LA Berlino gli orrori di Abu Ghraib Il ritorno dei

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LA Berlino gli orrori di Abu Ghraib Il ritorno dei
MERCOLEDÌ
13 FEBBRAIO 2008
Grignani:
«Droga,l’errore
più grande»
Darfur:Spielberg
«boicotta»
le Olimpiadi
ErediTolkien,causa
a produttori film
Signore degli anelli
Major discografica
cerca con annunci
religiosi cantanti
ROMA. «La cocaina?
NEW YORK. Il
regista Steven
Spielberg ha
rinunciato all’incarico
di consulente artistico
per le Olimpiadi di
Pechino a causa
dell’atteggiamento
della Cina nei
confronti del Darfur:
«La mia coscienza non
mi consente di
continuare come se
niente fosse...A
questo punto le mie
energie saranno
dedicate non alle
cerimonie olimpiche
ma a fare il possibile
per por fine agli
indicibili crimini nel
Darfur».
LOS ANGELES. Gli
eredi di J.R.R.Tolkien,
creatore de «Il Signore
degli Anelli», hanno fatto
causa allo studio
cinematografico che ha
prodotto tre film dal
famoso libro accusando
la New Line Cinema di
non avere pagato la
dovuta percentuale dei
guadagni. La azione legale
è stata promossa presso
la Corte Superiore di
Los Angeles. Nella azione
legale si sottolinea che la
New Line Cinema
avrebbe dovuto pagare il
7,5 per cento degli
incassi lordi dei film:
oltre sei miliardi di
dollari.
LONDRA. «Attenzione
È stata un errore
tremendo. Pensi che
faccia star meglio,
invece amplifica i
problemi e allontana
dalle persone». Per la
prima volta, da
quando nell’agosto
2007 è stato
coinvolto in
un’indagine di polizia,
Gianluca Grignani ha
deciso di parlare dei
suoi problemi con la
droga. Il cantante, a
fine mese sarà uno
dei protagonisti del
prossimo festival di
Sanremo. «Non vorrei
mai che mia figlia
provasse la droga»
CINEMA
& SOCIETÀ
In anteprima alla Camera
«Morire di lavoro» sulla
piaga degli infortuni
Il regista:«Ogni sette ore
cantanti di tutti gli
ordini religiosi. Una casa
discografica di fama
mondiale cerca monaci,
chierici e cantanti di
musica sacra per un
eccezionale contratto
per l’incisione di un
disco di canti gregoriani
destinato alla grande
distribuzione». Il curioso
annuncio è apparso ieri
in Inghilterra sui
principali organi di
stampa religiosi.A
lanciarlo è stata la
Universal Music
convinta «che un album
di musica sacra possa
avere grande spazio sul
mercato».
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Internet oscurato a chi scarica musica pirata
l governo di Londra prepara un
IInternet
progetto di legge che obbligherà gli
Service Provider, i fornitori
d’accesso a Internet, a disconnettere
dalla rete quelli che scaricano
illegalmente film e musica. La prima
volta che saranno colti in flagrante, i
pirati riceveranno un e-mail
d’avvertimento, la seconda volta
saranno sospesi e, se insisteranno,
vedranno interrotto il loro contratto.
Secondo la stampa britannica che ha
anticipato il progetto di legge, le
aziende che non rispetteranno gli
obblighi saranno perseguite
penalmente. I nomi dei «pirati»
potranno essere comunicati ai
tribunali, ma il governo non ha ancora
deciso se i diversi provider potranno
scambiarsi i dati. Si calcola che in Gran
Bretagna siano almeno sei milioni gli
utenti di Internet che ogni anno
scaricano illegalmente gli archivi, una
pratica che comporta milioni di
perdite per case discografiche e
distributori. Ma non è l’unico guaio per
i giovani internauti inglesi. Il futuro
lavorativo di quattro milioni e mezzo
di giovani inglesi potrebbe essere
compromesso dalle tracce lasciate in
Internet. Lo rivela una ricerca
dell’Information Commissioner’s
Office, l’Autorità britannica per la
protezione dei dati personali, condotta
sui ragazzi inglesi d’età compresa tra i
14 e i 21 anni. Sempre più giovani
pubblicano i contenuti personali senza
pensare alle impronte elettroniche che
si lasciano dietro e cresce il numero di
datori di lavoro, college e università
che usano Internet come strumento
per selezionare e per ottenere
informazioni sui potenziali lavoratori o
studenti. Il prezzo da pagare per i dati
inseriti su YouTube, Facebook e
Myspace potrebbe essere molto alto in
vista della carriera futura se si
scoprisse qualcosa di poco
desiderabile. Eppure sei ragazzi su dieci
non hanno mai considerato la
possibilità che i dati immessi oggi su
Internet potrebbero essere
permanenti e accessibili in futuro.
Mentre un terzo dichiara di non aver
mai letto le informative sulla privacy.
c’è una vittima». Appello
bipartisan alla Rai:«Merita
di essere trasmesso
in tivù in prima serata»
Troppi morti sul lavoro
Film denuncia di Segre
DA ROMA LUCA LIVERANI
incubo comincia con una
telefonata. Quella che annuncia alla moglie, o alla
madre, che in cantiere c’è stato un incidente. E che Salvatore – o Ahmed o
Christian – è grave. Molto grave. Le
prime inquadrature sono per loro. Le
mogli, le madri degli operai vittime di
infortuni. Poi ci sono i protagonisti,
primi piani di facce stanche, tirate,
logorate. Manovali che raccontano
come una vita di paghe non corrisposte, di rischi, di contributi mai versati, di promesse non mantenute, di
precarietà cronica, di ricatti, di silenzi porta inevitabilmente all’incidente.
È una dolente catena di volti il film di
Daniele Segre Morire di Lavoro, filminchiesta presentato ieri alla Camera alla presenza del presidente Fausto Bertinotti. Una pellicola già prenotata da scuole e sindacati, ma ancora in cerca di uno sbocco nei cinema o in tivù. Tanto che Pietro Folena,
presidente prc della commissione
Cultura, assieme al democratico Giu-
L’
seppe Giulietti, chiedono al servizio
pubblico di trasmetterlo «al più presto e in prima serata». Stessa richiesta da Renata Polverini, segretaria generale dell’Ugl, il sindacato vicino ad
An.
Morire di lavoro racconta la piaga intollerabile degli infortuni, focalizzando l’attenzione sul settore edile:
235 morti nel 2007, sui circa 1.300
l’anno. Il film – prodotto da I Cammelli, società dello stesso regista, col
sostegno del Piemonte Doc Film
Fund e il contributo di Fillea-Cgil – si
apre con il racconto delle donne. Una è Franca Mulas Sonzogni, che in
quindici mesi ha perso figlio e marito. Dopo la prima tragedia aveva segnalato alla Asl che quei ponteggi erano traballanti. La Asl le ha scritto,
dopo il secondo lutto, per scusarsi
della mancata ispezione: non abbiamo personale. Un’altra è Agnese Aggio, che il marito ce l’ha ancora, ma
in coma irreversibile.
Il film racconta un’Italia apparentemente scomparsa da decenni, ma
che invece esiste e soffre, sistematicamente ignorata dai mass-media e
BERLINALE
cinefestival
La Deneuve guida
la protesta contro
il figlio di Gheddafi
Presentato ieri in
concorso «Standard
operating procedure»
Il regista: «È un film
documento su una
tragedia di tutti»
ischi del pubblico e
F
protesta di Catherine
Deneuve per l’arrivo alla
Berlinale del secondogenito
del colonnello Gheddafi, Seit
al-Islam, invitato lunedì sera
al gala di beneficenza della
manifestazione «Cinema for
Peace».Al momento di fare il
suo ingresso nella
Konzerthaus, la grande sala
da concerti sulla
Gendarmenplatz, il figlio del
colonnello libico è stato
fischiato dal pubblico
assiepato per l’arrivo di
molte star del cinema
presenti a Berlino, come Ben
Kingsley, Joseph Fiennes,
Catherine Deneuve,
Christopher Lee, il cantante
Bob Geldof e la soprano
russa Anna Netrebko.A
capeggiare la protesta è stata
la Deneuve, che ha definito
«indecente» la presenza del
figlio di Gheddafi alla serata,
a causa del mancato rispetto
dei diritti umani nel suo
Paese. «Se lo mettono al mio
tavolo non gli stringerò la
mano» ha minacciato. Per
evitare incidenti, gli
organizzatori hanno
sistemato l’attrice e Seit alIslam al-Gheddafi a due
tavoli di distanza l’uno
dall’altra. Resta ora da capire
se questa contestazione
resterà nell’ambito della
cronaca o se darà adito a
proteste formali della Libia
nei confronti della
Germania.
dagli operatori culturali. Qualche volta i riflettori si accendono: «Come sulla ThyssenKrupp – dice il registra Segre – ma non basta a produrre quel
cambiamento auspicato da tutti. Il rischio è quello di avere un altro argomento, un altro "caso" da affrontare
nei talk-show e nei bar: c’è stato Cogne, Garlasco, Perugia e ora Torino».
Gli operai raccontano con accenti
settentrionali, meridionali, magrebini, balcanici, africani. Per chi non c’è
più, una voce fuori campo. Raccontano dei 50 euro al giorno per 12 ore
di lavoro. Cominciano che è ancora
buio, staccano che è già buio. Senza
caschi, guanti, cinture di sicurezza.
Li indossano quando si sa che è attesa l’ispezione. Quando arrivano i –
rari – controlli a sorpresa, è un fuggi
fuggi: «Non dovremmo scappare, loro vengono per noi. Ma se ti prendono, non ti fanno più lavorare». E poi
la paga che non arriva mai: «Ogni volta devi litigare». Quando c’è l’infortunio, niente ambulanza. A casa: «All’ospedale ho detto che ero caduto
attaccando la tenda». È così se vuoi
continuare a lavorare. «Perché muo-
DA BERLINO
VINCENZO SAVIGNANO
a Germania è l’unica
grande potenza europea che non ha preso
parte alla missione militare
in Iraq. Forse è anche per
questo motivo che gli organizzatori della 58esima Ber-
L
«Standard operating procedure»
Martin Scorsese, secondo da destra, attorniato dai Rolling Stones a Berlino
re tanta gente? Mica siamo in guerra». Lavoro nero, un contratto, disoccupazione, ancora lavoro nero:
«Quando sei vecchio hai messo assieme si e no 20 anni di contributi.
Sai quanto prendi di pensione? Niente». «Spesso sono famiglie numerose
– racconta Segre – che dovrebbero
perlomeno essere premiate per la capacità di sopravvivere con i pochi soldi che guadagnano». L’unico rammarico, di fronte agli ostacoli che incontrano le opere di spessore civile,
è che questo cinema non dovrebbe
mai lasciare appigli a chi lo liquida
come nemico dell’audience. Ma 88
minuti di soli racconti possono porgere il fianco a questo tipo di critiche.
IN ARRIVO
DUE FILM SUL ROGO
ALLA THYSSENKRUPP
Il film di Daniele Segre non è
l’unico dedicato alle morti sul
lavoro.A risvegliare le
coscienze dei cineasti italiani, in
particolare, è stata la tragedia
alle acciaierie ThyssenKrupp di
Torino. Ben due sono le
pellicole in preparazione
dedicate all’incidente in cui
hanno perso la vita 7 operai.
Simona Ercolani e Fabrizio
A Berlino gli orrori di Abu Ghraib
linale non hanno esitato ad
inserire tra i film in concorso, per la prima volta nella
storia del Festival, un documentario su Abu Ghraib. Il
carcere dove, nel corso della guerra in Iraq, si consumarono degli abusi illimitati e spesso gratuiti da parte di giovani soldati americani che, oltre a provocare
una straziante sofferenza
alle loro vittime, lasciarono
un segno indelebile nella
coscienza collettiva dell’occidente. Minando in maniera irreversibile la causa
degli Stati Uniti, presunta esportatrice di democrazia
in Medio-Oriente.
«Standard Operating Procedure è un film documento
che racconta una tragedia
dell’umanità», ha detto senza esitazioni il regista Errol
Morris che ha impiegato
più di due anni a realizzarlo. «L’ostacolo più difficile
da superare non è stato raccogliere il materiale fotografico bensì riuscire a convincere i militari coinvolti
nella vicenda a parlare davanti alla telecamera», molti di loro lo hanno fatto solo dopo aver avuto la certezza di non essere stati
condannati, come la gene-
ralessa Janis Karpinski, che
comandava la 800a Brigata
di Polizia Militare nel carcere alle porte di Bagdad.
«Probabilmente sono stati
commessi degli errori da alcuni soldati – sottolinea la
generalessa incalzata dalle
domande di Morris – ma
abbiamo solo eseguito gli
ordini: prendere Saddam
Hussein ad ogni costo e con
ogni mezzo». Oltre a quella
della Karpinski nel documentario ci sono le interviste, tutte in primissimo piano, a molti protagonisti e
protagoniste dello scandalo che coinvolse anche al-
Il ritorno dei Neri per Caso: «Merito di 11 big»
Q
uella di cambiare
prospettiva
alle
canzoni che hanno
fatto la storia della
musica italiana è una tentazione a cui hanno ceduto in molti negli ultimi
tempi. Anche se probabilmente i Neri per Caso hanno messo nella sfida del loro nuovo cd Angoli diversi,
in uscita venerdì, qualcosa in più, inventandosi arrangiamenti che rinunciano a qualsiasi strumentazione tradizionale (eccetto la chitarra di Alex Britti
in 7000 caffé) a vantaggio
di finissimi orditi vocali. E
nel kaleidoscopio impazzito delle loro armonizza-
zioni finiscono pure Senza
fine di Gino Paoli, Balla
balla ballerino di Lucio
Dalla, Bella d’estate di
Mango, Via di Claudio Baglioni, Piccola Katy dei
Pooh, senza tralasciare cose di Neffa, di Samuele Bersani, di Luca Carboni, di
Raf. Anche se il compito di
preannunciare in radio
questo ritorno del gruppo
campano è spettato finora
all’unico pezzo straniero in
repertorio, vale a dire What
a fool believes dei Doobie
Brothers che i sei condividono con Mario Biondi. In
tutto undici successi "che
diventano dodici con Povera patria di Battiato, di-
Rondolino hanno girato «La
classe operaia va all’inferno»:
«Volevamo raccontare –
spiegano – ciò che è accaduto
in quelle famiglie, quando le luci
dei media si sono spente».
Anche Mimmo Calopresti, già
autore nel ’99 di «Tutto era
Fiat», sta lavorando ad un film
sulla Thyssen. «Le riprese
inizieranno tra dieci giorni». Il
film verrà distribuito con la
formula video più libro.
sponibile solo su iTunes.
«A sorprenderci non è stata tanto l’opportunità di avere tutti questi pezzi da
novanta nel disco, quanto
l’umiltà con cui hanno accettato di rimettersi in discussione e trasfigurare assieme a noi brani che li
hanno imposti ad intere
generazioni». Una sintonia
che la band di Le ragazze
spera di ritrovare pure nel
concerto-evento con cui a
marzo festeggerà l’inizio
della nuova avventura riunendo sullo stesso palco
buona parte degli ospiti
del disco.
«Abbiamo capito che il
progetto a tema è quello
che fa per noi. Così, tra le
tante opzioni che ora ci si
parano davanti per il futuro ci sono pure una raccolta di duetti con voci solo
femminili, un disco di
world music o, addirittura,
qualcosa di classica: magari una raccolta di arie di
Bach». Intanto Sanremo
bussa alla porta. «Ci andremo nella serata del giovedì, quella riservata alle
collaborazioni, come ospiti di Mietta» anticipano. «In
fondo una partecipazione
del genere è quanto di più
vicino ci sia allo spirito con
cui abbiamo inciso questo
nostro nuovo lavoro».
Massimo Gatto
I Neri per Caso
Nel nuovo cd della band
anche duetti con Paoli,
Baglioni, Raf, Pooh e Dalla
cune donne soldato, come
Lynndie England e Megan
Ambuhl che comparivano
in molte delle foto che documentarono gli abusi dal
17 ottobre al 30 dicembre
2003. Entrambe tendono a
non assumersi responsabilità. Molte delle immagini
dello scandalo vennero
scattate da Sabrina Harman, la quale ha messo a
disposizione del regista anche delle lettere che scrisse
in quei giorni. Il regista
Morris ha sottolineato che
la testimonianza della Harman è stata la più importante per la realizzazione
del documentario che «è un
tentativo di ricerca della verità» ha detto rispondendo
alla domanda di un giornalista iraniano che gli rimproverava di non aver mostrato tutte le atrocità compiute ad Abu Ghraib. Nel
documentario intervengono anche due uomini del
CIDA, l’Army Criminal Investigation Command, che
realizzò l’inchiesta per conto dell’esercito americano.
Uno di loro spiega anche
perché al termine delle indagini solo due soldati vennero condannati rispettivamente a sette ed otto anni di
carcere. Molte foto, secondo il CIDA, documentarono «Criminal Act», «atti criminali volti ad umiliare e a
provocare sofferenza», ma
incappucciare, minacciare
e ammanettare vennero cosiderati S.O.P, «Standard Operating Procedure», procedure operative standard.