni mediatrici che solo pochi ragazzi in città si trovano nell’età da me
segnalata; se avessi scelto di intervistare persone con qualche anno di meno
o di più avrei trovato maggiore disponibilità. Inoltre potrei non aver scelto
un buon metodo di reclutamento, data la mia inesperienza.
I giovani che sono riuscita ad intervistare sono ovviamente un campione non rappresentativo della loro categoria a Torino, anche perchè non
conoscendo il cinese ho dovuto porre come clausola una sufficiente conoscenza dell’italiano, e la totale gratuità e volontarietà dell’intervista mi ha probabilmente portato a individuare soggetti con una buona istruzione e un
interesse di qualche tipo su questi argomenti. Come età, due di loro sono
19enni, una ha 23 anni e un altro 24. Solo uno è laureato, mentre tutti
hanno la licenza superiore2 .
4.2
L’importanza della scuola e il lavoro autonomo.
E’ uno stereotipo diffuso, soprattutto fuori dall’Europa e in America, l’idea
che i giovani cinesi considerino la scuola molto importante e ottengano solitamente risultati brillanti, molto più dei ragazzi appartenenti ad altre mi2
In dettaglio, le interviste realizzate sono dunque quattro, indicate con a lettera iniziale
del nome:
C.: femmina, 23 anni, diplomata, sposata e con due bambini piccoli. Arrivata in Italia
all’età di sei anni.
Y.: maschio, 24 anni, laureato. Arrivato in Italia all’età di diciassette anni circa.
M.: maschio, 19 anni, diplomato. Nato in Italia.
V.: femmina, 19 anni, frequenta l’ultimo anno della scuola superiore. Nata in Italia.
CAPITOLO 4. LA RICERCA ESPLORATIVA.
53
noranze etniche3 . In Italia questa idea di senso comune non sembra essere
diffusa per ora, e i risultati scolastici effettivi sembrano essere nella media
rispetto agli altri alunni stranieri4 .
Di certo la scuola è, con la famiglia, la più importante istituzione sociale
mediatrice nel processo di integrazione dei giovani, la linea di incontro tra i
ragazzi immigrati e la società d’accoglienza. Solo tramite la frequentazione
della scuola si può imparare una lingua fino a farla propria e mimetizzarsi
cosı̀ abbastanza bene tra gli autoctoni. I genitori cinesi lo sanno e per questo
la frequenza dei minori del gruppo nazionale è alta5 .
Inoltre la scuola in Cina è molto importante. Oggi si cominciano ad aprire
spazi di ascesa sociale poco legati all’educazione, come l’imprenditoria, ma
per lungo tempo la scuola è stata l’unico canale praticabile per diventare
qualcuno nella società cinese. Per centinaia di anni, prima della Rivoluzione
Culturale, ha funzionato il principio della selezione meritocratica dei funzionari e dei burocrati6 .
Per questo C. dice che:
”...la scuola in Cina è molto pesante, più dura che qua. Molto! Lı̀ infatti ci son tanti ragazzi che pur di andare bene a scuola...cioè, non mangiano...non hanno tempo. Cioè, li vedi che son sempre lı̀...i secchionisecchioni, in Cina son proprio quelli con gli occhiali, sempre lı̀... [...] I
pochi che vengono scelti...perchè loro per fare l’università non è come
qua che uno qualsiasi, anche con l’insufficienza, può andare... Lı̀ no,
lı̀ ci son dei punti. Tipo, se c’hai 350 punti...anzi, ogni anno cambia:
quest’anno è 365, se riesci a fare un totale di 365 ti prendono. E invece
se non riesci a fare quel punteggio lı̀ sei già via.”
La dura selezione scolastica si combina con la politica del figlio unico, a
formare un mix esplosivo. La maggior parte dei giovani cinesi sono figli
unici, e le aspettative, i sacrifici, le attenzioni e le speranze di quattro nonni
e due genitori sono tutti su di loro, che devono ripagarle con il successo a
3
Cfr. ad esempio V.Louie, Second generation pessimism and optimism: how Chi-
nese and Dominicans understand education and mobility through ethnic and transnational
orientations, in International Migration, vol.40, 2006.
4
Cfr. Par. 2.4 ’Focus on’: le seconde generazioni cinesi in Italia.
5
Cfr. Par. 2.4 ’Focus on’: le seconde generazioni cinesi in Italia.
6
F.Scisci, Chi ha paura della Cina, cit., pp.106 e 176.
CAPITOLO 4. LA RICERCA ESPLORATIVA.
54
scuola e nella vita. Tutto questo per un ragazzino è un peso morale enorme,
che porta spesso a gesti disperati come il suicidio7 . Lo rivediamo nelle parole
di C.:
”E quelli che non riescono a raggiungere il punteggio, invece di andare
a dire ai genitori ’Non ho superato...’, ci son certi che si danno al
suicidio! Non ce la fanno a dire ai genitori...perchè la scuola costa,
in Cina, più di qua, e ci sono magari delle famiglie, quei genitori che
hanno un figlio soltanto, che danno TUTTO TUTTO [sottolineato con
il tono di voce]...: tiran fuori, mettono l’ipoteca...insomma, tutto per
lui che deve andare a studiare e magari sognano che in futuro lui abbia
un buon impiego...per loro, ecco, questo è un investimento. [...] Se li
deludi loro non hanno più la faccia... Cioè, si sentono questi alunni un
peso nelle spalle che non ti dico! Cioè, se uno non è portato per gli
studi, qua può entrare nel mondo del lavoro. Lı̀ no!”
L’idea della scuola come trampolino di lancio per un futuro migliore sembra essere ancora molto presente nei genitori dei ragazzi cinesi di seconda
generazione; come accenna V. parlando della sua indecisione se continuare
o meno, dopo il liceo, con l’Università:
”E poi i miei genitori sarebbero contentissimi! Per i cinesi la scuola
è...aaah!![molto sottolineato con la voce: intende ’il non plus ultra’]
Perchè pensano che ti dà più lavoro, che ti dà questo e quello... [...]
Sono molto condizionata... Dai miei genitori... [...] Però mi piacerebbe,
dare una soddisfazione davvero ai miei genitori! Perchè nella famiglia
di mia madre sono arrivati alla licenza media...è bello avere qualcuno
della famiglia che sia laureato!”
Tuttavia spesso non hanno poi i mezzi, linguistici e culturali, per poter
seguire da vicino la carriera scolastica dei figli.
M: ”Un aspetto positivo è il fatto che loro [i genitori], non capendo
bene la lingua alcune cose le fanno passare. Io nell’ultimo anno ho
tagliato molto, e i miei genitori non han mai saputo, perchè quando li
facevo firmare gli dicevo che era per un’uscita, cose cosı̀...”
E, dato il mutato contesto di riferimento e la loro esperienza personale, non
sono sicuri che renda per il futuro nello stesso modo che in patria. Cosı̀
7
F.Scisci, Chi ha paura della Cina, cit., pp. 177-183.
CAPITOLO 4. LA RICERCA ESPLORATIVA.
55
preferiscono spesso indirizzare i figli sulla strada sicura di aprire un’attività,
come ha fatto la maggior parte di loro a suo tempo8 .
Y. ad esempio, arrivato qua tardi, a 16 anni, ci riporta le posizioni dei suoi,
che pur avendo una buona istruzione hanno dovuto adattarsi in Italia a fare
lavori manuali ed umili, e probabilmente anche per questo non volevano che
il figlio studiasse a lungo:
”Mio papà si è laureato...e insegnava a scuola. Mia madre ha la scuola
superiore. [...] Mi dispiace dire, però [qua] fa operaio... In Cina gestiva
la scuola, era direttore... [...] Però comunque si è pentito adesso.
Parlando cosı̀...si è pentito parecchio. [...] Mia madre fa la sarta...a lei
piace. Comunque tutti i giorni sta a a casa a cucire le camicie...[tono di
voce dice: ’non è un gran lavoro’]. [...] Fa questo lavoro per un’azienda.
[...] Io all’inizio, quando sono arrivato in Italia...maggiori ragazzi sono
andati a fare camerieri, nei ristoranti cinesi, cosı̀... Io ho detto: ’No,
voglio studiare e voglio finire la laurea’. Per loro [i genitori] è sbagliata
la strada. Hanno detto che ’Studi bene italiano, interrompi e vai ad
aprire un ristorante’. [...] Però io ho scelto una strada diversa...”
Cosı̀, alla fine sono in pochi a continuare a studiare all’Università. Forse
con più pragmatismo di noi italiani, dato che nel nostro paese avere una
laurea vuol dire spesso guadagnare comunque meno di un idraulico o di
un elettricista, decidono consapevolmente di seguire le orme dei genitori e
aprire un’attività di qualche genere. O comunque, l’opzione ‘ristorante’ è
sempre un porto sicuro in cui potersi rifugiare se i desideri di realizzazione
non dovessero avverarsi.
Y: ”Sono l’unico che sono andato avanti a studiare![ride]”
- Non conosci nessun altro che è andato avanti a studiare? ”No, tra tutti quelli miei amici no...”
M: ”Loro [i genitori] pensavano di lasciarmi studiare...se riuscivo a
lavorare col mio titolo di studio è una buona cosa, già. Se no poi mi
lasciano il ristorante.’
8
Cfr. le osservazioni sugli studenti cinesi della ricerca di L.Fischer e M.G.Fischer,
Scuola e società multietnica, cit., p. 67.
CAPITOLO 4. LA RICERCA ESPLORATIVA.
56
Ma anche quando pensano a un’attività autonoma per il futuro, soprattutto
i ragazzi nati qua (sia V. che M.) rifiutano certi stereotipi che porta spesso
con sè il cinese imprenditore:
V:”Oppure mi vorrei aprire un’attività mia, sempre riguardo a un locale. Ristorazione no. Un ristorante no! Tutti i cinesi, no?, ristoratori,
c’hanno un orario massacrante che io...no! Io che son nata e cresciuta
qua ho una mentalità più aperta, un’altra generazione...la penso già in
modo diverso. Non ce la farei mai a fare... [...] No, no...prima penso
A ME [sottolineato col tono di voce] e poi...”
M: ”Più che altro pensavo una pizzeria. O un bar o una pizzeria...’
4.3
La competenza linguistica e la comunicazione
in famiglia.
I primi immigrati cinesi arrivati in Italia negli anni venti e trenta non
conoscevano per niente la lingua, ma dovettero impararla in fretta per poter
vivere e svolgere i loro piccoli commerci rivolti alla popolazione autoctona.
Lo sviluppo poi dei primi laboratori artigiani, in cui lavoravano molti dipendenti italiani, e i matrimoni con donne del posto accelerarono il processo di
apprendimento della lingua.
I cinesi arrivati dopo gli anni cinquanta hanno invece trovato ad accoglierli comunità ben organizzate, dove ognuno aveva compiti precisi, compreso quello delle relazioni con l’esterno che spettava ai pochi individui che
conoscevano bene la lingua, mentre la maggior parte dei membri della comunità intratteneva relazioni solo con i propri connazionali, isolandosi cosı̀
dalla società circostante. La forte propensione all’auto-occupazione aggravava ancor di più il problema, e oggi ne è la principale causa9 .
Infatti la situazione oggi è cambiata con la nascita delle seconde generazioni,
che portano necessariamente i genitori ad imparare almeno un po’ di italiano,
ma l’auto-occupazione continua a trattenere nell’isolamento almeno coloro
9
S.Galli, Le comunità cinesi in Italia: caratteristiche organizzative e culturali, in
L’immigrazione silenziosa. Le comunità cinesi in Italia, cit., pp.92-93
CAPITOLO 4. LA RICERCA ESPLORATIVA.
57
che sono arrivati da poco: specialmente se irregolari, sono quasi costretti a
rivolgersi a datori di lavoro cinesi.
Y: ”Poi non so perchè, ci sono tanti che vivono da più di dieci anni in
Italia e non sanno neanche una parola di italiano [Il tono della voce dice:
’E’una cosa grave!’]. Ci sono, tanti... [...] Secondo me hanno provato
una paura talmente grande, sia di fronte alla lingua sia di fronte alla cultura, che non sanno proprio uscire da questo cerchio di difficoltà.”
C: ”Il datore di lavoro cinese va bene per chi non ha un alloggio, per
chi non ha...cioè, stenta a...”
- Perchè ti dà una mano in più? ”No! Perchè mangi da loro, vivi da loro. E allora risparmi tanto. Per
noi che abbiamo già la casa, la macchina e tutto...cioè, anche un lavoro
italiano va bene.[...] Invece quello italiano è il lavoro normale, secondo
me, che gli orari sono regolari e tutto...Il contratto è quello...cioè, la
busta paga è quella che prendi. Non il minimo...”
La difficoltà linguistica è comunque una delle principali cause per cui le
collettività cinesi in Italia sono strette nel paradosso di una sostanziale e
ben riuscita integrazione economica, a cui non corrisponde però un analogo inserimento sociale10 . Le istituzioni italiane dovrebbero perciò favorire
la creazione di corsi di lingua appositamente studiati per gli immigrati, in
orari compatibili, per quanto possibile, con le loro esigenze lavorative.
D’altra parte è auspicabile che i giovani di seconda generazione non abbandonino del tutto la lingua d’origine, ma adottino un sostanziale bilinguismo,
segeuendo un processo di acculturazione selettiva11 , per facilitare la comunicazione intra-generazionale che sembra invece spesso mancare, soprattutto
nel caso di ragazzi nati qui (come V. e M.):
M:”Un problema mio personale, e anche di molti altri ragazzi cinesi che
sono nati qua, è il fatto che non riescono a comunicare con i genitori in
modo serio, facendo un discorso...più profondo. E quindi ci sono molti
contrasti. [...] Loro hanno la loro mentalità...quella che è, mentre
noi ne abbiamo un’altra e quindi le idee si scontrano. [...] Eeh...per
10
F.Carchedi, La presenza cinese in Italia, in M.Ambrosini e S.Molina, Seconde
generazioni, Fondazione Giovanni Agnelli, Torino, 2004, p. 71.
11
Cfr. Capitolo 2, par. 2.1, p.3-4.
CAPITOLO 4. LA RICERCA ESPLORATIVA.
58
le comunicazioni è un po’ difficile parlare con i miei. Perchè il mio
dialetto non è proprio...è un discorso semplice poi alla fine. Quindi
devo metterci anche un po’ di italiano, perchè non sapendo come si dice
una parola...la devo espremere cosı̀. E dalla loro parte è già difficile
capire la parola in italiano, e quindi...”
Inoltre imparare la lingua cinese è un’opportunità davvero importante per
i ragazzi che hanno studiato qui, perchè, come abbiamo detto all’inizio12 ,
la Cina sta diventando una potenza economica e in Italia mancano gli intermediari per realizzare proficui commerci tra i due paesi. Questa è la
motivazione più importante che spinge i giovani intervistati a voler imparare il Mandarino (o cinese ufficiale), ma mentre alcuni di loro lo sanno già
parlare, scriverlo è molto più difficile:
V: ”Sono andata a scuola...due mesi...per scriverlo. E’ troppo difficile!! ...adesso, basta... Parlarlo... Però scriverlo è una cosa pazzesca.
[...] Oppure vorrei andare in Cina a studiare un anno. Il Cinese.
Tradizionale: scritto, letto...”
M: ”Poi adesso conosco molte persone, ad esempio anche qualche mio
ex compagno, che stanno studiando il cinese perchè li affascina la Cina,
perchè dicono che sarà un paese in sviluppo, fra un po’ di anni parleranno tutti cinese...” (e sta seguendo un corso di cinese all’università, mentre quest’estate dovrebbe andare n Cina un paio di mesi a
impararlo da sua zia).
Al momento tuttavia il loro è un bilinguismo solo parziale (in famiglia quasi
tutti parlano un misto di dialetto dello Zhejiang e italiano), ma i genitori
si affidano comunque a loro nelle occasioni più importanti di comunicazione
con l’esterno (andare dal medico, dal commercialista, alla questura...), incaricandoli di tradurre senza capire che il compito è molto arduo. O addirittura delegando a loro compiti da adulti, causando quasi un’inversione
di ruoli (come nel caso di C., si noti il lapsus significativo).
V: ”Sanno [i genitori] le parole povere, cioè...! [...] Anche se sono da
tanto tempo qui...infatti portano me o mio fratello. Tipo...dal commercialista, di qua e di là...quando bisogna fare le cose importanti. E
12
Cfr. l’Introduzione e il Capitolo 1.
CAPITOLO 4. LA RICERCA ESPLORATIVA.
59
poi non si sanno manco esprimere bene. Però non è manco cosı̀ facile
tradurre! E infatti, però...quando non riusciamo a tradurre ai genitori, ci prendono come ignoranti...di questo. Visto che siamo nati e
cresciuti qui non sappiamo manco... [...] Anche se l’hai capito non lo
sai spiegare, oppure...è complicato. [...] Ci prende male questo, sai?
[detto con partecipazione] Proprio i genitori ti stressano: ’Ma tu, sei
qui...non servi a niente... Alla fine non andare a scuola se non impari
niente...’, eccetera.”
C: ”E invece le mie sorelle sapevano l’italiano... Alle assemblee di
classe andavo io, come genitor...cioè, da parte di mia mamma, no? E
io lı̀ a rimproverarle, sempre dietro. [...] Perchè essendo la maggiore
ti fanno sentire..cioè, hai una responsabilità maggiore, che... [...] Per
loro [le sorelle] ero come una seconda mamma! Mia mamma sı̀, c’era,
però non la sentivano cosı̀ tanto. Ero io che mi occupavo di loro: facevo il bagnetto, si andava a giocare fuori, le portavo di qua e di là,
accompagnavo a scuola...”
Infine bisogna notare che io non ho trovato nessuno, tra gli intervistati, che
abbia sofferto di una vera e propria discriminazione dei compagni a scuola
o che mi abbia parlato di qualche esperienza simile subita da altri bambini
cinesi. E l’unico caso in cui ci sono state prese in giro e simili è stato proprio
a causa della scarsa conoscenza della lingua, non certo dell’aspetto o del
colore della pelle:
C: ”Poi c’erano, va beh, a scuola quelli che ti prendevano in giro...perchè
non parlavo bene, non reagivo quando mi prendevano in giro, e... [...]
Quando sei nato qua e parli già, dal primo impatto diciamo, con loro
in lingua italiana, non ti prendono per straniera cosı̀ totale!
4.4
I due nomi.
Nella traccia dell’intervista ho inserito, dopo una breve chiaccherata preliminare con C., una domanda su un fatto di cui cominciai ad accorgermi
contattando i ragazzi: quasi nessuno aveva il nome cinese, quasi tutti sembravano invece avere un nome italiano, ma questo era molto strano dato che
diversi di loro non erano nati in Italia.
CAPITOLO 4. LA RICERCA ESPLORATIVA.
60
Incuriosita da questo fatto ho cosı̀ scoperto che i bambini nati in Italia hanno quasi sempre due nomi, ma mentre quello ufficiale è il cinese (registrato
all’anagrafe), l’italiano viene attribuito durante il battesimo. Un battesimo
che oltretutto sembra avere l’unico scopo di uniformarsi agli usi e costumi
della popolazione del luogo d’arrivo, dato che i genitori non sono religiosi
(come quasi tutti i cinesi atei o tutt’al più risentono di influenze buddiste
e confuciane). E il nome italiano, a sua volta, sembra serva per facilitare i
rapporti con la società ospite e far percepire di meno la propria diversità,
anche se finisce per essere usato da tutti, genitori compresi.
V: ”Battezzata V., io son stata battezzata. Il mio nome è ....(nome
cinese) [...] Si, sui documenti si. [...]Visto che siamo italiani, è più
facile anche per voi italiani chiamarci.”
- Ma tu...tra i tuoi amici, quasi tutti fanno cosı̀? ”Si si...”
- Ma quello cinese lo usi o...? Fammi capire... ”No, come ti chiama uno ti chiamano gli altri. A me mi chiamano V.
tutti...anche i miei genitori.”
M: (idem come sopra, sia genitori che amici lo chiamano con il nome
italiano) ”C’è mio nonno che mi chiama col nome cinese. [...] Sarà una
cosa di usanza, tradizione... Perchè...mia madre quando è venuta qua
conosceva un italiano, che poi mi ha fatto da padrino, e quindi mi ha
dato questo nome italiano scegliendolo fra di loro... Forse anche per
un fatto di...magari di integrazione o qualcosa di più...”
Nel caso in cui invece il bambino arrivi dalla Cina, si verifica la semplice
attribuzione di un nome italiano, scelto da un parente prossimo o a volte da
un amico di famiglia, spesso in maniera del tutto casuale.
C: ”Mi hanno dato il nome...non so, un signore che lavorava con mio
papà...a mio babbo gli diceva ’Guarda, C. è un bel nome, chiamala C...’.
Cioè, nel senso...neanche ’Chiamala C.!’: un giorno mi son ritrovata che
ero per le scale, e questo signore che ci portava la roba a mia madre
per cucire...sento chiamare ’C.!’, diverse volte ’C., C.!’. E dicevo: ’ Ma
chi è questa persona che non risponde, maleducata, madonna questo a
squarciagola urla...’, mi giro ’Te!’, e io ’Te che?!’. Non so, me l’hanno
buttato cosı̀, e da lı̀... [...] A me hanno sempre chiesto di..di dare
CAPITOLO 4. LA RICERCA ESPLORATIVA.
61
un nome italiano a uno. Cioè, mi si presenta il figlio di questo e mi
si dice ’Dagli un nome!’...appena arrivato dalla Cina...’Dagli un nome
italiano!’...”.
Certo, per chi ha delle difficoltà di relazione con i coetanei a volte può essere
una facilitazione identitaria, per sentirsi più simile a loro:
C: ”Avevo sette anni quando mi han dato il nome. Ed ero cosı̀ felice
quando son andata a scuola...! Che la mia maestra non riusciva mai a
chiamare il mio nome cinese... [...] E io stavo lı̀ e dicevo ’Ma chiamami
col mio nome!’. Poi un giorno son andata a scuola: ’Maestra, mi hanno
dato il nome! Chiamami C..’ E da lı̀ sempre C. ...”
Per i ragazzi che arrivano qui già vicini alla maggiore età la cosa è a loro
discrezione: c’è chi si sceglie un altro nome e chi mantiene il vecchio.
Il nome cinese viene probabilmente mantenuto dai genitori anche nell’eventualità che il figlio ritorni in Cina, paese che sentirebbe ancora meno suo
con un nome ’straniero’ addosso; può darsi faciliti anche le pratiche laggiù
ed eviti qualche controllo.
4.5
Gli amici.
Le amicizie sono abbastanza eterogenee per questi ragazzi di seconda generazione: solitamente hanno due gruppi, uno di amici italiani e uno di amici
cinesi, che per qualcuno si incontrano e mescolano in certe occasioni, per
altri rimangono ben definiti. A volte il gruppo degli italiani si riduce a duetre amicizie sparse, ma che sembrano comunque importanti nel panorama
relazionale del soggetto.
In tutti e due i soggetti nati in Italia si sono attraversate diverse fasi, in cui
alternativamente si avevano solo amicizie di una nazionalità o dell’altra, per
approdare a un momento più maturo di compresenza delle due opportunità
amicali.
V: ”...a 13 anni uscivo solo con cinesi, a 15 solo con italiani, a 17 solo
cinesi... [...] Non lo so perchè... Oppure perchè quando avevamo il
ristorante cinese in Via S., quando io facevo le elementari, le medie...
facevamo cucina anche tipica, solamente cinese, quella del posto...allora
venivano sempre i cinesi a mangiare, no? Allora da lı̀... Poi abbiam
CAPITOLO 4. LA RICERCA ESPLORATIVA.
62
venduto, mi son persa...e solo italiani uscivo.”
- Forse non sei mai riuscita a mettere insieme un gruppo misto...”Noo, ma penso che non si riesca sai? Con i miei amici italiani ormai...c’ho la loro mentalità eccetera... penso che si sentirebbero a disagio sai? [...] E poi gli italiani, no?...non c’ho un gruppo di italiani,
c’ho delle amiche separate, e boh... [...] Poi è anche questione di culture, eccetera...”
M: ”Con i cinesi ho iniziato a girare solo negli ultimi due anni! Prima ero sempre con gli italiani. [...] Perchè...non so. Conoscendo una
persona, conoscendone un’altra...poi ci presentiamo, perchè tra i cinesi
tutti si conoscono, tutti i ragazzi sanno chi sei, cosa fai. Però presentando presentando ora ho sia la compagnia cinese che la compagnia
italiana. [...] No, ma si uniscono. C’è un mio amico ad esempio che è
sempre con noi che siamo solo cinesi..”
I genitori non si intromettono molto nelle amicizie, anche se da Y. arriva la
‘soffiata’ di un comportamento vigile e a tratti proibitivo di alcuni genitori
di quattordicenni cinesi:
”Sai che i genitori cinesi pensano che i ragazzi italiani sono influenzati
tantissimo dalla televisione, eccetera. Praticamente secondo i genitori
cinesi i ragazzi come noi, che vivono in Italia, sono abbastanza maleducati, tra vigolette... [...] Si sono preoccupati quando fanno uscire i loro
figli insieme ai ragazzi italiani. [...] Si tratta di quei ragazzi che hanno
quattordici anni. [...] Secondo me è un comportamento malissimo nel
confronto alla crescita di questi figli. Perchè non possono integrarsi
completamente nella comunità. I genitori vogliono farli integrare, però
non sanno quale modo è adatto a far crescere i figli.”
4.6
Il rapporto con il paese d’origine.
Il rapporto che questi ragazzi intrattengono con la Cina è molto variabile, a
seconda in primo luogo dell’età di arrivo.
Ad esempio C. è tornata per la prima volta dopo ben dieci anni dall’arrivo
in Italia, e ormai sente che non potrebbe più vivere là:
- Ti piace come paese? ”Per vacanza.”
CAPITOLO 4. LA RICERCA ESPLORATIVA.
63
- Ma come mentalità, ad esempio, ti piace di più là...qua...? ” Qua. Perchè di là...io che non so la lingua...non sono spigliata come
loro...! La mentalità è che loro sono più...svegli. Cioè, se io vado là...mi
mangiano! Tipo, un vestito che costa...200, noi siamo abituati a tirar
fuori 200. Invece là no.[...] Se vado con mia mamma, o mia suocera,
stanno lı̀ a discutere[...]...cioè, è un’asta! [...] Qua mi sento più...casa
mia. Cioè, mi sento più a mio agio. Di là...mi sentirei fuori.”
Y. invece, arrivato qua tardi a seguito dei genitori (16 anni circa), ha molta
nostalgia per il suo paese e vorrebbe tornare a viverci, anche se si concede
il beneficio del dubbio:
”A me piace l’idea di andare a vivere in Cina. Mi trovo bene [qua in
Italia]. Però comunque è la mia patria... Lı̀ io...mi è piaciuta tantissimo
la vita. Però comunque vedrò... Poi comunque posso scegliere...”
Inoltre i due ragazzi nati qua mettono tra le possibilità future l’ipotesi di
andare a vivere per un periodo in Cina, ma solo in grandi città dove i costumi
e le usanze sono quelli occidentali, e non nei paesini d’origine.
M: ”Alla fine se io andassi a vivere in Cina...andrei a vivere in una
grande città, quindi differenze non ne troverei.”
E’ vista comunque da tutti come una cosa positiva il fatto di avere due
sbocchi, due paesi tra cui è possibile muoversi a piacimento e considerarli
alternative concrete.
M: ”Sarebbe sempre un’esperienza. [...] Cioè, adesso sono in bilico, 50
e 50. Però penso sia una buona cosa il fatto che...ho un’altra scelta”.
4.7
Il processo di attribuzione identitaria.
E’ molto interessante vedere come ognuno di loro si definisce in termini di
identità nazionale, in fin dei conti dovendo tirare le somme delle molteplici
facce e caratteristiche personali. Le tre possibilità enunciate da me erano:
cinese; italiano; italo-cinese. Oppure si poteva cercare di spiegare con parole
proprie una posizione intermedia tra queste.
Nessuno di loro accetta di definirsi pienamente ‘italiano’, nemmeno quelli
nati qui che optano per una soluzione intermedia vicina all’ ‘italo-cinese’ :
CAPITOLO 4. LA RICERCA ESPLORATIVA.
64
V: ”Io mi definirei: cinese, come nazionalità. [notare che ha la cittadinanza italiana] Perchè alla fine è la patria e tutto... Però come
mentalità e come...usanze: italiana.”
- Capito. Quindi più un’italo-cinese diciamo... ”Sii...si si.”
M: ” E’ una cosa che è andata a fasi questa.
Prima mi definivo
cinese, da piccolo; iniziando le scuole mi son definito italiano; e adesso
penso...italo-cinese.”
C: ”Ecco, non mi sento nè totalmente italiana nè totalmente cinese.”
- Però ti senti...più nel tuo paese qua, o più nel tuo paese là? - ”Qua.
Qua mi sento più...casa mia. [...] Quando sono in Cina mi sento sı̀
cinese, però [...] una cinese turista, che va lı̀, però... [...] Però se non
era per l’aspetto mi sento più italiana. ”
Questo è significativo perchè vuol dire che non c’è stata una completa assimilazione, nemmeno per V. che pure a detta di Y. è nota nella comunità
di Torino come ‘molto italiana’.
Solo Y., arrivato molto tardi in Italia, si definisce comprensibilmente ‘cinese’,
contrapponendo quasi nel parlare ‘noi’ a ‘voi’:
”No, io son sempre cinese. Ma io so perfettamente la cultura italiana.
Perchè vivo qua... Effettivamente so le vostre abitudini, so anche comunicare bene... [...] No, mi sento cinese. Non vorrei comportarmi
come la maggior parte dei ragazzi italiani...”
Il bilancio è quindi positivo, giudicando il mio piccolo campione: si stanno
formando nella società italiana personalità ibride, ‘col trattino’, che cercano
un equilibrio nuovo e stabile tra l’identità della generazione precedente e la
loro esperienza di vita.
4.8
L’Associazione e la comunità cinese di Torino.
L’Associazione cinese di Torino (la più vecchia, per intenderci, tra le due)
è conosciuta in qualche modo da quasi tutti i ragazzi, ma solo perchè o il
padre o un parente ne fanno parte in quanto proprietari di ristoranti cinesi.
Insomma, più che un associazione che rappresenti e aiuti i cinesi presenti
CAPITOLO 4. LA RICERCA ESPLORATIVA.
65
a Torino sembra un’associazione di categoria, che sottolinea il nesso tra
‘cinesi’ e ‘ristoranti’ (d’altronde non errato, confrontando i dati del Registro
Imprese sui settori occupazionali) e lascia fuori dalla sua gestione tutte le
altre espressioni del gruppo, anche se minoritarie, i giovani e le donne.
Inoltre le parole degli intervistati mostrano opinioni negative sul suo operato (che sembra limitarsi all’organizzazione annuale del Capodanno Cinese,
peraltro sempre meno grandioso ogni anno che passa) e una diagnosi severa
dell’esclusione e disinteresse delle giovani generazioni cinesi.
Y: ”Secondo me se fosse un giovane a...[ad avere la presidenza]... cambierebbe. La generazione sucessiva. ”
M: - E con l’associazione, tu la conosci? ”Si, mio padre è socio.” - E cosa ne pensi? - ”Ma...boh! Mio padre non
è che ne parla molto... [...] I giovani la conoscono solo perchè organizza
il Capodanno. [...] L’anno scorso hanno organizzato dei corsi pomeridiani per i ragazzini per imparare il cinese. Però sempre nell’ambito
tra cinesi...”
C. invece ha un’opinione molto decisa sull’associazione, e questo fa pensare che l’opinione sia diffusa. Arriva anche a sospettare scorrettezze nella
gestione del Capodanno cinese:
”Loro gestiscono...dicono di gestire. Ma secondo me è una cosa cosı̀...
un’assemblea di vecchi! Non servono a niente.”
- Non aiutano...? Cioè, tu non sai che abbiano aiutato qualcuno...? ”Ma quando?! Mai.”
- Mi dicevi che organizzano il Capodanno... ”...se facessero qualcosa di buono! No, prendono i soldi [per la lotteria]
e poi vincono chi? Quelli dell’associazione. [...] O il figlio di quello
dell’associazione. Non noi che... [...] Fanno karaoke ma...chi conosce
quelli dell’associazione fanno vincere quello. [...] ...non lo sentiamo,
ecco. Dicono che è un’associazione per i cinesi, ma non lo sentiamo.
Non serve a niente!”
V., pur essendo la figlia di un socio importante, ne sa meno degli altri.
Ma cerca di evitare, comprensibilmente, di darne un giudizio negativo,
chiamandosene fuori per il poco interesse.
CAPITOLO 4. LA RICERCA ESPLORATIVA.
66
”Non so cosa fa sinceramente. Perchè penso, visto che mio padre è...,
che le persone...boh, non so niente!”
- E cosa organizza l’associazione di tuo padre? ”Ehm...”
- Cioè, cosa fa in sintesi? ”Ehm...”
- Organizzano il Capodanno? [suggerito da me!]”Si, eventi e...anche quando qualcuno viene di importante dalla Cina
mio padre lo fa girare...non so, l’Italia... Comunque boh, fanno anche
molte riunioni...”
- Ho capito. Quindi non sei molto addentro alla... ”Io?! Io di ’ste cose...no, zero! Cioè...non interessa a me. Se no me lo
direbbero, figurati. Penso ad altro!”
Sulla comunità in generale, invece, i giudizi sono diversi a seconda dei punti
di vista. Vediamoli comunque.
Y. è quello più deciso nel criticarne la chiusura: forse anche perchè essendo in
città solo per studiare e avendo i genitori a Ivrea può osservare più chiaramente la situazione da una posizione privilegiata, dall’ esterno. Inoltre è
laureato, e più riflessivo degli altri su questi argomenti.
Y: ”Però è un mondo chiuso. Per esempio quando dico ’Esco con i
miei amici’ e i miei genitori pensano subito ’Sono quegli amici cinesi’,
mi hanno già detto i nomi... Loro non pensano che ho anche amici
italiani. Cioè, capisci? [La comunità cinese è molto] chiusa perchè
praticamente si aiutano tra di loro, e non cercano l’appoggio degli
italiani; lavorano per conto loro dentro comunità, e non...non fanno
per esempio degli scambi importanti tra la comunità e quella presente
nel territorio. Secondo me è un pensiero sbagliato...”
C. ha un termine di paragone, la comunità cinese di Firenze che è molto
più ampia e vivace e in cui ha vissuto per anni. Azzarda addirittura una
spiegazione a partire dalle origini regionali diverse. Ma a dire il vero il fatto
che lei sia una ‘nuova’ qui a Torino (è venuta ad abitare in città subito dopo
il matrimonio, nel 2000) può far pensare che non sia riuscita, mancando
anche la rete parentale, a farsi accettare e a conoscere molta gente
C: - E con il resto della comunità cinese di Torino come ti trovi? ”Chiusa, molto più chiusa rispetto a Firenze. Cioè, non si sente! Non
CAPITOLO 4. LA RICERCA ESPLORATIVA.
67
la sentiamo perchè...i cinesi che sono qua sono di Whenzun, vicino al
mio paese, quei posti là [di campagna]... e le persone di là sono molto
più...come dici te, per il risparmio. Allora escono di meno, hanno le
macchine un po’ più [rovinate],... [...] E invece Prato e Firenze sono
più Whenzounesi [di città]...e i Whenzounesi amano molto la faccia.”
Invece i due ragazzi più giovani e nati qua puntano l’attenzione sulla forte
atmosfera ‘di paese’ che si respira all’interno della comunità, dove tutti sanno
tutto di tutti e quindi è difficile tenere per se qualcosa. Probabilmente questo
aiuta però anche i genitori ad avere un maggior controllo sulle relazioni dei
figli, e ad evitare che si mettano su cattive strade:
V: ”Comunque è importante non uscire tutti i giorni. Perchè i cinesi pensano molto alla...come si dice?...alla reputazione. Per i cinesi
è davvero importantissima. Dicono ’Ma quella ragazza non fa mai
niente!’, i cinesi, pettegoli!...Poi sembriamo tanti, ma alla fine le voci
girano. Sempre tra i cinesi...”
M: ”Tutti i cinesi grandi si conoscono tra di loro. Quindi magari se
il figlio combina qualcosa, o comunque succede qualcosa in famiglia,
tutte le altre famiglie iniziano a parlarne e si fanno certe idee...rimane
un chiodo fisso, poi alla fine. Mentre qua, penso, in Italia...qualcosa
si lascia anche passare... [...] Loro sono abituati, essendo nativi di un
paesino piccolo...tutti si conoscevano, tutti sapevano di tutti, e allora
anche qua hanno mantenuto...”
4.9
Strane usanze e divieti.
Mi ha molto stupito scoprire, durante la mia prima intervista a V., che i
suoi genitori fin da piccola le avevano proibito di avere un ragazzo italiano,
o peggio sposarlo. Certo, non è a quanto sembra un divieto assoluto, che
prevede il ripudio, e non ha motivazioni religiose (la maggioranza dei cinesi
è atea), ma sembra basarsi solo sulla paura del ‘diverso’ linguisticamente
e culturalmente da dover introdurre in famiglia. I genitori che esprimono
la loro disapprovazione per queste relazioni dicono a volte di farlo ‘a fin di
bene’, per evitare che il matrimonio ‘si spacchi’ sui problemi di convivenza
CAPITOLO 4. LA RICERCA ESPLORATIVA.
68
di due culture diverse.
Comunque sembra essere un fenomeno diffuso, a giudicare dal mio piccolo
campione (che ovviamente non ci permette di fare delle generalizzazioni), soprattutto tra i ragazzi di seconda generazione nati in Italia (M. e V.). Questo
riduce di molto la valenza della scusante ‘a fin di bene’ e fa invece nascere
il sospetto che i genitori temano l’allontanamento definitivo dei figli dalle
tradizioni e dalla cultura d’origine, essendo già ora cosı̀ diversi (e distanti)
da loro...
V: ”[I miei] hanno la mentalità chiusa, riguardo ai matrimoni italianicinesi...Ma anche i miei zii...tutti, tutti! Non vogliono...più che altro
perchè hanno avuto esperienze, riguardo a dei cinesi che si sposavano
italiani...sempre andati male. Ma sempre! ..neanche uno ne è rimasto
in piedi! Per quello dicono ’No, guarda, tu...!’, hano constatato da
delle altre persone. [...] Si, si, [per paura] che vada male. E poi è
anche questione di cultura, penso, di lingua... [...] Per me no, però nel
senso che...entra nella famiglia! [...] [A bassa voce...] No, comunque
ho avuto italiani. Però non...non lo sanno. E’tutta una cosa mia...”
- E invece tu pensi che ti troveresti bene con un italiano? ”Io...non ci credo più. Perchè a Giugno mi son lasciata col ragazzo,
da tre anni e mezzo. [...] Infatti andavo contro tutto, ogni cosa che
dicevano i miei genitori ’Noo! Ma voi non capite...!’ Dopo che questo
mi ha lasciata, zitta e muta son stata! [...] Invece prima proprio mi
buttavo...con dieci parenti che mi urlavano addosso! Tipo ’Tu, con
italiano ti sposerai, poi piangerai sempre...non venire da noi!’... [...]
Mio padre me lo metteva già da bimba! Perchè diceva ”Già che adesso
sono in tempo per dirtelo...ti dico che non vorrei un ragazzo italiano’...”
M: ”Me n’hanno parlato, mi han detto che...cioè loro preferiscono che
io mi sistemi con una ragazza cinese piuttosto che con una italiana.
Però...discorsi seri non ancora. [...] Nel mio caso, non trovo differenza... Nel loro caso penso sia più un problema di...sia di comunicazione
che di... [...] Magari si capiscono di più, essendo la ragazza cinese e il
ragazzo cinese...hanno avuto bene o male le stesse esperienze, i genitori qui in Italia, hanno lavorato e tutto...per loro ci potrebbe essere
più feeling. [...] Comunque conosco gente che si è sposata con persone
italiane, sia ragazze che... [...] Sono accettati dai genitori...”
CAPITOLO 4. LA RICERCA ESPLORATIVA.
69
La seconda ’usanza’ che mi è parsa peculiare, ma è probabilmente diffusa
anche in altre nazionalità immigrate, è quella di riportare i bambini, dopo la
nascita qui o comunque nei primi anni di vita, a vivere con i nonni in Cina.
Nel caso i genitori del bambino siano di seconda generazione, i nonni sono i
primo-migranti della famiglia: venuti e rimasti in Italia per lavorare, quasi
sempre appena cessano l’attività tornano in Cina, dopo aver accumulato i
soldi per costruire una bella casa e passare una vecchiaia agiata e serena.
Per diversi anni i genitori vanno a trovare i bambini piccoli dai nonni una
volta all’anno o anche meno, data la distanza tra i due paesi.
Le motivazioni che ho rintracciato sono tante: in primo luogo il fatto di dover
lavorare duramente, entrambi nella coppia, per cercare di avere successo e
aprire un’attività. Una volta ‘sistemati’, i bimbi torneranno, e potranno
avere tutte le attenzioni che gli sarebbero mancate prima... In secondo
luogo il fatto di considerare migliore un’educazione di tipo cinese, dovuto
alla paura di veder crescere bambini problematici come gli italiani, dopo
aver visto tanti casi in televisione. In ultimo luogo, il desiderio dei nonni,
che si trovano in Cina, di accudire i nipotini.
C. ha due bambini, e ha portato entrambi in Cina poco dopo la nascita.
Sentiamo cosa dice a proposito:
”Questa responsabilità sui figli la sento di più dalla parte di qua, italiana, che da quella cinese... Io, no?, ora che devo portare il figlio in
Cina...per una mamma italiana è... [...] non se lo immagina... Però noi,
purtroppo, abbiamo questa usanza...usanza! Abbiamo questa strada
qua che si può, insomma, far crescere i figli lontani... A me non piace!
Però son costretta perchè...voglio dire, non avendo i genitori qua...è difficile mandare avanti...guadagnando i soldi. [...]Anche questo. L’educazione di là verso i bimbi... Poi, i miei genitori mi hanno dato un’educazione che è una dei migliori! Perciò stando con i miei genitori...i
miei figli secondo me dò a loro una cosa positiva. [...] Ora che non ho
un’attività, devo pensare a guadagnare i soldi, devo pensare a...a come
poter cominciare un’attività. ”
Nonostante abbia subito da piccola a sua volta il trauma di crescere con
i nonni, e di non riconoscere più dopo nei genitori le figure paterna e materna, non avere confidenza con loro... nonostante questo sta ripetendo la
stessa cosa con i figli. Lei dice che sono piccoli, ‘dimenticano facilmente e si
CAPITOLO 4. LA RICERCA ESPLORATIVA.
70
affezionano facilmente’, ma...
Sia Y., che pure è qui in Italia da soli otto anni (ma può darsi faccia molto la
differenza il suo livello di istruzione, universitario), sia i due ragazzi nati qua,
pensano invece che i figli debbano stare dove sono i genitori, con loro...non
li manderebbero mai in un altro paese per anni. Certo, le condizioni economiche di cui godono oggi sono migliori di quelle dei genitori all’epoca, e
questo magari fa cadere tutte le altre motivazioni ‘educative’ che forse sono
solo, per chi mantiene questa pratica, giustificazioni per addolcire la dura
necessità di una separazione e sentire meno i sensi di colpa.
La sussistenza di questa pratica, che quindi non dev’essere poi cosı̀ residuale,
mi è stata confermata da Y., che ne ha parlato prima che io gliene facessi
cenno, in questi termini:
”Gli anziani si occupano dei bambini. Per esempio, quelli che lavorano
qua, no?, appena praticamente son nati i bambini i genitori li portano
in Cina. Li fanno curare da... Nooo! [Non approva] [...] Però comunque
in questo modo fanno imparare il cinese. Poi sai, se fanno crescere qua
non sanno niente del cinese.”
- Beh, si può comunque farglielo imparare anche qua il cinese. Fargli
seguire una scuola, un corso... ”Si, ma qua la comunità cinese secondo me è un po’ chiusa. Secondo
me, personalmente... Che c’è a Torino... [...] Diciamo i genitori non
sono molto istruiti...cioè, secondo loro non è importante studiare il
cinese mentre vivono qua in Italia, no? E quindi... Secondo me è per
questo che...”
4.10
Un valore ridimensionato: il risparmio.
In tre casi su quattro (l’eccezione è Y., arrivato in Italia molto più tardi
degli altri) i ragazzi intervistati hanno dichiarato di sentire come esagerata
l’attenzione al risparmio dei genitori, e di non voler seguire in questo campo
il loro esempio.
Vediamo come esprimono le loro idee C. e V:
V: ”I miei pensano, come tutti quelli della prima generazione...che gli
italiani siano più spendaccioni! [ride] ”
- Ma cosa pensi tu? -
CAPITOLO 4. LA RICERCA ESPLORATIVA.
71
”...Praticamente penso che, boh, una persona si merita una vacanza...anche se spende un po’ di soldi per andarsene in vacanza, ma
penso che sia normale...cioè, un’esigenza normale, di andarsene in vacanza, in estate... [...] [I Miei] Come tutti i cinesi, pensano ‘Quando
sarò...’...pensano più al dopo, che al presente. Invece gli italiani più al
presente. E visto che io c’ho la mentalità italiana penso che non sia
sbagliato nè uno nè l’altro, comunque sia...”
C: ”Io e mia zia abbiamo un concetto diverso... Tipo: io guadagno soldi, basta che mi mantenga per mangiare, per dormire, cioè nel
senso passabile...io posso spendere i soldi! Non esageratamente, però
una vacanza, tipo ’Domani piglio, vado lı̀!’ me lo posso permettere!
Perchè non sai cosa succede domani. Fai caso, domani mi succeda
qualcosa...toh! E i soldi?! [...] E...mia madre dice: ’Si può risparmiare
su tutto, tranne il mangiare’...”
Sembra quindi che, venuto a mancare il progetto migratorio e le aspettative di mobilità sociale dei genitori, l’attenzione si concentri sul presente
per questi ragazzi, ottimisti e più tutelati della generazione precedente sul
futuro.
4.11
Temi politici.
Le opinioni dei ragazzi intervistati sui temi dell’immigrazione nel dibattito
politico italiano (cittadinanza, permesso di soggiorno, diritto di voto, ecc.)
sono ristrette, riguardano la loro esperienza personale o quella di amici e
parenti, le modalità pratiche di rinnovo del permesso di soggiorno, ecc.; lo
sguardo non si allarga più in là, verso le posizioni politiche, le leggi o il
confronto internazionale... Questo è soprattutto vero per V. e M., che pure
sono nati in Italia e hanno da poco acquisito la cittadinanza.
Ciò è probabilmente dovuto, a mio parere, oltre che alla giovane età anche
alla mancata partecipazione politica. Anche quando il diritto di voto (potente incentivo) viene finalmente ottenuto in seguito alla conquista della cittadinanza, passa in secondo piano davanti alle semplificazioni burocratiche
e ai benefici pratici a cui questa permette l’accesso, e viene vissuto più come
una concessione risicata che come un diritto guadagnato.
CAPITOLO 4. LA RICERCA ESPLORATIVA.
72
Y: ”Secondo me [i politici italiani] son chiusi, anche. Verso gli immigrati. [...] Hanno tanta paura di dare una importanza agli immigrati,
diciamo. Però a parte questo qua, secondo me la burocrazia è un
problema. Però si è migliorato tantissimo in questi anni: adesso c’è
il...rinnovo di permesso di soggiorno con sms.”
V: ”Io penso... [ride perchè si vede che non sa cosa dire] Io penso...che
sia giusto.”
- Cosa? ”Come l’Italia...da quanto ne sappia io, eh!, da quanto ne conosco
io...un po’ ignoranza... Da quanto ne sappia io...di come lo Stato si
rapporta con gli stranieri. ”
C: ”Allora...sull’immigrazione sono favorevole per quelli che lavorano e
mantengono le loro famiglie. Non è giusto per quelli che vengono qua
a delinquere... [...] Cioè, le leggi uguali per tutti, ecco...io non sono
per questo. Perchè non è giusto neanche per quelli che sono qui da una
decina d’anni, che lavorano e stentano a pagare le tasse...e magari è
uguale a quello che è appena venuto! Capito?...”
M: ”Non so...io ho chiesto la cittadinanza italiana e l’ho ottenuta
subito. E...[i Miei] hanno... la carta di soggiorno, penso...”
L’abitudine a non ragionare in termini nazionali e generali, ma solo personali e locali, si intuisce anche nella proposta di soluzioni difficili da mettere in atto, ma che mostrano tuttavia un forte desiderio di distinguersi da quegli immigati che con il loro comportamento gettano cattiva luce
sull’intera categoria.
Y, sul diritto di voto agli immigrati: ”Secondo me questo sarebbe una
cosa...secondo me è il migliore, cosı̀ anche gli immigrati si sentono come
cittadini del...del paese in cui vivono. Secondo me è una cosa importante, se venisse approvata. [...] Alle persone che hanno idea, hanno
cultura per votare.”
- Eh, ma tu non puoi...non possono dire ’ Solo a quelli che hanno cultura diamo il diritto di voto’. O a tutti o a nessuno. La democrazia... ”Allora forse è anche meglio evitare. Perchè ci sono delle persone che
non conoscono niente del paese, come fanno a votare? [...] Secondo me
possono attivare dei corsi...Cioè, ci sono dei corsi gratuiti di italiano
CAPITOLO 4. LA RICERCA ESPLORATIVA.
73
verso i cittadini stranieri. Secondo me dentro questi corsi di italiano
possono anche praticamente inserire delle cose di cultura, di storia, di
queste cose...in modo da far sapere ai cittadini stranieri.”
C: ”Io ti dico, quando abbiamo aperto nel ’93 il ristorante, la gente
faceva la fila per entrare a mangiare... [...] Eravamo...i secondi, sı̀.
[...] Poi son cominciati a venire cinesi dappertutto. Infati ora Prato
è come San Francisco di là, insomma Chinatown... Ed è diventato
brutto! Cioè, secondo me hanno portato non il bello dei cinesi, ma
il brutto. Perchè c’era più delinquenza, poi...le brutte usanze... [...]
Arrivare a un’età, tipo quanttordici-quindici anni, quando tu vuoi dimostrare agli altri che fai parte di un popolo ben educato, rispetto
per gli altri, di una cultura che ha dei valori...vedere che questa gente,
tutte bruttezze...ti senti la vergogna!”
La maggior parte dei loro commenti però si appunta spontaneamente sul
tema della cittadinanza. Quelli nati qui l’hanno già ottenuta, al compimento
della maggiore età, ma spiegano perchè molti cinesi preferiscono non farne
richiesta, e mantenere o chiedere solo quella cinese: la doppia cittadinanza
infatti non è ammessa dal governo della Repubblica Popolare Cinese, anche
se sembra che con alcuni sotterfugi si riesca ad ottenerla (ad esempio prima
ottenendo quella cinese e solo in un secondo tempo facendo richiesta di quella
italiana. Se non ci sono controlli...).
C: ”Noi che siamo qua da anni, cinesi...credo che pochi chiedano la
cittadinanza. Diciamo solo quelli nati in Italia, loro chiedono la cittadinanza. Però per noi, fino alla mia generazione, diciamo che...non
abbiamo questa cosa qui della cittadinanza perchè...serve solo per facilitare i documenti, si quello sı̀. Però come ’sentire la cittadinanza
italiana, sentirsi italiani’, non credo... Anche perchè se vai in Cina
devi fare il visto, e quello è una cosa...non è positivo.”
M: ”Qua in Italia mi hanno detto, quando ho chiesto la cittadinanza...io volevo chiederla sia italiana sia cinese...qua in Italia mi hanno
detto: ’Si, tu puoi chiederla però devi sapere cosa la Cina pensa di
questo’. E m’hanno detto che comunque la Cina non accetta il fatto
di avere due cittadinanze, ne vuole una sola. Cosı̀ m’hanno detto...
Quindi io ho chiesto quella italiana.”
CAPITOLO 4. LA RICERCA ESPLORATIVA.
74
In generale si sente comunque un po’ la mancanza di una coscienza politica
comune, del gruppo nazionale o delle seconde generazioni in particolare.
Cosa che, come vedremo nel prossimo capitolo, associazioni per ora ‘virtuali’
stanno cercando di far nascere a poco a poco.
Capitolo 5
Considerazioni conclusive
5.1
Prove di associazionismo in rete: associna.com
Prima di concludere, vorrei fare un cenno a una scoperta che ho fatto su
internet durante la mia ricerca e che ci proietta verso una possibile evoluzione
futura delle seconde generazioni italiane.
I ragazzi da me intervistati, come abbiamo visto1 , non nutrono molta fiducia e aspettative nei confronti dell’associazione cinese di Torino, guidata da
persone mature e anziane che conducono una politica centrata solo sui propri interessi e che esclude i giovani dalla partecipazione. Credo che questa
situazione si riproduca in molte altre comunità cinesi nel paese, dato che è
pressochè inevitabile che a gestire gli organi di rappresentanza siano i primi
arrivati e i più anziani, quelli che hanno una maggiore esperienza e maggiori conoscenze nel gruppo (anche nella politica italiana d’altronde è ancora
cosı̀...). I giovani, da parte loro, sentono però il bisogno di una gestione più
dinamica e innovativa dei rapporti con le istituzioni e la società italiana,
cercano risposte ai loro nuovi problemi di identità miste e di realizzazione
piena nell’ambito lavorativo come politico.
Le vie percorribili dalle seconde generazioni per esprimersi sono allora principalmente due: riuscire ad entrare nelle ‘stanze dei bottoni’ delle associazioni
tradizionali, obiettivo più difficile e lungo da perseguire; oppure organizzarsi
da soli in associazioni alternative, per far sentire la propria voce con i mezzi
1
Cfr. Capitolo 4, Par. 4.8 L’associazione e la comunità cinese di Torino.
75
CAPITOLO 5. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
76
e le capacità ‘moderne’ che posseggono. La ‘scoperta’ di cui parlavo prima
mi avrebbe confermato la direzione presa.
Tempo fa, navigando sulla rete in cerca di notizie sulle seconde generazioni
cinesi, mi sono imbattuta in questo sito: www.associna.com
Il sottotitolo ha subito risvegliato la mia attenzione: ‘Associazione Comunità
Cinese - seconda generazione -’. Tramite questo sito e la sua rete di utenti
avrei trovato aiuto per la mia ricerca, e molta disponibilità ad accogliermi....
Esplorando il sito ho capito che Associna era l’embrione web del futuro associazionismo in Italia delle seconde generazioni cinesi: un importante passo,
per un paese di recente immigrazione come il nostro. Il sito è infatti una
sorta di ‘comunità immaginata’, che aspira ad essere espressione politica e
sociale nonchè referente per il dialogo con le istituzioni italiane.
Gli scopi della futura associazione sono infatti questi2 : 1) fare da mediatori
per incrementare il dialogo tra cinesi ed italiani; 2) promuovere la convivenza
pacifica e l’immagine della comunità cinese; 3) tutelare i diritti degli immigrati; 4) informare ed essere informati su tutto quello che riguarda i cinesi
e la cultura cinese. Scopi seri, quasi grandiosi se paragonati alla portata
odierna di questo sito; ma Associna è un sito giovane, nato nel 2004, e da
allora è già cresciuta tanto come numero di utenti e di visitatori, il che fa
ben sperare.
Nella dichiarazione d’intenti3 viene esplicitata anche l’intenzione di differenziarsi dalle numerose associazioni cinesi, solitamente localiste e formate da
primo-migranti :
”Sappiamo che qua e la, vi sono varie associazioni nostrane, ma spesso,
i loro soci sono delle persone poco integrate nella società italiana. Noi
vogliamo riunire quelle persone che sono, tanto per capirci, della ’seconda generazione’... [...] Cresce in noi, una coscienza politica e sociale
sempre più forte, coscienza che richiama la nostra voglia di integrarci
e di non esser ingiustamente ostacolati in tale processo.”
Mi sembra di sentir echeggiare in queste opinioni quelle dei ragazzi torinesi
intervistati da me...
2
3
Fonte: Chi siamo, in www.associna.com
Scopo di Associna in www.associna.com
CAPITOLO 5. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
77
Interessante è l’apertura del sito (e della futura associazione quindi?) anche
ai non-cinesi: l’unico requisito è l’interesse per le tematiche trattate.
Il cuore del sito è il forum: molto frequentato e pieno di sezioni, dove si
può scrivere veramente di tutto e su tutto a patto di non scadere nella volgarità (il controllo sui messaggi postati viene fatto con sistematicità). Qualche
esempio dei titoli delle sezioni: arte e cultura, pensieri, storia, sfoghi, diritti dell’immigrato, richieste di aiuto, quattro chiacchere in cinese, poesie,
news...
Una domanda sorge però spontanea: un conto è chiaccherare su internet con
altri ragazzi cinesi, un altro è impegnarsi attivamente per creare un’associazione reale. C’è da sperare che, quando arriverà il momento di realizzarla, il
sito e i suoi gestori avranno guadagnato abbastanza credibilità e conoscenze
tra i ragazzi cinesi di seconda generazione per farcela. I due meeting organizzati annualmente hanno avuto un discreto successo, e questo è sicuramente
positivo.
D’altronde sfogliando la lista utenti si vede che rispecchia bene la geografia
delle comunità cinesi in Italia (anche se non tutti hanno indicato la località
d’origine): la maggior parte sono di Roma e Milano, ma ci sono presenze anche da Torino, Padova, Prato, Firenze, Modena, Cesena, Ferrara, Cagliari,
Bari, ecc. Questo vuol dire che non rispecchia interessi localistici e che gli
argomenti che tratta interessano trasversalmente i ragazzi appartenenti a
diverse comunità cinesi d’Italia.
Accanto al forum la parte del sito più interessante e vivace è quella
degli articoli. Sono scritti dagli utenti su argomenti vari, solitamente sulla situazione italiana più che su quella cinese (cronaca, ricerche, politica,
immigrazione, ecc.), e visionati e selezionati dagli autori prima di essere
pubblicati sul sito. La particolarità sta nella possibilità di commentarli
e leggere i commenti altrui, cosı̀ da rendere anche l’attualità ‘interattiva’.
Molti articoli protestano contro gli stereotipi negativi sui cinesi, diffusi dai
media italiani spesso senza curarsi troppo della loro fondatezza; un buon
numero poi sono sulla questione della cittadinanza, su discriminazioni varie
e mancanza di diritti in entrambi i paesi.
Ogni utente può anche proporre dei sondaggi, per conoscere le opinioni o
CAPITOLO 5. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
78
le abitudini della comunità. Pur non essendo per niente rappresentativo
di tutti i cinesi di seconda generazione in Italia, vi propongo i risultati di
uno4 , postato mesi fa, che chiedeva a ogni utente se frequentava amici di
nazionalità diversa dalla propria. I risultati sono ad oggi questi: il 45% si
è identificato nell’ opzione ‘Spesso, sono i miei migliori amici’; il 35,6% in
‘A volte, ma frequento anche amici connazionali’; il 15% asseriva di farlo
‘raramente; mentre il 4,6% di non farlo ‘mai’. La presunta chiusura della
comunità cinese sembrerebbe svanire, se fossero confermati risultati simili
su una scala maggiore, nel momento in cui si restringe il campo alle seconde
generazioni.
Tra i link si trovano occasioni di approfondimento sulla multietnicità
e i diritti degli immigrati, ma anche il collegamento al sito italiano più generalista: www.secondegenerazioni.it
Anch’esso è un esperimento associativo sul web, e sta dando buoni frutti: ad
esempio da poco un cortometraggio realizzato da una regista con i ragazzi del
sito ha vinto il ‘Premio Moustafà Souhir per la multiculturalità nei media’5 .
Tuttavia, come Associna, deve allargare ancora molto la propria presenza
sulla scena...
Insomma, sembra proprio che le seconde generazioni italiane abbiano trovato nel web, spazio non colonizzato dalle generazioni precedenti, il terreno
fertile per metter a dimora e far crescere i semi dell’associazionismo e della
partecipazione sociale e politica futura, in attesa che si trasformino in una
rete reale e non solo virtuale di collegamento tra loro.
Hanno infatti tutte le capacità (a differenza spesso dei primo-migranti) e
tutto i diritti di far sentire la loro voce nel dibattito politico, essendo spesso
italiani a piano titolo o volendo diventarlo, o comunque vivendo nel nostro
paese regolarmente da una vita. Sono i primi a vedere, perchè le hanno
vissute sulla loro pelle, le difficoltà e le modalità dell’inserimento in Italia,
e a poter dare un contributo proficuo per migliorarlo. Mi auguro quindi che
questo processo non si arresti e prosegua con successo.
4
5
Fonte: Sondaggi, in www.associna.com
Fonte: www.secondegenerazioni.it
CAPITOLO 5. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
5.2
79
Tirando le fila...
Questa tesi vorrebbe essere, per quanto modesta, un ‘punto della situazione’
su un argomento, i cinesi di seconda generazione, che ha visto per ora poche
ricerche monografiche in Italia.
A diversità di altri gruppi nazionali, infatti, i cinesi sono ‘silenziosi6 ’ e
poco appariscenti nel panorama composito degll’immigrazione italiana: non
sono coinvolti in attività illegali ‘in vista’, come la prostituzione o lo spaccio, che rendono certi gruppi noti all’opinione pubblica tramite i media7 ; non
sono solitamente occupati in lavori alle dipendenze di italiani o in concorrenza con essi, e questo evita tensioni (escluso il caso del distretto manifatturiero
di Prato, dove la forte concentrazione è un fattore scatenante) e smorza l’interesse nei loro confronti. Inoltre, nonostante siano una delle componenti di
più antica presenza sul territorio, non si sono organizzati per far sentire la
loro voce nella società italiana, e la solidarietà molto alta all’interno delle
comunità fa sı̀ che la maggior parte dei problemi venga di solito risolta al
loro interno.
L’unica loro tendenza che potebbe provocare paure e pregiudizi nel senso
comune è quella manifestatasi in altri paesi a vivere vicini, concentrati in
zone a seconda della provenienza geografica e isolati dalla società circostante,
nonchè quasi autosufficienti economicamente. La tendenza a formare delle
‘enclave etniche’, le Chinatown americane per intenderci. In Italia niente di
simile si è ancora realizzato8 , anche se è indubbio che esistano nelle grandi
città come Milano o Roma dei quartieri marcatamente cinesi.
Le seconde generazioni rappresentano invece un interesse disciplinare recente in Italia, e le ricerche sono comprensibilmente orientate a dare una
visione olistica del fenomeno. Tuttavia uno sguardo comparatisticamente
6
Cfr. titolo di: Campani, Carchedi e Tassinari, a cura di, L’immigrazione silenziosa.
Le comunità cinesi in Italia., cit.
7
Anche se in alcuni casi si è parlato della presenza di organizzazioni criminali cinesi,
riconducibili o collegate alle cosiddette ‘triadi’. I risultati delle attività investigative di
forze dell’ordine e magistratura hanno tuttavia finora ridimensionato la portata di questo
allarme
8
Il caso che più si avvicina all’esperienza americana è forse quello di Prato, anche se le
peculiarità di distretto industriale lo rendono unico.
CAPITOLO 5. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
80
orientato, non solo al confronto tra paesi diversi di immigrazione ma anche a quello tra le diverse componenti nazionali, può aiutare a non cadere
nelle trappole della generalizzazione ‘macro’ mantenendo il contatto con la
dimensione ‘meso’, se non ‘micro’.
Nonostante l’esiguità numerica, infatti, le interviste presentate in questo
lavoro hanno mostrato l’importanza dell’ambiente familiare e della storia
personale dei soggetti per spiegare molte loro scelte. Il futuro della seconda
generazione è molto condizionato dalla discendenza dalla prima, anche se
per fortuna ovviamente non incatenato da essa.
La possibilità concreta di poter vivere dignitosamente in questo paese,
dove sono nati o cresciuti e a cui sentono di appartenere come e più che
a quello d’origine, farà la differenza nelle prospettive future dei giovani di
seconda generazione. Il desiderio di sentirsi pienamente italiani, unito alla diversità che li arricchisce e ne amplia le vedute, sono all’origine di un
nascente desiderio di partecipazione e intervento nella società che sta dando
origine alle prime forme di associazionismo secondo-generazionale e che va
incentivato perchè porta a un’integrazione positiva anche delle generazioni
future.
L’Italia deve prendere coscienza di essere ormai un paese di immigrazione, e
smettere di pensare in termini di ‘stato d’emergenza’ se vuole davvero realizzare politiche utili e durature in materia. I giovani immigrati, non solo cinesi,
sono una forza economica e sociale che può essere sapientemente conquistata e valorizzata dallo Stato italiano oppure ignorata, condannandola a un
futuro incerto e fonte di sicuri problemi.
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