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SENTENZE IN SANITÀ – CONSIGLIO DI STATO
CONSIGLIO DI STATO – Sezione VI - sentenza n. 2682/2003
Il divieto di abbassamento del trattamento economico del sanitario transitato in diverso ruolo si riferisce
“solo al trattamento retributivo avente carattere fisso e continuativo, e non alle indennità aggiuntive di
natura eventuale”.
Si distingue, in tal modo, il problema del mantenimento del trattamento economico al momento del transito da quello dell’equiparazione economica dei medici ospedalieri, comunque garantita, del docente
universitario che svolge attività assistenziale.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, (Sesta Sezione) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n.5763 del 1957, proposto da Cecilia TOME’ ved. BURLINA rappresentata e difesa dagli Avv.ti Antonio Fontana e Carlo Cester, con domicilio eletto nello studio del
primo, in Roma, via Cassia n. 701;
contro
l’Università degli studi di Padova, in persona del Rettore in carica ed il Ministero
dell’Università e della ricerca scientifica e tecnologica, in persona del Ministero in carica, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui sono per legge domiciliati,
in Roma, via dei Portoghesi n. 12
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Veneto, Sez. II, n. 1 del 2 gennaio
1997;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio delle amministrazioni appellate;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore, alla pubblica udienza dell’11 febbraio 2003, il Consigliere Chiarenza Millemaggi Cogliani; udito, altresì, l’Avv. dello Stato Giacobbe per le Amministrazioni resistenti;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
1. Con sentenza n. 1 del 2 gennaio 1997, la Sezione II del Tribunale Amministrativo Regionale
del Veneto ha respinto – compensando le spese del giudizio – il ricorso proposto dall’attuale
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appellante, vedova di Angelo Burlina, già professore ordinario di Biochimica clinica, presso la
Facoltà di Medicina dell’Università i Padova (deceduto in attività di servizio il 25 ottobre 1993),
volto all’accertamento del diritto del coniuge defunto al mantenimento del trattamento economico più favorevole in godimento al momento del passaggio dai ruoli del servizio sanitario Nazionale (U.L.S.S. n. 21 di Padova) a quelli dell’Università di Padova, con decorrenza dal 18
giungo 1986, con diritto agli aumenti di scatti nelle successive classi di stipendio fino alla data
del decesso, e consequenziale condanna al pagamento delle differenze aumentate di interessi e
rivalutazione, nonché alla rideterminazione dell’indennità di buonuscita e del trattamento di
quiescenza.
2. Avverso l’anzidetta sentenza propone appello l’interessata, denunciando l’illegittimità della
decisione, assunta, in assenza di sufficiente motivazione, in violazione dell’art. 36 del D..R.
382/80 anche in relazione all’art. 202 del D.P.R. n. 3 del 1957 ed all’art, 12 del D.P.R. n. 1079
del 1979, e del divieto di reformatio in pejus di cui sarebbe stata erroneamente esclusa
l’applicabilità al caso di specie.
Nel sottoporre a censura il procedimento logico giuridico che ha indotto il giudice di primo grado ad escludere l’applicabilità delle norme e del principio invocati al trattamento economico del
professore universitario proveniente dalla pregressa posizione di dipendente di Unità sanitaria
locale (nella specie, U.S.L. n. 21 di Padova) presso cui svolgeva mansioni di Primario ospedaliero di ruolo, a tempo pieno, presso il laboratorio centrale di analisi del locale Ospedale civile
(in contrasto, secondo l’interessata, con la prevalente giurisprudenza sulla materia), l’appellante
pone a sostegno dell’appello argomenti già sviluppati nel ricorso originario, del quale chiede
l’accoglimento, in riforma della sentenza impugnata, in particolare ponendo l’accento sulla
coincidenza dei compiti assistenziali espletati dal coniuge, sia pure nella differente veste formale ed alle dipendenze di un diverso Ente.
3 Costituitesi le Amministrazioni appellate, per resistere all’impugnazione, la causa è stata
chiamata alla pubblica udienza dell’11 febbraio 2003 e trattenuta in decisione.
DIRITTO
Oggetto del contendere è se al docente universitario con funzioni assistenziali, già titolare di un
precedente rapporto di ruolo con una Unità Sanitaria Locale, in qualità di Primario ospedaliero,
debba essere conservato, nel nuovo rapporto con l’Università degli studi, il trattamento economico più favorevole in precedenza goduto.
Come è stato evidenziato nella sentenza appellata, dalla questione portata all’esame del giudice
amministrativo con il ricorso introduttivo esula il differente problema della equiparazione economica, ai medici ospedalieri, del docente universitario che svolge anche attività assistenziale
(nelle cliniche universitarie o nelle strutture ospedaliere convenzionate), che trova la sua disciplina fondamentale nell’art. 102 del D.P.R. 382 del 1980, non invocato in questa sede e richiamato nel ricorso introduttivo soltanto per sostenere la tesi della operatività del divieto di reformatio in pejus, sulla base di un pretesa rilevanza generalizzata della coincidenza dell’attività espletate nei due rapporti, succedutisi senza soluzione di continuità, in forza della rilevanza giuridica che la coincidenza in questione viene ad assumere nella determinazione del trattamento
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economico del docente universitario, allorché alla funzione docente si accompagni anche la
suddetta attività assistenziali.
Rileva invece la considerazione (contenuta al capo 3 della motivazione della sentenza appellata)
che la pretesa della ricorrente, da un lato, non appare giustificata dal confronto fra lo stipendio
base percepito dal de cuius nella posizione di Primario ospedaliero (sensibilmente inferiore allo
stipendio base riconosciuto nei ruoli universitari all’atto dell’assunzione) e, dall’altro, manca di
specificità, in quanto, per la parte eccedente lo stipendio base, avrebbe dovuto precisare,
l’istante, quale delle voci retributive fossero legate alla qualifica o alle funzioni e quali invece
connesse ad attività effettivamente svolte solo nei giorni di presenza e, dunque non dovute in
via continuativa.
E’ pacifico infatti che il divieto di reformatio in pejus del trattamento economico del pubblico
dipendente si riferisce solo al trattamento retributivo avente carattere fisso e continuativo e non
alle indennità aggiuntive di natura eventuale, mentre sotto differente profilo, è altrettanto pacifico che spetta al richiedente di definire, specificamente, l’oggetto della domanda, anche a mente
dell’art. 414, n.3, c.p.c., applicabile alle controversie di lavoro, ancorché nella cognizione esclusiva del giudice amministrativo.
Ma anche a prescindere da tale considerazione la sentenza appellata deve essere condivisa nella
parte in cui nega in radice, l’operatività, nella specie, dell’invocato principio.
Ed invero:
- l’orientamento giurisprudenziale, anche il più recente, non si discosta dal principio, già in epoca remota affermato dalla Sezione, secondo cui l’art. 202 del T.U. n. 3 del 1957, che prevede
l'attribuzione di un assegno personale utile a pensione agli impiegati con stipendio superiore a
quello spettante nella nuova qualifica, trova applicazione solo nell’ambito dell’impiego statale,
nel caso di passaggio di carriera presso la stessa amministrazione o diversa amministrazione,
ma, anche essa, statale ( per tutte, VI Sez., 20 febbraio 1970 n. 102 e 2 luglio 1969 n. 333);
- la norma risponde, del resto, alla precipua finalità che il mutamento di carriera nell'ambito
dell'Organizzazione burocratica dello Stato non comporti, per gli interessati, un regresso nel
trattamento economico raggiunto;
- ma è stato autorevolmente precisato che, di «regresso» può parlarsi confrontando posizioni
omogenee nel contesto di un sistema burocratico unitario, entro il quale “il dipendente statale”
si sposti con le modalità previste per il «passaggio» ad altra Amministrazione o ad altra carriera
(v. art. 199 e 200 del Testo unico n. 3 del 1957) e non attraverso una libera vicenda di dimissioni e di riammissioni nel servizio statale (Ap. n. 8 del 16 marzo 1992.);
- sussistono dunque limiti soggettivi ed oggettivi alla applicabilità della norma, che inducono di
per sé ad escludere che alla stessa possa essere attribuita una portata estensiva (in termini, Ap. n.
8/ 92 cit.), e men che mai che il legislatore abbia inteso, con tale disposizione, porre un principio di ordine generale, da valere per ogni tipo di passaggio ed indipendentemente dalla natura
statale o meno delle organizzazione nel cui ambito si verifica la mobilità;
- ultroneo è, dunque, anche il richiamo al successivo art. 12 D.P.R. n. 1079/90 che del citato art.
202 del T.U. n. 3/57, al quale si riconnette, e di cui ripete finalità e limiti;
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- a differenti conclusioni non può indurre né la disposizione dell’art. 104 D.P.R. n. 382 del 1980
- che, per definizione, pone una norme “particolari” di favore nei confronti di una categoria determinata di pubblici dipendenti ossia i “i provenienti (già in posizione di dipendenti di ruolo)
da enti pubblici di sperimentazione e ricerca” – né quella dell’art. 36 del D.P.R. citato che concerne la nuova strutturazione della progressione economica del ruolo dei docenti universitari, in
relazione ai professori ordinari che godevano di un trattamento più favorevole rispetto a quello
risultante dai nuovi meccanismi.
Obietta peraltro l’appellante che la circostanza che le norme citate disciplinino tutte situazioni
particolari non nega l’esistenza del principio di ordine generale dalla stessa invocato.
Tuttavia una siffatta affermazione è priva di supporto logico-giuridico, ove si consideri che, ogni qual volta si è inteso mantenere un trattamento di maggior favore, la fonte, primaria o secondaria che sia, ne ha sempre espressamente definito i beneficiari, le condizioni ed i limiti di
operatività, senza che da parte ricorrente si sia indicata una fonte dalla quale il suddetto principio possa essere invece desunto con carattere di generalità.
Gli stessi parametri desumibili dagli art. 3, 36 e 97 della Costituzione sulla cui base viene desunta l’illegittimità costituzione degli artt. 36 e 104 del D.P.R. n. 382 del 1980, non offrono alcuno spazio per ritenere in qualche modo condivisibile il sospetto sollevato in via subordinata,
con il ricorso d’appello, stante le diversità delle situazioni e, d’altra parte la circostanza ulteriore
e non trascurabile che, ove, in ipotesi, il Professore universitario abbia a svolgere, in correlazione alla sua specializzazione ed alla funzione docente di titolarità, anche compiti assistenziali, gli
è comunque garantito un trattamento equivalente a quello degli ospedalieri che svolgano identica attività a differente titolo e indipendentemente dalla sua provenienza.
Sulla base di tutte le considerazioni che precedono, l’appello deve essere respinto.
Le spese del giudizio possono essere interamente compensate fra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, respinge l’appello in epigrafe;
Compensa interamente fra le parti le spese del giudizio;
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, addì 11febbraio 2003, dal Consiglio di Stato in s.g. (Sez. VI) riunito in
camera di consiglio con l'intervento dei seguenti Magistrati:
Salvatore GIACCHETTI
Presidente
Carmine VOLPE
Consigliere
Chiarenza MILLEMAGGI COGLIANI
Consigliere Est.
Pietro FALCONE
Consigliere
Giuseppe ROMEO
Consigliere
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