Leggi la descrizione di Anna, della Cena Ebraica
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Leggi la descrizione di Anna, della Cena Ebraica
Cena Ebraica Una cena insolita, già dalla sua preparazione. Grazia, normalmente disinvolta tra i fornelli, mi chiede una mano perché insicura, anch’io ho poche notizie, ma la cosa non mi spaventa. Uso internet per saperne di più e nella ricerca, sento crescere un grande interesse. “Pesach zeman charutenu” «Pasqua tempo della nostra liberazione». Così i nostri fratelli ebrei chiamano la festa centrale del loro ciclo liturgico, una festa nata a causa di una fuga. Il libro dell’Esodo (capitoli 12, 13 e 14) descrive bene i momenti che precedono e seguono l’episodio dell’uscita, una fuga che Dio trasforma in vittoria. La “notte” della traversata del mar Rosso verso la terra Promessa, costituisce l’evento attraverso cui il Signore forma il popolo d’Israele. E proprio durante questo pellegrinaggio verso Canaan riceveranno il dono per eccellenza, la Torah (Il Pentateuco), sigillo del patto stipulato con il Signore. Quindi se è vero che in questa notte nasce l’identità del popolo, è altrettanto vero che, solo accogliendo la Torah, Israele diviene completamente libero per poter servire il suo Dio nella terra ricevuta in dono. Pesach è la festa del “pane non lievitato” (mazzot). Gli azzimi (assieme alle erbe amare) ricordavano a Israele sia il pane dell’oppressione mangiato per anni in Egitto, sia la liberazione tanto repentina da non consentire di farlo lievitare. La celebrazione si fonda sulle benedizioni, una serie di gesti ben precisi, accompagnati dalla narrazione della Pasqua e sulla consumazione del SEDER ( Ordine), la cena pasquale: agnello posto in un piatto insieme alle azzime, un uovo sodo, il charoset: un’impasto di frutta, prezzemolo intinto in acqua e sale, erba amara e il sedano. Ed è iniziata giovedì mattina la ricerca della juta, dei piatti e delle tazze, nonché ogni sorta d’arredo per l’allestimento della tavola. E’ andata avanti al venerdì pomeriggio con la rottura dei malli e la frantumazione della frutta secca, il lavaggio delle erbe amare e del prezzemolo, per gli ebrei simbolo di crescita, da intingere in acqua salata come le lacrime versate durante la schiavitù. Sabato ha visto Dino, Carmela e Fiore, davanti al forno a legna, alle prese con la pre-cottura dell’agnello in ricordo del sacrificio prima dell’esodo e del pane azzimo. Poi al pomeriggio, nella cucina dell’oratorio, raggiunti da Dino per la fine cottura dell’agnello, io Grazia, Andreina e Walter catturate dal charoset, o harosat, per l'aspetto simile al fango del Nilo usato dagli ebrei nella costruzione delle piramidi, univamo alla frutta secca mele, prugne, datteri, vino e miele, quindi lessavamo l’erba amara e le uova sode, il segno del lutto per la distruzione del tempio ed ancora pane azzimo di grano saraceno, mais e farina di riso. Nel frattempo i giovani avevano cominciato a disporre per terra,a ferro di cavallo, i tavoli monchi delle gambe, avendo cura di coprirli con teli bianchi in lino e strisce in juta centrali. Trent’un piatti, tren’un tovaglioli di cotone bianco, trent’un ciotole di creta per il vino. Ventinove apostoli più il don, nelle vesti di Gesù ed un posto vuoto per il profeta Elia. Altre ciotole sparse contenenti acqua e sale e tutti gli altri alimenti preparati oltre all’acqua per lavare le mani, brocche di vino e ceste colme di pane azzimo. Un piccolo libricino di fianco ad ogni piatto, per la liturgia. Nello spazio interno tra i tavoli, un grande dipinto su tela, raffigurante il volto di Gesù, alcune cesta contenenti degli asciugamani di lino, una brocca con catino e la Menorah, il candelabro a sette lumi. Strisce di tappeti colorati intorno ai tavoli, attendevano ansiosi la nostra presenza. Il sole era ormai tramontato e noi ci siamo trovati, come Gesù, a celebrare la Pasqua. Ha Presieduto la cena Don Angelo cominciando a benedirci uno ad uno, mentre un “apostolo” versava il vino nella coppa di ogni commensale. Tutti hanno bevuto, mentre Don Angelo proseguiva nel rito di inizio con le indicazione dei gesti e la loro spiegazione. Di seguito l’inizio della “liturgia della parola” della cena pasquale ebraica: un “apostolo” ha versato la seconda coppa di vino, mentre il più giovane dei discepoli, rivolgeva al don le domande rituali. Nei pasti di festa, per rallegrarsi insieme, si beve del vino... abitualmente nelle famiglie ebree, per una cena di festa, si beve una sola coppa di vino, ma a Pasqua, la festa è così grande che se ne bevono quattro. Ci si ricorda di tutte le meraviglie che Dio ha fatto per noi: se ne fa l’elenco a partire dalla creazione del mondo. C’è anche un canto per dire tutto questo, e dopo ogni meraviglia ricordata, tutti insieme si ripete : “Dajjenou”, una parola ebraica che significa : “Ci sarebbe bastato !”, Ed ad ogni meraviglia abbiamo confermato: “avremmo già tanti motivi per ringraziarlo!” Che gioia pronunciare tale frase! E così, fino alla fine delle domande ed all’inizio della cena rituale, come fecero gli apostoli con Gesù … e prima di mangiare l’agnello, don Angelo ha lavato i piedi a tutti noi … Basandosi su Malachia 4:5, gli ebrei insegnano che prima del ritorno del Messia, deve venire Elia, ma Gesù va al posto riservato ad Elia prende il pane messo via per il profeta e … … dopo aver reso grazie, don Angelo ha spezzato il pane l’ha dato ad ognuno di noi dicendo: “QUESTO E’ IL MIO CORPO CHE E’ DATO PER VOI. FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME”. Poi, dopo aver consumata nella gioia la cena, don Angelo ha consacrato il vino: Lo benedice, rende grazie a Dio e lo da ai discepoli dicendo: “PRENDETE E BEVETE TUTTI, QUESTO E’ IL CALICE DEL MIO SANGUE, VERSATO PER VOI E PER TUTTI. FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME”. E don Angelo ci ha detto: “E’ partito tutto da qui! Qui nasciamo noi, da qui cominciamo ad essere!” Nell'ultima Cena, vengono celebrate in anticipo la Sua morte e risurrezione. In quella Prima Messa Gesù è già comunione con noi! Quella notte, in quella stessa cena consacra gli apostoli come sacerdoti, ma loro se ne renderanno conto solo inseguito. Ogni Messa, ogni Eucaristia è memoriale di quella prima e unica, fatta da Gesù in persona su questa terra, unico vero e sommo sacerdote, che oltre ad essere l'offerente (sacerdote) è anche l'offerta (l'Agnello immolato). Il suo corpo e il suo sangue nell'Eucaristia diventano nostro cibo e nostra bevanda che ci ottiene la salvezza e il perdono dei peccati e la vita eterna. Le erbe amare più che quelle che di certo furono presenti su tavolo del Cenacolo, addobbato per la festa, sono rappresentate per Gesù da quel fiele e aceto che gli fu offerto in bevanda sulla Croce, come unico ristoro, quando Egli estenuato dalla passione gridò: ho sete!! Ma quello non fu solo il grido di un moribondo, fu il grido di un Dio che ha sete della nostra fede. Anna