ma israele non aspetta nessuna luce verde da
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ma israele non aspetta nessuna luce verde da
28 agosto 2010 MA ISRAELE NON ASPETTA NESSUNA LUCE VERDE DA OBAMA. A PROPOSITO DI UN ARTICOLO DI CHOSSUDOVSKY di Claudio Moffa Preoccupa e inquieta un articolo di Chossudowsky che sta circolando in rete, su una possibile aggressione all’Iran con connesso rischio – come da titolo – di una “terza guerra mondiale”: preoccupa perché, risalente al 13 agosto scorso, potrebbe essere stato scritto e proposto sulla base di informazioni di un ormai “certo” attacco di Israele, a pochi giorni dall’avvio il 21 agosto della centrale nucleare di Busher, avvio sponsorizzato dalla Russia e a sua volta preliminare al vero e proprio funzionamento dell’impianto per la produzione di elettricità, fra due o tre mesi. Inquieta, l’articolo, perché anche in questo caso Chossudowsky torna su un leitmotiv a lui caro, una lettura dei fatti che marginalizza Israele in un ruolo secondario e assolutamente subalterno rispetto a Washington. Per proporre questa tesi, lo studioso finisce per non citare alcune dichiarazioni fondamentali utili a individuare responsabilità e ruoli dei molteplici tentativi di aggressione. Il passaggio chiave – in un testo molto lungo – è questo: Israele è parte di un'alleanza militare. Tel Aviv non è un promotore. Non ha un'agenda militare distinta e separata. Israele è integrato nel "piano di guerra per le principali operazioni di combattimento" contro l'Iran formulato nel 2006 dal Comando Strategico USA (USSTRATCOM). Nel contesto delle operazioni militari su larga scala, un'azione militare unilaterale non coordinata da parte di un solo partner della coalizione, cioè Israele, è da un punto di vista strategico e militare, quasi impossibile. Israele è un membro de facto della NATO. Qualsiasi azione da parte di Israele richiederebbe una "luce verde" da Washington. Un attacco da parte di Israele potrebbe, tuttavia, essere utilizzato come "il meccanismo d'innesco", che scatenerebbe una guerra totale contro l'Iran, come pure la ritorsione da parte dell'Iran nei confronti di Israele. 1 A parte il “quasi” quel che sostiene Chossudowsky è che, se anche Israele attaccasse l’Iran, tale aggressione non sarebbe un’iniziativa autonoma, ma ricadrebbe sempre e comunque dentro una strategia degli USA, perché occorrerebbe la “luce verde” di Washington. E’ falso. E’ falso che Israele non abbia una agenda militare distinta e separata: l’ha sempre avuta, nei confronti di chicchessia, sfruttando di volta in volta le contraddizioni fra i suoi alleati – come accadde con l’accordo di Sevres del 56 con Francia e Inghilterra, alle spalle di Eisenhower – e continua ad averla e a pretenderla. Chossudowsky, che in questo somiglia ad altri intellettuali o militanti “antiamericanisti” che sanno solo attaccare la Casa Bianca, riducendo Israele a una pedina di volontà altrui, non tiene conto che gli Stati Uniti non sono una realtà monolitica e impermeabile a pressioni esterne, ma sono quanto meno interdipendenti rispetto allo Stato ebraico, grazie ad una serie di condizionamenti e a una fitta rete di poteri capaci di ridurre a uno strumento nelle sue mani anche il capo della massima potenza mondiale. Così è stato con Bush, che contrariamente a quanto sostenuto da alcuni commentatori, non aveva nessuna intenzione di attaccare Bagdad e aveva anzi affidato il Ministero degli esteri a un fautore della riduzione delle sanzioni all’Iraq di Saddam Hussein, Colin Powell: colui che proprio l’11 settembre – il giorno dell’attentato “islamico” – avrebbe dovuto recarsi al Palazzo di Vetro ad annunciare il sì di Washington allo Stato palestinese, opzione certo minimale rispetto all’immane ingiustizia storica subita dagli arabi palestinesi a partire dal 1948, ma comunque vista come il fumo agli occhi da un gruppo dirigente israeliano che si credeva e si crede tuttora il talmudico padrone del pianeta. Ovviamente Powell – di fronte alla strage criminale delle Torri Gemelle – dovette rinunciare al suo discorso e da lì iniziò la deriva della guerra infinita contro l’Islam: fu Bush a cedere di volta in volta alle pressioni di Tel Aviv, e non il contrario; fu il presidente USA a non ottenere la luce verde di Israele ogni volta in cui proponeva un tentativo di dialogo con i palestinesi e con il mondo arabo: come nell’ultima decade del settembre 2001, quando Bush e Powell chiesero a Shimon Peres da incontrare Arafat, ma Sharon, citando la solita “Monaco” il 3 ottobre successivo, rispose al 2 suo apparentemente convinto ministro degli esteri che Arafat era un terrorista e che, quanto all’invito di Bush, “we control America, and Americans know it”. Vera o non vera la frase, i fatti dimostrano – un po’ come nel caso delle argomentazioni di Evola sui cosiddetti “Protocolli del Savi di Sion” – che essa corrisponde alla realtà delle relazioni USA – Israele almeno dopo il 2001 e almeno fino all’era Bush. Non solo per quel che riguarda l’ “aperitivo” dell’Afghanistan – da sempre l’anello “debole” di un Islam che l’Occidente pretende sempre e comunque conservatore e fermo nel tempo: appunto come nel caso (voluto) dell’Afghanistan – ma anche per la guerra all’Iraq che il congressista USA Jim Moran da una parte, e lo stesso Saddam Hussein dall’altra nel suo discorso del 20 marzo teletrasmesso in tutto il mondo, imputarono alle trame di Israele ovvero (Saddam) del “maledetto sionismo”. La guerra del Libano poi è stata fatta in prima persona da Israele, dopo vari tentativi di coinvolgere in una azione contro la Siria e soprattutto l’Iran, gli Stati Uniti ormai impantanati e dissanguati nell’Iraq. Infine appunto l’Iran. Nel suo articolo Chossudovsky non solo azzera l’importanza dell’analisi del fenomeno lobbistico nel sistema di potere americano, e della sua specifica variante ebraico-sionista studiata da Walt e Meirsheimer, non solo annulla una ampia casistica di esempi di plateali interferenze della “lobby” nel dibattito politico americano (dal Sudan-Darfur, al regime ruandese-tutsi; dall’odio per la Russia di Putin al no secco di Nethanyau a Clinton nel 1998, col presidente USA che gli voleva imporre il mitico ritiro dai Territori conquistati nel 1967, e che venne di poi travolto dal caso Lewinsky; del resto sempre per bocca di Nethanyau, il piccolo Stato d’Israele aveva detto no al ritiro persino alla Commissione Trilaterale, nel 1997, come raccontato da Arrigo Levi), ma inoltre evita di citare fatti e dichiarazioni che, con riferimento al capitolo Iran, rendono evidente che è I-sra-e-le che vuole la guerra contro Teheran, e che di provocazione in provocazione, di campagna mediatica in campagna mediatica sta cercando di trascinare Washington e l’Occidente nella guerra contro Ahamedinejad. 3 Chossudovsky cita, è vero, il documento del PNAC («Project for the New American Century”) nel quale, già nel settembre 2000, si paventava che “l’Iran o altri Stati simili indeboliscano la leadership americana, intimidiscano gli alleati americani o minaccino lo stesso suolo americano», ma dimentica di specificare che questo documento fu partorito dalla mente del think thank sionista dei neocons, tutti o quasi ebrei, tutti assolutamente pro israeliani. In verità mentre i segnali da Washington – il cui interscambio con Teheran cresciuto proprio sotto la presidenza Bush junior - sono sempre stati contraddittori, quelli da Israele sono stati sempre univoci, nel senso del cercare a tutti i costi di scatenare il conflitto: Nel 2008, Alfonso Desiderio scriveva su Limes che “il rapporto dell’intelligence USA rende meno probabile un attacco americano all’Iran. Pentagono, Cia e Dipartimento di Stato spingono per un accordo, che converrebbe ad entrambe le parti”. Al contrario, subito dopo continuava: “Ma Israele teme che Teheran possa dotarsi dell’atomica e non vuole correre rischi. Se Gerusalemme attacca Washington non può tirarsi indietro” . Le minacce israeliane sono state negli ultimi anni continue, e i riferimenti a una autonomia strategica da Washington anch’essi molteplici: novembre 2003, Shaul Mofaz afferma che “in nessun caso Israele avrebbe tollerato armi nucleari in possesso iraniano” e aggiunge che Israele “è preparato a prendere azioni unilaterali contro l’Iran se la comunità internazionale non riuscisse a fermare lo sviluppo delle armi nucleari” di Teheran. Dicembre 2005, il Sunday Times rivela che Sharon ha ordinato all’esercito israeliano di preparare “piani di attacco contro i siti di uranio arricchito in Iran” per il marzo dell’anno successivo: “Isrele (e non solo Israele) non può accettare un Iran nucleare. Noi abbiamo la capacità di affrontare tale questione”. Citato da James Petras, il capo di stato maggiore Dan Halutz aveva risposto a una domanda su fino a anche punto Israele era pronto a bloccare il programma nucleare di Teheran, con la battuta “duemila chilometri”, cioè giusto il tempo di arrivare con i bombardieri sui siti da colpire. 8 maggio 2006: Shimon Peres afferma che Ahmadinejad “dovrebbe ricordare che anche l’Iran avrebbe potuto essere spazzato via”. Il 24 4 giugno successivo Jonathan Ariel della Israel News Agency, ammonisce che Israele è pronto a dare un “colpo nucleare preventivo all’Iran”, nel caso in cui l’Occidente non fosse riuscito a bloccare la nascita di una industria nucleare in Iran”. Gennaio 2007, il Times svela un piano “segreto” di Israele per colpire unilateralmente il sito nucleare iraniano di Natanz. 11 giugno 2008, Daniel Pipes “consigliava” in modo perentorio Bush, facendo riferimento alla candidatura concorrente di Mac Cain … Bush ha resistitito a una minaccia di una (sua) nuova sconfitta, e così giungiamo ai giorni nostri dove imputare a Obama il desiderio di una guerra all’Iran è assolutamente mistificatorio. Certo il Presidente USA, assediato da Wall Street, in calo di consensi, potrebbe decidere il passo ma è orpobabile che sapia che pagherebbe un prezzo assai caro. Laddove Israele solo guadagnerebbe – nella sua folle strategia della distruzione e della guerra permamente con chiunque si opponga alla sua arroganza totalitaria – da un attacco all’Iran. Per farla breve e concludere: c’è tutto un filone politologico e giornalistico che fa sponda o su un odio suicida contro l’Islam (a destra) o su una antiamericanismo dogmatico condito di formulette marxleniniste (a sinistra), che ha come effetto (se non il fine calcolato) quello di coprire le pesantissime e determinanti responsabilità di Israele nei mai cessati venti di guerra in Medio Oriente dal 1948 ad oggi. Sarebbe ora di prendere coscienza della negatività di tale tendenza interpretativa: essa confligge solo e semplicemente con la realtà dei fatti, e trasforma Israele da un protagonista assoluto delle spinte belliciste della nostra epoca quale è, in un’entità evanescente e poco importante: l’ “edificio nascosto” per mnutuare un termine utilizzato da Marx con riferimento al peso della “struttura economica” nel divenire storico, della politologia e e dell’opinionismo contemporanei. 5