Untitled - Rizzoli Libri
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alex ross senti questo Traduzione di Andrea Silvestri Si ringrazia Lorenzo Parmiggiani per la consulenza musicologica Ross, Alex, Listen to this Copyright © 2010 by Alex Ross. All rights reserved including the rights of reproduction in whole or in part in any form ISBN 978-88-452-6719-2 © 2011 Bompiani / RCS Libri S.p.A. Via Angelo Rizzoli 8 - 20132 Milano Prima edizione Bompiani maggio 2011 A Daniel Zalewski e David Remnick ... contemplo l’orgogliosa e inutile scia. Che, non allontanandomi da nessuna patria, non mi conduce verso nessun naufragio. Samuel Beckett, Molloy@ Prefazione Scrivere di musica non è particolarmente difficile. Chiunque abbia coniato l’epigramma “Scrivere di musica è come danzare sull’architettura” – una frase che è stata variamente attribuita a Martin Mull, Steve Martin ed elvis Costello1 – non ha fatto che confondere le acque. La critica musicale è una scienza singolare e incerta, e il suo gergo spazia dal legnoso (“La Quinta di Beethoven comincia con tre Sol e un Mi bemolle”) al magniloquente (“La Quinta di Beethoven inizia con il destino che bussa alla porta”). Tuttavia, non è più incerta di qualunque altro tipo di critica. ogni forma d’arte elude i lacci della descrizione verbale. Scrivere di danza è come cantare sull’architettura; scrivere di letteratura è come costruire edifici sul balletto. C’è un confine avvolto da fitte nebbie oltre il quale il linguaggio non può andare. Un critico d’arte può dire di Orange and Yellow di Mark rothko che consiste di un’area di giallo fluttuante su una di arancione, ma quanto può essere utile a chi non ha mai visto un rothko? il critico letterario può copiare qualche riga di Esthétique du Mal di Wallace Stevens: and out of what sees and hears and out of what one feels, who could have thought to make 9 So many selves, so many sensuous worlds…* e tuttavia, quando si tenta di chiarire il significato di questi versi, quando si tenta di dar voce alla loro silente musicalità, comincia un’altra danza disperata. allora, perché ha preso piede l’idea che nella musica in particolare ci sia qualcosa di inesprimibile? La spiegazione risiede forse in noi stessi, più che nella musica. a partire dalla metà del xix secolo, il pubblico accolse l’idea che la musica fosse una sorta di religione secolare o di politica spirituale, investendola di messaggi tanto urgenti quanto vaghi. Le sinfonie di Beethoven promettono la libertà politica e individuale; le opere di Wagner infiammano l’immaginazione di poeti e demagoghi; i balletti di Stravinskij scatenano energie primitive; i Beatles incitano alla rivolta contro costumi morali vetusti. in ogni epoca storica ci sono alcuni compositori e musicisti creativi che sembrano custodire i segreti del proprio tempo. La musica non può tuttavia caricarsi di tali fardelli, e quando parliamo della sua ineffabilità la stiamo forse proteggendo dalle nostre pretese eccessive. Poiché anche nel venerare i nostri idoli musicali li costringiamo a indurre determinate emozioni a comando: un adolescente spara a tutto volume l’hip-hop per darsi la carica, una dirigente di mezza età ascolta un cd di Bach per rilassarsi. i musicisti si ritrovano stranamente in un reliquiario, e al tempo stesso in schiavitù. Scrivendo di musica, tento fino a un certo punto di smitizzare l’arte e demistificarne l’abracadabra, pur continuando a rispettare la sconfinata ricchezza di sfaccettature che essa dona all’esistenza umana. * “e da ciò che vede e sente e da ciò / che prova, chi avrebbe potuto pensare di trarre / così tante identità, così tanti mondi sensuosi?” (N.d.T.) 10 Dal 1996 ho l’enorme fortuna di lavorare come critico musicale per il New Yorker. ottenni il posto a ventotto anni: ero indubbiamente troppo giovane, ma mi sforzai di trarre il massimo profitto dalla mia buona sorte. fin dall’inizio, il direttore mi incoraggiò ad assumere un’ampia prospettiva sul mondo musicale, evitando di limitarmi a seguire le apparizioni delle star alla Carnegie Hall e al Metropolitan opera per appostarmi in spazi più modesti ad ascoltare voci più giovani. Seguendo le orme dei miei predecessori, andrew Porter e Paul Griffiths, ho sempre considerato i compositori contemporanei degni di un trattamento altrettanto riverente di quello riservato ai maestri canonici – un’impostazione che ha portato al mio primo libro, Il resto è rumore. Ho inoltre compiuto periodiche escursioni nel mondo del pop e del rock, anche se, essendo di formazione classica, provo sempre una certa insicurezza nell’avventurarmi al di là dei suoi confini. in sostanza, mi accosto alla musica non come a una sfera autosufficiente, bensì come a un modo per conoscere il mondo. Senti questo unisce vari articoli apparsi sul New Yorker, la maggior parte dei quali profondamente rivisti, a un lungo pezzo scritto per l’occasione. il volume inizia con tre rilievi aerei del paesaggio musicale, abbracciando sia il territorio classico sia quello pop. il primo capitolo, che dà il titolo al volume, era originariamente nato come una prefazione a Il resto è rumore, anche se non tardai ad accorgermi della necessità di renderlo un saggio autonomo. È una sorta di autobiografia trasformata in manifesto, e la sua pubblicazione provocò una reazione sorprendentemente vivace nei lettori, che nei mesi successivi mi scrissero centinaia di lettere ed e-mail. Gran parte dei messaggi provenivano da studenti di musica e neodiplomati al conservatorio che si sforzavano di conciliare la grandiosa tradizione entro cui si erano formati con 11 la cultura pop in cui erano cresciuti. La profonda frustrazione che come me provano davanti allo stereotipo della musica classica con il pince-nez pervade il libro da cima a fondo. La novità è il secondo capitolo, “Ciaccona, Lamento, Walking Blues”, una vertiginosa storia della musica narrata attraverso due o tre linee di basso ricorrenti. “Macchine infernali” raccoglie varie riflessioni sull’intersezione tra musica e tecnologia. Con una vaga mappa in mente, seguo quindi le tracce di una dozzina di musicisti, viventi e defunti: compositori, direttori, pianisti, quartetti d’archi, gruppi rock, cantautori, insegnanti di banda delle scuole superiori. nell’ultima parte del volume, tento di descrivere in modo più personale tre figure radicalmente diverse – Bob Dylan, Lorraine Hunt Lieberson e Johannes Brahms – che toccano corde quasi troppo profonde per poter essere descritte a parole. il mio ultimo libro si dispiegava su un vasto affresco storico, nel quale le forze della politica minacciavano costantemente di sopraffare le voci solitarie; questo è più intimo, più circoscritto, e in esso si ritorna più volte sull’eterna questione del significato fondamentale della musica per i suoi creatori e ascoltatori. Mi interessa soprattutto comprendere come una forte personalità possa imprimersi su un mezzo intrinsecamente astratto: come una fugace sequenza di note o accordi possa recare il marchio inconfondibile di una persona, restituendocene i vezzi caratteristici quasi fosse presente. L’unico tratto che accomuna questi uomini e queste donne posseduti dalla musica è di essere diversi tra loro, e da chiunque altro. Molti sono esiliati, girovaghi, esploratori senza requie. Un timido esponente dell’avanguardia finlandese diventa una celebrità a Los angeles. Una cantante islandese danza per le strade di Salvador de Bahia. Una pianista giapponese interpreta il repertorio tedesco sulle colline del Vermont. Un dinosauro del 12 rock vagabonda per il paese, decostruendo i propri successi. Un grande compositore tedesco attraversa un paesaggio interiore devastato dalla tristezza. in un modo o nell’altro, seminano lo scompiglio nel genere in cui si trovano ad abitare, qualunque esso sia, trasformando ciò che è familiare in qualcosa di insolito. La Grande enciclopedia sovietica, in uno dei suoi momenti più lucidi, definiva la musica “una specifica variante dei suoni emessi dalle persone”.2 La difficoltà dello scrivere di musica, in definitiva, non consiste nel descrivere un suono, ma un essere umano. È un lavoro insidioso, presuntuoso quando si tratta dei vivi, congetturale nel caso dei morti. nonostante ciò, spero di offrire qualche sguardo rivelatore su queste sensuose identità. Dove ascoltare Se si desidera ascoltare la musica esaminata in queste pagine, una guida gratuita è disponibile sul sito http://www.therestisnoise.com/2006/07/ listen-to-this-playlist.html. Là troverete esempi in streaming organizzati per capitolo, insieme con link a siti ricchi di tracce audio e ad altri canali per l’accesso diretto alla musica. È inoltre possibile trovare una playlist di iTunes di brani scelti all’indirizzo www.therestisnoise.com/playlist. Per un glossario inglese di termini musicali, si veda www.therestisnoise.com/glossary. 13