Il razzismo in Parlamento - Associazione Apertamente

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Il razzismo in Parlamento - Associazione Apertamente
Il razzismo in Parlamento
Sabato 18 Gennaio 2014 10:18
di Gad Lerner, da Repubblica, del 15/1/2014 - Dietro i vigliacchi attacchi della Lega al ministro
Kyenge si nasconde il tentativo del Carroccio di far dimenticare il proprio passato affarista e
"arraffone" e di recuperare - cavalcando le proteste più becere e pericolose - uno spazio
elettorale all’estrema destra. Non a caso proprio ieri Salvini ha stretto alleanza a Strasburgo con
Marine Le Pen, leader ultranazionalista francese. Una duplice, speciale vigliacheria
contraddistingue la campagna orchestrata dalla Lega contro Cécile Kyenge. Vigliaccheria
numero uno: prima ancora che la linea politica, viene presa di mira la persona in quanto tale,
accusata perfino di «favorire la negritudine ». Così ieri a Montecitorio il deputato Gianluca
Buonanno è giunto a tingersi il volto per insinuare che per ottenere vantaggi in Italia
bisognerebbe farsi «un po’ più scuri».
Vigliaccheria numero due: i leghisti agiscono
surrettiziamente, pubblicando l’agenda della Kyenge sul giornale di partito senza neanche
avere il coraggio di scrivere a che scopo lo fanno. Dico e non dico, lancio il sasso e ritiro la
mano. Vigliacchi, appunto.
Un’ipocrisia evidenziata dal segretario Salvini che sogghigna rifugiandosi dietro al diritto alla
libertà d’informazione: che male c’è a divulgare degli appuntamenti pubblici? Mentre Roberto
Maroni, che pure sarebbe il presidente di una grande regione europea come la Lombardia,
finge di cascare dalle nuvole: «Non capisco perché contestare il ministro Kyenge sia un atto di
razzismo». Non capisce, poverino?
Per carità, la Lega non è razzista. Con gli africani è dispostissima a stringere affari. Lo ha
rivelato un’inchiesta di Claudio Gatti su “Il Sole 24 Ore”: subito dopo l’accordo italo-libico del
2008 per il respingimento in mare dei migranti, il suo tesoriere Belsito — che guarda caso la
Lega aveva inserito nel cda della Fincantieri — si diede da fare per vendere al regime di
Gheddafi pattugliatori e corvette sulle cui commesse tentò di lucrare col meccanismo dei
retropagamenti. Un po’ a te e un po’ a me. La magistratura sta ancora indagando. Se invece
una cittadina italiana nata in Congo viene incaricata dal governo di operare per l’integrazione
degli immigrati, allora si grida allo scandalo. La si addita al pubblico ludibrio.
La Lega si protende nel disperato tentativo di recuperare uno spazio elettorale all’estrema
destra. Ieri Salvini ha stretto alleanza a Strasburgo con Marine Le Pen, leader ultranazionalista
d’oltralpe, e chi se ne importa della coerenza federalista. Le stesse camicie verdi che un mese
fa al Lingotto di Torino scandivano in coro “Italia vaffa…” non esitano a scendere in piazza coi
Forconi che sventolano il tricolore. E quando si fa la posta alla Kyenge gli va benissimo di
ritrovarsi fianco a fianco coi fascisti di Forza Nuova.
Resta da chiedersi quale possa essere l’esito di questa offensiva razzista. L’intenzione è
evidentemente quella di far dimenticare l’onta del partito arraffapoltrone, funestato dalle ruberie,
marginalizzato a Roma ma tuttora bene inserito in tutte le postazioni di sottogoverno nel Nord.
Salvini confida nella memoria corta degli esasperati e degli incattiviti dalla crisi che morde.
Intuisce che a destra oggi c’è il vuoto e che l’Italia impoverita rimane territorio aperto per le
scorrerie dell’antipolitica.
Si tratta di un’operazione non solo cinica, ma pericolosissima. Il classico caso dell’apprendista
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stregone. Perché è molto improbabile che l’agitazione delle tematiche xenofobe e antieuropee
possa resuscitare un movimento screditato innanzitutto fra la gente che per un quarto di secolo
aveva illuso, traendone un potere esercitato maldestramente. Assai più probabile, purtroppo, è
che la crisi del forzaleghismo su cui s’innesta una tale velenosa campagna di diseducazione di
massa, favorisca l’avvento di una nuova destra estrema in grado di rivendicare la sua verginità
politica. Fa paura anche solo evocarla, perché il suo biglietto da visita è una violenza che da
verbale, “futurista”, fa in fretta a diventare squadrismo.
L’odio diffuso contro Cécile Kyenge — se non verrà rintuzzato al più presto — piuttosto che
beneficiare i suoi propalatori leghisti è più facile che generi fenomeni marginali ma devastanti di
militarizzazione. L’exploit greco di Alba Dorata sta lì a dimostrarlo.
Il ritornello che già si sente ripetere perfino dai megafoni televisivi, è un’accusa dal sapore
beffardo: l’aver nominato ministro una donna con la pelle nera viene additato come episodio di
un non meglio precisato «razzismo all’incontrario». Anche Buonanno, il deputato che si è tinto
la faccia a Montecitorio, ha adoperato questa espressione che non significa nulla, «razzismo
all’incontrario». Quasi che la ovvia parità di diritti naturalmente assegnata dalla cittadinanza
italiana fosse un privilegio insopportabile, un torto inflitto alla maggioranza dei “bianchi”.
Il razzismo ipocrita della Lega non è dissimile, nelle sue modalità espressive, dall’antisemitismo
del comico francese Dieudonné. Fermiamoli finché siamo in tempo.
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