Scarico di acque meteoriche di dilavamento: non piu
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Scarico di acque meteoriche di dilavamento: non piu
Inquinamento Acque Scarico di acque meteoriche di dilavamento: non più equiparabile a quello dei reflui industriali (nota a Cass. pen. n. 2867/2014) Alberto Muratori La massima Corte di Cassazione penale, sez. III, 22 gennaio 2014, n. 2867 Pres. Alfredo Teresi - Est. Amedeo Franco - P.M. Francesco Salzano La nuova formulazione dell’art. 74, lett. g) del D.Lgs. n. 152/2006 ( ex D.Lgs 16 gennaio 2008 n. 4), esclude ogni riferimento qualitativo alla tipologia delle acque, dal momento che è stato eliminato dal dato normativo sia il riferimento alla differenza qualitativa dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento, sia l’inciso «intendendosi per tali acque (acque meteoriche di dilavamento) anche quelle venute in contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, non connesse con le attività esercitate nello stabilimento», di talché sembrerebbe non più possibile oggi assimilare, sotto un profilo qualitativo, le due tipologie di acque (reflui industriali e acque meteoriche di dilavamento) né sembrerebbe possibile ritenere che le acque meteoriche di dilavamento (una volta venute a contatto con materiali o sostanze anche inquinanti connesse con l’attività esercitata nello stabilimento) possano essere assimilate ai reflui industriali. Il commento Acque meteoriche di dilavamento: cosa sian nessun lo dice, che ci sian ciascun lo sa... La disciplina sugli scarichi delle acque reflue, esposta, come noto, al Titolo III - Capo III della Parte Terza, Sezione Seconda, del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, ha, come imprescindibile presupposto, l’articolazione delle acque reflue, a propria volta sancita dall’art. 74, comma 1, lett. g), h) ed i) del medesimo provvedimento, in acque reflue domestiche, acque reflue industriali e acque reflue urbane, - queste ultime costituite da quelle che scorrono nelle pubbliche fognature, - cosı̀ attualmente (1) definite: g) acque reflue domestiche: acque reflue provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche; h) acque reflue industriali: qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici od impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento; i) acque reflue urbane: acque reflue domestiche o il miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali ovvero meteoriche di dilavamento convogliate in reti fognarie, anche separate, e provenienti da agglomerato; In ben due delle tre definizioni sopra riportate compare per altro un esplicito richiamo, e di rilievo non certo secondario, alle cosiddette acque meteoriche di dilava- Nota: (1) Cioè, in seguito alla (parziale) riforma dell’apparato definitorio statuita dall’art. 74, apportata dal D.Lgs. n. 4/2008, che è, in particolare, intervenuta sulla definizione di acque reflue industriali, dalla versione originaria del provvedimento («importata» dal precedente ed abrogato D.Lgs. n. 152/99) cosı̀ descritte: «Qualsiasi tipo di acque reflue provenienti da edifici od installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, differenti qualitativamente dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento, intendendosi per tali anche quelle venute in contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, non connessi con le attività esercitate nello stabilimento. AMBIENTE & SVILUPPO 190 3/2014 Inquinamento Acque mento, delle quali il Legislatore nazionale omette tuttavia di fornire una qualsiasi declaratoria, (2) (forse nell’ottimistica convinzione che la designazione letterale, - evocatrice delle acque derivanti dalle precipitazioni, che durante gli eventi di pioggia cadono sulle strade e sulle superfici impermeabilizzate degli agglomerati urbani, per lo più miscelandosi, nelle reti fognarie miste, con le frazioni derivanti dagli insediamenti abitativi e/o dalle attività produttive, - risulti sufficiente a delinearne univocamente la nozione), limitandosi ad attribuirne la disciplina alla competenza regionale, nei termini statuiti dalle disposizioni di cui al [successivo] art. 113 della medesima Parte Terza. Da tale omissione (o forse, svista) del Legislatore deriva per altro, in primo luogo, che le due pur fondamentali definizioni di acque reflue industriali e di acque reflue urbane, siano esse stesse condannate a mantenere non trascurabili margini di indeterminatezza, nel momento in cui la prima, che usufruisce di una declaratoria di tipo residuale, classifica come industriali tutte le acque reflue non riconducibili né al genus delle acque reflue domestiche, né a quello delle (purtroppo non meglio precisate) acque meteoriche di dilavamento; mentre le seconde sono rappresentate o da [sole] acque reflue domestiche, o dal miscuglio di queste ultime con acque reflue industriali e/o acque meteoriche di dilavamento, che ancorché giuridicamente indefinite, devono tuttavia risultare convogliate attraverso una rete fognaria, anche separata, e provenire da un agglomerato. (3) La mancanza di una definizione espressa in sede legislativa per la nozione di acque meteoriche di dilavamento ha fatto sı̀ che, ad onta dei paletti, in effetti abbastanza precisi, comunque fissati dalle disposizioni dell’art. 113 del D.Lgs. n. 152/2006, l’integrale devoluzione alle Regioni della competenza a disporne la regolamentazione «ai fini della prevenzione dei rischi idraulici e ambientali», abbia finito col generare un regime di disciplina geograficamente molto variegato, e sostanzialmente anarchico, come chi scrive ebbe modo di sottolineare, alcuni anni or sono, sulle pagine di questa stessa Rivista, (4) con l’aggravante che la maggior parte delle Regioni in regola con il mandato ad esse attribuito dal cit. art. 113 sono intervenute prima che venisse riformata la definizione di acque reflue industriali, dal D.Lgs. n. 4/2008. Ne è cosı̀ sortito che tra i pochi elementi quasi costantemente presenti nelle normative adottate in sede regionale per la regolamentazione delle acque meteoriche di dilavamento nei casi previsti dall’art. 113 del D.Lgs. n. 152/2006, (5) può riscontrarsi l’individuazione di più o meno ampie casistiche, (seppure variabili da una Regione all’altra), in corrispondenza delle quali è ipotizzata l’equiparazione delle acque meteoriche di dilavamento alle acque reflue industriali, anche in termini di regime autorizzatorio e di disposizioni sanzionatorie, tanto che alcune discipline regionali - come quella della Regione Emilia Romagna, - identificavano la categoria delle acque reflue di dilavamento, in tutto e per tutto assimilate a quelle industriali. Ciò, in forza della definizione originaria di acque reflue industriali (6) - inizialmente come tali designate per provenienza, (da edifici o installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni), e per qualità (qualitativamente differenti dalle acque reflue domestiche (7), e da quelle meteoriche di dilavamento), con la specificazione che come acque meteoriche di dilavamento dovevano intendersi anche quelle venute in contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, non connessi con le attività esercitate nello stabilimento: da ciò potendosi argomentare, a contrariis, che le acque di pioggia venute (invece) a contatto con sostanze o materiali, (inquinanti o meno) connessi con le attività esercitate nello stabilimento non potendo classificarsi come meteoriche di dilavamento, né a maggior ragione, come reflue domestiche, dovevano necessariamente ricadere tra le acque reflue industriali, se raccolte e convogliate tramite condotte. Note: (2) In termini tecnici, si tratta, comunque, delle acque cadenti sulle coperture degli edifici, sulle strade, sui parcheggi e sugli spazi aperti pavimentati, - o comunque impermeabili o semi-impermeabili, - sulle aree cortilive e pertinenziali degli edifici di qualunque tipo e destinazione, comunemente denominate acque «bianche», ad onta della scarsa rispondenza al vero di tale designazione, almeno per quel che riguarda le acque di «prima pioggia», cioè quella frazione che nella prima fase di ogni evento meteorico porta con sé i depositi e i residui d’ogni tipo presenti sulle superfici dilavate. (3) Per ‘‘agglomerato’’ dovendosi intendere, ex art. 74, comma 1, lett. n), del D.Lgs. n. 152/2006, «l’area in cui la popolazione, ovvero le attività produttive, sono concentrate in misura tale da rendere ammissibile, sia tecnicamente che economicamente in rapporto anche ai benefici ambientali conseguibili, la raccolta e il convogliamento in una fognatura dinamica delle acque reflue urbane verso un sistema di trattamento o verso un punto di recapito finale». (4) Si veda, in tal senso, di A Muratori, Acque meteoriche di dilavamento: normative regionali a confronto, in questa Rivista, 2008, 3, 224 ss. (5) Secondo il 18 comma di tale articolo, le Regioni, per esigenze di tutela idraulica e/o ambientale stabiliscono: a) le forme di controllo degli scarichi di acque meteoriche di dilavamento provenienti da reti fognarie separate; b) i casi in cui può essere richiesto che le immissioni delle acque meteoriche di dilavamento, effettuate tramite altre condotte [comunque] separate, siano sottoposte a particolari prescrizioni, ivi compresa l’eventuale autorizzazione, mentre invece, ai sensi del successivo comma 3, disciplinano, altresı̀, i casi in cui sia possibile prescrivere l’intercettazione delle acque di prima pioggia (nonché di quelle di lavaggio delle aree esterne) e il loro opportuno trattamento presso idonei impianti, in presenza del rischio di dilavamento, da superfici impermeabili scoperte, di sostanze pericolose o comunque pregiudizievoli per il raggiungimento degli obiettivi di qualità dei corpi idrici. (6) Definizione riportata testualmente in nota (1). (7) A loro volta definite come «acque reflue provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi, e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche». AMBIENTE & SVILUPPO 3/2014 191 Inquinamento Acque Su una lettura di questo tipo convergeva del resto anche la giurisprudenza, oltre che la maggior parte delle nascenti discipline regionali, (la cui emanazione era per altro stata in qualche caso avviata nella vigenza delle disposizioni di cui all’art. 39 del D.Lgs. n. 152/1999 (8)), e già nel corso del 2007 la Suprema Corte di Cassazione, pur nell’ambito di pronunce relative a fattispecie ratione temporis riferibili alla disciplina del precedente D.Lgs. n. 152/ 1999, prendeva atto delle implicazioni derivanti dall’innovato quadro di riferimento normativo, argomentando che «La nuova definizione, come la precedente, esclude dalle acque reflue industriali quelle meteoriche di dilavamento, precisando però che devono intendersi per tali anche quelle contaminate da sostanze o materiali non connessi con quelli impiegati nello stabilimento. Sembrerebbe perciò che quando le acque meteoriche siano, invece, contaminate da sostanze impiegate nello stabilimento, non debbano più essere considerate come acque meteoriche di dilavamento, con la conseguenza che dovrebbero essere considerate reflui industriali». (9) A rimescolare le carte interveniva ben presto tuttavia il D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4, che riformava (tra l’altro) la fino allora vigente definizione di acque reflue industriali, eliminando la specificazione riguardante le acque meteoriche di dilavamento, (quella, cioè, che identificava come tali anche la frazione venuta a contatto con sostanze e materiali, anche inquinanti, «non connessi» con le attività esercitate nello stabilimento), cosı̀ da ricondurla al testo riportato in apertura delle presenti note. Dalla nuova formulazione della declaratoria di acque reflue industriali si poteva facilmente dedurre la sopraggiunta (assoluta) impossibilità di qualsivoglia assimilazione/equiparazione alle acque reflue industriali delle acque meteoriche di dilavamento, a prescindere dal loro grado di contaminazione e della natura o provenienza delle sostanze o materiali inquinanti coi quali fossero venute a contatto, e dalla stessa circostanza che l’eventuale norma regionale prevedesse, o meno, un provvedimento autorizzatorio ad hoc, ex art. 113, comma 1, lett. b), comunque diverso da un’autorizzazione allo scarico di acque reflue industriali. Su ciò convenivano, in termini, diremmo, pressoché plebiscitari, i commentatori di qualsiasi orientamento, (10) e in qualche caso, le discipline regionali «di seconda generazione», ovvero emanate dalle regioni ritardatarie, ma non la giurisprudenza, che, quasi imperterrita, ha continuato a pronunciarsi come se le modifiche introdotte dal D. Lgs. 4/2008 non esistessero, o non avessero alcuna rilevanza. Una documentazione, sintetica, ma al tempo stesso organica ed efficace, della continuità di orientamento (11) della Giurisprudenza prevalente nel periodo (inferiore al biennio) compreso tra la data di prima emanazione del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e l’entrata in vigore del D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4, e in quello che si apre con quest’ultima data, e si conclude con la fine del 2013, è proposta sia dal «pezzo» di G. Amendola, già richiamato in nota (10), sia da un recente contributo di C. Melzi d’Eril, pubblicato, solo pochi mesi or sono, sulle pagine di questa stessa Rivista (12) traendo spunto dal commento alla Sentenza della Corte di Cassazione n. 4844 del 31 gennaio 2013, nella quale, pronunciandosi a favore dell’attribuzione, «senza se e senza ma», della qualifica di acque reflue industriali alle acque di scarico di un bar con annessa pasticceria, il Supremo Collegio estrapola l’opinabile e totalizzante principio (13) secondo il quale «.... nella nozione di acque reflue industriali rientrano tutti i reflui derivanti da attività che non attengono strettamente al prevalente metabolismo umano ed alle attività domestiche, cioè non collegati alla presenza umana, alla coabitazione ed alla convivenza di persone; con la conseguenza che sono da considerare scarichi industriali, oltre ai reflui provenienti da attività di produzione industriale vera e propria, anche quelli provenienti da insediamenti Note: (8) Cui si doveva la delega alle Regioni delle competenze sull’emanazione della disciplina relativa alle acque meteoriche di dilavamento e di prima pioggia, secondo la fomulazione che sarebbe stata poi trasposta tal quale nell’art. 113 del D.Lgs. n. 152/2006. (9) Trattasi, in questo caso, della sentenza n. 40191/2007 dell’11 ottobre 2007. Di analogo tenore, anche la (di poco precedente) sentenza n. 33839 del 4 settembre 2006, per il cui commento si rimanda al contributo di E. Falcone, pubblicato su questa stessa Rivista, Acque meteoriche e di dilavamento tra D.Lgs. n. 152/1999 e TUA (nota a Cass. pen. n. 33839/2007), 2008, 3, 235 ss. (10) Pur con qualche ragguardevole eccezione, come nel caso di Gianfranco Amendola, acuto esponente della linea [più] «garantista», che, con la sagacia che gli è propria, (si veda in tal senso, di G. Amendola, Acque meteoriche e scarichi industriali: a che punto siamo?, sul sito www.industrieambiente.it, 2013), riesce a fornire un’ingegnosa spiegazione in effetti, plausibile, ancorché, secondo chi scrive, non condivisibile, e senza dubbio, assai forzata, della (presunta) irrilevanza della riforma operata dal D.Lgs. n. 4/2008, ai fini di una perdurante classificabilità come acque reflue industriali, delle acque meteoriche di dilavamento venute a contatto con sostanze o materiali inquinanti, ove convogliate tramite condotta (e da considerare invece come rifiuti liquidi, qualora disperse senza condotte). (11) Malgrado l’evidente e non meno documentata discontinuità legislativa. (12) Si veda di C. Melzi d’Eril, Reflui industriali, acque meteoriche di dilavamento: arresti (e qualche inciampo) nella giurisprudenza, in questa Rivista, 2013, 8-9, 724 ss. (13) Principio oltretutto sorprendentemente ignaro delle contrarie disposizioni del D.P.R. 19 ottobre 2011, n. 227 «Regolamento per la semplificazione di adempimenti amministrativi in materia ambientale gravanti sulle imprese, a norma dell’articolo 49, comma 4-quater, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122», (G.U. 3 febbraio 2012, n. 28), il cui Capo II detta «Disposizioni in materia di scarichi di acque reflue», rimandando alla Tabella 2 dell’Allegato A per l’identificazione delle specifiche categorie di attività produttive e di servizio le cui acque di scarico sono assimilate ex lege alle acque reflue domestiche, se rientranti nelle soglie quantitative eventualmente stabilite in corrispondenza delle diverse voci della citata tabella. AMBIENTE & SVILUPPO 192 3/2014 Inquinamento Acque ove si svolgono attività artigianali e di prestazioni di servizi, quando le caratteristiche qualitative degli stessi siano diverse da quelle delle acque domestiche, come nel caso delle acque reflue provenienti da laboratori diretti alla produzione di alimenti». Ma anche nelle Pronunce che attengono a casistiche direttamente riguardanti il regime di disciplina e la classificazione delle acque meteoriche di dilavamento, la Corte di Cassazione sembra ignorare la riforma apportata dal D.Lgs. n. 4/2008; (14) e cosı̀ nella Sentenza 14 marzo 2012, n. 12791, occupandosi delle acque meteoriche di dilavamento del piazzale di una stazione di servizio, che, venendo a contatto coi residui oleosi e di carburante dispersi al suolo durante l’esercizio dell’attività di rifornimento degli autoveicoli, assumerebbero la natura di acque reflue industriali, a più di quattro anni dall’entrata in vigore del D.Lgs. n. 4/2008, non si perita di affermare che «Secondo la Giurisprudenza di questa Corte... le acque meteoriche di dilavamento disciplinate dal D.Lgs. n. 152/ 2006, art. 113, allorché vengano contaminate da sostanze o materiali impiegati in un impianto o stabilimento industriale, sono da considerarsi come reflui industriali». E a riprova di un’indiscutibile propensione per l’autoreferenzialità, - a scapito di una forse auspicabile maggiore attenzione per l’evoluzione del quadro normativo, almeno quando dalla trattazione della fattispecie trascorre allo sviluppo di argomentazione di ordine generale, destinate a «fare giurisprudenza», - ecco che la Suprema Corte, nella Sentenza 14 novembre 2012, n. 2686, ribadisce, una volta di più, che nelle acque reflue industriali va compreso «qualsiasi tipo di acque reflue provenienti da edifici o installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, differenti qualitativamente dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento, intendendosi per tali anche quelle venute a contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti». Cioè, continuando a riportare, in pieno 2012, l’abrogata specificazione relativa alle caratteristiche delle acque meteoriche di dilavamento, come se il D.Lgs. n. 4/2008 non fosse mai esistito! Ma chi può mai mettere in discussione la «costante giurisprudenza» della Terza Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, anche se magari nella versione in «pillole» proposta dai massimari? Si innesca cosı̀ una sorta di reazione a catena che si riverbera su altri Giudici e altre Corti: ed ecco - ci limitiamo a una mera esemplificazione, come si suol dire, ex multis, - che, secondo il Tar di Lecce, (sentenza 21 giugno 2013, n. 1459), le acque che dilavano un piazzale sul quale vengono posati residui ferrosi derivanti da processi produttivi, o composti chimici impiegati nell’attività, avrebbero natura di acque reflue industriali, e non già di acque meteoriche di dilavamento, qualifica che, a parere del Giudice amministrativo, andrebbe riservata solo alle «acque pluviali che, nel loro percorso, trascinano unicamente pulviscolo o altro materiale di origine naturale». Le considerazioni che abbiamo sviluppato fino a questo punto rappresentano a nostro modo di vedere indispensabile premessa alla presentazione di una Sentenza che potremmo dire rivoluzionaria, non per l’originalità delle considerazioni svolte, o perché apra nuove prospettive di ermeneutica giuridica, ma perché riflette un ormai inatteso revirement della Cassazione sulla questione del binomio acque reflue industriali/acque meteoriche di dilavamento: in altri termini, la Suprema Corte si è finalmente accorta dell’intervenuta emanazione del D.Lgs. n. 4/ 2008; e con la prudenza che Le è propria, dopo averci riflettuto a lungo, pur ricorrendo, come si vedrà, ad un doppio condizionale concatenato, ha cambiato idea, rispetto ai propri orientamenti consolidati. Ciò è avvenuto con la sentenza n. 2867/ 2014, , che ci accingiamo ad illustrare. La Sentenza della Corte di Cassazione n. 2867/2014: un fulmine a ciel sereno Il ricorso sottoposto allo scrutinio della Corte riguardava una sentenza di condanna inflitta dal primo Giudice (in data 20 dicembre 2012) al «responsabile ambiente e sicurezza» di un’industria cartaria toscana (non una cartiera, ma uno stabilimento dove si realizzava cartone ondulato lavorando materiali cartacei forniti da altre industrie), per aver realizzato un «nuovo scarico di acque reflue industriali senza autorizzazione», avendo dato corso allo stoccaggio a cielo aperto di bobine di carta su un piazzale asfaltato dello stabilimento, cosicché le acque meteoriche di dilavamento trascinavano poltiglia e frammenti di carta mescolandosi a questi e si trasformano in «acque meteoriche contaminate,» (15) che confluivano, con le acque pluviali non contaminate provenienti dai tetti, nei tombini di raccolta per poi essere scaricate su suolo, provocandone l’imbrattamento, e di lı̀, nel corpo idrico recettore. Il ricorso per cassazione avrebbe potuto concludersi con Note: (14) È cosı̀ per la sentenza 6 luglio 2011, n. 36979, che conferma la natura di acque reflue industriali delle acque di dilavamento di un piazzale nel quale queste ultime venivano a contatto con reflui derivanti dallo sversamento di gasolio, rifacendosi, per giustificare la decisione alla versione della definizione di acque reflue industriali antecedente al D.Lgs. n. 4/2008; lo stesso avviene per la sentenza 17 gennaio 2012, n. 19436, che conferma una sentenza di condanna inflitta da giudice di prime cure per scarico abusivo di acque reflue industriali, in realtà costituite da acque meteoriche di dilavamento di un parcheggio, ma assimilate agli scarichi industriali dalla legge regionale della Regione Campania; e cosı̀ via. (15) E perciò, secondo il Giudice di prime cure, «equiparate dal D.Lgs. n. 152 del 2006 alle acque industriali, con la conseguenza che lo scarico necessitava di autorizzazione». AMBIENTE & SVILUPPO 3/2014 193 Inquinamento Acque un déjà vu, - e la pronuncia della Corte sarebbe finita solo a ingrossare l’elenco dal quale abbiamo tratto i casi richiamati a conclusione del precedente paragrafo, - ma cosı̀ non è stato: non sapremmo se per l’efficace prospettazione degli argomenti difensivi, o per la sopraggiunta inapplicabilità assoluta al caso di specie, ratione temporis, della norma antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 4/2008, o a causa di una «tempesta del dubbio» autonomamente materializzatasi nella mente del Giudice adito, il Collegio ha deciso per la fondatezza del ricorso, ricostruendo, nelle argomentazioni di diritto a sostegno della propria decisione, l’evoluzione della nozione di [scarico di] acque reflue industriali, dal D.Lgs. n. 152/1999 ai giorni nostri, e soffermandosi sugli elementi di differenziazione, e connesse implicazioni e conseguenze, tra le diverse formulazioni via via in vigore. Riportata la definizione di acque reflue industriali attualmente in vigore, cosı̀ afferma la Corte: «È peraltro opportuno ricordare che la suddetta formulazione dell’art. 74 cit. è quella risultante dalla modifica operata dal D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4, art. 2, comma 1, modifica con la quale è stato escluso il riferimento qualitativo alla tipologia delle due acque. E difatti il previgente testo dell’art. 74, lett. h), stabiliva invece che si intendono per «acque reflue industriali: qualsiasi tipo di acque reflue provenienti da edifici od installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, differenti qualitativamente dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento, intendendosi per tali anche quelle venute in contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, non connessi con le attività esercitate nello stabilimento».» E dopo avere evidenziato come il Giudice di prima istanza abbia applicato la Norma statale sui reflui industriali antecedente alla riforma apportata dal D.Lgs. n. 4/2008, «appunto mediante il richiamo alla Sentenza della sezione III, 11 ottobre 2007, n. 40191, «Schembri», senza tuttavia tenere conto della modifica apportata dal D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4,.... ed omettendo di verificare se le conclusioni cui era giunta la citata decisione, fondate sul precedente testo dell’art. 74, lett. g), potessero ritenersi ancora valide dopo la ricordata modifica normativa», la Corte - stendendo un velo sul proprio giudicato (di diverso segno, e qui sopra documentato) successivo all’entrata in vigore di quel decreto «correttivo», - conclusivamente argomenta che «la nuova formulazione dell’art. 74, lett. g), esclude ogni riferimento qualitativo alla tipologia delle acque, dal momento che è stato eliminato dal dato normativo sia il riferimento alla differenza qualitativa dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento, sia l’inciso «intendendosi per tali (acque meteoriche di dilavamento) anche quelle venute in contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, non connesse con le attività esercitate nello stabilimento», di talché sembrerebbe non più possibile oggi assimilare, sotto un profilo qualitativo, le due tipologie di acque (reflui industriali e acque meteoriche di dilavamento) né sembrerebbe possibile ritenere che le acque meteoriche di dilavamento (una volta venute a contatto con materiali o sostanze anche inquinanti connesse con l’attività esercitata nello stabilimento) possano essere assimilate ai reflui industriali. Sembrerebbe, cioè, che data la ricordata modifica legislativa, non sarebbe più possibile accomunare le acque meteoriche di dilavamento e le acque reflue industriali.» Conclusioni ineccepibili, che non necessitano di commento, se non per fare presente, pur sommessamente, e con la dovuta umiltà, che la (maggior parte della) dottrina ad esse era pervenuta subito dopo la lettura del D.Lgs. n. 4/2008; e per annotare che, grazie ad esse, vengono demolite le ingegnose argomentazioni generosamente astrologate da qualche commentatore, (ne abbiamo fatto cenno nel paragrafo precedente), diversamente incapace di spiegarsi il perdurante orientamento della Corte, anche dopo la modifica legislativa. È dunque tale «presa d’atto» a rendere importante questa Sentenza, che contribuirà senza dubbio ad una più omogenea applicazione delle disposizioni sulle acque meteoriche di dilavamento, - malgrado l’eterogeneità delle normative regionali, - anche sul fronte del regime sanzionatorio, relativamente al quale potranno essere applicate sanzioni esclusivamente amministrative, - ai sensi dell’art. 133, comma 9, - per tutte le violazioni alle disposizioni dell’art. 113, comma 1, compresa l’attivazione dello scarico di acque meteoriche di dilavamento, anche contaminate, in assenza dell’autorizzazione, qualora prescritta dalle pertinenti normative regionali ai sensi della lett. b) del citato primo comma; mentre la competenza del Giudice penale resterà circoscritta alle violazioni delle disposizioni di cui all’art. 113, comma 3, afferenti alla disciplina della sola frazione relativa alle acque di prima pioggia e/o di lavaggio delle aree esterne in applicazione del disposto dell’art. 137, comma 9, del D.Lgs. n. 152/ 2006, che prevede l’applicazione delle medesime sanzioni contemplate al comma 1 del medesimo articolo. È infine nostro auspicio che, «fatto trenta», piaccia alla Suprema Corte di «far trentuno», prendendo [finalmente] atto, oltre che dell’intervenuta emanazione del D.Lgs. n. 4/ 2008, anche dell’entrata in vigore del D.P.R. n. 227/2011, secondo il quale, a determinate condizioni, è disposta l’assimilazione ex lege alle acque reflue domestiche degli scarichi derivanti da tutta una serie di attività, che la Cassazione, in forza del proprio inossidabile convincimento e delle proprie olimpiche certezze, continua a ritenere, sempre e comunque, produttrici di acque reflue industriali. In modo che dentisti, pasticceri e macellai, per non dire dei liutai e degli orefici, possano finalmente tirare un respiro di sollievo. AMBIENTE & SVILUPPO 194 3/2014 Inquinamento Acque Il documento Corte di Cassazione penale, sez. III, 22 gennaio 2014, n. 2867 Motivi della decisione Il ricorso è fondato. Quanto al fatto contestato ai sensi del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 137, invero, lo stesso non integra il reato prospettato, bensı̀ un illecito amministrativo, e ciò per due diverse ragioni, riconducibili all’erronea applicazione nella specie della normativa statale in materia di reflui industriali anziché della normativa regionale locale (L.R. Toscana n. 20 del 2006 e reg. attuazione di cui al D.P.G.R. Toscana 8 settembre 2008, n. 46) secondo quanto disposto dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 113, che demanda alle regioni la disciplina locale in materia di acque meteoriche di dilavamento e di prima pioggia. In primo luogo, esattamente il ricorrente ricorda che nel D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, si fa cenno alle «acque meteoriche di dilavamento» nella Sezione 2, Parte 3, che è dedicata alla «Tutela, delle acque dall’inquinamento», ma non si fornisce una specifica definizione delle stesse che indirettamente, e in negativo, viene data nell’art. 74. In tale disposizione, dedicata alle definizioni, «le acque meteoriche di dilavamento» non sono definite in modo diretto nel loro contenuto, ma citate nella definizione di un’altra tipologia di acque, e cioè dei reflui industriali (lett. h), allo scopo di delimitarne in negativo il significato. L’art. 74 cit., infatti dispone, alla lett. g), che si intendono per «acque reflue domestiche», le «acque reflue provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche», ed alla lett. h) che si intendono per «acque reflue industriali» «qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici od impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento». L’art. 74 cit., pertanto, pur non fornendo una diretta definizione delle acque meteoriche di dilavamento, le considera diverse e distinte dalle acque reflue industriali e, quindi, non assimilabili a quest’ultime. È peraltro opportuno ricordare che la suddetta formulazione dell’art. 74 cit. è quella risultante dalla modifica operata dal D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4, art. 2, comma 1, modifica con la quale è stato escluso il riferimento qualitativo alla tipologia delle due acque. E difatti il previgente testo dell’art. 74, lett. h), stabiliva invece che si intendono per «acque reflue industriali: qualsiasi tipo di acque reflue provenienti da edifici od installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, differenti qualitativamente dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento, intendendosi per tali anche quelle venute in contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, non connessi con le attività esercitate nello stabilimento». Proprio sulla base di questa diversa formulazione legislativa, la sentenza della sez. III, 11 ottobre 2007, n. 40191, Schembri, n. 238056, aveva affermato il principio che «le acque meteoriche di dilavamento ovvero le acque piovane che, depositandosi su suolo impermeabilizzato, dilavano le superfici attingendo indirettamente i corpi recettori, oggi disciplinate dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 113, non rientrano, di norma, tra le acque reflue industriali, salvo che le stesse vengano contaminate da sostanze o materiali impiegati nello stabilimento, nel qual caso sono da considerarsi come reflui industriali». Nella motivazione, tale decisione, dopo aver ampiamente ricordato la disciplina applicabile alle acque meteoriche di dilavamento alla stregua della normativa anteriore, ed in particolare del D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, art. 39, come modificato dal D.Lgs. n. 258 del 2000, ha poi osservato che il D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 113, prevede, al comma 1, che le regioni, ai fini della prevenzione di rischi idraulici ed ambientali, stabiliscano e disciplinino: a) le forme di controllo degli scarichi di acque meteoriche di dilavamento provenienti da reti fognarie separate (cioè adibite a raccogliere esclusivamente acque meteoriche); b) i casi in cui può essere richiesto che le immissioni delle acque meteoriche di dilavamento, effettuate tramite altre condotte separate (diverse dalle reti fognarie separate), siano sottoposte a particolari prescrizioni, ivi compresa l’eventuale autorizzazione. Questi sono gli unici casi in cui le acque meteoriche sono soggette al D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152. Difatti, il citato art. 113, al comma 2 prevede che fuori di dette ipotesi «le acque meteoriche non sono soggette a vincoli o prescrizioni derivanti dalla parte terza del presente decreto» (e quindi, ove non siano commiste ad altri reflui prodotti dall’attività antropica, non costituiscono uno «scarico» soggetto alla disciplina del D.Lgs. n. 152 del 2006). AMBIENTE & SVILUPPO 3/2014 195 Inquinamento Acque La sentenza n. 40191/2007, peraltro, osservò poi che mentre nel regime del D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, le acque di dilavamento sembravano apparentemente escluse dalla nozione di scarico anche ove si fosse trattato di acque che avessero raccolto sostanze inquinanti provenenti da insediamenti industriali, la nuova disciplina posta dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 74, lett. h), «ridefinisce le acque reflue industriali come «qualsiasi tipo di acque reflue provenienti da edifici od installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, differenti qualitativamente dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento, intendendosi per tali anche quelle venute in contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, non connesse con le attività esercitate nello stabilimento». La nuova definizione, come la precedente, esclude dalle acque reflue industriali quelle meteoriche di dilavamento, precisando però che devono intendersi per tali anche quelle contaminate da sostanze o materiali non connessi con quelli impiegati nello stabilimento. Sembrerebbe perciò che quando le acque meteoriche siano, invece, contaminate da sostanze impiegate nello stabilimento, non debbano più essere considerate come «acque meteoriche di dilavamento», con la conseguenza che dovrebbero essere considerate reflui industriali. In particolare, mentre in precedenza appariva evidente l’intento del legislatore di espungere il più possibile dal D.Lgs. n. 152 del 1999 le acque meteoriche in mancanza di apposita disciplina regionale e, stante il chiaro tenore letterale delle norma, non pareva più possibile l’equiparazione delle acque di dilavamento (seppure contaminate) delle aree esterne di un’azienda alle acque industriali, con il D.Lgs. n. 152 del 2006 le acque di dilavamento contaminate dall’attività produttiva tipica dell’insediamento da cui provengono sembrano doversi ritenere assimilate a quelle industriali, e quindi soggette al relativo regime normativo». Nel caso di specie il giudice di primo grado ha applicato le norme statali sui reflui industriali antecedenti alla modifica legislativa, appunto mediante il richiamo alla sentenza della sez. III, 11 ottobre 2007, n. 40191, Schembri, senza però tenere conto della modifica apportata dal D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4, art. 74, lett. g), art. 2, ed omettendo di verificare se le conclusioni cui era giunta la citata decisione (fondate sul precedente testo dell’art. 74, lett. g)) possano ritenersi ancora valide dopo la ricordata modifica normativa. E difatti la nuova formulazione dell’art. 74, lett. g), esclude ogni riferimento qualitativo alla tipologia delle acque, dal momento che è stato eliminato dal dato normativo sia il riferimento alla differenza qualitativa dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento, sia l’inciso «intendendosi per tali (acque meteoriche di dilavamento) anche quelle venute in contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, non connesse con le attività esercitate nello stabilimento», di talché sembrerebbe non più possibile oggi assimilare, sotto un profilo qualitativo, le due tipologie di acque (reflui industriali e acque meteoriche di dilavamento) né sembrerebbe possibile ritenere che le acque meteoriche di dilavamento (una volta venute a contatto con materiali o sostanze anche inquinanti connesse con l’attività esercitata nello stabilimento) possano essere assimilate ai reflui industriali. Sembrerebbe, cioè, che data la ricordata modifica legislativa, non sarebbe più possibile accomunare le acque meteoriche di dilavamento e le acque reflue industriali. In ogni caso, anche volendo prescindere dalla modifica legislativa - ignorata dal giudice di primo grado - il giudice ha anche omesso di considerare che il D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 113, rubricato appunto «Acque meteoriche di dilavamento e acque di prima pioggia», prevede che le Regioni, «ai fini della prevenzione di rischi idraulici ed ambientali», emanino una disciplina delle acque meteoriche che dilavano le superfici e si riversano in differenti corpi recettori. Ed invero - come si è già dianzi ricordato - l’art. 113 cit. dispone, al comma 1, che le regioni disciplinano e attuano: «a) le forme di controllo degli scarichi di acque meteoriche di dilavamento provenienti da reti fognarie separate; b) i casi in cui può essere richiesto che le immissioni delle acque meteoriche di dilavamento, effettuate tramite altre condotte separate, siano sottoposte a particolari prescrizioni, ivi compresa l’eventuale autorizzazione». Il comma 2 poi stabilisce che «le acque meteoriche non disciplinate ai sensi del comma 1 non sono soggette a vincoli o prescrizioni derivanti dalla parte terza del presente decreto». Il comma 3 infine dispone che «Le regioni disciplinano altresı̀ i casi in cui può essere richiesto che le acque di prima pioggia e di lavaggio delle aree esterne siano convogliate e opportunamente trattate in impianti di depurazione per particolari condizioni nelle quali, in relazione alle attività svolte, vi sia il rischio di dilavamento da superfici impermeabili scoperte di sostanze pericolose o di sostanze che creano pregiudizio per il raggiungimento degli obiettivi di qualità dei corpi idrici». Per quanto attiene alle sanzioni, il D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 133, comma 9, sanziona in via amministrativa pena pecuniaria da euro 1.500,00 ad euro 15.000,00 - chiunque non ottemperi alla disciplina dettata dalle regioni ai sensi dell’art. 113, comma 1, lett. b), ossia la violazione delle prescrizioni o delle autorizzazioni disposte in sede regionale. La previsione della punizione mediante sanzione amministrativa è tassativa, sia perché non possono essere estese in via analogica le norme che prevedono una sanzione penale, sia perché il legislatore non ha inserito all’art. 133, comma 9 la clausola di stile «salvo che il fatto costituisca reato». L’art. 137, comma 9, poi, sanziona penalmente, AMBIENTE & SVILUPPO 196 3/2014 Inquinamento Acque con le pene di cui al comma 1 (arresto o ammenda) «chiunque non ottempera alla disciplina dettata dalle Regioni ai sensi dell’art. 113, comma 3». Poiché quest’ultima disposizione fa riferimento a «particolari condizioni nelle quali, in relazione alle attività svolte, vi sia il rischio di dilavamento da superfici impermeabili scoperte di sostanze pericolose o di sostanze che creano pregiudizio per il raggiungimento degli obiettivi di qualità dei corpi idrici», la condotta illecita oggetto di sanzione penale, deve estrinsecarsi in un pericolo concreto e non presunto. In sostanza, dunque, il D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, demanda alla normativa regionale la disciplina delle acque meteoriche di dilavamento. Con riguardo al caso di specie vengono quindi in rilievo la L.R. Toscana n. 20/2006 nonché il regolamento di attuazione di cui al D.P.G.R. Toscana n. 46/R/2008. In particolare, la L.R. Toscana n. 20/2006, all’art. 2 ("Definizioni»), definisce al comma 1, lett. d), le acque meteoriche dilavanti (AMD) suddividendole in acque meteoriche dilavanti non contaminate (ADNC) e acque meteoriche dilavanti contaminate (AMC). Alla successiva lett. e) definisce acque meteoriche dilavanti contaminate (AMC) le acque meteoriche dilavanti diverse dalle acque meteoriche dilavanti non contaminate ivi incluse le acque meteoriche di prima pioggia, derivanti dalle attività che comportino oggettivo rischio di trascinamento, nelle acque meteoriche, di sostanze pericolose o di sostanze in grado di determinare effettivi pregiudizi ambientali, individuate (le attività) dal regolamento di cui all’art. 13. Alla lettera f) dell’art. 2 vengono definite acque meteoriche dilavanti non contaminate (AMDNC) le acque meteoriche dilavanti derivanti da superfici impermeabili anche di aree industriali dove non vengono svolte attività che possano oggettivamente comportare il rischio oggettivo di trascinamento di sostanze pericolose o di sostanze in grado di determinare effettivi pregiudizi ambientali. la medesima L.R. n. 20 del 2006, art. 8, disciplina poi lo scarico di acque di prima pioggia e di acque meteoriche dilavanti contaminate, regolando ai commi 1-2 lo scarico in pubblica fognatura e fuori dalla pubblica fognatura di acque di prima pioggia provenienti da aree pubbliche; ed ai commi 3-4 lo scarico delle acque di prima pioggia e le acque meteoriche dilavanti contaminate diverse da quelle indicate ai nn. 1-2 prevedendo un meccanismo di autorizzazione e un sistema di depurazione. Il successivo art. 13, comma 2, demanda alla Giunta regionale di disciplinare con regolamento, entro 180 giorni dalla entrata in vigore della legge regionale, l’elenco delle attività di cui all’art. 2, comma 1, lett. e), che comportano oggettivo rischio di trascinamento nelle acque meteoriche dilavanti di sostanze pericolose o di sostanze in grado di determinare effettivi pregiudizi ambientali. Nel regolamento emanato dalla Giunta regionale toscana il giorno 8 settembre 2008 (D.P.G.R n. 46/R/2008) all’art. 39 intitolato «acque meteoriche contaminate» si indicano (con apposito allegato 5) le attività di cui alla L.R. n. 20 del 2006, art. 2, comma 1, lett. e), che presentano oggettivo rischio di trascinamento nelle acque meteoriche di sostanze pericolose o di sostanze in grado di determinare effetti pregiudizievoli ambientali. Il comma 7 di detto articolo prevede che per le imprese autorizzate allo scarico di acque reflue industriali il piano di cui al comma 6 (il piano di gestione delle acque meteoriche) è presentato contestualmente alla domanda di nuova autorizzazione o di rinnovo. L’art. 43 del regolamento citato al comma 1 prevede che il titolare delle attività di cui all’art. 39, comma 1 (quelle di cui all’allegato 5, tabella 5) comunque entro tre anni dalla entrata in vigore del regolamento stesso presenta il piano di gestione delle AMD. Nel caso in esame, quindi, la normativa applicabile alla fattispecie concreta, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice del merito, è quella di cui alla L.R. toscana n. 20 del 2006 e al suo regolamento di attuazione. Non è invece applicabile la normativa di cui al D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, artt. 101-124, non solo perché esclusa dall’art. 113 del medesimo decreto delegato ma anche perché essa riguarda gli scarichi di reflui industriali e non già gli scarichi o immissioni di acque meteoriche di dilavamento, tipologie di acque diverse tra loro. Ciò posto, nel caso di specie all’imputato è stata contestato la scarico delle acque meteoriche di dilavamento senza autorizzazione, ossia è stata contestata la violazione della disciplina dettata dalla regione ai sensi del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 113, comma 1, lett. b), e cioè la violazione delle prescrizioni, ivi compresa l’eventuale autorizzazione, dettate dalla normativa regionale per la immissione di acque meteoriche di dilavamento effettuata tramite condotta separata dalla rete fognaria. Siffatta violazione - come del resto già deciso da questa Corte in un caso analogo al presente con la sentenza sez. III, 21 ottobre 2010, n. 40857, Rizzi, non massimata - non è punita penalmente ma integra solo un illecito amministrativo punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 1.500,00 ad euro 15.000,00 ai sensi del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 133, comma 9. Non può infatti essere applicata la sanzione penale di cui all’art. 137, comma 9 ("Chiunque non ottempera alla disciplina dettata dalle regioni ai sensi dell’art. 113, comma 3, è punito con le sanzioni di cui all’art. 137, comma 1») posto che non è questa la violazione contestata ed accertata nella specie. Non è stato invero contestata né accertata la sussistenza dei presupposti richiesti per la previsione di convogliamento e di trattamento in impianti di depurazione delle acque meteoriche, in ragione della presenza di particolari condizioni nelle quali, in relazione alle AMBIENTE & SVILUPPO 3/2014 197 Inquinamento Acque attività svolte, vi sia il rischio di dilavamento da superfici impermeabili scoperte di sostanze pericolose o di sostanze che creano pregiudizio per il raggiungimento degli obiettivi di qualità dei corpi idrici. Dalla sentenza impugnata, invero, non risulta che sia stata fornita alcuna prova della concreta sussistenza delle condizioni richieste dal citato art. 113, comma 3, ed anzi la stessa sentenza da espressamente atto (pag. 2) che anche l’Arpa aveva concordato con l’eccezione avanzata dal consulente tecnico della difesa che l’attività svolta dalla società Ondulati Giusti non rientrava tra quelle elencate nella tabella 5 dell’allegato 5 al regolamento regionale 8 settembre 2008, n. 46/R. Per completezza può anche ricordarsi che in ogni caso esattamente il ricorrente osserva che, anche a voler ipotizzare la contaminazione dell’acqua meteorica di dilavamento, lo stabilimento, che era fornito di autorizzazione allo scarico di reflui industriali, aveva comunque tempo tre anni dall’entrata in vigore (8 settembre 2008) del regolamento di attuazione della L.R. n. 20/2006 per presentare, ai sensi degli artt. 39 e 43 del detto regolamento, un piano di adeguamento. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio in ordine al reato contestato ai sensi del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, artt. 124 e 137, perché il fatto in tal modo contestato non è comunque previsto dalla legge come reato. Di conseguenza va disposta la trasmissione degli atti alla regione Toscana per quanto di competenza in ordine ad eventuali illeciti amministrativi. Per quanto concerne il reato di cui all’art. 674 c.p. la sentenza impugnata deve essere invece annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste. Come si è già evidenziato, infatti, nella sentenza impugnata vi è una assoluta mancanza di prova circa la contaminazione delle acque da parte dei residui di trascinati durante il passaggio delle acque stesse. Vi è quindi, a maggior ragione, assoluta mancanza di motivazione sulla prova della idoneità in concreto dell’acqua mista ai residui di molestare o offendere le persone. In sostanza, manca qualsiasi prova sulla sussistenza degli elementi costitutivi del reato in questione e di qualsiasi lesione del bene giuridico tutelato dall’art. 674 c.p., che è rappresentato dalla pubblica incolumità. P.Q.M. (omissis) AMBIENTE & SVILUPPO 198 3/2014