L`Arte dei legnaioli: intagli e tarsie fiorentine

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L`Arte dei legnaioli: intagli e tarsie fiorentine
n° 324 - marzo 2006
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L’Arte dei legnaioli:
intagli e tarsie fiorentine
Le prime notizie dell’Arte
dei Legnaiuoli a Firenze
risalgono al 1280, quando
un certo numero di “cassettai”, nel clima di una
riorganizzazione collettiva
che investiva allora l’intera città comunale, acquistò alcune case e botteghe per lavorare il legno.
Il gruppo si era posto fin
dall’inizio sotto la protezione della Vergine e per
questo celebrava la sua festa il 25 marzo, giorno dell’Annunciazione, quando
i suoi membri si recavano
in processione alla chiesa
di Orsanmichele a fare l’offerta dei ceri. La corporazione dei Legnaiuoli ebbe
il proprio stemma sulla
facciata del Palazzo della
Mercanzia: raffigurava un
albero fronzuto dalle radici scoperte con un cassone. Insieme agli emblemi
delle altre numerose Arti
praticate in città, lo stemma
rappresentava il segno tangibile del primato conseguito da questa particolare manifattura, nel panorama non solo cittadino,
ma anche extra territoriale.
Col passare degli anni l’arte
dell’intaglio e della tarsia
acquisì sempre più risonanza inducendo signori
e potenti di altre città a
commissionare i loro arredi lignei alle maestranze
fiorentine. Intorno alla seconda metà del Quattrocento, Firenze contava circa
sessanta botteghe dove artigiani di varia fama realizzavano pregevoli lavori
in legno, soprattutto utilizzando le venature naturali dell’ulivo, le calde to-
nalità del noce e del ciliegio, la robustezza e il vigore del palissandro e la
docilità dell’acero. Dopo
la lavorazione della lana,
della seta e delle pietre preziose, l’ebanisteria rappresentava dunque la maggiore attività della città.
Le committenze pubbliche consentivano la realizzazione di grandi imprese lignee con i cori e gli
arredi ecclesiastici delle
chiese fiorentine, come ad
esempio il bellissimo rivestimento della Sacrestia
delle Messe della cattedrale
di Santa Maria del Fiore,
capolavoro che aveva impegnato, nell’arco di circa
quarant’anni, le maggiori
botteghe del settore. Alla
monumentale impresa avevano partecipato noti scultori e intagliatori del periodo: Agnolo di Lazzaro
detto de’ Cori, Antonio di
Manetto Ciaccheri, Giuliano da Maiano, Giovanni
da Gaiole. Per non parlare
poi degli arredi che impreziosivano le dimore patrizie, come i cassoni nuziali, i deschi da parto, gli
scanni, le credenze, gli
stalli, i mobili intarsiati
con motivi vegetali o complesse vedute prospettiche di città ideali che in
occasioni di matrimoni,
nascite o riallestimenti patronali venivano richieste
ai mastri legnaiuoli. Memorie di questi manufatti
si trovano ancora oggi negli antichi inventari delle
nobili casate quali simboli
di una magnificenza esibita e spesso emulata. Insieme alle sculture, ai qua-
dri, agli arazzi e alle suppellettili di porcellana e
argento, gli ambienti delle
blasonate case cittadine,
offrivano una ricchissima
tipologia di arredamento,
dove l’arte dell’intaglio e
della tarsia regalava effetti
originali e pregevoli. Dalle
descrizioni delle fonti antiche scopriamo che l’opera
lignea era molto richiesta
e subiva la stessa fortuna
collezionistica e di mercato di altri oggetti artistici, unendo la sensibilità del modellato scultoreo, all’abilità dell’intaglio e della tarsia, in una
vera e propria “pittura di
legno”. L’apprezzamento
dei committenti verso quest’arte trovava conferma
anche nelle splendide e
monumentali cornici che
soprattutto a partire dal
tardo Quattrocento cominciarono ad impreziosire celebri pitture; la Madonna della Melagrana di
Sandro Botticelli trovò un
giusto coronamento con
la bellissima cornice lignea realizzata da Giuliano da Sangallo, mentre
alla Pala Nerli di Filippino
Lippi venne donata una
spazialità magica con la
stupenda cornice attribuita
a Chimenti di Francesco
Bottega fiorentina del XIV secolo:
Cassone dipinto con la spedizione degli Argonauti
Firenze, Museo Nazionale del Bargello
Porta - Firenze, Palazzo Vecchio
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di Domenico del Tasso.
Oltre ai mobili di varia destinazione, dalle botteghe
fiorentine dei legnaioli
uscivano anche opere destinate all’architettura di
interni, con elementi che
successivamente dipinti
venivano a fornire un suggestivo complemento alle
strutture murarie; si pensi
ai palchi lignei, poi decorati, visibili nel Quartiere
di Eleonora, o al soffitto
della Sala dei Gigli in Palazzo Vecchio; ai soffitti
con le travature per capriate destinate a ricevere
una ricca decorazione pittorica come quelle della
basilica francescana di Santa
Croce. I cassoni nuziali
prima ricordati offrono
forse la testimonianza più
antica nella storia di questa tecnica artistica. Fra i
rari cassoni medioevali fiorentini pervenutici nei secoli, si ricorda il Forziere
nuziale conservato al Museo Stibbert, il Cassone
ferrato e dipinto del Museo Davanzati e il meraviglioso esemplare con La
spedizione degli Argonauti
del Museo Nazionale del
Bargello.
Generalmente gli artisti
che realizzavano tali capolavori in legno, possedevano grande maestria per
il modellato e non raramente le mani che forgiavano mobilio o intagliavano frontali di cassoni, si
trovavano anche ad eseguire vere e proprie sculture lignee che niente avevano da invidiare ai modelli lapidei. La grande
manualità di quest’arte
trova un’ulteriore conferma
nei tanti disegni preparatori che gli artisti del legno realizzavano prima di
cimentarsi nei complessi
Soffitto della Sala delle Udienze - Firenze, Palazzo Vecchio
programmi iconografici richiesti dai committenti. La crescente
abilità degli intagliatori,
fece sì che pur con la tenace sopravvivenza di un
repertorio ornamentale ancora gotico, si potessero
applicare soluzioni ispirate alle conquiste prospettiche brunelleschiane
con specchiature illusionistiche volte a suggerire
effetti scenici sempre più
complessi. Anche la tarsia, con i lacunari di spalliere o di porte, fece un ulteriore salto di qualità rendendo magistralmente col
legno i disegni forniti da
artisti del calibro di Maso
Finiguerra, Antonio da
Sangallo, Alessio Baldovinetti e Sandro Botticelli.
Gli strumenti necessari
alla lavorazione ebanistica,
come sgorbie, bulini ed
altri ferri, dovevano dunque inevitabilmente ripercorrere tracce di un impianto grafico preparatorio, che consentisse all’artista di procedere senza
Filippino Lippi: Pala Nerli, cornice di Chimenti di Francesco di Domenico - S. Spirito
esitazioni e nel rispetto di
un progetto figurativo
ideale che sarebbe rimasto intatto per molti secoli, superando le aggressioni del tempo e della vita
quotidiana.
miriam fileti mazza