iL SoSTeGno ALLA ProvA dei FATTi - OSP Siena

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iL SoSTeGno ALLA ProvA dei FATTi - OSP Siena
Federico Cividini
IL SOSTEGNO
ALLA PROVA DEI FATTI
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE,
DELL’UNIVERSITà E DELLA RICERCA
Ufficio Scolastico Provinciale di Siena
Volume pubblicato con il contributo della Provincia di Siena
e dell’Ufficio Scolastico Provinciale di Siena
Il testo di questa pubblicazione non può essere riprodotto
se non dietro licenza del proprietario Prof. Federico Cividini
[email protected]
Lo stesso dicasi per le foto,
che sono di proprietà di Mirco Cappelletti
[email protected]
Stampato da Edizioni Cantagalli srl
Siena, marzo 2010
Prefazione
Lo scopo principale della ricerca che andiamo a presentare,
promossa dall’Ufficio Scolastico Provinciale di Siena, è quello di
monitorare i progetti esistenti e di promuovere quelle che sono
le buone pratiche delle scuole superiori senesi nell’integrazione
scolastica degli alunni con necessità speciali.
La ricerca, che ha mosso i primi passi nel 2008, si è svolta
nel 2009, per concludersi e concretizzarsi con la stampa di questo volume. Le tecniche di ricerca impiegate, e cioè la richiesta
e l’acquisizione di documenti, l’indagine telefonica e l’osservazione diretta, hanno avuto lo scopo di ottenere dati attendibili
e verificabili in relazione ai progetti effettivamente svolti dalle
scuole superiori senesi nell’ambito delle politiche di integrazione scolastica, ai metodi e ai mezzi impiegati nonché ai risultati
ottenuti.
I dati sono stati poi classificati nelle tre aree che il ricercatore
e l’Ufficio Scolastico Provinciale hanno ritenuto, e tuttora ritengono, più importanti sotto il profilo dell’efficacia, perché producono i risultati che maggiormente servono nel tempo agli alunni
con necessità speciali:
1) le politiche di stage e alternanza scuola-lavoro, che favoriscono l’inserimento lavorativo;
2) le politiche di coinvolgimento dei docenti delle materie nella didattica di sostegno, che migliorano le possibilità concrete di raggiungere il diploma di qualifica o di
maturità;
3) le azioni di rete sul territorio, che attivano preziose risorse
esterne alla scuola.
Per ognuna delle tre aree la ricerca si è fatta carico di comparare le prassi specifiche di ciascuna scuola con quelle delle altre
scuole, ed ha anche sottoposto ad attenta valutazione quelle che
si sono rivelate come le più innovative ed efficaci.
3
La ricerca, infine, non poteva concludersi senza esimersi
dall’avanzare alcune proposte concrete per diffondere le buone prassi di integrazione scolastica in tutte le scuole superiori
senesi.
Questi gli antefatti che hanno portato alla presente pubblicazione, ma chi scrive non può fare a meno di esprimere alcuni
convincimenti e attardarsi in qualche riflessione.
Ed allora, innanzitutto, vorrei “scolpire” nella mente e nel cuore dei lettori la frase, ripetuta più volte, contenuta nella Mozione
finale del 7° Convegno Internazionale su “la Qualità dell’integrazione scolastica”, tenutosi a Rimini nel novembre 2009:
Non dimenticate mai che la disabilità attraversa la vita, è
nella vita, non è un destino fuori di noi.
Potrebbe capitarvi un giorno di avere bisogno di una carrozzina, di pannoloni, di riabilitazione, di avere un figlio o un
parente con disabilità.
Molti potrebbero eccepire che questo è già, da loro, tenuto
ben presente, ma è pur vero che di passi per arrivare a definire
la nostra società come veramente inclusiva ce ne sono ancora
tanti da fare, e mai ci si può crogiolare o fermarsi a godere della
soddisfazione di un qualche risultato ottenuto.
Federico Cividini, e i tanti insegnanti di sostegno che lo hanno incoraggiato, aiutato, “notiziato”, e in alcuni casi anche guidato, sono la dimostrazione di quanto appena detto, ma soprattutto hanno dimostrato, a me per primo, come la particolare
situazione di quello studente con necessità speciali possa davvero trasformarsi da potenziale fattore problematico a ragione di
crescita per tutti.
Per scuotere il mondo della disabilità dall’abulia, da petizioni
astratte, da chiacchiere buoniste, da semplice assistenzialismo
caritatevole, c’è un gran bisogno di insegnanti come questi.
Ancor più oggi, in quest’era delle passioni tristi, occorrono
insegnanti che si adoperino per entrare nel mondo del loro studente-interlocutore dimostrando di riuscire a comprenderlo, di
partecipare ai suoi sentimenti. Tutti credo concordino sul fatto
che l’insegnamento non possa essere confinato alla trasmissione
di soli contenuti, ma che debba essere arricchito dalla trasmis4
sione di dati valoriali: nessuno però può proporti dei valori se
non ti fa sentire che tu stesso, per lui, sei un valore.
Una esortazione pertanto a proseguire sul buon viatico intrapreso, tenendo a mente il monito di Beniamino Placido alla
figlia: “Provarci sempre, non cedere mai. Senza paura di fare.
Senza paura di sbagliare”.
Con un caro pensiero per i nostri studenti con bisogni educativi speciali e le loro famiglie, invito quindi alla lettura di questa
prima pubblicazione in argomento da parte dell’Ufficio Scolastico Provinciale di Siena
Luigi Sebastiani
Dirigente dell’Ufficio Scolastico Provinciale di Siena
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Introduzione
Il presente volume, arricchito dal materiale documentario archiviato nell’allegato CD, raccoglie gli esiti di una ricerca dall’impostazione originale e suscettibile di futuri, augurabili sviluppi. Il
lavoro, promosso nell’anno scolastico 2008/2009 dall’Ufficio Interventi Educativi dell’U.S.P. di Siena, diretto da Luigi Sebastiani, ha
impegnato chi scrive queste brevi note introduttive in un’opera di
coordinamento progettuale risultata assai agevole per la competenza del ricercatore, il professor Federico Cividini, e la convinta e motivata partecipazione dei docenti delle scuole coinvolte.
La minuta programmazione dei tempi di lavoro è stata rispettata
senza difficoltà e solo con quei provvidenziali aggiustamenti in
itinere che trasformano la freddezza di un programma in un ragionato, e ragionevole, percorso attraverso la complessità dell’agire
concreto.
L’idea alla base del progetto era a tutti molto semplice e chiara:
conoscere meglio ciò che fanno davvero le scuole per implementare i processi reali di integrazione scolastica degli studenti con
speciali necessità, favorire la conoscenza reciproca tra le scuole
stesse e far interagire le migliori esperienze per mettere in moto
un processo di concreta crescita qualitativa dell’approccio ai problemi dell’integrazione scolastica nel nostro territorio. Occorreva
avviare una ricerca sul campo, anzitutto. Ma una ricerca partecipata, una ricerca-in-azione, una ricerca che fosse anche un percorso
di autoformazione ed uno stimolo per nuovi progetti da giocare
nuovamente sul campo, in un ciclo virtuoso da mantenere, augurabilmente, sempre aperto.
Occorreva un ricercatore preparato e motivato, con una buona
esperienza alle spalle, e chi ha proposto e condotto il progetto
di ricerca ha dimostrato di esserlo. Occorreva che le scuole della provincia capissero la portata innovativa della proposta e che
un valido gruppo di insegnanti-ricercatori si mettesse all’opera in
ciascun istituto, pronto a condividere la propria esperienza con
gli altri gruppi di ricerca: la risposta delle scuole è stata davvero
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esemplare. Segno evidente, questo, che la più negletta delle autonomie – quella della ricerca, appunto – troppo è stata schiacciata,
nell’attenzione di tutti, da quella organizzativa, gestionale, mentre
una vera autoimprenditorialità della scuola è possibile solo nella
misura in cui cresca sensibilmente la capacità di ciascun istituto di
crearsi un proprio sapere del fare, di alimentarlo continuamente,
di metterlo in rete, dando e ricevendo dagli altri, di organizzarlo
sempre meglio in presa diretta con i problemi che la quotidianità
formativa ci mette innanzi e che esigono non risposte irriflesse ma
strategie di lungo respiro e di intelligente ponderatezza. La prontezza di tante scuole a mettersi in gioco attesta la vivacità di un
bisogno che se fosse soffocato o disatteso impedirebbe alla scuola
di crescere in autonomia, di farsi adulta e responsabile, attore originale ed innovativo dei processi di riproduzione sociale e della
comunicazione di cultura.
I lettori potranno valutare i risultati del nostro sforzo e trarre le
loro considerazioni sul merito e sul metodo. Il cammino è stato avviato, non resta che proseguirlo e migliorarlo costantemente, con
vero spirito scientifico, alle prese, dialogicamente, con i problemi,
ognuno cercando, come voleva Dewey, “la propria via d’uscita”.
A fianco di questa ricerca, e non per caso, l’U.S.P. si è riproposto di finanziare i migliori, o i più promettenti, progetti di integrazione scolastica pensati e realizzati dalle scuole di ogni ordine
e grado nello stesso anno scolastico appena trascorso. Sono state
rispettate alcune priorità dettate dall’Ufficio Scolastico Regionale
e dalla situazione specifica della nostra provincia. Naturalmente
tutto è discutibile, e meritevole di essere discusso, ma anche in
questo caso la risposta degli istituti scolastici è stata ricca, articolata, convinta, senz’altro metodologicamente valida. Quest’anno e
nei prossimi ci sarà spazio per altre scuole, per altri progetti; forse
altre priorità. Essenziale, ci pare, è che la qualità del progettare si
affini sempre più, che la qualità realizzata possa essere apprezzata
e premiata da un riconoscimento di fiducia, da un invito al fare,
con le risorse opportune, quelle che sarà possibile, in questo tempo di crisi, mettere in campo e a disposizione di chi abbia cose
nuove ed interessanti da dire e attuare.
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La ricerca, anche e soprattutto nella scuola, ci sembra essere la
vera chiave di volta per uscire dalle distrette di un tempo ingrato,
per riconquistare riconoscibilità e stima sociale, per dimostrare,
coi fatti, a chi ancora non ne fosse persuaso, quanto sia indispensabile l’educazione per il futuro di una democrazia evoluta.
Massimo Pomi
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Fermarsi o partire?
1. IL SOSTEGNO ALLA PROVA DEI FATTI
Ogni anno più di 600 alunni con il sostegno affrontano la scuola
senese con tutte le contraddizioni della loro vita reale: stretti fra i
propri bisogni speciali, da un lato, e la voglia di non essere diversi
dai compagni, dall’altro.
Come possiamo capire, però, quanto la scuola riesca davvero ad aiutarli a superare i propri limiti, e con essi il rischio
dell’emarginazione?
Un approccio pragmatico è il seguente: i risultati da loro conquistati lungo l’arco dell’intero percorso – dalla scuola dell’infanzia
agli istituti d’istruzione superiore – si possono misurare ricorrendo
alla valutazione dei livelli di autonomia. Attraverso il confronto
dei livelli di autonomia, infatti, possiamo stabilire se gli alunni
con il sostegno, passando da una classe a quella successiva, da
un ordine di scuola a quello successivo, aumentano, mantengono,
riducono, annullano o – perché no? – rovesciano quel divario iniziale rispetto ai coetanei che ha giustificato la loro certificazione
di handicap.
In questa prospettiva, la fine dell’intero percorso scolastico, che
oggi, per la stragrande maggioranza degli alunni con necessità
cognitive speciali, termina con le scuole superiori, diventa un momento cruciale.
Purtroppo, però, nonostante il sostegno ricevuto per anni a
scuola, questo momento coincide raramente con l’inserimento nel
mondo del lavoro, e ancor più raramente, con un contratto di lavoro regolarmente retribuito, anche a distanza di anni.
Per un docente di sostegno che sia consapevole della sua funzione, e che presti servizio nelle scuole superiori, questo è un
problema serio, attuale, e cogente.
La motivazione di fondo della ricerca che qui presentiamo parte
proprio da questo problema, e, a ritroso, individua le migliori prassi che cercano di affrontarlo, e perché no, di superarlo.
Questa ricerca, infatti, vuole evidenziare, sostenere e diffondere
le buone pratiche di sostegno che, nelle scuole superiori senesi,
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permettono agli alunni con necessità speciali di integrarsi concretamente non solo nella scuola, ma anche nel territorio e nel mondo
del lavoro circostanti.
In coerenza con le premesse fin qui sviluppate, il piano di lavoro della ricerca, la raccolta dei dati da tutte le scuole superiori,
l’individuazione delle aree di intervento più efficaci per l’integrazione scolastica, l’analisi dei progetti delle singole scuole, e il
cd-rom che viene allegato a questo volume sono stati progettati
e realizzati per valutare empiricamente la creazione di maggiori
e/o migliori autonomie negli utenti del servizio pubblico scolastico superiore.
Seguendo questa impostazione, i risultati della ricerca, e il cdrom che li riporta integralmente, sono stati organizzati e presentati
in due sezioni: la parte empirica, e la parte valutativa. La parte
empirica raccoglie tutti i documenti inviati dalle scuole o raccolti
dal ricercatore, ed alcuni esempi di e-mail di richiesta o precisazione di dati. In questo modo il lettore, o chi è interessato, può
consultare, utilizzando il cd-rom allegato, i dati su cui riflettere, e
i riferimenti a cui rivolgersi per diffondere le buone prassi da una
scuola all’altra. La parte valutativa serve a distillare, dall’insieme
dei progetti, un quadro sintetico di quelle che possono essere considerate le buone prassi che le scuole dell’autonomia senesi hanno
sviluppato negli ultimi anni, spesso per iniziativa e merito di figure
di coordinamento importanti, i docenti di sostegno o curricolari
che svolgono la funzione strumentale dell’integrazione scolastica.
C’è però una motivazione anche personale che mi ha spinto a
ricercare le buone prassi di integrazione delle scuole superiori senesi: una motivazione che nasce direttamente dalla mia esperienza
di docente di sostegno.
Nel pubblico al di fuori della scuola, e spesso anche nella scuola, l’integrazione scolastica coincide con le attività dei docenti di
sostegno. Come ben sanno gli stessi docenti di sostegno, la verità è più complessa: l’integrazione scolastica effettiva dipende non
solo dal gruppo di sostegno, ma soprattutto dagli altri operatori
scolastici, e in particolare da tutta la comunità scolastica, sensibilizzata e attivata dall’uso intelligente delle risorse.
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Detto in prospettiva rovesciata, ma forse più chiara, la sola
didattica di sostegno, per evidenti limiti sia di risorse (ogni alunno, di fatto, ha diritto in media a 8 ore di sostegno su 32/36 ore
di lezione) sia di organizzazione (la maggioranza dei docenti di
sostegno ha pochi anni di esperienza specifica e non riceve una
formazione adeguata) rischia di non ridurre – o addirittura di aggravare – il divario di autonomie fra gli alunni con necessità speciali e i loro compagni. Questo rischio, per quanto paradossale, è
ancora più concreto se la didattica di sostegno non è sufficientemente integrata con la didattica curricolare (cioè con le lezioni dei
docenti delle materie), e se viene svolta in ambienti separati dalle
classi anche quando non è opportuno, come purtroppo tende ad
accadere in alcune scuole1.
Questi sono dati di fatto, per quanto incresciosi (e sorprendenti), che la maggior parte dei 13 responsabili delle attività di
integrazione e dell’altra ventina di docenti di sostegno di ruolo
nelle scuole superiori senesi conoscono benissimo, perché è su di
loro che ricade, da un anno all’altro, il peso quotidiano di queste
disfunzioni.
Come se tutto ciò non bastasse, come ben sanno le famiglie
degli alunni con necessità speciali senesi, la mancanza cronica di
docenti di sostegno stabili nell’organico provinciale impedisce di
fatto la continuità dell’azione di sostegno da un anno scolastico
all’altro. Infatti solo un quarto dei docenti di sostegno che insegnano attualmente nelle scuole superiori senesi sono di ruolo, cioè
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La didattica individualizzata, al di fuori della classe, per quanto utile al singolo alunno sul piano cognitivo, tende ad approfondire la percezione della sua
diversità da parte dei coetanei, e a creare dipendenza fra egli stesso e il docente
di sostegno. Per ovviare a questi inconvenienti, può essere utile, se si ritiene più
proficuo condurre le attività di sostegno fuori dalla classe, coinvolgere in esse, in
accordo con il collega della materia, un piccolo gruppo di studenti della classe.
Laddove invece è proprio il rapporto (mancato o conflittuale) fra il docente di
sostegno e il docente della materia il vero motivo della tendenza ad uscire dalla
classe per svolgere le attività di sostegno, il docente di sostegno, piuttosto che
rinunciare alla condivisione della classe, dovrebbe affrontare il problema specifico direttamente con il collega, al di fuori delle ore di lezione.
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stabili, contro una media intorno al 70% dei docenti di sostegno
degli altri ordini di scuola2.
Per tutti questi motivi il rischio concreto è che il sostegno nelle
scuole superiori subisca una brutta sorte, trasformandosi in una
specie di ammortizzatore sociale per riuscire a far frequentare la
scuola superiore agli alunni con necessità speciali, nei casi più
gravi soltanto per le ore “coperte” dal sostegno, e per evitare che
essi creino “problemi” agli altri attori della scuola (alunni, insegnanti e amministrativi). Ma questa è una concezione riduttiva
dell’integrazione scolastica che, a mio avviso, deve essere rifiutata
categoricamente e combattuta tenacemente, perché viola lo spirito
di fondo e le disposizioni specifiche della legge che ha stabilito
2
Nell’anno scolastico 2008-2009, su più di 100 docenti di sostegno in servizio nelle scuole superiori senesi solo 27 erano di ruolo. Se si considera che
gli Istituti d’Istruzione Superiore della provincia con alunni con certificazione
di handicap sono 13, e che ciascuno di essi raggruppa più istituti, vuol dire
che in media c’è meno di un docente di ruolo per ogni singola sede scolastica
frequentata da alunni con necessità speciali. Non solo: in alcuni casi, come ad
esempio l’Istituto “Avogadro” di Abbadia San Salvatore che ha una collocazione
geografica svantaggiata, capita spesso che tutti i docenti di sostegno non siano
di ruolo e cambino da un anno all’altro, con buona pace di qualsiasi possibilità
di continuità didattica proprio per gli alunni con necessità speciali, i quali sarebbero invece i primi ad avere bisogno di stabilità. Non è solo una mia impressione, peraltro verificata negli anni in cui ho avuto incarichi in diverse scuole della
provincia: anche i dati ufficiali più recenti (aggiornati ad ottobre 2009), parlano
chiaro: Siena è una delle ultime province in Italia (e l’ultima in Toscana assieme
alla provincia di Pistoia) per rapporto docenti di sostegno di ruolo/alunni disabili iscritti alle scuole superiori. In effetti in provincia di Siena, in media, c’è solo
1 docente di ruolo ogni 8 alunni con il sostegno iscritti alle scuole superiori,
quando a Firenze ce n’è 1 ogni 4 alunni, a Grosseto 1 ogni 3, e in Basilicata, per
fare un esempio fuori regione, 1 ogni 2 alunni. Peraltro, la legge finanziaria del
2007 ha stabilito che entro un triennio i docenti di sostegno di ruolo dovessero
raggiungere una quota pari al 70% di quelli in servizio. Ad oggi però, in provincia di Siena, la percentuale prescritta è stata sostanzialmente raggiunta (o quasi)
in tutti i settori ad eccezione di quello delle scuole superiori, dove è rimasta
ferma ad un terzo circa di quello che dovrebbe essere: qui soltanto il 25% dei
docenti attualmente in servizio è di ruolo (Elaborazione su dati tratti da: Sedi,
alunni, classi, dotazioni organiche del personale della scuola statale, Situazione
di Organico di Diritto, Anno scolastico 2009/2010, MIUR - Direzione Generale
per gli Studi, la Statistica e i Sistemi Informativi).
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i principi e le modalità dell’integrazione nelle scuole italiane: la
legge 104 del 1992.
Chi scrive ha 11 anni di esperienza diretta come docente di
sostegno nelle scuole superiori: il primo anno presso l’Istituto Tecnico Agrario di Treviglio, in provincia di Bergamo, 5 anni presso l’Istituto Tecnico “Avogadro”, come responsabile delle politiche
d’integrazione della scuola, e il resto del tempo diviso equamente
fra due licei della provincia senese (Montepulciano e Montalcino),
tre istituti tecnici del capoluogo senese (industriale, commerciale e
agrario), e, nell’anno scolastico che corre al momento di andare in
stampa, l’Istituto Professionale “Caselli” di Siena.
Abituato a cambiare contesto, tipologia di scuola, territorio, tradizioni e risorse locali, ho sperimentato oltre un decennio di integrazione scolastica nella scuola dell’autonomia, arrivando, anche
e soprattutto attraverso le difficoltà incontrate, a concentrare gli
sforzi nella ricerca dei progetti che risultano più efficaci per l’autonomia effettiva degli studenti che incontro.
Ho sviluppato quindi la convinzione che le due autonomie siano strettamente legate: l’autonomia degli istituti scolastici, e l’autonomia degli alunni con necessità speciali. Il concetto che questa
ricerca vuole evidenziare è che la prima autonomia può essere
fondamentale per la seconda: i progetti, infatti, possono fare la
differenza.
Non nascondo le paure, le angosce e gli sconforti che hanno
attraversato la mia vita professionale: un docente di sostegno è
continuamente esposto ai fallimenti della scuola e della società
nell’integrare le ragazze e i ragazzi considerati ancora – nonostante
i progressi della cultura negli ultimi 30 anni – subnormali, pericolosi o, al contrario, quando “non danno noia”, invisibili.
Ma non mi scordo mai del fatto che, all’interno di quasi tutte le
scuole in cui ho lavorato, ho sperimentato l’autonomia scolastica
(intesa come uso intelligente delle risorse della scuola) come fonte
di innovazione, progresso ed emancipazione degli alunni che più
ne hanno bisogno.
Tenendo ben presente il paradosso per cui il miglior docente
di sostegno è colui che rende i suoi allievi il più possibile indipendenti da sé stesso.
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Ordine o caos?
2. LA RICERCA
Lo scopo principale della ricerca, promossa dal Dirigente
dell’Ufficio Scolastico Provinciale di Siena (USP), Luigi Sebastiani,
e dal responsabile dell’Ufficio Interventi Educativi, Massimo Pomi,
è quello di monitorare i progetti esistenti e di evidenziare le buone
pratiche delle scuole superiori nell’integrazione scolastica. Inoltre,
lo stesso Ufficio Scolastico Provinciale ha deciso di co-finanziare i
progetti delle scuole con l’attribuzione annuale dei fondi per l’integrazione scolastica non più “a pioggia”, ma in base a criteri di
priorità. Entrambe le iniziative puntano alla finalità di promuovere,
e quindi diffondere, i progetti e le pratiche più efficaci nell’integrazione degli studenti con necessità speciali.
La ricerca ha avuto inizio nel 2008, si è svolta nel 2009, e si
è conclusa con l’edizione, nel 2010, di questo volume. I materiali empirici raccolti consistono nelle schede sintetiche compilate
e trasmesse dalle singole scuole superiori e nei contributi scritti
prodotti dai referenti per l’integrazione scolastica. Tutti i materiali
sono stati trasmessi al ricercatore attraverso la casella elettronica
[email protected], sono poi stati classificati e infine inseriti nel cd-rom allegato, all’interno della sezione finale della presentazione in Powerpoint che contiene i collegamenti, appunto, ai
documenti originali delle singole scuole3.
La ricerca prende spunto dalla metodologia dell’analisi empirica comparata 4: la realtà empirica – i 13 istituti d’istruzione supe3
Tutti i documenti, compresa la presentazione in Powerpoint proiettata nella conferenza del 12 giugno 2009, sono originali nel senso che sono stati riportati così come sono stati scritti e inviati dai referenti delle singole scuole e dal
ricercatore, se si eccettuano i dati sensibili, che sono stati eliminati.
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L’idea e la struttura della ricerca derivano dalle mie precedenti esperienze
di analisi empirica comparata. La ricerca sul terzo settore (1997, Università di Pavia) ha comparato gli studi empirici esistenti sulle organizzazioni nonprofit negli
Stati Uniti, in Francia, Italia, Germania e Giappone. La ricerca sulle politiche
sociali nell’Unione Europea (1999, Università Nazionale di Dublino) ha riguardato i dodici paesi che la componevano nel 1998: Austria, Belgio, Danimarca,
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riore della provincia che hanno o dovrebbero avere politiche di
integrazione – viene passata al vaglio di alcune tecniche di indagine documentale, telefonica e di osservazione diretta. Lo scopo
è quello di ottenere dati attendibili, perché verificabili, relativi ai
progetti che vengono effettivamente svolti nell’ambito delle politiche di integrazione scolastica, ai metodi e mezzi che vengono
impiegati, e ai risultati che vengono ottenuti.
I dati relativi alle prassi delle singole scuole vengono poi classificati nelle tre aree che il ricercatore e il responsabile dell’Ufficio
Interventi Educativi del Provveditorato ritengono più importanti
sotto il profilo dell’efficacia, perché producono i risultati che più
servono nel tempo agli alunni con necessità speciali:
1) le politiche di stage e alternanza scuola-lavoro, che favoriscono l’inserimento lavorativo;
2) le politiche di coinvolgimento dei docenti delle materie nella
didattica di sostegno, che migliorano le possibilità concrete
di raggiungere il diploma di qualifica o di maturità;
3) le azioni di rete, che, attivando sinergie fra risorse interne
ed esterne alla scuola, favoriscono l’integrazione scolastica e
nel territorio.
A questo punto, per ognuna delle tre aree, si comparano tutte le
scuole, cioè si confrontano le prassi specifiche di ciascuna scuola
con quelle delle altre scuole. Quello che risulta, alla fine, è l’analisi empirica comparata delle prassi, e la valutazione di quelle, fra
esse, più innovative ed efficaci.
Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Olanda, Portogallo, Spagna e Svezia.
In un certo senso, aver comparato le politiche sociali dei paesi europei, che
sono enti sovrani soggetti ai vincoli dell’Unione Europea e dei suoi organi, mi
ha aiutato ad applicare il metodo dell’analisi empirica comparata alle politiche
d’integrazione degli istituti superiori, che sono a tutti gli effetti enti autonomi
nelle decisioni, ma soggetti ai vincoli del Ministero della Pubblica Istruzione e
dei suoi organi periferici (Ufficio Scolastico Regionale e Ufficio Scolastico Provinciale) per quanto riguarda le risorse (l’organico dei docenti e la dotazione del
fondo d’istituto).
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Le fasi principali in cui si è svolta la ricerca sono state:
– la costruzione del modello di monitoraggio
– la creazione di una rete di scambio di informazioni,
– la raccolta dei dati sulle politiche e le prassi di integrazione
– l’analisi comparata dei dati sulle prassi di integrazione
– la classificazione delle prassi nelle tre aree prioritarie
– la valutazione comparata delle prassi al fine di evidenziare quelle più interessanti sotto i profili dell’innovazione e
dell’efficacia.
La cronologia delle azioni e delle attività condotte dal ricercatore nell’anno scolastico 2008/2009, è riassunta nella Tabella 1.
Tabella 1. Fasi della ricerca e attività svolte
AZIONI
PERIODO
ATTIVITÀ
Da dicembre 2008
a gennaio 2009
A1 progettazione, scrittura del progetto e del modello di monitoraggio
A2 incontri con il Dirigente dell’U.S.P.
di Siena e con il responsabile dell’Ufficio Interventi Educativi nei giorni
18/12/08, 14/01/09 e 28/01/09.
Febbraio 2009
B1 incontro con i referenti per l’integrazione delle scuole superiori della
provincia del 25/02
B2 verifica e rielaborazione del modello di monitoraggio
C – costruzione della
rete di scambio
Da marzo
delle informazioa maggio 2009
ni fra referenti e
responsabile
C1 creazione della rete di posta
elettronica (reteintegrazione@gmail.
com)
C2 attivazione dello sportello telefonico del mercoledì mattina (svolto
presso il centro I.D.E.A. dell’U.S.P.
nei giorni 04/03, 11/03, 18/03, 25/03,
15/04, 29/04, 06/05, 20/05, 27/05)
A – progettazione
B – verifica iniziale
con referenti per
l’integrazione
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Analisi dei materiali empirici (intermedia). Prima valutazione delle buone prassi. Classificazione delle prassi
in tre settori di intervento.
D – prima analisi
comparata
Aprile 2009
E – incontri nelle
scuole
Incontro con referenti per l’integrazione e docenti di sostegno dell’Istituto “Sarrocchi” (15/04 – scambio
informazioni), dell’Istituto d’Arte
(06/05 – visita, raccolta documenti
Dal 15 aprile al 15
e scambio di materiali), dell’Istituto
maggio 2009
“Redi-Caselli” (09/05 – scambio informazioni e riferimenti per la diffusione delle buone prassi) e del
Liceo “Bellarmino” (09/05 – raccolta
documenti).
F – analisi comparata
e elaborazione
documenti
comparativi
Analisi dei materiali empirici (finale).
Elaborazione delle schede sintetiche
relative alle buone prassi delle scuole. Creazione di una presentazione
Da maggio 2009 fino
in Powerpoint che contenga mappe
al 12/06/09
provinciali per settori di intervento,
schede sintetiche delle buone prassi,
e materiali empirici raggruppati per
scuole.
G – preparazione
incontro finale
Incontri con il Dirigente dell’USP e
il referente dell’UIE (20/05 e 10/06),
Maggio-giugno 2009 preparazione dei materiali per la
conferenza finale presso il centro
I.D.E.A. (03/06/09 e 10/06/09)
H – presentazione
dei risultati ai
referenti per
l’integrazione
scolastica
Conferenza finale presso la sala conferenze dell’USP. Presentazione dei
risultati della ricerca, interventi del
Venerdì 12 giugno
dirigente dell’USP Luigi Sebastiani
2009
e del responsabile dell’Ufficio Interventi Educativi Massimo Pomi, seminario di discussione.
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Per stimolare le scuole a fornire dati precisi e verificabili, il
ricercatore ha utilizzato tre tecniche di indagine: uno sportello telematico, un help desk telefonico e le visite in loco in alcune scuole.
Lo sportello telematico consiste in una casella di posta elettronica dedicata allo scambio di informazioni e materiali fra il ricercatore e i tredici referenti delle scuole superiori5.
L’help desk consiste in un appuntamento settimanale (il mercoledì mattina) in cui il ricercatore è a disposizione, al telefono e in
presenza (presso il Centro Documentazione e Risorse dell’USP di
Siena), per chiarire dubbi e fornire consulenza sul monitoraggio
delle buone prassi delle singole scuole. Inoltre il mezzo del telefono è importante per stimolare i referenti delle singole scuole a
produrre materiali, scambiare e precisare informazioni, fissare le
date per la consegna delle schede compilate, concordare eventuali
incontri e riunioni.
Le visite alle scuole servono per due scopi: verificare la corrispondenza dei materiali documentali con le prassi di integrazione
effettivamente svolte dai docenti, e raccogliere ulteriori informazioni e materiali documentali riguardo le prassi che appaiono particolarmente interessanti.
I punti di forza della ricerca sono la sua verificabilità attraverso
i documenti originali e gli altri materiali empirici, e la sua replicabilità sia nel tempo, sia in altri settori o aree dell’istruzione, come,
per esempio, il settore delle scuole medie, oppure l’area dell’integrazione degli alunni di origine straniera.
Il primo fattore di criticità della ricerca è costituito dalle lacune
nei flussi di comunicazione e, di conseguenza, nella documentazione empirica raccolta. In particolare, può essere successo che
alcune prassi non siano state monitorate perché gli attori scolastici
interessati per vari motivi non hanno saputo del – o voluto rispondere al – sistema di monitoraggio. Infine alcune scuole possono
5
Nella sezione del cd-rom dedicata ai documenti originali sono riportate
anche alcune e-mail (depurate dei dati personali come l’indirizzo e-mail) esemplificative dello scambio di informazioni avvenuto fra il ricercatore e i referenti
per l’integrazione scolastica delle singole scuole.
21
aver scelto di non compilare le schede riassuntive, o essere state
costrette a non farlo per ragioni di sovraccarico di impegni6.
Per limitare al massimo questo aspetto critico, il ricercatore ha
ideato e utilizzato gli strumenti dello sportello telefonico e delle
visite in loco: per raccogliere o controllare in prima persona i dati,
per verificare che i coordinatori del sostegno di tutte le scuole
fossero informati delle varie fasi del progetto, e per lasciare più
tempo per l’elaborazione e la consegna dei materiali ai coordinatori che avessero eventualmente subito ritardi nelle comunicazioni
o un sovraccarico di impegni.
Infine, dopo aver ricevuto i feed-backs e le eventuali precisazioni da parte dei coordinatori del sostegno, anche dopo la conferenza finale del 12 giugno 2009, il ricercatore ha inserito i nuovi
documenti pervenuti nei materiali empirici, per rendere più completa possibile la verificabilità delle prassi svolte7.
6
Un esempio può valere per tutti: l’Istituto professionale “Cennini” di Colle
Val d’Elsa ha effettivamente svolto alcuni progetti, probabilmente molto interessanti, ma non ha potuto inserirli nel monitoraggio e trasmetterli al ricercatore,
per mancanza di tempo dovuta ad una mole eccessiva di adempimenti connessi
alla gestione quotidiana di un numero molto elevato di alunni con certificazione di handicap (il più alto, in termini assoluti, di tutti gli istituti superiori della
provincia). Tuttavia la coordinatrice del sostegno ha trasmesso una scheda riassuntiva delle prassi di integrazione sviluppate da diversi anni nell’Istituto, fra cui
una pratica particolarmente significativa (e promettente): il “diploma di qualifica
a tappe”, sintetizzata nella apposita scheda della presentazione in Powerpoint
e descritta più approfonditamente nella documentazione originale, entrambe
incluse nel cd-rom allegato.
7
Un altro esempio può far capire meglio la rilevanza dei controlli di attendibilità nella ricerca empirica: l’Istituto d’Istruzione Superiore “Sarrocchi-Roncalli”
di Poggibonsi, una cui docente di sostegno aveva inviato materiale riferito a
progetti ancora da svolgere e comunque non approvati dal collegio docenti, era
stato sì inserito nella relativa mappa provinciale, ma con una grafica che sottolineava la provvisorietà delle prassi ancora da avviare. In seguito, il ricercatore
è stato contattato, tramite telefono ed e-mail, dalla coordinatrice delle attività
di sostegno, che ha chiarito il problema: chi aveva inviato il materiale lo aveva
fatto di propria iniziativa personale. Dato che la ricerca è stata strutturata con
controlli incrociati per verificare l’attendibilità delle fonti e dei materiali, il problema è stato poi risolto, ma fuori tempo massimo rispetto alla presentazione
alle scuole dei risultati, che è avvenuta venerdì 12 giugno 2009. Per questo, nella
22
Un secondo fattore di criticità ha invece a che vedere con il
doppio ruolo svolto dal ricercatore, che è anche stato, durante l’anno scolastico in cui si è svolto il monitoraggio, il coordinatore delle
attività di sostegno dell’Istituto d’Istruzione Superiore “Avogadro”
di Abbadia San Salvatore. Per evitare i conflitti di interesse fra la
figura del ricercatore (che valuta) e quella del coordinatore (che è,
indirettamente, valutato), l’analisi delle prassi di integrazione scolastica dell’Istituto “Avogadro” è stata svolta in modo esaustivo, ma
senza trarre e riportare risultati comparati.
In questo senso, l’Istituto è stato sì inserito nelle tre mappe
provinciali delle buone prassi, ma senza termini di confronto, in
modo da evitare il rischio di distorsioni valutative8.
Tuttavia, la prassi dell’Istituto “Avogadro” da me ritenuta più
interessante per le innovazioni di processo e i risultati ottenuti – la
rete integrata dei docenti curricolari – viene approfondita nel capitolo sulle proposte concrete per il futuro, in cui il ricercatore non
descrive né valuta, ma cerca nuove soluzioni organizzative che
migliorino l’integrazione scolastica.
fase di revisione finale prima della pubblicazione, ai materiali empirici inclusi
nel cd-rom è stata aggiunta la scheda relativa alle prassi di integrazione scolastica effettivamente svolte dall’Istituto.
8
Per questo le dimensioni del nome “I.I.S. Avogadro” nelle mappe provinciali sono volutamente ridotte, e comunque non hanno significato comparativo.
23
Alba o tramonto?
3. I RISULTATI
Quali sono i processi e i risultati che rendono “buona” una
prassi di integrazione scolastica?
Le politiche di integrazione scolastica sono molto difficili da
analizzare empiricamente: innanzitutto, come in genere le politiche per i disabili, esse sono esposte al rischio della retorica.
In questo campo, come ben sa chi ha molti anni di esperienza,
quando i docenti dicono di fare delle azioni per il “bene” degli
alunni disabili non significa per forza che facciano davvero il loro
interesse. Anzi, in alcuni casi, le azioni spinte dal desiderio di proteggere le debolezze o di compensare gli svantaggi, pur essendo
fatte in buona fede, sono controproducenti: nel tempo, gli alunni
con necessità speciali si abituano e diventano dipendenti dall’aiuto
del sostegno, per cui non sviluppano quelle autonomie che invece
sono indispensabili per garantir loro un’integrazione efficace.
Inoltre, di fronte al crescere dei problemi, e alla consapevolezza
che è difficile affrontarli, un atteggiamento diffuso nei docenti di
sostegno è quello di dedicare molte energie e molto tempo – spesso
anche per dare un senso al proprio agire – alla compilazione dei
documenti formali che riportano buone intenzioni e intuizioni ma
che, di fatto, quasi nessuno legge e quindi applica, nonostante gli
altri docenti della classe e le altre istituzioni, come la ASL o gli enti
locali, siano tenuti, per legge, a progettarli, attuarli e verificarli.
L’esempio più eclatante di questa prassi – non certo “buona” – è
la redazione del Piano Educativo Individualizzato: nella maggioranza dei casi, a pensare, scrivere, verificare e archiviare il Piano,
sono solo e soltanto i docenti di sostegno, quando la normativa
vigente, come ricordano efficacemente le “Linee guida per l’integrazione scolastica” del Ministero dell’Istruzione, prevede invece
che essi lo facciano non da soli, ma insieme alla famiglia, alla Asl,
al personale educativo e agli Enti locali9.
9
Il PEI è infatti il documento che viene predisposto per coordinare tutti gli
interventi a favore dell’alunno con necessità speciale. Spesso i docenti di soste-
25
Il risultato, purtroppo, è un’ importante occasione sprecata, sia
perché, come si è detto, il PEI viene letto solo dai pochi che lo
scrivono (uno, due, massimo tre docenti di sostegno), sia perché
esso tende spesso a non affrontare proprio i problemi cruciali per
garantire la conquista del diploma: l’individuazione dei modi per
verificare e valutare il raggiungimento degli obiettivi minimi, materia per materia10.
Non solo: questo delegare ai soli docenti di sostegno la programmazione individualizzata, salvo accorgersi dei relativi problemi di verifica e valutazione solo quando si arriva al nodo degli
scrutini o dell’esame di stato, sottintende una tendenza al disimpegno nella categoria degli altri docenti, che insegnano le materie
specifiche, verso i problemi reali degli alunni con necessità speciali: l’isolamento, l’emarginazione, la mancanza di autonomie e, alla
fine del percorso scolastico, il mancato diploma, il mancato lavoro.
Una vita, insomma, senza un vero futuro adulto.
Allora, per migliorare davvero la qualità di vita degli alunni con
necessità speciali occorre guardare alle prassi reali che si svolgono
gno confondono il PEI, documento interistituzionale, con il Piano degli studi
personalizzato, che deriva dal PEI e che comunque dovrebbe essere scritto e
pensato da tutti i docenti della classe, e non dai soli docenti di sostegno. Non
solo: oltre al PEI, che è lo strumento principe di raccordo fra scuola, famiglia,
ASL ed Enti Locali, i tre soggetti istituzionali dovrebbero stilare un ulteriore documento a testa. Che non succeda quasi mai, perché tutto è lasciato alla buona
volontà di ogni attore che dovrebbe intervenire (dato che per essi non è prevista
alcuna risorsa, compenso o incentivo) non significa certo che sia una prassi corretta. Le stesse Linee Guida per l’Integrazione Scolastica del Ministero dell’Istruzione, del resto, su quest’ultimo punto, sono inequivocabili (2009, p. 7):
“Sulla base del PEI, i professionisti delle singole agenzie, ASL, Enti Locali e le
Istituzioni scolastiche formulano, ciascuna per proprio conto, i rispettivi progetti
personalizzati:
il progetto riabilitativo, a cura dell’ASL (L. n. 833/78 art 26);
il progetto di socializzazione, a cura degli Enti Locali (L. n. 328/00 art 14);
il Piano degli studi personalizzato, a cura della scuola (D.M.. 141/99, come
modificato dall’art. 5, comma 2, del D.P.R. n. 81/09).”
10
Come si vedrà, alcuni Istituti hanno invece aggredito in modo efficace
questo problema, coinvolgendo direttamente i docenti curricolari, vincolati a
esplicitare per iscritto, nella propria programmazione, proprio gli obiettivi minimi delle singole materie, validi ai fini del conseguimento del diploma.
26
dentro la scuola, al di là della forma, o, in alcuni casi, nonostante il
contenuto apparentemente aproblematico dei documenti scritti.
Questa è una nota che può apparire polemica, ma che non
lo è affatto: essa serve per spiegare perché il ricercatore ha dovuto istituire una serie di controlli incrociati per depurare della
eventuale componente retorica i documenti inviati dalle scuole, a
partire dalla richiesta iniziale rivolta ai coordinatori delle attività
di sostegno di includere nelle schede riassuntive sia indicatori di
efficienza, relativi all’uso effettivo dei mezzi, sia indicatori di efficacia, che indicassero risultati misurabili, fino alle tecniche di
controllo empirico utilizzate: l’indagine telefonica e l’osservazione
diretta nelle scuole.
In quest’ottica, alla prova dei fatti, i risultati più importanti, per
gli alunni con necessità speciali, sono quelli, come si è detto, che
contano nel tempo: l’integrazione nelle attività della scuola, l’acquisizione di conoscenze, competenze ed autonomie necessarie
per essere considerati adulti al pari dei coetanei, e l’inserimento
nel mondo del lavoro.
Per questo, le buone prassi di integrazione scolastica sono state
classificate in tre aree, corrispondenti ai tre obiettivi dell’integrazione, del diploma e del lavoro.
La cosa curiosa è che, alla luce di questa classificazione, le tre
aree delle buone prassi di integrazione scolastica, come si vedrà,
coincidono grosso modo con i tre settori dell’istruzione superiore:
rispettivamente i licei, gli istituti tecnici e gli istituti professionali.
Curiosa, ma in fondo logica. Proviamo a porci, infatti, questa semplice domanda: per gli alunni con necessità speciali, che senso ha
frequentare i licei senza riuscire ad integrarsi nelle attività culturali
della scuola, gli istituti tecnici senza ottenere il diploma e gli istituti professionali senza ottenere un lavoro?
Un’ultima annotazione, prima di presentare i risultati: per ragioni di spazio e di chiarezza si è scelto di selezionare ed approfondire,
per ogni area, la migliore prassi individuata nell’anno 2008/2009
e, di conseguenza, limitare l’approfondimento ad un solo Istituto
d’Istruzione Secondaria per area.
Questa scelta, di per sé riduttiva, in realtà non comporta la riduzione della completezza o della complessità delle prassi di integra27
zione scolastica messe in atto dalle scuole superiori e monitorate
a livello provinciale: infatti tutte le schede sintetiche e tutti i materiali documentali sono contenuti nel cd-rom allegato al presente
volume. Basta dare uno sguardo d’insieme alla presentazione in
Powerpoint in esso contenuta: molte altre scuole, oltre alle tre qui
approfondite, sorprenderanno il lettore per la qualità e la quantità
delle azioni svolte in una o più aree.
Chi vorrà poi approfondire un’area, una scuola piuttosto che
una singola prassi potrà facilmente risalire ai materiali specifici,
attraverso le mappe provinciali della presentazione in Powerpoint,
le schede relative alle singole scuole e i links ai documenti originali. In fondo, è proprio questo lo spirito che ha spinto il ricercatore
a progettare, realizzare e includere il cd-rom nel presente volume:
dare più informazioni possibili per contribuire a diffondere le buone prassi oggetto della ricerca.
A rea 1: Stage e alternanza scuola lavoro
Nella prima area, che è anche la più importante nella prospettiva di lungo periodo, sono riportati gli sforzi compiuti dalle scuole
superiori nell’organizzare tre tipi di percorsi di avvicinamento al
lavoro:
– gli stage in azienda comuni a tutti gli studenti (solitamente
nelle classi quarte e/o quinte), e quindi per gli studenti con il
sostegno e gli obiettivi della classe, per una o due settimane
all’anno.
– gli stage estivi organizzati appositamente per gli studenti con
il sostegno, con obiettivi della classe o differenziati.
– l’alternanza scuola-lavoro specifica per gli studenti con il sostegno e un piano educativo differenziato, uno o due giorni
a settimana per tutto l’anno scolastico.
Tutti gli istituti tecnici e professionali, e alcuni tipi di liceo (in
particolare il liceo psico-pedagogico) organizzano gli stage del primo tipo per gli studenti con il sostegno. Buona parte degli istituti
tecnici e professionali organizza anche il secondo tipo di percor28
so, lo stage estivo. Solo alcuni istituti organizzano il terzo tipo di
percorso, che comporta notevoli sforzi organizzativi e la mobilitazione di risorse aggiuntive per selezionare le aziende adatte, organizzare il tutoraggio specifico rispetto ai problemi degli alunni e
prevedere il coordinamento delle attività scolastiche con quelle in
azienda durante tutto l’anno scolastico.
In altre province della Toscana, oltre alle azioni promosse dalle
scuole superiori, la Provincia contribuisce al finanziamento dei
percorsi di alternanza scuola-lavoro o dei successivi interventi di
inserimento lavorativo.
Come esempio del primo tipo, la Provincia di Massa promuove
l’alternanza scuola-lavoro negli istituti professionali attraverso al
costruzione di una banca-dati delle aziende disposte ad ospitare
gli alunni con il sostegno, ed il finanziamento una tantum sia
dell’azienda (contributo di 800 Euro destinato al tutor aziendale)
che dell’alunno impegnato nel percorso (contributo diretto di 600
Euro).
Come esempio del secondo tipo, la Provincia di Arezzo finanzia una rete di collocamento mirato costituita da cooperative che
fungono sia da intermediari fra le famiglie degli alunni con il
sostegno in uscita dalle scuole superiori e le aziende disposte ad
organizzare percorsi di inserimento lavorativo, che da tutor in presenza per lo svolgimento dei percorsi stessi.
A Siena non esiste ancora una forma di collaborazione diretta e
sistematica fra le scuole superiori e la Provincia, per cui, durante il
percorso scolastico, risultano fondamentali le prassi di stage ed alternanza scuola-lavoro promosse dalle singole scuole. Per il futuro,
la Provincia di Siena verrà stimolata ad attivare forme specifiche di
incentivazione dell’alternanza scuola-lavoro; per ora è importante
capire come alcune scuole siano riuscite a potenziare le esperienze aziendali dei propri alunni con il sostegno, contribuendo
a far sì che buona parte di essi ottenga un lavoro retribuito negli
anni immediatamente successivi al diploma (per gli alunni con gli
obiettivi della classe) o all’attestazione dei crediti formativi (per gli
alunni con obiettivi differenziati).
29
La scuola che eccelle nella prima area è l’Istituto Professionale
“Caselli”
L’Istituto, come altri professionali della Provincia, è fortemente
orientato al mondo del lavoro, per cui ha una buona tradizione
di stage per tutti i propri studenti. Inoltre, un altro punto di forza
specifico è che gli alunni con il sostegno sono già particolarmente
integrati nelle rispettive classi: sia perché la politica di integrazione della coordinatrice Palma Rizzi favorisce le prassi didattiche
di sostegno in classe e sul gruppo-classe, sia perché molti altri
alunni hanno difficoltà specifiche o generiche. In questo contesto,
la maggior parte degli alunni con il sostegno raggiunge la fascia
intermedia (o, in alcuni casi, alta) nella valutazione della maggior
parte delle materie. A questi due punti di forza se ne aggiunge un
terzo, fondamentale: un protocollo di azioni specifiche mirate alla
costruzione di percorsi di stage “rinforzato” o di alternanza scuolalavoro.
Quella che segue è la descrizione di queste buone prassi redatta dalla stessa coordinatrice delle attività di sostegno, la prof.
ssa Palma Rizzi, in occasione del monitoraggio nel mese di aprile
2009.
«Il nostro Istituto da anni si è attivato per preparare gli studenti ad affrontare il mondo del lavoro studiando dei percorsi che
tengono presente non solo le attività scolastiche tradizionali ma
soprattutto le caratteristiche individuali di ciascuno alunno diversamente abile. Tali esperienze nel corso degli anni hanno coinvolto vari soggetti disabili ed hanno richiesto molto impegno, da
parte dei docenti di sostegno, per l’individuazione delle modalità
corrette di svolgimento di questi percorsi e per la costruzione di
itinerari didattici finalizzati all’ orientamento ed all’inserimento
nel mondo del lavoro. Per ogni allievo disabile si cerca ogni anno
di individuare specifici settori lavorativi che possano ridurre e/o
rimuovere le difficoltà di apprendimento e migliorare l’autonomia,
cercando di fornire delle prospettive concrete di collocamento nel
mondo lavorativo che siano collegate alle esperienze vissute per
mezzo del progetto.
30
Per i nostri progetti abbiamo previsto due tipi di percorsi
diversi:
Percorso 1.
Un percorso triennale, a partire dalla classe terza, di alternanza scuola-lavoro che ha per destinatari gli allievi diversamente
abili che conseguiranno alla fine del percorso scolastico un attestato di frequenza. Normalmente i progetti di alternanza scuola lavoro, che iniziano nella classe terza, vedono come destinatari quasi
esclusivamente quegli allievi i cui P.E.P. si avvalgono di programmi
fortemente individualizzati e che hanno come finalità l’acquisizione dell’attestato di frequenza. Tali progetti partono da due variabili: il P.E.P. e la tipologia di disabilità dei soggetti coinvolti. Nell’ambiente lavorativo ogni allievo fa riferimento ad un tutor, dal quale
impara una serie di mansioni che vengono concordate in precedenza in una convenzione stipulata tra la scuola e l’ente ospitante.
L’insegnante di sostegno interagisce con il tutor affinché l’allievo
apprenda la pratica lavorativa nel modo più efficace possibile. È
particolarmente importante assicurare omogeneità, continuità e
coesione degli interventi di sostegno, sia da parte della struttura
preposta che da parte dei docenti nell’ambito dei loro interventi
nel vario momento delle attività formative, didattiche, educative e
lavorative.
Questi percorsi intervengono anche sulla dispersione scolastica
in situazioni di particolare disagio.
Percorso 2.
Il percorso ha inizio alla fine della classe quarta e si conclude
nelle prime settimane dell’anno scolastico successivo. Tale esperienza coinvolge quegli alunni diversamente abili che perseguono gli
obiettivi minimi previsti dai programmi ministeriali e che quindi
conseguiranno, alla fine del quinto anno, la maturità. Anche per
questi alunni, da parte dell’istituzione scolastica, c’è una particolare attenzione nell’individuare le strutture pronte ad ospitare
l’alunno disabile in modo tale che le potenzialità di ciascuno possano essere valorizzate al meglio.
Allegata alla presente:
31
– schema riassuntivo degli alunni iscritti presso il nostro Istituto che, a partire dall’anno scolastico 2000/2001, hanno partecipato a tali esperienze di alternanza scuola- lavoro;
– riepilogo sulle esperienze lavorative, di alcuni di loro, maturate dopo la conclusione del ciclo scolastico».
Analizzando i dati tratti proprio da questi due ultimi documenti
– lo schema cronologico degli stage e delle alternanze scuola-lavoro, da un lato, e il riepilogo per alunni delle esperienze lavorative,
dall’altro – emergono, fra gli altri, due particolari risultati che, proprio perché tratti da un campione di alunni con necessità speciali,
percorso differenziato e alternanza scuola-lavoro, sono piuttosto
forti e chiari:
1. la maggior parte degli alunni con necessità speciali e un
percorso differenziato (che non hanno quindi conseguito un
diploma avente valore legale) si è inserita nel mondo del
lavoro subito dopo aver terminato gli studi;
2. il 75% degli alunni con percorso differenziato monitorati
dopo la fine del percorso di alternanza scuola-lavoro ha ottenuto un contratto di lavoro regolare, a tempo determinato
o di apprendistato, alle dipendenze di imprese private.
Questi risultati sono estremamente positivi se confrontati con
la situazione attuale degli alunni con sostegno differenziato nelle
scuole superiori della provincia che, se si eccettuano gli inserimenti socio-terapeutici in strutture pubbliche e le poche assunzioni come quota protetta11, risultano per lo più disoccupati o ad11
La legge 68 del 1999 prevede, in continuità con la precedente normativa
sul collocamento obbligatorio, che le aziende con più di 15 dipendenti debbano
assumere un lavoratore con disabilità ogni 15 dipendenti. Attualmente, però,
molte aziende preferiscono pagare una sanzione al posto di assumere tali lavoratori. Inoltre, per essere inserito nelle liste di collocamento riservate ai lavoratori
disabili è necessaria una certificazione di un grado elevato di invalidità, da cui
la maggior parte degli alunni con il sostegno è esclusa, anche per problemi di
scarsa conoscenza delle procedure e/o riluttanza ad accettare l’accertamento
dell’inabilità lavorativa dell’(ex) alunno/a da parte della famiglia.
32
dirittura inoccupati (perché hanno rinunciato definitivamente a
cercare lavoro).
Consideriamo che l’inserimento nel mondo del lavoro con contratto di lavoro subordinato regolare è già problematico di per sé
per i giovani in generale, ed è probabilmente, in media, più difficile per gli alunni che hanno conseguito il diploma ma hanno avuto
il sostegno (percorso per obiettivi minimi).
A maggior ragione, di conseguenza, per gli alunni che hanno
seguito un percorso differenziato e che per questo non possono
conseguire il diploma di studi superiori, l’inserimento con contratto regolare è un risultato di eccellenza.
Evidentemente, oltre agli altri punti di forza dell’istituto professionale che ho trattato prima, anche l’organizzazione dei percorsi di alternanza scuola-lavoro ben strutturata ed estesa a tutti gli
alunni e a tutte le classi professionalizzanti (fin dalla classe terza)
ha contribuito al successo post-scolastico degli alunni che hanno
frequentato l’Istituto “Caselli” negli ultimi dieci anni (il periodo
che è stato monitorato).
Per questo, la politica dell’alternanza scuola-lavoro praticata
dall’Istituto “Caselli” negli ultimi dieci anni può essere considerata
a pieno titolo una buona prassi da diffondere: sia negli altri istituti
professionali, che normalmente attivano già alcuni percorsi di alternanza, sia, soprattutto, negli istituti tecnici di tutta la provincia,
che normalmente non attivano, se non sporadicamente e per iniziativa di singoli docenti di sostegno, alcun percorso personalizzato di alternanza per i propri alunni con percorso differenziato.
A rea 2: Il Coinvolgimento dei docenti delle materie
Gli Istituti Tecnici rappresentano un canale di formazione molto
particolare, che punta a fornire agli studenti competenze di alta
specializzazione, spendibili anche direttamente nel mercato del
lavoro. Per questo, spesso, gli istituti tecnici non sono percepiti
alla portata degli studenti con bisogni speciali, specie se quest’ultimi hanno una forte componente cognitiva. Lo dimostra la scarsa
33
diffusione, almeno nel passato, delle iscrizioni di alunni con il sostegno negli istituti tecnici della provincia.
Nell’ultimo decennio, in realtà, seguendo una chiara tendenza
nazionale, alcuni istituti tecnici della provincia hanno avuto – o a
volte subito – una forte crescita della percentuale di iscrizioni di
alunni con necessità speciali: in particolare l’istituto tecnico commerciale “Bandini”, l’istituto d’arte “Boninsegna”, l’istituto tecnico
agrario “Ricasoli” e l’istituto tecnico industriale “Avogadro” di Abbadia San Salvatore. In alcuni casi, la crescita delle iscrizioni è
stata così forte da mettere sotto stress le pratiche di integrazione,
soprattutto per la necessità di attivare nuove risorse umane, materiali, ma anche culturali, fino ad allora assenti.
Buona parte di queste istituzioni autonome ha reagito positivamente alla sfida di integrare gli alunni con difficoltà cognitive in
un contesto particolarmente impegnativo qual è in sé l’istituto tecnico – soprattutto per la difficoltà dell’esame di stato finale. Non è
un caso che le innovazioni più interessanti introdotte dagli istituti
tecnici siano state realizzate proprio nell’area del coinvolgimento
dei docenti delle materie specifiche nella didattica di sostegno.
L’istituto tecnico che presenta l’innovazione più articolata e
diffusa nella seconda area è il “Sarrocchi” di Siena
La Dirigente Scolastica, Emanuela Pierguidi, e la coordinatrice del sostegno, Carlotta Agnelli, hanno introdotto e rafforzato
un ventaglio di soluzioni organizzative volte a coinvolgere su più
versanti, e in tutte le fasi dell’integrazione, gli insegnanti curricolari dell’Istituto. Il fatto che una Dirigente Scolastica sia il “motore
primo” dell’integrazione scolastica nella scuola da lei diretta ha
garantito non solo l’ideazione, ma anche l’effettiva attuazione di un
protocollo di azioni molto preciso.
I settori in cui interviene questo protocollo sono tre: la programmazione dei docenti curricolari, il potenziamento della didattica di sostegno, e la formazione sulla normativa e le problematiche dell’integrazione scolastica.
34
1) Per quanto riguarda la programmazione personalizzata,
l’Istituto obbliga o incentiva i docenti delle materie a partecipare
ad una serie di attività mirate:
– I Gruppi di Lavoro per l’Integrazione di Classe – GLIC – sono
coordinati da un referente per l’integrazione nominato dal
Dirigente Scolastico e coinvolgono tutti i docenti della classe. Tutti i partecipanti sono retribuiti (12 ore per il referente,
3 ore per i docenti del consiglio di classe)12.
– All’interno dell’ordine del giorno dei consigli di classe è sempre prevista la relazione e discussione della situazione degli
alunni con speciali necessità, cui vengono effettivamente dedicati, in media, almeno 10 minuti.
– All’inizio dell’anno scolastico, nei primi giorni di settembre,
il Dirigente Scolastico convoca tutti i docenti di sostegno e
tutti i docenti delle classi con alunni con speciali necessità per un incontro introduttivo finalizzato alla conoscenza
di problematiche, risorse e metodologie attivabili, percorsi
e valutazioni ipotizzabili per ogni alunno/a con necessità
speciali.
– I docenti curricolari delle classi con alunni con speciali necessità, con disturbi specifici di apprendimento, o stranieri,
sono tenuti a compilare la parte del piano di lavoro individuale relativa alla individuazione degli obiettivi minimi delle
singole materie. Ciò comporta una migliore individuazione,
da parte dei docenti di sostegno, delle strategie più adatte
per il raggiungimento degli obiettivi stessi da parte degli
alunni con speciali necessità.
12
Da gennaio 2010 la partecipazione a queste riunioni non viene più incentivata: la contrazione delle risorse per l’autonomia scolastica ha quindi iniziato
a incidere persino sul (buon) funzionamento dell’Istituto d’Istruzione Superiore
che ha più risorse autonome (avendo anche il maggior numero di alunni) nella
Provincia di Siena. Nell’ultimo capitolo sulle proposte concrete si approfondirà
anche il problema delle condizioni per la sostenibilità finanziaria delle buone
prassi.
35
2) Per quanto riguarda gli interventi di didattica di sostegno
svolti da parte dei docenti curricolari, l’Istituto, nell’anno scolastico 2008-2009, ha attivato un percorso di informatica integrata e
un percorso di potenziamento di una materia di specializzazione,
l’elettrotecnica.
– I docenti di sostegno di una classe seconda hanno progettato un percorso di alfabetizzazione informatica che è stato
svolto da un docente di laboratorio di informatica a favore
di un alunno con necessità speciali in previsione della sua
iscrizione al triennio di specializzazione informatica. Oltre
alle ricadute positive sul curricolo dell’alunno con necessità
speciali, questo intervento ha creato un percorso di orientamento e continuità per tutti gli studenti della classe seconda
che si iscriveranno alla specializzazione di informatica.
– Per quanto riguarda invece il triennio, sono state incentivate
50 ore di sostegno specifico svolto dal docente di laboratorio di elettrotecnica a favore di un alunno con necessità
speciali in orario sia pomeridiano che mattutino (le lezioni
di mattina si sono svolte come attività alternativa all’ora di
religione). Il risultato più importante è stata la costruzione
di una tesina per l’esame di quinta, che ha contribuito al
conseguimento del diploma da parte dell’alunno. Inoltre i
due docenti di elettrotecnica (di classe e di sostegno) hanno
maturato un’esperienza di collaborazione per la didattica di
sostegno che varrà anche per il futuro.
3) Infine l’Istituto ha progettato un corso di formazione biennale
rivolto a tutti i docenti degli istituti tecnici, con particolare riguardo ai docenti curricolari, che ha lo scopo di diffondere le prassi di
rete integrata fra i due tipi di docenti: di sostegno e curricolari.
In particolare, il 21 maggio 2009 si è svolto il primo incontro di
formazione sulla normativa e le problematiche relative all’Esame di
Stato per gli alunni con speciali necessità, cui hanno partecipato
numerosi docenti curricolari oltre che di sostegno.
Il secondo incontro sulla didattica speciale per la dislessia, tenutosi il 12 novembre 2009, ha visto una adesione dei docenti curricolari
ancora più significativa (nettamente superiore a quella dei docenti
36
di sostegno). Essendo spontanea (il corso si tiene di pomeriggio e
non comporta né esenzione dal servizio né rimborso dei costi di trasporto) e in continua crescita, non c’è dubbio che la partecipazione
dei docenti intervenuti (più di 50) manifesti chiaramente i loro sforzi
concreti di migliorare le prassi di integrazione scolastica.
Il corso di formazione è, già di per sé, uno dei migliori esempi
di diffusione di buone prassi monitorati dalla ricerca. È la prima
volta a Siena che i docenti di sostegno di un singolo Istituto riescono a costruire concretamente una rete interscolastica di così tanti
docenti provenienti da diverse scuole (la rete è rivolta in particolare ai docenti degli istituti tecnici del capoluogo, ma sta attirando
i docenti di molti altri istituti). Per dare continuità di azione al
progetto, I responsabili hanno anche attivato una piattaforma di
e-learning, da cui sono tratti alcuni documenti inseriti nel cd-rom
allegato che costituiscono, già di per sé, un primo ottimo risultato
in termini di diffusione di buone prassi.
Abbiamo visto nel dettaglio un’insieme di prassi scolastiche che
rappresentano un vero e proprio modello di promozione dell’integrazione scolastica, trasferibile in altre scuole: chi vuole approfondire ulteriormente come fare è invitato a contattare direttamente i
protagonisti della sua costruzione.
Ma è davvero cambiata la situazione degli alunni con necessità
speciali che frequentano l’Istituto “Sarrocchi”?
Certo, non mancano i problemi, in particolare per la difficoltà
specifica dell’istruzione tecnica rispetto alle necessità speciali di
tipo cognitivo13.
Ma già la continuità di due figure pro-attive come la dirigente
scolastica e la coordinatrice del sostegno (entrambe titolari di ruolo) costituisce una garanzia perché il processo di miglioramento
prosegua e si traduca in risultati sempre più concreti.
Inoltre, un protocollo di azioni così incisivo come quello qui
descritto costituisce sicuramente uno spartiacque fra il passato,
13
Per esempio, un’alunna con necessità speciali, iscritta alla specializzazione di chimica, si è ritirata dall’Istituto quando lei stessa, e la sua famiglia, si sono
rese conto che avrebbe potuto frequentare la scuola solo svolgendo un programma differenziato, che esclude la possibilità di conseguire il diploma.
37
in cui l’Istituto veniva escluso come opzione dalle famiglie degli
alunni con necessità speciali, perché ritenuto inaccessibile, e il
presente, in cui l’integrazione scolastica è una delle colonne portanti della nuova dirigenza, e sta lentamente ma inesorabilmente
diventando realtà nella comunità scolastica locale14.
Questa ricerca, e questo capitolo in particolare, vorrebbero far
capire, a chi è frustrato o ha perso le speranze di combattere la
battaglia dell’integrazione scolastica, che anche nei contesti più
difficili l’innovazione, la ricerca e soprattutto la rete di conoscenze fra docenti possono superare anche le barriere più resistenti:
quelle culturali.
A rea 3: L a R ete integrata delle risorse (interne ed esterne)
Proprio le barriere culturali sono, di fatto, l’ostacolo maggiore
all’iscrizione degli alunni con necessità speciali nei licei, il terzo (dopo tecnici e professionali) e ultimo settore delle scuole
superiori.
In effetti, fino ad oggi, i licei di Siena e provincia raramente
hanno avuto iscritti alunni con speciali necessità, e se qualcuno di
essi si è iscritto, si è sempre trattato di alunni con deficit sensoriali
(all’udito o alla vista), e mai di alunni con disabilità psichiche o
anche solo cognitive.
Ciò riflette chiaramente una tendenza nazionale: eppure i primi
segnali di inversione della tendenza, almeno nei licei più avanzati
nelle politiche di integrazione, iniziano ad essere visibili.
È la prima volta, ad esempio, che un liceo classico senese apre
le proprie porte ad un alunno con forti necessità cognitive. Come
si vedrà, tuttavia, questa novità assoluta è anche dovuta ad un
14
Una prova concreta di questo cambiamento? Il progetto, molto articolato e
incisivo, che, approvato nel giugno 2009, persegue proprio i tre obiettivi ritenuti
prioritari dal ricercatore per una integrazione effettiva: la crescita delle autonomie, il perseguimento degli obiettivi curricolari, e lo stage rafforzato da parte di
un alunno ipovedente iscritto quest’anno in una classe quinta della specializzazione informatica. Per chi li voglia approfondire, tutti i nuovi materiali trasmessi
dalla coordinatrice Carlotta Agnelli sono consultabili nel cd-rom allegato.
38
lavoro costante, negli anni, di coinvolgimento degli enti locali che
hanno il compito di aiutare la scuola superiore nell’attuazione delle politiche di integrazione.
Perché è così importante favorire questa recentissima ma chiara inversione di tendenza? Perché i licei rappresentano un nuovo
avamposto, in un settore, quello dell’integrazione scolastica nelle
scuole superiori, che già di per sé costituisce un’avanguardia.
Per capire meglio i termini del problema, però, partiamo dalla
retroguardia: da ciò che è già da tempo sviluppato, e funziona
molto bene. L’integrazione degli alunni con deficit sensoriali (cioè
uditivi o visivi) è il settore più antico e robusto delle politiche di
integrazione scolastica, in tutti gli ordini di scuola. A fianco delle
scuole, ci sono strutture pubbliche specificamente dedicate alle
tecniche di insegnamento speciale e alla formazione dei docenti
specializzati nel sostegno sensoriale.
Le strutture di riferimento per Siena sono, ad esempio, l’Istituto
Pendola, che ha formato i docenti di sostegno specializzati nella lingua dei non udenti, e l’Ufficio di Tiflodidattica dell’Unione
italiana Ciechi di Firenze, oltre che il Centro Regionale per l’Educazione e la Riabilitazione Visiva, per gli ipovedenti. Inoltre, le
associazioni di tutela dalle conseguenze dei deficit di udito e di
vista sono molte, ben inserite nel territorio a tutti i livelli e soprattutto molto efficaci nel reperire competenze e risorse da mettere a
disposizione delle scuole, anche e soprattutto grazie all’accesso ai
finanziamenti pubblici.
Questo spiega, almeno in parte, il perché i genitori degli alunni con deficit di vista o udito siano fra le poche – se non uniche
– famiglie alle prese con l’integrazione scolastica reale ad essere
riuscite ad iscrivere ai licei i propri figli. Ma non spiega il contrario: perché gli altri deficit, psichici e cognitivi, non siano riusciti a
varcare la soglia dei licei. O meglio, lo spiega, ma sempre e solo
in parte: è un fatto noto che non ci siano strutture pubbliche adeguate che formino i docenti di sostegno cosiddetti “polivalenti”, ed
è altrettanto noto che le associazioni che svolgono azioni di tutela
incisiva dei deficit psichici e/o cognitivi non sono molte, e spesso
39
sono radicate solo in alcune regioni15. Inoltre tutte possono fornire
consulenza, ma poche sono in grado, per evidenti limiti finanziari,
di fornire risorse umane e materiali alle scuole.
L’altra parte della spiegazione è di tipo culturale: i licei sono
percepiti da tutti i genitori come le scuole riservate agli alunni più
capaci, quindi a maggior ragione non sono percepiti dai genitori
di alunni con necessità cognitive speciali come possibilità reale
per i propri figli. Il più delle volte, questa è una considerazione
razionale e lungimirante, specie se si considerano le maggiori possibilità di lavoro che si aprono agli alunni iscritti agli istituti tecnici
e soprattutto professionali, come abbiamo visto nei paragrafi precedenti. Alle volte, però, i genitori escludono in partenza il canale
dei licei, magari anche di fronte a buone potenzialità dei propri
figli rispetto all’offerta formativa liceale.
Su questa barriera culturale si può agire solo nel tempo, e solo
se si sviluppano le reti dei docenti (come al “Sarrocchi”) e le reti
dei genitori con necessità speciali (attualmente quasi inesistenti).
Ma sull’altra barriera – quella didattica, su cui si può agire subito
– almeno due licei della provincia hanno già fatto breccia: il liceo
“Volta” di Colle Val d’Elsa e l’Istituto d’Istruzione Superiore “Poliziano” di Montepulciano, che ha introdotto buone prassi di integrazione scolastica prima nel liceo psicopedagogico, poi in quello
scientifico e infine, da settembre 2009, in quello classico.
L’Istituto che presenta l’innovazione più articolata e diffusa
nella terza area è l’Istituto d’Istruzione Superiore “Poliziano”
di Montepulciano
Anche in questo caso, come abbiamo visto nelle due aree precedenti, all’interno dei licei “poliziani” di Montepulciano è stato
fondamentale il ruolo svolto, nell’arco di un decennio, dalla coor15
Per un elenco esauriente delle associazioni e dei centri di aiuto per la disabilità, si veda l’ottima sezione “Indirizzi utili” del libro a cura di Davide Cervellin
(2009), La scuola con l’handicap (pp. 373-383).
40
dinatrice delle attività di integrazione scolastica, la professoressa
Anna Pelosi, insegnante di ruolo di pedagogia e psicologia.
La strategia adottata dalla prof.ssa Pelosi è basata su due
pilastri:
1. Il reperimento, l’attivazione e il coordinamento di risorse umane e materiali di cui la scuola non dispone, attraverso
un’azione incisiva di coinvolgimento e costruzione di reti con gli
enti pubblici e le associazioni presenti sul territorio. I procedimenti per reperire e coordinare queste risorse umane sono stati,
nel tempo, molti e diversi, ma il concetto di fondo è lo stesso:
agire come leva che moltiplica le risorse iniziali, sicuramente insufficienti rispetto alla sfida di un’integrazione scolastica efficace,
in una rete di risorse esterne che si vanno ad integrare con quelle
della scuola.
2. L’integrazione degli alunni con necessità nei progetti che
l’Istituto organizza per i propri studenti nell’ambito del Piano
dell’Offerta Formativa. Si tratta di studiare gli accorgimenti più
adatti alle necessità speciali degli alunni perché essi possano partecipare con successo ai progetti dei licei “poliziani” come l’ECDL (la patente europea del computer), il teatro, lo studio della
lingua inglese, e alle altre attività integrative come gli stage e le
gite. Sembrerebbe una cosa scontata, ma non lo è affatto: per
ogni iniziativa vanno studiati, con gran dispendio di tempo ed
energie, tutti quegli adattamenti specifici e quegli interventi di
personale docente, amministrativo che permettono concretamente agli alunni di parteciparvi attivamente, superando le proprie
specifiche difficoltà.
L’integrazione di queste due azioni, la leva sugli enti esterni e
l’adattamento del Piano dell’Offerta Formativa alle necessità speciali degli alunni, fa sì che, in concreto, gli alunni con certificazione di handicap che frequentano i licei psico-pedagogico, scientifico e classico siano protagonisti di percorsi non solo costruiti su
misura delle proprie necessità, ma all’altezza della migliore offerta
formativa disponibile per i propri coetanei.
In particolare, l’integrazione degli interventi sia sul versante
esterno che su quello interno produce una combinazione, anzi
una vera e propria rete di risorse, che esplica la sua azione benefi41
ca proprio a livello di singoli alunni: per questo, per capire meglio
quali sono i risultati effettivi di questa rete integrata, analizziamo
più in dettaglio il combinato disposto degli interventi attuati a favore di due alunni con necessità speciali iscritti al liceo scientifico
e al liceo classico.
Nel primo caso, un’alunna ipovedente iscritta in terza al liceo
scientifico, nell’anno scolastico 2008/2009 ha usufruito dei seguenti interventi specifici:
– materiali didattici per ipovedenti forniti dalla Associazione
Italiana Non Vedenti di Firenze e pagati dal comune di residenza (risorse esterne)
– partecipazione di due specialisti della stessa associazione
alle riunioni di programmazione e verifica del piano educativo individualizzato (risorse esterne)
– organizzazione del corso ECDL in base alle necessità speciali dell’alunna (risorse interne)
– adattamento della gita della classe (settimana bianca) alle
necessità speciali dell’alunna (risorse interne)
– assegnazione di un’ora aggiuntiva di sostegno per la partecipazione dell’alunna al progetto “Imparando l’inglese romanzando” (risorse interne)
– sportello di recupero pomeridiano individualizzato (risorse
interne).
Nel secondo caso, un alunno con forti necessità cognitive iscritto alla quarta ginnasio del liceo classico sta usufruendo, nell’anno
scolastico corrente, dei seguenti interventi specifici:
– predisposizione in classe di una postazione computer che
utilizza software specifici (risorse interne/esterne)
– assistente alla comunicazione per 6 ore settimanali pagato
dal comune di residenza (risorse esterne)
– assegnazione di 2 ore aggiuntive di assistenza alla comunicazione pagate dal Fondo d’Istituto (risorse interne/esterne)
– corso di aggiornamento per tutti i docenti della classe tenuto
dalla psicologa esperta di “comunicazione dolce” che segue
l’alunno e finanziato dalla Banca di Credito Cooperativo del
42
comune di residenza e dal Fondo d’Istituto (risorse interne/
esterne).
Questo tipo di interventi rende effettiva l’integrazione degli
alunni con necessità speciali nelle attività curricolari ed extracurricolari svolte dalla scuola.
Non solo: il risultato forse più importante, nell’ottica di lungo
periodo, è la possibilità concreta, offerta a questi alunni, di mantenere e consolidare la programmazione per obiettivi minimi, per
poter conquistare il diploma di maturità.
Ai fini della nostra ricerca in ambito provinciale, infine, il dato
più interessante è che, per la prima volta in assoluto, un liceo
classico, grazie alla rete delle risorse interne ed esterne, è riuscito a realizzare l’integrazione scolastica di necessità speciali
cognitive.
La lezione che si impara dalle buone prassi dei licei “Poliziani”
è importante: agire come leva e costruire le reti con gli enti esterni
è possibile anche per le altre scuole superiori. Tutto sta nel conoscere, importare e adattare al proprio contesto le buone prassi già
sperimentate nelle altre scuole. Del resto, lo stesso successo dei
licei “poliziani” nelle politiche di integrazione scolastica è dovuto
non solo alla diffusione delle buone prassi dalla scuola agli enti
locali coinvolti, ma addirittura, in un meccanismo di contagio virtuoso, dalla diffusione del servizio di assistenza integrata da un
comune all’altro16.
16
Dopo il successo (sul piano dei risultati) riscosso dall’incarico attribuito
dal comune di Sinalunga ad un docente esperto di comunicazione per 6 ore
settimanali a favore di un’alunna con deficit uditivo, la coordinatrice Anna Pelosi
ha trasmesso tutta la documentazione relativa all’intervento e ai suoi risultati
al comune di Sarteano, in cui risiede un altro alunno con necessità speciali di
comunicazione. L’assessore all’istruzione del comune di Sarteano ha studiato la
documentazione e predisposto il finanziamento e l’organizzazione di un nuovo intervento di assistenza alla comunicazione per 6 ore settimanali a favore
dell’alunno stesso. La scuola ha finanziato ulteriori 2 ore settimanali, che sommate alle ore di sostegno assegnate dall’Ufficio Scolastico Provinciale, permettono all’alunno di essere seguito in classe da personale specializzato per ben 23
ore su 26 di curricolo settimanale.
43
Dentro o fuori?
4. PROPOSTE CONCRETE PER IL FUTURO
Viviamo un momento storico davvero complicato per la scuola
superiore, oggetto da diversi anni di tentativi spesso contraddittori
di riforma e razionalizzazione, il più delle volte interrotti o rovesciati dai cambi di governo.
Contemporaneamente, ci troviamo di fronte ad una situazione
contingente davvero problematica per l’integrazione scolastica nelle scuole superiori, soggetta così com’è alle pressioni contraddittorie che provengono sia dal basso (incremento degli alunni, anche
per l’allargamento del bacino di utenza ad altre fasce di svantaggio
sociale) che dall’alto (taglio dell’organico di sostegno, diffusa violazione del limite massimo di alunni per classi con il sostegno, mancanza cronica di docenti di sostegno di ruolo).
Tuttavia, questo è il quadro di massima reale da cui non si può
prescindere per ipotizzare possibili soluzioni efficaci ed efficienti
per i problemi concreti.
Certo, in un trend di continua riduzione delle risorse destinate
all’istruzione, e in particolare all’autonomia scolastica17, non solo gli
spazi di manovra sono esigui, ma è difficile proprio la sperimentazione stessa delle buone prassi sorgenti, e quindi, a maggior ragione, la
diffusione su larga scala di quelle, fra di esse, considerate più efficaci.
Insomma, mancano proprio le premesse di base – risorse e volontà – di un disegno di riforma dell’integrazione scolastica nelle
scuole superiori, e le ottime “linee guida” del Ministero dell’Istruzione sull’argomento rischiano di diventare, ogni anno che passa,
un elenco di desiderata che rimangono però tali – perché non possono comunque realizzarsi (per consultare le linee guida basta accedere al sito www.istruzione.it che riporta nella maschera iniziale
in evidenza centrale il link denominato “integrazione scolastica”).
17
Come ben sanno i Dirigenti Scolastici delle scuole superiori di tutt’Italia,
i fondi per l’autonomia scolastica sono stati di anno in anno progressivamente
ridotti dal Ministero dell’Istruzione, fino a dimezzarsi, in termini reali, rispetto
alle dotazioni dei primi anni 2000.
45
Eppure, a mio avviso, lo sforzo finale di una ricerca-azione è
proprio quello di individuare delle vie – praticabili anche in condizioni estremamente avverse – di miglioramento delle istituzioni e
della loro organizzazione, sia interna che interistituzionale.
In questo senso, tenendo cioè ben presente il contesto di attuale contrazione delle risorse e tendenziale compressione del diritto
soggettivo all’istruzione da parte degli alunni con certificazione di
disabilità, le mie proposte si concentreranno su aspetti istituzionali
ed organizzativi che possono essere resi più efficienti e più efficaci anche a costo zero, cioè senza incrementi della spesa pubblica
dedicata all’integrazione scolastica nell’anno scolastico 2008/2009,
né tantomeno incrementi di spesa privata che compensino la riduzione attuale della spesa pubblica.
Spiego meglio quest’ultimo punto: la regione Toscana, e in particolare la Provincia di Siena, non dispone di un’alternativa pubblica alle scuole superiori: i percorsi professionali della regione
non sono quasi per nulla presenti a Siena, e comunque non specifici per l’inserimento lavorativo degli alunni con certificazione di
disabilità.
Fuori dall’istruzione pubblica (statale o regionale), il problema
si aggrava: le scuole e gli enti di formazione privati, oltre al fatto
di essere accessibili solo alle famiglie che possono permetterselo
economicamente, non sono proprio attrezzati a soddisfare le necessità speciali degli alunni con certificazione di handicap.
Se si considera allora questo quadro d’insieme, si capisce bene
perché sono da considerare miopi gli sforzi di riduzione di risorse
umane e materiali decise negli ultimi anni dal Ministero dell’Istruzione nei confronti delle scuole superiori: sono sforzi che stanno
andando ben oltre la razionalizzazione dei processi, intaccando
ormai l’efficacia dell’azione didattica (soprattutto quando aumentano gli alunni ma le aule rimangono le stesse e i mezzi sono sempre
meno) e scoraggiando spesso, paradossalmente, proprio i docenti
che più credono e si impegnano in essa18.
18
Le reazioni dei docenti all’aumento degli alunni per classe, e in particolare
di quelli con handicap e stranieri, non dipendono solo dalla capacità di insegnare, ma anche da altri fattori. Diversi docenti reagiscono alle difficoltà con un
46
Ed ecco perché, ad avviso di chi scrive, è altrettanto miope la
posizione della regione Toscana rispetto alla contrazione di risorse
statali nell’istruzione secondaria: se è comprensibile la preoccupazione dell’assessore regionale all’istruzione rispetto al rischio di
uno scarica-barile dei problemi generati dai tagli ministeriali dallo
Stato alla Regione, non è però comprensibile perché non si voglia
investire con fondi regionali sui percorsi di alternanza scuola-lavoro, che fanno bene non solo agli alunni (e quindi alla scuola),
ma anche alle imprese. Del resto, è proprio quello che hanno già
iniziato a fare altre regioni, come ad esempio la Sardegna, che non
hanno di certo più risorse pubbliche della Toscana19.
ripiegamento su svariate strategie a difesa del proprio livello di tolleranza della
fatica e del disagio (fino, nei casi estremi, alla rinuncia di fatto ad insegnare):
strategie di disimpegno che, pur essendo a volte umanamente comprensibili,
non lo sono mai deontologicamente, dato che tolgono credibilità alla scuola
ed efficacia all’azione didattica. Le conseguenze, paradossalmente, le pagano
proprio gli altri, quei docenti di ruolo o precari che si impegnano di più, su
cui ricade allora tutto o quasi il peso di una battaglia quotidiana che è ormai
molto difficile da affrontare serenamente, data la combinazione negativa fra la
continua crescita dei fronti di emergenza (oltre alle necessità speciali, immigrazione, disagio sociale, bullismo e, da quest’anno, il sovraffollamento delle aule)
e la continua diminuzione delle risorse effettive a disposizione delle scuole. Per
questo, il rischio è che i docenti che credono davvero nella scuola (e nella sua
riforma) diventino una minoranza sempre più sparuta (e scoraggiata). A quel
punto, se e quando verrà sciolto il nodo delicato e cruciale dei criteri con cui
verrà valutato e quindi premiato il loro merito, non sarà ormai troppo tardi?
Nasce allora spontaneo il dubbio che, nonostante gli annunci governativi di
nuove politiche retributive agganciate al merito, il vero scopo delle riforme sia
solo e soltanto quello di ridurre i bilanci del Ministero dell’Istruzione, ignorando del tutto sia gli obiettivi di Lisbona (che “scadono” quest’anno senza essere
anche lontanamente raggiunti) sia il grave ritardo accumulato rispetto agli altri
paesi dell’Unione Europea (a partire dalla spesa per istruzione rispetto al Pil,
pari appena alla metà degli altri paesi fondatori). Per chi volesse approfondire la
comparazione delle scuole superiori italiane con quelle degli altri paesi, segnalo, fra le ricerche empiriche più interessanti, quelle della Fondazione Agnelli e
dell’ISFOL, perché sono allo stesso tempo molto dettagliate nell’analisi e altrettanto concrete nelle proposte di riforma.
19
Sul dibattito attualmente in corso fra Regione Toscana, province toscane
e organizzazioni sindacali, si veda il dettagliato articolo di Antonio Macrì, intitolato “La scuola non è un costo, ma la leva essenziale per lo sviluppo”, conte-
47
Quelle che seguono sono quindi proposte valide per “oggi e
domani”, cioè che permettano nello specifico alle scuole superiori
senesi di fronteggiare l’attuale emergenza finanziaria, senza rinunciare a migliorare l’efficacia dei propri sforzi.
Tuttavia, sono sperimentazioni che possono dare indicazioni
valide anche per “dopodomani”: valide cioè per poter realizzare
nel medio periodo gli obiettivi previsti (per ora solo sulla carta)
dalle linee guida del Ministero in tutte le scuole superiori: a patto
che il governo nazionale, o, in sua assenza, almeno il governo
regionale, colga l’occasione della riforma dell’istruzione superiore
per inaugurare una nuova stagione di investimenti – su base meritocratica – nelle politiche scolastiche pubbliche.
Se siamo d’accordo sull’importanza della diffusione delle buone prassi sintetizzate in questo volume (e nel cd-rom allegato),
possiamo procedere con la stessa logica con cui esse sono state
individuate: per questo, la mia proposta è di concentrare gli sforzi
e le risorse aggiuntive proprio nelle tre aree dell’alternanza scuolalavoro, del coinvolgimento dei docenti curricolari e della progettazione di rete.
Dal 2010 le azioni concrete che il ricercatore propone all’Ufficio
Scolastico Provinciale, in continuità con lo spirito e i risultati di
questa ricerca, sono:
1. la costruzione e la distribuzione di un vademecum con le
istruzioni pratiche rivolte ai docenti per diffondere le buone
prassi nelle scuole superiori;
2. la costruzione e l’attivazione di un forum on-line che permetta l’accesso dei docenti ai contatti e alle informazioni necessari per risolvere i problemi e sentirsi parte di un processo
di miglioramento continuo;
3. la distribuzione dei fondi per l’integrazione scolastica in base
a criteri di priorità, tenendo anche conto delle tre aree di
buone prassi individuate dalla ricerca.
nuto nell’edizione regionale toscana del periodico Scuola S.N.A.L.S (n. 225 del
9 ottobre 2009).
48
Oltre a queste azioni dell’Ufficio Scolastico Provinciale, la mia
proposta punta poi, facendo perno sulle competenze, e rispettando le autonomie specifiche di ciascuno, a coinvolgere nella rete di
sostegno altri attori istituzionali:
4. la Provincia di Siena: per contribuire a rafforzare l’alternanza
scuola-lavoro nelle scuole superiori degli alunni con il sostegno, e in particolare di quelli con il percorso differenziato,
introducendo incentivi concreti per essi e per le aziende che
li ospitano;
5. la Regione Toscana: per introdurre da un lato una certificazione delle competenze in uscita spendibili nel mercato del
lavoro da parte degli alunni con il percorso differenziato in
uscita dalle scuole superiori, e dall’altro una qualifica professionale regionale intermedia alla fine del terzo anno degli
istituti professionali, in modo da evitare che, con la nuova
riforma degli stessi che prevede solo il diploma quadriennale o quinquennale, si perda l’opportunità di conseguire
il diploma di qualifica triennale che fino ad oggi è servito
a molti alunni, fra cui in particolare quelli con il sostegno e
un percorso per obiettivi minimi, per inserirsi nel mercato
del lavoro;
6. l’Ufficio Scolastico Regionale della Toscana: per incentivare
la diffusione delle buone prassi nelle scuole superiori, con
particolare riferimento al coinvolgimento dei docenti curricolari nelle attività di sostegno e dei docenti di sostegno nei
percorsi di alternanza scuola-lavoro.
Queste azioni sono pensate non solo per incentivare le buone
prassi, ma anche per poter misurare i risultati della diffusione
delle buone prassi, in modo da poter valutare nei prossimi anni,
ad esempio, quanti docenti curricolari vengano coinvolti realmente
nelle attività di sostegno, quanti alunni riescano a raggiungere il
diploma, quanti alunni si inseriscano nel mercato del lavoro, in
riferimento ai tre settori delle scuole superiori senesi. Le prime tre
azioni fanno parte di un processo promosso dall’Ufficio Scolastico
Provinciale che, in continuità con il monitoraggio e la valorizzazione delle buone prassi dell’anno scolastico 2008-2009, esplicherà
49
i suoi effetti sia nella primavera del 2010, quando sarà presentato
al pubblico questo volume, sia all’inizio del prossimo anno scolastico, termine entro il quale è opportuno vengano realizzati e attivati il forum e il vademecum per la diffusione delle buone prassi.
Perciò, esse verranno approfondite in queste occasioni future. Ai
fini di questa ricerca, è però importante sottolineare fin da ora la
finalità pragmatica – nel senso di stimolo all’azione concreta – di
queste azioni proposte all’Ufficio Scolastico Provinciale.
In particolare, il forum, che può benissimo essere esteso a tutti
gli ordini di scuola (dalla scuola dell’infanzia alla scuola superiore), intende sollevare tutti i docenti che hanno a cuore l’integrazione scolastica effettiva degli alunni con il sostegno dai dubbi e
dalle incertezze che rendono debole l’azione didattica e possono
inibire la capacità di progettare, ma anche dal senso di isolamento
e di impotenza che spesso il precariato e la instabilità dei docenti
di sostegno, con le sue conseguenze in termini di sradicamento
dal territorio di origine e discontinuità didattica, contribuisce a
formare.
Oltre al forum, l’altro strumento per stimolare i docenti all’azione è il vademecum, che, nelle intenzioni degli autori, vorrebbe
rispondere, area per area, alla domanda: cosa fare, in pratica, per
attuare una buona prassi dove non è ancora stata introdotta?
Le altre tre proposte riguardano le istituzioni territoriali che
sono interessate, date le competenze che la legge attribuisce loro,
all’inserimento degli alunni con necessità speciali nel mondo del
lavoro (Provincia e Regione) e al coinvolgimento dei docenti delle materie nelle attività di sostegno (Ufficio Scolastico Regionale).
Infatti, dalla Regione e dalla Provincia dipendono le cosiddette
politiche attive del lavoro, mentre dall’Ufficio Scolastico Regionale
dipende l’attribuzione delle risorse umane e finanziarie alle scuole
(attraverso gli Uffici Scolastici Provinciali), nei limiti stabiliti dal
Ministero della Pubblica Istruzione.
Per quanto riguarda le proposte rivolte alla Provincia e alla Regione, questa ricerca non ha certo né l’intenzione né la competenza di indicare i modi e i mezzi per ottenere i risultati richiesti.
Tuttavia, il ricercatore ritiene che ci siano già, in Toscana e
in altre regioni, diverse buone prassi che possono essere riprese
50
come spunto propositivo. Da un lato, un esempio cui abbiamo accennato anche in precedenza è la prassi introdotta da quattro anni
negli istituti tecnici professionali della Provincia di Massa, che si
basa su due azioni promosse dall’ente provinciale: un bando per la
costituzione di una banca-dati di aziende del territorio provinciale
disponibili ad ospitare alunni in percorsi di alternanza scuola-lavoro, e il finanziamento di incentivi una tantum sia alle aziende (800
Euro per percorso) che agli studenti (600 Euro). Dall’altro, sono
diverse le regioni che hanno introdotto un sistema omogeneo di
rilevazione delle competenze in uscita degli alunni con percorso
differenziato: ciò è essenziale per evitare che gli alunni, non conseguendo il diploma come i propri compagni, siano definitivamente emarginati dal mercato del lavoro.
Insomma, gli esempi non mancano, e l’importante non è la forma, ma la sostanza dell’aiuto che gli enti territoriali possono dare
alla scuola superiore. Il problema è che il tempo stringe: se la Regione e la Provincia di Siena non intervengono prontamente sugli
aspetti che abbiamo sottolineato, il rischio non è solo la mancata
diffusione delle buone prassi nelle scuole superiori senesi, ma, addirittura, la perdita del patrimonio di innovazione, di efficienza e
di efficacia nelle stesse scuole che finora costituiscono l’avanguardia dell’integrazione scolastica.
Se la richiesta di aiuto a Provincia e Regione non può spingersi
oltre all’indicazione dei settori di loro competenza in cui intervenire, all’ultima delle proposte qui analizzate, quella di coinvolgere
i docenti delle materie nelle attività di sostegno e i docenti di
sostegno nell’alternanza scuola-lavoro, di competenza dell’Ufficio
Scolastico Regionale, intendo dedicare, in queste pagine finali, tutto lo spazio sufficiente per ipotizzare i modi e i mezzi per ottenere
risultati concreti nell’arco di breve tempo (già dall’anno scolastico
prossimo).
Per quanto riguarda l’alternanza scuola-lavoro, che abbiamo
già trattato come materia in cui può intervenire efficacemente la
Provincia incentivando le aziende ad ospitare gli studenti con il
percorso differenziato, è importante che anche i docenti di sostegno siano incentivati, perché possono svolgere due funzioni
fondamentali: la ricerca mirata delle aziende, e il coordinamento
51
delle attività scolastiche con quelle svolte dagli alunni in azienda,
nell’ottica di utilizzare le une e le altre per potenziare le competenze necessarie per inserirsi con successo nel mondo del lavoro.
In particolare, la mia proposta è di destinare parte delle risorse
a disposizione dell’Ufficio Scolastico Regionale per le attività di
alternanza scuola-lavoro specificamente per i docenti di sostegno
che svolgono la funzione di tutors scolastici per gli alunni con
percorso differenziato. Questo perché sia la ricerca delle aziende
disponibili e adatte ad ospitare questi alunni, sia il coordinamento
continuo con i loro tutors aziendali, non può, per l’enorme mole
di lavoro che comporta20, essere lasciata alla buona volontà dei
singoli docenti, a maggior ragione se si intende diffondere il più
possibile le buone prassi individuate da questa ricerca nell’area
dell’alternanza scuola-lavoro: i percorsi “lunghi” (biennali o triennali), e gli stage estivi.
Per quanto riguarda la rete integrata dei docenti delle materie
abbiamo già visto l’esempio positivo dell’Istituto “Sarrocchi”: una
scuola superiore senese che attua una politica di coinvolgimento
dei docenti delle materie nella programmazione, nello svolgimento
e nella verifica dei percorsi svolti dagli alunni con necessità speciali. Per questo le altre scuole possono scegliere di adottare una
o più prassi specifiche istituite dal “Sarrocchi”, a partire da quella
fondamentale di far scrivere a tutti i docenti delle materie la pro20
Più le difficoltà e le necessità degli alunni sono speciali, più sono complicati i problemi concreti che vanno risolti per rendere possibile il loro inserimento effettivo nelle attività di un’azienda. Il docente di sostegno con funzione di
tutor che voglia risolvere questi problemi specifici, quindi, deve essere disposto
a dedicare molto tempo e molte energie ad un ampio ventaglio di attività, come
ad esempio - per limitarsi alla sola fase iniziale del percorso di inserimento informarsi sul territorio locale, telefonare, visitare luoghi di lavoro, incontrare i
familiari dell’alunno e i responsabili aziendali, predisporre la modulistica (progetto formativo, convenzione, patto di corresponsabilità), con particolare attenzione per la sicurezza sul lavoro e la gradualità degli apprendimenti, concordare
le azioni specifiche del tutors aziendale, osservare la prima “giornata lavorativa”
dell’alunno direttamente sul luogo di lavoro per trarne indicazioni operative per
quelle successive, e così via.
52
grammazione per gli alunni con necessità speciali all’interno della
programmazione per la classe.
Un modello di coinvolgimento ancora più sistematico dei docenti delle materie deriva invece dalle mie precedenti esperienze in un altro istituto tecnico industriale della provincia: l’Istituto
“Avogadro” di Abbadia San Salvatore.
In estrema sintesi l’idea è questa: il coordinatore delle attività di
sostegno, dopo le prime riunioni introduttive (consigli di classe e
soprattutto i GLIC), predispone una mappa delle potenzialità degli
alunni e una mappa dei bisogni formativi che ne derivano, e poi
inizia due processi: da un lato chiede ai docenti delle materie la
disponibilità a svolgere una o due ore aggiuntive alla settimana di
sostegno nell’ambito della propria materia, e valuta quali alunni ricavino maggiore utilità dallo svolgere didattica individualizzata in
quelle materie dove si sono proposti i docenti curricolari. Dall’altro, lavora sull’orario settimanale delle materie per individuare le
combinazioni vincenti: quelle ore, cioè, in cui coincidono sia la
disponibilità del docente che le necessità specifiche degli alunni.
Una volta trovate queste combinazioni, confermata la disponibilità degli attori (docente e alunno/a) e ottenuta l’approvazione
del GLIC (cui partecipa la famiglia), hanno inizio i percorsi rinforzati, che sono essenzialmente di due tipi:
– percorsi che puntano a far recuperare o consolidare gli
obiettivi della materia, così da aumentare le possibilità che
l’alunno ottenga la promozione all’anno successivo o il diploma al pari dei suoi compagni;
– percorsi che fanno acquisire competenze trasversali che vengono ritenute importanti o fondamentali per gli alunni con
percorso differenziato.
Ovviamente, dato che il problema maggiore che questa ricerca ha evidenziato è la bassa percentuale, in media, degli alunni
con il sostegno che ottengono il diploma, la priorità dovrebbe
essere data ai percorsi del primo tipo, anche se sono i più difficili
da costruire, soprattutto per la complicazione ulteriore di dover
programmare gli interventi di recupero o consolidamento di una
53
materia solo e soltanto nelle ore in cui l’alunno/a non è impegnato
in altre lezioni21.
I percorsi del secondo tipo, invece, fanno sì che l’alunno/a con
gravi necessità speciali possa usufruire di ulteriori attività di sostegno diretto oltre a quelle svolte dai docenti di sostegno, dato
che queste ultime, come abbiamo visto nell’introduzione, coprono
in media solo un quarto dell’orario settimanale delle materie. In
questo modo, gli alunni possono anche conseguire, con percorsi
rinforzati, competenze e certificati direttamente utili per la propria
crescita personale e il proprio futuro inserimento nel mondo degli
adulti, come ad esempio il patentino per il ciclomotore, la patente
europea per il computer (ECDL) o la certificazione internazionale
delle competenze di base di lingua inglese (PET).
In occasione del mio contributo personale alla redazione del
vademecum, attraverso esempi, problemi e soluzioni specifici, cercherò di spiegare nel dettaglio come fare, in pratica, a creare questa rete di docenti curricolari impegnati nelle attività di sostegno
in una scuola che non l’abbia mai sperimentata. Ai fini di questa
ricerca, tuttavia, è importante anche domandarsi: quanto costerebbe diffondere questa prassi in tutte le scuole superiori senesi
interessate dai problemi qui evidenziati?
Qui entra in gioco il problema delle risorse, che è, in realtà,
molto più generale, perché riguarda tutte le buone prassi descritte
finora. Per questo è il momento di fare una breve digressione sulla
sostenibilità finanziaria della diffusione di esse nelle scuole.
Fino ad oggi, i canali prevalenti di finanziamento dei progetti
per l’integrazione scolastica, se si escludono i (pochi) finanziamenti esterni, sono stati sostanzialmente due: uno, diretto, costituito
21
In questo caso, le opzioni che finora ho sperimentato in pratica sono,
sostanzialmente, quattro: le ore di lezione di una materia che coincidano con
la disponibilità di un docente della stessa materia ma di un’altra classe, le ore
mattutine in cui la classe dell’alunno/a non ha lezione (per esempio nelle sezioni e nelle specializzazioni il cui orario settimanale è inferiore alle attuali 36
ore mattutine), le ore in cui alla figura del docente della classe si può affiancare
un docente tecnico-pratico con funzioni di sostegno, oppure, infine, le ore pomeridiane, in cui però la disponibilità dei docenti e degli stessi alunni, per vari
motivi, si riduce drasticamente.
54
dai fondi per l’autonomia scolastica (in pratica il cosiddetto Fondo
d’Istituto), ed uno, indiretto, costituito dalle ore di recupero che
i docenti delle scuole superiori sono spesso tenuti a svolgere per
integrare l’orario di cattedra settimanale22.
Purtroppo, per una combinazione sfortunata fra una (vecchia)
riforma caduta in disgrazia finanziaria – quella dell’autonomia scolastica – e una (nuova) riforma ancora tutta da verificare – la cosiddetta riforma Gelmini, entrambi i canali appaiono avviati a diminuire, se non ad esaurirsi del tutto. In particolare, che in termini
reali i finanziamenti per l’autonomia siano ormai meno della metà
di quelli che la legge originaria aveva previsto, e che nonostante
ciò continuino ancora a calare, è, come abbiamo già sottolineato,
un dato di fatto. Le cosiddette “ore a disposizione” non a pagamento, invece, usciranno di scena quando la nuova riforma delle
scuole superiori, che prevede un monte orario settimanale più
ridotto per gli alunni ottenuto estendendo a 60 minuti le ore di
lezione attualmente di 50 minuti, entrerà a regime.
Se siamo d’accordo con l’importanza delle buone prassi per
l’integrazione scolastica effettiva, ciascuno deve fare la propria
parte. Il ricercatore ha individuato le buone prassi, i problemi che
rimangono e le possibili soluzioni. L’Ufficio Scolastico Provinciale,
oltre a promuovere questa ricerca e le azioni per diffondere le
buone prassi da essa individuate, ha già finanziato i progetti per
l’integrazione scolastica più meritevoli con i fondi che ha avuto
dal Ministero, e continuerà a farlo, se avrà risorse. Le scuole che
qui sono state individuate come avanguardie nelle tre aree della
ricerca hanno già fatto tanto, da meritarsi il riconoscimento delle
proprie eccellenze: a maggior ragione, sono invitate, come le altre
scuole che attivano buone prassi di integrazione, ad avanzare nel
solco della propria innovazione.
22
In molte scuole i docenti sono tenuti a recuperare la quota di 10 minuti
che manca nelle ore di insegnamento di 50 minuti. Il monte ore calcolato sommando i minuti da recuperare può essere in parte utilizzato per le attività di
sostegno, a libera scelta dei docenti, se lo si concorda con la Dirigenza e con
l’ufficio del personale.
55
Si capisce bene, allora, che quelli che davvero possono fare
la differenza, sono gli altri attori istituzionali, che hanno le competenze e soprattutto le risorse per diffondere le buone prassi.
Se quindi nel campo degli inserimenti lavorativi, come abbiamo
già detto, è fondamentale l’intervento di Regione e Provincia, nel
campo del coinvolgimento dei docenti delle materie nelle attività
di sostegno, chi può aiutare le scuole superiori a diffondere le
buone prassi è l’Ufficio Scolastico Regionale, dato che le risorse
finanziarie stabilite dal Ministero dell’Istruzione vengono effettivamente assegnate agli USP e alle scuole dalla Direzione Scolastica
Regionale.
Di certo, non sono in grado di specificare i passaggi decisionali attraverso cui l’Ufficio Scolastico Regionale può attribuire alle
scuole i fondi per le attività di sostegno dei docenti delle materie.
Tuttavia, posso avanzare una proposta concreta che includa una
stima ragionevole sull’ammontare dei fondi necessari per diffondere alle scuole superiori senesi, intese come gruppo sperimentale,
quello che potrebbe essere un modello nuovo per l’integrazione
scolastica nelle scuole superiori toscane, che risponda davvero ai
più recenti orientamenti dello stesso Ministero dell’Istruzione: la
rete integrata dei docenti.
Per capire meglio l’importanza di questo modello, bisogna partire dall’effetto-leva che ogni singolo intervento di sostegno dei
docenti delle materie ha sulla loro partecipazione attiva alla soluzione dei problemi didattici e disciplinari relativi agli alunni con
necessità speciali, anche nelle loro altre ore di insegnamento nelle
classi coinvolte. In particolare, come l’esperienza diretta conferma,
i docenti della materie che svolgono anche una sola ora settimanale di sostegno ad un proprio alunno con necessità speciali guadagnano poi la possibilità di decidere buona parte delle attività che
l’alunno può svolgere utilmente nell’ambito del programma della
propria materia e, soprattutto, nel tempo delle proprie lezioni.
In pratica, la ricaduta di un’ora aggiuntiva di sostegno svolto dal
docente della materia, si riverbera sulle altre sue 2, 3, 4, 5 o 6 ore
di lezioni settimanali, generando un effetto-leva, appunto, che va
dal doppio al sestuplo dell’investimento iniziale. In parole povere,
ciò significa che con poco più di 25 Euro (il costo lordo di un’ora
56
aggiuntiva funzionale all’insegnamento), si possono ottenere non
solo un sostegno diretto di un’ora ma anche uno indiretto di altre
2, 3, 4, 5, 6 ore aggiuntive. Questo ci dà già un’idea dell’efficienza
moltiplicativa di questa nuova prassi23.
In base a queste considerazioni, la condizione necessaria (e
probabilmente sufficiente) perché la prassi produca risultati apprezzabili nelle scuole superiori che lo desiderino, è che almeno
il 15-20% dei docenti delle materie venga coinvolto nelle attività
dirette di sostegno, in modo che si possa creare una vera e propria
rete integrata di docenti. In una scuola ipotetica di 100 docenti ciò
significa attivare circa 15-20 interventi settimanali di 1-2 ore aggiuntive, per una media stimata di 25 ore settimanali effettive.
Facendo i calcoli in base al calendario scolastico effettivo (molti
interventi partono a dicembre, alcuni anche più tardi all’emergere
dei bisogni degli alunni), si arriva ad una stima prudenziale, basata
sui casi concreti in cui questa prassi è stata attuata, di circa 4-5000
Euro per ogni scuola interessata dai problemi che questa prassi
cerca di risolvere. Tenendo conto poi dei numeri effettivi delle
scuole superiori senesi, e in particolare di quelli dei docenti delle
materie e degli alunni con necessità speciali (circa 200), è ragionevole stimare che già solo con 50.000 Euro24 si possa fare un primo,
23
Per consultare un documento che valuti anche l’efficacia di questa prassi,
si rimanda invece il lettore ai risultati riportati nella relazione finale delle attività
di integrazione scolastica dell’Istituto “Avogadro”, nella sezione relativa ai documenti originali del cd-rom allegato.
24
Questa stima comprende anche i costi di formazione iniziale dei docenti
delle materie coinvolti. Tali costi sono minimi (meno del 5% del totale) perché
un altro vantaggio della diffusione di questi micro-interventi aggiuntivi di sostegno dei docenti delle materie è il fatto di essere essi stessi il principale canale
di formazione dei docenti: nella mia esperienza personale, infatti, tutti i docenti
coinvolti nella rete integrata si sono formati con la consulenza informale dei colleghi di sostegno e soprattutto con l’esperienza diretta di problem-solving generata dal confronto continuo delle necessità speciali degli alunni con le necessità
dell’insegnamento della propria materia. Non solo: la maggior parte di essi ha
continuato a dedicare più tempo e attenzioni agli alunni con necessità speciali
anche dopo aver terminato i percorsi di sostegno diretto, ed alcuni hanno proseguito questi stessi percorsi utilizzando le proprie ore di recupero (non pagate).
57
buon lavoro di diffusione della rete integrata dei docenti in tutte le
scuole superiori senesi nell’arco di un anno scolastico25.
Un lavoro non solo efficiente ed efficace, ma anche, a ben vedere, a costo zero: questo investimento annuale, in realtà, se si osserva il bilancio complessivo della spesa per l’integrazione scolastica nelle sole scuole superiori senesi, è semplicemente un recupero
di risorse già risparmiate da esse nel passaggio dallo scorso anno
scolastico a quello corrente.
Come ben sanno i Dirigenti Scolastici delle scuole superiori
senesi, infatti, nel passaggio da un anno all’altro il Ministero ha deciso, e l’Ufficio Scolastico Regionale attuato, tagli agli organici del
sostegno e incrementi del numero medio e massimo di alunni per
classe che hanno già creato non poche difficoltà. In conseguenza
di ciò, quest’anno in diverse scuole superiori senesi si è assistito
ad una ulteriore concentrazione di 1, 2 o più alunni con necessità
speciali molto diverse in classi dove il numero consigliato di 20
e anche il numero massimo di 25 alunni (inderogabile per legge,
ma derogato di fatto) sono stati superati abbondantemente, mentre
nello stesso tempo sono state ridotte le ore di sostegno (di fatto
pari oggi, in media, a 8 ore su 32-36 ore di lezioni) anche agli
alunni con le necessità speciali più gravi.
Ebbene, per finanziare la rete integrata dei docenti qui proposta bastano e avanzano i risparmi di spesa che sono già stati ottenuti, nel passaggio dal 2008-2009 al 2009-2010, con la riduzione
delle cattedre di sostegno assegnate per gli alunni delle scuole
superiori. Sarebbe un segnale per dimostrare davvero che non si
considera la scuola (e in particolare i docenti) un soggetto da abbattere come se fosse solo un costo. Sarebbe un segnale per passare dalla fase della contrazione di risorse, che sta ormai intaccando
l’efficienza e soprattutto l’efficacia di funzionamento delle scuole,
25
Tuttavia, se si vuole procedere più gradualmente, si può prevedere di
applicare la sperimentazione, nel primo anno scolastico, alle scuole che hanno
maggiormente bisogno di coinvolgere i docenti curricolari nella didattica di sostegno, perché presentano proprio quegli aspetti critici che questa prassi vuole
risolvere, e in particolare la difficoltà di ottenere il diploma da parte dei propri
alunni con il sostegno.
58
ad una fase di potenziamento dell’efficacia in un settore, quello
dell’integrazione scolastica, che anche gli altri paesi considerano
uno dei tratti distintivi della scuola italiana.
Non solo: sarebbe, per la prima volta, un modello concreto di
alleanza fra due categorie di docenti, quelli di sostegno e quelli delle materie, che finora hanno troppo spesso sviluppato due
modi di pensare ed agire separati, fino ai casi estremi, in cui il
sostegno tende a rafforzare la percezione sociale della diversità
degli alunni, invece di far accettare e superare le loro specifiche
necessità speciali.
59
Ringraziamenti
La ricerca, promossa dall’Ufficio Scolastico Provinciale di Siena, riguarda le buone prassi di integrazione scolastica svolte dalle scuole superiori senesi nell’anno scolastico 2008/2009. Ovviamente, i meriti delle
buone prassi comparate sono delle scuole e dei docenti che le hanno attuate; gli eventuali errori di analisi e di valutazione sono invece di esclusiva responsabilità dell’autore, che ringrazia personalmente, per l’incoraggiamento e il sostegno al lavoro di ricerca, le seguenti persone:
Rosella Ancona, Valeria Bertusi, Mirco Cappelletti, Giulio e Letizia
Costi, Stefano Fagioli, Daniele Giubbilei, Anna Mancini, Francesco Marini, Matteo Morandi, Emanuela Pierguidi, Camilla Pizzirani, Massimo
Pomi, Sveva Ricci, Grazia Rossi, Luigi Sebastiani, Luca Visconti e Mauro
Zilianti.
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Indice
Prefazione
di Luigi Sebastiani
3
Introduzione
di M assimo Pomi
7
1. Il sostegno alla prova dei fatti
11
2. La ricerca
17
3. I risultati
25
4. Proposte concrete per il futuro
45
Ringraziamenti
61
Finito di stampare nel marzo 2010 da
edizioni cantagalli
Via Massetana Romana, 12
Casella Postale 155
53100 Siena
Tel. 0577 42102 Fax 0577 45363
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