La scuola elementare nel Lombardo-Veneto

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La scuola elementare nel Lombardo-Veneto
R. Repole – La scuola elementare nel Lombardo-Veneto
ROSA ANNA REPOLE
LA SCUOLA ELEMENTARE NEL LOMBARDO-VENETO
Al ritorno dell’Austria nel 1814, dopo la parentesi napoleonica e l’esperienza del
Regno d’Italia, lo stato dell’istruzione popolare del Lombardo-Veneto era molto
carente. È sufficiente ricordare che in questo periodo non esistevano scuole
pubbliche per le fanciulle.
È pur vero che è di questi anni l’iniziativa di alcuni liberali lombardi che aprirono
delle scuole gratuite di mutuo insegnamento con scopi, però, palesemente patriottici
e politici che non potevano certamente sfuggire al governo asburgico che si affrettò a
sopprimerle.
Molti studiosi italiani, fra cui il Correnti, spinti dal loro patriottismo e dall’odio
per l’Austria, non hanno esitato ad affermare, in verità con scarsa attendibilità
storica, che il governo austriaco dedicò all’insegnamento primario dal 1822 in poi
scarsa cura. A conferma delle loro tesi sostengono che nei documenti ufficiali
conservati nell’Archivio di Stato di Milano non c’è che qualche raro riferimento a
provvedimenti in questo settore.
Il fatto che dei documenti siano andati distrutti o perduti non è sufficiente, però, a
dimostrare il disinteresse del governo per l’istruzione. Per di più confermano il
contrario o, per lo meno, dimostrano la continua attività in campo scolastico i 150
fascicoli conservati nell’Archivio del Ministero del Culto e dell’Istruzione di Vienna
che raccolgono atti riguardanti l’istruzione nel Lombardo-Veneto nel periodo 18151848.
Il Correnti rileva a sostegno della sua tesi che a Milano nel 1821 c’erano solo tre
scuole elementari maggiori e non erano ancora state istituite quelle minori. Però
sembra dimenticare che quando l’Austria abbandonò Milano nel 1790 esistevano già
una “scuola capo-normale”, una primaria di quattro classi e diciotto normali di due
classi, oltre ad una scuola tedesco-italiana di due classi che opportunamente
trasformate e potenziate secondo le nuove disposizioni svolgevano ancora la loro
attività nel periodo 1815-1821.
D’altra parte è oltremodo fazioso e di parte rivelare le carenze dell’istruzione
primaria nel Lombardo-Veneto quando nella gran parte della penisola albergava
l’analfabetismo e molti Stati brillavano per l’assoluta mancanza di scuole primarie.
Molto più obiettivi ed imparziali sono due ex deputati della camera subalpina, il
Dott. L. Carola ed il Prof. V. Botta, che nella loro opera “Del pubblico insegnamento
in Germania”, edita a Torino nel 1851, in tre volumi, fanno affermazioni quali «ma
sì, sosteniamo essere i mezzi onde si compone l’istruzione austriaca e sovratutto
nella parte elementare, assai più larghi e accurati che in parecchie altre nazioni, tanto
che il governo imperiale, ultimo negli ordini civili in Europa, possa, dal lato degli
studi elementari, tenersi in grado non ispregevole», «molte massime di questo
sistema sono di gran lunga più liberali ed umanitarie delle nostre».
Per comprendere lo sviluppo della scuola elementare del Lombardo-Veneto in
questi anni è necessario forse riallacciarsi alla fondazione delle scuole popolari in
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Austria e di quella normale in Lombardia all’epoca dell’imperatrice Maria Teresa in
seguito alla soppressione dell’ordine della Compagnia di Gesu, cui era affidata in
gran parte la pubblica istruzione.
Si interessò della riforma l’abate don Giovanni Bovare che distinse le scuole latine
dalle elementari, note anche come “scuole di scrittura e di conti, a comodo del
popolo per allevare gente capace di impiegarsi abilmente nel commercio”, in modo
da poter “abilitare la plebe a ben adempiere tutti gli diversi officj minori della
società”.
Con un editto sovrano del 6 dicembre 1774 furono istituite in Lombardia le prime
scuole del popolo dette anche “scuole gratuite normali”, ritenute dal Bovare
“semenzai di futuri maestri laici”.
Nonostante le cure che i sovrani asburgici dedicavano all’istruzione dei propri
sudditi e le disposizioni emanate dai decreti regi, la riforma fu lenta e non ottenne
quei risultati in cui si era sperato, come è possibile rilevare anche dalla lettera che il
principe Knauitz scriveva il 15 maggio al ministro plenipotenziario conte Firmian.
Qui, a proposito della suddetta riforma, si può leggere: “Il frutto pare corrispondere
con felice successo alla sollecitudine di S.M. rispetto a questi paesi. Spero di vederne
ancora nella nostra Lombardia, ma ci vorrà non poco per sistemare ivi la scuola in
buon piede”.
Tali propositi non furono realizzati dal momento che sopraggiunse ben presto la
rivoluzione francese a sconvolgere gli Asburgo ed il ciclone napoleonico si riversò
sull’Europa.
È ovvio, perciò, che il governo austriaco ha altro cui dedicare la propria attenzione
che alla pubblica istruzione, anche se nel settembre del 1802 viene promulgata una
legge che prevedeva in ogni comune la costituzione di una scuola pubblica dove
fosse possibile «insegnarvi il leggere, lo scrivere ed i principi dell’aritmetica,
impiegando gli assegni delle fondazioni e supplendo pel resto con sovraimposte
comunali». In pari data fu concesso ai comuni più ricchi di aprire anche le scuole
normali riservate solo ai maschi, non obbligatorie e spesso incomplete.
Subito dopo il congresso di Vienna ed il ritorno asburgico nel Lombardo-Veneto,
il governo dedica nuovamente la sua attenzione alla pubblica istruzione.
Infatti, nel 1818 fu pubblicato il primo Regolamento per le scuole elementari del
regno Lombardo-Veneto, seguito tre anni più tardi, nel 1821, dal regolamento
completo. Era quest’ultimo un grosso fascicolo di 158 pagine edito a Venezia
dall’Andreola, che riportava in modo chiaro e comprensibile le norme che regolavano
la scuola elementare suddivisa in minore, maggiore con tre o quattro classi e tecnica.
Da alcuni articoli di tale regolamento è facile comprendere i rapporti che
intercorrevano fra la scuola elementare ed il clero che in effetto esercitava su di essa
una forte influenza, come si può facilmente dedurre da affermazioni quali «dovunque
si tiene un libro parrocchiale, vi è una scuola elementare minore», «il Parroco ha
relazione con la scuola in tre maniere, come Capo immediato e direttore delle scuole
elementari minori, come maestro della Religione, come esempio di moralità», «Il
maestro dovrà comportarsi con decente urbanità e sommissione verso de’ suoi
superiori, il Parroco, gli ispettori e le altre autorità (par. 50, II)», «Il maestro di una
scuola elementare minore fa i suoi rapporti sopra gli oggetti morali e letterari al
Parroco e per le materie politiche ed economiche all’amministrazione comunale (par.
64)».
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I parroci in tal modo dirigevano tutto l’insegnamento primario e, come i fatti
hanno poi dimostrato, tale influenza non favorì certo il progresso della pubblica
istruzione. D’altra parte ciò non può meravigliare dato il carattere confessionale
della scuola austriaca. Infatti tale principio, riferito in particolare alla scuola
popolare e ribadito anche nel famigerato concordato del 1855 (art. VII e VIII), è
sempre stato in auge nell’impero asburgico sia prima, sia durante, sia dopo il regno
di Maria Teresa, anche se quest’ultima lo considerava un semplice “paliticum”.
Il Regolamento prevedeva norme esaurienti per i maestri e disciplinava anche il
loro comportamento verso i discenti oltre che i rapporti con i superiori come abbiamo
già visto.
Interessante è il paragrafo 47 relativo alle punizioni corporali «le guanciate, le
orecchiate, lo strappar dei capelli, gli urti e le percosse, il porre ginocchioni i
figlioli, sia sopra punte acute, sia pur solamente nel terreno, son cose tutte a lui
severamente proibite».
I maestri però nel Lombardo-Veneto non tennero quasi mai conto di questo
articolo ed anzi considerarono spesso un loro personale diritto il poter esercitare la
giustizia e mantenere la disciplina a scuola con punizioni corporali. Tale articolo non
ha bisogno di commenti e dovrebbe essere letto anche da alcuni insegnanti di oggi!
La scuola elementare fu divisa in tre gruppi e i paragrafi 2, 3, 4 e 5 del capitolo I
ne spiegano il perché: «le scuole elementari minori erano istituite per la prima
istruzione di tutti i fanciulli di qualunque condizione, le scuole elementari maggiori
hanno per oggetto la istruzione della gioventù che intende applicarsi alle scienze ed
alle arti, le scuole elementari tecniche erano destinate all’istruzione di quelli che
vogliono dedicarsi al commercio, agli impieghi economici ed a tenere libri di
ragione. Le scuole elementari sia maggiori che minori erano stabilite per i fanciulli
di ambo i sessi, l’istruzione era obbligatoria per tutti».
Tali norme molto spesso non furono applicate dal momento che l’assenteismo
scolastico, in particolar modo delle ragazze, fu rilevante, ma ciò nulla toglie alla loro
validità sociale.
La direzione generale dell’istruzione elementare era affidata a due ispettori capo,
uno per la Lombardia e l’altro per il Veneto, dipendenti direttamente dal governo.
Ogni provincia aveva, poi, un ispettore provinciale ed alcuni ispettori distrettuali.
Negli anni in cui entrò in vigore tale regolamento nelle 2373 parrocchie della
Lombardia esistevano solo 900 scuole pubbliche elementari per i maschi e circa 300
per le donne; quest’ultime, però, private o mantenute da “pie fondazioni”.
Nel 1822 il numero era aumentato a ben 2630 scuole pubbliche, 2127 per i maschi
e 503 per le donne con un totale di 107.767 alunni di cui 81.241 maschi e 26.524
donne; nel 1832 erano già 3535 con 106.767 alunni, nel 1842 erano giunte a 4021
con 201.277 scolari e nel 1855, infine, si era arrivati a 4427 con una popolazione
scolastica di 233.636 unità. Tali dati confermano l’infondatezza delle accuse rivolte
da alcuni studiosi italiani relative alla scarsa cura che l’Austria dedicava alla
pubblica istruzione nel Lombardo-Veneto.
Circa la frequenza, come abbiamo già visto, si può rilevare che almeno
inizialmente vi erano molti casi di assenteismo scolastico, anche se la situazione
andò gradatamente migliorando nel corso degli anni. Infatti nel 1822, sempre in
Lombardia, quasi la metà dei maschi e l’ottanta per cento delle femmine in età
scolare non frequentavano abitualmente la scuola. Nel 1826 si nota già un sensibile
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miglioramento: solo un terzo dei fanciulli ed un quarto delle fanciulle evadono
ancora l’obbligo scolastico. In seguito sino al 1859 la proporzione fra quanti
dovevano frequentare la scuola e quelli effettivi resta stazionaria: circa un terzo.
Per le donne invece dopo il 1826 la proporzione aumenta notevolmente a
svantaggio della frequenza, tanto che nel 1855 più di due quinti non frequenta la
scuola.
Le zone dove la diserzione era più numerosa erano quelle della bassa Lombardia,
Lodi e Crema, Mantova e Milano, mentre nelle province montuose, Bergamo e
Sondrio, era minima.
Stefano Jacini, analizzando tale situazione, ritenne che la causa doveva essere
ricercata nell’entità della proprietà rurale, nel senso che ove era equamente divisa in
base al numero dei componenti del nucleo familiare, come era appunto nell’alta
Lombardia, era anche più avvertito il bisogno dell’istruzione.
Il merito di maggiore rilievo della legge sulla scuola elementare austriaca fu
quello di avere aperto l’insegnamento primario anche alle fanciulle. Il Sacchi dice
che «dalle donne del popolo, cui mancava per lo innanzi ogni mezzo di istruzione, la
pubblica scuola fu salutata come un civile beneficio. I risultati ottenuti nelle scuole
femminili superavano anche di molto quelli delle scuole maschili. Le maestre
trasfusero tosto nei metodi scolastici tutta quell’aura educativa di cui forse
mancavano, con alacrità e pazienza meravigliose».
Quindi numerosi furono gli aspetti positivi di questa legge anche se nelle
campagne, dove le possibilità finanziarie dei comuni erano nella maggior parte dei
casi molto modeste, invece di scuole si ebbero “scheletri di scuole”: «Le
rappresentanze comunali tollerano a stento questo aggravio che credono quasi
indebito e stipendiano i maestri con così misere mercedi che spesso sdegnerebbe
accettarle il più povero bracciante e perciò contasi ancora in Lombardia 13 comuni
che non hanno scuola veruna e 448 che mancano affatto di scuole femminili».
Nel Veneto il numero complessivo delle scuole elementari pubbliche e private,
maschili e femminili, era nel 1831 di 1597 con 80.151 scolari dei due sessi, nel 1841
di 1923 con 85.431 allievi, nel 1856 di 2517 con 105.761 alunni. L’incremento
maggiore nel Veneto si ebbe appena dopo il 1851, anno in cui c’erano ancora solo
1913 scuole con 89.221 unità.
Le scuole elementari minori erano a carico dei comuni, mentre era compito dello
stato provvedere alle scuole normali ed alle elementari maggiori. Quest‘ultime, però,
non furono mai numerose, in particolare dopo la circolare del governo datata 23
dicembre 1822 che stabiliva «non potersi istituire a carico dello stato altre scuole
normali oltre la scuola normale di Venezia, né scuole elementari maggiori di queste
classi, fuorché in ogni capoluogo di provincia». «Ai comuni toccarono gli
adattamenti dei locali ed il loro allestimento», mentre era compito delle province
provvedere agli «apparati scientifici e per le arti» che venivano usati nella IV classe
della scuola elementare.
L’istruzione privata che durante il regno d’Italia aveva riscosso un certo successo,
non fu vista di buon occhio dal governo austriaco anche se fu tollerata almeno in un
primo tempo.
Esempio a tal riguardo sono le scuole di mutuo insegnamento istituite da V.
Confalonieri a Milano e poi rapidamente propagatesi in Lombardia.
Quando però le autorità si resero conto delle effettive finalità di queste scuole
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arrivarono la decisione sovrana (30 novembre 1823) e le disposizioni della
cancelleria aulica di Vienna che abolivano gli studi privati sia filosofici sia giuridici
e da allora fu sempre problematico, anzi difficile, riuscire ad ottenere il permesso per
aprire un istituto privato e se dopo molte insistenze si riusciva nell’intento «doveva
essere nelle città capitali dove risiedeva il governo e con molte cautele». Infatti gli
istituti di educazione privati regolati sulla forma del collegio-convitto erano
considerati «focolari di mutua corruzione ed in generale perniciosi alla moralità».
Questo comportamento del governo austriaco era dettato, ovviamente, da considerazioni di carattere politico e non certamente pedagogico, tanto che era anche
proibito studiare in istituti stranieri e la paura per tutto ciò che significava “estero”
arrivò al punto di ordinare che «i sudditi austriaci in generale non avessero ad
accettare diplomi onorifici di dottori di università straniere».
Diverso fu lo sviluppo della pubblica istruzione in Lombardia e nel Veneto; infatti
nella prima regione la scuola primaria ebbe largo sviluppo raggiungendo buoni
livelli, nella seconda fu sempre motivo di lagnanze da parte delle stesse autorità e
non si ottennero mai risultati apprezzabili. Eloquenti sono a tal riguardo le stesse
lettere dell’imperatore: «caro conte Lazansky! Da quanto mi fu con certezza riferito,
l’istruzione pubblica nel Veneto non è all’altezza di quella che dovrebbe essere; le
scuole popolari (Trinalschulen) sono pochissimo frequentate, persino il liceo di
Venezia non lo è come dovrebbe essere. Saranno da discutersi e da rendermi noti i
mezzi per promuovere e migliorare l’istruzione tanto necessaria ad ogni classe di
cittadini e soprattutto a quella dei commercianti; voglio sapere quanto fu finora fatto
in questo senso come pure tutto ciò che si dovrà ancora approvare in questa materia.
Vienna 20 febbraio 1817».
E ancora sullo stesso tono: «Caro conte Lazansky! Poiché le scuole nel Veneto
hanno bisogno di una improrogabile riforma e di venire riordinate, Ella farà in modo,
qualora tutto ciò non sia già avvenuto, di spingere innanzi al più presto i lavori
preparatori e di sottomettere subito l’elaborato alla mia approvazione; si dovrà anche
tener conto anche di maestri privati, affinché gli stessi vengano assoggettati ad un
esame regolare ed a relative sorveglianze. Vienna 22 febbraio 1817».
Nel 1834 il governo di Venezia si rivolse alle delegazioni delle province venete
ordinando di rimuovere gli ostacoli, soprattutto di natura finanziaria, che impedivano
il progredire dell’«importantissimo ramo dell’istruzione elementare».
Nonostante tutti questi tentativi di riforma il Veneto diede sempre la maggior
percentuale di analfabeti del regno e dal 1832 in poi l’istruzione elementare andò
sempre più decadendo anche se le autorità certamente non trascuravano il problema e
facevano quanto era in loro potere per porre rimedio alla situazione, anzi dopo il
1850 da più parti si levarono richieste per una riforma in tale settore. D’altra parte
l’opera di riforma del governo fu resa difficile dal disaccordo stesso che regnava fra
chi la proponeva. Lo Zannini, ad esempio, faceva delle proposte in senso retrogrado
condannando le scienze positive e di conseguenza lo Zambre, che a lui si opponeva,
tesseva involontariamente l’elogio dell’ordinamento scolastico già esistente, mentre
il Parravicini fin dal 1851 aveva proposto un vasto piano di riforma della scuola. La
stessa azione governativa, poi, nel campo dell’istruzione fu sempre contraddittoria.
Era stato, ad esempio, proibito ai maestri di dare ripetizioni private «dopo le ore di
scuola» ed. il 23 giugno 1834 l’imperatore permetteva «che presso le scuole normali
e maggiori possano venir date di nuovo ripetizioni private scolastiche», anzi con la
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circolare del 31 luglio 1834, i maestri erano obbligati a tenerle tutti i giorni.
Queste brevi note consentono di fare alcune considerazioni conclusive, molte delle
quali sicuramente valide ancora oggi.
Il problema scolastico è stato ed è sempre all’attenzione delle autorità
responsabili. La sua soluzione, però, è risultata infirmata da discordi correnti di
pensiero e quindi basata sul compromesso che, come tale, ha generato molto spesso
confusioni ed è stata fonte di abusi.
La percentuale degli alunni, che frequentavano le scuole, era diversa nelle due
regioni considerate; essa era a favore della Lombardia (regione “industriale” e più
progredita nel settore dell’agricoltura) rispetto al Veneto (regione tipicamente
agricola con proprietà fondiaria più frazionata in ambiente con differenti caratteristiche oroidrografiche). Esisteva, inoltre, nelle due regioni una maggiore
frequenza delle scuole da parte dei maschi rispetto alle donne, ma il rapporto era a
favore dei maschi in Lombardia non solo per i motivi già detti ma anche per la
diversa ubicazione geografica delle due regioni (la Lombardia con confini più aperti
ed a contatto con altri stati; il Veneto più strettamente racchiuso nell’area di
influenza dell’Austria).
Era stata sancita l’obbligatorietà della frequenza delle scuole elementari minori,
ma l’assenteismo era molto sensibile e percentualmente maggiore nel Veneto rispetto
alla Lombardia per cause varie non escluse le condizioni socio-economiche tipiche
delle due regioni.
Si può intravedere anche una specie di impiego a “tempo pieno” degli insegnanti
(proibizione delle lezioni private e obbligo delle lezioni pomeridiane) mentre è
chiaramente deducibile il modesto trattamento economico loro riservato (i tempi
passano… ma la situazione è ancora la stessa!).
Le spese per l’istruzione erano a carico dei comuni e delle province per cui le
scuole venivano istituite e meglio tenute nelle zone più ricche.
In breve la struttura ed il funzionamento delle scuole del Lombardo-Veneto nel
periodo considerato offrono spunti di meditazione perché il problema scolastico trovi
nel prossimo futuro una soluzione adeguata e capace di soddisfare le esigenze del
Paese.
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BIBLIOGRAFIA
Regolamento per le scuole elementari dal Regno Lombardo-Veneto, Venezia,
Andreola, 1818.
Regolamento completo per le scuole elementari dal Regno Lombardo-Veneto,
Venezia, Andreola, 1821.
A.V., Accenni ad alcuni principi nella questione della riforma dell’insegnamento,
Venezia, Merlo, 1860.
G.B. Zannini, Delle necessità e dei modi di riformare le scuole elementari e
ginnasiali nel Regno Lombardo-Veneto, in Atti dell’i.r. Istituto Veneto di
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L.A. Parravicini, Ordinamento dell’educazione popolare, Venezia, Antonelli, 1851.
B. Zambra, Sulla terza appendice della memoria di G.B, Zannini, “Delle necessità…
ecc.”, Padova, Randi, 1858.
Dizionario enciclopedico U.T.E.T.
Dizionario enciclopedico Treccani.
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