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L`uamanista in banca. In
Capitolo XII
L'umanista in banca
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Vaivlikt
Ik /ecát Ecieto- ze._
Raffaele Mattioli, per oltre trent'anni amministratore delegato d'una
Dalle avventure fiumane all'ingresdelle maggiori banche italiane.
so nel mondo bancario. Insegnamento universitario e Camera di
commercio. Segretario particolare di Toeplitz alla Commerciale.
La guerra.
La rinaL'assunzione delle maggiori responsabilità.
scita postbellica dell'economia italiana e il ruolo delle banche.
La
creazione della Mediobanca. Il "maestro di letteratura bancaria".
Qualche tempo dopo il definitivo "cambio della guardia" alla
testa della Banca Commerciale Italiana, che si concretò — come
riferito nel capitolo dedicato a Giuseppe Toeplitz — nelle dimissioni definitive dall'istituto di colui che ne era stato il principale animatore, e nell'ascesa alla carica di amministratori delegati di Michelangelo Facconi e di Raffaele Mattioli, il dimissionato Toeplitz, come narra il figlio Ludovico nel libro dedicato al padre, si incontrò a Londra con Dannie Heineman, il
noto finanziere di "peso" mondiale, del quale era amico. E i
due, fra altre cose, parlarono anche di Mattioli, il quale, segretario particolare per lungo tempo di Toeplitz e suo principale
collaboratore in qualità di capo di gabinetto, all'atto delle contestazioni mosse a Toeplitz per la sua politica di finanziamenti
aveva condiviso durante le riunioni alla Banca d'Italia pareri
(in merito alle possibili soluzioni) più vicini a quelli prospettati dagli uomini della corrente d'opinione opposta a Toeplitz.
E aveva in un certo senso scisso le proprie responsabilità, secondo quanto lo stesso Toeplitz aveva narrato, da quelle del
suo capo, mostrandosi assertore di tesi diverse. Al che poi,
allontanato Toeplitz, era stato nominato amministratore delegato dell'istituto.
Heineman chiese a Toeplitz come mai i suoi diretti collaboratori alla Commerciale non avessero ritenuto di seguire la
sorte del loro capo, dando le dimissioni, e anzi avessero al contrario accettato di vederlo messo da parte, per subentrargli.
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Alla domanda un poco maligna, Giuseppe Toeplitz, sempre secondo quanto riferisce il figlio (riportiamo integralmente il brano di conversazione quale riferito da Ludovico Toeplitz nel suo
volume), così rispose: "Per Mattioli... t giovane. Ha tutta la
vita dinanzi a sé, l'occasione gli si è scaricata addosso come un
fulmine a ciel sereno. Non se l'era mai sognato. Come pretendere che l'avesse a rifiutare? L già molto che abbia saputo
mascherare il suo giubilo interno con una buffa faccia di circostanza che mi ha estremamente esilarato. 'Ma tu credi che sia
maturo?' insistette Heineman. 't stato accanto a me per tanti
anni, anni ultradifficili. Dopo la castrazione dell'istituto, fare
l'amministratore delegato diventa un gioco da fanciulli...' ".
La battuta di Giuseppe Toeplitz certamente fu un poco
ingenerosa, dettata peraltro da un umano risentimento per come
si erano svolte le cose. Un uomo non può certo gioire nel vedersi
messo da parte, e sostituito dal proprio segretario. Una parte
di vero, comunque, nella frase di Toeplitz era certamente contenuta: perché, in quel momento, dopo che il presidente della
Commerciale, senatore Conti (come già si è detto al capitolo
precedente), aveva accettato la legale inibizione alla banca ad
assumere certe partecipazioni finanziarie industriali — ciò che
prima aveva rappresentato il perno delle attività della Comit
e alla banca non restava quindi formalmente che l'esercizio 41
credito nelle ordinarie e ben più garantite forme consuete, la
carica di boss di un organismo finanziario del genere indubbiamente perdeva molto del suo primitivo mordente. Condurre la
banca diveniva certo più facile, e proprio ciò Giuseppe Toeplitz
intendeva sottolineare.
Diveniva però per contro più difficile l'emergere, in queste
circostanze: eppure Raffaele Mattioli, successore di Toeplitz alla
testa della Banca Commerciale Italiana, amministratore delegato
per più di trent'anni (oggi ne è il presidente), è ugualmente
riuscito a emergere, affermando una personalità propria. Qualificandosi a propria volta come un grande banchiere. Pur dunque
in circostanze oggettivamente più facili, da un lato, ma soggettivamente più difficili, dall'altro.
Raffaele Mattioli è nato il 20 marzo del 1895 a Vasto,
negli Abruzzi, da un padre commerciante. Compiuti gli studi
medi a Chieti, frequentò l'università a Genova. Dopo una romanzesca parentesi quale legionario a fianco del conterraneo
Gabriele D'Annunzio nell'impresa fiumana (alla quale partecipò
anche il figlio di Toeplitz, Ludovico, che fu anche "ministro
degli esteri" della Reggenza del Carnaro; e forse questa concomitanza e comunanza di nazionalistici ideali non fu del tutto
estranea, qualche anno dopo, all'ingresso di Mattioli nella banca
guidata dal padre di colui che era stato segretario di D'Annunzio), ottenuta la laurea in economia a Genova, passò a Milano,
dove divenne assistente all'università Bocconi.
Due anni dopo Raffaele Mattioli vinse il concorso pubblico
per il posto di segretario generale della Camera di commercio
di Milano, e si insediò in questa posizione che rappresentava
anche uno dei migliori osservatori economici esistenti in Italia.
Vi restò tuttavia poco, perché nel 1925 Giuseppe Toeplitz gli
offri di entrare alla Banca Commerciale Italiana, come segretario particolare dell'amministratore delegato. Mattioli esitò,
incerto se lasciare una posizione che gli pareva ricca di prospettive di lavoro, in cambio di una diversa posizione in un campo,
quello bancario, nel quale non aveva ancora alcuna esperienza.
Ma fini con l'accettare: e nel giro di due anni soltanto, a quanto
disse la vox populi bancaria, ne sapeva almeno quanto il banchiere del quale era segretario. Si era impadronito della tecnica
operativa della banca, e fu dunque il più prezioso e capace fra
i collaboratori dell'amministratore delegato negli anni nei quali
la Comit esercitò la sua attività non solo e non tanto raccogliendo i depositi del pubblico, quanto finanziando industrie,
promuovendo il collocamento di titoli, agendo insomma con le
attribuzioni che inglesi e americani intendono per le merchant
banks.
Dopo la crisi del 1931-32, e dopo la ristrutturazione delle
cariche direttive dell'istituto nonché la limitazione dei suoi
compiti a quelli di azienda di credito puramente commerciale,
Mattioli restò presto solo al comando dell'istituto, perché nel
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1936 l'altro amministratore delegato, Facconi, si ritirò. I primi
compiti ai quali Mattioli si dedicò in quegli anni furono di
evitare che i depositanti potessero perdere anche una sola lira
a causa di ciò che era accaduto. La situazione era stata risanata
sulla carta con poche rapide decisioni, è vero, ma nella pratica
le terapie curative erano un poco più lunghe, cioè il riassetto
era alquanto più laborioso di quanto il "cambio della guardia",
il passaggio del portafoglio partecipazioni ad altro ente, e infine
la creazione di organismi quali IMI e IRI facessero apparire.
Le linee d'una nuova èra erano state tracciate, si trattava poi
di dar loro un contenuto: e il compito che il banchiere si assunse
fu proprio quello di determinare senza scosse e senza turbamenti
questo contenuto, operazione che gli riuscì perfettamente, e che
quindi dalla posizione di responsabile massimo confermò tutte
le doti che già a Mattioli erano state riconosciute in precedenza
come semplice collaboratore di Toeplitz. Dopo di che, conformemente alle nuove leggi che erano state varate per la regolamentazione dell'attività bancaria dopo la crisi, la Banca Commerciale Italiana esercitò il credito nelle forme più tranquille e
normali, scontando effetti, accordando crediti a breve termine,
concedendo Insomma danaro nelle più ordinarie e garantite delle
forme.
Per quanto forse il compito di dirigere l'istituto non fosse
a questo punto spaventosamente impegnativo, come aveva ap-t
punto vaticinato il predecessore, si deve tuttavia tenere presente
che la Banca Commerciale Italiana era pur sempre il primo istituto della sua categoria, un istituto oltre a tutto ramificato non
soltanto sul territorio nazionale, quanto anche all'estero. Una
banca grandissima, insomma: e anche la sola "ordinaria" conduzione di un istituto molto vasto ed esteso è di per sé stessa una
impresa abbastanza "straordinaria", della quale Mattioli venne
a capo con disinvoltura: dedicando negli anni prebellici buona
parte del proprio tempo anche al problema di offrire un posto
di lavoro a molti notori antifascisti (basti un nome: Ugo La
Mal(a), e di nascondere, o mettere al sicuro all'estero, molti
collaboratori ebrei.
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Raffaele Mattioli.
Tuttavia Raffaele Mattioli, che aveva vissuto i tempi più elettrizzanti di quando la banca sosteneva lo sviluppo industriale del
paese con forme più attive e impegnative di finanziamento, non
poteva accontentarsi d'una attività di ordinaria amministrazione.
Ed ecco che, per sollecitazioni soprattutto sue, quando nel secondo dopoguerra si ripropose in termini drammatici il problema di favorire, promuovere e sollecitare la ripresa industriale
italiana soprattutto attraverso un sostegno degli investimenti,
fra le tre grandi banche di interesse nazionale — la Banca Commerciale Italiana, il Credito Italiano e il Banco di Roma, tutte
tre controllate dall'IRI — fu costituita di comune accordo la
"Mediobanca", banca di credito finanziario, che assunse appunto
quei compiti di promotion che la legge altrimenti limitava per i
tre istituti consorziatisi come sottoscrittori. Questa nuova istituzione, alla quale Raffaele Mattioli volle dedicare le proprie
cure più attente, assunse dunque i compiti di finanziare lo sviluppo industriale delle aziende: una banca senza sportelli, che
non attinge per la formazione dei propri mezzi al risparmio del
pubblico, se non indirettamente, nel senso che le disponibilità
vengono messe a disposizione dalle tre grandi banche citate.
Un settore soprattutto, proprio per personale impulso !iato
da Raffaele Mattioli, è stato ed è curato dalla Mediobanca:
quello dell'esportazione. Nello sforzo di espandere l'export italiano in tutto il mondo — e nel mettere a disposizione tutti gli
occorrenti mezzi finanziari — la Mediobanca (ma meglio sarebbe
dire addirittura Mattioli) è largamente in testa rispetto a tutti
gli altri istituti di credito e gli altri banchieri italiani. All'opera
del banchiere Mattioli si debbono molti contatti stabiliti dalla
economia italiana in Sudamerica, in molti paesi africani, in
Oriente. In questa attività promozionale dell'industria e, in
particolare, delle esportazioni dell'industria, Raffaele Mattioli,
che della Mediobanca è magna pars soprattutto per ispirazione
consigli, si comporta esattamente, si dice, come un banchiere
dei vecchi tempi. Quando "banchiere" significava qualcosa di
più che meccanico dirigente amministratore di una banca nella
quale affluiscono depositi secondo certi immutabili schemi, e
dalla quale secondo certi altri altrettanto immutabili schemi il
danaro esce protetto dalle più prudenti e dettagliate garanzie.
Mattioli estende cioè il proprio interesse professionale allo
esame delle prospettive reali di attività dell'azienda che bussa
ai suoi pareri e ai suoi finanziamenti, all'esame della consistenza
aziendale, della sua conduzione, dei suoi criteri di gestione, delle
possibilità di espansione del mercato, nazionale e internazionale.
Fra le imprese industriali alle quali più il nome di Raffaele
Mattioli può essere ricollegato, sta la poderosa ascesa dell'ENI
di Enrico Mattei. Mattioli è stato prodigo di consigli e di sostegno finanziario all'uomo che il governo italiano aveva incaricato
di liquidare, nel tempo più breve possibile e nel modo più indolore possibile, la passività rappresentata dall'AGIP. Mattei, è
noto, non ritenne morta l'azienda che gli era stata affidata per
la liquidazione. Contravvenendo alle disposizioni ricevute volle
proseguire gli esperimenti e le ricerche che all'azienda erano
istituzionalmente attribuiti, sinché ebbe successo. Dopo di che
cominciò quella penetrazione mondiale, che dell'ENI — l'ente
derivato dalla enfiagione e moltiplicazione dell'iniziale nucleo
aziendale — fece uno dei più intraprendenti protagonisti del
romanzo mondiale del petrolio.
Mattioli finanziò in robusta misura l'espansione dell'ente
verso nuove mete, anche aiutando Mattei a trovare altrove credito e sottoscrizioni alle obbligazioni che a getto continuo (e
con molta esagerazione, per vero) la capogruppo e le varie
aziende da essa controllate lanciavano, per portare il "cane a
sei zampe", il famoso emblema del petrolio matteiano, ovunque
nel mondo, in contrasto spesso e volentieri con desideri e orientamenti delle maggiori compagnie petrolifere mondiali.
Forse è dubbio se proprio i sostegni a Mattei e all'ENI
rappresentino il punto più brillante della politica creditizia e
delle erogazioni di finanziamenti disposte da Mattioli: sta di
fatto tuttavia che egli ebbe il merito di intuire, quando venne
a contatto con quest'ultimo, come si trattasse di un uomo eccezionale, che, aiutato, avrebbe potuto produrre grandi cose. A
tanti anni di distanza da quel momento, ma anche dalla scom-
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parsa di Mattei, si deve pur dire che per quanto PENI abbia
attraversato momenti talora difficili proprio per un certo eccesso
di indebitamento al quale era andato disinvoltamente incontro,
le realizzazioni cospicue e le attività superano le passività, pur
se i bilanci sono stati per tanto tempo rischiosamente appesantiti. E se dunque alla fine il buono supera il cattivo, anche qui
v'è una buona parte di merito per il banchiere Mattioli.
Raffaele Mattioli dirige dunque il maggior istituto di credito
italiano ormai da grandissimo tempo, da più di sei lustri ininterrottamente. Oggi è anche presidente dell'istituto. Lo ha diretto
attraverso fasi difficili per l'economia italiana, ha contribuito
alla rinascita e alla ripresa di questa economia agendo in essa
sempre come un decisivo protagonista. Ha dimostrato come un
manager di capacità e di esperienza appartenga di diritto sempre
alla classe dirigente del paese, non importa sotto quale regime
e in quali circostanze: e come un valido banchiere, in particolare, possa svolgere le funzioni dell'arte bancaria tanto in una
banca prettamente privata, quanto in una banca controllata dallo
stato, in regime autoritario come in regime democratico, con
aderenza costante alle contingenze politiche O tecniche via via
evolveritisi. In effetti, non è facile reperire in Italia altri esempi
di dirigenti di aziende pubbliche soggetti quindi a uomini e
influssi governativi che abbiano ricoperto lo stesso incarico sia
in periodo fascista, sia in perièdo postbellico, passando indenni
attraverso le diverse mutazioni di governi e di orientamenti di
fondo della politica nazionale (dai governi di coalizione "ciellenistica", ai, governi di centro-destra, per finire ai governi di centro-sinistra), e attraverso tutti i profondi riflessi che di norma
tali mutazioni determinano anche nelle cariche direttive degli
enti e delle aziende dove le nomine o le riconferme dipendono
in ultima analisi, appunto dalle sole forze politiche. Per riuscire
a tanto, e per passare indenni come salamandre attraverso tanti
fuochi, occorre essere o delle nullità (ma in tal caso spesso le
posizioni vengono egualmente insidiate da chi propugna il famoso motto del Giusti "lévati di costi, ci vo' star io! "), o uomini
di capacità così notevoli, da convincere il colto e l'inclita della
propria insostituibilità. Mattioli certamente è un uomo notevole, e la valida navigazione della Commerciale da un trentennio
a questa parte lo sottolinea ampiamente, senza tema di smentite.
Per tutte queste ragioni, è legittima per lui la qualifica di banchiere di grande valore.
Raffaele Mattioli poi, caso non frequente nella sua... categoria professionale, è un umanista, appassionato di letteratura,
di musica, delle arti figurative. Un uomo di grandissima cultura,
che questa cultura riversa — ed è in questo originalissimo —
persino nelle relazioni annuali sul bilancio della banca e sulla
economia dei dodici mesi trascorsi. Quelli che in altre banche
sono aridi documenti, raramente illuminati da uno sprazzo di
luce extratecnica, divengono per la mano di Mattioli scritti che
alla lettura sono capaci persino di offrire un godimento, oltre a
rappresentare classiche lezioni di scienza economica.
"Maestro di letteratura bancaria", ha detto qualcuno a proposito di Raffaele Mattioli. Ed è certo una definizione che
l'uomo, per quanto lavori alla testa d'una banca, certo gradisce
più di ogni altra.
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