ESTREMI: Corte di Cassazione Terza civile Data

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ESTREMI: Corte di Cassazione Terza civile Data
Il concetto di prevedibilità come concreta possibilità per l'utente danneggiato di percepire o prevedere
con l'ordinaria diligenza la situazione di pericolo ed ha evidenziato che, ove tale pericolo sia visibile, si
richiede dal soggetto che entra in contatto con la cosa un grado maggiore di attenzione, proprio perchè
la situazione di rischio è percepibile con l'ordinaria diligenza
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMATUCCI Alfonso - Presidente Dott. VIVALDI Roberta - Consigliere Dott. SESTINI Danilo - Consigliere Dott. CIRILLO Francesco Maria - rel. Consigliere Dott. ROSSETTI Marco - Consigliere ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 30161-2008 proposto da:
C.A.C., S.L, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA PRATI FISCALI 258, presso lo studio dell'avvocato
PIERGIORGIO BERARDI, rappresentati e difesi dall'avvocato SISTI NICOLA ANTONIO giusta procura a
margine del ricorso;
- ricorrenti contro
COMUNE FOSSACESIA;
- intimati Nonchè da:
COMUNE FOSSACESIA, in persona del Sindaco e legale rappresentante p.t. dott. D.G.E.C., elettivamente
domiciliato in ROMA, C.SO VITTORIO EMANUELE II 142, presso lo studio dell'avvocato DAMIANO FORTI,
rappresentato è difeso dagli avvocati MINUTOLO EMANUELA, MINUTOLO ANTONINO giusta procura a
margine del controricorso e ricorso incidentale;
- ricorrente incidentale e contro
C.A.C., S.L.;
- intimati avverso la sentenza n. 969/2007 della CORTE D'APPELLO di L'AQUILA, depositata il 22/11/2007 R.G.N.
1553/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 29/05/2014 dal Consigliere Dott.
FRANCESCO MARIA CIRILLO;
udito l'Avvocato NICOLA ANTONIO SISTI;
udito l'Avvocato FRANCESCO SAMPERI per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATIS Pierfelice che ha concluso per il
DirittoItaliano.com - Tutti i diritti riservati - Autorità: Corte di Cassazione Terza civile Data: 25.08.2014 Numero: 18167
ESTREMI: Corte di Cassazione Terza civile Data: 25.08.2014 Numero: 18167
rigetto di entrambi i ricorsi.
Svolgimento del processo
1. S.L. e C.A.C., nella qualità di esercenti la potestà sul figlio minore S.G., convennero in giudizio, davanti al
Tribunale di Lanciano, il Comune di Fossacesia, affinchè fosse condannato al risarcimento dei danni
conseguenti ad una caduta del figlio minore mentre si trovava all'interno dei giardini comunali.
Esposero gli attori che in tale circostanza il bambino, mentre stava giocando su un cavallo a dondolo,
sorvegliato dalla mamma, era scivolato battendo il viso sui grossi bulloni metallici esistenti sull'attrezzo,
riportando la frattura del pavimento orbitario sinistro, con conseguenze dannose anche di carattere
permanente.
Costituitosi il Comune convenuto, il Tribunale rigettò la domanda, compensando le spese.
2. Proposto appello da parte dei genitori soccombenti, la Corte d'appello di L'Aquila, con sentenza del 22
novembre 2007, ha respinto il gravame, confermando la sentenza impugnata e condannando gli appellanti alle
spese.
Ha osservato la Corte territoriale che in base all'espletata istruttoria potevano darsi per dimostrati sia il fatto
storico che era all'origine del danno - ossia la presenza del piccolo all'interno dei giardini comunali nella data
indicata - sia l'attrezzo sul quale l'evento dannoso si era verificato, costituito da un bilancino a dondolo con
molla.
Tali elementi, però, non erano sufficienti ad accogliere la domanda.
Pur dovendosi applicare, nella specie, l'art. 2051 cod. civ., la Corte abruzzese ha rilevato che il giardino
comunale in questione era di estensione limitata e che le attrezzature site all'interno del medesimo "erano state
installate di recente ed erano pienamente conformi alla normativa speciale in tema di sicurezza, di tal che non
rappresentavano alcun potenziale pericolo per l'incolumità fisica dei bambini". Tanto premesso, la sentenza ha
anche aggiunto che gli appellanti non avevano fornito una prova sufficiente circa l'esistenza del nesso di
causalità tra la res ed il danno da loro lamentato, avendo fornito una ricostruzione apodittica dei fatti, non
supportata da prove, che erano state tardivamente articolate con l'atto di appello. Era anzi da affermare - in base
alle deposizioni testimoniali - che l'incidente era da ricondurre ad insufficiente attenzione da parte della madre,
sicchè il danno non poteva essere ascritto a responsabilità del Comune.
3. Contro la sentenza della Corte d'appello di L'Aquila propongono ricorso S.L. e C.A.C., con unico atto affidato a
tre motivi.
Resiste il Comune di Fossacesia con controricorso.
Motivazione
1. Con il primo ed il secondo motivo di ricorso si lamentano, in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5),
insufficiente e contraddittoria motivazione su circostanze decisive della controversia.
Rilevano i ricorrenti (primo motivo) che la motivazione sarebbe contraddittoria in quanto la sentenza, pur
partendo da premesse corrette sul fatto storico dell'incidente e sul tipo di attrezzo ludico che lo aveva
determinato, non ne avrebbe poi tratto le logiche conseguenze in ordine alla sufficienza della prova circa
l'esistenza del nesso di causalità.
Con il secondo motivo, poi, si afferma che la sentenza avrebbe proposto "una serie di illazioni (più che
motivazioni) assolutamente carenti ed al limite della omissione". Essa, infatti, non avrebbe tenuto presente che
sull'attrezzo in questione vi era un cartellino che segnalava il divieto per i bambini di età inferiore a tre anni e
superiore a sette, sicchè il piccolo G., che all'epoca aveva quasi sei anni, ben poteva utilizzarlo senza
l'assistenza dei genitori.
2. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa
applicazione dell'art. 2051 c.c.
Secondo i ricorrenti, la giurisprudenza di questa Corte ha da tempo affermato che la responsabilità per le cose in
custodia ha carattere oggettivo ed è sufficiente, perchè venga riconosciuta, la sussistenza di un nesso causale
tra la cosa in custodia e il danno.
Nel caso in esame, la Corte d'appello non avrebbe valutato che il Comune di Fossacesia aveva la concreta
possibilità di esercitare la vigilanza, sicchè sarebbe stato suo onere dimostrare l'eventuale sussistenza del caso
fortuito.
3. I tre motivi, che possono essere trattati congiuntamente per la stretta connessione che li caratterizza, sono
tutti privi di fondamento.
3.1. La sentenza impugnata, con motivazione congrua e del tutto priva di vizi logici, ha ricostruito i fatti di causa
accertando le seguenti circostanze: 1) che i giochi siti nei giardini pubblici del Comune di Fossacesia - e, in
particolare, quello sul quale è avvenuto l'incidente - erano in perfette condizioni di manutenzione; 2) che
mancava la prova del nesso di causalità, da porre a carico del danneggiato anche nel caso di cui all'art. 2051
cod. civ.; 3) che la ricostruzione degli attori era apodittica, siccome non supportata da prove adeguate; 4) che la
responsabilità del fatto era da ricondurre a probabile disattenzione della madre del piccolo G.
A fronte di simile motivazione, è evidente che i primi due motivi di ricorso - i quali prospettano, entrambi, censure
di vizio di motivazione - sono tutti volti ad ottenere un nuovo esame del merito, perchè pretendono che questa
Corte pervenga ad una diversa e non consentita ricostruzione del fatto in sede di giudizio di legittimità. Quanto al
rilievo riguardante l'esistenza, sul gioco in questione, di un cartellino che ne attestava il divieto di uso ai bambini
di età inferiore ai tre anni e maggiori di sette, si tratta di una questione che non risulta essere stata posta al
giudice di merito; e, ove anche così non fosse, il rilievo sarebbe inammissibile, sotto questo profilo, per
violazione del principio di autosufficienza, non avendo indicato nè dove nè come tale profilo sia stato
effettivamente posto nella sede competente.
3.2. Residua il solo terzo motivo, col quale si prospetta la violazione dell'art. 2051 c.c.
Al riguardo, va detto che la più recente giurisprudenza è andata ponendo in evidenza, in ordine all'applicazione
delle due diverse ipotesi di cui agli artt. 2043 e 2051 cod. civ., due aspetti di fondamentale importanza: da un
lato il concetto di prevedibilità dell'evento dannoso e dall'altro quello del dovere di cautela da parte del soggetto
che entra in contatto con la cosa. Questa Corte ha definito il concetto di prevedibilità come concreta
possibilità per l'utente danneggiato di percepire o prevedere con l'ordinaria diligenza la situazione di
pericolo ed ha evidenziato che, ove tale pericolo sia visibile, si richiede dal soggetto che entra in
contatto con la cosa un grado maggiore di attenzione, proprio perchè la situazione di rischio è
percepibile con l'ordinaria diligenza (v. le sentenze 22 ottobre 2013, n. 23919, e 20 gennaio 2014, n. 999, le
quali si pongono, peraltro, nel solco di un orientamento consolidato).
Ma, anche in una fattispecie nella quale trovava applicazione l'obbligo di custodia di cui all'art. 2051 cod. civ.,
con diverse e più gravi regole probatorie a carico del danneggiante, questa Corte ha evidenziato che all'obbligo
suddetto "fa pur sempre riscontro un dovere di cautela da parte di chi entri in contatto con la cosa"; sicchè,
quando "la situazione di possibile pericolo comunque ingeneratasi sarebbe stata superabile mediante
l'adozione di un comportamento ordinariamente cauto da parte dello stesso danneggiato, potrà allora
escludersi che il danno sia stato cagionato dalla cosa, ridotta al rango di mera occasione dell'evento"
(sentenza 17 ottobre 2013, n. 23584; sul concetto di cosa come occasione dell'evento si veda pure la sentenza
5 dicembre 2008, n. 28811).
3.3. La responsabilità civile conseguente ai danni riportati dai bambini all'interno di un parco giochi è venuta in
altre circostanze all'esame di questa Corte.
Sono da richiamare, in proposito, la sentenza 6 agosto 1997, n. 7276, che riguardava il caso di un minore caduto
da un'altalena in un giardino comunale; la sentenza 21 maggio 2013, n. 12401, relativa alla diversa ipotesi di
una caduta dal dondolo di una giostra collocata nel parco giochi all'interno di un ristorante, e la recentissima
sentenza 26 maggio 2014, n. 11657, relativa alla caduta da uno scivolo all'interno di un parco comunale in ora
notturna.
semplice rilievo che l'altalena, pur presentando in astratto qualche elemento di pericolosità, era comunque
adeguata agli standard dei manufatti del genere destinati ai parchi giochi. La seconda sentenza, invece, ha
stabilito che la messa a disposizione di un parco giochi, a perfetta regola d'arte, da parte del titolare di un
ristorante non implica, a carico di costui, alcun obbligo di sorveglianza sui minori che usano dette attrezzature.
Nell'ultima e più recente pronuncia, questa Corte ha specificato che la caduta di un bambino (in quel caso, di
cinque anni di età) da uno scivolo è un evento certamente prevedibile ed evitabile con un grado normale di
diligenza.
In tutti i casi richiamati, peraltro, si è affermato che l'utilizzo delle strutture esistenti in un parco giochi - a
meno che non risulti provato che le stesse erano difettose e, come tali, in grado di determinare pericoli
anche in presenza di un utilizzo assolutamente corretto (il che non è, nella specie, sulla base di quanto
detto) - non si connota, di per sè, per una particolare pericolosità, se non quella che normalmente deriva
da simili attrezzature, le quali presuppongono, comunque, una qualche vigilanza da parte degli adulti.
In altri termini, un genitore (o, comunque, un adulto) che accompagna un bambino (nella specie, di quasi sei
anni di età) in un parco giochi deve avere ben presenti i rischi che ciò comporta, non potendo poi invocare come
fonte dell'altrui responsabilità, una volta che la caduta dannosa si è verificata, l'esistenza di una situazione di
pericolo che egli era tenuto doverosamente a calcolare.
Nessuna violazione di legge, dunque, sussiste nella sentenza impugnata.
4. Il ricorso, pertanto, è rigettato.
A tale pronuncia segue la condanna dei ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione,
liquidate in conformità ai soli parametri introdotti dal decreto ministeriale 10 marzo 2014, n. 55, sopravvenuto a
disciplinare i compensi professionali.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento delle spese del giudizio di
cassazione, liquidate in complessivi Euro 3.200, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di
legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 29 maggio 2014.
Depositato in Cancelleria il 25 agosto 2014