insegnamento di diritto di famiglia

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INSEGNAMENTO DI
DIRITTO DI FAMIGLIA
LEZIONE VIII
“I PROCEDIMENTI MINORILI”
PROF.SSA TIZIANA TOMEO
Diritto di famiglia
Lezione VIII
Indice
1 Equo processo e rappresentanza del minore -------------------------------------------------------- 3 2 Interesse del minore-------------------------------------------------------------------------------------- 7 3 Rilevanza dell’interesse specifico ---------------------------------------------------------------------- 9 4 Criteri di valutazione dell’aspirante affidatario alla luce dell’interesse della prole ------ 10 4.1 Criteri economici ------------------------------------------------------------------------------------- 10 4.2 Il criterio morale -------------------------------------------------------------------------------------- 11 4.3 Il criterio logistico ------------------------------------------------------------------------------------ 12 4.4 Criterio psicologico ----------------------------------------------------------------------------------- 13 5 La diversità del genitore ------------------------------------------------------------------------------ 16 Bibliografia ---------------------------------------------------------------------------------------------------- 18 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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1 Equo processo e rappresentanza del minore
L’ottava lezione la dedicheremo alla figura del “minore” quale soggetto di diritto sia nella
famiglia che nella società, in considerazione del fatto che egli è il principio da cui originano
problematiche giuridiche, sociologiche e psicologiche.
Il perseguimento dell’interesse esclusivo e preminente del minore è il fine ultimo di ogni tipo
d’indagine e valutazione che debba essere esperito nella diagnosi della crisi della famiglia.
Tutti i principi evocati però, rischiano di rimanere vuote formule se non trovano la giusta
applicazione in altrettante disposizioni normative che le prevedano.
La rappresentanza del minore nel processo infatti è una questione da tempo dibattuta; già
negli anni 1982-1984 era stata sollevata questione di legittimità costituzionale dal tribunale di genova
con riguardo ai procedimenti di separazione e divorzio. In tale circostanza la corte costituzionale con
sentenza del 1986 ha disatteso le argomentazioni sostenendo che :<l’intervento obbligatorio del
pubblico ministero ed il potere del giudice di andare ultra petitum, disponendo d’ufficio indagini e
mezzi di prova, sono misure dirette d’ufficio a tutelare i minori, costituendo una scelta specifica del
legislatore che non ha ritenuto d’instaurare un conflitto tra genitori e figli e con l’attribuzione al
minore della qualità di parte garantendogli la nomina di un curatore per la rappresentanza>.
Con tale decisione però non si è comunque riusciti a sopire il dibattito antico e ciò nonostante
la presentazione di disegni di legge da parte di alcuni senatori, e dunque, il tema della rappresentanza
del minore è stato riproposto facendosi richiamo ad un curatore o ad un difensore.
Nel 1999 la corte d’appello di genova ha sollevato un’eccezione d’incostituzionalità degli
artt.333 e 336 del c.c. Nonché degli artt.738 e 739 c.p.c., per violazione degli artt.24- 2°e 3° comma
e 30 e 31 della cost nella parte in cui non si prevede la nomina di un curatore rappresentante del
minore relativo alla potestà genitoriale. Essa ha affermato che <nel procedimento ai sensi degli artt.
333 e 336 c.c. Nei quali il giudice assume ogni opportuno provvedimento per la prole, al minore non
è dato di stare in giudizio a mezzo di un curatore speciale per la tutela dei suoi interessi e neppure è
previsto che egli sia obbligatoriamente sentito. Di certo non si può negare che il minore sia titolare
d’interessi specifici, morali e patrimoniali ma fino a poco tempo fa essi non erano adeguatamente
protetti nemmeno dalla presenza del pubblico ministero il quale non sta in giudizio come sostituto
processuale poiché i poteri del pm non si ricollegano a quelli di un interesse specifico e particolare.
L’ordinanza continua ad elencare ad esempio che la <convenzione di new york e quella di strasburgo
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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consentono già di nominare un difensore al minore>, in virtù della quale la corte d’appello di genova
ha ritenuto che, facendo valere tale norma era possibile risolvere il problema ma sarebbe stato
comunque meglio se fosse intervenuto direttamente il legislatore per evitare contrastanti
interpretazioni. Evidentemente dovendoci attenere alla realizzazione del principio costituzionalmente
previsto del giusto contraddittorio ex art.111 si deve tenere in considerazione il fatto che <ogni
processo deve svolgersi nel contraddittorio tra le parti in condizioni di parità>. Dunque ci
avviciniamo all’importante istituto del processo minorile che pertanto rappresenta lo strumento per
individuare il bilanciamento tra diritti soggettivi pieni (ossia quelli del genitore ad educare il figlio e
quelli del minore ad essere educati adeguatamente per lo sviluppo della sua personalità). Del resto,
mentre in un giudizio ordinario il contraddittorio deve essere inteso come possibilità di partecipare
allo stesso, giudizio, da parte di tutti i soggetti per la ricostruzione della verità, in cosa sia possibile
invece evincere il puncutum individuationis della garanzia del contraddittorio nel processo minorile?
Sicuramente la prevalenza dell’interesse del minore non può valutarsi con riguardo alla
soddisfazione dei bisogni dell’adulto bensì solo ed esclusivamente in vista della realizzazione di
quelli del minore. Il principio di parità implica il riconoscimento di poteri di domanda, d’eccezioni e
di replica che non possono essere inquadrati nell’ambito del processo senza aver prima qualificato la
funzione ed i compiti dell’avvocato o del curatore con il minore. Detto questo è necessario
evidenziare anche il fondamentale diritto per quest’ultimo di essere ascoltato, in maniera diretta o
indiretta; in proposito è stato sostenuto da autorevole dottrina che sia molto meglio procedere
all’ascolto del minore senza intermediari, anche per bambini minori di dodici anni, in considerazione
della capacità di discernimento.
Il meccanismo che ha condotto a questa situazione ha origine dalla vigenza della legge
1°luglio 2007
delle c.d. Norme processuali, tra cui quelle riguardanti la difesa tecnica nei
procedimenti minorili, introdotte della legge n. 149 del 2001; esse però furono subito sospese per
inapplicabilità, in mancanza di una disciplina organica dell’istituto sul versante della giustizia civile
ed in particolare, nei procedimenti per la dichiarazione di adottabilità. Così il termine di sospensione
è stato di volta in volta prorogato mediante decreti legge con indicazione dell’ultimo fino al 30
giugno 2007, data alla quale la sospensione non è stata ulteriormente prorogata.
Quindi dal 1 luglio 2007 il principio della difesa tecnica deve essere applicato nelle procedure
per adottabilità e de potestate pur senza la relativa disciplina d’attuazione; così, per applicare il
principio in questione dovrà farsi riferimento ad una interpretazione delle norme vigenti in materia di
giustizia minorile e delle regole processuali in quanto applicabili.
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Per poter tentare un’interpretazione rispondente ai principi sistematici dovremmo evitare di
porre in essere un’esegesi di tale innovazione. Due sono state le spinte normative che hanno
determinato l’introduzione del principio della difesa tecnica nei procedimenti minorili, da un lato la
convenzione di strasburgo del 25 gennaio 1996 ( resa esecutiva in italia con la legge n.77 del 2003)come abbiamo già avuto modo di riferire nella parte introduttiva della lezione- che all’art. 9 ha
previsto segnatamente:“ nelle procedure riguardanti i fanciulli, allorché secondo la legge interna i
titolari delle responsabilità parentali siano privati della facoltà di rappresentare il fanciullo a causa di
un conflitto d’interessi con lui, l’autorità giudiziaria ha il potere di nominargli un rappresentante
speciale”.
Nelle procedure riguardanti i fanciulli dunque, l’autorità giudiziaria ha il potere di nominare
un rappresentante diverso per il fanciullo e nei casi appropriati un avvocato. Dall’altro lato la riforma
dell’art. 111 cost. Prevista dalla legge costituzionale del 23 novembre 1999 n. 2 ha introdotto il
principio secondo il quale la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge;
inoltre vi è anche l’altro il principio secondo il quale ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le
parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo ed imparziale ed in tempi ragionevoli
indicati dalla legge.
In applicazione della convenzione di strasburgo del 25 gennaio 1996, la legge 28 marzo 2001,
n.149, ha previsto l’assistenza legale del minore nelle procedure di controllo della potestà genitoriale
.
Con tale legge, in ottemperanza dell’innovazione costituzionale è stato pienamente
Introdotto nel nostro ordinamento il principio della difesa tecnica di tutte le parti in causa sia
nei procedimenti de potestate (riguardanti la decadenza o la reintegrazione nella potestà genitoriale,
la condotta pregiudizievole ai figli, la rimozione e riammissione all’esercizio dei beni del figlio), che
in quelli per l’adottabilità dei minori.
L’art. 37 della legge n. 149 prevede che all’art. 336 del codice civile sia aggiunto, infine, il
seguente comma: “per i provvedimenti di cui ai commi precedenti, i genitori e il minore sono assistiti
da un difensore”», mentre l’art. 10 della medesima legge (sostituendo l’art. 10 della legge n. 184 del
1983) ha previsto, al secondo comma, che, fin dall’atto dell’apertura della procedura per la
dichiarazione di adottabilità, i genitori ed i parenti del minore, che abbiano mantenuto rapporti
significativi con quest’ultimo, siano invitati dal presidente del tribunale per i minorenni «a nominare
un difensore», e, al contempo, siano informati «della nomina di un difensore di ufficio per il caso che
essi non vi provvedano», con la successiva precisazione che: «tali soggetti assistiti da un difensore
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possono partecipare a tutti gli accertamenti disposti dal tribunale, possono presentare istanze anche
istruttorie e prendere visione ed estrarre copia degli atti contenuti nel fascicolo previa autorizzazione
del giudice», e, all’art. 8, 4° comma, stessa legge, viene ribadito e precisato che: «il procedimento
per l’adottabilità deve svolgersi fin dall’inizio con l’assistenza legale del minore e dei genitori o degli
altri parenti di cui al 2° comma dell’art. 10». Restano fuori dal campo di applicazione della riforma
introdotta dalla l.149/2001 i procedimenti di separazione e divorzio nonché quelli per la
regolamentazione dell’affidamento dei figli naturali ex art. 317 bis c.c. In quanto il minore non è
considerato parte processuale in essi e non ha diritto ad un avvocato.
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2 Interesse del minore
All’espressione interesse del minore si può attribuire un duplice significato. O lo si considera
in vista della decisione adottata tenendo conto dell’esclusivo benessere del minore, come risulta
dall’art.3 della convenzione di new york del 20 novembre 1989, facendo così conservare al “bene” in
considerazione la pregnanza e la validità di una categoria giuridica oppure si conferisce allo stesso un
significato riduttivo, in virtù del quale, la valutazione di ciò che è bene ed è male è puramente
discrezionale, sottratta da qualunque verifica dialettica o di confronto.
Così’ qualificata però, la categoria dell’”interesse del minore”appare insufficiente ed
inadeguata rispetto all’orientamento che le viene assegnato dalla giurisprudenza tant’è che è
unanimemente considerata la sua scarsa plausibilità giuridica e coerenza sistematica, laddove
esistono numerosi indizi che la fanno assurgere a diritto soggettivo.
Tale convinzione la si forma considerando i settori nei quali il giudice, sia quello ordinario
che il minorile, adotta provvedimenti nell’interesse dei minori come: la separazione ex artt. 155 e
158 c.c. Ed il divorzio art.6 della legge sul divorzio, gl’interventi di controllo sulla potestà di
competenza del tribunale dei minori, l’accertamento della situazione di abbandono e la dichiarazione
di adottabilità (artt.1 e 8 della legge 184 del 1983), il riconoscimento della filiazione naturale e la
dichiarazione giudiziale di paternità naturale.
Tutti gli studi condotti sul tema della tutela dell’interesse del minore, non si riferivano
all’attendibilità ma ponevano in essere criteri di valutazione che assegnavano allo stesso
implicitamente una funzione cuscinetto. Abbiamo potuto constatare che il legislatore quando si
riferisce al minore usa sia la parola “diritti” che quella “interesse del minore”esplicitamente o con
espressioni equivalenti. Per tali motivazioni vi sarebbe dunque una differenza sia strutturale che
normativa tra interesse e diritto, soprattutto il primo deve servire a dare un’informazione precisa su
come possa essere tutelato il diritto del minore. Esiste un prius che è rappresentato dal diritto
soggettivo e che non s’identifica con l’interesse tant’è che si afferma che quest’ultimo sarebbe la
situazione giuridica soggettiva qualificata posta a fondamento del diritto minorile. Così l’interesse
del minore strutturalmente e funzionalmente non può sostituire il diritto soggettivo ma indica la
direzione verso la quale tutelare e garantire i diritti soggettivi. Possiamo considerare inoltre che il
passaggio che la giustizia minorile non riesce ancora a porre in essere è proprio quello
dall’amministrazione all’interesse del minore ad una giustizia che si configuri quale diritto del
minore.
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Tale transito lo si può rendere esecutivo con l’allocazione della giurisdizione minorile e
familiare all’interno delle principali regole processuali della giurisdizione ordinaria. Sicuramente
l’”interesse preminente del minore” è quello che si concretizza nell’unità della famiglia che spesso, a
causa della crisi prodromica alla separazione, di fatto non può rimanere unita. In casi simili dovrà
essere solo il giudice a fungere da ago della bussola e tener conto della maggiore idoneità di uno
piuttosto che dell’altro genitore, con riferimento all’aspetto materiale, psicologico ed affettivo ad
assicurare la tutela e lo sviluppo fisico, morale e psicologico dei minori e basandosi su motivazioni
concrete e non astratte ed immotivate considerazioni.
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3 Rilevanza dell’interesse specifico
A questo punto delle tante considerazioni svolte sul concetto d’interesse del minore, logica
conseguenza è che l’inevitabile lacuna del sistema non è altro che la conseguenza della mancata
demarcazione tra interesse e diritto, soprattutto se si considera che essendoci un maggiore
coinvolgimento del minore nel procedimento, quest’ultimo lo riguarda più direttamente.
Dunque “interesse del minore”significa rispettare le sue scelte così da favorirne lo sviluppo in
libertà ed autonomia ed il legislatore fa affidamento non tanto sulla partecipazione consultiva della
prole (pur limitata ad una fascia d’età) bensì sull’etero valutazione della prole ad opera del giudice e
dei genitori. Ad esempio nel caso di minore che abbia un’età compresa tra i 9 ed i 12 anni, di fronte
alla separazione il migliore interesse per lui sarebbe valutare la capacità educativa del genitore, il
tenore di vita, il tempo dedicato effettivamente alla prole e l’ambiente a contatto con il quale questa
si verrebbe a trovare in caso di assenza del genitore.
L’interesse del minore dunque, superiore ed esclusivo, esce dall’indifferenza e dalla pigrizia
pratica assurgendo a clausola generale nella determinazione del contenuto dei provvedimenti
giurisdizionali nei processi minorili. Tant’è che la convenzione di strsburgo prevede all’art. 3 non
solo che la prole venga informata ma che debba anche ricevere dal proprio rappresentante legale o
dal curatore speciale, ogni informazione sulle vicende processuali che riguardino i suoi interessi o di
esprimere la propria opinione, presa in considerazione tenendo conto dell’età e del grado di maturità.
Una caratteristica fondamentale delle disposizioni riguardo l’affidamento dei figli minori
attiene al dato che esse sono mutevoli tant’è che non passano mai in cosa giudicata, essendo sempre
allo stato degli atti, in base a quanto col modificarsi delle situazioni possa ritenersi più tutelante una
determinata decisione piuttosto che un’altra.
La conclusione che al momento possiamo tentare di trarre, senza per questo poter essere
sicuri di aver dedotto una verità assoluta, è che l’art. 155 4° comma c.c. Trova applicazione anche
nel caso in cui l’affidamento della prole sia condiviso, fermo restando il dovere del giudice di
valutare comparativamente le rispettive situazioni, spiegando i motivi della preferenza accordata al
genitore affidatario o affidamento parziale di alcuni soltanto dei figli.
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4 Criteri di valutazione dell’aspirante affidatario alla
luce dell’interesse della prole
Recita l’art. 155 c.c.9° comma che:<i coniugi hanno diritto di chiedere in ogni tempo la
revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli>.
Con tale principio scolpito dal nostro legislatore, appare evidente che in ogni tempo i
provvedimenti riguardanti l’affidamento dei figli possano essere modificati quando le esigenze
sopravvenute, cagionino e giustifichino tale cambiamento.
E’ pur vero però che dando prioritaria rilevanza alla manifestazione di pensiero della prole, se
da un alto potrebbe annullare il gravoso onere di cui è investito il magistrato nella valutazione dei
genitori al fine di determinare quello più “idonee”, dall’altro espone il minore stesso a veder
incrinato il proprio rapporto con l’altro genitore che sarebbe pertanto respinto. Ecco che al fine di
evitare altre incomprensioni e malanimi che presumibilmente e verosimilmente in una famiglia in
crisi, esistono sempre, il magistrato può servirsi di criteri di supporto come quello economico,
morale, logistico, psicologico.
Il giudice può tenere conto, dunque nella scelta del genitore al quale affidare in maniera
esclusiva la prole, della dotazione economica (cass. 17/9/92 n. 10659) così che il minore possa essere
affidato alla madre con facoltà per la stessa di condurlo a vivere nella sua terra; nella fattispecie presa
in esame dalla corte, tale aspetto era tanto più rilevante e determinante proprio in quanto la donna,
già economicamente agiata, non avrebbe dovuto lavorare per vivere, potendosi occupare
continuativamente del figlio.
E pur vero però che dare così tanto rilievo all’aspetto in esame, potrebbe spingere i giudici a
far passare per secondario l’elemento che invece è responsabile di trasformare l’affidamento in una
vendita al migliore offerente.
In un’altra sentenza infatti si è rivalutata proprio la figura del padre il quale, nella fattispecie
considerata è riuscito ad assicurare alla propria bambina una vita serena, forse anche in maniera
maggiore di quanto sia riuscito a garantirle durante la convivenza con entrambi i genitori, nel
tentativo di ricostituire il focolare domestico in un parco con zona giochi ma soprattutto creando
attorno alla bambina, con l’aiuto dei familiari, quel calore che con la madre, troppo autoritaria, non
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aveva avuto nei primi mesi di vita. (corte app. Messina 1979). La corte d’appello però ha anche
considerato rassicurante la stessa attività esercitata dal padre della minore, ossia la professione di
medico che, con la sua alta qualificazione acquisita con lo studio presso l’università di firenze, gli
hanno consentito di sovrintendere e provvedere direttamente alle condizioni fisiche e mentali della
minore.
Il tribunale di milano con sentenza del gennaio 1997, ancora predilige, per l’ampia e
documentata disponibilità patrimoniale e reddituale in italia e all’estero, il mantenimento integrale
per la figlia di un altro padre, tanto da statuire il diritto di visita alla minore da parte della madre solo
nella città di residenza del padre, milano appunto.
Non sempre però le situazioni si presentano così nette e di facile soluzione per l’organo
giudicante, infatti il tribunale di napoli nel 1987 adotta una decisione significativa ed alquanto
complessa.
La controversia presa in esame ha ad oggetto l’affidamento “spezzato” tra i coniugi dei
rispettivi figli, in quanto al padre ne sono stati affidati due ed alla madre oltre le due figlie. Il padre
versa alla donna il mantenimento per le figlie e le altre loro occorrenze erano coperte dal suo nuovo
convivente. Nelle more accade che la madre eccepisce di non poter più provvedere alle figlie essendo
finita la sua convivenza con l’uomo che provvedeva alle esigenze delle stesse. Allora inizialmente la
valutazione fatta dai magistrati era nel senso di affidare anche le figlie al padre il quale però, avendo
costituito una famiglia allargata con la sua convivente ed i figli della stessa, ha manifestato le serie e
gravi difficoltà di convivenza del nuovo possibile gruppo familiare oltre a far emergere il dato
ostacolante ossia, le dimensioni dell’abitazione troppo piccola. Ovviamente il rifiuto manifestato da
entrambi a prendersi cura delle bambine non è stato bene interpretato dai magistrati i quali hanno
ravvisato motivi di egoismo a giustificazione del diniego, piuttosto che l’esiguità dell’abitazione e
l’inadeguatezza del salario. La soluzione dei giudicante è stata necessariamente “mista” e nel senso
che le figlie non possono essere private dell’affetto dei genitori e poste in un istituto, atteso che i
genitori hanno il dovere di mantenerle e restano pertanto affidate ad entrambi con previsione per il
padre di prendersi cura di loro durante il giorno e la madre durante la notte; questa inoltre sarà tenuta
ad esercitare la patria potestà ed il padre potrà diminuire l’assegno di mantenimento.
Nell’ottica di una valutazione oggettiva e completa degli aspetti che determinano
l’affidamento all’uno piuttosto che all’altro genitore, quello morale attiene al modus vivendi degli
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stessi; certamente chi dei due che non riceve l’affidamento, sarà risultato non idoneo, non avrà
superato il testo per ottenere l’affidamento.
E’ evidente che non sia una valutazione piacevole da espletare, quella che abbia come
movente la selezione del genitore dal punto di vista della moralità, ma va anche detto che è di gran
lunga da preferire un momentaneo di dolore (strappando un fanciullo da un ambiente malsano)
piuttosto che lasciarlo su un campo insano e pregiudizievole. Non può dirsi molto di più riguardo ad
un esame simile, niente di più se non che debba garantirsi un “buon esempio” per l’acquisizione di
valori etico-normativi propri della società.
Il legislatore ha sempre agito nel caso dell’affidamento di un minore avendo di mira
l’interesse della prole, pertanto anche la decisione presa da un genitore di trasferirsi altrove rispetto
alla casa familiare può essere un’ipotesi; anche il genitore affidatario potrebbe decidere di spostare la
propria residenza, allontanando in tal modo il figlio dall’altro genitore, così vanificando anche i
diritti di quest’ultimo a mantenere un legame con il genitore.
Va detto che la giurisprudenza al riguardo è stata chiara, quando afferma il sacrosanto diritto
dell’affidatario di non essere ristretto nella sua libertà di trasferirsi (cass. 2817/1991). Esistono
pronunce che, al fine di garantire ai minori la continuità delle relazioni in un contesto stabile e
rassicurante, escludono che il figlio possa essere affidato al coniuge residente all’estero o a quello
straniero ritornato nel paese d’origine. Il problema potrebbe essere evitato nel momento in cui i
genitori tra loro, dovessero riuscire a trovare un accordo garantendo al minore la possibilità di essere
seguito grazie alla collaborazione di entrambi.
E’ ovvio che la situazione della lontananza tra padre e madre, nel momento in cui si
manifesta la disgregazione della famiglia, renderà sempre più difficile la permanenza di un rapporto
di familiarità con il minore; infatti anche gli stessi magistrati, devono tener conto se le condizioni
economiche dei membri dell’originaria famiglia permettono di mantenere in vita un così dispendioso
rapporto basato sulla lontananza e se il legame intercorso tra genitori e figli è tale da richiedere
comunque lo sforzo di un affidamento all’estero.
Per tali argomentazioni, la corte di cassazione (1732/1995) si è espressa favorevolmente
all’affidamento di un minore alla madre residente all’estero, (nonostante l’eccezione sollevata dal
padre e motivata dalla sua impossibilità di esercita il diritto di educare, istruire e sorvegliare
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moralmente il proprio figlio) sul fondamento che innanzi tutto ella era già l’unica affidataria da
sempre ma rispondeva inoltre agli interessi morali e materiali del bambino.
Caso opposto è quello in seguito al quale, si era verificato da parte del genitore straniero, il
tentativo di rapire i figli. Il tribunale di venezia ha infatti affidato le figlie al padre proprio perché
esisteva il precedente del tentativo di rapimento.
La conclusione allora è solo una ossia, nel contrasto tra il diritto del genitore affidatario ex
art. 16 2° comma cost. Ed il diritto del non affidatario di vigilare sull’educazione del figlio e di
partecipare inoltre alle decisioni importanti della sua vita, la corte ritiene che la distanza tra le parti
non possa giustificare la limitazione del primo ma quasi un azzeramento del secondo.
Esiste poi un’altra fattispecie da inserire nel criterio logistico che è quella del genitore lontano
ma quella che maggiormente appare più complessa è la problematica sottesa dalla figura del genitore
in un contesto a rischio o con necessità specifiche. Potrebbe essere l’ipotesi per esempio del genitore
che pur non essendo lontano condivide con altri la residenza familiare.
Il tribunale di trani, in una sua pronuncia del marzo 1977 ad esempio, ha manifestamente dato
la giusta importanza alla volontà espressa da un bambino di essere ascoltato, essendo adeguatamente
capace di discernere la propria condizione, nella quale viveva un evidente disagio ovvero l’esistenza
di altri figli più grandi, proveniente da unioni precedenti dei suoi genitori, e con i quali non era
riuscito mai ad instaurare un rapporto sereno.
Una particolare situazione invece potrebbe essere quella di un genitore che, affetto da sclerosi
multipla, ma ancora idoneo al lavoro, al contrario non lo è stato ritenuto per l’affidamento congiunto
del figlio. Impostogli di versare l’assegno di mantenimento e di affrontare le spese mediche e
scolastiche del figlio, egli è stato inoltre onerato a trovarsi un’altra abitazione in considerazione del
fatto che la casa familiare è assegnata alla moglie affidataria pur avendolo considerato idoneo
all’affidamento congiunto (trib. Catania 2 luglio 2003).
Il compito del genitore nei confronti di un figlio è quello di ex-ducere come dicevano i
romani, ossia di “far venire fuori” con la primaria funzione di educare, le qualità della prole. Il
genitore deve inoltre ovviare, o almeno tentare di farlo, alle incapacità dei figli, realizzando la
formazione fisica e spirituale ed il suo inserimento nella società affinchè diventi soggetto utile e
cosciente. Ciò è realizzabile unicamente promuovendo la personalità del figlio, soddisfacendo le sue
esigenze materiali, morali e affettive; è appunto il caso di evidenziare che il magistrato non può che
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porre in essere un giudizio prognostico al riguardo. L’organo giudicante dovrà considerare la
capacità di relazione affettiva, l’attenzione e la comprensione nell’assiduità del rapporto e della
stessa personalità del genitore, la consuetudine di vita nonché l’ambiente nel quale può inserire il
bambino.
Se il genitore è incapace di rendersi conto che con la propria condotta può causare un danno
grave ed irreparabile alla personalità del minore, anche se non agisce con dolo, comunque non è
idoneo a svolgere il suo compito. In verità non è considerata necessaria la consumazione del danno
bastando già solo il pericolo che esso si verifichi, atteso che nella sua forma antecedente alla
consumazione è già di per sé irreparabile. Affidare un minore ad un genitore infermo di mente è una
questione molto complessa in quanto equivarrebbe ad affidare un incapace ad un incapace. Se poi si
sviluppano quelle ipotesi a seguito delle quali è lo stesso genitore infermo a richiedere e pretendere
assiduità con il figlio, allora si entra in una casistica dai risvolti molto articolati e delicati che
richiedono una valutazione caso per caso; di contrario avviso ci sarebbe l’orientamento di chi invece
considererebbe l’affidamento ad un genitore in condizioni d’infermità addirittura curativo per lo
stesso, parlando di disparità di trattamento e violazione dei canoni costituzionali in caso di non
ammissione appunto. Del resto se non devono esistere differenze per il genitore che abbia idee
religiose o politiche differenti non si comprenderebbe per quale motivo dovrebbe essere
determinante per il non affidamento la malattia mentale anche se adeguatamente valutata caso per
caso.
La figura del genitore violento che come tale può essere anche suscettibile di applicazione
delle limitazioni di potestà o addirittura ablazione della stessa, formerà oggetto di un capitolo a parte
nel quale verrà esaminata anche la recente figura del reato noto con il termine di stolking. Qui preme
esaminare le situazioni sottese alle figure del genitore disinteressato o indifferente e del genitore
incapace.
Quanto al primo c’è da dire che la consulenza psicologica non è molto richiesta e la
situazione implica più uno studio del comportamento del padre che non della madre; è pur vero che
un comportamento freddo di un genitore non lascia indifferente un figlio che divenuto adolescente e
pienamente consapevole, sia delle proprie motivazioni che dei propri sentimenti, provi poi nei
confronti del genitore al quale era stato affidato, sentimenti di avversione o di rivalsa. Essi
difficilmente possono essere rimossi e nemmeno un semplice cambio di ambiente più bastare a
giustificare l’affidamento all’altro genitore (cass. 2 giugno 1983 n. 3776).
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Altre volte però, gli stessi buoni sentimenti che quasi per natura e scontatamente si appurano
in una madre, rappresentano l’animo del padre il quale è capace di dedicarsi alla crescita nonché alla
cura del proprio figlio con grande attenzione, scrupolo ed amore. Non di rado accade che la madre
sia presa da una smania di autorealizzazione che la spinge a non far mancare mai nulla, in termini di
materialità, alla propria prole ma nulla concede invece affettivamente. Di tutte queste sfumature il
giudice deve tener conto al fine di non rendere dolorosa la convivenza della prole con il genitore
affidatario meno gradito.
Ecco che il passaggio all’altra figura da esaminare”il genitore incapace”, avviene
naturalmente. Per incapace deve intendersi non chi risulti interdetto o inabilitato, bensì chi non sia
affatto in condizione di poter espletare la propria mansione, non essendo in grado di badare al figlio
minore per i motivi più svariati. E’ incapace quel padre che “taglia fuori” dal suo mondo il proprio
figlio, impedendogli di avere amicizie e di giocare con i coetanei, in tal caso è evidentemente
corrispondente all’interesse prevalente della prole l’affidamento alla madre solamente; determinante
è anche una forte svalutazione della moglie con scarsa autoanalisi ed autocritica così da sminuire e
minimizzare comportamenti che sono concorsi a causare il deterioramento della coppia.
In certe situazioni purtroppo (app. Genova 6 febbraio 2004), entrambi i genitori hanno scarso
senso della realtà preoccupati più di mettere in cattiva luce l’altro genitore senza minimamente
considerare che così facendo , perdono la possibilità di divenirlo loro stessi. I genitori in tal caso
sono incapaci di rendersi conto che la realtà venutasi a creare sia stata causata dalla loro
superficialità e dalla loro condotta.
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5 La diversità del genitore
La diversità che qui s’intende esaminare, non riguarda come potremmo essere indotti a
desumere ictu oculi, la diversità solo sessuale, bensì quella che è da intendersi nella sua accezione
più ampia, ovvero religiosa, di nazionalità, culturale ed il giudice è tenuto a sottoporre a precisa
valutazione quale influenza abbia una tale qualificazione sulla crescita della prole
E’ attuale il problema dei matrimoni “misti”che in caso di rottura del vincolo poi,
determinano serie difficoltà nella valutazione di quale sia il genitore più idoneo per l’affidamento che
non potrà che essere esclusivo, atteso che nella maggior parte dei casi, il genitore straniero tende e
far ritorno in patria. Si sarebbe portati ad affermare che svolgendosi in italia un giudizio simile, il
coniuge italiano appunto possa essere favorito; ma non sempre è quel che accade. Di sovente infatti,
nella valutazione e nel perseguimento dell’interesse prevalente del minore, quello che appare essere
il genitore più tutelante è proprio lo straniero, senza che possano avere alcun conto le doglianze
espresse dall’altro che reclama, giustamente la sua parte di potestà per il controllo dell’educazione ed
istruzione della prole.
Emblematico è il caso di una coppia iraniana, nella quale si pretendeva l’affidamento della
prole in considerazione del sesso dell’affidatario, non rilevando l’effettiva attitudine a prendersi cura
della prole (in contrasto con il divieto di discriminazione di sesso ex art. 3 e 29 cost); ciò oltre ad
essere in palese contraddizione con il principio dell’ordine pubblico internazionale ex art.31
disp.gen. Sulla legge lo è anche con agli altri, ovvero quello non confessionale e rispettoso delle
libere scelte individuali, i quali non consentono che i credo religiosi dei genitori (nella fattispecie del
padre) possano assurgere a criterio per l’indicata scelta dell’affidatario.
Anche attribuire importanza al sesso dell’affidatario, astraendo dalla concreta attitudine a
prendersi cura della prole, in contrasto con il divieto di discriminazione dei sessi, non è un modo di
valutazione attendibile. La cassazione infatti nella sentenza n. 1714 del 1985, afferma che anche
l’esigenza di arricchire la formazione del minore con l’apprendimento della lingua paterna non è
compromessa dall’affidamento alla madre, anche in considerazione della sua ampia disponibilità a
favorire la frequentazione del padre da parte del figlio. Quanto descritto evidentemente è una
situazione estrema ma che comunque non è molto differente da ciò che accade all’interno del nostro
paese, quando un genitore cittadino italiano dovesse appartenere ad una minoranza etnica o
linguistica, la tal coso non può mai comportare un affidamento così pregnante da ingenerare nel
minore un gravissimo disorientamento psicologico ed affettivo, poiché la graduazione degli interessi
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tutelandi impone che si dia una preferenza all’esigenza di equilibrio psico -affettivo del minore
rispetto alla tutela della sua identità etnica. La conclusione è che il giudice debba per forza di cose,
sacrificare l’appartenenza del minore alla minoranza etnico-linguistica che possa derivargli da uno
dei genitori laddove la sua stessa appartenenza non si configuri come il miglior modo per tutelare i
propri interessi.
Per quanto attiene l’aspetto del credo religioso, si può certamente affermare che esso sia
irrilevante, anche se lo scontro maggiore si determina tra quella cristiana e la musulmana. Esistono
religioni che implicano conseguenze anche sulla vita quotidiana e sulle relazioni sociali come ad
esempio quella dei testimoni di geova ma anche in tal caso i giudici hanno il compito di considerare
quale genitore si comporti in modo tale da garantire maggiormente l’interesse del minore anche
magari imponendogli di mitigare aspetti del credo professato troppo rigidi e deleteri per la crescita
della prole.
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Bibliografia
• Lezioni di diritto di famiglia, aiaf 2005;
• Lina Bregante, Diritti e doveri del genitore separato non affidatario nei confronti dei
figli, giappichelli
• _De Filippis, Separazione e divorzio nella dottrina e nella giurisprudenza, Cedam
• _G. Bonilini, Il diritto di famiglia vol iii filiazione ed adozione
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