Dal libro d`arte a Internet: la rivoluzione digitale

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Dal libro d`arte a Internet: la rivoluzione digitale
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Dal libro d'arte a Internet: la rivoluzione digitale
Proviamo a essere talmente brevi da apparire esagerati: in un tempo ormai remoto, l’uomo inventò
la scrittura. In una situazione favorevole, qualche tempo dopo, inventò il libro, che della scrittura è
stato ed è il veicolo privilegiato, il paggio, il cavaliere errante. Il libro era allora un fragile rotolo di
papiro, destinato a deperire e a bruciare al minimo soffio di calore, complicato da riprodurre,
spaventosamente ingombrante e molto costoso. Così gli uomini, da sempre abituati a inseguire un
qualche astruso principio di economia di cui non conoscono la causa ma accettano gli effetti,
decisero di studiare un supporto più pratico e più robusto, che fu chiamato codice, in pratica il libro
nella forma in cui lo conosciamo. Forma, si badi bene, non sostanza. Non paghi, gli uomini
sperimentarono ancora, finché compresero che avrebbero potuto riprodurre più facilmente quei libri
che, per dirla con il saggio Prospero, amavano più di ogni altra cosa, affidandone la copia a mezzi
meccanici e non alla buona volontà di svogliati amanuensi, spesso abbastanza demotivati da
commettere imperdonabili errori. Venne dunque la stampa, e con essa la possibilità di diffondere più
facilmente la parola e l’immagine.
Ecco, dunque, in questa breve storia del mondo, in poche righe, condensate le più importanti
rivoluzioni che l’umanità ha vissuto e attraversato: la scrittura, il libro, il codice, la stampa.
Rivoluzioni vere e durature, altro che il propagarsi di effimere ideologie ! Rivoluzioni che hanno
modificato il modo di pensare, e quindi di essere, di tutti noi. Che hanno determinato ciò che siamo
stati, siamo e saremo. Che hanno dato una forma (una forma, si badi bene, non una sostanza) alla
nostra mente e alle sue infinite cornici vuote, appese in quel museo, in quel labirinto che è il cervello
in attesa di essere riempite di qualcosa che finisce col renderle insostituibili. Delle immagini, di
solito. Immagini che evocano delle emozioni. La memoria, insomma.
Che cosa ha a che fare tutto questo con Internet e con i libri d’arte ? Molto, direi. Molto più di quanto
non si possa credere. Per la semplice ragione che negli anni in cui stiamo vivendo è in corso un’altra
rivoluzione, paragonabile, per portata e possibili effetti, a quelle tre o quattro appena citate. Ora,
immagino già le reazioni dei lettori più attenti: ecco, diranno, si finirà col parlare ancora una volta
dell’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica e di quell’intellettuale ebreo morto in
esilio durante le persecuzioni naziste che scrisse un paio di piccoli saggi la cui importanza si deve
ritenere fondamentale per l'evoluzione delle teorie sull'arte del XX secolo. Ma no, povero Benjamin !
Lasciamolo riposare in pace insieme alle sue datate teorie. Non è di lui che parleremo, o meglio, non
direttamente. Diciamo solo che come molti di coloro che credono fermamente nelle rivoluzioni,
Benjamin non ha avuto il tempo di vederne scoppiare una. Gli sembrava che così fosse, gli sembrava
che la fotografia e le tecniche di stampa a colori dei libri d’arte, insomma il fatto stesso che l'arte
fosse diventata tecnicamente riproducibile, stessero modificando radicalmente il nostro rapporto con
le opere: non più capolavori isolati circondati da un aura sacrale, da guardare quasi con timore e
reverenza, ma, finalmente, immagini, fonti, documenti, strumenti della conoscenza utilizzabili perfino
per scopi diversi dall'indagine filologica. L’idea, a ben pensarci, non era malvagia, anzi, era
abbastanza rivoluzionaria. Ma non era quella la vera rivoluzione, con buona pace del filosofo
tedesco.
La vera rivoluzione, o almeno l’ultima in ordine di tempo, è scoppiata in America circa 10 anni fa e si
è propagata rapidamente ovunque. I 10 anni che sconvolsero il mondo non hanno nulla a che vedere
con l'evoluzione delle meccaniche celesti o con il propagarsi delle teorie sull’uguaglianza: coincidono
invece con la diffusione, su scala planetaria e a livello di massa, di un oggetto apparentemente
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freddo e complicato, in realtà versatile e relativamente semplice, che è già stato definito personal
computer, e soprattutto con l'esplosione di un fenomeno dai contorni ancora indefiniti che tutti ormai
conoscono con il nome in codice di World Wide Web, che sarebbe come dire “una rete grande
quanto il mondo”. Di che cosa stiamo parlando, esattamente ? Per sommi capi, diciamo che stiamo
parlando delle tecniche di riproduzione digitali e della possibilità di diffondere informazioni
multimediali, ovvero testi, immagini, suoni, video e altro ancora, in modo integrato e capillarmente,
tanto da poter raggiungere chiunque abbia un normale computer e una normalissima connessione
telefonica.
Questa complessa serie di fenomeni sta modificando l’editoria, il mercato dei libri e la diffusione
della cultura. E sta quindi cambiando, come già afferma il semiologo canadese Derrick De Kerkhove,
quelle cornici della mente, quei brainframes che le altre grandi rivoluzioni culturali avevano definito
e strutturato in un certo modo. Parliamo ad esempio di editoria artistica, e parliamone in termini
semplici e di assoluta chiarezza. Molti sanno perfettamente che cosa significa scrivere un libro d’arte
e pubblicarlo: si tratta di elaborare dei testi, scegliere di illustrarli con delle immagini, impaginare
insieme i testi e le immagini e procedere ad una tiratura tipografica, per ottenere un oggetto dotato
di una sua consistenza materiale, che potrà essere venduto e comprato, distrutto o conservato,
tramandato o consumato. Nel complesso è un processo piuttosto lungo e costoso, che richiede
pazienza più che velocità, abilità retorica più che conoscenze tecniche, controllo sulla qualità
dell’oggetto più che elaborazione di strategie sulla sua diffusione. Proviamo ora a immaginare che
cosa significa, al contrario, decidere di affidare a Internet gli scritti sull’arte che abbiamo pensato di
pubblicare: si tratterà sempre e comunque di elaborare dei testi e di scegliere delle immagini, ma
alla fine diffonderemo un risultato del tutto immateriale – non possiamo chiamarlo oggetto – un
flusso di elettroni, a cui potremo dare la forma di testi, immagini, suoni, video, un “qualcosa” che
nessuno sa ancora come vendere e nessuno ancora pensa di comprare, che non si può appoggiare
su un comodino né su uno scaffale, di cui nessuno può garantire la sopravvivenza e che, non da
ultimo, chiunque può modificare a suo assoluto piacimento e completamente al di fuori del nostro
controllo. Non è spaventoso ?
Certo che lo è, ma non per le ragioni che leggiamo sui giornali. Spaventa per le stesse ragioni per cui
Socrate era spaventato dai libri e dalla scrittura, lui, abituato alla comunicazione orale, convinto che
il nuovo mezzo di comunicazione non potesse possedere la stessa efficacia della parola. Spaventa, in
sostanza, perché si tratta di un mezzo di cui non conosciamo ancora la natura, spaventa come tutte
le novità tecnologiche, come tutto ciò che mette in discussione le certezze su cui si fonda la nostra
cultura e fa tremare le fondamenta della nostra tradizione. Spaventa in particolar modo gli
appassionati d’arte, che difficilmente vorranno negarsi il piacere di sfiorare la carta patinata o di
godere della bellezza di una riproduzione fotografica, come se le riproduzioni digitali non fossero
all’altezza o come se qualcuno avesse decretato la “morte del libro”.
Eppure, in questo nuovo modo di elaborare e diffondere le idee si intravedono già enormi vantaggi e
infiniti e stimolanti orizzonti. Certo, un contemporaneo di Benjamin dotato del senso dell’umorismo
direbbe “quanto darei per sapere cosa se ne fa tanta gente di un orizzonte allargato”. Ma le
implicazioni dell’editoria elettronica e della diffusione delle informazioni sul World Wide Web sono e
restano di portata assolutamente epocale: basti pensare al fatto che chiunque, utilizzando i canali di
Internet, può pubblicare i risultati di uno studio a costi bassissimi e con la garanzia di una potenziale
e immediata diffusione planetaria, scardinando completamente il rapporto tra autore e editore,
quello tra autore e lettore e quello tra autorevolezza dello studio e autorità delle istituzioni che ne
garantiscono la qualità. Se questa non è una rivoluzione
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