Du bon usage des immigrés en temps de crise et de guerre, 1932

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Du bon usage des immigrés en temps de crise et de guerre, 1932
IMMIGRAZIONE. 4A CONFERENZA •
DOMENICA 30 NOVEMBRE 2008 • TEATRO VITTORIA • VIA GRAMSCI 4, TORINO
LE CONSEGUENZE DELLA CRISI ECONOMICA SUL PROCESSO DI IMMIGRAZIONE.
Enrico Allasino, Osservatorio sull’immigrazione in Piemonte
Gli effetti della crisi economica sul processo di immigrazione dipendono dagli sviluppi della crisi in
generale. Bisognerebbe quindi saper valutare quanto e quali settori produttivi essa colpirà, quali
occupazioni saranno più ridimensionate, ma anche come essa toccherà i diversi Paesi, compresi
quelli di origine dei migranti. Un compito che travalica la mie capacità, e forse non solo le mie…
La storia non si ripete, ma da essa possiamo almeno ricavare qualche ipotesi, qualche orientamento.
Non c’è dubbio che le crisi economiche del passato hanno fortemente ridotto l’immigrazione nei
paesi colpiti, anche perché a esse si accompagnavano norme che miravano proprio a limitare gli
arrivi e a favorire i rimpatri. E’ successo, ad esempio, con la crisi del ‘29 e con quella dei primi anni
settanta. Di solito però, finita la congiuntura negativa, l’immigrazione riprendeva, talora con
maggior intensità. A meno che non fossero intervenuti profondi mutamenti strutturali, tali da
rendere non più appetibili alcuni paesi come destinazioni e farne sorgere altri. Così l’America latina
è per molti anni quasi scomparsa dall’elenco delle mète (quasi: restano spostamenti fisiologici, così
come migrazioni continentali dalle aree più in crisi), mentre è comparsa l’Europa meridionale come
destinazione. E’ evidente che non si tratta di sviluppi facili da prevedere.
La crisi colpisce e colpirà certamente i lavoratori immigrati. Se oggi è la cassa integrazione a fare
notizia – ma nelle imprese manifatturiere medio-grandi gli stranieri sono proporzionalmente pochi –
il già visibile calo del lavoro interinale e delle nuove assunzioni non può che colpire in proporzione
di più gli immigrati, come noto molto presenti nelle fasce precarie e meno tutelate del mercato del
lavoro. Per molti non sarà neppure il licenziamento, ma il mancato rinnovo dei contratti a termine e
la riduzione delle opportunità a far cadere nella disoccupazione. A causa dello stretto legame tra
contratto di lavoro regolare e permesso di soggiorno, pochi mesi di inattività portano poi
all’irregolarità del soggiorno. A questo punto la destra xenofoba avrà buon gioco a dichiarare
necessario l’allontanamento di migliaia di clandestini inutili e potenzialmente criminali, che saranno
in realtà lavoratori irregolari o disoccupati E’ già una fortuna che il numeroso insieme dei cittadini
romeni - e i titolari di permessi senza scadenza - sia parzialmente protetto dalla immediata perdita
del diritto a restare in Italia. Vi saranno certamente molti problemi e molta sofferenza, di cui però
nessuno terrà conto, salvo le vittime stesse.
Contro la possibilità che questa crisi segni la fine dell’immigrazione in Italia stanno però due dati
strutturali che dovrebbero essere ormai noti. Il primo è la situazione demografica italiana. Da un
lato abbiamo infatti coorti sempre più numerose di lavoratori che arrivano all’età della pensione,
dall’altro coorti di giovani che si affacciano al mercato del lavoro molto ridotte, dimezzate rispetto
alle classi di età centrali. Le dimensioni e la rapidità di questo cambiamento rendono quasi
impossibile un graduale adeguamento della struttura produttiva e occupazionale, anche se in teoria
l‘immigrazione non è e non deve essere l’unica soluzione. Avremo comunque ancora e sempre più
bisogno non solo di forza lavoro aggiuntiva, ma anche dell’apporto demografico degli immigrati.
D’altra parte, secondo elemento, anche durante una grave crisi occupazionale resta necessario che
qualcuno svolga certi lavori poco graditi e poco appetibili. In particolare, per l’invecchiamento della
popolazione, resteranno necessarie le assistenti domiciliari. Ma anche in presenza di forte
disoccupazione molte attività manuali saranno comunque evitate dagli italiani. Anche perché se i
giovani dovessero rinunciare a lavori qualificati e creativi, sarebbe ancor peggio. Sappiamo anche
che, al di là della buona volontà, non è facile che una operaia italiana possa andare a fare la colf, o
che un tecnico cinquantenne in mobilità sia accettato come manovale edile. C’è anche un problema
di mobilità territoriale, di vincoli familiari…
«Du bon usage des immigrés en temps de crise et de guerre» è intitolato ironicamente un saggio di
Pierre Guillome 1 sulle misure introdotte in Francia negli anni trenta per riservare ai francesi le
scarse opportunità di lavoro. In realtà la legislazione escludeva gli stranieri dalle occupazioni più
qualificate, in cui essi già avevano ben poche possibilità di venir assunti, ma evitava di ostacolarne
l’assunzione nelle mansioni operaie, agricole, edili ove il loro apporto risultava di fatto necessario e
che i francesi cercavano comunque di evitare, anche in una fase di forte disoccupazione.
L’effetto della crisi sull’immigrazione, nell’attuale quadro politico e normativo, potrebbe quindi
essere doppiamente nefasto. Di fronte alla disoccupazione potrebbero partire gli immigrati con più
risorse, quelli che possono sperare in qualcosa di meglio altrove o nel paese di origine, ma anche le
famiglie già stabilizzate che non potrebbero accettare di ricadere nella precarietà o nella miseria.
Quelli insomma che hanno qualcosa da perdere. In questo modo potremmo assistere anche alla
partenza dei giovani di seconda generazione, che prospettavano un diverso futuro per il nostro
paese. Resterebbero invece coloro che non hanno nulla da perdere, gli ultimi arrivati, chi non ha
1
Pierre Guillaume, «Du bon usage des immigrés en temps de crise et de guerre, 1932-1940», Vingtième Siècle. Revue
d'histoire, VII, n. 7, 1985, pp. 117 – 126.
risorse… rassegnandosi a lavori e condizioni di vita sempre peggiori, sempre più misere e, di
conseguenza, alla irregolarità e alla mancanza di diritti. E’ probabile una diffusione del lavoro in
nero, in condizioni sempre più dure e svantaggiose.
Se poi un giorno lontano o vicino, in qualche settore si riproponesse la necessità di assumere, si
dovrebbe forse ricorrere a nuovi immigrati, con tutti i problemi di reclutamento, di addestramento,
di apprendimento della lingua, di integrazione insomma, che gli altri, quelli che se ne sono andati o
che hanno visto deteriorarsi il loro capitale umano, avevano risolto o iniziato a risolvere
percorrendo una strada lunga e faticosa. Ci troveremmo quindi in un circolo vizioso, in una sorta di
profezia che si autoadempie: gli immigrati non hanno lavoro e devono andarsene, i nuovi arrivati
sono impreparati e hanno difficoltà a integrarsi.
Quali possibili risposte? La proposta di allungare i tempi a disposizione degli immigrati disoccupati
per trovare lavoro senza incorrere nella perdita del permesso di soggiorno è condivisibile. Sarebbe
già utile rendere più rapide le procedure per il rinnovo, evitando che in troppi rischino la
disoccupazione solo per la mancanza di titoli di soggiorno certi. Il blocco dei nuovi ingressi,
presentato come una misura di buon senso, in realtà andrebbe a colpire soprattutto i lavoratori in
nero in attesa di regolarizzarsi. Sono fondamentali tutte quelle attività che migliorano l’occupabilità,
degli italiani come degli straneri, e agevolano l’incontro domanda-offerta in senso qualitativo, che
aiutano a mettere la persona giusta al posto giusto. Così come tutte le misure di sostegno per evitare
che la perdita del lavoro diventi un dramma familiare e sociale, con gravi effetti sulle seconde
generazioni. Occorre inoltre avere il coraggio di riconoscere che anche in periodo di crisi gli
immigrati devono poter sviluppare appieno le loro capacità e poter accedere ai lavori qualificati e
creativi. Non sarà facile, perché si avrà contro una certa politica che si basa invece sui facili slogan
populisti e cerca di scaricare sui più svantaggiati i costi della crisi.
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Sintesi
La crisi attuale colpisce e colpirà certamente gli immigrati stranieri, ma è molto difficile prevedere
come e in quale misura. L’Italia si troverà a fronteggiare la contraddizione tra la dichiarata volontà
politica di fermare l’immigrazione ed espellere i disoccupati stranieri e la necessità strutturale
dell’apporto lavorativo e demografico dall’estero. Il rischio è che cresca il lavoro nero in condizioni
sempre peggiori, che si scoraggi la permanenza degli immigrati più dotati di risorse e delle seconde
generazioni, lasciando invece spazio a chi non ha alternative e aprendo la strada a possibili nuovi
arrivi in futuro. Sono indispensabili misure sociali ed economiche che riducano l’impatto della
disoccupazione, favoriscano il permanere di condizioni di legalità e migliorino l’allocazione delle
risorse umane nel mercato del lavoro.