Ma che cooking stiamo facendo? - Formazione
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Ma che cooking stiamo facendo? - Formazione
dicembre 2008 Ma che cooking stiamo facendo? Riflessioni per una formazione esperienziale consapevole e coerente di Andrea Biggio La cucina nella formazione esperienziale Da poco tempo, aziende e formatori esperienziali hanno scoperto che, per rinforzare lo “spirito di squadra”, è bene che si frequenti una buona scuola di cucina. Presto fatto. Ma quale tipo di cucina non importa, basta che sia gustosa e piena di lustrini, vediamo perché. Sorgono scuole e corsi come quello di Anna Venturi, Venturi’s Table al n° 6 di Morie Street a Londra, dove si aggirano indaffarate frotte di apprendisti stregoni: una squadra di prestanti manager deve preparare gnocchetti di patate e rapa e ravioli di ricotta e spinaci; ad un’altra squadra sono assegnate le scaloppine di vitello al limone e prezzemolo; una terza ha l’incarico di lavorare sul pezzo forte della pasticceria italiana: la pastafrolla. Questa è la nuova tendenza di banche, aziende e grandi gruppi come Rothschild, Microsoft, Deutsche Bank, Ernst & Young, Nokia, Disney e altre: riunire, per esempio, capi del personale provenienti da ogni parte del mondo per preparare gnocchi al nero di seppia e pastiera napoletana allo scopo di introdurli a un executive master organizzato con Rutgers University; magari in collaborazione con la SDA Bocconi e Beatrice Bauer, la quale ha scoperto questo “bisogno” delle aziende moderne e ha creato lo European Executive Master in Human Resource Leadership (Emhrl), un programma realizzato e tenuto in un grande hotel di Stresa. La Bauer, con la collaborazione di alcuni cuochi professionisti prepara il sofisticato pranzo che viene servito durante la pausa: gnocchi al nero di seppia con salsa di vongole, agnello ripieno con contorno di patate gratinate e pastiera napoletana. Con un tale tipo di formazione, i cui corsi sono in forte espansione, i manager e le loro segretarie, cucinando insieme, imparano a mangiar con gusto, apprendono la tolleranza di gruppo, scoprono come stringere alleanze intorno ai fornelli e migliorare il loro livello di comunicazione. Da una iniziale rigidità arrivano fino a sciogliersi (letteralmente?) nell’ottica di un più efficace team building! L’utilizzo della cucina come piacere e momento potente di aggregazione non è mai stato un segreto: Trimalcione e Apicio lo sapevano. Ma solo adesso essi lo scoprono, per andarlo a perfezionare in apposite scuole. Addirittura rappresenta la ratio di queste iniziative, il cui scopo, vecchio quanto il mondo, è quello di addestrare manager e segretarie al bon ton e alla buona tavola, facilitando così i rapporti con i colleghi davanti a un buon bicchiere di vino con relativi bocconcini prelibati. 1 www.formazione-esperienziale.it [email protected] dicembre 2008 L’equivoco della formazione esperienziale in cucina L’obiettivo di questi corsi esperienziali di cucina per manager è, dunque, un COME e non un COSA. Per questo motivo non si differenzia in nulla da tanti altri, pur validi, sistemi formativi che non utilizzano la cucina. Si cerca, cioè, di lavorare sul come costruire relazioni efficaci, come apprendere ad essere tolleranti nel gruppo, come organizzare un team building, come sciogliere le rigidità tipiche dell’ambiente di lavoro, come stringere alleanze, come sperimentare il coraggio, come relazionarsi al bon ton e alla “buona” tavola utilizzati sotto l’aspetto strumentale della socializzazione. A ciò aggiungasi che quel poco di COSA, di cui ci si occupa per lavorare meglio sul COME, è davvero nefasto perché incentrato esclusivamente sui sensi del gusto e del piacere visivo, sui quali non si può pensare di costruire un modo di alimentarsi che mantenga il “manager” in una buona forma. Allora mi chiedo: ma il COSA mangiare – che è un fondamentale - chi lo insegna e chi ha voglia di impararlo tra questi signori e signore, che non si preoccupano degli effetti che il cibo genera una volta incorporato? Per esempio, avete mai provato, nella breve pausa pranzo concessa da una azienda durante l’orario di lavoro, a mangiare gnocchi al nero di seppia con salsa di vongole, agnello ripieno con contorno di patate gratinate e pastiera napoletana; il tutto innaffiato da un buon vino? Cosa succede dopo, seduti o in piedi nella vostra postazione lavorativa? E poi, avete sperimentato cosa vuol dire pranzare ordinariamente tutti i giorni con piatti del tipo gnocchetti di patate e rapa oppure ravioli di ricotta e spinaci come primo e, come secondo, scaloppine di vitello al limone e prezzemolo, deliziandovi infine con un dolce di pastafrolla riempita con creme o marmellate? Roba da mandare in pezzi un qualsiasi sistema digerente, con conseguenti effetti negativi in termini di resa energetica della persona. Se questi sono i cibi che i manager apprendono a cucinare e mangiare, con la scusa di stare lì ad imparare un come, povere aziende, poveri utili e povera economia! Ma il discorso che ho fatto con il pretesto della pausa pranzo è solo la punta di un iceberg, costituito invece dalla ignoranza enorme di cosa potrebbe nutrire l’essere umano in modo armonico ed equilibrato, anche per consentirgli di avere una sana energia nello svolgimento del suo lavoro. Ci si nutre in modo sbagliato, oggi, e il manager, pure se mangia con gusto, si alimenta proprio malissimo, anche per lo stile di vita che mena per raggiungere gli obiettivi! Il genere di formazione outdoor sui fornelli, come l’ho descritto più sopra, basato sul COME e non sul COSA, non fa altro che perpetuare e radicare maggiormente le insane abitudini alimentari tipiche di un occidente mcdonaldizzato che, nei riguardi della tavola, sa soltanto essere epicureo: il cibo ha da essere buono e bello, forse un pochino controllato con qualche dieta e qualche alleggerimento, ma niente di più. A questo riguardo vorrei ricordare che cuochi del tipo Vissani, Marchesi, Adrià non sembrano essere altro che dei Mc Donald sofisticati per ricchi. Di quello che ne è del cibo, una volta superata la “fase orale”, non si scorge alcun interesse. La grande importanza del COSA rispetto al COME L'alimentazione è una cosa seria e non può essere ridotta a semplice espediente formativo, il come, senza occuparsi anche seriamente del cosa. L’alimentazione è come il linguaggio: si dice alimentazione materna così come lingua materna. Il cibo è perciò legato a codici culturali inconsci e molto profondi che fanno sì che il mangiare, oltre a soddisfare un 2 www.formazione-esperienziale.it [email protected] dicembre 2008 bisogno fisiologico, sia anche una forma di comunicazione che ci lega all'ambiente nel quale viviamo e sia pertanto criterio d'identità, simbolo di gruppo, atto ostentatorio, scambio sociale, costume, tradizione, superstizione, ma soprattutto veicolo di salute, di forze che creano armonia ed equilibrio. Bisogna liberarci dal condizionamento del richiamo alla nostra animalità (i nostri sensi) quando ci mettiamo a tavola: questo mi piace/questo non mi piace - questo è buono/questo non buono… questo è presentato bene/male! Si tratta di un argomento primario, giustamente edonistico, ma che non sta in piedi da solo! Sarebbe opportuno aggiungere ad un tale argomentare anche l'invito ad intervenirci con la coscienza in questo campo primitivo ed inconscio del gusto per evitare di esserne schiavi! Non è possibile innalzare solo e sempre "ciò che entra nella bocca" sull'altare dei sensi primitivi e del Dio Gusto o della Dea Bellezza, senza badare e interessarsi anche agli effetti che i differenti tipi di cibo determinano nel corpo e nella psiche! Il cibo è (anche) medicina, come sapevano già Ippocrate, Galeno e Paracelso. Il cibo crea e modifica la nostra fisiologia e la nostra psiche. Il manager preparato dovrebbe ormai aver capito che il vero cambiamento passa per una diversa fisiologia del nostro corpo e questa cambia non solo con la respirazione ma anche con l'alimentazione, alimentarsi è dunque: sia comprendere quali forze vivono nel cibo che ingeriamo, e quale utilizzo vogliamo fare di tali forze, sia prevedere quali sono gli effetti che desideriamo conseguire mangiando questo o quello alimento. Lo sforzo da fare è di giungere a vedere il cibo, oltre che con soddisfazione del gusto, anche come creatore di un campo di forze (o …di debolezze, se si mangia male) e quindi come generatore di effetti sull’armonia dell’individuo a breve e a lungo termine! Un cambiamento consapevole Recentemente ho letto, nelle pagine culturali di un quotidiano, un articolo di Sandro Veronesi: ve ne propongo un estratto. “Una mattina, mentre scrivevo Caos Calmo (da cui è stato tratto l'omonimo film di Moretti, n.d.r.), mi è venuta voglia di un caffè. Sono sceso per strada ma davanti al bar mi sono fermato, ho pensato che di caffè ne prendevo troppi, e ho cambiato idea. Ecco, voglio parlare di quel magico momento nel quale, prima di fare una cosa che avevo voglia di fare, mi sono fermato a pensare e ho cambiato idea. D'un tratto, tutto è sembrato andare in ordine. Fermo, per strada, davanti a un bar, mi sono reso conto che il romanzo che stavo scrivendo parlava esattamente di quello, del fermarsi e del cambiare idea: di colpo il significato dell'ossimoro che avevo scelto per il titolo mi si è fatto improvvisamente chiaro. ... Dapprima ho pensato che cambiare idea è una delle cose che gli uomini fanno più raramente… poi ho pensato che cambiare idea è così difficile perché non siamo capaci di ascoltare. … Che la coerenza, ho pensato, quasi sempre è solo ottusità. … Ho pensato che Diderot, nei suoi diari, dice che ognuno di noi, da ragazzo, si costruisce una statua interiore, e che poi passa il resto della propria vita a cercare di demolirla, ma non ci riesce mai. Infine ho pensato a tutte le persone che avevo conosciuto nella mia vita, tutte, senza dimenticarne neanche una, poi sono tornato a casa e mi sono mangiato una mela.” Questo è un cambiamento: capire che non tutto ciò che ci piace ed il cui consumo è diffuso (…lo mangiano tutti.. lo bevono tutti..) è adatto a noi e ai nostri obiettivi. Lo impararono bene anche Adamo ed Eva, come si legge agevolmente nel GENESI 3,1-8. “Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio. Egli disse alla donna: "È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino? ". 3 www.formazione-esperienziale.it [email protected] dicembre 2008 Rispose la donna al serpente: "Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell'albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete". Ma il serpente disse alla donna: "Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male". Allora la donna vide che l'albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch'egli ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture.” Noi, dei c.d. paesi ricchi, sin da epoca biblica siamo abituati a mangiare solo ciò che è buono, bello e desiderabile e non ci importa degli effetti che il cibo produce. Non portiamo coscienza e consapevolezza su uno dei momenti fondanti della vita: la nutrizione. Il peccato originale si perpetua…. Il processo dell'alimentazione, in apparenza solo fatto materiale, è invece un importante attività profondamente impregnata di aspetti simbolici, energetici, anche spirituali, che non vengono ordinariamente presi in considerazione insieme agli altri. Sarebbe salutare, invece, adottare un punto di vista olistico per affrontare questo tema, e non usarlo in modo così superficiale come si usa fare in queste nuove scuole di formazione, che non aggiungono niente a quelle già esistenti, e in cui il cibo vero e sano è l’ultimo dei pensieri. L’importanza dei sostegni ad una soddisfacente fisiologia: respirazione e alimentazione La strada per l’eccellenza ed il successo nel lavoro, così come nella vita, deve necessariamente passare per un miglioramento della fisiologia, che ne rappresenta una delle tappe fondamentali. Occuparsi del corpo e della propria fisiologia consente di raggiungere gli stati di coscienza e gli stati d’animo desiderati scegliendo quelli più consoni alla nostra visione del mondo. La conferma quotidiana di questa esigenza di raggiungimento di livelli diversi da quelli in cui versiamo ci viene quotidianamente raccontata dalla cronaca: perché le persone assumono droga, si ubriacano di alcool, fumano tonnellate di tabacco, mangiano in maniera esagerata? Non sono forse questi dei tentativi maldestri e impropri per cambiare stato d’animo passando per una diversa fisiologia? Influire sulla propria fisiologia lo si può fare in tanti modi, ma i due principali sono la respirazione e l’alimentazione. Provate a respirare freneticamente ed ecciterete i vostri animi, respirate invece molto lentamente e vi calmerete. Vi invito a riflettere sul fatto che nel cibo non ci siano solo proteine, grassi e carboidrati, vitamine e minerali: c’è qualcosa d’altro che si chiama vitalità. Vi è, nel cibo, un’azione vitale che si manifesta attraverso diverse polarità del tipo: riscaldante-raffreddante, eccitante-calmante, espansivo-contrattivo, acidificante-alcalinizzante, eccetera, che non vengono normalmente prese in considerazione dalla “cucina del gusto e della bellezza”, cioè dell’apparenza. Se si pone sottoterra il seme del riso o del grano, cioè il vero e proprio chicco integrale che molti mangiano raffinato sotto forma di pane o pasta o dolci, si vedrà crescere la piantina di riso o la spiga del grano. Bene. Immaginiamo ora di voler piantare, invece che il chicco-seme, la farina che da questi si può ottenere col mulino. Vedrete crescere qualcosa? Sicuro che no! E allora dov’è è la differenza tra quei chicchi e quella farina piantati? E’ la vitalità! Così, se voglio accrescere la vitalità in me e produrre uno stato di salute mediamente ottimale, cosa scelgo? Sicuramente di aumentare le frequenza dei pasti contenenti cereali integrali in chicco, possibilmente biologici. Se invece desidero abbassare il mio standard vitale, e 4 www.formazione-esperienziale.it [email protected] dicembre 2008 portarlo ai livelli minimi, consento al mio organismo di essere inquinato e intossicato anziché nutrito e depurato. Faccio solo un ultimo esempio, quello che propongo sempre nei miei corsi di cucina: Se la Natura fa nascere un ananas all’equatore è esclusivamente per una ragione: quella di consentire a chi vive in quel luogo di rinfrescarsi, di portare freddo nel proprio corpo e così bilanciare il caldo esterno. Bene. Se mi trovo ad Helsinki in pieno inverno e fuori nevica e, in questa occasione, mi offrono deliziose fette di ananas da mangiare, secondo voi, cosa faccio? Vi spiego il semplice processo mentale che guida la mia decisione in merito all’offerta. Eccolo: se sono in un posto dove fa molto freddo, il mio corpo ha bisogno di essere rifornito di cibi “riscaldanti” e non “raffreddanti”, altrimenti lo espongo maggiormente a raffreddori e influenze. Dunque mangiare quell’ananas sarebbe come andarmi a fare una passeggiata per quella città in maglietta e pantaloncini corti. Quindi rifiuto la gentile offerta. Note sull’autore Andrea Biggio, laureato in giurisprudenza alla Sapienza di Roma e specializzato in scienze amministrative, viene assunto da un primario istituto di credito, che lascia anticipatamente nel 2002, dopo aver ricoperto il ruolo di direttore della filiale di Firenze. Tiene corsi per l’apprendimento del metodo di consultazione del Libro dei Mutamenti (Yi Jing) e studia/insegna cucina naturale e macrobiotica. E’ cuoco de www.lasanagola.com, curatore della rubrica “Salute” su www.agricolturabiodinamica.it ed autore del blog: “Come cucinare la nostra vita” http://blog.myspace.com/andreabiggio [email protected] 5 www.formazione-esperienziale.it [email protected]