30 - Marinai d`Italia

Transcript

30 - Marinai d`Italia
Gente di Mare
Joseph Conrad
Una volta marinai,
marinai per sempre!
Pasquale B. Trizio - Socio del Gruppo di Bari
H
a sempre incuriosito lo slogan, peraltro molto efficace, che il presidente nazionale dell’Associazione
Nazionale Marinai d’Italia ha sempre
enunciato sin dall’atto del suo insediamento alla guida della presidenza nazionale per meglio consolidare quegli ideali,
spesso sopiti, in quanti hanno indossato
con orgoglio l’onorata divisa della marina.
“Una volta marinai, marinai per sempre”
ha avuto il merito di rappresentare un ulteriore opportunità per consolidare in molti il
mai scisso legame con la nostra marina
diffondendosi facilmente tra giovani e meno giovani. Non avevamo, sino ad oggi, potuto assegnare la giusta paternità alla ormai nota massima imputandola, come è
ovvio, a colui che ha avuto il merito di farla
conoscere se non fosse per una ulteriore
lettura di una delle opere - una delle meno
note - del più grande scrittore di mare dell’evo moderno, quel Joseph Conrad che da
sempre ci ha appassionato con le sue affascinanti storie di mare e di marinai.
Un gruppo di amici, tutti più o meno marinai, si ritrovano in una delle numerose
trattorie situate alla foce del Tamigi, in un
punto dello storico fiume che accoglieva
le ultime navi a vela pronte per lasciare
Londra e l’Inghilterra.
L’incipit è sin troppo scontato; dopo pranzo i commensali si accomodano e raccontano le loro storie di mare e di marinai: “Si
parlò di mare e delle sue opere” - narra
l’Autore – “Il mare non cambia mai, e le
sue opere a dispetto di ciò che ne dicono
gli uomini sono avvolte nel mistero”.
30
Marinai d’Italia Dicembre 2014
Qui, uno dei presenti – ma, crediamo, si
tratti del medesimo autore – comandante
di una nave a vela inglese in un lontano
porto fluviale del Sud-Est asiatico, racconta di un suo rapporto tra un tale Hermann, capitano tedesco di uno sgangherato e “sudicio” veliero che era anche la
sua casa e dello strano rapporto tra una
sua avvenente nipote e Falk, uno scorbutico e cinico proprietario e comandante
dell’unico rimorchiatore esistente; le navi,
quella del comandante tedesco e quella
del comandan-te/narratore erano in attesa della partenza; a bordo della prima il
capitano Hermann aveva non solo sua
moglie ed i due suoi bambini ma anche
una sua nipote molto procace ed in età da
marito: “Quel che so – prosegue il narratore – è che era costruita su un metro
grandioso. Costruita è la parola giusta.
Era stata fabbricata, innalzata, per così dire, con regale prodigalità. Si rimaneva attoniti nel considerare un tale spreco di
materiale per una semplice donnina“.
È lei la protagonista femminile del racconto che l’autore impara a conoscere in
ogni aspetto della sua vita a bordo della
nave tedesca frequentando assiduamente il capitano Hermann e la sua famiglia
mentre un altro ospite della serena famigliola tedesca è un tal Christian Falk, che
finirà per divenire il vero protagonista
maschile della vicenda per essere il proprietario/armatore dell’unico rimorchiatore in grado di far ridiscendere il fiume
alle navi ormai cariche.
“Falk era danese o forse norvegese, non
saprei dirlo adesso. In ogni caso uno
scandinavo, di una specie o dell’altra, e
un colossale monopolizzatore, per di più. I
diritti che metteva in conto per il rimorchio
delle navi in entrata e in uscita costituivano il documento più brutalmente sfacciato che io abbia mai visto in questo campo.
Egli era capitano ed armatore dell’unico
rimorchiatore sul fiume. Egli, per obbedire
al suo gusto dell’arbitrio, dopo essersi bene accertato presso l’agenzia che esistesse denaro abbastanza per saldare il
suo conto senza mostrare alcun riguardo
vi trascinava fuori, con una fretta spietata,
come se vi portasse ad una esecuzione.
Per diciotto miglia giù lungo il fiume dovevate andare nella sua scia, e poi per altre
tre lungo la costa dove un gruppo di isolotti rocciosi e disabitati racchiudeva un
ancoraggio riparato.”
“Dovevamo entrambi affrontare quella fase – continua nella narrazione l’autore –
Hermann ed io, e vi era una tacita emulazione tra le nostre navi per vedere quale
delle due sarebbe stata pronta prima. Procedemmo a testa a testa quasi fino all’ultimo, quando io vinsi la corsa andando a
dare la comunicazione personalmente in
mattinata. Lì – in agenzia – dissero ad Hermann che la mia nave aveva la precedenza nel turno per l’indomani mattina.”
Ma l’indomani mattina, contrariamente alle aspettative, “già bollendo d’indignazione, corsi fuori della mia cabina e salii in
coperta. Era incredibilmente vero. Era essa – la nave di Hermann – che veniva rimorchiata via. “Ehi! Olà! Falk! Hermann!
Che significa questo scherzo d’inferno”,
urlai io furibondo. Nessuno mi udì.
L’autore/narratore esprime in ogni luogo
la sua indignazione e, di fronte allo stupore per l’affronto subito s’impose di non dover in alcun modo avere a che fare con
l’unico rimorchiatore e con il suo enigmatico comandante.
“Pensavo al mio equipaggio. La metà era
malata e cominciavo seriamente a credere che qualcuno avrebbe finito col morirmi
a bordo se non facevo presto a portarli al
largo. Era ovvio che dovevo portare la mia
nave giù per il fiume, sia manovrando alla
vela sia arando con l’ancora; operazioni
che, al pari di molti marinai d’oggi, conoscevo soltanto in teoria. Non esistevano
piloti, né gavitelli, né boe di alcun genere.
“Ad ogni modo, se dovevo portare fuori la
mia nave da solo era mio dovere di procurarmi se possibile una conoscenza specifica dei luoghi. L’unica persona cui riuscii a
pensare per quel servizio era un certo
Johnson, già capitano su una nave del paese, ma ora impiombato con una donna del
paese e finito completamente in deronza.
Ne avevo sentito parlare solo nel modo più
vago, come di uno che viveva imboscato
Il celebre Narcissus, protagonista di uno dei racconti più noti del grande scrittore polacco,
in un quadro di G. Roberto conservato nel Museo Marinaro di Camogli
nel folto di duecentomila indigeni e che riemergeva alla caccia di un po’ di acquavite.
Avevo in mente che se avessi potuto mettere le mani su di lui gli avrei tolto la sbornia a
bordo della mia nave e lo avrei utilizzato come pilota. Meglio di nulla. Marinai una volta, marinai per sempre – ed egli aveva fatto esperienza sul fiume per anni.”
La vicenda ha il suo epilogo che lasciamo
alla curiosità del lettore desideroso di
sondarne l’esito. Ciò che a noi interessa è
l’aver individuato l’autore dell’adagio
“Marinai una volta, marinai per sempre”,
quel Joseph Conrad considerato il più
grande scrittore moderno di cose di mare
che la inserisce nel racconto “Falk – Una
Reminiscenza”, motto che oggi contribuisce a consolidare lo spirito di appartenenza all’Associazione dei marinai d’Italia e,
in senso più ampio del significato, a quello indissolubile con la Marina, sia essa militare, mercantile, da pesca o da diporto,
perché il mare è uguale per tutti coloro
che hanno avuto l’avventura di solcarlo.
Ma c’è un’altra affermazione che il più autorevole scrittore di mare dell’evo moderno e contemporaneo amava enunciare:
“…Se avessi dovuto diventare marinaio,
avrei voluto essere marinaio britannico, e
non altro!
E questo ci fa riflettere ulteriormente circa la coscienza marinara della nostra Italia come del ruolo dismesso dell’attuale
stato della nostra marina mercantile se
confrontato con quello considerevolmente più rilevante che essa riveste ancor oggi nelle nazioni marinare per eccellenza.
Ciò si manifesta soprattutto nella palese
indifferenza con la quale i nostri media si
interessano alle cose di mare, come se
l’economia nazionale non dipendesse dalle migliaia di navi, piccole e grandi in giro
per il mondo e da quella silenziosa categoria di uomini che le governano e che va
sotto il nome di Gente di Mare, nel bene e
nel male, nei successi come nelle sconfitte. Ma questa è proprio un’altra storia.
nnn
Marinai d’Italia Dicembre 2014
31