APPENDICE La via transpersonale nella gestione dello stress in

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APPENDICE La via transpersonale nella gestione dello stress in
APPENDICE
La via transpersonale nella gestione dello stress in oncologia
Marcello Aragona
Come già descritto nei capitoli precedenti, la sofferenza indotta dallo stress dipende prevalentemente da come l’evento, o gli eventi stressanti, sono elaborati dal
soggetto interessato, nel tentativo di adattarsi all’ambiente, nel miglior modo possibile. Le modalità di elaborazione sono estremamente variabili, avvengono a più
livelli, sia in modo consapevole che inconscio, nell’ambito del continuum che inizia con la percezione dell’evento, variamante modulato da innumerevoli filtri fisici-emotivi-mentali, ecc. che tengono conto dell’intera storia genetica e biografica
del soggetto, per l’attuazione di comportamenti finalizzati all’adattamento ai vari
livelli dell’essere: dal fisico, all’emozionale, al mentale, al sociale, allo spirituale.
Un modello molto interessante per esplorare questi meccanismi è quello della
patologia oncologica, anche per la possibilità di verificare gli effetti terapeutici di
varie tecnologie che si possono applicare.
Il disagio in oncologia
La sola parola “cancro” è considerata, nel linguaggio comune, sinonimo di
morte, fine della vita, con inimmaginabile sofferenza. Nonostante gli enormi progressi della medicina e dell’oncologia, la percezione comune è sempre focalizzata
sulle ancora troppe persone che muoiono di questa malattia ed ancora con grandi
sofferenze. È una sofferenza enorme che coinvolge tutti, a partire dalle persone
che si ammalano di tumore, ai familiari e conoscenti, al personale sanitario, a chi
entra in contatto con questa realtà, spesso anche attraverso i mezzi di comunicazione, che mirano di più alla spettacolarizzazione che alla crescita personale e sociale. Coinvolge le singole persone a livelli differenti di consapevolezza, sia al
livello cosciente che a quello inconscio, subliminale e quindi più difficilmente riconoscibile.
Ho sperimentato direttamente questa sofferenza in tanti anni di lavoro in oncologia come medico e ricercatore nel campo della psico-neuro-endocrinoimmunologia dei tumori, presso il Dipartimento di Oncologia Medica
dell’Università di Messina. Cercare di trovare un senso alla sofferenza delle persone malate di cancro ed a quella che cominciavo a provare io stesso, stando vicino a loro, mi ha guidato in questi anni attraverso un percorso parallelo di
crescita, tra ricerca scientifica medica e psicologica, tra assistenza e mia crescita
personale. Scoprivo che la depressione e lo stress hanno un ruolo nella lunga sto233
Marcello Aragona, Francesco Aragona
ria naturale dei tumori, dalla loro comparsa, alla crescita e progressione delle cellule neoplastiche, nella tolleranza immunitaria, ma anche nella qualità della vita
(Aragona 1987-2006). Ma continuavo a non comprendere il senso di tutto ciò, del
perché c’è tanta variabilità e tanta complessità, del perché le cellule tumorali diventano immortali e crescono senza controllo, perdendo il loro programma biologico di morte cellulare programmata, del perché il DNA può diventare più
fragile e più difficilmente riparabile in soggetti depressi, del perché il sistema immunitario diventa tollerante a cellule normali che si trasformano e si rivoltano
contro l’organismo ospite. Cercavo dei punti critici su cui poter agire per riportare il sistema tumore/ospite all’equilibrio. Così ho cercato di studiare sempre di
più il sistema di controllo, il cervello, che modula la funzionalità di ogni organo,
di ogni apparato, di ogni singola cellula e gli aspetti psicologici ed emotivi che vivono i pazienti nella loro profonda sofferenza, al di la della semplice classificazione psicopatologica in ansia, depressione, di stress, ecc. Ho provato ad entrare
sempre più a fondo nella loro sofferenza, nel loro disagio, nel loro stress estremo,
così come nella mia, mentre stavo accanto a loro. Le difficoltà ed i disagi che incontravo in questo mio percorso erano notevoli ma si stava preparando il momento di una svolta.
Incontro con Joules Grossman
Questa ricerca mi ha portato ad incontrare Arturo Sica e l’approccio transpersonale, psico-corporeo e spirituale di Joules Grossman (1992). Sono venuto
a conoscenza del lavoro di Joules Grossman attraverso una sua intervista pubblicata su Riza nel 1983. Ero laureato in medicina da due anni, mi stavo specializzando in Medicina Interna ed ero uno studioso dello stress e dei collegamenti
mente-corpo attraverso il sistema immuno-neuro-endocrino. Avevo già fatto un
percorso personale interiore anche con lo yoga, il training autogeno, l’ipnosi, la
bioenergetica, la meditazione. Il lavoro di Joules mi aveva affascinato. Gli ho
scritto una lettera chiedendogli se aveva in programma di fare dei seminari più vicino a Messina. Non mi ha mai scritto. Avevo continuato la mia ricerca scientifica nel campo della psico-neuro-endocrino-immunologia dei tumori e la mia
formazione personale. Nel 2000 scopro, nella posta scartata dal mio Direttore, un
progetto dell’Università di Genova per uno “Studio sull’applicazione di tecniche di
counseling nel rapporto operatori sanitari/paziente” e per l’organizzazione di un “Corso
di formazione alla comunicazione in oncologia”. Lo prendo, mi piace, chiedo l’autorizzazione a partecipare e il mio Direttore mi dice: “fai fai, fai quello che vuoi”. Attiviamo quindi un corso di formazione che inizia nel marzo 2001 e viene a condurlo
il Dr. Sica, che non conoscevo. Di seguito riporto una descrizione più dettagliata
del corso con i risultati ottenuti. L’incontro successivo, aprile 2001, il Dr. Sica mi
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Fisiopatologia dello stress
porta una lettera che aveva trovato nel suo archivio: era la lettera che avevo scritto
18 anni prima a Joules. Non ricordavo più di averla scritta. Ed ora era venuto a
Messina il suo allievo, a tenere un corso proprio qui, come avevo chiesto nella lettera. Ma ancora più strano è che ho scoperto con meraviglia che Joules è stato
male nell’estate del 1984 a Stromboli ed è morto, per infarto del miocardio, nel
Policlinico di Messina, dove lavoravo io in quel periodo e dove lavoro tutt’oggi.
Ho anche scoperto che quell’estate Joules aveva chiuso tutte le sue attività professionali, come se fosse consapevole della sua fine.
Sebbene non ci siamo mai incontrati fisicamente, con Joules il legame è evidentemente molto intenso.
Corso sulla Comunicazione
Nel marzo del 2001 è quindi iniziato questo corso esperienziale “Corso di Formazione alla Comunicazione per Operatori in Oncologia”. Secondo il progetto, finanziato dall’Istituto Superire di Oncologia (ISO), doveva essere uno studio
multicentrico che doveva coinvolgere le oncologie universitarie italiane. Stranamente il corso si è potuto attivare e concludere solo a Messina. Era articolato in
3 moduli di 3 giorni ciascuno per 72 ore complessive, a cui hanno partecipato 5
medici, 5 paramedici e 3 biologi, 2 psicologi e 3 conduttori. Ciascun modulo del
Corso era didattico-esperienziale, aveva come tema conduttore la gestione dello
stress, del potere e delle risorse, e si avvaleva di tecniche di psicologia transpersonale, psico-corporee, immaginative, di rilassamento, respirazione, meditazione,
con l’uso del movimento, della musica.
Fig.: Le barre azzurre descrivono il miglioramento delle abilità comunicative, rispetto ai valori
basali che corrispondono allo 0,0. Il risultato è statisticamente significativo (p<0.001). Le barre
rosse descrivono il miglioramento che è mantenuto nei gruppi di condivisione anche se con minore intensità.
I corsisti hanno verificato un netto miglioramento soggettivo del tono del235
Marcello Aragona, Francesco Aragona
l’umore, della disponibilità relazionale e particolarmente dell’ascolto, nel relazionarsi con pazienti e colleghi, insieme ad un miglioramento dei punteggi nei cinque parametri di valutazione del questionario: capacità intellettuali, relazionali,
gestionali, innovative, emozionali; p<0.001. Una rivalutazione con lo stesso questionario dopo 4 mesi di gruppo di condivisione e supporto ha evidenziato un
mantenimento del miglioramento nelle capacità intellettuali e relazionali
(p<0.001), ma non di quelle gestionali, innovative, emozionali che ritornano ai livelli di baseline.
Ne abbiamo concluso che una specifica formazione del personale, associata
ad una parte di riflessione su di sè, offre la possibilità di dare più coerenza alla comunicazione ed all’informazione, così come di migliorare la disponibilità e
l’ascolto; permette quindi di entrare meglio in contatto con la parte nascosta di
sè e quindi più facilmente con pazienti e colleghi, e suggerisce l’importanza di
questo approccio che permette di offrire qualcosa di più per aiutare i pazienti a
mantenere la speranza, a migliorare la qualità di vita e sentire che non sono soli,
mentre al personale sanitario di mantenere la voglia di continuare ad operare in
questo campo più a misura d’uomo (Aragona 2002, 2005, 2007).
È proprio in seguito al beneficio che ho provato con questa esperienza che ho
iniziato un percorso di formazione transpersonale con Arturo Sica. Ero anche psicoterapeuta ed ho incrementato la mia attività clinica assistenziale a pazienti oncologici per aiutarli nel loro percorso di malattia. La mia attività lavorativa come
oncologo e ricercatore vira maggiormente verso l’assistenza psico-oncologica.
Riesco anche ad attivare un ambulatorio specifico di psiconcologia.
Questa mia formazione transpersonale mi ha aiutato a “stare” con le persone
malate, con la loro sofferenza, entrare insieme nel loro dolore ed aiutarli secondo
le loro possibilità. La grande sfida era proprio cercare di portare benessere lì dove
la realtà fisica non può cambiare, dove il dolore è estremo, la malattia porta a
morte. Ma come fare? La risposta è arrivata quando ho cominciato a vedere gli
effetti dello spostare l’attenzione ed il livello di coscienza secondo quanto imparavo dall’approccio transpersonale.
La via transpersonale
Con il termine transpersonale (James, Jung, Assagioli), si indica l’espansione
della consapevolezza di sè oltre i confini di ciò che definiamo persona, sperimentando i punti di confine tra il Sè ed il nonSè, tra la persona e l’ombra, tra la
mente ed il corpo, tra l’organismo in toto e l’ambiente e varcarli, per mezzo di stati
modificati di coscienza (Wilber, Grossman), di esperienze transpersonali (Ferrucci), di stati meditativi (Dossey, Grof), mistici (Beauregard), o esperienze sciamaniche (Lattuada, Grof), ecc.
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Fisiopatologia dello stress
L’espansione di coscienza permette di diventare più consapevoli dei processi
mentali, emozionali, delle radici del malessere, di vecchi modelli e comportamenti
limitanti, di atteggiamenti, sentimenti, bisogni, sia carenziali che di crescita-trascendenza, delle scissioni, separazioni interiori (Grossman) e quindi spostare il
punto di osservazione e attenzione, lasciare i pattern maladattivi. Ci si sposta dal
giudizio all’intenzionalità positiva (Grossman, Kasprow), per promuovere nuovi
modelli di pensiero, emozioni e comportamenti (Kasprow), verso la ricerca di
senso, significato, più orientato alla salute, sui diversi livelli dell’esistenza, dal corporeo all’emozionale, mentale, sociale, spirituale.
Espandere la consapevolezza, per esempio col movimento, il suono, il mantra, può liberare una nuova energia dal sè interiore, raggiungere le radici del malessere che sono collegate a vecchi modelli, a comportamenti limitanti, spesso
modi illusori di vedere noi stessi e gli altri; anche usando il beneficio del dubbio
si può spostare l’attenzione dalla parte critica, per portarla sull’intenzionalità positiva (Teddi Grossman 1992).
L’approccio transpersonale quindi opera per la consapevolezza e realizzazione
del Sé, attraverso l’espansione multidimensionale di coscienza, della creatività, le
peak esperiences, le esperienze dell’unità, la spiritualità, oltre i confini razionali
della coscienza, verso le potenzialità più evolute dell’uomo, quale unità bio-psicospirituale (Tart, Wilber, Grossman, Ferrucci, Lattuada).
Il superamento degli aspetti duali, porta ad una percezione e consapevolezza
dell’Unità (Grossman, Wilber, Beauregard) ed una trasformazione molto rapida
di situazioni di sofferenza (Grof), dolore, disagio anche estremo e l’induzione di
profondi stati di benessere, anche in situazioni drammatiche, per esempio di dolore oncologico (Aragona), di morte (Grof, Grossman, Simonton, Aragona).
Questi aspetti hanno specifici pattern di attivazioni neuro-biologiche a livello cerebrale (Beauregard, Davidson) e delle cascate neuroendocrine del sistema PNEI,
sia sul tumore che sull’ospite e tutti i suoi organi e apparati (McGregor, Aragona).
L’approccio transpersonale, estremamente variegato tra differenti scuole, si
avvale dei tradizionali metodi psicoterapeutici in integrazione con l’uso terapeutico degli stati modificati di coscienza (Kasprow).
Le via chiave quindi è rappresentata dall’induzione di esperienze transpersonali, di stati modificati di coscienza. Queste sono esperienze fisiologiche delle
qualità superiori dell’essere umano, come l’ispirazione creativa, l’espansione di
coscienza, intuizione, estasi, illuminazione e sono esperienze che hanno caratterizzato l’attività eccelsa dei principali personaggi dell’umanità (Ferrucci). Sono
associati ad un’attività cerebrale con onde a bassa frequenza, tipo alfa, theta o
delta, anche se in stato di veglia. Sono stati in cui il mondo inconscio si esprime
con facilità e può essere integrato ed armonizzato nell’esperienza cosciente, spe237
Marcello Aragona, Francesco Aragona
cie all’interno di un setting specifico, inducendo profonde trasformazioni della coscienza con cambiamenti in ogni area della percezione, intense ed insolite emozioni, forti risposte psico-biologiche, profonde modificazioni di pensiero,
acutezza introspettiva e comprensione intuitiva inimmaginabili (Ferrucci).
Possono essere esperienze occasionali, di stato (peak experiences) o stabili nel
tempo, di tratto, come le plateau experiences descritte da Maslow, verso il potenziamento delle risorse, e l’induzione di un benessere di tipo eudaimonico-spirituale.
Queste esperienze, che sono risorse potenziali di tutti gli esseri umani, in passato sono state confuse con manifestazioni psicotiche e possono esitare in manifestazioni psicotiche in persone non preparate e non integrate (Kasprow) o in
squilibri neurovegetativi come nella Sindrome di Stendhal (già citata in precedenza). Una diagnostica differenziale è necessaria secondo le specifiche linee
guida dei modelli transpersonali (Lukoff, Kasprow) ed una preparazione adeguata è spesso essenziale per integrarle a livello profondo.
Le applicazioni sono numerose nel campo della psicoterapia, della psichiatria,
della medicina (Grof, Assagioli, Kasprow, Dossey), dell’oncologia (Aragona) ed
in particolare nell’approccio alla vita e alla morte (Grossman, Aragona).
La sofferenza, specie in oncologia, è spesso molto profonda ed espressa fisicamente con sintomatologie complesse, dolore, disagi anche estremi; ma anche
con intense emozioni, quali paura, rabbia, ansia, depressione. Il paziente entra in
contatto con la propria morte, sia realmente che simbolicamente, e con il significato della propria vita: qualche volta può arrivare alla fase finale dell’accettazione (Kübler Ross). Il disagio è talmente intenso da attivare vari meccanismi di
difesa e focalizzare l’attenzione prevalentemente a livello fisico, fino a rifiutare
spesso il supporto psicologico o spirituale, perché giudicato “futile” rispetto alla
gravità di una “malattia” che loro vedono solamente fisica. In realtà basta aiutare
queste persone ad aprirsi un po’ e loro subito vanno oltre il disagio della malattia ed iniziano a condividere i loro veri disagi, quelli più profondi, quelli che rappresentano le loro grandi rinunzie. Infatti la maggior parte di loro vive per gli
obiettivi di qualcun altro, non più per i propri, relegati nell’inconscio più profondo. Spesso proprio loro sono, già da allora, morti dentro, anche se in genere
dicono che hanno una gran voglia di vivere. E vivere diventa necessario, solo per
non fare soffrire i familiari. Caratteristico è il caso di Maria:
Maria1, donna di 47 anni, affetta da carcinoma mammario con diffusissime
metastasi ossee che la costringono ad un decubito obbligato a letto da 5 anni
circa. Dopo varie linee terapeutiche si decide di tentare un’ultima linea di cheI nomi di tutti i pazienti sono stati cambiati per mantenere la privacy.
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mioterapia. L’oncologo le comunica la necessità di una nuova chemioterapia (IV
linea). Lei è sconcertata, piange, si rifiuta di accettare una nuova terapia. Dopo la
visita chiede: “cosa ha detto il medico? Non ho sentito nulla oltre la parola “chemioterapia”!
È terrorizzata, specie di perdere nuovamente i capelli. Lavoriamo un pò sull’informazione e sulla comunicazione, ma anche sulla sua rabbia. Parallelamente aiuto
il collega a comprendere la loro difficoltà comunicativa. Si riesce a fare quest’altra linea di chemioterapia ma con scarso beneficio. Si decide quindi di proseguire
con sole terapie palliative orientate solo al miglioramento della qualità della vita
e diminuire i disagi. Maria ha una grande rabbia e la sua domanda più insistente
è “perché”, “e perché”. Ha un dolore osseo severo, parzialmente resistente ad alte
dosi di oppiacei. Per l’insopportabilità del dolore mi chiede “Mi aiuti a morire!”.
L’ambiente è piuttosto caotico con 6 pazienti quasi terminali in un’unica stanza
ed un continuo avvicendarsi di colleghi e infermieri. Affrontiamo in quel setting
molto difficile i vari aspetti di quella sofferenza. Tentavo anche di arginare le intromissioni della paziente del letto accanto. Scopro che Maria è disperata, oltre che
per il dolore fisico, anche per il fatto che crede di pesare in tutto e per tutto sulla
famiglia: è convinta che lei è la causa del disagio dei familiari, specie dei figli. Lei
è sempre attenta ai bisogni degli altri ma i sui sono secondari, poco importanti.
Le chiedo cosa è che le da gioia e mi risponde: “niente, solo i figli”.
Dopo aver trasformato in parte questo disagio iniziamo a recuperare le risorse
interiori (Maslow, Grossman) e poi facciamo una breve meditazione sul respiro
mentre le massaggio l’addome, dove percepiva il disagio emozionale: improvvisamente spalanca gli occhi con un grandissimo sorriso, come non le avevo mai
visto fare prima, e dice “ho una sensazione bellissima nella pancia, come un formicolio,
non ho provato mai niente del genere”. È stata un’esperienza intensissima e fuori dall’ordinario: io ero convinto che si stesse rivolgendo a qualcuno dietro di me, mi
sono girato, ma non c’era nessuno in quel momento. Non ha più chiesto di essere aiutata a morire ed il dolore è diventato più sopportabile, come se avesse
raggiunto la fase di accettazione. Pian piano le sue condizioni cliniche si sono aggravate e dopo pochi giorni è morta lì in ospedale.
Come descrive Maslow (1962), padre della psicologia umanistica e transpersonale, oltre la sofferenza su cui si focalizzano la maggioranza degli approcci terapeutici, c’è un altro grande mondo che è quello delle risorse, del benessere, della
parte sana della persona. Si passa infatti dal concetto di malattia a quello di salute,
che è definito come uno “stato di completo benessere fisico, emozionale, mentale, sociale e
spirituale, non semplicemente assenza di malattia o di infermità” (Organizzazione Mondiale della Sanità). Quindi anche in presenza di malattia può essere raggiunto uno
stato di benessere ottimale che, secondo Maslow, può essere schematicamente
descritto su livelli integrati di benessere, fisico, emotivo, mentale, esistenziale, spi239
Marcello Aragona, Francesco Aragona
rituale, relativamente alla soddisfazione dei propri bisogni. I bisogni sono, secondo Galimberti (1999), uno “stato di tensione più o meno intensa dovuto alla mancanza di qualcosa che risponde o a esigenze fisiologiche più o meno impellenti o a esigenze
voluttuarie divenute, per abitudine, necessarie, o a esigenze psicologiche avvertite come indispensabili per la relaizzazione di sé, o a esigenze sociali apprese dall’ambiente”.
Nella piramide dei bisogni di Maslow il primo livello è quello relativo ai bisogni fondamentali, vitali, al sollievo dalla sofferenza fisica, alla sopravvivenza. Una
volta che queste esigenze del benessere fisico siano soddisfatte è possibile, per il
soggetto, portare l’attenzione al livello successivo dei bisogni di sicurezza, poi di
appartenenza e di autostima, relativi al benessere emotivo, psicologico, sociale.
Dopo la soddisfazione di questi bisogni detti carenziali si passa a quelli evolutivi,
di crescita, della realizzazione del sé, di significato, di trascendenza (benessere
spirituale o trascendente).
Il bisogno si esprime attraverso l’emozione che Bonesso (2008) definisce come
l’informazione operativa del bisogno, costituita da uno stato psichico-affettivo
momentaneo, derivante dalla reazione dell’organismo a percezioni esterne o a
rappresentazioni interne, che modificano l’equilibrio della persona. Le emozioni
si sviluppano in modo binario, corrispondentemente alla possibilità che un bisogno ha di essere soddisfatto o meno. Le coppie di emozioni opposte (vedi tabella) regolano i sistemi fondamentali di soddisfazione dei bisogni, in cui
l’emozione positiva segnala lo stato di soddisfazione-appagamento, mentre quella
negativa esprime carenza, insoddisfazione.
Contunuum emozionale
1. Attrazione-Repulsione (interesse, curiosità, aspettativa – schifo, ribrezzo, ripugnanza)
Bisogni corrispondenti
Criterio assiologico
bisogni vitali
Mi interessa?
È desiderabile?
2. Piacere–Dispiacere (soddisfazione, appagamento – insoddisfazione, sofferenza)
bisogni fondamentali
4. Attaccamento-Rabbia (amicizia, affiliazione, attaccamento, accudimento – irritazione,
avversione, collera, indignazione)
Bisogni di appartenenza
Bisogni di autostima
Ce la faccio, riesco,
vinco?
6. Felicità - Senso di colpa (contentezza,
flusso, serenità – disperazione, perdita morale,
vergogna)
Bisogni di autorealizzazione
È bene, giusto, amore?
Ha significato?
Bisogni di trascendenza
Che cosa è bene?
3. Fiducia-Paura (calma, sicurezza, affidamento – timore, insicurezza, angoscia)
5. Gioia-Tristezza (allegria, eccitazione, esultanza – perdita, malinconia, abbandono, depressione)
7. Beatitudine-Malignità (serena attività, entusiasmo, perdono, umiltà - distruttività, attività
nascosta, perfidia)
bisogni di sicurezza
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Mi fa stare bene?
Mi soddisfa?
È buono, bello? È sicuro? Posso fidarmi?
Mi vuole bene? Mi
stima? Mi ama?
È con me?
Fisiopatologia dello stress
La tabella schematizza questa classificazione bidimensionale delle emozioni
secondo un continuum tra emozioni opposte in associazione ai bisogni corrispondenti, i criteri assilogici (adattata da Cervi M., Bonesso C: Emozioni per crescere, educare l’emotività. Armando Editore. Pag 46, 2008) ed i modelli di
pensiero sottostanti e spesso inconci, che spesso si riferiscono a una radice del
tipo: io non sono, io non posso. Si deve comunque tenere presente che dietro
l’emozione principale se ne annidano altre su vari livelli (Bonesso).
Questa classificazione può essere molto utile nei programmi di sviluppo dell’intelligenza emotiva, nella terapia di gestione dello stress, di emozioni e modelli
di pensiero limitanti e disfunzionali.
Attraverso la soddisfazione dei bisogni, verso la realizzazione del Sè, viene definito un percorso di crescita personale e di intelligenza emotiva per trascendere
la malattia. La malattia fisica o mentale però tende a riportare, ancorare la persona
ai bisogni fondamentali, non soddisfatti o carenziali e modificare, facilitare, il percorso evolutivo verso la realizzazione di sé. Lavorare solo sulla sofferenza spesso
non aiuta in questo percorso, specie se la malattia non può essere guarita. Stimolare invece anche il benessere e la soddisfazione dei bisogni, specie quelli più
profondi, aiuta la persona a stare meglio ed avvicinarsi con più energie al processo
consapevole di accettazione della malattia ed anche della morte o anche al passaggio verso una vita migliore (Grossman). Infatti l’accesso a esperenze transpersonali permette una visione diversa della realtà, da un punto di vista diverso,
più distaccato rispetto alle dinamiche limitanti (sofferenza-pensiero-emozionerelazione) per evidenziare il modello disfunzionale e sperimentarne uno nuovo più
salutare, più a misura del proprio Sè. Parallelamente ed anche paradossalmente la
persona cambia le proprie priorità, apprezza di più la vita e ne trae gioia.
Questo percorso viene descritto da tanti autori tra cui Assagioli, Wilber, Vaughan, Tart, Grof, Ferrucci e molti altri. Ma gli insegnamenti di Joules Grossman,
di Arturo Sica, come quelli di Carl Simonton che ho conosciuto nel frattempo,
mi hanno ispirato maggiormente nel mio lavoro e nella mia ricerca personale.
Continuo ad integrare questi livelli facendo da ponte con la scienza medica, neuroscienze, psicologia, emozioni, spiritualità.
Questa via mi ha portato ad esplorare gli stati di coscienza che stanno al di la
di quelli ordinari (veglia, sonno, sogno). Infatti noi siamo consapevoli generalmente solo di una minima parte, spesso molto meno del 5% di ciò che siamo.
Tutto il resto è automatico, inconscio, al di sotto del livello di coscienza. Ma la sofferenza che percepiamo, così come il dolore, non sono altro che la punta dell’Iceberg, sono solo una piccola parte. Esplorare cosa c’è sotto, dietro la
sofferenza, ci aiuta a comprenderne il senso e trovare un modo nuovo per affrontarla e per ritrovare il proprio benessere. Per fare questa esplorazione nel
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mondo interiore si deve accedere agli stati non ordinari di coscienza, dove la nostra mente razionale non può arrivare direttamente. Sono quegli stati che dal
punto di vista elettrofisiologico sono detti alpha, theta o delta in cui le onde cerebrali sono sempre più lente come nel rilassamento, sogno e sonno profondo.
Al contrario i livelli di coscienza ordinari in stato di veglia sono caratterizzati da
onde cerebrali di tipo beta ad alta frequenza o gamma ad altissima frequenza, tipiche degli stati di estrema focalizzazione dell’attenzione. Raggiungere questi stati
di onde lente, durante la veglia, specie quelli a frequenza più bassa, theta e delta,
permette di esplorare il mondo interiore, i disagi, ma anche le capacità, le risorse,
amplificando i momenti in cui ci sentiamo particolarmente "creativi", insolitamente "intuitivi", eccezionalmente "lucidi", profondamente "rilassati”, disponibili alle peak experiences (esperienze vetta), alle sincronicità, agli stati mistici,
meditativi.
Si possono utilizzare numerose tecniche per entrare in queste esperienze. È
possibile infatti attivare, per esempio con la meditazione, la corteccia cerebrale
prefrontale sinistra che induce uno stato di profondo benessere: queste esperienze inducono anche una inibizione della corteccia prefrontale destra e di tutto
il sistema emozionale negativo e dello stress (amigdala, ippocampo, ipotalamo, sistema endocrino, immune, patologia da stress) (Davidson, 2000-2005). In più
con l’allenamento il cervello si adatta, in modo plastico, si ispessisce e l’induzione
del benessere è più facile e rapido (Lazar 2005, Lutz 2004, Davidson 1999, 2003).
Quindi si può schematizzare che due specifici sistemi sottendono allo stato di
benessere e di sofferenza: entrambi attivano o disattivano il sistema psico-neuroendocrino-immunitario (PNEI). Un sistema è legato alla vita inconsapevole, è attivo in condizioni di stress, ansia, dolore, irritabilità, disagio, sofferenza ed è
mediato da catecolamine, steroidi surrenalici, oppioidi endogeni ed innumerevoli
altri mediatori neuro-endocrini, induce immuno-depressione ed innumerevoli patologie (Aragona F. 1990-91, Aragona M. 1988-2007, Selye 1974, Biondi 1995).
L’altro sistema è legato alla vita cosciente-supercosciente ed è attivo in condizioni di espansione di coscienza, specie spirituale e del piacere, di eccitazione
estatica sessuale; è costituito fondamentalmente dalle interazioni unitarie fra
ghiandola pineale, sistema endogeno cannabinergico e sistema Gabaergico-tipo
A; media uno stato di immuno-attivazione ed è associato al benessere (Lissoni,
2003). Questo tipo di benessere è anche detto “eudaimonico” ed è caratterizzato
da alti livelli di autonomia, padronanza dell’ambiente, crescita personale, relazioni
positive con gli altri, obiettivi nella vita, autoaccettazione, che dà il senso che la
vita è degna di essere vissuta. Questo stato può non essere accompagnato alla
sensazione di sentirsi bene. Il benessere eudaimonico va differenziato da quello
“edonico” che è riferito ad aspetti più superficiali del piacere (Urry, 2004).
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Fisiopatologia dello stress
La tecnologia può venirci in aiuto per esplorare questi livelli di coscienza. Per
esempio la Metamusica con la “Binaural beat technology” (Hemi-Sync, Monroe
Institute, Virginia, USA), ha una piccola sfasatura tra canale sinistro e destro, che
il crevello non può ascoltare contemporaneamente senza essere costretto a farne
una media a livello del nucleo olivare. Questo terzo suono è studiato in laboratorio per essere a bassa frequenza, in genere a livello delle onde alfa, theta e/o
delta. Per effetto della risonanza, questo terzo suono si diffonde a tutto il cervello
facilitando una sincronizzazione tra i due emisferi cerebrali a quelle basse frequenze. Quindi anche in stato di veglia si può indurre il cervello a raggiungere uno
stato di profondo rilassamento ed entrare in contatto con livelli profondi di coscienza, meditativi, creativi, di integrazione sensoriale e benessere. Queste musiche si possono usare anche come sottofondo per la meditazione come descriverò
di seguito.
È molto particolare l’evidenza scientifica che i cervelli di persone che meditano insieme si sincronizzano tra di loro, anche se non è evidente nessun collegamento fisico (Montecucco, 2005).
Questo effetto forse può essere ottenuto tramite l’attivazione dei “neuroni a
specchio” che facilitano la sincronizzazione tra l’osservatore e l’osservato. Questo è un sistema molto complesso, un network di interconnessioni neuronali diffuso prevalentemente a livello corticale frontale, temporale, parietale e posteriore
con connessioni anche profonde con aree filogeneticamente più antiche tipo il sistema limbico. Questo network di neuroni a specchio, detto Social Brain, serve da
specchio e simula ciò che è percepito a livello sensoriale e fornisce la base per le
multiformi condivisioni delle esperienze interpersonali, per l’empatia, la comprensione esperienziale delle emozioni degli altri (Burns, 2006) ed il sistema fondamentale che permette l’instaurarsi della relazione terapeutica: più il social brain
riesce a mimare, specchiare l’altro, più è facile comprendere empaticamente l’altro e la sua autenticità. Questa capacità può essere educata, stimolata e l’approccio transpersonale sembra particolarmente efficace in questo senso.
A questo proposito l’intimità che si condivide quando l’empatia è profonda
non ha parole che la possano descrivere e la comunicazione che avviene riflette
prevalentemente gli aspetti più profondi di sé, l’armonia e l’autenticità interiore.
Domenico: giovane paziente di 30 anni sposato con una figlia piccola, è ormai
in fase terminale per un tumore della testa/collo. Ha una grossa massa laterocervicale sinistra, a cui è solito rivolgersi nei suoi momenti di intimità, chiamandola per nome, che ometto per suo rispetto. Sorride al mio arrivo mentre la madre
e la moglie si lamentano: “ma perché quando viene il dottore sorridi e con noi no?”. E lui
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Marcello Aragona, Francesco Aragona
risponde: “ma cosa c’entra! Con il dottore è come se ci conoscessimo da sempre”.
Forse questa è la base di una vera “relazione terapeutica”.
Il caso di Lucio esprime come è possibile lavorare sui vari sistemi neuroendocrini e su vari livelli di coscienza senza coinvolgere il sistema cognitivo razionale, che a volte è di ostacolo. Infatti le scelte effettuate non hanno seguito
un’elaborazione logica-razionale, ma solo intuitiva-creativa e sono state efficaci.
Lucio: 30 anni con tumore dello stomaco, metastatico, con dispnea grave per
imponente versamento pleurico e peritoneale. È disperato per la grave difficoltà
respiratoria. Era stato ricoverato per eseguire una chemioterapia. Tuttavia per
l’imponente progressione di malattia non era più possibile somministrarla e la
buona pratica clinica suggeriva di continuare con al sola terapia di supporto. Ma
Lucio non voleva essere dimesso senza che gli fosse somministrata la chemioterapia. Era in fase terminale ma non voleva accettarlo, nonostante la comunicazione diagnostica e prognostica era stata chiara. Chiede un supporto psicologico
che è difficile per le sue notevoli difficoltà a respirare e parlare. Lo psicologo contattato, non potendo lavorare a livello verbale, chiede il mio intervento. Facciamo
un breve colloquio anche se con molta difficoltà. Riesco a capire che la sua più
grande sofferenza, paradossalmente, non era dovuta al cancro, ma ad un dissidio
familiare che lo dilaniava e che “non digeriva”: per lui era insanabile. Per le sue
condizioni cliniche gravi non era possibile spostarsi in ambulatorio. Facciamo
una meditazione con la metamusica in corsia, in condizioni ambientali critiche:
nella stessa stanza c’erano altri 5 pazienti gravi. Medici ed infermieri si avvicendavano rumorosamente ed imprevedibilmente. Nonostante tutto, dopo la meditazione Lucio riferisce un notevole piacere per l’esperienza ed il sollievo nel
respirare. Dice che è stata un’esperienza meravigliosa e che non aveva mai fatto
nulla di simile e, riferendosi alla visualizzazione, diceva: “ma come faceva a sapere dov’ero e cosa stavo facendo?”. Non abbiamo parlato nè delle sue difficoltà nel respirare,
né della chemioterapia, nè della prognosi. Il giorno dopo mi dice: “sa dottore, questa notte ho pensato che forse è meglio che io vada a casa”. Era come se avesse compreso
e accettato il suo stato di malattia e l’avvicinarsi della morte: senza che ne avessimo parlato, almeno a livello cosciente. Viene dimesso, attivando l’assistenza domiciliare e, dopo 3 giorni, muore tranquillo a casa sua.
A volte, il livello di coscienza ordinario, razionale, può essere d’inciampo, perché legato a modelli di pensiero e credenze non salutari (Simonton) che vengono
ritenute vere e non messe in discussione.
Recentemente Wilber descrive una vera e propria mappa dei livelli di coscienza,
che lui chiama spettro della coscienza, in cui suddivide gli aspetti che si conside244
Fisiopatologia dello stress
rano “Sé” da quelli “non Sé” sia a livello della persona/ombra che del
mente/corpo, individuo/società, fino alla cosiddetta “coscienza dell’unità”. Ogni
separazione, ogni limite è da lui considerato un terreno di battaglia, di conflitto
tra due parti di sé, quindi di sofferenza, disarmonia, dispendio energetico. Tra
questi livelli se ne inserisce uno molto particolare che è quello delle “bande transpersonali”. Per ogni livello possono essere utilizzate differenti tecniche terapeutiche: quelle transpersonali sono quelle che integrano tutte le altre in tutti i
livelli dello spettro (Wilber, 1981-2002). Nella parte bassa dello spettro c’è quello
che viene considerato da sempre l’obiettivo ultimo, l’accesso alla spiritualità, la coscienza dell’unità.
Sé
Persona
Mente
Organismo
totale
Bande
C
O
N
F
I
N
E
Non Sé
Terapie utilizzate
Ombra
Counseling, terapia di Sostegno
Psicoanalisi, Psicodramma,
Analisi Transazionale,
Psicologia Umanistica, Terapia di
Rogers, Gestalt, Analisi esistenziale, Bioenergetica, Logoterapia
Corpo
Ambiente
Transpersonali
Coscienza dell’Unità
(Universo Manifesto e non)
Psicolgia Analitica di Jung,Maslow,
Psicosintesi, Transpersonale
Pratiche Spirituali
Le basi neuroscientifiche dell’esperienza spirituale sono particolarmente complesse: persone che sperimentano uno stato mistico manifestano l’attivazione di
dozzine di aree cerebrali coinvolte nella percezione, emozione, coscienza come
la corteccia orbito-frontale mediale destra, corteccia temporale mediale destra,
lobi parietali inferiori e superiori di destra, caudato destro, corteccia prefrontale
mediale sinistra, corteccia del cingolo anteriore sinistra, lobulo parietale inferiore
sinistro, insula sinistra, caudato sinistro, tronco cerebrale sinistro (Giordano 2006,
Beauregard 2006). In riferimento a questi studi la rivista Science titola: “God on
the Brain” (Dio sul cervello) esprimendo che la condizione mistica ha una sua propria caratteristica neurobiologica ed è associata ad uno stato di estremo benessere,
pace e amore. La particolarità di questo stato è che è possibile anche sperimentarlo, con relativa facilità ed opportune tecniche. Non parliamo qui di pratiche religiose, ma dello sperimentare, a livello fisico e diretto, l’accesso alle proprie risorse
spirituali sia a livello individuale che relazionale. Accedere alle risorse spirituali in
oncologia porta notevoli miglioramenti nella qualità della vita, come si evince da
245
Marcello Aragona, Francesco Aragona
quanto riportato di seguito. È incredibile come proprio in oncologia, dove si vive
quotidianamente a stretto contatto con la morte, la spiritualità sia ancora un tabù.
Vediamo qui nel caso di Paolo come le credenze possano fare soffrire e come
la loro trasformazione possa portare all’accettazione:
Paolo: 55 anni, è ricoverato con tumore al polmone metastatico, in fase terminale. È iperattivo, non riesce a stare fermo anche se non può alzarsi dal letto, né
respirare bene. Mi parla dei sui disagi e, dopo una breve meditazione sul respiro,
mi comunica del suo senso di inadeguatezza che lo costringe in ogni momento a
fare di più, ad “essere migliore”. Mi racconta della morte della madre, suicida,
quando lui aveva 4 anni. Dice che in un momento di disperazione, dopo un altro
evento critico in età adulta, ha chiesto: “Dio puniscimi con una malattia”. Dopo pochi
mesi gli viene diagnosticato il cancro al polmone. Si sente rassegnato perché ha
chiesto lui stesso la malattia. Questa è arrivata ed ora non può tirarsi indietro. Lavoriamo molto sulla spiritualità e cerchiamo di trasformare questa credenza malsana secondo il metodo Simonton ed anche sulla morte con l’approccio
transpersonale di Joules Grossman ed Arturo Sica. Il giorno dopo ha la febbre alta
e dorme. Parlo con la moglie e insieme facciamo una meditazione sulla saggezza
interiore. Paolo era accanto a noi e dormiva tranquillamente nel suo letto. Il
giorno dopo parliamo delle sue sofferenze legate ai diversi aspetti della sua personalità. Gli consiglio di focalizzare la attenzione alle cose che gli danno gioia,
come guida per stimolare il sistema del benessere. Sembra molto più tranquillo.
La notte muore quasi in modo inaspettato, nonostante la sua situazione clinica
fosse gravissima, ma era tranquillo. Sono rimasto sorpreso, la mattina dopo, nel
sapere della sua morte. Sono andato al suo funerale per salutarlo e per elaborare
questo mio lutto, per comprendere la risonanza che ha avuto in me.
Si integrano molto bene nella via transpersonale, per la caratteristica di esplorare ed usare gli stati modifiati di coscienza, i vari modelli sciamanici, usati da migliaia di anni in tutte le culture come via per guarire se stessi e gli altri (Grof,
Lattuada).
Vivere e Morire
In questo percorso mi ha aiutato molto il lavoro sul “Vivere e Morire” fatto
con Arturo Sica in questi anni: mi ha portato all’organizzazione di un Corso esperienziale dal titolo “Vivere e morire: accettare la morte per migliorare la relazione terapeutica” (Messina, 30-31 marzo 2007; Autorizzazione del Ministero della Salute ed
assegnazione da parte della Commissione Nazionale per la Formazione Continua
di 12 crediti ECM. Richiesta n. 1127-268104). Lo stesso evento formattivo è stato
246
Fisiopatologia dello stress
organizzato anche nel 2008 e 2009 ed è stato presentato come Workshop all’11
EUROTAS International Conference nell’ottobre 2009. L’idea centrale di questo
corso è che la “relazione terapeutica” è inevitabilmente influenzata dalla percezione individuale della sofferenza dell’altro, così come della propria. Questo processo avviene prevalentemente a livello non verbale, inconscio. L’entrare in
contatto anche con la sensazione, l’idea, che l’altro possa soffrire e morire, può
influenzare, pur se al di fuori del livello di coscienza ordinario, il “Social Brain”
(Burns 2006), tramite cui, empaticamente, il vissuto dell’altro viene associato con
il proprio e quindi con la propria sofferenza, le proprie paure interiori, le rabbie,
i conflitti non risolti, i “no” interiori, la propria paura di soffrire e morire. Discriminare questi differenti livelli è spesso difficile e la formazione accademica è
carente.
Esplorare però questi processi, imparando ad entrare in rapporto con ciò che
viene suscitato dalla sofferenza dell’altro, dai suoi impulsi vitali e/o di morte, oppure dalle nostre emozioni, dai nostri vissuti, dalle nostre credenze, dalla nostra
paura di morire, riesaminare tutto ciò per accettare attivamente, può aiutarci a
“vivere” in modo più consapevole ed efficace la relazione terapeutica, ma anche
la nostra stessa vita.
Il subire in modo inconsapevole questo complesso processo relazionale, ma
anche intra-individuale, potrebbe spiegare quell’atteggiamento spesso sterile e distaccato che si ha nei confronti dei cosiddetti pazienti “difficili”, di coloro che soffrono o che si avvicinano alla morte. Spesso c’è una grande e non riconosciuta
paura interiore, come la percezione di sentirsi impotenti a guarire l’altro o di sentirsi responsabili della sua salute, che ostacolano l’ascolto attivo, il parlare apertamente e francamente della morte e di tutto il resto con i pazienti. Tutte le nostre
paure inevitabilmente si inseriscono in modo non verbale nella comunicazione.
È spesso anche la paura che la vita sia senza significato che fa allontanare questi
sentimenti sulla morte, con cui non è facile entrare in contatto, mentre accettarli,
come percepire la finitezza della propria vita aiuta ad apprezzare la pienezza stessa
della vita (Grossman 1992).
Ma la paura dello sconosciuto e della solitudine, la paura di perdere le cose o
le persone a cui siamo attaccati, la paura della sofferenza fisica si frappongono alla
possibilità di vivere con serenità il dolore legato alla separazione, alla sofferenza
e infine alla morte. Spesso molte persone affermano di voler vivere, tuttavia con
comportamenti, atteggiamenti, emozioni, stili di vita, dimostrano di aver già rinunziato da tempo a vivere.
Di fronte a questa incongruenza, tra conscio ed inconscio, l’altro (il sanitario)
può trovarsi confuso e la relazione si può caricare di incomprensioni, false aspettative, attaccamenti, illusioni, emozioni distruttive. Spesso anche con i familiari la
247
Marcello Aragona, Francesco Aragona
comunicazione diventa difficile perché carica di sofferenza non riconosciuta.
Se subita inconsapevolmente, questa sofferenza non viene adeguatamente elaborata e si interpone, come una barriera comunicativa inevitabile, trasformando
in modo drammatico la relazione terapeutica ed incidendo spesso in modo negativo sul benessere sia dei pazienti che dei sanitari.
Proprio esplorando, in modo verbale e non verbale, il proprio corpo, le emozioni, i sentimenti, pensieri e costrutti mentali, credenze, specie sulla morte e sul
morire, imparando a riesaminarli ed accettarli, è possibile entrare umanamente
in rapporto con altre persone e/o con il loro processo del morire, ma anche imparare ad entrare in contatto con la propria parte più profonda, inconscia, ad
avere più fiducia in se stessi, ad amarsi ed accettarsi più di prima, ad avere una visione di maggiore speranza, una nuova percezione della vita, così com’è, e viverla
in modo più soddisfacente e gioioso (Grossman 1992).
La E. Kübler-Ross (1992) scrive di una sua paziente: “Sorrideva come una che sa,
pensava e conversava sulla sua morte, chiedeva un po’ di conforto e amicizia” .. .. “sentiva il
nostro rispetto”. Ed anche Treya Wilber alla fine della sua vita dice: “Poiché non posso
più ignorare la morte, presto più attenzione alla vita” (Wilber 2002).
Il corso ha seguito questo nuovo modello formativo esperienziale già sperimentato da Joules Grossman ed Arturo Sica ed integrato da una parte didattica.
Tutti i partecipanti hanno apprezzato ed esplorato con soddisfazione, in un ambiente protetto, il proprio vissuto, le proprie difficoltà relazionali ed emotive riguardo a persone morenti, ma anche alle proprie “piccole morti”, separazioni
quotidiane. Tutti hanno evidenziato l’importanza di questa formazione ed esplicitamente richiesto di continuare questo lavoro. Eravamo seduti in cerchio in un
ambiente molto accogliente, si condivideva su “Vivere e Morire come percorso
di consapevolezza”, sulle esperienze individuali, sul contatto con la morte, personale-reale o simbolica. Entravamo in contatto sempre più profondo con le
emozioni, le paure, i disagi, le credenze attraverso le pratiche corporee come la
bioenergetica, la meditazione, la metamusica, il mantra.
Scriveva un corsista “Descrivere un’esperienza con una persona morente non è facile ed
in ogni caso le parole non riescono ad esprimere i sentimenti che si provano, specie se si tratta di
una persona cara, in quanto il coinvolgimento emotivo è troppo forte e non mi viene di esprimere
a parole tutte le emozioni e gli stati d’animo che si succedono.”
Un altro corsista scrive “Un mio paziente ha voluto avermi accanto fino all’ultimo
istante ed è spirato non appena sono arrivato, appena dopo che ci siamo salutati. Questo ha lasciato in me un tormento emotivo che si è sempre riversato nel mio quotidiano.”
Queste esperienze sono troppo forti per le capacità individuali di affrontarle,
specie se non si è preparati e la formazione è carente. Il disagio che ne deriva può
sfociare nella sindrome da burnout. È uno squilibrio tra le richieste professionali
248
Fisiopatologia dello stress
e la capacità individuale di affrontarle. Può anche essere considerato come una
sollecitazione emozionale di frustrazione e demoralizzazione, con difese inadeguate e comportamenti maladattativi (Muscatello 2003, 2006), a cui consegue un
deterioramento della relazione medico-paziente, con minore empatia, maggiore
tensione, ansia, depressione dell’operatore, con diminuzione della quantità e della
qualità dell’assistenza prestata ed una maggior possibilità di errori medici.
Questo disagio va correttamente condiviso, elaborato ed usato come risorsa,
come momento di crescita personale e relazionale, ma non ci si può cullare nell’oblio del tempo.
Entrando più profondamente in contatto con la propria parte più intima, il Sé
spirituale, si esplora in modo più aperto e da una nuova prospettiva l’esperienza
e si rimodulano le priorità individuali, il senso della propria vita.
Con il Role Playing i corsisti hanno potuto sperimentare, in modo simulato,
ma molto realistico, così come succede nei processi immaginativi profondi, inconsci, i diversi livelli di coscienza del processo del morire, come dell’accompagnare un morente. Tutti sono rimasti particolarmente colpiti per la profondità di
questa esperienza, inizialmente vissuta come un gioco e poi come esperienza
quasi vera, per la profondità raggiunta sia dal punto di vista fisico, che emotivo,
mentale, relazionale e spirituale. Era comunque una condizione limite della propria vita dove non ci sono più barriere interpersonali, né maschere dietro cui nascondersi, uno spazio-tempo indefinito in cui cambia completamente la
prospettiva quotidiana di relazione con sé e col mondo, in cui le priorità vengono
sovvertite, sfumano i bisogni futili ed emergono i bisogni veri. Tutti hanno provato una profonda empatia e compassione con l’altro, consapevoli che era una simulazione, ma soprattutto nella concretezza, nella realtà del contatto umano e
profondo con l’altra persona.
Un corsista scrive: “questo esercizio mi ha consentito di sperimentare quanto sia importante la comunicazione non verbale, il contatto fisico, rassicurante per il malato, ma anche per
chi accompagna, sperimentare come la cosa più importante sia “esserci”, non fuggire spaventati
o presi dalla frenesia di un fare che non ha significato”.
Si è sentita molto intensa l’emozione di tutti i partecipanti. Qualcuno si è sentito confuso nel riportare l’esperienza durante la condivisione di gruppo, probabilmente perché cambiano le certezze relative ad esperienze, comunque
misteriose, quali la morte e la relazione terapeutica, o il senso della propria vita.
Comunque è proprio questa la base fondamentale per una più ampia apertura
empatica ed una maggiore consapevolezza delle proprie risorse. Tutti hanno
espresso uno spirito vitale alla fine del corso ed il bisogno di concretizzare questa esperienza di trasformazione interiore, chiedendo di continuare con queste iniziative, potersi reincontrare per continuare queste esperienze, in modo tale che,
249
Marcello Aragona, Francesco Aragona
come dice un corsista, “anche noi operatori possiamo affrontare le nostre morti per poi rallegrarci delle rinascite”.
L’applicazione in clinica di queste esperienze è veramente molto coinvolgente
e profonda, fulcro di grandi trasformazioni. Per esempio:
Alfredo 67 anni, tumore al fegato, di oltre 9 centimetri, non operabile, in fase
terminale. È sempre stato molto aperto all’esterno, belle macchine, belle donne.
Sposato più volte. Lavoriamo sulla morte e, qualche giorno prima di morire, fa
questo disegno (Fig.52): si disegna basso e largo mentre lui e magro e molto alto.
La sua malattia è disegnata nel cuore che è a destra e nel fegato, che vengono inglobati con linee rosse ed aree chiuse. Dice che li ha “sigillati” per “non fare casino”,
li ha inglobati, rinchiusi per evitare che facciano del male agli altri. Scherzava sulla
sua morte e diceva che voleva una bara molto robusta e ben sigillata per “contenere” bene. Il tratto è molto leggero, a volte impercettibile. Mi racconta, in riferimento al cuore ed al fegato, che ha cerchiato di rosso, che ha ancora 4 battaglie
da fare, a cui aveva sempre rinunziato. Facciamo una meditazione sulla percezione del fegato e lo invito a combattere immaginativamente quelle battaglie. È
l’ultima volta che lo vedo. Muore alcuni giorni dopo.
Carmelo 62 anni, in fase terminale per tumore polmonare a piccole cellule, metastatico, pluritrattato. Ha massive infiltrazioni mediastiniche nel pericardio, atrio
sinistro, vene polmonari, esofago. È in avanzata progressione di malattia ed è in
grave rischio di vita per la diffusione metastatica cardiaca e vascolare. Si ricovera
perché dopo l’ultimo ciclo di chemioterapia ha una pancitopenia con grave dispnea e versamento pleurico. Nonostante la sua enorme sofferenza, quei suoi
grandi occhi chiari esprimevano una profonda saggezza e consapevolezza. Mi
dice: “sto andando lontano. Dottore me lo conferma?”. Rispondo istintivamente che
stiamo facendo di tutto per farlo stare meglio, cercando di fargli mantenere la
speranza. Improvvisamente si perde l’accesso venoso in corso di trasfusione. Si
ha molta difficoltà a trovare un altro accesso venoso e lui è rassegnato con le
braccia abbandonate sul letto mentre gli infermieri si accaniscono per prendere
un’altra vena che inevitabilmente si rompe. Le lenzuola sono tutte sporche di sangue. Dico all’infermiere di sospendere tutte le terapie e lasciare solo l’enalgesico
ed il cortisone, mentre sto in contatto con lui, con la mia mano destra poggiata
sulla sua spalla sinistra. Immediatamente l’infermiere prende la vena. Carmelo
sta un poco meglio, respira meglio ed è più tranquillo. Facciamo un controllo
elettrocardiografico per le sue gravissime condizioni cardiologiche: era sovrapponibile al precedente. Dopo pochi minuti, mentre gli sento il polso, il suo cuore
250
Fisiopatologia dello stress
rallenta e poi si ferma. Lui continuava ad essere in apparente tranquillità, mentre
moriva.
Sebbene il nostro incontro sia durato solo poche ore è stato molto intenso e
con pochissime parole. Io mi trovavo nella condizione duplice di medico, che
deve fare di tutto per mantenerlo in vita, e da psicologo che deve fare di tutto per
fargli accettare il passaggio della morte. Ho percepito qualche momento di grande
conflitto interiore, specie nel momento in cui dovevo scegliere le terapie da somministrare. Poi ho accettato anch’io il mistero di questo grande passaggio tra la
vita e la morte e ci siamo congedati tenendoci per mano.
La vicinanza con la morte o con i morenti è fonte di grandi insegnamenti.
Come scrive la E. Kubler- Ross (1992): Al malato terminale … “abbiamo domandato di essere nostro maestro in modo che noi potessimo imparare qualche cosa in più sulle
tappe finali della vita con tutte le sue ansie, timori e speranze….. I pochi che sapranno avvicinare questi malati “senza speranze” scopriranno anche che può essere un’esperienza reciprocamente gratificante; essi impareranno molto sul funzionamento della mente umana, sugli aspetti
umani eccezionali della nostra esistenza e usciranno da questa esperienza arricchiti e forse con
minori ansie riguardo la propria fine”.
Ma avvicinarsi alla morte può essere anche un potente stimolo alla vita come
si può evincere dai casi seguenti:
Claudia: insegnante di 45 anni, non è sposata e vive con i genitori. Ha un tumore del colon operato, in corso di chemioterapia adiuvante che le causa importanti effetti collaterali tra cui una grave flebite che rischia di ostacolare l’infusione
degli ultimi cicli terapeutici. Mi parla del disagio della malattia ma anche del suo
senso di inadeguatezza. Le faccio fare un disegno (Fig.53) di sé secondo le direttive di Simonton che includono nello stesso disegno la rappresentazione della
malattia, delle terapie e delle risorse. Si disegna orientata al passato e mancante
della parte bassa del corpo. Il tumore viene disegnato fuori dal corpo come una
spirale e la chemioterapia come una flebo che fluisce nel braccio. Il tutto in bianco
e nero. Al contrario le risorse sono disegnate a colori. Dal disegno era evidente
come lei si considerasse guarita: in effetti il tumore dovrebbe essere stato asportato completamente. Pertanto lei giudicava che la chemioterapia era inutile, anzi
dannosa. In questi casi la chemioterapia è indicata per bonificare le micrometastasi, quasi sempre presenti e non diagnosticabili. Lavoriamo sul significato della
chemioterapia utilizzando la metodologia e le visualizzazioni di Simonton, ma
anche sul suo bisogno di controllo che si apre su un senso di inadeguatezza, di
non essere all’altezza, di dipendere dall’approvazione degli altri. Usiamo la bioenergetica, le musiche subliminali e delle meditazioni profonde anche con il man251
Marcello Aragona, Francesco Aragona
tra, per esplorare le cause limitanti e stimolare le risorse verso l’accettazione di sé
e delle terapie. Lavoriamo con incontri settimanali per circa 4 mesi. Gli effetti
collaterali della chemioterapia sono notevolmente ridotti e comunque ben tollerati. Si sente anche molto cambiata. Dice: “la malattia mi ha cambiata in meglio”; “potrei addirittura dire che ringrazio Dio per avermi dato questa malattia perché finalmente ho
l’opportunità di ritrovare me stessa”; “questi sono gli anni più belli della mia vita, perché posso
finalmente essere me stessa”. Si sente meno tollerante, meno accomodante, più consapevole dei suoi bisogni profondi, percepisce un senso di ribellione focalizzato
nella pancia: mi racconta che l’ultimo quadro che ha dipinto (è una pittrice) era
completamente diverso dagli altri. Prima usava colori pastello, delicati, perfetti o
usava il bianco e nero. Quest’ultimo è un mare in tempesta con colori molto accesi. Adesso ha completato le terapie, è in remissione completa di malattia, sta
bene e si sente bene.
Aurora. 50 anni, sposata con una figlia. Ha un tumore del pancreas operato ed
in corso di chemioterapia. Ha molto dolore. Sua madre ha un tumore della mammella in remissione completa ed è molto depressa, mentre la sorella muore per
tumore del pancreas. Tutta la sua vita è centrata sul lavoro. Si sente bene finchè
riesce a nascondere tutto come uno struzzo ma il dolore la riporta alla realtà.
Dopo le problematiche relative al tumore comincia a raccontare delle sue sconfitte, delle rinunzie, per conquistarsi la libertà, dei suoi lutti. Ogni volta che entra
nella sua sofferenza, solitudine, ha un’emozione e disagio nell’area epigastrica,
addome superiore e le viene da piangere. Le chiedo cosa vorrebbe fare se questo fosse il suo ultimo anno di vita, risponde: “niente. Perché dovrei fare qualcosa se poi
tutto finisce?”. Lavoriamo molto sulle sue sofferenze, ma anche sulle sue risorse, per
circa 4 mesi. Sta molto meglio, non ha più dolori, ha finito la chemioterapia, clinicamente è in remissione completa. La rivedo dopo alcuni mesi e sta benissimo,
ha trasformato la sua vita, va in palestra ed è felice anche perché ora aspetta un
nipotino.
Anche Carl Simonton considera il lavoro sulla morte come uno dei punti cardine del suo metodo psiconcologico. È un programma formativo per pazienti, accompagnatori e sanitari che può essere schematizzato secondo le seguenti
tematiche, così sviluppate nei suoi corsi intensivi di 3 o 5 giorni:
Importanza della gioia, del gioco e della dolcezza nella propria vita
Uso della visualizzazione, il contatto con la saggezza interiore: come utilizzarli per integrare il potere dello spirito e della spiritualità nel processo di guarigione
252
Fisiopatologia dello stress
Trasformazione di pensieri e credenze per gestire il dolore emozionale e stress relativi al
cancro, ai trattamenti, sistema di guarigione del proprio corpo, sistema immunitario, la vita
e la morte
Sviluppare la fiducia e speranza, come aumentarle e mantenerle
Comprendere il significato della malattia, messaggio, i vantaggi nascosti
Identificare i propri bisogni essenziali
Come i nostri comportamenti e il nostro stile di vita influenzano la salute
Creare un programma di salute di 2 anni, fissandosi degli obbiettivi secondo un ritmo sano,
lasciando spazio alla gioia e alla pienezza
Trovare delle ragioni per vivere
La persona di sostegno e il suo ruolo, la comunicazione
Affrontare la recidiva e la morte come stimoli ad aumentare l’energia per vivere e guarire
Il ritorno a casa, come mantenere il processo di ritorno alla salute
Simonton osserva, come fanno anche altri studiosi, che le persone che guariscono o che vivono a lungo, fanno dei grandi cambiamenti negli stili di vita (Simonton 2005, LeShan 1994, Hirshberg 2005). Berry Siegel li chiama pazienti
eccezionali (2002). Questi con grande frequenza hanno cambiato le loro credenze, dato nuovi significati alla loro vita, stretto forti legami con amici, parenti,
sanitari; hanno imparato ad esprimere le emozioni, a prendere il controllo della
propria vita, risvegliare il desiderio di scoprire e comprendere chi siamo realmente, essere meno tolleranti, meno pazienti, essere più spontanei.
Con questa spinta positiva sull’attivazione delle risorse interiori ho provato ad
attivare un “progetto di ricerca sull’approccio transpersonale in pazienti con tumore mammario in remissione clinica”.
Sono stati inclusi nello studio 55 pazienti con tumore della mammella in remissione clinica (parziale o completa) non in trattamento antiblastico. Ci incontravamo in gruppo per circa tre ore ogni settimana e per circa un anno. Ogni
gruppo era per massimo 15 persone. Lavoravamo condividendo le sofferenze
per trasformarle e stimolando le risorse secondo l’approccio psicoterapeutico
transpersonale, psico-corporeo-spirituale. Lavoravamo con la Bioenergetica
(Lowen 1983, Grossman 1992, Ponticelli 2005), entravamo nel profondo con tecniche di Psicodinamica, secondo il metodo di M. Maltz dell’Istituto Sperimentale
di Psicodinamica Applicata (ISPA di Milano) (Riva 2001); usavamo specifiche visualizzazioni guidate, dedicate anche alla stimolazione del sistema immunitario;
elementi del metodo Psico-Oncologico Simonton (1978, 2004, 2005); la metamusica con la “Binaural beat tecnology” (Hemi-Sync, Monroe Institute, Virgi253
Marcello Aragona, Francesco Aragona
nia, USA) che stimola a basse frequenze acustiche (onde delta) una sincronizzazione tra i due emisferi cerebrali. L’esperienza terapeutica veniva integrata con
l’uso di arteterapia, di condivisione e psicoterapia di gruppo ad orientamento
transpersonale.
Abbiamo cercato di aumentare la consapevolezza sia a livello corporeo intervenendo su percezione, sensibilità e schema corporeo; sia a livello emotivo sulla
percezione delle emozioni, dei blocchi emotivi pregressi ed attuali, anche connessi alla malattia tumorale, ma spesso riferiti ad altre problematiche più profonde; sia a livello mentale sui modelli di trasformazione dei costrutti mentali,
delle credenze, delle convinzioni malsane; sia a livello sociale sulle relazioni importanti, sui doveri, sensi di colpa; sia a livello spirituale sulla consapevolezza di
sé, sull’autostima, sulla realizzazione di sé e sul senso della propria esistenza.
Tutti i pazienti hanno riferito un notevole miglioramento del benessere soggettivo in vari aspetti della loro qualità della vita e chiedevano esplicitamente di
continuare questi incontri terapeutici di gruppo. Numerosi pazienti riferivano
spesso che vedevano gli altri componenti del gruppo come trasformati in meglio, mentre non pensavano la stessa cosa di se stessi. Questo effetto tendeva ad
attenuarsi nel tempo, man mano che aumentava la consapevolezza di sé. Molte
persone riferivano alcuni cambiamenti importanti riguardo i loro stili di vita, si
sentono sempre più responsabili della loro vita che vivono con più gioia, piacere,
con meno paure, con più decisione, sicurezza di sé. Molti dicono: “adesso mi sento
una ‘persona’ e sono padrona della mia vita”; “sono stata sconosciuta a me stessa per anni”,
“ora mi sento più responsabile e più decisa”, “riesco a giocare”, “mi sento felice”, “ho ritrovato
l’armonia con i miei familiari”, “questi sono gli anni più belli della mia vita”, “gli amici mi
vedono rinata”, “è stato illuminante scoprire che posso volermi bene”.
Pian piano i bisogni fondamentali, fisici, legati alla malattia ed i bisogni di sicurezza, emozionali diventavano sempre meno importanti, perdevano quella
grande priorità determinata dalla malattia. Le persone infatti cominciavano a rendersi conto di quali erano i loro veri bisogni, quelli più profondi, quelli a cui avevano rinunziato, per adattarsi all’ambiente sociale in cui avevano scelto di vivere.
Cominciavano ad avere sempre più importanza il bisogno di autostima, piuttosto
che di essere approvate dagli altri, ed il bisogno di realizzazione di sé (graf. 1).
Grafico 1: il test SEIQoL sulla qualità della vita descrive la riduzione di
importanza dei bisogni fondamentali, fisici ed emotivi, di sicurezza rispetto al test basale (p=0.05).
Aumentano gli aspetti esistenziali
(bisogni di autostima) e spirituali (bisogni di realizzazione di sé) (R2=
0.9303; r= 0,898; p<0,001).
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Fisiopatologia dello stress
Grafico 1: il test SEIQoL sulla qualità della vita descrive la riduzione di importanza dei bisogni fondamentali, fisici ed emotivi, di sicurezza rispetto al test
basale (p=0.05). Aumentano gli aspetti esistenziali (bisogni di autostima) e spirituali (bisogni di realizzazione di sé) (R2= 0.9303; r= 0,898; p<0,001).
Cominciavano a definire i loro tempi, delimitare i loro spazi, inizialmente con
qualche senso di colpa, ma poi con grande piacere e benessere. Cominciavano a
trovare alcune risposte chiave ad domande tipo: Chi sono? Che cosa faccio qui?
Ho un’idea chiara di ciò che voglio dalla mia vita? Sono felice di come sono, oppure credo solo di esserlo? Sono realmente quello che credo, oppure sono ciò
che gli altri vogliono che io sia? Conosco tutte le potenzialità del mio essere?
Quali sono i miei ideali? Si sentivano sempre più centrate su se stesse e meno
sulle aspettative degli altri.
Miglioravano anche il tono dell’umore e l’auto-valorizzazione, secondo il test
di personalità MMPI2. A livello biologico e particolarmente a livello del sistema
immunitario si è osservato un miglioramento con riduzione dell’Interleuchina18 (IL18) pro-infiammatoria ed aumento della dell’Interleuchina-12 (IL12) stimolatoria (graf. 2). Tuttavia, dato il ridotto numero di casi, l’analisi statistica non
è significativa.
Grafico 2.
Quasi tutte queste pazienti sono in buona salute ed in atto in remissione completa di malattia.
Ho presentato questi dati al Congresso Mondiale di Psiconcologia (IPOS) a
Venezia nel 2006 (Aragona 2006, Respini 2006) ed altri risultati al successivo Congresso IPOS nel 2007. Questi miglioramenti sono stati parziali solo in 3 soggetti:
G.S. 50 anni, con tumore mammario con metastasi ossee. Ha forti dolori alla
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Marcello Aragona, Francesco Aragona
spalla sinistra ed è in trattamento con oppioidi (fentanyl transdermico) + antinfiammatori. Tuttavia il dolore continua ad essere forte. Durante un gruppo settimanale, dopo una mediatazione, ha notato la scomparsa del dolore. L’effetto è
durato 2 giorni circa. L’analgesia dopo la meditazione si è ripresentata anche nei
gruppi successivi. Dopo un poco non ha partecipato più ai gruppi, la malattia è
progredita fino a portarlo a morte circa un anno dopo.
Questi tre soggetti hanno contattato la possibilità di trasformare la loro vita e
ridiventarne artefici, ma hanno scelto di non farlo, di non alterare l’equilibrio raggiunto, hanno preferito rimanere nella loro sofferenza pur di non rischiare di alterare gli equilibri costituiti, individuali, familiari e sociali, spirituali.
La maggior parte degli altri soggetti hanno chiesto entusiasticamente di continuare in questo percorso da cui a loro dire hanno tratto enorme giovamento.
Pertanto ho attivato in modo stabile e continuativo questo modello terapeutico
di gruppo, nel mio reparto ospedaliero-universitario.
In conclusione, nonostante l’enorme difficoltà a stare accanto a queste persone
che soffrono intensamente, è altamente gratificante stare insieme a loro, riuscire
a guardarsi negli occhi, toccarsi e gioire di questi brevi ma intensi momenti di
crescita reciproci, dove è relativamente importante saper “fare”, ma soprattutto
saper “essere”, consapevoli dei nostri limiti, delle nostre maschere ed essere disponibili ad accettare di essere lo strumento attraverso cui la persona che soffre
può scegliere di fare ciò che è pronto a fare, per ritrovare se stesso.
Come scrive Patch Adams (1999): “La visita porta al capezzale del malato una potente medicina… per alleviarne la sofferenza. Rendetevi conto che il modo con cui trattate un
amico malato è un potente strumento a vostra disposizione”.
Cercando di mantenere l’umiltà nel riconoscere i limiti della nostra conoscenza, possiamo apprezzare quello che scrive Berry Siegel (2002): “Se davvero vuoi
comprendermi, ti prego, ascolta quello che non dico, quello che non sarò mai in grado di dire”.
Questa comprensione, anche se molto più difficile di quella cosciente, è molto più
diretta, va oltre le parole: è una qualità che può e deve essere coltivata. Se vogliamo cercare il senso della nostra vita, per ritrovare il piacere di vivere, possiamo forse comunicarlo ai nostri pazienti, con il nostro modo di essere.
Accedere a livelli diversi di coscienza permette di avere una visione più ampia
della propria realtà e di intravedere la possibilità che una soluzione ci sia, per trovare un senso alla sofferenza, un sollievo, ma anche per accettare la realtà così
com’è, quale passaggio fondamentale per affrontare la morte, ma ancora di più
la vita, lunga o breve che sia.
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Fisiopatologia dello stress
Come ci insegnano le neuroscienze questo processo riflette fasi funzionali del
nostro cervello che possono essere modificate semplicemente spostando i livelli
di attenzione, focalizzandola concentrandosi sulla sofferenza o sul benessere, oppure espandendola al di la dei confini sensoriali verso la spiritualità (diffusa attivazione cerebrale) tramite cui è più facile avere una visione d’insieme, quella che
Wilber e le grandi tradizioni spirituali definiscono “coscienza dell’Unità”. La sola
coscienza razionale della corteccia cerebrale sinistra non ha questa possibilità,
che si può acquisire solo quando si riesce ad integrare tutte le funzioni cerebrali,
specie quella razionale con quella intuitiva, creativa, della corteccia cerebrale destra. Con questo accesso anche la vita e la morte possono essere viste come momento di passaggio. Come dice Simonton “la maggior parte delle persone che hanno
paura della morte, non si sono concesse alla gioia, nel corso della vita”. L’attaccamento alla
vita non è più necessario quando si è pronti al “grande salto” e, paradossalmente,
qui comincia la gioia di vivere.
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